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Dostoevskij chiamava le cose con il loro nome , forse il solo che labbia fatto tra i moderni
Cristina Campo
La Vita
l'esistenza per far fronte ai debiti, alle cambiali e agli usurai. Da questa situazione di
disperazione assoluta nasce il suo odio per i tranquilli borghesi, i piccoli commercianti, i
proprietari, gli accumulatori: incapace di maneggiare i soldi, generoso fino all'estremo.
Nel 1844, destinato a una missione in una lontana fortezza, preferisce ritirarsi dal
servizio presso il comando d'Ingegneria militare.
A 23 anni scrittore a tempo pieno.
Nel gennaio 1846 esce il suo primo racconto Povera gente; il manoscritto, prima di
essere stampato era stato letto dal critico Belinskij, il quale, colpito dalle doti del giovane
scrittore non esit a paragonarlo ad un nuovo Gogol. Il consenso di Belinskij gli apre le
porte dei circoli culturali pi esclusivi della capitale. L'anno successivo esce Il sosia. Se
per Povera gente il tema sociale ne determin il successo, il risvolto psicologico de Il
sosia non piace altrettanto e i sostenitori del primo racconto, fra cui lo stesso Belinskij,
raffreddano l'entusiasmo. Fedor, per, trova nel giovane Valerjan Majkov, critico tra i
pi apprezzati, uno strenuo difensore. Fedor conosce anche Michail Petrasevskij,
convinto sostenitore del socialismo utopistico di Fourier, che lo invita a frequentare il
suo salotto dove si discutono nuove questioni sociali ed economiche. Dostoevskij
frequenter le riunioni assiduamente, attratto dall'idea di una societ pacifica e dominata
dall'amore; egli non , n mai sar, un rivoluzionario (prende anzi le distanze dalle
posizioni pi estreme di alcuni membri del gruppo), ma sogna provvedimenti che
possano abolire la servit della gleba, la censura, la diseguaglianza, l'oppressione, la
povert.
Lo stesso anno esce il racconto La padrona.
Nel 1848 escono sulla rivista "Otecestvennye zapiski" (Quaderni
patriottici) i racconti Un cuore debole, Polzunkov, Le notti
bianche, L'eterno marito.
All'inizio del 1849 escono le prime due parti di Netocka
Nezvanova. Il 25 aprile 1849, alle cinque del mattino, Dostoevskij
viene arrestato e imprigionato nella fortezza di Pietro e Paolo con
l'accusa di far parte di una societ segreta sovversiva guidata da
Petrasevskij. Nel frattempo esce anche la terza parte di Netocka Nezvanova, ma senza
la sua firma.
Il 16 novembre condannato alla pena di morte mediante fucilazione, esecuzione che
all'ultimo momento, come era uso a quei tempi per esaltare la grandezza e la
magnanimit dello zar, viene commutata in condanna ai lavori forzati in Siberia.
Nella fortezza di Omsk Dostoevskij passa quattro anni a contatto con detenuti di ogni
genere, provenienza, estrazione, ognuno con una storia diversa; tutto materiale che verr
utilizzato per Memorie da una casa di morti.
Nel 1854, terminata la pena, viene mandato a Semipalatinsk, non lontano dal confine
cinese, come soldato semplice. L si innamora della moglie di un doganiere del luogo e
dopo la morte di questo prende la donna, Marija Dmitrevna, come sposa. Nel novembre
1854 giunge a Semipalatinsk A.E.Vrangel', il nuovoprocuratore, con il quale Dostoevskij
stringe una salda e sincera amicizia. Alla morte dello zar Nicola I, nel 1855, sar lo stesso
Vrangel' ad adoperarsi per permettere a Dostoevskij di tornare a Pietroburgo.
Nel 1859 viene congedato per motivi di salute, si trasferisce a Tver, quindi a Pietroburgo,
sempre, per, sotto la sorveglianza della polizia segreta. Lo stesso anno escono Il sogno
dello zio e Il villaggio di Stepancikovo.
Nel 1860 inizia sulla rivista "Russkij mir" (Il mondo russo) la pubblicazione delle
Memorie da una casa di morti.
Nel gennaio 1861 esce il primo numero della rivista "Vremja" (Il tempo), pubblicata dal
fratello Michail e di cui Fedor diventa il principale collaboratore. un mensile di grosso
formato dove si tratta oltre che di letteratura, anche di questioni filosofiche, economiche,
finanziarie. Su di essa viene pubblicato a puntate Umiliati e offesi.
In questo periodo entra in contatto con due personaggi che, oltre a diventare
collaboratori del giornale, saranno per Fedor fraterni amici: Apollon Grigorev e Nikolaj
Strachov.
Nel 1862 viaggia molto all'estero. Conosce Apollinarija Suslova, con la quale intreccer
un legame turbolento che durer parecchi anni.
Nel 1863 pubblica Note invernali su impressioni estive. Il 24 maggio, per un articolo
troppo astratto e poco prudente di Strachov sulla questione polacca, la sua rivista viene
chiusa dalla censura. Raggiunge la Suslova a Parigi, con la quale parte per l'Italia. Il
rapporto fra i due turbolento, tra violente scene di gelosia e tragiche perdite al gioco
nei casin di mezza Europa.
Nel 1865 firma con l'editore F.Stellovskij un contratto, per il quale dovr consegnargli
entro il primo novembre dell'anno successivo un nuovo romanzo, pena la pubblicazione
fuori diritti da parte di Stellovskij di tutte le sue opere. Comincia a scrivere Delitto e
castigo, e per velocizzarne la stesura assume una stenografa, Anna Grigorevna Snitkina,
che sposer nel 1867.
Nel 1866 esce a puntate sul "Russkij vestnik" (Il messaggero russo), Delitto e castigo.
Lo stesso anno termina Il giocatore.
Dal 1867 al 1872 fa un secondo viaggio, caratterizzato dalle difficolt finanziarie e dalle
perdite al gioco.
Nel gennaio 1868 inizia sul "Russkij vestnik" la pubblicazione a puntate de L'idiota. Gli
nasce una figlia, Sonja, che muore due mesi dopo.
Nel 1869 nasce la figlia Ljubov.
Nel 1871 inizia la pubblicazione a puntate de I demoni. Nasce il
figlio Fedor.
Nel 1872 diventa capo-redattore di una rivista conservatrice
"Grazdanin" (Il cittadino), presso cui cura una rubrica intitolata
Diario di uno scrittore. La collaborazione, per, dura poco.
Nel 1875 esce L'adolescente e gli nasce il figlio Aleksej.
Nel 1876 cura per suo conto la pubblicazione di una nuova rivista dal titolo Diario di
uno scrittore.
Nel 1878 muore il figlio Aleksej, per un gravissimo attacco di epilessia. Nei mesi
disperati che seguono incontra spesso il filosofo Vladimir Solovev e con lui si reca al
monastero di Optina, centro di spiritualit russa, dove incontra lo starec Amvrosij,
prototipo dello starec Zosima de I fratelli Karamazov; all'amico filosofo confider il
tema del suo ultimo libro: "La Chiesa come autentico ideale sociale".
L'anno successivo il "Russkij vestnik" inizia la pubblicazione a puntate del romanzo I
fratelli Karamazov, che vedr la luce in volume alla fine del 1879.
L'8 giugno 1880, in occasione dell'inaugurazione del monumento a Puskin, pronuncia un
famoso discorso sul grande poeta discorso che suscita grandi entusiasmi: solo i russi
sono dotati, come Puskin, di simpatia universale, solo essi sono in grado di penetrare
nell'anima degli uomini di tutti i paesi e di elevarsi alla concezione dell'unoine universale
di tutti i popoli. "Puskin illumin la strada della storia russa come una chiara luce-guida e
profetizz il suo sviluppo ulteriore mostrando a tutti il cammino salutare di un legame
con il popolo.
OPERE PRINCIPALI
Romanzi:
Povera gente ( , "Bednye ljudi"), 1844.
Il sosia (, "Dvojnik"), 1845.
Netoka Nezvanova ( , "Netoka Nezvanova"),
incompiuto, 1849.
Il villaggio di Stepanikovo e i suoi abitanti (
, "Selo Stepanikovo i ego obitateli"), 1858.
Memorie dalla casa dei morti ( , "Zapiski iz
mrtvogo doma"), 1861.
Umiliati e offesi ( , "Uniennye i oskorblnnye"),
1861.
Memorie dal sottosuolo ( - "Zapiski iz podpolja"), 1864.
Il giocatore (, "Igrok"), 1866,
Delitto e castigo ( , "Prestuplenie i nakazanie"),
1866.
L'idiota (, "Idiot"), 1869.
L'eterno marito ( , "Venyj mu"), 1870.
I demoni (, "Besi"), 1871.
L'adolescente (, "Podrostok"), 1875.
I fratelli Karamazov, ( , "Bratja Karamazovy"), 18781880.
Racconti :
Raccolte di saggi :
Diario di uno scrittore, 1873
Nella cerchia, non molto ampia, dei letterati e dei filosofi professionali, questo
libro rischia di trovare pochi consensi. Ai primi, che respirano latmosfera incantata
ed eccelsa dellarte pura, il ragionar di Dostoevskij come di un rappresentante della
crisi del nostro tempo che una crisi di classi e di istituti, di strutture e di ideologie
sembrer un ragionare profano e irriverente. Se larte, infatti, il tempio delle verit
prime e assolute, metafisiche, lirru-zione delle verit seconde e relative quelle
storiche in tale spazio consacrato, non pu non sembrare sconveniente. Se larte
circola in un empireo, che il cielo del tempo maggiore, quel tempo minore, in
cui vive la cronaca e la commedia degli uomini sublunari, un tempo eterodosso e
impertinente, che non ha diritto di cittadinanza nel regno dello spirito. E i chierici
della universalit della filosofia si troveranno, a loro volta, solidali coi letterati in
nome del pensiero puro, nella protesta contro coloro che infangano, con la feccia
di Romolo, il cristallino mondo delle idee, che tanto pi terso quanto meno le idee
sono tributarie della realt troppo empirica del vivere sociale. I letterati
muoveranno il rimprovero di aver storicizzato, e quindi avvilito, il messaggio eterno
dellarte di Dostoevskij, di aver assunto le immagini assolute della poesia valide in
s, fuori del tempo e dello spazio quali simboli di un dramma storico e occasionale.
