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CAPITOLO PRIMO
CONCETTI INTRODUTTIVI
Tutte le scienze economiche prendono le mosse dal concetto di BISOGNO. Come disse Adam Smith
il bisogno è la molla per l’agire umano. Il bisogno si manifesta quando una necessità di base per la
vita umana non è stata soddisfatta; è uno stato di tensione tra stato attuale e stato ideale. I bisogni
hanno due caratteristiche principali, sono illimitati, perché man mano che andiamo a soddisfarli se
ne creano di nuovi, ed hanno un intensità decrescente (es. bicchiere d’acqua). I bisogni possono
essere classificati in:
Possiamo analizzare anche un’altra classificazione dei bisogni, quella di Maslow, che è rappresentata
da una piramide, partendo dalla base vediamo:
Bisogni fisiologici, connessi all’esistenza dell’uomo (fame, sete), essi sono avvertiti da tutti
gli individui
Bisogni di sicurezza, esigenza di protezione
Bisogni sociali, esigenza di relazionarsi
Bisogni di stima, esigenza di essere apprezzati dalle altre persone
Bisogni di autorealizzazione, soddisfacimento del proprio essere
La DOMANDA è costituita dai desideri per specifici prodotti, fondati sulla capacità e sulla volontà di
acquistarli. Possiamo dire che l’insieme dei desideri rappresenta la domanda; tuttavia non sempre
il desiderio si traduce in domanda; infatti perché il desiderio si traduca in domanda è necessario che
vi sia oltre alla volontà di acquistare quel determinato prodotto ritenuto in grado di soddisfare il
bisogno anche la capacità di acquistarlo.
I PRODOTTI sono tutto ciò che può essere offerto a qualcuno per soddisfare un bisogno o un
desiderio. Il prodotto può essere sia un bene che un servizio, può essere un’idea, un pensiero,
un’ideologia; sono prodotti anche le persone, le città e ancora le esperienze.
Generalmente, un bisogno può essere soddisfatto da prodotti diversi. Per questo motivo il
consumatore procede nella scelta del prodotto prendendo in considerazione: il costo e il valore. Il
COSTO è il sacrificio che occorre sopportare per procurarsi il prodotto. Il VALORE è la stima che il
consumatore effettua relativamente alla capacità di un prodotto di soddisfare una serie di obiettivi.
Ogni prodotto ha una differente capacità (quali-quantitativa) di soddisfare il bisogno. Nel momento
in cui il consumatore individua il prodotto che riesce meglio a soddisfare il suo bisogno deve
procurarselo. Le modalità di procacciamento dei prodotti sono:
Autoproduzione, quando il prodotto è realizzato da chi lo consuma
Coercizione, quando si ottiene il prodotto, oggetto del desiderio, con la forza
Mendicità, quando si cerca qualcuno che possa regalare il prodotto
Scambio, rappresenta la modalità più diffusa nelle nostre economie. Le condizioni affinché
lo scambio si realizzi:
o Che vi siano almeno due parti
o Che ciascuna parte abbia qualcosa che possa essere di valore per l’altra
o Che ciascuna parte sia in grado di comunicare e di trasferire valore all’altra
o Che ciascuna parte ritenga possibile o desiderabile trattare con l’altra
Il marketing management può essere interpretato come un meta-processo, cioè costituito da una
serie di diversi processi:
marketing analitico (analisi della domanda, del settore, della concorrenza ecc.)
marketing strategico (segmentazione, targeting, attività di posizionamento e
differenziazione)
marketing gestionale (si tratta di tradurre le decisioni strategiche in operative, le famose 4P:
prodotto, prezzo, promozione e distribuzione)
controllo e pianificazione (controllare per programmare, pianificare ecc.)
Nel corso del tempo si è verificata una vera e propria rivoluzione nel modo di interpretare il
marketing, per questo si usa l’espressione rivoluzione copernicana, poiché il Sole al quale ci
riferiamo è il cliente. Il concetto che si fonda sull’idea che il cliente è al centro di tutto prende il
nome di CUSTOMER BASED VIEW, cioè la previsione in ottica del cliente, che ha apportato delle
modifiche profonde nel marketing. (ad es. cambiamento da 4p a 4c)
CUSTOMER SATISFACTION E VALORE PER IL CLIENTE
Il marketing come filosofia di gestione si fonda sul presupposto che solo se si crea la soddisfazione
del cliente la nostra impresa può sopravvivere e svilupparsi. Sono varie le ragioni che possono
indurre un’impresa a ricercare la soddisfazione del cliente, considerata strumentale per la
sopravvivenza; infatti, un cliente soddisfatto:
Acquista di nuovo
Esprime un giudizio favorevole nei confronti dell’organizzazione
Presta meno attenzione ai prodotti della concorrenza
Acquista gli altri prodotti dell’organizzazione
A questo punto occorre domandarsi, cosa si intende per soddisfazione del cliente? L’idea che
immediatamente si collega al concetto di soddisfazione è quella di qualità. Per meglio cogliere
quest’ultimo concetto dobbiamo partire da un impostazione di carattere filosofica. Infatti Aristotele
e Parmenide si sono soffermati ad analizzare la qualità:
Volendo semplificare Aristotele parla di una bellezza oggettiva, mentre Parmenide di una bellezza
soggettiva. In realtà entrambe le tesi hanno un fondamento di realtà. Possiamo anche ricorrere ad
un altro filosofo: “Il bello non è una proprietà delle cose, ma nasce dal rapporto fra le cose e noi, e
precisamente dal rapporto fra la loro immagine e il nostro sentimento” (Kant, Critica del giudizio).
Per cui un prodotto può avere delle qualità che oggettivamente gli vengono riconosciute ma è
necessario che queste caratteristiche siano oggetto di apprezzamento. Un prodotto può avere delle
caratteristiche ottime ma può succedere che tali caratteristiche non vengano apprezzate da un
soggetto. Quindi possiamo dire che la QUALITA’ di un prodotto non viene data in assoluto, ma è la
capacità di alcuni prodotti di soddisfare i nostri bisogni. La qualità dipende dal valore d’uso cioè
dall’utilità che quel prodotto può fornire, dalla capacità di soddisfare alcuni nostri bisogni. Norma
UNI ISO 8402: "La qualità è l'insieme delle proprietà e caratteristiche di un prodotto o servizio che
gli conferiscono l’attitudine a soddisfare bisogni espressi o impliciti". Quando si parla di buona o
cattiva qualità si usano dei termini inadeguati. Sarebbe molto più corretto parlare di qualità giusta
e di qualità sbagliata. Quando parliamo di qualità possiamo dire che è un anello di collegamento fra
il soggetto e l’oggetto, tra l’oggetto con una serie di attributi, di caratteristiche e il soggetto con una
serie di bisogni. Si può parlare di collegamento fra qualità e quantità; infatti la quantità è un aspetto
della qualità. La quantità non è un aspetto irrilevante, ma semplicemente interviene dopo la qualità,
perché un prodotto prima deve avere determinate caratteristiche che siano in grado di soddisfare il
bisogno e solo dopo si prende in considerazione la quantità, cioè l’intensità con cui esso viene
soddisfatto.
Nell’ottica del marketing si distinguono cinque dimensioni della qualità:
La qualità desiderata è l’insieme delle caratteristiche del prodotto ricercate dal cliente
poiché ritenute in grado di soddisfare alcune sue attese; rappresenta l’insieme degli attributi
che il consumatore desidera in relazione a quel determinato prodotto, cioè quali
caratteristiche ideali dovrebbe possedere il prodotto.
La qualità pianificata è l’insieme delle attese che l’impresa ritiene opportuno e conveniente
soddisfare; le imprese di fronte alle richieste dei consumatori devono fare delle scelte a
livello di convenienza. Si dice che questa qualità è quella che viene progettata da chi gestisce
al vertice dell’impresa. Le attese che si intendono soddisfare vengono convertite in un elenco
di caratteristiche strutturali che vengono definite “specifiche” o “standards”. Una volta
definiti gli standards ha inizio il processo produttivo al termine del quale si ottiene il prodotto
finito.
La qualità recepita è l’insieme delle caratteristiche strutturali espresse sottoforma di
standards. Una volta definiti gli standards ha inizio il processo produttivo al termine del quale
si ottiene il prodotto finito. Questa qualità è quella che deve essere recepita dal personale,
da coloro che devono concretamente realizzare il prodotto, e si ottiene applicando gli
standards qualitativi, cioè traducendo le caratteristiche della qualità pianificata in standars
qualitativi.
La qualità offerta è l’insieme di attributi che possiede il prodotto. È quell’insieme di
caratteristiche che concretamente il prodotto possiede; è possibile che alla fine si creino
delle divergenze tra quello che l’impresa aveva pianificato e quello che poi concretamente
viene realizzato.
La qualità percepita è l’insieme di caratteristiche che sono apprezzate dal cliente.
Rappresenta quell’insieme di caratteristiche che il consumatore riesce a percepire e ad
apprezzare.
La soddisfazione del cliente è lo stato psicologico (valutazione) post-acquisto, che scaturisce da un
raffronto tra le aspettative (qualità desiderata/attesa) sul prodotto ed i benefici (qualità percepita)
sperimentati con il suo utilizzo.
Le dimensioni della qualità poste sul lato destro attengono al consumatore, mentre sul lato opposto
vi sono le due dimensioni che sono intrinseche all’impresa. Vi è quindi da un lato il soggetto con i
suoi bisogni a dall’altro l’oggetto con le sue caratteristiche. Possiamo dire che la soddisfazione nasce
da un confronto tra la qualità percepita e quella desiderata.
Soddisfazione del cliente = Livello di prestazione percepito - Livello di prestazione atteso
Più è ampio questo divario maggiore è la soddisfazione. Il GAP DI VALORE è il differenziale che si
viene a creare tra queste due dimensioni, questo è uno soltanto dei gap che si vengono a creare tra
le varie dimensioni della qualità, e questi sono la causa dell’insoddisfazione degli individui, perché
in una situazione ideale ci dovrebbe essere coincidenza tra tutte queste dimensioni, sarebbe una
situazione ottimale in cui non ci sarebbe spreco delle risorse, perché il prodotto in questione
presenta delle caratteristiche che soddisfano perfettamente i bisogni del consumatore. La
soddisfazione del cliente si può misurare attraverso le indagini, le interviste, i questionari; strumenti
diretti o indiretti che accertano il grado di soddisfazione del cliente. Vengono svolte queste indagini
affinchè le imprese migliorino sempre di più il livello di soddisfazione dei clienti.
La soddisfazione presenta una serie di legami con i concetti di fedeltà e fiducia. La FEDELTA’ del
cliente è un elemento estremamente importante per l’impresa, perché è scientificamente provato
che Acquisire nuovi clienti costa mediamente 5 volte di più che mantenere i vecchi clienti. Essa è
una fondamentale risorsa immateriale per l’impresa, e si articola in due componenti:
Fedeltà comportamentale, fa riferimento al riacquisto, cioè al comportamento del
consumatore
Fedeltà cognitiva/mentale attiene alla dimensione celebrale
La FEDELTÀ COMPORTAMENTALE viene accertata attraverso l’osservazione dei comportamenti del
consumatore in relazione agli acquisti che si effettuano nel corso del tempo. Esistono diversi livelli
di fedeltà:
I clienti fedelissimi sono quelli che presentano il massimo livello di fedeltà perché acquistano sempre
la stessa marca di prodotto. Quando il livello di fedeltà è pari a zero, è il caso degli incostanti che
hanno un comportamento che manifesta un elevatissima irregolarità nei propri acquisti. I tiepidi
hanno una preferenza di fondo verso una certa marca, ma magari per certi periodi brevi hanno
avuto una preferenza verso altri prodotti. I fedeli mutevoli hanno una fedeltà limitata
temporalmente, perché quando si stancano iniziano ad acquistare un altro prodotto. I livelli di
fedeltà diversi vengono accertati attraverso il comportamento di acquisto. La fedeltà del cliente non
deve essere valutata con riferimento alla singola transazione, ma valutando il Customer lifetime
value (valore del ciclo di vita del cliente).
La FEDLTA’ COGNITIVA è un concetto molto vicino alla soddisfazione; può succedere che ad un
comportamento di un dato individuo che si manifesta esteriormente con un elevato livello di fedeltà
comportamentale, può non corrispondere dal punto di vista mentale un elevato livello di fedeltà
cognitiva. Infatti un cliente fedele da un punto di vista comportamentale non necessariamente è
fedele da un punto di vista cognitivo; ciò si verifica a causa delle c.d. barriere di passaggio (swicthing
cost): ostacoli di carattere economico, tecnologico e giuridico che impediscono o rendono non
conveniente il cambio del fornitore. Tuttavia, si può verificare anche la situazione inversa, cioè che
un cliente soddisfatto non sia fedele; questo è possibile perché molte volte nella nostra natura
umana vi è una componente che ricerca sempre la novità. Accertato che fedeltà cognitiva e fedeltà
comportamentale possono non coesistere, è stata realizzata una matrice dalla Xerox nella quale
vengono classificati i propri clienti in relazione a queste due dimensioni.