E lo stesso rimprovero muoveranno quei filosofi pei quali luniversalit della
filosofia un comodo asilo contro gli assalti di una realt sempre mutevole e che
sempre si ripropone come tema di meditazione allintelligenza umana, avida pi di
sogno e di tregua che di ricerca e di inquietu-dine.
Eppure, proprio oggi occorre sommuovere le acque ferme della cintura accademico
tradizionale, e questo processo di sommovimento non pu essere che un rifluire
copioso dei fiumi della storia in tali acque che minacciano di impaludare. Ma, con
non minore cautela, occorre guardarsi dai retori della storia, che intendono come
storia le quotidiane oscillazioni della politica, alle quali vorrebbero rimorchiare,
momento ber momento, i moti della cultura. Proiettata nel passato, questa tendenza
d origine a quel sociologismo volgare che vuol ritrovare una correlazione meccanica
e categorica tra i ritmi della vita sociale e quelli della vita artistica e ideologica,
dogmaticamente asseriti come sincronistici.
La lotta contro lautonomia dello spirito e delle sue forme ha un significato nella
cultura soltanto se la lotta di un pensiero critico che illumina il processo reale col
quale la vita ideologica e artistica si nutre, spesso inconsapevolmente, dei succhi
della vita storica. Vi una vera e propria legge di convergenza tra i fenomeni
ideologico-artistici e quelli economicopolitici, ma tale legge un postulato
metodologico per la ricerca e non una ricetta aprioristica da applicare
indiscriminatamente prima di aver compiuto la ricerca stessa. Inoltre, i fenomeni
della vita ideologica e artistica non sono epifenomeni che riflettano una realt statica
alla quale essi non concorrono, n effetti passivi di cause economiche, politiche o
sociali che costituiscano una realt di un ordine pi reale. La realt concreta
lintreccio vivente di strutture e sovrastrutture se si vuole usare la terminologia
marxista quel processo cio di Wechselwirkung di cui urla Engels e sul quale ha
tanto insistito nei suoi scritti il nostro Antonio Labriola. In particolare, le immagini
dellarte riflettono, vero, delle realt sociali, ma tale processo di Wiederspiegelung
non illustrato nella sua natura se non quando si sia tenuto il debito conto degli
strumenti, dei modi e delle forme originali in cui avviene il processo, che non un
copiare o un ricalcare o un riflettere come in uno specchio, bens un creare e rivelare.
Le immagini di ogni vero artista sono sempre nuove e irripetibili e contribuiscono a
illuminare aspetti della realt che, senza di esse, sarebbero eternamente rimasti nella
penombra. Larte non autonoma, come non autonoma la filosofia, perch
nessuna sfera ideale un mondo impenetrabile che abbia in s, e in s soltanto, la
legge della propria nascita e del proprio svolgimento. Larte e la filosofia sono piante
che crescono sul terreno della vita storica, dal quale traggono, in modi spesso
inconsci, il loro necessario alimento. Esse sono autonome solo in un senso relativo
e condizionato, in quanto cio, come le piante, trasformano i nutrimenti della terra
in qualcosa che non terra, seppure dalla terra nasca e con essa concresca
indissolubilmente. I poemi omerici, come la Divina Commedia, il Don Chisciotte, la
Comdie humaine o i romanzi dostoevskijani, hanno le loro radici nellhumus storico
sociale del loro
tempo, ma trasfigurano in immagini originali e insostituibili gli
elementi dai quali hanno tratto la loro origine. E tali immagini hanno il potere di
illuminare la realt storica divenendo esse stesse documenti di natura
singolarissima, che tuttora vivono nella nostra memoria co-me un patrimonio
indelebile a cui continuamente ricorriamo.
Ci che ho detto, valga ad assolvermi presso i letterati e presso i filosofi, pi o
meno puri, pi o meno intinti di metafisica platonica, per aver considerato
Dostoevskij prevalentemente alla luce di un interesse ideologico e sociologico.
Quale sia il campo preciso al quale appartiene lopera dostoevskijana, in quale sfera
dello spirito essa si inserisca, per rimanervi crocifissa, io non so, n, a dire il vero, mi
interessa gran che di sapere. La distinzione tra le varie forme o attivit della cultura
corrisponde a una esigenza didattica e classificatrice, che ha la sua giustificazione
soprattutto nel bisogno della societ contemporanea di specializzare e dividere il
lavoro. Ma la realt delle opere non tiene, spesso, nessun conto delle distinzioni che
noi facciamo per nostro comodo, e vi sono opere che possono appartenere, nello
solidali nella loro comune colpevolezza. Esiste un nesso indissolubile tra il male e il
dolore, rappresentato dallespiazione, nel senso che la sofferenza al tempo stesso
pena della colpa e suo unico possibile riscatto: su tutti gli uomini, uniti da
unoriginaria solidariet nella colpa e nel dolore, grava un comune destino
despiazione [7]. In Dostoevskij presente e radicato il tema delluniversale
onnicolpevolezza degli uomini. Ciascuno colpevole per tutto e di fronte a tutti: per
tutti andr io, giacch pur necessario che qualcuno vada per tutti [] ma allora nel
profondo dolore nostro, di nuovo resusciteremo alla gioia, senza la quale non pu
vivere luomo [8].
La presenza del male in Dio, sin dallorigine, come eternamente sconfitto e non
scelto, un salto kierkegaardiano oppure una premessa metodologica che consente
di approdare alla libert assoluta (che comprende quella di commettere il male)?
Forse, invece, Pareyson si reso conto che esplicare la presenza del male come puro
atto umano quasi impossibile, tanto profondamente la sofferenza permea le
esistenze; ugualmente dannoso per la filosofia sarebbe il lasciar cadere questo
spinoso argomento.
Non si pu ridurre la questione della presenza del male a pura questione teologica o
ad esclusivo tema adatto alle filosofie dellesistenza. Andando a scavare nelle
teologie, sia classiche che contemporanee, Pareyson ha potuto intravedere unipotesi
che si dimostrata, oltre che bella nella sua tragicit, valida per affrontare il discorso
del male anche da un punto di vista esistenziale. Si pu dire che egli faccia
convergere nel suo pensiero la visione titanica del male, inteso qui come ribellione
delluomo contro Dio e come libert dal bene [9], con la visone onto-teologica che
studia lorigine dellessere del male. Uno sguardo biblico e titanico alla ricerca dei
vari lati del male in cui luomo e Dio sono coinvolti assieme.
La teologia della Croce e la possibilit non scelta
La teologia scandalosa del male nel pensiero cristiano, esposta da Pareyson in
Ontologia della libert [10], parla, difatti, della presenza di tale entit in Dio, prima
del tempo, come possibilit non scelta, in quanto il Signore ha designato per la
vittoria, da allora e per sempre, il bene ed ha scartato il male che esisterebbe, quindi,
come lopposto della creazione, diremmo con Karl Barth la mano sinistra di Dio.
Questo male scartato getta unombra sulla divinit stessa: Nellaffermazione divina
il male una possibilit non realizzata, anzi esclusa per sempre, la quale rimane
tuttavia, anche se latente e sopita, nellabisso divino, non certo come una realt, ma
tuttavia come una possibilit sempre disponibile. La negativit e il male sono presenti
in Dio come possibilit prevedute ma scartate [11].
Il cristianesimo, in questo caso, fornisce materiale per una riflessione, il male
presente in Dio come possibilit prevista ma sempre scartata, mentre Ges Cristo
riscatta i peccati dellumanit con il proprio dolore e la propria morte. Tragico e
salvifico si incontrano in quella che Pareyson chiama teologia della Croce. La
contrapposizione fra la teologia della Croce e la presenza del male in Dio fa del
tragico-cristiano un esempio particolare del confronto fra umano e divino. Per
Pareyson affermare che il male esista come lato oscuro della divinit, ci che Dio non
ha voluto, non significa affatto dire che egli lautore del male. Tale non scelta,
infatti, fa della divinit lorigine del male possibile, ma lascia alluomo la colpa di
averlo ridestato. Dalle pagine di Ontologia e libert traspare lessenza dellevento
tragico secondo la visione cristiana; come per gli di greci, anche nel Dio dei cristiani
coesistono un lato oscuro al fianco del lato luminoso. Il tragico del cristianesimo,
ovvero la presenza del male in Dio, tuttavia, apre la strada alla visione salvifica, alla
compartecipazione di Dio stesso alla sofferenza delluomo: Questa la tragedia
delluomo: egli immerso nel negativo, autore del male e soggetto al dolore,
marchiato dallonnicolpevolezza e destinato alla sofferenza universale. Ma anche la
tragedia di Dio, perch la caduta umana, segnando il fallimento della creazione,
colpisce lopera sua e lo costringe a intervenire per rettificarla, ci che Dio non pu
fare se non soffrendo a sua volta, perch solo col dolore si pu vincere il male [12].
questo lo scandalo del Dio sofferente.
Qual quindi lidea che permette al cristianesimo di superare lobiezione della
sofferenza inutile? Secondo quanto ci dice Pareyson, Dostoevskij individua nella
compartecipazione divina alla sofferenza umana, quindi nella figura di Cristo, la
chiave di volta del discorso sul male. La teologia della Croce racconta della
sofferenza di Cristo grazie alla quale lumanit non pi abbandonata, ma perdonata.
Con questo perdono Dio assume in s parte della sofferenza e del dolore delluomo.
Cos il divino e lumano divengono cobelligeranti contro il male: Il Cristo, dunque,
rappresenta il fatto che il dolore da umano e cosmico si fa teogonico, e che l,
allinterno di Dio, nella lotta di Dio con se stesso, esso finisce col logorarsi e
distruggersi. Il problema del dolore non ha dunque altra risposta che il Cristo
sofferente. Solo il Cristo pu vincere il dolore, in quanto lo assume su di s [13]. La
possibilit che Dio possa soffrire e compartecipare al dolore delluomo nei suoi
aspetti pi drammatici rappresenta la teologia scandalosa del tragico e forse il punto
di unione fra lato esistenziale e lato teologico del pensiero di Pareyson.
Concludendo con le parole dello stesso Dostoevskij potremmo dire: Cos meglio?
Una felicit a buon mercato, oppure unestrema sofferenza? Allora, cos meglio?
[14]. La domanda retorica ma la risposta lo un po di meno
Michele Rozzi
Note
[1] Cfr. LUIGI PAREYSON, Ontologia della libert, Einaudi, Torino, 1995.
[2] Cfr. IDEM, Dostoevskij, Einaudi, Torino, 1993, pp. 26-38.
[3] GIOVANNI FERRETTI, Filosofia ed esperienza religiosa: a partire da Luigi
Pareyson, Atti del VI colloquio su filosofia e religione, Giardini, Macerata, 1995, p.
27.
[4] Ma diremmo, pi in generale, nellintera produzione artistica.
[5] FDOR DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, Einaudi, Torino, 1993, p. 323.
[6] Ivi, p. 326.
[7] L. PAREYSON, Ontologia della libert, pp. 167-168.
[8] F. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, p. 778.
[9] L. PAREYSON, Dostoevskij, p. 30.
[10] Cfr. IDEM, Ontologia della libert, pp. 151-230.
[11] Ivi, p. 179.
[12] Ivi, p. 194.
[13] Ivi, p. 201.
[14] F. DOSTOEVSKIJ Memorie dal sottosuolo, Einaudi, Torino, 2002, p. 141.
Sacerdote e teologo don Fabio Baroncini nato a Morbegno nel 1942. Ordinato sacerdote nel 1966 si
licenziato in teologia dogmatica presso la facolt di Milano. Attualmente parroco a Milano nella
parrocchia di S. Martino in Niguarda.
Queste concezioni, per D., erigono contro luomo "un muro di pietra" che lo
imprigiona, contro il quale egli cozza senza poterlo sfondare. Ed a partire da questa
percezione che D. inizia ad elevare la sua protesta.
"Ma quale muro di pietra? Ma naturalmente le leggi di natura, le deduzioni delle
scienze naturali, la matematica. Quando ti dimostrano, per esempio, che tu discendi
dalla scimmia, beh, c poco da accigliarsi, devi accettare il fatto com. Se ti
dimostrano che una sola goccia del tuo grasso devesserti pi cara di centomila tuoi
simili, e che in questa conclusione si risolvono alla fine tutte le cosiddette virt, i
doveri e tutte le altre chimere e pregiudizi, ebbene bisogna che accetti il risultato
della dimostrazione, giacch non c niente da fare, due pi due fa quattro, questa
matematica. Provatevi un po a replicare" (MdS 212-213).
D. si scaglia contro questa concezione perch la sua percezione esistenziale, il
sentimento che ha di s, la sensazione geniale della propria autocoscienza, del proprio
valore, lo porta a dire che "lanimo umano immenso, fin troppo immenso"; non si
pu ricondurlo a semplici definizioni soprattutto consegnando queste definizioni alla
pura forza razionale, perch ci sono "troppi enigmi che opprimono luomo sulla terra"
(FK 175). Forse che tutto questo, questa complessit dellesistenza di ogni uomo si
pu ricondurre dentro una misura razionalisticamente intesa? No! Luomo non pu
essere ridotto ad un tasto di pianoforte o ad un pedale dorgano n la convivenza
umana ad un formicaio brulicante o ad una caserma-carnaio.
Aristotele ci aveva insegnato che luomo un animale razionale. In Memorie del
sottosuolo D. dice che luomo potrebbe essere definito invece come "un animale
bipede e ingrato". Si pu ridurre ad una pura misura razionalistica lesistenza umana?
No! Luomo pi grande.
Per trovare questa grandezza che lintelligenza euclidea (per la quale tutto si riduce a
tre dimensioni: lunghezza, larghezza e altezza) ha perso, D. introduce unaltra
dimensione: la profondit. nel profondo che bisogna andare a cercare la vera e
autentica consistenza, il vero e pieno significato delluomo. E la profondit
enigmatica, complessa, magmatica, ribollente, dionisiaca. Lanimo umano, il fondo
dellesistenza umana di una complessit articolata impressionante; allora D. scende
nel sottosuolo dellesistenza per fare emergere la vera dinamica, la vera consistenza
dellessere umano. E nella sua profondit la natura umana forse razionale? No! Al
fondo di ognuno di noi radicata lesigenza della libert, sconfinata, senza limiti,
fino allarbitrio, fino al capriccio.
dal profondo della struttura umana che si incontra la questione della libert, e per
D. questa responsabilit respiro senza possibilit di limiti, senza possibilit di
obiezioni ed ostacoli; questa lesigenza, questo linteresse reale della nostra
esistenza. D. allora svela la incommensurabilit della natura umana, contro ogni
2. Figure della libert - Ci sorge ora la domanda: che cosa la libert per D.?
Per rispondere a questa domanda, due avvertenze. La prima: D. non un filosofo,
quindi non possiamo andare a cercare la risposta secondo uno svolgimento logico,
articolato come farebbe un filosofo, alla Hegel o alla Kant. D. un artista e come tale
le sue proposte, le sue idee sono sempre portate dalla genialit creatrice con cui
presenta i personaggi, con cui gli fa vivere certe situazioni, certi avvenimenti, certe
circostanze: da l noi dovremo trarre la risposta alla nostra domanda. Occorrer
prestare attenzione al metodo letterario da lui usato: il simbolismo realista, o meglio
il simbolismo iconografico. Personaggi, stati danimo, situazioni della natura sono
sempre funzionali alla comunicazione di una verit.
La seconda avvertenza gi segnalata da A. DellAsta nellintroduzione al suo libro Il
dramma della libert. Saggi su D.: tutti i critici sono tentati di formulare la propria
concezione in modo dialettico a quella di D. e, perci, non sempre ne rispettano il
pensiero. Dovremo, allora, lasciar parlare innanzitutto il testo. Per identificare che
cosa la libert partiamo dagli elementi pi esterni, quelli pi facilmente coglibili
dalle sue opere.
a) La libert come gioco - Per D., nellesistenza umana la libert si traduce
innanzitutto come gioco. Nel cuore delluomo vibra una tensione, per cui se vuole
essere libero, deve lanciare una sfida. "A un tratto ho provato dentro di me una strana
sensazione, la voglia di sfidare la sorte, di darle uno schiaffo, o di mostrarle la lingua"
(G. 30). Lanelito alla libert nel cuore delluomo porta fino a desiderare lo sberleffo
al destino. Luomo non pu rassegnarsi allesistenza come regola. Cos, "In un attimo
mi sono reso conto con terrore cosa significava per me perdere": "insieme a quelloro
io puntavo la mia vita" (G. 156).
La libert umana cos come la concepisce D., porta innanzi tutto a questa
provocazione. Per essere libero luomo deve giocare la sua vita, la sua esistenza non
pi vissuta come responsabilit, ma come puro rischio, irrazionale: la libert dentro
allesistenza umana porta fino a questo livello. "Al di l di ogni vana gloria, mi sono
sentito a un tratto totalmente dominato da una folle sete di rischio" (G. 160). Se cos
non fosse luomo dovrebbe cedere ad altro da s il potere: "Desidero soltanto chiarire
linfondatezza della supposizione per me offensiva, che io mi trovi sotto la tutela di
qualcuno che potrebbe esercitare un potere su di me, limitando la mia libert" (G.
56). Il cuore umano vuole una libert illimitata, non accetta perci che altri decida
della sua esistenza, e porta questa inclinazione fino alle sue radicali conseguenze,
spende, rischia, gioca la vita fino in fondo, anche in maniera totalmente irrazionale.
quello non ho saputo fare, si vede bene". E pi avanti dir, anzi, che non ha ucciso la
vecchia, ha ucciso soltanto se stesso, nel tentativo di andare al di l del bene e del
male, anticipando in questo tutta la logica di Nietzsche. Nel tentativo di andare al di
l del bene e del male, Raskolnikov, con tutta la sua volont di potenza, diventa un
nietzschiano mancato. Si trova ad essere esteticamente un pidocchio, e nulla pi. Il
rimorso lo getta nellallucinazione e lo fa diventare come "un ragno che si rintana nel
fondo della sua tana a tessere la sua tela, per gettarla sugli altri, per succhiare dagli
altri la loro linfa vitale, trascorrendo lesistenza a pensare". La libert realizzata in
questo modo riduce a essere dei puri parassiti della vita.
d) La libert come repulsione - In D., la libert si realizza come repulsione o, per
usare Sartre, come nausea, come possibilit di schifo, proclamato dallesistenza. la
stranissima figura di Ippolito nel romanzo, lIdiota. Ippolito un giovane tisico,
ormai agli ultimi giorni della sua esistenza. Egli ammette tutto, compreso la malattia,
Dio, la vita eterna ma si rifiuta di accettarlo. "Ammetto la vita eterna. Forse lho
sempre ammesso, che la coscienza sia accesa in noi per volont di una forza
superiore, che essa abbia dato uno sguardo alluniverso e abbia detto: Io sono. Che
poi ad un tratto le sia stato prescritto da quella forza superiore di annientarsi, perch
cos occorre lass per qualche motivo, cio che luomo debba morire, anche senza
che mi si spieghi per quale motivo, sia pure, io tutto questo lo ammetto. Ma ecco di
nuovo leterna domanda: Perch, oltre tutto questo, occorre la mia rassegnazione?
Non si pu semplicemente divorarmi, senza pretendere che canti anche le lodi di chi
mi ha divorato?" (Id 493).
La libert diventa allora in questo personaggio straordinaria affermazione. La libert
luogo della riserva del proprio assenso. C la vita, va bene; che io la debba subire,
va bene, ma io sempre avr nei confronti di ci che esiste un sospetto, una resistenza,
una nausea. Io voglio mantenere la riserva della mia accettazione, voglio mantenere
la resistenza nei confronti della mia obbedienza a ci che esiste. In questo intendo
difendere la mia libert. "Non posso rimanere in vita, se questa assume forme cos
strane che mi offendono. A questa mia risoluzione definitiva non contribu n la
logica, n un convincimento logico, ma la repulsione" (Id 489).
e) La libert come ribellione o rivolta - la grandissima figura, insuperabile per molti
aspetti, di Ivan Karamazov. Come pu essere libero luomo se esiste il male? Come si
pu accettare il male, soprattutto se colpisce gli innocenti? Dice Ivan al fratello
Alsa, nel capitolo intitolato La ribellione o La rivolta: "Figurati, che, tirando le
somme, questo mondo creato da Dio, io non lo accetto". Ippolit accettava il mondo,
senza dare il suo assenso, difendendo cos la sua libert. Ivan ancora pi radicale:
"Non accetto il mondo fatto cos, pur sapendo benissimo che esiste, anzi non lo
ammetto proprio! Non che io non accetti Dio, capiscimi bene, ma questo mondo
creato da lui che io non accetto e che non posso rassegnarmi ad accettare" (FK 343).