Adesso dobbiamo analizzare questi singoli processi, partendo da quelli analitici, che presuppongono
a loro volta un’analisi che attiene a quattro differenti dimensioni ambientali:
Macro-ambiente
Concorrenza
Mercato o domanda finale
Domanda intermedia
Tuttavia il concetto di settore (imprese che producono prodotti simili) tende a modificarsi perché si
stanno presentando una serie di fenomeni, come ad es. la convergenza. Il fenomeno della
CONVERGENZA, è quello a causa del quale settori che prima erano considerati molto distanti fra
loro, ora tendono a sovrapporsi. Lo sviluppo di questi nuovi fenomeni e la conseguente modifica del
concetto di settore introduce il MODELLO DELLA CONCORRENZA ALLARGATA: modello che amplia
l’ambito della sua analisi inserendo anche altri soggetti che potenzialmente possono influire sulle
performance dell’impresa. La concorrenza all’interno di un settore non dipende, quindi, solo dai
comportamenti dei concorrenti diretti, che producono gli stessi beni o beni simili, ma, anche da altri
quattro vettori (le c.d. forze competitive)
potenziali concorrenti, imprese che oggi non producono quel prodotto ma che hanno le
competenze e le conoscenze un domani di realizzare un prodotto simile al nostro
produttori di beni sostitutivi, imprese che non appartengono tradizionalmente al nostro
settore, ma producono beni simili in relazione alla capacità di soddisfacimento
i clienti, possono diventare concorrenti, perché prima acquistavano i nostri prodotti e poi
possono mettersi anche loro a realizzarli
i fornitori, anziché vendere a noi essere loro stessi a vendere al consumatore finale
Al giorno d’oggi non esistono, però, dei confini settoriali ben definiti, come la tradizione degli studi
di settore facevano intendere, ed in questo modo il concetto di settore tradizionale perde la sua
forza interpretativa. Per questo motivo diviene fondamentale analizzare la concorrenza in una
prospettiva customer-based, che è quella certamente più rilevante per un marketing manager.
L’ANALISI DELLA CONCORRENZA in una prospettiva CUSTOMER-BASED (nell’ottica del cliente) si
fonda sull’idea di PERCEZIONE, cioè come i consumatori percepiscono i nostri prodotti; questo
perché alle volte può verificarsi che due prodotti sono molto simili o perfettamente identici, ma in
realtà secondo l’ottica del consumatore sono molto distanti l’uno dall’altro ( bacio perugina-
moncheri ferrero- fiori), e, viceversa, prodotti molto distanti tra di loro secondo l’analisi tradizionale
di mercato in ottica dell’impresa possono essere vicinissimi dal punto di vista del consumatore.
L’analisi della concorrenza dal punto di vista del consumatore si basa sulla PERCEZIONE, come il
consumatore percepisce i vari tipi di prodotto. Due prodotti sono considerati in concorrenza tra di
loro in relazione a come il consumatore percepisce le relazioni esistenti tra questi due prodotti.
L’analisi della concorrenza in ottica Customer Based View si fonda sulla percezione, cioè come i
clienti percepiscono le diverse alternative d’offerta presenti sul mercato; per calcolare tale
percezione è possibile adottare diversi modelli:
modello à la Fishbein
analisi fattoriale
modello lessicografico
analisi discriminante
Il MODELLO À LA FISHBEIN è quello che generalmente viene chiamato anche modello basato sugli
attributi; esso si articola in tre momenti fondamentali:
scomporre il prodotto o più in generale l’offerta, in un insieme di attributi elementari (ad
es. per un telefono cellulare, la durata della batteria, l’ampiezza dello schermo ecc.)
comprendere, mediante opportune ricerche di marcato, quali sono gli attributi più
importanti per i clienti
valutare come i vari concorrenti presenti sul mercato sono percepiti dalla domanda rispetto
a questi attributi
Successivamente si procede al calcolo delle utilità parziali, moltiplicando la valutazione del singolo
attributo (voto) per l’importanza che il cliente associa ad esso (peso). Sommando le utilità parziali
di ciascun attributo si può stabilire un utilità totale del singolo prodotto nella prospettiva del
cliente. Rapportando tra di loro le utilità totali di ciascun prodotto è possibile calcolare un indice
di competitività del prodotto, dato cioè dal rapporto fra l’utilità generata dal prodotto oggetto di
analisi e quello del diretto concorrente. Se tale indice è superiore ad uno vi è una situazione di
vantaggio competitivo, che risulta tanto maggiore quanto più elevato è il valore dell’indice. Nel
caso di indici inferiori ad uno la situazione si configura come negativa sul piano competitivo. Un
valore uguale ad uno segnala una situazione di completo allineamento competitivo.
ANALISI DEI FATTORI (factor analysis) è una tecnica che viene utilizzata nel campo statistico per
semplificare la realtà,attraverso cui si cerca di ridurre quelle che sono le variabili m da un certo
numero ad un numero più basso di variabili n, dove m è maggiore di n (m>n). Tende a semplificare
la realtà andando a ridurre le variabili che incidono sulla percezione, sulla scelta del prodotto e
quindi sulla concorrenza. Alle volte se noi prendiamo un prodotto potremmo trovare decine,
centinaia di attributi, e quindi nasce l’esigenza di sintetizzare questi attributi; possiamo prendere
come esempio la frutta, che presenta una numerosissima quantità di attributi: freschezza,
piacevolezza, contenuto di vitamine, dolcezza ecc. Attraverso l’analisi dei fattori riconduciamo tutti
questi attributi ad un numero più basso, e in questo caso possiamo ricondurli alla piacevolezza e
alla salubrità. La piacevolezza si riconduce al gusto alla facilità nello sbucciarla ecc. mentre la
salubrità si riconduce al contenuto di vitamine, alla digeribilità alla leggerezza ecc.; così si
individuano due fattori latenti. Questo tipo di analisi conduce alla costruzione delle MAPPE
PERCETTIVE, poiché con essa riconduco un elevato numero di attributi a due sole variabili latenti
che si rappresentano facilmente nel sistema di assi cartesiani. Nella costruzione delle mappe
percettive più i prodotti si trovano vicini nella stessa area più sono in concorrenza fra di loro.
MODELLO LESSICOGRAFICO, è quello in cui il consumatore va a preferire il prodotto in base alla
percezione dell’attributo principale. Alle volte noi andiamo a scegliere il prodotto non andando a
considerare l’indice di Fishbein, ma andando a scegliere l’attributo più importante che ad es.
potrebbe essere il prezzo. Il consumatore in base all’attributo che ritiene più importante sceglie il
prodotto che presenta la migliore performance, in altre parole va a scegliere fra i vari prodotti quello
che presenta la migliore performance nell’attributo ritenuto più importante.
ANALISI DISCRIMINANTE, attraverso cui si analizza la concorrenza non più sui valori assoluti ma sul
differenziale, sulla discriminazione del singolo attributo, e tali differenze vengono analizzate
attributo per attributo. Con il modello discriminante il consumatore sceglie il prodotto che presenta
il differenziale più elevato fra tutti gli attributi considerati. Anche in questo modello vengono
utilizzate le mappe percettive, perché in fondo calcoliamo la distanza che c’è tra un punto ed un
altro, poi la scelta secondo l’analisi discriminante viene effettuata sul prodotto che presenta il
maggior differenziale in termini di prestazioni. Il consumatore secondo questo modello non va
considerare la media o l’attributo più elevato, ma va a considerare il differenziale. Da ciò si evince
che modelli diversi portano a risultati diversi.
Devono avvertire uno stesso bisogno e ritenere che un certo prodotto possa essere in grado
di soddisfarlo
Devono avere del denaro da spendere
Devono avere la propensione all’acquisto, cioè la disponibilità a spenderlo
Per cui si configura il mercato quando ricorrono queste tre condizioni. Abbiamo detto che quando
parliamo di mercato in ottica di cliente analizziamo la domanda, la natura di questo cliente è
diversa; infatti vi possono essere i consumatori finali, come altre organizzazioni. Ecco quindi che
distinguiamo due tipi di DOMANDA:
La domanda, inoltre, può essere analizzata sotto due differenti profili: quantitativo e qualitativo.
Analisi quantitativa della domanda: si misura il grado di diffusione del prodotto in relazione alla
domanda complessiva potenziale. Analisi qualitativa della domanda: mira a descrivere ed
interpretare il comportamento del consumatore (pre e post acquisto).
CAPITOLO SECONDO
L’ANALISI QUANTITATIVA DELLA DOMANDA
L’analisi della domanda rappresenta il principale elemento conoscitivo su cui devono fondarsi le
decisioni strategiche e operative del marketing. L’analisi quantitativa della domanda si fonda sulla
misurazione e sull’approfondimento di tre concetti fondamentali:
Mercato potenziale
Domanda primaria
Domanda secondaria
La DOMANDA SECONDARIA (o domanda dell’impresa) si riferisce alle vendite della singola impresa,
sempre in relazione ad una determinata categoria di prodotto, posti determinati confini spazio-
temporali.
Il divario fra il mercato potenziale, di solito raffigurato come un asintoto, e la domanda primaria
esprime il c.d. GAP DI POTENZIALE.
La differenza fra la domanda primaria e quella secondaria delinea il c.d. GAP CONCORRENZIALE, il
quale esprime la capacità di tale impresa di controllare il proprio mercato di riferimento.
IL MERCATO POTENZIALE
Il mercato potenziale di una definita categoria di prodotto è una quantità limite ipotetica; poiché si
realizza solo ed esclusivamente allorché ricorrono queste condizioni:
Di conseguenza, la domanda effettivamente espressa dal mercato per tale categoria (domanda
primaria) tende generalmente in modo asintotico al potenziale, senza mai raggiungerlo.
Per il calcolo della quota di mercato dobbiamo distinguere a seconda che si tratti di un prodotto
(bene o servizio) indirizzato ad un mercato di consumo o ad un mercato industriale. Nel primo caso
la domanda proviene dai singoli individui o dalle famiglie; nel secondo caso, invece, la domanda trae
origine da operatori economici (imprese, enti, organizzazioni ecc.).
Per quanto riguarda i prodotti di consumo è necessario distinguere fra la domanda di beni destinati
ad un consumo immediato ( a fecondità semplice) e la domanda di beni durevoli (a fecondità
ripetuta). Nel caso dei beni e servizi non durevoli, la stima del mercato potenziale può avvenire
utilizzando la seguente formula:
MktPot t = (N t * P t * O t * DP t)
N t = l’entità della popolazione che vive nell’area geografica di cui si vuole stimare il potenziale
P t = la percentuale della popolazione che non presenta impedimenti oggettivi all’acquisto del
prodotto
DP t = “dose piena”, ossia la quantità ottimale di prodotto utilizzabile per ogni occasione d’uso
Nel caso di beni e servizi durevoli, l’intervallo temporale fra l’atto di acquisto e il consumo può
essere notevole; si tratta, infatti, di prodotti la cui utilizzazione può protrarsi per lunghi periodi di
tempo, talvolta addirittura misurabili in anni (es. automobili, computer ecc.). In questo caso il
potenziale di mercato è dato dalla somma della domanda potenziale di primo acquisto (composta
da soggetti che acquistano per la prima volta quel determinato bene) e dalla domanda potenziale
di sostituzione (composta da soggetti che già hanno quel prodotto e che intendono sostituirlo).
Il potenziale di sostituzione è dato dal rapporto tra unità già in uso nel mercato (quanti telefonini
sono presenti in ogni casa) e la vita media del prodotto (es. 2 anni). Attraverso il potenziale di
sostituzione viene stimato il numero dei prodotti che ogni anno vengono sostituiti.
Potenziale di sostituzione = Unità già in uso nel mercato / Vita media del prodotto (anni)
Il potenziale di primo acquisto, composto da soggetti che acquistano per la prima volta quel
prodotto, è dato da due tipologie di potenziali acquirenti, da coloro che sono più restii ad
acquistare, cioè i non utilizzatori storici (es. persone anziane che non utilizzavano il cellulare) e
accanto a queste vi sono le unità che possiamo vendere a nuovi potenziali utilizzatori, cioè soggetti
che prima non venivano considerati parte del mercato (es. bambini di 3 anni e cellulare).
Potenziale di primo acquisto = Unità vendibili a nuovi potenziali acquirenti + Unità vendibili ai non utilizzatori storici
I prodotti industriali di consumo sono quelli che il cliente-azienda utilizza nella sua attività
produttiva e che non si ritrovano in un prodotto finito. La stima del mercato potenziale si avvicina
alla logica seguita per i prodotti di consumo. Il mercato potenziale di tali beni si ottiene dalla
moltiplicazione del numero delle imprese per la percentuale di imprese che non hanno impedimenti
oggettivi all’acquisto per il livello di attività per impresa utilizzatrice effettiva per il tasso d’impiego
unitario per unità di attività (coefficiente tecnico):
Mercato potenziale = numero delle imprese * percentuale di imprese che non hanno impedimenti
oggettivi all’acquisto * livello di attività per impresa utilizzatrice effettiva * tasso d’impiego unitario
per unità di attività (coefficiente tecnico)
Nel caso dei prodotti intermedi, ossia quelli utilizzati o incorporati nel prodotto fabbricato dal
cliente industriale, la domanda dipende in via diretta dalla quantità prodotta dall’impresa-cliente.