Con la sua intelligenza euclidea, Ivan Karamazov non pu accettare il male. Forse
che il male pu servire a costruire un bene futuro? No, non si pu accettare la
sofferenza di un bambino, fosse anche per un bene 100.000 volte pi grande che
verr in futuro. "Non ho mica sofferto con i miei errori e le mie sofferenze per
concimare unarmonia futura in favore di chiss chi? Voglio esserci anchio quando il
daino ruzzer accanto al leone e il bambino metter nel covo dellaspide la sua mano,
e il lupo e il leone e il vitello pascoleranno insieme. Voglio esserci anchio perch se
tutto accadesse senza di me sarebbe troppo umiliante" (FK 354-355).
Il mito del progresso, che il male possa servire a un bene futuro pi grande, scalzato
totalmente, Ivan non accetta questo; e allora, non avendo chiesto di venire al mondo,
restituisce il biglietto dingresso. Questa ribellione comunque porta Ivan alle sue
conseguenze inesorabili. Difatti egli vede nel padre, in Fdor, la raffigurazione di
questa abiezione che non ha diritto e dignit di esistenza. E allora Ivan, luomo che
vuole la giustizia, ispira a Smerdiakov, il fratellastro pressoch demente, o meglio
larva umana, luccisione del padre. La colpa del delitto ricade su Dimitrij, laltro
fratello. Durante il processo a Dimitrij, Ivan Karamazov si alza e dice la frase che
decide di tutta la nostra cultura contemporanea, quella che Freud far sua. "Non
forse fatto cos il cuore umano? Chi che non desidera la morte del proprio padre?"
(FK 949).
Questa frase si colloca al centro della cultura contemporanea, perch una volta che
noi non accettiamo pi il creato, lesistente, per rivendicare unautonoma libert,
siamo costretti a negare chi ha fatto tutto, cio ad uccidere il padre, per trattenere la
nostra libert. La morte di Dio proclama che finalmente tutto permesso alluomo,
cos luomo potr con tutte le sue forze lottare contro il male senza pi nessuna
regola, tranne quella della propria espressione libera.
f) La libert come puro arbitrio - la figura di Kirillov ne I Demoni. "Dio mi ha
tormentato per tutta la vita": questo grido che esprime sinteticamente la passione di
D. messo in bocca a Kirillov, solo che Kirillov non crede in Dio. Kirillov uno di
quei personaggi personaggi straordinari che solo D. ha saputo descrivere. Essi vivono
sotto il segno della totalit; qualunque cosa dicano o qualunque cosa facciano, ad
una pienezza, ad un compimento, ad una totalit cui aspirano. Siccome Kirillov non
crede pi in Dio, ha bisogno di trovare un valore assoluto, pieno, totale, che lo
sostituisca, e lo trova nelluomo. "Se non c Dio, io sono un Dio" (Dem. 657)
"Capire che non c Dio e non capire nello stesso momento desser diventato tu
stesso Dio unassurdit" (Dem. 659). Nasce finalmente luomo-Dio. La profezia di
Feuerbach si compie: "Homo homini Deus". Finalmente lumanit trova la sua
divinizzazione.
La libert allinterno di questa esperienza: "Per tre anni ho cercato lattributo della
mia divinit e lho trovato. Lattributo della mia divinit lArbitrio. tutto ci con
cui io posso mostrare la rivolta e la mia nuova paurosa libert. Poich essa assai
paurosa" (Dem. 659). A partire da qui nascer una nuova umanit, quella che c
stata dallinizio fino alla nascita del gorilla, e quella che a partire dalla distruzione di
Dio, ricreer completamente luomo. Solo che per realizzare questa trasformazione di
una umanit nuova che finalmente trova la sua divinit ed pienamente e totalmente
libera nellarbitrio, bisogna suicidarsi perch solo uccidendosi luomo superer tutti i
limiti e potr uccidere la paura.
g) La libert come negazione - "Da me non uscita che negazione" (Dem. 716).
Questo personaggio impressionante: si tratta di Stavrogin nei Demoni. Stavrogin
rappresentato da D. come il serpente saggio, come il serpente primordiale, quello
che tenta tutta lumanit. Si introduce nella trama del romanzo, e da lui emana una
forza straordinaria che porta alla distruzione tutti gli altri. In lui, non esiste pi il
problema del bene, del male, del posso affermarmi, non posso affermarmi. C solo
"lessere o non essere, vivere o distruggermi", la questione della libert solo questa.
Satov, altro personaggio dei Demoni, gli dir: "Voi non errate sul ciglio dellabisso,
ma vi gettate gi a capofitto" (Dem. 257). Invece di "procurarsi Dio con il lavoro, e
precisamente con quello del contadino" (Dem. 259), Stavrogin si avvolge su se stesso
in spire sempre pi strette di noia, apatia, inerzia e si distrugge con il suicidio
toccando con questo il nulla collocato in fondo allabisso.
3. Natura della libert - Dopo aver visto le figure attraverso le quali D. presenta il
problema della libert, tentiamo uninterpretazione che ci aiuti a cogliere che cosa sia
per lui la libert.
D. non un moralista: la libert per lui non innanzitutto il problema della scelta tra
il bene e il male; essa non si colloca al termine di una logorante analisi intellettuale
sul valore etico dellazione. La libert nella opzione di fondo che verr a
determinare il valore di ogni azione e che ogni azione successiva verificher. Pi
profondamente, la libert giocata nellistante in cui uno decide della sua esistenza
perch prende posizione dinnanzi al destino.
C un episodio biblico che pu aiutarci a comprendere la profondit alla quale D.
riconduce lesperienza della libert nelluomo: quello della lotta di Giacobbe con
lAngelo (Gen 32). La libert si realizza sempre allinterno di un istante
tremendamente drammatico perch ci sono forze che portano luomo alla negazione,
e ci sono energie che portano luomo verso la sua realizzazione. "La cosa paurosa
che la bellezza non solo terribile, ma anche un mistero. qui che Satana lotta con
Dio, e il loro campo di battaglia il cuore degli uomini" (FK 175). Per D. non esiste
una tranquilla indifferenza allinterno della quale scegliere tra ragionevoli possibilit;
per lui, la libert si gioca nel primo sottilissimo crepuscolo, nella penombra
dellimpatto della coscienza con la realt.
Per questo i personaggi dei romanzi come se camminassero su una sottilissima
lama, oppure sono condotti su di un ponte: tutto dipende dallopzione di un istante. E
per questo la trama del racconto, nei momenti decisivi, si svolge sempre in una
tensione spasmodica. I suoi personaggi non lavorano mai, eppure sono sempre
impegnati a risolvere problemi. Essi vengono travolti dalla tensione della libert;
sono presi da un vortice (A. 667 - G. 135), condotti sullorlo o dentro un abisso di
distruzione (Sosia 88). In ogni istante si ha la percezione che il loro destino potrebbe
essere diverso, eppure non riescono mai a cambiarlo.
4. Il doppio - Luomo sottoposto a questa tensione si sdoppia, non riesce a resistere al
dramma della libert. C un romanzo breve dal titolo Il sosia che lemblematica
raffigurazione di questo metodo dello sdoppiamento, proprio di D.: come se
ununica persona, incapace di sostenere lurto della realt, il peso della decisione per
lesistenza, trovasse accanto a s un altro o pi personaggi, con i suoi stessi problemi,
i suoi sentimenti, i suoi pensieri, portati per alle estreme conseguenze da una energia
umana pi coerente, pi rigorosa. C uno sdoppiamento psicologico (Raskolnikov,
uno vede se stesso attraverso il sogno) oppure morale (come se un altro si mettesse
vicino a noi e facesse, pensasse, volesse le cose che noi vorremmo fare, ma che non
abbiamo la libert morale di fare), estetico (chiss perch "la bellezza raffigurata
tanto nellideale della Madonna che nellideale di Sodoma" - FK 176), spirituale:
Ivan Karamazov si incontra con il demonio che se stesso, ma questo demonio porta
alle estreme logiche conseguenze quello che la paura dellesistenza impedisce a Ivan
di determinare. Oppure lo sdoppiamento comunionale: chi sia veramente Fder
Karamazov lo si vede nei quattro figli. Per capire chi sia Stavrogin, bisogna guardare
tutti i personaggi dei Demoni che sono raffigurazione della personalit di Stavrogin.
Cos Smerdiakov il doppio di Ivan perch realizza quello che lui non farebbe mai.
Lo stesso dicasi per Versilev e Arcadio.
Come abbiamo visto, per D. la libert delluomo essendo "illimitata", proprio perch
collocata allinterno della lotta tra Dio e Satana, porta luomo alla distruzione. Ma
allora, dovremmo togliere alluomo la sua libert per evitare la tragedia?
5. Tentativi di togliere la libert - Certo, la libert rappresenta un dramma per
lesperienza umana, ma la vera tragedia sarebbe il toglierla o con una limitazione
esterna o con una costrizione imposta.
Per D. meglio che luomo faccia il male liberamente piuttosto che il bene essendovi
costretto. Eppure nella storia si ripresenta sempre la tentazione di negare la libert.
Come?
a) La correzione dellopera di Cristo - la leggenda del Grande Inquisitore. Il Grande
Inquisitore rimprovera Cristo di "aver posto la libert al di sopra di tutto", e di averne
fatto dono agli uomini. "Invece di impadronirti della libert umana, lhai moltiplicata,
e hai oppresso per sempre col peso dei suoi tormenti il regno spirituale delluomo. Tu
volesti lamore libero delluomo, volesti che Ti seguisse liberamente, incantato e
conquistato da Te. Al posto dellantica legge fissata saldamente, da allora in poi era
luomo che doveva decidere con libero cuore che cosa fosse bene e cosa fosse male, e
come unica guida avrebbe avuto davanti agli occhi la Tua immagine: ma possibile
che Tu non abbia pensato che alla fine avrebbe discusso e rifiutato anche la Tua
immagine e la Tua verit, se lo si opprimeva con un peso cos spaventoso come la
libert di scelta?" (FK 369). Per questo il programma del Grande Inquisitore sar
quello di alleggerire luomo da questo insopportabile peso, di tranquillizzarne la
coscienza, di dargli principi sicuri, sostituendo la libert con il mistero, il miracolo e
lautorit; lumanit sar cos ridotta a un gregge felice; la felicit pagata con il
prezzo della libert.
b) Lorganizzazione della felicit sulla terra - Questa tentazione rappresentata come
lutopia del palazzo di cristallo (MdS): grazie alla razionalit del progresso storico,
alla bont della natura umana, allo sviluppo della scienza che toglier la sofferenza,
lumanit giunger alla piena felicit. Contro questo D. protesta: piuttosto la libert
della follia che la schiavit della ragione.
Questa utopia si ripresenta ne I Demoni con la teoria del paradiso terrestre socialista
di Sigalev, deciso, costi quel che costi, a organizzare il benessere generale:
"Propone, in forma di soluzione finale della questione, la divisione dellumanit in
due parti disuguali. Una decima parte riceve la libert della personalit ed ha un
diritto illimitato sugli altri nove decimi. Questi devono perdere la personalit e
trasformarsi in una specie di gregge e per mezzo della illimitata obbedienza
raggiungere attraverso una serie di rigenerazioni linnocenza primordiale, qualcosa
come il paradiso primordiale" (Dem. 408). Ma la lucidissima conclusione di
Sigalev rende giustizia della sua teoria: "Partendo da unassoluta libert, concludo
con un assoluto dispotismo" (Dem. 407).
Una terza modalit per evitare il dramma della libert quella rappresentata dal mito
dellet delloro. Il rito delleterno ritorno a una condizione originaria paradisiaca,
dove tutto armonia e felicit. il quadro di Lorrain: Aci e Galatea, pi volte
riproposto da D.; ma , soprattutto, il racconto Il sogno di un uomo ridicolo.
Quanto sia impossibile la realizzazione di questa utopia lo si vede nel destino dei
personaggi che la sostengono: Stavrogin (il cui nome in russo significa colui che
porta la croce) spezza il crocifisso; Versilov unicona (come Fder Karamazov e
Kirillov); luomo ridicolo (non dimentichiamo che per D. il ridicolo una modalit di
realizzazione dellinferno) straniero nel suo stesso sogno.
Ma, forse, il racconto che pi di ogni altro distrugge la possibilit di unarmonica
uguaglianza tra gli uomini Bobok.
6. Libert: tragedia o dramma? - Nessuno stato capace come D. di descrivere come
la libert ridotta ad arbitrio annienti se stessa, porti alla schiavit, dissolva luomo.
Ma questa esperienza infernale che si dispiega nelle tenebre, attraverso labisso, lo
sdoppiamento, la tragedia non per D. se non la via attraverso la quale luomo pu
diventare pienamente libero.
testimone fedele e verace, principio della creazione di Dio; conosco le tue opere, non
sei n freddo n caldo. Oh se tu fossi freddo o caldo! Ma finch tu sei tiepido, e non
caldo n freddo, io ti vomiter dalla mia bocca" (Ap 3, 14-16).
Leggendo D., ci nasce una passione per luomo, un amore a Cristo e un gusto per la
libert che ci impedisce di rimanere tiepidi. E questo non cosa da poco.
NOTE
(1) Legenda:
D. = Dostoevskij
MdS = Memorie del Sottosuolo (Feltrinelli)
FK = Fratelli Karamazov (Garzanti)
G. = Il giocatore (Garzanti)
A. = LAdolescente (Frassinelli, Torino)
DeC = Delitto e Castigo (Sansoni)
Id = LIdiota (Bur)
Dem. = I Demoni (Garzanti)
(2) Il citato Kraft assurge, come gi detto, a simbolo; Kraft in tedesco: forza.
forse con la forza che si risolve la convivenza umana? No, sempre nellesercizio
della libert, perch nel fondo del cuore umano questo anelito non pu essere
soffocato da nessuna potenza.
Andrea Oppo,
Dostoevskij: La Bellezza, il Male, la Libert. Un percorso filosofico in tre tappe
3. La vera anima del genio crudele. Scavando al fondo dei Karamazov.
A. Oppo, Dostoevskij: La Bellezza, il Male, la Libert. 3. La vera anima del genio crudele. Scavando al fondo dei
Karamazov, in "XOS. Giornale di confine", Anno II, N.3 Novembre-Febbraio 2003/2004, URL:
http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_3/4.htm
- Dimmi Ivn: Dio esiste oppure no? Ma parla seriamente. Ho bisogno di parlare sul
serio.
- No, Dio non esiste.
- Ala, esiste Dio?
- S, Dio esiste.
- Ivn, e l'immortalit esiste? Un'immortalit qualsiasi, anche piccola, anche
minuscola?
- No, non esiste neanche l'immortalit.
- Di nessun genere?
- Di nessun genere.
- Ala, esiste l'immortalit?
- S, esiste.
- L'immortalit anche Dio?
- S, Dio l'immortalit. In Dio c' l'immortalit.
- Ehm! pi probabile che abbia ragione Ivn. O Signore, se si pensa soltanto a
quanta fede, a quante energie di ogni sorta l'uomo ha speso invano per questo sogno,
e da quante migliaia di anni! Ma chi dunque che si fa cos beffe dell'uomo? Ivn,
per l'ultima volta, decisamente, Dio esiste o no? Te lo chiedo per l'ultima volta.
- E per l'ultima volta rispondo no.
- Chi dunque si fa beffe degli uomini, Ivn? Dev'essere il diavolo... - e Ivn
Fdorovic fece un risolino. Ma il diavolo esiste?
- No, non esiste neanche il diavolo.
F. M. Dostoevski, I Fratelli Karamazov
Parlando dei Karamazov, Dostoevskij scriveva: "Il problema principale, che sar
trattato in tutte le parti di questo libro, lo stesso di cui ho sofferto consciamente o
inconsciamente tutta la vita: l'esistenza di Dio". improbabile credere che un solo
libro sia bastato a decidere una volta per tutte la sofferenza di un'intera vita, ma
certo che I Fratelli Karamazov [1] rappresentano, in tutti i sensi, il punto di arrivo di
un lungo e tormentato percorso dell'autore Dostoevskij, la piena risposta all'Idiota e ai
Demni, nonch l'opera che come poche altre nella storia della letteratura mondiale
ha saputo riassumere, ai suoi vertici pi elevati, i dubbi fondamentali dell'uomo.
L'esistenza di Dio, l'immortalit dell'anima e la salvezza universale, sono i temi che
insieme costituiscono "la pi grande idea che l'umanit abbia mai concepito": ci che
Dostoevskij si portato appresso da sempre e che ora in questo romanzo mette a
nudo senza timore. Sono passati alcuni anni dopo che il principe Mikin ha visto
spezzarsi fra le sue mani l'illusione di un mondo salvato dal bene incarnato nella
bellezza; come pure dalla impudente 'Domanda' di Ippolit che chiedeva conto a Dio
di tutta la sofferenza del mondo; sull'altro versante, spalancato dalla sola visione di
un quadro appeso all'ingresso della casa di Rogoin, Kirillov - questa ieratica figura
di sacerdote dell'ateismo - ha fatto scattare la propria pistola, in qualche localit della
Russia, ma nulla accaduto di quanto egli credeva e il mondo ha continuato a girare
con le sue cieche speranze.
Dopo la scoperta dell'universo del sottosuolo, dichiarata apertamente nel 1864 con le
sue Memorie, il percorso di Dostoevskij si snoda attraverso una lucida, cruda,
"crudele" analisi della realt umana: con la spietatezza ("criminale" avrebbe detto
Thomas Mann - che proprio per ci preferiva prenderlo "con misura") di chi non
soltanto non ha pi nulla da perdere, ma forse - ha fatto bene rilevare estv - adesso
non ha nemmeno pi la capacit di tollerare l'esistenza di un sol briciolo di menzogna
nella vita umana. Una crudelt che nasce da un bisogno ultimo ed essenziale di verit,
e che passa in rassegna soprattutto ci che meno si presterebbe ad essere analizzato e
considerato come attualmente presente: ci che pi facilmente ha il potere di illudere
e conservare nel tempo una speranza fallace. Ovvero gli assoluti mai rappresentabili.
Ed ecco che Dostoevskij si preoccupa di dare forma al Bene e al Bello assoluti,
considera le ipotesi di una Giustizia e di una Colpa senza limiti; e allo stesso modo fa
con il Male e con le Idee, con la Parola e con la Verit. Da Mikin a Stavrogin il
passo risulta pi breve di quanto si sarebbe pensato. Ma entrambi, alla fine del
proprio percorso, smascherati nella loro reale, attuale essenza, rimandano a
qualcos'altro: qualcosa di pi grosso che a loro preesiste. E se il Bene assoluto - che
non pu che manifestarsi in forma di suprema, immacolata Bellezza, la quale agli
occhi del mondo appare s vera e dotata della pura intelligenza delle cose ma anche
terribilmente ingenua, "idiota", folle e vulnerabile - quasi di necessit attira su di s il
Male, che solo da principio appare in forma di caos e disarmonia, ma al suo fondo
mostra un volto cinico paragonabile alla tela di un ragno che attende al varco la sua
preda, perfino quest'ultimo quantunque possa anche trionfare sul Bene, rivela infine
di non possedere volto n nome, che non sia quello della sua vittima. Il Male, ultimo
termine fin qui raggiunto nel percorso di Dostoevskij, non niente pi che l'ombra di
lato opposto della libert - o meglio ci che da essa pu derivare -, cos come tre
erano i "demni" del precedente romanzo e tre le tentazioni del brano evangelico.
Qualcosa di pi che un semplice espediente per imbrigliare ci che scomodo:
piuttosto qualcosa di necessario come necessario il destino. Per questo motivo il
ritorno di Cristo scandaloso, inaudito.
In questo caso, fa osservare Sergio Givone, "questo ritorno conversione, e lo nel
senso pi forte del termine: conversione dall'unica via percorribile, conversione
dall'unica via finora effettivamente percorsa, conversione dal destino alla libert"
[20]. Il termine conversione, qui adoperato, che pure in ambito cristiano assume vari
modi d'essere inteso, richiama in diverse maniere l'ambiguit fondamentale della
condizione umana, la quale ben consapevole di trovarsi di fronte la dura realt,
"stretta nella morsa d'una necessit che toglie ogni speranza", e ugualmente cosciente
di non avere altro fondamento che la libert. " precisamente questo che la Leggenda
del Grande Inquisitore illustra magnificamente. (Perci, basata com' sul conflitto e
anzi sulla non superabile contraddizione di opposte tesi entrambe legittime[...] la
Leggenda pu ben essere letta in chiave di tragedia, tragedia della libert). Il Grande
Inquisitore presenta la sua opera a Ges come il frutto d'una decisione non solo
cogente, ma immodificabile. La strada intrapresa, per il bene degli uomini, l'unica
possibile" [21]. Ecco quindi lo scandalo: Cristo, tornando sulla terra, riporta la
condizione umana al punto in cui tutto ancora da decidere, in cui nulla gi da
sempre deciso.