La formula per calcolare il mercato potenziale è la seguente:
Mercato potenziale = numero delle imprese * percentuale delle imprese interessate al prodotto *
quantità prodotta per impresa incorporatrice effettiva * tasso d’impiego unitario per unità di attività
(coefficiente tecnico)
Nel caso dei prodotti strumentali necessari all’attività produttiva, la stima del mercato potenziale
deve considerare che si tratta di beni durevoli; quindi so ottengono dalla somma della domanda di
primo acquisto, dalla domanda di sostituzione e dalla domanda aggiuntiva:
IL GAP DI POTENZIALE
Il divario fra il livello del mercato potenziale e quello raggiunto dalla domanda primaria in un
determinato periodo rappresenta la parte del mercato potenziale non soddisfatta da alcuna
impresa. Tale divario viene indicato con il termine gap di potenziale, e viene espresso con la
seguente formula:
Gap di non utilizzatori (non user gap), dovuto all’esistenza di un certo numero di soggetti,
che, pur potendo utilizzare il prodotto, di fatto non lo impiegano
Gap di occasioni (light user gap), connesso al fatto che quanti adottano il prodotto non lo
utilizzano in tutte le possibili occasioni d’impiego
Gap di uso leggero (light usage gap), derivante dalla circostanza che la quantità
effettivamente utilizzata di prodotto è inferiore a quella individuata come ottimale
Nella prospettiva della singola impresa, assume rilevanza non solo il gap di potenziale, ma anche il
gap concorrenziale, inteso quale divario fra l’ammontare delle vendite da essa effettuate (domanda
secondaria) e quello complessivamente realizzato da tutte le imprese operanti nel suo stesso
mercato di riferimento (domanda primaria):
GapConc t = Domanda primaria t – Domanda secondaria
Le cause del gap concorrenziale per l’impresa sono:
• Gap di prodotto, quando l’offerta delle imprese non risulta idonea a soddisfare al meglio le
esigenze della domanda
• Gap di comunicazione, conseguente alla mancata consapevolezza del prodotto da parte degli
utilizzatori potenziali. Ciò deve intendersi non solo in riferimento all’esistenza del prodotto, ma
anche sul piano dell’incompleta comprensione dei benefici da esso ottenibili in funzione degli
attributi che lo compongono
• Gap distributivo, in questo caso l’esistenza del prodotto è nota alla domanda, che è interessata
allo stesso, ma il prodotto non è presente nell’area geografica in cui si è formata tale domanda
• Gap di prezzo, quando, pur apprezzando i benefici offerti dal prodotto, questo risulta troppo
costoso per una parte degli acquirenti potenziali, e quindi l’interesse da essi manifestato non può
tradursi in domanda effettiva
Nella prassi aziendale al concetto di gap concorrenziale si riconduce quello di quota di mercato
(market share)*, definita come l’ammontare delle vendite realizzato dall’impresa (Q i) espresse in
* Si crea questo collegamento perché, il gap concorrenziale è la differenza tra domanda secondaria
e domanda primaria; mentre la quota di mercato è il rapporto di questi due valori.
percentuale sulle vendite complessive rilevate nel suo mercato di riferimento (Q):
QM i = Q i / Q
La quota di mercato assoluta può essere espressa sia in volume (unit market share) che in valore
(revenue market share); dal confronto di queste due quote di mercato si traggono utili indicazioni
in merito alla politica dei prezzi praticata dal’impresa.
Se la QMvalore> QMvolume si è in presenza di un’impresa che applica prezzi superiori rispetto alla
media del mercato di riferimento.
Se la QMvalore< QMvolume si è in presenza di un’impresa che applica prezzi inferiori rispetto alla
media del mercato di riferimento.
Se la QMvalore = Qmvolume l’impresa prezzi aziendali in linea con quelli medi vigenti sul mercato.
Fin qui abbiamo parlato della quota di mercato, poiché l’abbiamo sempre calcolata in riferimento a
tutti i rivali presenti nel mercato di riferimento dell’impresa. Oltre alla quota assoluta, è possibile
fare riferimento anche alla QUOTA DI MERCATO RELATIVA, calcolata quale rapporto fra la quota
controllata dall’impresa in esame e quella dei principali concorrenti. In funzione degli scopi
conoscitivi, il denominatore del rapporto può essere costituito da:
La quota così calcolata offre utili indicazioni in merito alla distanza competitiva esistente rispetto ai
rivali individuati. La quota di mercato però non ci fornisce solo informazioni in riferimento alla
distanza competitiva della nostra impresa rispetto alle altre, ma anche al grado di fedeltà della
clientela. Infatti è possibile determinare per ciascuna impresa:
Il tasso di fedeltà, inteso quale percentuale di acquirenti che, avendo in precedenza (t-1)
acquistato l’offerta dell’impresa, continuano ad acquistarla anche al tempo t
Il tasso di attrazione, definito come la percentuale di acquirenti che, avendo in precedenza
(t-1) acquistato da un’altra impresa, al tempo t diventano clienti dell’impresa che abbiamo
preso in considerazione
Se indichiamo con α il tasso di fedeltà e con β quello di attrazione, la quota di mercato dell’impresa
in analisi nel corso del periodo futuro t+1 sarà:
Dalla formula emerge quindi che, in ogni periodo futuro (t+1), la quota di mercato è data dalla
somma fra la percentuale dei riacquisti α e quella dei nuovi acquisti β, che necessariamente
provengono dai concorrenti.
La rilevazione della quota di mercato può essere realizzata a due diversi livelli:
La quota di mercato a livello retail può essere calcolata a livello di sell-in o sell-out. Le aziende
producono e non vendono direttamente al consumatore finale, ma agli intermediari (sogg. che si
interpongono fra il produttore e il consumatore). Vi sono quindi tre livelli: quello del produttore,
dell’intermediario e del consumatore. Si pone il problema di dove andare a calcolare la quota di
mercato, si può calcolare a livello di retail oppure posso rilevarla a livello di consumatore. Modi
diversi di calcolare la quota di mercato portano a risultati che non coincidono. Le aziende producono
beni o servizi, dopo di che li vendono agli intermediari; produzione e vendita non coincidono, poiché
non è detto che tutto ciò che viene prodotto poi viene venduto, quindi si possono generare
all’interno delle aziende delle rimanenze. Quello che viene venduto coincide con il sell-in, ossia la
quantità di prodotti che viene venduta dal produttore e immessa nella distribuzione, gli acquisti del
distributore, coincidono perché quello che il produttore vende coincide con quello che acquista il
distributore. Il distributore vende e quindi abbiamo il sell-out, ossia le vendite del distributore, in
questo caso sell-in e sell-out non coincidono perché vi sono le merci in stock, rimanenze.
L’intermediario vende e i prodotti vengono acquistati dal consumatore, quindi sell-out e acquisti
coincidono. Il consumatore acquista per poi consumare, acquisti e consumi non coincidono perché
vi saranno i prodotti in scorta. La quota di mercato si può calcolare a livello di sell-in, le vendite della
mia azienda in confronto alle vendite delle altre, a livello si sell-out quanto vende il distributore dei
prodotti dell’azienda in questione rispetto a quanto vende dei concorrenti; potrei calcolarla anche
a livello di consumi, viene calcolata la quantità dei consumi dei prodotti dell’azienda in questione
rispetto ai consumi dei prodotti di un’altra marca. Quindi non c’è coincidenza tra sell-in, sell-out e
consumi perché vi sono le rimanenze, gli stock e le scorte. Quindi modi diversi di calcolare la quota
di mercato porta a risultati completamente differenti.
La quota di mercato (QM i) può essere definita anche come il prodotto di due indici:
Tali indici permettono di comprendere la struttura della distribuzione (punti di vendita), di cui
l’azienda si avvale per far pervenire la propria offerta ai consumatori finali, e la struttura dei
consumi. Per ottenere gli indici è sufficiente scomporre la quota di mercato mediante l’introduzione
di un ulteriore fattore denominato ACS i, corrispondente agli acquisti totali della categoria di
prodotto effettuati dalla clientela servita dall’impresa i-esima. Quindi, si procede con la
moltiplicazione della quota di mercato (Q i/Q) per il rapporto ACS i/ ACS i (che essendo una quantità
pari ad 1 non modifica il valore della quota di mercato):
Il primo fattore del prodotto (Q i/ ACS i), esprime il grado di penetrazione, mentre l’altro (ACS i/Q) individua
il grado di copertura ponderata.
Il grado di penetrazione misura l’incidenza delle vendite aziendali sugli acquisti complessivi della categoria
di prodotto effettuati dai clienti serviti dall’impresa (distributori o clienti finali).
Il grado di copertura ponderata esprime invece il peso dei clienti (intermedi o finali) serviti dall’impresa
rispetto al mercato totale della categoria di prodotto considerata. Questo rapporto può essere quindi
considerato un indicatore della rilevanza dei clienti serviti.
È possibile approfondire l’analisi scomponendo il grado di copertura ponderata, grazie all’introduzione di due
nuovi fattori:
Grado di copertura ponderata: (ACS i/Q) -----> (ACS i/n i) * (n i/N) * (N/Q)
L’acquisto medio dei clienti serviti (ACS i/n i), in riferimento alla categoria di prodotto
considerata può essere reputato indicativo della loro dimensione media
Il grado di copertura numerica (n i/N), rapporto fra il numero dei clienti serviti rispetto a
quello dei clienti potenziali
Il grado di dispersione (N/Q), rappresenta il reciproco della dimensione media della clientela
ed esprime l’inverso della concentrazione dei clienti
Ponendo a confronto la dimensione media dei clienti serviti (ACS i/n i) con quella dei clienti presenti
sul mercato (VT/N) << VT = vendite totali>> si ottiene il c.d. indice di selezione, ossia un indicatore
della qualità del portafoglio-clienti.
Un altro indice ottenibile dalla scomposizione della quota di mercato, che può risultare utile al fine
di valutare le performance commerciali dell’impresa è l’indice di assortimento dell’impresa. Esso
viene calcolato come rapporto fra la sommatoria degli indici di copertura ponderata relativi alle
diverse varianti (modelli,colori,formati ecc) proposti dalla medesima marca e il suo grado di
copertura ponderata complessiva.
CAPITOLO TERZO
L’ANALISI QUALITATIVA DELLA DOMANDA
Nell’ambito dei processi analitici è importante non solo analizzare la “quantità” della domanda, ma
anche la sua “qualità”. L’analisi qualitativa della domanda è di fondamentale importanza per capire
che caratteristiche dovrà avere il prodotto (bene o servizio) per soddisfare al meglio le esigenze dei
consumatori potenziali ed indurli ad acquistarlo a scapito dei prodotti concorrenti. L’analisi
qualitativa si occupa, quindi, di analizzare il comportamento (la soddisfazione, la fedeltà dal punto
di vista comportamentale e cognitiva) che il consumatore assume nella fase pre acquisto, sia nella
fase di acquisto che in quella post acquisto. Per l’analisi del comportamento del consumatore in
queste tre fasi ci si avvale di un approccio comportamentistico; in quanto cambia il comportamento
da consumatore a consumatore in relazione ad uno o più tipologie di prodotto. Per l’analisi di tale
comportamento l’analisi qualitativa si avvale del processo decisionale di acquisto che abbiamo detto
cambia da soggetto a soggetto, e in relazione ad uno stesso soggetto cambia da prodotto a prodotto.
Il processo decisionale di acquisto è quello che induce il consumatore a decidere come, dove,
quando e se comprare un determinato prodotto. Tale processo si articola in una serie di fasi che
comportano sia attività di natura comportamentale che mentale o cognitiva. Le fasi che
caratterizzano il processo decisionale sono:
Percezione del bisogno, in questa fase si innesca l’intero processo; poiché rappresenta il
momento in cui viene percepita l’esistenza di un bisogno e l’esigenza di ricercare dei prodotti
(beni o servizi) che siano in grado di soddisfarlo. Il bisogno, quindi, viene percepito nel
momento in cui si verifica un gap (ovvero un differenziale) tra lo stato attuale e lo stato
desiderato (o ideale); a causa di questo scostamento si verifica la percezione del bisogno
Ricerca di informazioni, una volta percepita l’esistenza di un bisogno si attiva
immediatamente l’esigenza di ricercare opportune modalità per soddisfarlo. Per questo
motivo si attiva immediatamente un processo di ricerca delle informazioni con l’obbiettivo
di individuare le migliori soluzioni al soddisfacimento del bisogno. In questa fase vengono
consultate varie fonti informative: istituzionali, personali, commerciali ecc.
Valutazione delle alternative pre-acquisto, una volta ricercate le informazioni il cliente
procede ad una loro valutazione
Acquisto del prodotto, il cliente acquisterà quel prodotto che ha identificato come il più
idoneo a soddisfare il suo bisogno nella fase precedente di valutazione delle alternative
Utilizzo del prodotto, successivamente all’acquisto il consumatore attiva il processo di
consumo del bene
Valutazione post-acquisto, questa fase dagli studiosi del marketing è stata denominata
come “momento della verità”. Dopo il consumo del prodotto il cliente opera una
comparazione tra le sue aspettative pre-acquisto e la valutazione che consegue al momento
del consumo. Qualora quest’ultima sia uguale o superiore alle aspettative si realizzerà un
livello di soddisfazione della clientela; qualora sia inferiore alle aspettative si realizzerà una
situazione di insoddisfazione della clientela e un gap di valore, che può determinare
conseguenze non positive per l’impresa
Fedeltà, dalla soddisfazione della clientela scaturisce nel tempo la fiducia nei confronti della
marca, che si traduce in un comportamento d’acquisto ripetuto. La presenza di fiducia e
riacquisto produce un elevato livello di customer loyalty, obbiettivo ultimo di tutte le
imprese, in quanto consente di stabilizzare la base clienti e di rendere più certi e costanti nel
tempo i flussi di ricavi derivanti dalla vendita del prodotto
Sono attività di tipo cognitivo: la percezione del bisogno, la valutazione pre-acquisto, la valutazione
post-acquisto ; sono, invece, attività di tipo comportamentali: la ricerca delle informazioni,
l’acquisto e l’uso.
IL COINVOLGIMENTO PSICOLOGICO
Il processo decisionale di acquisto varia a seconda del diverso coinvolgimento psicologico. Al variare
del livello di coinvolgimento psicologico che il cliente sperimenta si verifica un cambiamento
significativo dell’intensità delle attività cognitive. Nei casi in cui il coinvolgimento è ridotto, i processi
cognitivi del cliente si configurano in modo molto semplificato, in quanto so ricorre alla
sperimentazione diretta del bene, per cui vengono saltate tutte le attività di ricerca dell’
informazioni e di valutazione pre-acquisto. Per le situazioni ad elevato coinvolgimento psicologico,
invece, lo sforzo che il consumatore è disposto a sostenere per l’acquisto si accresce, soprattutto
con riferimento alla ricerca delle informazioni e alla valutazione pre-acquisto. L’alto e il basso
coinvolgimento dipendono da:
La rilevanza che l’individuo attribuisce alla categoria, che dipende soprattutto da elementi
soggettivi
La visibilità sociale dei processi di acquisto e di consumo(es. a me interessano poco i
computer ma è importante la visibilità del consumo del prodotto stesso, il fatto che io devo
mostrare socialmente ad altri individui il tipo di prodotto che utilizzo mi determina un
coinvolgimento)
Il contesto di utilizzo del prodotto, cioè l’ambito nel quale viene utilizzato il prodotto
Il grado di rischio percepito è direttamente connesso all’incertezza sull’esito della decisione
di acquisto e alla rilevanza di eventuali conseguenze negative sul piano dell’integrità fisica,
economica, psicologica e sociale del consumatore . Esistono, infatti, diverse tipologie di
rischio:
o Rischio funzionale, connesso al timore di una performance inadeguata del prodotto,
connesso quindi alla funzionalità del prodotto
o Rischio fisico, relativo all’eventualità che l’uso del prodotto possa determinare
eventuali minacce per l’incolumità o la salute del consumatore
o Rischio economico-finanziario, correlato alle conseguenze che un’errata scelta può
comportare sul piano patrimoniale e/o reddituale
o Rischio psicosociale, quando un prodotto non risponde a quell’immagine per il quale
è stato acquistato
LE MOTIVAZIONI D’ACQUISTO
Lo studio da parte delle imprese della qualità della domanda, del consumatore, del processo
decisionale di acquisto ha il fine di identificare le modalità attraverso le quali l’impresa può
concretamente influenzare le scelte dei consumatori. Per conseguire tale obbiettivo innanzitutto è
necessario comprendere le motivazioni all’acquisto, da cui dipende l’avvio dell’iter decisionale che
si tradurrà nella scelta e nell’utilizzo di una data alternativa di offerta. Lo studio della motivazione
d’acquisto si è concentrato nel:
Alle volte con riferimento ad uno stesso bisogno abbiamo più motivazioni, queste motivazioni
talvolta generano dei conflitti motivazionali che possono essere:
positivo-positivo
positivo-negativo
negativo-negativo
Quindi, con riferimento allo stesso bisogno siamo spinti da motivazioni diverse che possono essere
convergenti, divergenti o compensative. Es. posso avvertire il bisogno della fame, spinto dalla
golosità cerco di soddisfarlo con la cioccolata ma questa spinta, questa motivazione è in conflitto
con un’altra divergente, poiché la cioccolata fa ingrassare, da qui nascono i conflitti motivazionali
che si vengono a creare nella sfera dell’individuo perché uno stesso bisogno può essere soddisfatto
in maniera diversa e allora le motivazioni che mi indirizzano nella decisione da prendere possono
essere conflittuali. Lo studio delle motivazioni ci può condurre a segmentare la domanda dei
consumatori, classificando le motivazioni:
Combinando queste dimensioni si potrebbe fare una prima segmentazione, una divisione dei
consumatori che appartengono ad un certo mercato effettuata proprio sulla base di queste
motivazioni.
esposizione selettiva, il consumatore viene raggiunto solo da alcuni degli stimoli inviati
dall’impresa, in quanto generalmente non è esposto a tutti i media utilizzati dall’impresa per
comunicare con il mercato
sensazione, la risposta immediata dei sensi
attenzione selettiva, il consumatore non presta attenzione a tutti gli stimoli che lo
raggiungono, ma seleziona soltanto quelli di suo interesse
percezione selettiva, processo mentale che porta ad elaborare, ad interpretare il messaggio
che riceviamo dall’esterno; anche se il consumatore presta la propria attenzione ad uno
stimolo informativo non è detto che questo venga percepito correttamente
ritenzione selettiva, riguarda la fase della memorizzazione degli stimoli; la nostra memoria
di breve termine non ci consente di ricordare e trattenere tutti i contenuti informativi degli
stimoli a cui siamo esposti
richiamo selettivo, gli stimoli memorizzati dal cliente vengono richiamati dalla memoria di
lungo periodo quando sono utili
LA PERCEZIONE
Abbiamo definito la percezione come il processo con cui un individuo raccoglie, elaborare interpreta
le informazioni che provengono dall’ambiente. La dimensione percettiva è quella fase durante la
quale il consumatore ricerca le varie alternative disponibili, capta le caratteristiche distintive di
ciascuna di esse per sottoporle successivamente ad un processo di comparazione, che si concluderà
con la scelta dell’alternativa giudicata ottimale dal cliente. La ricerca delle informazioni può essere
condotta secondo due tipologie di modelli:
modello economico-razionale
modello orientato alla comprensione dei meccanismi percettivi del cliente
LA TIPOLOGIA DI BENE
La scelta del modello dipende molto dalla tipologia di bene che si intende acquistare; infatti nel caso
di prodotti connotati da scarso coinvolgimento la fase di ricerca esterna è quasi completamente
assente. È stata, quindi, compiuta una classificazione dei prodotti:
shopping goods, prodotti nei confronti dei quali il consumatore non ha ancora sviluppato un
proprio schema di preferenza, e che pertanto necessitano di ulteriori informazioni per
giungere ad una scelta definitiva
non shopping goods, sono quei beni nei confronti dei quali il consumatore ha già sviluppato
una propria mappa delle preferenze e perciò non richiedono ulteriori ricerche informative.
Essi a loro volta si possono distinguere in:
o speciality goods, beni ad elevato coinvolgimento verso i quali i clienti hanno già
sviluppato una forte convinzione ed una chiara preferenza
o convenience goods, beni a scarso coinvolgimento che vengono preferiti sulla base di
una facilità di reperimento e di accesso più che in base alle caratteristiche specifiche
del prodotto; il termine convenience sta ad indicare una facilità e comodità di
reperimento del prodotto
LE FONTI INFORMATIVE
Per il reperimento di informazioni, il consumatore deve rivolgersi ad una serie di fonti informative,
ossia fonti alle quali il soggetto attinge per poi effettuare una scelta. Le diverse fonti cui il
consumatore può rivolgersi per ricercare le informazioni sulle alternative di offerta esistenti, sono
riconducibili a quattro fondamentali tipologie:
Il consumatore dopo essersi consultato con queste fonti, procede alla definizione di una sorta di
“gerarchia informativa”, ordinandole in base alla loro attendibilità. Infatti è chiaro che la fonte
commerciale è sicuramente una fonte che presenta un grado di attendibilità piuttosto contenuto
perché è una fonte di parte; è una fonte che ha un certo interesse ad inviare quella determinata
informazione. La fonte istituzionale non dovrebbe avere questo tipo di interesse; tipicamente sono
delle fonti più neutrali. Le fonti interpersonali sono quelli che rispetto alle precedenti dovrebbero
essere considerate più attendibili perché le persone non dovrebbero avere degli interessi. Le fonti
empiriche sono quelle che hanno il maggiore grado di attendibilità.
LA VALUTAZIONE PRE-ACQUISTO
Procedendo con l’analisi qualitativa della domanda, è necessario soffermarci sulla valutazione delle
regole decisionali utilizzate dal consumatore per scegliere l’offerta che lui considera possa meglio
soddisfare il suo bisogno. Il processo valutativo comprende tutte quella attività intraprese dal
consumatore per raffrontare le sue aspettative e le caratteristiche dei prodotti candidati
all’acquisto; esso può essere compiuto attraverso due tipologie di modelli:
I MODELLI MULTI-ATTRIBUTO
Il presupposto teorico per i modelli multi – attributo consiste nell’ipotesi che il consumatore,
attraverso la scelta di un prodotto, non ricerca un solo beneficio ma una serie. L’attenzione di tale
modello si concentra su vari attributi che devono essere valutati contemporaneamente. Proprio per
questo i modelli multi - attributo pongono due tipi di problemi:
Per quanto riguarda l’individuazione degli attributi, ci si avvale di ricerche di tipo qualitativo (es.
compilazione di questionari, sondaggi ecc.). In merito al secondo punto, le possibili strategie
attuabili dal consumatore per giudicare le varie alternative possono essere classificate in:
procedure sintetiche, che si riferiscono alla valutazione del prodotto nella sua totalità
procedure analitiche, che prevedono il confronto tra le varie alternative sulla base dei singoli
attributi
Con riferimento alle procedure analitiche il consumatore può optare per due diversi modelli:
modelli compensativi, che prevedono una valutazione simultanea di tutti gli attributi da
parte del consumatore. Nel caso in cui vi sia una valutazione negativa su un attributo, essa
viene bilanciata dalla valutazione positiva su un altro, in altri termini le debolezze vengono
compensate dalle forze di ciascuna alternativa d’offerta. Ne fanno parte:
o il modello di atteggiamento multi - attributo o del valore atteso, è il modello
secondo il quale l’atteggiamento del consumatore nei confronti del prodotto in
questione è dato dalla sommatoria della valutazione degli attributi del prodotto,
ognuno moltiplicato per il peso (importanza) assegnato dal consumatore per ciascun
attributo
o il modello del prodotto ideale, è il modello secondo il quale il consumatore definisce
il profilo del prodotto ideale rispetto al quale confronta le alternative reali: quanto
più una marca si avvicina all’ideale tanto maggiore è la probabilità di essere scelto
modelli non compensativi, il soggetto individua uno specifico attributo e confronta ciascuna
alternativa sulla base di tale attributo. Non è prevista alcuna compensazione e pertanto una
valutazione sfavorevole su una variabile influenzerà negativamente la valutazione globale,
indipendentemente dai giudizi espressi sui restanti attributi. Ne fanno parte:
o il modello congiuntivo, è il modello secondo il quale il consumatore stabilisce dei
livelli “soglia” minimi che il prodotto deve possedere, scegliendo solo quei prodotti
che presentano contemporaneamente i diversi attributi a livelli superiori rispetto a
quella soglia
o il modello disgiuntivo, è simile a quello precedente, con la differenza che si
analizzano un numero più ridotto di attributi. Si prendono in considerazione solo
quelle alternative che presentano una o più caratteristiche (quelle ritenute dal
consumatore) con punteggi superiori ai livelli soglia,senza curarsi degli altri attributi
o il modello lessicografico, consiste nell’andare a scegliere la marca che presenta il
valore più elevato sull’attributo ritenuto più importante. Se ci troviamo di fronte due
prodotti che presentano lo stesso livello di apprezzamento sull’attributo più
importante si scenderà al secondo attributo più importante e cosi via fino a quando
si troverà una differenza tra i prodotti sottoposti a confronto
I MODELLI CHOICE-SET
L’ACQUISTO
i ruoli di acquisto
le interazioni fra il processo di scelta dei prodotti e dei servizi commerciali
I RUOLI D’ACQUISTO
La decisione di acquisto spesso scaturisce dall’interazione fra numerosi soggetti, che assumono
rilevanza nel processo di scelta e di utilizzo del prodotto. Tali soggetti compongono il c.d. gruppo
decisionale di acquisto, al cui interno è possibile identificare alcuni ruoli fondamentali:
l’iniziatore, colui che rende manifesta la necessità di soddisfare una determinata esigenza,
cioè porta in evidenza il bisogno, avviando cosi il processo d’acquisto
l’influenzatore, colui che interviene nel processo decisionale di acquisto influenzando la
decisione
il decisore, colui al quale spetta la decisione, la scelta finale
l’acquirente, colui che effettua l’acquisto
il consumatore, colui che consuma il prodotto acquistato
In merito a questi ruoli d’acquisto è importante sottolineare che uno stesso individuo può agire in
più ruoli, e il medesimo ruolo può essere svolto da più soggetti.
Per comprendere l’entità dei condizionamenti reciproci esistenti tra la scelta della marca e del punto
vendita, è opportuno analizzare le principali interazioni tra i processi di acquisto del prodotto e dei
servizi commerciali. Gli studi sul comportamento del consumatore si sono sempre concentrati ad
analizzare il processo decisionale di acquisto del prodotto; sono meno numerosi gli studi che
considerano la scelta del prodotto congiuntamente alla decisione relativa al punto vendita in cui si
assumono informazioni e si procede all’acquisto. In realtà il consumatore acquista un sistema di
offerta costituito da merce e servizi, tra cui quelli erogati dall’impresa commerciale. Ai fini
dell’analisi della domanda, non è, perciò, sufficiente limitarsi allo studio del consumatore, ma è
opportuno anche considerare la figura dell’acquirente (shopper), intendendo il primo quale
compratore dei prodotto, mentre il secondo come compratore dei servizi commerciali. È stato
definito un modello che distingue il processo di scelta del prodotto da quello che riguarda la
selezione del punto vendita, e che poi pone in risalto le numerose interrelazioni che si verificano tra
i due processi, tra le quali:
il bisogno relativo ai servizi commerciali rappresenta una conseguenza del bisogno riferito al
prodotto. In seguito all’attività di browsing si verifica sempre più spesso la relazione
contraria, la nascita all’interno dei punti vendita di nuovi bisogni
la scelta del punto vendita, e in particolare del suo assortimento condiziona l’insieme
evocato del consumatore, che, in base ai prodotti facenti parte dell’assortimento, definisce
le alternative tra le quali viene scelta quella da acquistare
il gradimento post-acquisto registrato con riferimento al prodotto, determina una
soddisfazione del consumatore relativamente all’offerta dell’impresa commerciale
la fedeltà acquisita dall’impresa industriale e commerciale condiziona le scelte
dell’acquirente con riferimento sia ai prodotti che ai servizi commerciali. Nello specifico, una
consistente fedeltà alla marca influenza oltre che la scelta relativa alla marca, anche quella
riferita al punto vendita, inducendo il consumatore ad eliminare dal proprio set evocato tutti
quei distributori che non offrono, nell’ambito del proprio assortimento, la marca preferita.
La medesima tipologia di interdipendenza si verifica con riferimento alla store loyalty che
oltre a determinare la scelta del punto vendita, condiziona la scelta della marca, limitando
la scelta della marca a quelle incluse nell’assortimento offerto.