****
La libert dunque l'origine. Nei Karamazov Dostoevskij svela apertamente quello
che era stato il tema di fondo, la condizione umana fondamentale, dei suoi precedenti
lavori, soprattutto quelli successivi alle Memorie dal sottosuolo. Questo il cuore
dell'interpretazione di Berdjaev: "Dostoevskij studia il destino dell'uomo lasciato in
libert. Lo interessa solo l'uomo che incede sulla via della libert, il destino dell'uomo
sulla libert e della libert sull'uomo. Tutti i suoi romanzi sono tragedie,
un'esperienza della libert umana" [22].
E se non certo semplice individuare la connessione logica, in senso stretto, tra la
Leggenda e il resto del romanzo, come pure tra le singole vicende dei tre fratelli
Karamazov tra di loro, anche vero che molti interpreti hanno visto nella storia del
Grande Inquisitore narrata da Ivan il motivo fondamentale che, al di l della
'polifonia' di voci, legherebbe le varie parti dell'opera dostoevskiana: precisamente in
quanto condizione che permette quella polifonia e quel "campo aperto" su cui essa si
esprime.
Fra gli interpreti che riconobbero l'importanza della Leggenda a fondamento di tutta
la narrativa di Dostoevskij, primo fra tutti fu Vasilij V. Rozanov, il quale con il suo
saggio del 1891 "La Leggenda del Grande Inquisitore" [23] ebbe il merito di
inaugurare in Russia questa linea interpretativa in senso tragico, chiusa idealmente
molti anni dopo dal lavoro di Berdjaev, ormai quasi alla met del '900, ultimo dei
grandi filosofi russi a commentare Dostoevskij. In contrapposizione con questa vi fu
una seconda corrente interpretativa che si potrebbe definire spiritualista, che vede tra
i suoi capifila Solov'v, Leont'ev e Merekovskij, e, suo epigono - anche se con toni
molto diversi rispetto a questi altri -, Pavel N. Evdokimov.
Anche se sempre difficile ricondurre figure molto diverse fra loro ad un'unica linea
di pensiero, potremmo dire - come bene ha fatto rilevare Givone [24] - che dei vari
tentativi di leggere filosoficamente la figura di Dostoevskij si possono cogliere gi le
tracce all'indomani del suo discorso celebrativo su Pukin - all'Universit di Mosca l'8
giugno 1880. E che di questa seconda corrente di interpreti - aggiungeremmo - si pu
ritrovare facilmente la genesi nel contributo al dibattito su Pukin portato dall'allora
ventisettenne S. V. Solov'v, giovane amico di Dostoevskij, al quale sarebbe toccato
anche il compito di commemorare lo scrittore russo, meno di un anno dopo, in
occasione del suo funerale. Al discorso funebre seguirono gli ormai celebri "Tre
discorsi in memoria di Dostoevskij" [25] pubblicati negli anni 1881-1883.
La lettura solov'viana, oltre che innestarsi nello spirito del Discorso su Pukin e
rappresentare un momento di passaggio importante nel suo stesso pensiero, si pu
analizzare come tributo all'amicizia tra il filosofo e lo scrittore i quali, proprio negli
anni di preparazione dei Fratelli Karamazov, avevano avuto modo di rinsaldare e
approfondire il loro rapporto. I temi comuni non erano pochi nell'ambito religioso:
dalla teodicea, all'ateismo, al problema teocratico in generale fino ai rapporti tra la
Chiesa ortodossa e le Chiese occidentali. Certamente il percorso filosofico di
Solov'v nel suo passaggio dal momento teosofico a quello teocratico sub il forte
influsso dostoevskiano. Questi vedeva in Dostoevskij il profeta di un "vero
Cristianesimo" e di una "Chiesa ortodossa universale", e, certamente sfumando la
carica tragica del suo pensiero, tendeva in linea generale a cogliere il trionfo del bene
sul male e della luce sulle tenebre.
A mettere in dubbio le certezze dell'interpretazione di Solov'v furono non tanto gli
altri commentatori di cui sopra, quanto l'impatto diretto col testo di Dostoevskij che
richiama per se stesso altri tipi di lettura. Ma allo stesso modo sarebbe ingenuo
credere che specialmente l'ultimo romanzo dello scrittore russo sia del tutto estraneo
alle prospettive del giovane filosofo e suo migliore amico. Come ribadito pi volte,
difficile stabilire il punto di partenza sicuro della creazione artistica di Dostoevskij,
cos com' poco saggio, trattando di lui, escludere delle ipotesi in partenza, per di pi
storicamente fondate come poche altre, quali sono quelle riguardanti l'influenza di
Solov'v sul suo ultimo scritto.
Rimane il fatto che il personaggio Dostoevskij in s talmente complesso che spesso
sono i suoi stessi appunti e gli scritti di pubblicistica ad allontanarsi dal suo "testo"
pi di quanto non facciano le interpretazioni altrui. Un testo che, non c' bisogno di
dirlo, implacabilmente rifiuta, con la stessa caparbia ostinazione del "no" pronunciato
dall'uomo del sottosuolo, di farsi inquadrare in questa o quella teoria positiva.
Ma tornando a Rozanov, vera e propria controparte di Solov'v e precursore di un
tipo di lettura filosofica di Dostoevskij nel segno del tragico, lettura che in Lev
estv (a partire dal suo lavoro Dostoevskij e Nietzsche. La filosofia della tragedia,
1903) trover il massimo rappresentante, egli era per altri e differenti aspetti non
meno lontano di Solov'v dall'animo del romanziere russo. Nel suo saggio sul Grande
Atei o cristiani, siamo liberi, assolutamente liberi. Per il dono pi grande che pu fare
il Creatore alle sue creature, o perch nessuno ha creato un bel niente: siamo noi i
protagonisti. questo il guaio.
Oltre la "polifonia" della sua arte e le mille manifestazioni del suo pensiero, un'idea
saldamente dostoevskiana questa. Un'idea crudele.
[1] Concepito dapprima come parte integrante e autonoma della ambiziosa opera,
mai realizzata, che avrebbe dovuto intitolarsi Ateismo o Vita di un grande peccatore,
I fratelli Karamazov (titolo originale: Brat'ja Karamazovy) furono pubblicati a
puntate sul "Messaggero Russo" tra il gennaio 1879 e il mese di novembre 1880. Si
tratta dell'ultima opera scritta da Dostoevskij che morir la sera del 28 gennaio 1881.
[2] A. Camus, Il mito di Sisifo, Milano, Bompiani, 1996, p. 107.
[3] M. Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Torino, Einaudi, 2002 p. 82 (riporta
F. M. Dostoevskij, Biografija, p. 373).
[4] M. Bachtin, op. cit., p. 83.
[5] Ibidem.
[6] M. Bachtin, op. cit., pp. 60-61 (riporta L. P. Grossman, Tvorcestvo F. M.
Dostoevskogo, pp. 341-342).
[7] M. Bachtin, op. cit., p. 61.
[8] Ivi, p. 73.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.
[11] Ivi, p. 105.
[12] Ivi, p. 217.
[13] N. A. Berdjaev, La concezione di Dostoevskij, Torino, Einaudi, 1945, p. 67.
[14] R. Cantoni, Crisi dell'uomo. Il pensiero di Dostoevskij, Milano, Mondadori,
1975, p. 159.
[15] N. D. Fonvizina, moglie del decabrista Fonvizin che essa aveva seguito nella sua
deportazione in Siberia, e alla quale Dostoevskij scrisse questa lettera poco dopo
essere stato liberato egli stesso dalla prigionia, regal allo scrittore russo una copia
del Vangelo che egli tenne sempre con s fin sul letto di morte.
[16] F. M. Dostoevskij, Diario di uno scrittore, Firenze, Sansoni, 1963, p. 19.
[17] F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, tr. it. di Giacinta De Dominicis Jorio,
Torino, San Paolo, 1995, p. 411.
[18] Ivi, p. 412.
[19] Ivi, pp. 414-415.
[20] S. Givone, ""Perch sei tornato?" Dostoevskij e la Leggenda del Grande
Inquisitore", in AAVV, Conversione e storia, Palermo, Edizioni Augustinus, 1987,
pp. 61-62.
[
21] Ivi, p. 63.
[22] N. A. Berdjaev, La concezione di Dostoevskij, op. cit., p. 68.
- Mirskij, Dmitrij P., Storia della letteratura russa, Milano, Garzanti, 1995.
- Pacini, Gianlorenzo, Deboluccio in filosofia, Milano, Archinto, 1997.
- Pareyson, Luigi, Dostoevskij, Torino, Einaudi, 1993.
- Pascal, Pierre, Dostoevskij: l'uomo e l'opera, Torino, Einaudi, 1987.
- Rozanov, Vasilij V., La Leggenda del Grande Inquisitore, Genova, Marietti, 1989.
- estov, Lev I., Dostoevskij e Nietzsche. La filosofia della tragedia, Napoli, Ed.
Scientifiche, 1950.
- estov, Lev I., Sulla bilancia di Giobbe. Peregrinazioni attraverso le anime, Milano,
Adelphi, 1991.
- Solov'v, Vladimir S., Dostoevskij, Milano, "La Casa di Matriona", 1981.