Il comportamento del consumatore come già abbiamo visto muta in funzione del grado
coinvolgimento psicologico nell’acquisto e variano, di conseguenza, la numerosità e la tipologia delle
interrelazioni tra il processo di acquisto delle merci e quello relativo ai servizi commerciali. Nelle
situazioni di ridotto coinvolgimento il processo di acquisto si presenta molto semplificato, in quanto
il consumatore ricorre alla sperimentazione diretta del bene; e in questi casi la scelta del punto di
vendita precede la scelta della marca. Per i prodotti ad alto coinvolgimento aumenta lo sforzo che il
consumatore è disposto a sostenere per l’acquisto; in questi casi è ipotizzabile che il consumatore
ricerchi nelle imprese commerciali prima di tutto un servizio di tipo informativo, che consenta di
ridurre l’incertezza insita nel processo di scelta.
Fino a questo momento gli studi di marketing hanno trascurato il comportamento d’acquisto del
consumatore all’interno del punto vendita. Ormai è diventato importante ai fine dell’analisi della
domanda analizzare anche l’in-store marketing, cioè l’insieme di attività che le imprese di
distribuzione compiono e che possono incidere sulla scelta del prodotto da parte dei consumatori.
Le imprese di distribuzione per influire sulla scelta del consumatore sfruttano le leve del retailing
mix, che sono:
Display, è lo studio inerente a come collocare i prodotti sugli scaffali e tramite questo studio
si rileva come la localizzazione fisica dei prodotti incide in maniera rilevante sulle vendite.
Infatti i display costituiscono uno dei più rilevanti strumenti di comunicazione a disposizione
dell’impresa commerciale
Spazio espositivo, è uno spazio in cui si concentrano tutti i prodotti di una stessa marca; è
stato ipotizzato che all’aumentare dello spazio destinato ad una marca le vednite
aumentano; in quanto il cliente è più stimolato a compiere l’acquisto di un prodotto esposto
in maniera consistente
Assortimento, riguarda la varietà della gamma di prodotti di una stessa marca, esso può
essere più o meno esteso. Le conseguenze derivanti da uno scarso assortimento e quindi
dalla mancanza dei prodotti possono comportare una riduzione dell’ammontare della spesa
effettuata, in seguito ad un rinvio dell’acquisto o alla sostituzione del punto vendita
Promozioni, sono le attività che riguardano gli sconti, gli omaggi le raccolte punti. È stato
dimostrato un uso sempre più intenso di questa leva da parte delle imprese. I risultati delle
ricerche hanno concluso che le promozioni producono un duplice effetto:
o La sostituzione delle marche (brand switching) e la sostituzione dei punti vendita
(store switching)
o Incentivano l’acquisto dei prodotti complementari non in promozione
Prezzo, le ricerche effettuate hanno concluso che la maggioranza degli acquirenti possiede
soltanto un’idea approssimativa del prezzo effettivamente pagato
Mentre il processo di acquisto comprende le attività finalizzate alla raccolta delle informazioni, alla
valutazione delle alternative, al reperimento del prodotto selezionato; il processo di consumo si
riferisce a tutte le attività di utilizzo finalizzate alla produzione di valore. È possibile identificare
alcune attività di utilizzo tipiche, la cui successione configura, nella prospettiva del consumatore,
una catena del valore articolata in tre stadi fondamentali:
La classificazione delle attività consente di evidenziare le molteplici opzioni che l’impresa può
attivare per ampliare la value proposition offerta al consumatore, servendo in modo più efficace ed
efficiente rispetto ai concorrenti una porzione sempre più estesa della catena del valore.
CAPITOLO QUARTO
LA DOMANDA INTERMEDIA: LE IMPRESE DI DISTRIBUZIONE E IL SETTORE
COMMERCIALE
Il settore commerciale è dato dall’insieme delle imprese distributrici, quelle aziende che svolgono
la funzione di raccordo tra produzione e consumo, agevolando le relazioni di scambio tra produttori
ed utilizzatori dei beni. In passato i distributori si limitavano a svolgere attività di tipo logistico,
connesse al trasporto dei beni e alla capacità di renderli disponibili all’interno dei punti vendita. Oggi
lo scenario è radicalmente mutato. Si è verificato, infatti, un forte sviluppo delle imprese distributrici
che ha determinato un notevole aumento del loro potere di mercato nei confronti dei fornitori,
rispetto al passato. Al contempo, si è verificato anche un accrescimento della capacità dei
distributori di condizionare le preferenze dei consumatori finali, sviluppando delle strategie di
marketing proprie; le imprese distributrici hanno, quindi, sviluppato una autonoma capacità
progettuale nell’ambito del marketing management. L’analisi della struttura del settore
commerciale e delle principali attività svolte dalle aziende che lo compongono, è fondamentale per
le imprese industriali che vogliono approcciare la domanda intermedia e, conseguentemente,
raggiungere la clientela finale.
Abbiamo già detto che la gestione della domanda intermedia da parte delle imprese industriali è
fondamentale per il raggiungimento della clientela finale. Per analizzare la gestione della domanda
intermedia è indispensabile attuare una classificazione dei punti vendita. Ad un livello macro è
possibile distinguere tra:
Nella nostra analisi ci soffermeremo sui punti vendita fissi che rappresentano la maggioranza
all’interno del settore commerciale. Questi a loro volta possono essere distinti sulla base di alcune
caratteristiche:
I punti vendita moderni si sono sviluppati seguendo delle “regole”che permettono di distinguerli in
formati o format distributivi, che sono dati da un mix delle caratteristiche principali dei punti
vendita (es. dimensione, genere, modalità di vendita ecc.). I principali format distributivi sono:
La clientela all’interno dei punti vendita acquista un binomio: beni (prodotti dall’impresa industriale)
e servizi commerciali (prodotti dell’impresa distributiva). L’impresa distributiva/commerciale è un
impresa che produce servizi commerciali. Il servizio commerciale può essere definito come un mix
di attributi o servizi elementari combinati in modo da appagare i bisogni; è possibile effettuare una
distinzione tra:
Servizi centrali, soddisfano direttamente il bisogno per cui viene richiesto il servizio
Servizi periferici, fungono da supporto ai servizi centrali, permettendo l’accesso al servizio
stesso (servizi periferici necessari) o rendendo più confortevole la fruizione (servizi periferici
accessori). I servizi periferici accessori sono molto importanti perché permettono all’impresa
distributrice di differenziare la propria offerta agli occhi della clientela.
Secondo questa classificazione il servizio centrale è costituito da quello logistico; tuttavia è possibile
effettuare un’altra classificazione dei servizi commerciale che li distingue in:
Questo tipo di classificazione permette di cogliere l’importanza oltre che dei servizi logistici, anche
di quelli informativi e aggiuntivi.
Le imprese commerciali, quindi, in seguito alla rivoluzione commerciale hanno acquisito una
crescente autonomia in termini di marketing; in questo senso le imprese distributrici hanno avviato
la progettazione e la realizzazione di politiche di marketing proprie finalizzate soprattutto alla
valorizzazione dell’offerta. Essi hanno addirittura sviluppato linee di prodotti propri: le marche
commerciali (o private label). Si definiscono marche commerciali o private label tutti quei prodotti
che hanno il marchio del supermercato in cui vengono venduti. Esistono diverse tipologie di marca
commerciale:
Generic private label e copycat brand, che competono sul prezzo; i generic private label
sono prodotti con un packaging poco curato e spesso con un brand name come primo
prezzo, sono proposti al cliente come l’alternativa più conveniente; i copycat brand sono
imitazioni di prodotti proposti con altri brand, di cui riproducono la qualità ma non il prezzo
che risulta essere inferiore
Premium store brand, che competono sulla qualità
Value innovators own label, che competono sulla razionalità; l’obbiettivo è quello di offrire
il miglior prodotto performance-prezzo
La gestione più evoluta della marca commerciale ha portato le imprese distributive a progettare un
articolato brand system in grado di coprire tutte le fasce dell’assortimento, dal premium price (con
prodotti di nicchia) al primo prezzo. La diversificazione dei prodotti della marca commerciale è
indice della capacità delle imprese distributrici di utilizzare tale elemento in modo strategico. La
capacità di marketing della distribuzione, oggi, si estende, anche, alla possibilità di gestire in modo
personalizzato la relazione con il cliente, grazie allo sviluppo delle carte fedeltà, che permettono alla
distribuzione di ottenere informazioni sulle abitudini di acquisto della clientela. Le imprese hanno,
quindi, la possibilità di gestire una autonoma relazione con i cliente. Alla luce di questi fatti, risulta
opportuno approfondire le caratteristiche del marketing management delle imprese
distributrici/commerciali, poiché si trovano ad affrontare problematiche diverse da quelle delle
imprese industriali. Anche in questo caso è opportuno seguire un processo decisionale composto:
LE POLITICHE DI ASSORTIMENTO
Una volta definito l’assortimento, si deve provvedere alla sua manutenzione nel tempo, che consiste
nell’eliminazione di referenze obsolete, nell’inserimento di nuovi prodotti ecc. Per le imprese
industriali è fondamentale comprendere tale processo per proporre un offerta che non risponda
solo alle esigenze dei consumatori finale, ma anche a quelle delle imprese commerciali. Sempre in
riferimento alle imprese industriali, è importante valutare quali sono le caratteristiche che le
imprese commerciali prendono in considerazione nel momento in cui valutano l’inserimento di un
prodotto all’interno del loro assortimento:
Condizioni economiche, prezzi d’acquisto dei prodotti, politiche di sconto, premi di fine
anno, condizioni di pagamento ecc.
Servizio logistico, la frequenza e la puntualità delle consegne ecc.
Politiche promozionali connesse al lancio
Potenziale di vendita, riguarda le ipotesi formulate relativamente al potenziale di vendita del
prodotto, al suo tasso di rotazione, al margine lordo e alla redditività
Valore del prodotto per il consumatore
Caratteristiche del produttore, che riguarda anche il rapporto tra fornitore e distributore
LA COMUNICAZIONE
Le aree di comunicazione che assumono maggiore criticità per le imprese commerciali sono:
La pubblicità
La promozione delle vendite, molto rilevanti ai fini della comunicazione, tali promozioni
possono dividersi in due principali categorie:
o Promozioni di prezzo, sono riconducibili a quelle attività promozionali che offrono
uno sconto pari almeno ad un 10%
o Iniziative promozionali in-store, raccolte punti, coupon (buono sconto) ecc.
Il punto vendita, la diffusione di informazioni sul punto vendita rappresenta un mezzo di
comunicazione molto efficace, poiché si attua proprio nel momento in cui il consumatore sta
raccogliendo le informazioni. Le modalità utilizzate per comunicare a questo livello sono:
o L’atmosfera del punto vendita
o Il layout delle attrezzature e delle merci, che riguarda la ricerca dei migliori criteri
espositivi per stimolare l’acquisto dei prodotti
o Il display
o Il personale di vendita
o Ecc.
L’assortimento e la marca commerciale
La distribuzione dei volantini porta a porta
Il direct marketing, invio di newsletter ai consumatori, l’attivazione di un numero verde per
creare un contato diretto con la clientela
IL PRICING COMMERCIALE
Con riferimento alle politiche di prezzo, le imprese devono prendere delle scelte in merito alla
dimensione strategica e alla dimensione operativa del prezzo.
Per ciò che attiene alla dimensione strategica l’impresa commerciale può creare un’immagine del
proprio punto vendita che sia orientato alla convenienza o al prestigio. Qualora l’impresa scelga un
immagine di convenienza adotterà tutte una serie di strategie che possano attrarre la clientela più
sensibile al prezzo (es. decidere di abbassare il prezzo di un prodotto con un elevato potere
segnaletico, per indurre la clientela a recarsi nel punto vendita e, quindi, acquistare altri prodotti).
La dimensione operativa del prezzo, invece, riguarda le modalità con cui le imprese commerciali
determinano i prezzi dei singoli prodotti. La maggior parte delle imprese ricorre al mark-up come
metodo di determinazione dei prezzi. Il mark-up rappresenta quel quantum da aggiungere al costo
del prodotto, che comprende la copertura dei costi di acquisto e il raggiungimento di un margine di
profitto prefissato. Tale margine si può calcolare in funzione del costo d’acquisto, e in questo caso
prende il nome di margine di ricarico:
O si può calcolare in funzione del prezzo di vendita, e prende il nome di margine commerciale:
CAPITOLO QUINTO
SEGMENTAZIONE, TARGETING E POSIZIONAMENTO
I tre momenti chiave del marketing strategico sono:
Segmentazione, processo che consiste nel ripartire una popolazione di potenziale
acquirenti, in uno o più gruppi, definiti segmenti. La finalità è quella di ottenere gruppi
omogenei per tipo di caratteristiche, bisogni o comportamenti
Targeting, processo che consiste nell’analizzare l’informazione derivante dalla
segmentazione, e nel compiere una scelta strategica, di selezione del segmento o dei
segmenti valutati come più attrattivi. Verso questo o questi segmenti si indirizzerà l’azione
di marketing, configurando una value proposition coerente rispetto ai bisogni di ciascun
segmento
Posizionamento, è il risultato dell’azione di marketing sul segmento target, e consiste nella
collocazione che la value proposition ha nello spazio percettivo dell’acquirente del
segmento, rispetto alle alternative offerte dalla concorrenza
Differenziazione, non basta creare nella mente del consumatore l’idea di una diversità tra il
prodotto di un impresa e quello di un concorrente, ma si deve poi rendere il prodotto effettivamente
differente. Si deve realizzare concretamente la differenziazione e non deve fermarsi nella mente del
consumatore.