I farisei che non sanno vedere gli chiedono: "Siamo forse ciechi
anche noi?" (9,40); e "Ges rispose loro: se foste ciechi, non
avreste alcun peccato; ma siccome dite: noi vediamo, il vostro
peccato rimane" (9,41). Queste ultime due strofe sono segnate da
un ampio segno a forma di parentesi sui margini. Non costituiscono
in qualche modo un giudizio sul Grande Inquisitore? Dostoevskij
sottolinea le parole di Cristo sul Buon Pastore, ma mette in
evidenza la sua figura non tanto kenotica quanto autorevole, la
figura del sacerdote regale che dona la sua vita a coloro che
venuto s a salvare, ma anche a giudicare. La figura del Buon
Pastore, che rispecchia la persona e la missione di Cristo sulla terra,
destava in Dostoevskij un'intensa riflessione. L'inizio del decimo
capitolo porta fitte sottolineature: in primo luogo, chi (e chi
invece non ) il Buon Pastore. 10,1: "Chi non entra nel recinto delle
pecore per la porta... un ladro e un brigante". 10,2: "Chi invece
entra per la porta, il pastore delle pecore". 10,7: "Io sono la porta
delle pecore". Nel versetto 8 Dostoevskij sottolinea la prima frase e
segna l'intero versetto con delle parentesi sui margini: "Tutti coloro
che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti...". Nel versetto
11, sottolineato da un'ampia parentesi, appare gi l'immagine della
missione: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per
le pecore". Il versetto 17, segnato in margine da una riga e da un
nota-bene, sviluppa il concetto e l'immagine di missione: dare la
vita per il gregge affidato dovere e vocazione non solo del re e del
sacerdote, ma per Dostoevskij dovere e vocazione di ogni
credente. Proprio per questo egli attribuisce tanta importanza al
martirio del soldato che accetta torture spaventose piuttosto di
abiurare alla fede cristiana. Dostoevskij non teme di affermare che
il martirio una delle strade che conducono al Regno dei Cieli. Il
versetto 10,17 suona cos: "Per questo il Padre mi ama: perch io
offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo".
Le figure di coloro che rinnegano Cristo, sottolineate da
Dostoevskij, richiamano le immagini di tenebra interiore che si
incontrano ne I demoni: Nell'undicesimo capitolo i versetti 9 e 10
portano una sottolineatura e un nota-bene: "Se uno cammina di
giorno, non inciampa, perch vede la luce di questo mondo; ma se
invece uno cammina di notte, inciampa, perch gli manca la luce":
un'immagine, questa, che si chiarisce nell'accostamento con le
parole di Cristo: "Io sono la luce del mondo" (Gv 8,12).
Moderna
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2. I racconti di Cechov: il mistero del male
3. I racconti di Cechov: il possibile cambiamento
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La teologia di Dostoevskij
La figura dello staretz ci introduce nell'ambito di quanto Barsotti
chiama, un po' enfaticalnente, La teologia di Dostoevskij. In realt,
lo scrittore non un teologo n ha inteso fare teologia. E, un
analista dell'animo umano; indagandone la natura, le esigenze e le
leggi, intuisce che l'uomo immagine di Dio e che, se distrugge
questa immagine, distrugge se stesso e diventa immagine del
maligno. Al centro del mondo dostoevskiano dunque c' l'uomo, e
nell'uomo si fa presente il mistero stesso di Dio. La vita dell'uomo
lo scontro del male e del bene; il problema del male e la
concezione del bene dominano tutti i romanzi, e il bene e il male
suppongono la libert, postulano Dio (p. 143). In Dio c' la vita e
la pace, senza Dio c' la disgregazione e la rovina. Il problema
dell'esistenza e della natura di Dio ha tormentato lo scrittore.
approdato alla fede non per via di ragionamento, ma attraverso la
conoscenza di Ges, incarnazione dell'amore che salva. Una fede,
la sua, conquistata metro per metro, giorno dopo giorno, durante
un'esistenza trascorsa all'insegna dell'insicurezza, della sofferenza
e della macerazione interiore. Una volta incontrato, Cristo non ha
mai cessato di presentarglisi come salvezza dell'uomo, sorgente e
salvaguardia della libert, ideale di ogni grandezza, fondamento
della civilt e della convivenza. Barsotti difende l'ortodossia della
fede cristiana dello scrittore contro quanti sostengono che la sua,
pi che religione cristiana, religione del popolo e della terra. E
certo che la tentazione di una religione del popolo e della terra non
stata mai assente dalla sua vita, ma quando scriveva I demoni
[in cui si ipotizza questa concezione] aveva ben chiaro che Dio non
si identificava con l'anima di un popolo, e che la fede in Dio
trascendeva una fede nel destino della nazione (p. 142).
E la tentazione del Dio russo? questa tentazione rimase [in
lui] fino alla fine, ma non provoc il suo allontanamento da Cristo.
Il Cristo ha rotto l'incantesimo di una natura chiusa, nella quale
l'uomo prigioniero. Quel Dio che si incarnato nel Cristo non ,
come nel paganesimo, una personificazione o un elemento della
natura, ma un Dio che trascende la natura. Nel rapporto con lui,
l'uomo salvo precisamente perch rompe l'incantesimo di una
natura che lo tiene prigioniero. Nel suo rapporto con Cristo ogni
uomo salvo, perch Dio lo ama, e non inghiottito e digerito dal
Damiano Rebecchini
Alla fine del quinto volume di la recherche du temps perdu il narratore,
raccontando ad Albertine le sue impressioni sulla lettura dei romanzi di
Dostoevskij, accenna in modo enigmatico al legame profondo che unisce
lopera
di Tolstoj a quella di Dostoevskij. Tolstoj spiega Marcel per molti aspetti
imita
Dostoevskij, la sua opera sviluppa e porta a compimento elementi presenti in
maniera contratta nellopera del grande romanziere.
Quant Dostoevski, je ne le quittais pas tant que vous croyez en parlant de
Tolsto, qui la beaucoup imit. Et chez Dostoevski il y a, concentr, encore
contract et grognon, beaucoup de ce qui spanouira chez Tolsto. Il y a
chez
Dostoevski cette maussaderie anticipe des primitifs que les disciples
clairciront2.
Si tratta di unosservazione molto originale. Nel panorama della critica
francese nessuno prima aveva visto in Tolstoj un imitatore di Dostoevskij3. Al
1 Questo articolo una versione ampliata e corretta di un mio contributo
uscito in russo
negli atti di un convegno, organizzato dallAccademia delle Scienze russa,
sulla ricezione
di Tolstoj e Dostoevskij in Occidente e in Oriente, tenutosi a San Pietroburgo
il 3-6
settembre 2001. D. Rebekkini, Tolstoj kak podraatel Dostoevskogo v cikle
romanov
Prusta V Poiskach utraennogo vremeni, in Tolstoj ili Dostoevskij?
Filosofskoesteti
eskie iskanija v kulturach Vostoka i Zapada, Sankt-Peterburg, Nauka,
2003, pp.
216-223.
2 M. Proust, La prisonnire, in Id., la recherche du temps perdu, t. 3, Paris,
Gallimard,
1988, p. 882.
2
tempo stesso, si tratta di unosservazione poco chiara. Quali elementi
dellopera
di Dostoevskij vengono sviluppati da Tolstoj? E che cosa intende il narratore
con
lespressione maussaderie anticipe? Lo scopo di questa breve nota di
chiarire il contesto e la pertinenza di questo giudizio.
Accostare lopera di Tolstoj a quella di Dostoevskij era procedimento
piuttosto frequente nella critica francese degli anni 1880-18904. A partire da
Le
roman russe di E. M. de Vog (1886) la critica francese aveva spesso
mostrato
la tendenza a riconoscere nellopera dei due autori russi un comune impegno
morale, di cui lamentava lassenza nel romanzo naturalista francese. Vog,
in
particolare, con la sua sensibilit cattolica e liberale, aveva colto nei romanzi
di
Tolstoj e Dostoevskij, accanto ad un forte senso realistico, un sentimento di
compassione per i personaggi pi umili e sofferenti, una partecipazione
emotiva
per le loro vicende che, a suo avviso, avrebbero aiutato il romanzo francese
ad
uscire dalle secche del romanzo la Zola5. Dopo Vog, altri critici, come
Armand de Pontmartin, videro in quel sentimento di piet un tratto fondante
del
romanzo russo6. Limpegno morale dei due autori, tuttavia, non implicava una
somiglianza artistica. Anzi, sin dallinizio Vog aveva notato le profonde
differenze stilistiche dei due autori, e aveva sottolineato, in particolare negli
ultimi
romanzi di Dostoevskij, segni di una decadenza artistica (le insopportabili
lungaggini, gli intrecci mal costruiti, ecc.) da cui Tolstoj era ben lontano7.
A partire dallinizio del secolo nella critica francese sempre pi prevale la
tendenza a contrapporre lopera dei due autori russi. Questa
contrapposizione
sembra fondarsi soprattutto su differenze dordine estetico8. Tra i primi, ad
esempio, Andr Suars in Dostoevski (1911) aveva visto nel romanziere
russo
un autore che, a differenza di Tolstoj, era in grado di astenersi dallanalisi
razionale delle passioni umane, capace di creare unarte proveniente
direttamente dalle emozioni9. Alcuni anni dopo Jacques Rivire e Andr
Gide,
3
analisi il lato irrazionale dellopera di Dostoevskij, la capacit di serbare zone
dombra attorno ai suoi personaggi, tratti che lo distinguevano fortemente
dallarte di Tostoj10.
Proust, dunque, con il suo giudizio si contrappone a tutta la critica
francese contemporanea quando nota un legame di filiazione artistica tra
lopera
di Dostoevskij e Tolstoj. Lopera di Tolstoj scrive nella Prisonnire non
solo
non si contrappone, ma sviluppa lopera di Dostoevskij. Per comprendere
meglio
quali elementi ai suoi occhi Tolstoj riprenda da Dostoevskij necessario far
riferimento a un breve brano poi pubblicato nei Nouveaux mlanges (1954),
in cui
Proust sembra concludere la riflessione iniziata nel dialogo con Albertine
nella
Prisonnire. Qui, il narratore mostrando ad Albertine la particolare bellezza,
sempre eguale a s stessa, che si riflette nei romanzi di Dostoevskij,
bellezza
nuova e terribile che si avverte in alcuni volti dei personaggi come in alcune
dimore, aveva aggiunto:
Du reste, si je tai dit que cest de roman roman la mme scne, cest au
sein
dune mme roman que les mmes scnes, les mmes personnages se
reproduisent si le roman est trs long. Je pourrai te le montrer bien facilement
dans La guerre et la Paix, et certaine scne dans une voiture11
A questo punto la spiegazione viene interrotta da una domanda di Albertine,
ma
gi qui Proust, per mostrare un aspetto dellopera di Dostoevskij, trae un
esempio
da Guerra e pace. La logica continuazione di questo brano presente in un
frammento dedicato a Tolstoj rimasto a lungo inedito, e pubblicato dopo la
morte
dellautore in Nouveaux mlanges. Lopera di Tolstoj scrive in questa nota
amorose tra i personaggi di Guerra e pace e Anna Karenina sono assai simili.
Et
10 Scrive Gide: Les grandes figures de premier plan, il ne les peint pas, pour
ainsi dire,
mais les laisse se peindre elles-mmes, tout au cours du livre, en un portrait
sans cesse
changeant, jamais achev. Ses principaux personnages restent toujours en
formation,
toujours mal dgags de lombre. A. Gide, Dostoevski. Allocution lue au
VieuxColombier, in A. Gide, Dostoievski. Articles et causeries, Paris 1923, p. 74. Si
cfr. con
larticolo di Jacques Rivire su Dostoevskij uscito su Nouvelle Revue
Francaise il
1.2.1922, e citato da Gide.
11 M. Proust, La prisonnireop.cit., ctr. p. 879?
12 M. Proust, Tolsto, in Contre Sainte-Beuve. Prcd de Pastiches et
mlanges et suivi
de Essais et articles, Paris, Gallimard, 1971, p. 658.
4
pour Kitty passant en voiture et Natacha en voiture aux armes, ne serait-ce
pas
un mme souvenir qui aurait pos?13
Non vi il minimo accento critico nella constatazione di queste ripetizioni.
Proust ama Tolstoj, lo giudica un Dio sereno, la cui opera pi alta di quella
di
Balzac. Balzac arrive donner limpression du grand; chez Tolsto tout est
naturellement plus grand14. Anzi queste ripetizioni sono per lui la prova di
una
vera grandezza. Come Dostoevskij, anche Tolstoj rappresenta in tutte le sue
opere una medesima bellezza. La donna di Dostoevskij aveva spiegato il
narratore della Recherche ad Albertine - con il suo volto misterioso dont la
beaut venante se change brusquemont, comme si elle avait jou la comdie
de
la bont, en une insolence terrible sempre la stessa, che si tratti di
Nastasja
Filippovna o di Aglaja15. Cette beaut nouvelle, elle reste identique dans
toutes
les oeuvres de Dostoevski16. Il ripetersi di un certo tipo di immagini originali
la
prova autentica della grandezza:
travers des milieux divers une mme beaut quils apportent au monde17.
Nel brano dei Nouveaux mlanges Proust spiega in maniera pi esplicita
le ragioni sottese al ripresentarsi delle stesse immagini nellopera di Tolstoj.
Esse
si ripetono simili nelle stesse opere o nelle opere successive scrive Proust
5
romanzo spesso irrazionale, alcuni comportamenti e reazioni dei
personaggi
possono rimanere incomprensibili per il lettore.
Et limpression de puissance et de vie vient prcisment de ce que ce nest
pas
observ, mais que chaque geste, chaque parole, chaque action ntant que la
Tolstoj nel suo romanzo lascia del tutto inspiegato. Cfr. L. Tolstoj, Anna
Karenina, Milano,
Garzanti, 1981, Parte 5, cap. 19, p. 505. Riguardo alla gioia di Anna
nellumiliare
lorgoglio di Vronskij Proust, invece, non sembra far riferimento a un brano
particolare,
ma a una serie di reazioni di Anna descritte nella Parte 7 del romanzo (in
part. cap. 12 e
23-26).
6
commenant par la cause, nous montre dabord leffet, lillusion qui nous
frappe.
Cest ainsi que Dostoevski prsente ses personnages21. Per questa
ragione il
comportamento di alcuni personaggi dostoevskiani ci appare inspiegato. E
leffetto di una rappresentazione a partire dalle percezioni, e non dalle
nozioni,
che genera limpressione di quella maussaderie anticip, di quella
scontrosit
anticipata dei Primitivi di cui il narratore parlava ad Albertine22. Con
Primitivi, in
particolare, Proust alludeva a pittori come Giotto, Carpaccio, Bellini, che,
come
sottolinea nel saggio su Ruskin dei Pastiches et mlanges, rappresentavano
la
realt non a partire da una visione razionale dello spazio, da una prospettiva
geometrica, ma secondo proporzioni deformate, in base alle loro
impressioni23.
Alla stessa maniera Dostoevskij, agli occhi di Proust, disegna i personaggi
non a
partire dalla prospettiva di un narratore onnisciente, ma a partire dalle
impressioni che essi generano sul narratore o sugli altri personaggi. Da
questo
deriva limpressione di una contradditoriet e mutevolezza del loro carattere,
di
una loro inspiegata scontrosit.
Limpressione di uninconoscibilit profonda di alcuni personaggi
dostoevskiani non aveva colpito soltanto Proust. Era un aspetto che aveva
colpito i pi sensibili lettori di Dostoevskij dellepoca24. Un peso importante
sulla lettura proustiana aveva avuto il suggestivo saggio di Andr Suars
del 1911, che eserciter uninfluenza anche sulle lezioni di Gide del 1923.
8
di tipo flaubertiano, pi attento allimpressione che alla nozione29. Una
volta operata questa fondamentale scelta compositiva, egli finisce anche
per rileggere Tolstoj attraverso il prisma di Dostoevskij. Cos,
apparentemente trascurando lo straordinario talento di Tolstoj nellanalisi
del comportamento umano, Proust rimane affascinato da quelle labili e
fugaci zone dombra che circondano i personaggi tolstojani.
29 Cfr. quanto scrive in propos du style de Flaubert: Ce qui jusq
Flaubert tait action
devient impression. M. Proust, Contre Sainte-Beuve, Paris, 1971, p. 588.
Nietzsche e Dostoevskij
Origini del nichilismo
a cura di Claudio Ciancio e Federico
Vercellone
loro posizioni delineando una netta antitesi. Tuttavia - una volta ammesso che si tratta di
un approccio molto schematico - va detto che se per Dostoevskij il nichilismo si definisce
in una chiave che essenzialmente religiosa, per Nietzsche esso viene ad assumere per lo
pi una tonalit estetizzante, che si affianca alle motivazioni propriamente tragiche del suo
pensiero, e rende anche in parte conto della sua attualit sulla scena filosofica
contemporanea. Il cristianesimo in ogni caso la base sulla quale entrambi formulano la
diagnosi del nichilismo contemporaneo. Per Dostoevskij il "colpevole" una visione
anticristica del cristianesimo che condanna - come esemplarmente avviene nella Leggenda
del Grande Inquisitore - a una sorta di totale deresponsabilizzazione dell'uomo nei
confronti del dolore e del male. Per Nietzsche le cose non vanno poi del tutto diversamente
in quanto, un'altra volta, il cristianesimo, un certo cristianesimo il colpevole: quello che
ha trasformato, sotto l'egida dell'apostolo Paolo, in una chiave morale ed escatologica
l'attitudine creaturale di Cristo. Tuttavia - e il tuttavia ha qui un peso centrale - per quanto
affini possano esser le diagnosi le prognosi sono profondamente diverse. Poich a seconda
delle descrizioni del cristianesimo e della sua influenza sulla cultura europea, le visioni si
differenziano profondamente. Se, per Nietzsche infatti si tratta di abolire la tradizione
cristiana in quanto essa stata la scaturigine del nichilismo, per Dostoevskij si tratta invece
d'inverarla. Se Nietzsche pensa l'oltrepassamento del cristianesimo (e del nichilismo) in
un'ottica che prelude all'odierna "estetizzazione del mondo della vita", nell'orizzonte
plurale e prospettivistico della volont di potenza, per Dostoevskij si ha invece da fare con
una sorta di dtour interno al cristianesimo stesso che lo conduce dal nichilismo a un'ottica
che vede nello scandalo della "sofferenza inutile" l'occasione di un paradossale
rovesciamento, la chance antinichilistica simboleggiata dall'"altro" scandalo, quello
paolino della Croce.
Ora se questo era l'interrogativo, la proposta che si era rivolta ai relatori del seminario,
l'effettivo svolgimento dei lavori ha di gran lunga trasceso l'alternativa cos impostata,
addentrandosi nei cammini molteplici dei due "nichilismi". Per ricostruire brevemente il
quadro dei lavoro, si affrontata la questione innanzitutto sul piano etico-religioso, per
venire poi a quello propriamente filosofico e quindi a quello estetico-letterario.
cos che Paul Valadier, in Forme cristiane del nichilismo, mostra l'intrinseca
articolazione e problematicit del nesso nichilismo-cristianesimo in Nietzsche, laddove il
cristianesimo non univocamente nichilistico agli occhi dell'autore dell'Anticristo, poich
non l'insegnamento di Cristo stesso ma quello paolino orientato in questo senso. D'altra
parte l'abisso della negazione nichilistica neppure, forse, agli occhi di Nietzsche del tutto
superabile poich essa si radica nelle ambiguit irredimibili dell'umano. Giuseppe Riconda
si sofferma invece nel suo contributo su Dostoevskij e il nichilismo nell'interpretazione di
Luigi Pareyson. Il problema , fra l'altro, come concepire nichilismo e ateismo in una
chiave che non sia a sua volta nichilistica o ateistica, e ci avviene, nel pensiero di
Pareyson, sulla base di un ampio confronto con la tradizione filosofica, che prende le
mosse da Kierkegaard e Feuerbach, e che ha in Dostoevskij uno dei propri costanti punti di
riferimento. Se intendiamo ateismo e nichilismo, al di fuori di un'ermeneutica religiosa,
come affermazioni assolute, esse. risultano proposte monche anche se, nella loro
assolutezza, intimamente necessarie. Considerati infatti indipendentemente dal loro
carattere di scelta cui coessenziale la libert, essi si affermano in quanto tali, nel loro
carattere quasi assiomatico e dottrinario: ovvero in quanto ateismo e nichilismo. Concepiti
invece entro il discorso dell'ermeneutica religiosa essi appartengono a quella
contemporaneit al Cristo "mentre si figli dell'angoscia e del dubbio" che riformula il
loro interrogativo. L'ermeneutica religiosa ripropone infatti l'abisso propriamente tragico
che essi sembrerebbero negare o rimuovere.
Sossio Giametta sottolinea, per parte sua, le ambiguit insite nel nichilismo nietzschiano:
Nietzsche come principale rappresentante della crisi europea colui il quale partecipa
Indice
15
27
Nichilismo e filosofia
47
59
75
89
Nichilismo e letteratura
159
199