IL CONCETTO DI SEGMENTAZIONE
Preferenze omogenee, che ricorrono nei mercati in cui i consumatori non presentano
significative differenze tra loro
Preferenze diffuse, che mostrano una dispersione elevata, senza significative concentrazioni
di clienti in alcuno spazio di mercato
Preferenze agglomerate, che configurano segmenti naturali di mercato
IL PROCESSO DI SEGMENTAZIONE
STABILIRE I REQUISITI
Delineare una segmentazione efficace è molto problematico, poiché le preferenze degli individui
dipendono da un numero molto ampio di fattori. Tuttavia gli studi di marketing definiscono alcuni
requisiti chiave che possono valutare la bontà di un processo di segmentazione; essi sono:
Misurabilità, nel senso che una segmentazione deve condurre ad identificare dei gruppi di
clienti misurabili, cioè delimitabili e quantificabili in modo preciso in termini di dimensioni
Rilevanza, la segmentazione deve condurre a stabilire la rilevanza del segmento per
l’impresa
Differenziabilità, la segmentazione dovrebbe consentire la possibilità di differenziare
l’offerta
Stabilità, la segmentazione deve avere come output segmenti con preferenze durature
Accessibilità, la segmentazione deve consentire la possibilità per l’impresa di raggiungere e
servire il segmento in condizioni di economicità
DEFINIRE IL MERCATO
In seguito ad una definizione più ristretta del mercato è possibile effettuare una segmentazione più
accurata.
SELEZIONARE LA BASE
La base della segmentazione è costituita dai criteri (o parametri o variabili) utilizzati per decidere
l’attribuzione del soggetto osservato al segmento di riferimento. Esistono diverse tipologie di criteri
usati nella prassi per segmentare, e la scelta di tali criteri dà luogo a tre tipi di basi:
Esistono due approcci per selezionare la base per segmentare nei mercati di consumo (B2C):
Segmentazione a priori, si sceglie a priori, una base, e poi si analizza com’è segmentato il
mercato secondo quella specifica base, e si decide a quale o a quali segmenti rivolgersi.
Anche chiamato metodo della correlazione, consiste nel scomporre e quindi aggregare i
consumatori sulla base di una serie di variabili ipotizzando che soggetti simili abbiano lo
stesso tipo di preferenze, si analizzano ex ante le preferenze; io in base ad un processo logico
individuo le basi che devo utilizzare per suddividere il mercato, ipotizzando che individui
simili lo siano altrettanto nelle preferenze di consumo; si basa su una serie di presupposti.
Le variabili i criteri base utilizzate per effettuare la segmentazione sono infinite, si può
scomporre in base al sesso, all’altezza, all’età, alla città di provenienza ecc. in genere tutte
queste variabili vengono raggruppati in 4 grandi gruppi:
o variabili geografiche, il criterio di classificazione riguarda ad es. la regione di
provenienza ecc.
o variabili demografiche, l’età il sesso ecc.
o sociologiche, fanno riferimento al reddito, alla professione, al livello di istruzione ecc.
riguardo al reddito dobbiamo distinguere le diverse tipologie dei livelli di reddito, o
al livello di reddito disponibile o al reddito discrezionale, il reddito disponibile
depurato di quelle spese non eliminabili
o psicografiche, fanno riferimento a tratti della personalità, stili di vita valori ecc.
Segmentazione a posteriori, il mercato viene segmentato solo successivamente alla fase in
cui sono analizzate le informazioni raccolte ad hoc sui consumatori. In questo caso si
utilizzano i dati primari derivanti da ricerche di mercato condotte dall’azienda. Anche
chiamato metodo della strumentalità, analizzia in concreto quello che sono le preferenze e
dalle preferenze si risale agli elementi che distinguono questi gruppi; la scelta della base di
segmentazione viene stabilita dopo aver fatto delle indagini , la scelta avviene ex post; i
segmenti vengono definiti in funzione delle preferenze che concretamente si evidenziano in
termini di comportamento d’acquisto; si guardano quelle che concretamente sono le
preferenze e da li si cerca di capire qual è l’elemento che ha determinato questo tipo di
preferenze. I parametri utilizzati nella segmentazione a posteriori sono:
o I benefici ricercati; con la segmentazione sui benefici ricercati, il marketing manager
raccoglie esplicitamente i dati che esprimono le preferenze dei consumatori e può
usare queste informazioni ai fini di configurare direttamente la value proposition che
meglio approssima ciò che l’acquirente richiede all’offerta. Il vantaggio di questo
approccio consiste nella precisione.
o Il tipo di utilizzo; la scelta di questo parametro fa riferimento all’intensità. Questo
criterio può avere una funzione strategica, perché spesso l’intensità di utilizzo è
correlata con la redditività del cliente per l’impresa. Distingue il light user dal heavy
user
o Il comportamento post-acquisto; la categoria di segmentazione con variabili post-
acquisto include tutte le tecniche che prendono in considerazione gli atteggiamenti,
le percezioni e le motivazioni degli individui a seguito dell’acquisto e dell’utilizzo del
prodotto. Vengono usate variabili quali la soddisfazione, la fedeltà alla marca o al
punto vendita. L’ipotesi sottostante questo tipo di criterio risiede nell’essere in grado
di prevedere il comportamento di acquisto futuro aggregando i consumatori sulla
base del comportamento d’acquisto e di consumo pregresso.
La scelta della base per segmentare nei marcati business (B2B) è nella maggior parte dei casi
operata secondo un approccio gerarchico, che include le fasi di macrosegmentazione e di micro
segmentazione.
La statistica fornisce strumenti efficaci per estrarre dai propri dati aziendali informazioni utili
nell’analizzare il proprio contesto di mercato e prendere decisioni strategiche. Le due tecniche
statistiche più utilizzate ai fini della segmentazione sono:
Se nell’analisi statistica di segmentazione vengono considerate una o due variabili alla volta si parla
di analisi statistiche di tipo univariato o bivariato. La tecnica più utilizzata per questo tipo di analisi
è quella delle tabulazioni. Attraverso le tabulazioni semplici, l’identificazione dei segmenti viene
definitiva con l’ausilio di una sola variabile, che viene assunta come principale descrittore di un
determinato segmento. Solitamente si associa ad ogni classe di misura il numero di osservazioni che
appartengono a quella classe, quest’ultima è chiamata frequenza assoluta o numerosità della classe.
Complessivamente, l’insieme delle classi di misura e le relative frequenze viene chiamato
distribuzione delle frequenze. Lo svantaggio di questa tecnica è l’ignorare effetti che più variabili
potrebbero esercitare congiuntamente nel processo d’acquisto. Con le cross-tabulation, invece, è
possibile ottenere indicazioni specifiche sugli incroci di potenziali variabili. Questa metodologia
presenta dei limiti che spingono a favore della segmentazione multivariata, poiché maggiore è il
numero delle variabili considerate come potenziali descrittori maggiore sarà il numero di incroci che
viene generato.
I criteri per la valutazione dell’attrattività dei segmenti seguono una logica di tipo Swot analysis, che
è uno strumento di pianificazione strategica usato per valutare i punti di forza, di debolezza, le
opportunità e le minacce di un progetto in un impresa in cui un organizzazione o un individuo deve
prendere una decisione per raggiungere un obbiettivo. La Swot analysis comprende:
L’analisi esterna, consiste nell’esame della concorrenza e della domanda; essa ha una
dimensione statica e dinamica, perché valuta a livello statico la pressione competitiva attuale
e a livello dinamico la concorrenza potenziale
L’analisi interna, si tratta di stimare in quale misura il segmento analizzato può essere
efficacemente servito con la dotazione di risorse e competenze disponibili all’interno
dell’impresa
L’analisi reddituale, in questa fase il marketing manager provvede a tradurre l’analisi
competitiva e della domanda in dati economici, costruendo una stima dei ricavi, dei costi e
del margine di contribuzione che il segmento può generare nell’orizzonte temporale di
riferimento
LA SELEZIONE DEL SEGMENTO OBBIETTIVO
Una volta incrociati i dati sulle preferenze che emergono dalla segmentazione con i dati
sull’attrattività che emergono dalla valutazione dei segmenti, il marketing manager è in condizioni
di selezionare uno o più segmenti obbiettivo. La selezione del mercato obbiettivo e il conseguente
posizionamento rappresentano le azioni con cui il marketing manager mira a costruire la proposta
di valore meglio rispondente al sistema di preferenze espresse dall’acquirente. Vengono distinti 5
modelli di targeting:
IL POSIZIONAMENTO
Le strategie di posizionamento, che mirano a costruire l’identità della value proposition, si articolano
su due momenti:
L’ANALISI DI POSIZIONAMENTO
L’analisi di posizionamento ha come finalità la valutazione dell’efficacia della strategia che l’impresa
ha seguito per collocare la propria value proposition nello spazio percettivo dei clienti target. La
logica con cui si analizza l’efficacia della strategia di posizionamento è semplice: il posizionamento
è tanto più efficace quanto la value proposition viene percepita come in assoluto più vicina ai livelli
di prestazioni ideali ricercai dal target. Esistono quattro criteri di analisi dell’efficacia:
Chiarezza, quando il target associa con precisione alla value proposition le relative
caratteristiche idiosincratiche chiave
Rilevanza, quando le caratteristiche idiosincratiche identificano la risposta ad un bisogno che
il target percepisce come prioritario
Positività, quando il target ritiene che la value proposition si avvicina al livello ideale di
prestazioni richieste dal prodotto
Distintività, quando il target percepisce distanza, cioè dofferenza, rispetto alla value
proposition della concorrenza
Uno degli strumenti utili per misurare con precisione il posizionamento di una value proposition
nelle percezioni del mercato obbiettivo, e quindi per valutare l’efficacia è il multidimensional scaling
(Mds), che si sviluppa attraverso un processo in tre fasi:
I fase, ha come obbiettivo la rilevazione delle percezioni del mercato rispetto ad un insieme
di prodotti concorrenti
II fase, consiste nella rilevazione delle preferenze del mercato
III fase, consiste nella riconduzione delle preferenze e delle percezioni di sintesi a
caratteristiche idiosincratiche unidimensionali
Mappa delle percezioni, che rappresenta su un piano cartesiano il posto occupato da ciascun
prodotto indagato
Mappa delle preferenze, che rappresenta sul medesimo piano la distribuzione di preferenze
del mercato, e rileva l’eventuale agglomerazione del mercato in segmenti, identificando lo
spazio occupato dai rispettivi livelli ideali di prestazione
Mappa di posizionamento, si costruisce con la sovrapposizione della mappa delle percezioni
e della mappa delle preferenze, essa consente di rilevare la posizione di ciascuna value
proposition rispetto alle preferenze della domanda e alla collocazione della concorrenza
CAPITOLO SESTO
LA DEFINIZIONE DELLA VALUE SELLING PROPOSITION: LE POLITICHE DI
PRODOTTO
La competizione non si manifesta sui prodotti fabbricati dalle imprese, ma tra ciò che le imprese aggiungono
ai prodotti in termini di confezione, servizi, comunicazione, assistenza al cliente e altri elementi che hanno
un valore per il cliente. Due prodotti anche se sono identici nelle loro componenti fisiche, possono essere
apprezzati in maniera molto diversa dagli individui che li acquistano perché l’apprezzamento non considera
soltanto gli attributi immediatamente tangibili di un prodotto, ma coinvolge una pluralità di fattori tangibili,
e soprattutto intangibili. Per un concorrente è senza dubbio più facile imitare le caratteristiche fisiche di un
qualsiasi prodotto, piuttosto che il suo valore complessivo, inteso come la risultante del combinarsi di
elementi fisici e di elementi intangibili. La capacità dell’impresa è dunque, quella di pensare e di progettare
il prodotto non come un bene fisico, ma come un insieme di opportunità di relazione con il cliente orientate
alla creazione di valore. Le scelte che definiscono la politica di prodotto attengono a:
I livelli di prodotto
La composizione e l’articolazione della gamma
Il nome e la marca
La confezione
L’architettura della marca
La ricerca di differenziazione non deve, quindi, limitarsi agli attributi fisici di un prodotto, ma deve individuare
tutti gli elementi a cui i clienti sono interessati e a cui attribuiscono valore. Qualsiasi prodotto o servizio può
essere configurato a cinque livelli:
Partendo dal vantaggio essenziale, l’offerta dell’impresa amplia via via la sua portata, cercando di seguire
l’evoluzione del bisogno del cliente per soddisfarlo nella sua totalità e addirittura per anticiparlo.
Tutte le imprese, industriali e commerciali, hanno individuato nell’espansione della varietà di prodotti una
strategia competitiva efficace ed efficiente. Poiché da un lato ogni variante aggiuntiva genera un aumento
delle vendite e dei profitti, dall’altro non necessariamente crea costi aggiuntivi, ma può, anzi, essere fonte di
risparmi perché sfrutta risorse e competenze già acquisite e potenzia le sinergie e i sincronismi che si creano
in una collezioni di varianti. Per qui le imprese hanno ricercato soluzioni adatte per governare in modo
efficiente ed efficace il portafoglio prodotti. Quest’ultimo rappresenta l’insieme dei prodotti offerti sul
mercato da un impresa. Il problema sta proprio nel mettere il cliente al centro della progettazione del
portafoglio prodotti, in modo che quest’ultimo sia sempre in sintonia con il cliente e che questi vi trovi senza
fatica una soluzione adatta a soddisfare le sue esigenze. La gamma è la combinazione di prodotti offerti da
un’impresa, che può includere una sola o numerose marche, è strutturata gerarchicamente in almeno tre
livelli:
Rispetto all’ampiezza possiamo adottare delle politiche di ampliamento della gamma, con l’aggiunta di
nuove linee di prodotto. Rispetto alla profondità possiamo effettuare diverse azioni che distinguiamo in:
Rispetto alla lunghezza non è possibile effettuare particolari azioni, poiché questa dimensione risulta
modificata dalle scelte rispetto all’ampiezza e alla profondità. Invece, a seconda del grado di coerenza fra
nuovi prodotti introdotti nel portafoglio ed i precedenti, è possibile distinguere la diversificazione
dall’integrazione (es. virgin e barilla).
Una nuova variante di gamma può avere sia effetti positivi, e quindi far aumentare le vendite della linea di
prodotti, sia effetti negativi, cioè sottrarre vendite ad un’altra variante. Quest’ultimo fenomeno, prende il
nome di cannibalizzazione, secondo cui un prodotto lanciato sul mercato sottrae vendite ad un prodotto
presente nel portafoglio della stessa azienda, perché i due prodotti sono molto simili fra di loro. Possono
esserci diversi tipi di cannibalizzazione:
Cannibalizzazione totale, il nuovo prodotto sottrae il 100% delle sue vendite al prodotto già esistente
Cannibalizzazione parziale e aumento della domanda, il nuovo prodotto sottrae vendite al prodotto
già esistente ma espande la domanda primaria
Cannibalizzazione parziale, aumento della domanda e diminuzione della quota del concorrente, il
nuovo prodotto sottrae vendite al prodotto già esistente e al prodotto concorrente, ma espande la
domanda primaria
Assenza di cannibalizzazione, situazione ideale, poiché il nuovo prodotto sottrae vendite al prodotto
concorrente ed espande la domanda primaria
Il marketing manager dovrebbe analizzare una serie di elementi prima del lancio, quali:
Valutare il potenziale di cannibalizzazione (che si determina attraverso ricerche e test di mercato)
studiando la sostitutività tra marche e varianti dal lato della domanda
Stimare gli effetti economici-finanziari della cannibalizzazione
Stimare l’incremento delle vendite necessario per neutralizzare l’effetto di cannibalizzazione
La cannibalizzazione genera effetti economico finanziari rilevanti, di cui è opportuno tenere conto nella
decisione di ampliare la gamma di prodotti. Considerare gli effetti economico-finaziari della cannibalizzazione
significa predisporre un prospetto che contabilizza i ricavi, i costi, e gli investimenti incrementali. Per costruire
il prospetto bisogna raccogliere informazioni sulle vendite generate dall’espansione della domanda primaria,
vendite sottratte alla concorrenza ecc. con questi dati è possibile calcolare l’incremento delle vendite
necessario per mantenere invariati i margini e quindi per neutralizzare l’effetto di cannibalizzazione:
LA MARCA
La marca rappresenta una promessa riguardante l’esperienza che i clienti possono attendersi dall’offerta di
mercato dell’impresa e dalla loro relazione con il fornitore. Per marca si intende un nome, una parola, un
simbolo, un disegno o una combinazione di questi aventi lo scopo di identificare un prodotto o un servizio di
un venditore o di un gruppo di venditori e di renderli differenti da quelli concorrenti. Origini del termine
“brand”: il moderno brand deriva dall’inglese “marchiare”. Il termine ricorreva, già nel XVI secolo, all’interno
dell’espressione fire brand per indicare l’operazione di marchiatura.
Il marchio, inteso come trademark, viene protetto dall’art. 2569 del Codice Civile, secondo cui “Chi ha
registrato nelle forme stabilite dalla legge un nuovo marchio idoneo a distinguere prodotti o servizi ha diritto
di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato”.
Bisogna cercare di tutelare la marca contro il rischio che essa diventi un termine generico, come ad esempio
è successo per: Scotch, Biro e Aspirin.
Le funzioni della marca, vantaggi per l’impresa:
Funzione di protezione, l’inventore di un nuovo marchio può registrarlo per una o più categorie di
prodotti in base ad una classificazione internazionale
Funzione di posizionamento, la marca dà all’impresa la possibilità di posizionarsi rispetto alla
concorrenza e di far conoscere al mercato le caratteristiche distintive della propria offerta
Funzione d’investimento, sull’immagine della marca si ripercuote il “capitale” di soddisfazione che la
marca ha prodotto
Classificazione tipi di marca:
Marca del produttore
Marca commerciale (del rivenditore, del distributore o del punto vendita)
Marca su licenza
Co-branding
La brand equity è la sintesi della forza di una marca sul mercato di riferimento. Essa rappresenta insieme
delle risorse (o dei costi) legati al nome e al simbolo della marca che si aggiungono (o si sottraggono) al valore
che un bene o servizio fornisce ad un’impresa e/o ai clienti di quell’impresa. La brand equità può essere
definita anche come il valore monetario (attuale e/o potenziale) degli effetti differenziali che conoscenza
(brand awareness), immagine (brand image) e fedeltà alla marca (brand loyalty) producono sulla risposta dei
consumatori verso le politiche di marketing dell’impresa. Un indicatore di brand equity è la misura in cui i
clienti sono disposti a spendere per la marca.
Le principale decisioni relative alla creazione di marche forti sono:
Posizionamento di marca, che dipende da:
o Gli attributi del prodotto
o I benefici
o I valori e le credenze
Scelta del nome di marca (naming), al fine di svolgere le sue funzioni la marca deve essere:
o Appropriata
o Breve e facile
o Convincente
o Distintiva
o Si deve, inoltre, evitare il più possibile di fare errori di naming
Sponsorizzazione della marca
Sviluppo della marca
Politiche di marca delle imprese multi-prodotto:
uso di una sola marca; es. Cartier
uso di marche differenti (marca individuale); es. Procter & Gamble
uso di marche diverse per linee; es. Barilla
uso di marche miste (marca individuale con richiamo); es. Ferrero
Il re-branding è il fenomeno secondo il quale si sostituisce il nome di una marca con un altro, mantenendo
invariato il portafoglio prodotti della marca; le situazioni più ricorrenti di re-branding sono due:
La marca acquisita ha un posizionamento praticamente identico alla marca già in portafoglio. La
ragione principale dell’acquisizione è la forza della marca acquisita nel suo mercato d’origine, forza
che rende difficoltosa, lunga, dispendiosa e comunque incerta la conquista di una pari quota di
mercato
La marca acquisita ha un posizionamento distinto rispetto alla marca in portafoglio, ed è questa la
ragione dell’acquisizione, tuttavia alcuni prodotti della gamma sono fortemente sovrapposti
IL PACKAGING
Per confezionamento (packaging) si intende l’insieme delle scelte relative a ciò che contiene e avvolge il
prodotto. Quando un impresa progetta il packaging di un prodotto deve considerare sette funzioni
fondamentali che esso svolge:
Proteggere, la confezione ha, quindi, lo scopo di proteggere il prodotto nel corso dei suoi
trasferimenti dai vari rischi:
o Rischi statici, causati dalla permanenza nei luoghi di stoccaggio
o Rischi dinamici, causati da urti e vibrazioni nella fase di trasporto
o Rischi climatici, alterazioni che possono essere provocate da cambiamenti di natura e di
umidità
o Rischi biologici, modificazioni derivabili dal contatto con microrganismi dannosi
Conservare, lo stato del prodotto nelle sue caratteristiche di integrità, funzionalità, fragranza,
freschezza e igiene
Identificare, un prodotto, cioè definire la categoria merceologica, alla quale esso appartiene e la
funzione d’uso principale cui è destinato
Differenziare, il prodotto dai concorrenti
Esporre, il prodotto, funzione essenziale nelle forme di vendita a libero servizio
Economizzare, sia i costi di logistica che quelli di produzione
Comunicare, la capacità comunicativa del packaging si esprime a due livelli:
o Verbale, le informazioni riportate sulla confezione (stampa o etichetta), allo scopo di
illustrare il prodotto e di fornire istruzioni e suggerimenti per l’uso
o Simbolico-visivo, entrano in gioco capacità meta comunicative riconducibili ad un più ampio
universo culturale ed emotivo del consumatore-individuo
Le funzioni del package si possono ulteriormente classificare in:
Primaria, contenitore che salvaguarda le qualità intrinseche del prodotto
Secondaria, contenitore che rende fruibile il prodotto nelle diverse occasioni d’uso, differenziandolo
sotto il profilo funzionale
Terziaria, contenitore che comunica al cliente in termini razionali ed emotivi
CAPITOLO SETTIMO
LA DEFINIZIONE E LA GESTIONE DEL PREZZO
IL PREZZO TRA COSTI, CONCORRENZA E VALORE PER IL CLIENTE
La determinazione del prezzo di vendita è un operazione non semplice, perché sulla determinazione
del prezzo agiscono numerosissimi fattori. L’impresa, infatti, può fissare il prezzo di vendita al livello
che ritiene più opportuno. Un modello manageriale utile per facilitare le decisioni di definizione e
gestione del prezzo è quello che si fonda su tre orientamenti:
Costi, rappresentano il limite minimo, una determinazione del prezzo al di sotto di tale valore
non conviene per l’impresa dal momento che non è un’organizzazione di beneficienza
Concorrenza, orientamento secondo il quale si deve scegliere un livello di prezzo che faccia
riferimento all’esistenza di imprese che producono beni simili
Clienti, rappresentano il limite massimo, dato dalla percezione del valore da parte della
clientela, una determinazione del prezzo al di sopra di tale valore non conviene perché
nessuno acquista
Proprio in relazione a questi orientamenti la determinazione del prezzo può essere effettuata
seguendo tre metodi:
In base al costo
In base ai concorrenti
In base ai consumatori
I principali metodi per la determinazione del prezzo sulla base dei costi sono:
Il mark up pricing. Il mark up pricing viene utilizzato quando l’impresa adotta un sistema
contabile a costi diretti. I costi diretti sono i costi direttamente imputabili al prodotto, i costi
indiretti, invece, sono i costi imputabili solo indirettamente al prodotto, tramite opportune
basi di ripartizione. Nel mark up pricing, al costo diretto di prodotto viene aggiunto un
ricarico percentuale idoneo a coprire una quota di costi indiretti e generare parte del reddito
atteso. Secondo il Mark-up pricing, quindi, il prezzo viene determinato considerando i costi
diretti, cioè imputati direttamente al nostro prodotto (es. materie prime) più una quantità
che noi chiamiamo ricarico che deve avere il compito di coprire i costi indiretti o una parte
dei costi indiretti e assicurare un margine di utile. In questa configurazione il mark-up
(ricarico) è dato da i costi indiretti più il margine di utile. Il mark up (ricarico) non è, quindi,
l’utile che l’impresa consegue, perché esso comprende non solo l’utile ma anche la quota di
costi indiretti.
Il cost plus pricing. Il cost plus pricing viene utilizzato quando l’impresa adotta un sistema di
contabilità analitica di full costing, ossia in grado di determinare sia i costi diretti di prodotto
sia la quota dei costi indiretti. Secondo il metodo del cost plus pricing il prezzo sarà dato dai
costi diretti che si sostengono per quel prodotto più i costi indiretti più il profitto. Il costo
indiretto si viene a determinare mediante quei metodi di ripartizione su base unica o su base
multipla; quindi, si sommano i costi diretti e i costi indiretti e si aggiunge il profitto. Il prezzo
di vendita è dato dal costo pieno full-costing più il margine di utile, in questo caso il termine
mark up assume un significato diverso rispetto al precedente (che includeva non solo il
profitto sperato ma anche quella quota di costi che non erano direttamente imputati
all’oggetto), perché coincide con il margine di utile.
Prezzo = (cd + ci)/Q + π/Q
Il prezzo-obiettivo. Questo metodo si fonda sulla logica della break even analysis. Per la sua
applicazione, ci si basa, infatti, sull’analisi dell’equilibrio economico, con l’obbiettivo di
determinare un livello di prezzo che sia prima di tutto in grado di coprire tutti i costi sostenuti
dall’impresa, e successivamente, di consentire il raggiungimento di un obbiettivo di
redditività. La determinazione del prezzo-obbiettivo avviene, quindi, adottando la formula
della break even analysis. Si parte, pertanto dall’uguaglianza tra costi e ricavi:
RT=CT
(p x Q) = (cv x Q) + CF
il metodo del prezzo-obbiettivo, tuttavia, prevede che oltre alla copertura dei costi, il prezzo
consenta anche la produzione di reddito. Pertanto, è necessario aggiungere il profitto:
Nella rappresentazione grafica del Break even point il prezzo è il coefficiente angolare, cioè l’angolo
che forma la curva dei ricavi totali.
Se noi variamo il prezzo di vendita la curva dei ricavi totali si alza e si abbassa; se il prezzo è più
elevato, il coefficiente angolare è più ampio e la curva sarà più vicina all’asse delle ordinate, questo
significa che incrocerà la curva dei costi totali ad un livello più basso, perché se io vendo un prodotto
ad un prezzo più alto mi basterà vendere un numero minore di quantità per raggiungere il punto di
equilibrio e raggiungere tutti i costi. Quindi attraverso il prezzo-obbiettivo si cerca di determinare
un prezzo di vendita che non solo copra i costi fissi e variabili ma consenta anche di realizzare
l’obbiettivo di profitto prefissato. L’espressione CF + CV = RT deve essere modificata introducendo
la variabile del profitto CF + CV + π = RT -------> CF + CV + π = (p x Q) -------> Prezzo = (CF + CV)/Q +
π/Q
Il costo differenziale o costo marginale. È un metodo di determinazione del prezzo a cui
l’impresa può ricorrere in contesti “straordinari”. Si tratta di determinare il prezzo sulla base
dei costi differenziali che la produzione genera. Questo metodo è tipico delle imprese con
capacità produttiva insatura, e quindi, con costi fissi sostenuti e coperti da una produzione
già venduta sul mercato. In tali casi, l’impresa può prendere in esame l’opportunità di
vendere produzioni aggiuntive utilizzando come riferimento minimo il costo differenziale o
marginale. Si tratta di una scelta rischiosa che necessita non solo di particolari condizioni
tecnico-produttive, come la capacità produttiva insatura, ma anche di una netta separazione
fra i mercati ai quali l’impresa si rivolge nella sua attività commerciale ordinaria e a quello a
cui si rivolge con un prezzo basato sui costi differenziali. Il rischio di arbitraggi è, infatti, molto
alto. In sintesi, il metodo di determinazione del prezzo basato sul costo differenziale non
considera tutti i costi, ma solo quelli per la specifica produzione, ciò si verifica quando
l’impresa ha già pienamente recuperato i costi relativi alla struttura produttiva. Questo
metodo viene praticato in circostanze particolari che può dar vita agli arbitraggi, il rischio
che sul mercato si vengono a trovare due prodotti uguali con prezzi differenti.
Nella prospettiva competion based è possibile adottare uno dei seguenti metodi di definizione del
prezzo:
Il metodo della parità della concorrenza. Esso mira a raggiungere un prezzo che sia pari al
prezzo medio applicato dai concorrenti o al prezzo dei concorrenti considerati rilevanti
dall’impresa. Una variante molto diffusa è il metodo price taker-price maker o metodo del
differenziale costante, viene mantenuto uguale non il prezzo ma il differenziale di prezzo. Io
mantengo sempre costante la differenza tra il price maker e il price taker, con questo
procedimento mantengo costante la differenza tra me e i concorrenti, se lui l’aumenta di 10
io aumento di 10. Ad una o più imprese viene riconosciuto il ruolo di price maker e altre sono
le imprese taker, esse quindi aggiustano il proprio prezzo rispetto a quello del maker.
Il metodo del discount price e del premium price. Questi metodi prendono come
riferimento il prezzo della concorrenza, ma mentre il discount price opta per un prezzo al di
sotto di tale riferimento, il premium price opta per un prezzo al di sopra
I metodi che abbiamo analizzato fino ad ora partono tutti dal prodotto, quantificano i costi per
determinare il prezzo di vendita. Con i metodi basati sul valore percepito dal consumatore la
situazione si ribalta. Attraverso questi metodi si cerca di capire quanto il cliente sarebbe disposto a
pagare per il prodotto, dopo di che si fissa quello che potrebbe essere il prezzo di vendita, andandolo
a confrontare con i costi che si sostengono. I modelli basati sul valore percepito dal cliente ( metodi
basati sul consumatore) sono tre:
È opportuno comprendere meglio cosa è il valore per il cliente; esso può essere espresso
generalmente come il rapporto tra benefici ottenibili e costi. Più specificatamente è il rapporto tra
benefici e performance del prodotto per i costi e tutti gli altri oneri che si devono sostenere in
riferimento al prodotto (es. costi di gestione e smaltimento). Per misurare il valore per il cliente si
possono utilizzare procedimenti differenti: alcuni privilegiano la prospettiva dell’impresa (es. Evc),
altri quella del consumatore.
L’Evc, Economic value for the customer, misura il valore offerto ai clienti, a partire dal confronto fra
i costi e i benefici offerti rispetto alle alternative di riferimento; è una misurazione che si fonda su
caratteristiche tecniche osservabili dall’impresa. L’analisi dell’Evc viene condotta:
Identificando i benefici e i costi che sembrano avere maggiore rilevanza per il cliente
Individuando le caratteristiche che originano tali costi e benefici
Misurando tali caratteristiche
L’analisi del valore per il cliente si fonda uno o pochi attributi dell’offerta, per lo più attributi di facile
misurazione. Nel caso dei prodotti durevoli si ricorre alla prospettiva dinamica Total cost of
ownership, in questo caso il valore non è dato solo dal valore del prezzo iniziale, ma, anche da una
serie di valori che sono rappresentati dal valore residuo (valore che io penso di poter recuperare nel
momento in cui il prodotto esaudisce la sua utilità) i costi i manutenzione, di gestione, e di
sostituzione.
Evc = P – R + M + S + G
Il modello à la Fishbein si pone a metà tra la prospettiva management based e consumer based.
Secondo questa tecnica il valore atteso è dato dalla performance, dalla prestazione, che un certo
prodotto riesce a dare con riferimento ad un attributo per l’importanza di quell’attributo, si
sommano tutti gli attributi del prodotto e si determina il valore atteso. Quindi, il valore atteso è il
risultato della sommatoria dell’importanza relativa dei diversi attributi del prodotto (identificati
nella fase di indagine qualitativa) ponderata con le rispettive percezioni di performance. Per
determinare il prezzo si applica una semplice proporzione: il valore atteso del prodotto a sta al
prezzo del prodotto a come il valore del prodotto b sta al prezzo del prodotto b. Poi si esplicita il
prezzo del prodotto a che voglio calcolare e ottengo:
Questo valore non rappresenta il prezzo effettivamente praticabile, ma solo il c.d. prezzo di
indifferenza. Il prezzo da praticare, pertanto, dovrebbe essere un valore inferiore rispetto a quello
che emerge dalla misurazione alla Fishbein, in un intervallo compreso tra il prezzo del competitore
e quello di indifferenza.
La conjoint analysis è una tecnica di valutazione del valore percepito del cliente che viene calcolata
seguendo un procedimento logico diverso da quelli analizzati precedentemente. Nel modello à la
Fishbein si parte dalla valutazione delle singoli caratteristiche che il consumatore da dei singoli
elementi per giungere attraverso il calcolo ponderato a determinare il valore del prodotto nel suo
complesso, si va dal particolare al generare. Il procedimento della conjoint analysis è esattamente
l’opposto perché in questo caso si parte dalla valutazione nel suo complesso del prodotto, per poi
valutare la rilevanza dei singoli attributi.
Tecnica à la Fishbein
Importanza delle singole caratteristiche Valutazione del prodotto nel suo complesso
COMPOSIZIONE
Conjoint analysis
Valutazione del prodotto nel suo complesso Importanza delle singole caratteristiche
SCOMPOSIZIONE
La conjoint analysis è una tecnica di analisi multivariata,si basa sulla costruzione di prodotti
alternativi simulati, prodotti che vengono composti sulla base di ipotetiche caratteristiche che il
prodotto può possedere, poi viene chiesto al consumatore di esprimere un giudizio sul prodotto nel
suo complesso.
Con la conjoint analysis, quindi, si ipotizzano prodotti alternativi, con caratteristiche diverse, e viene
chiesto al consumatore quali preferisce tra queste alternative riguardo alle singole caratteristiche.
Il consumatore inizialmente esprime giudizi sui prodotto alternativi simulati e non sui singoli
attributi. Tuttavia, prima di analizzare le singole fasi, dobbiamo effettuare delle precisazioni
terminologiche:
L’analisi congiunta (secondo la tecnica full profile) prevede lo svolgimento delle seguenti fasi:
1. Identificazione dei benefici, degli attributi e dei livelli di prestazione. si deve cercare di
capire quali sono i benefici che il consumatore ricerca in un certo prodotto e in relazione ai
benefici quali possono essere gli attributi più importanti per il consumatore. Per identificare
questo primo aspetto: i benefici, si utilizza quella che è la c.d. catena mezzi-fini che è una
struttura concettuale, un ragionamento in cui si cerca di capire quali sono gli elementi che
legano il prodotto costituito da una serie di attributi e il consumatore inteso come portatore
di valori. Il prodotto possiede degli attributi che dovrebbero andare a soddisfare i benefici
ricercati dal consumatore, benefici che a loro volta scaturiscono da valori che il consumatore
possiede. ATTRIBUTI -> BENEFICI -> VALORI
2. Combinazione dei livelli e selezione dei prodotti simulati da sottoporre a valutazione.
Configurazioni di prodotto ipotetiche (definite anche card) individuate dalla combinazione
dei livelli degli attributi precedentemente selezionati.
3. Rilevazione delle preferenze o delle priorità di scelta relative alle alternative di offerta. In
questa fase si raccolgono i giudizi di preferenza dei clienti in riferimento alle card di prodotto
che gli sono state presentate. Il processo consigliato è quello del full profile conjoint,
attraverso cui si chiede all’intervistato di suddividere le card in tre gruppi di preferenze, e
poi si raccolgono le valutazioni attraverso una scala ad ancoraggio semantico, almeno pari
ad 1-7.
4. Misurazione del contributo di ciascun livello di prestazione alla formazione del valore
globalmente percepito nel prodotto. Si tratta di sviluppare un sistema di regressioni
multiple; occorre, quindi, determinare per ogni attributo il peso di ciascun livello, attraverso
la ricodificazione della classificazione precedente, per fa si che alle card maggiormente
preferite corrispondano valori numerici maggiori, e poi si procede al calcolo dell’utilità
parziali come differenza del valore medio. Le utilità parziali rappresentano il peso assegnato
dal cliente a ciascun livello degli attributi nel processo di scelta. Più il ∆ , fra il livello più
elevato e il livello meno elevato, è maggiore, più il livello è importante per il consumatore.
5. Misurazione dell’importanza relativa di ciascuna attributo. Questo coefficiente è dato
rapportando lo scarto di utilità parziale dei livelli massimo e minimo relativi a tale attributo
al totale degli scarti di utilità.
6. Misurazione del valore monetario dell’utilità. Il valore monetario dell’utilità unitaria si
calcola come rapporto tra lo scarto dei livelli di prezzo massimo e minimo e le relative utilità.
Le imprese nei contesti competitivi attuali giocano molto, possono competere sul mercato
attraverso due strategie:
Price competition, le imprese adottano strategie che competono sul prezzo, così si vengono
a creare delle c.d. guerre di prezzo
No price competition, manovre non di prezzo, che tendono ad evitare strategie di puro
confronto di prezzo
Le manovre di segnalazione fanno parte delle strategie di no price competition, esse sono:
Le scelte di everyday low pricing, che si caratterizzano per una costante offerta di prodotti
di uso quotidiano e a basso costo.La qualità ovviamente non è delle migliori, ma sono
prodotti accessibile a tutti.
L’utilizzo delle price matching guarantees offerte al cliente. Quando un’impresa esercita una
politica di questo tipo garantisce ai propri clienti che, qualora questi ultimi fossero in grado
di trovare un’altra impresa concorrente, offerente lo stesso prodotto ad un prezzo più basso,
verrebbe rimborsata la differenza esistente tra il prezzo corrente ed il prezzo più basso
riscontrato sul mercato.
La segnalazione della struttura dei propri costi, fa riferimento ad alcuni attributi del
prodotto che attribuiscono al prodotto un prezzo più elevato (es. parmigiano reggiano).
Le manovre tipiche in una guerra di prezzo, le c.d. manovre di price competition, sono:
Bundling/unbundiling
Discriminazione e differenziazione del prezzo; si basano sul fatto che i consumatori non sono
tutti uguali, nel senso che ciascuno ha una differente capacità reddituale, una differente
disponibilità, una diversa propensione a pagare per un certo prodotto. La strategia connessa
alla discriminazione fa leva sulla differente percezione dei clienti.
Promozioni di prezzo e sconti quantità
Fighting brands; brand che vengono creati dalle imprese per combattere la concorrenza di
prezzo.
Nell’ambito della gestione del prezzo assumono rilevanza prioritaria i temi della discriminazione del
prezzo, dello sconto e del prezzo promozionale, del price bundling e unbundling, del prezzo di
penetrazione e di scrematura.
Si ha discriminazione del prezzo quando uno stesso prodotto o servizio viene venduto da una stessa
impresa a differenti livelli di prezzo. la discriminazione del prezzo, però, richiede un corretto
management della discriminazione; infatti, i mercati discriminati non devono possedere
caratteristiche di sovrapposizione, se no vi è il rischio di arbitraggi. Se non ricorrono le condizioni
per mantenere separata la domanda ci deve essere da parte dell’impresa una totale trasparenza
nella comunicazione della discriminazione del prezzo (es. tariffe family e business). Esistono
differenti tipologie di differenziali di prezzo:
Per quanto riguarda la politica degli sconti, esistono differenti tipologie di sconti:
Il price bundling consiste nella costruzione di un “pacchetto”di prodotti offerti al cliente e venduti
ad un unico prezzo. esistono due possibili tipologie di bundling:
Puro, o rigido, che prevede la vendita di due o più prodotti ad un unico prezzo, senza che ne
sia possibile l’acquisto singolarmente
Misto, o opzionale, per il quale è previsto l’acquisto combinato, ma è possibile l’acquisto
separato dei prodotti oggetto di bundle
Il price unbundling consiste nel frammentare l’offerta permettendo al cliente di “auto costruirsi” il
prodotto (es. Computer).
Le strategie più diffuse nel caso del lancio di un nuovo prodotto sono il prezzo di scrematura e il
prezzo di penetrazione.
La strategie del prezzo di scrematura prevede, invece, la determinazione di un prezzo iniziale molto
elevato. Viene prevista per le tipologie di prodotto difficilmente imitabile e percepito come unico
da parte del cliente.
CAPITOLO OTTAVO
LE POLITICHE DI COMUNICAZIONE: LA PUBBLICITA’
IL PROCESSO DI PIANIFICAZIONE (IMC PLAN)
Precedentemente siamo arrivati alla conclusione che l’idea attualmente prevalente è quella che
riguarda la comunicazione integrata di marketing, che si sostanzia attraverso l’Integrated Marketing
Communication Plan. Il punto di partenza del Imc Plan è la definizione dell’oggetto della campagna,
da esso poi discendono gli obbiettivi della campagna, il budget, l’Imc strategy, l’implementazione e
il controllo dei risultati. Tutti gli stadi del Imc Plan hanno una loro sequenza logica, e si condizionano
reciprocamente. Abbiamo detto che il punto di partenza, lo starting point, del Imc Plan è L’OGGETTO
DELLA CAMPAGNA, in questo stadio si tratta di definire ciò su cui si focalizza la comunicazione e per cui
si intende promuovere la campagna di Imc, che può essere rappresentato da:
Prodotto/servizio
Brand
Corporate (impresa)
Dopo aver stabilito l’oggetto è necessario stabilire quali sono gli OBBIETTIVI DELLA CAMPAGNA. Per poter
definire gli obbiettivi si deve rispondere a due interrogativi: Who e What? Grazie al targeting,
individuiamo nel target group il destinatario del Imc, evitando sprechi, poiché i messaggi vengono
indirizzati nel modo più preciso. Relativamente al secondo interrogativo, l’impresa si pone il
problema su cosa rivelare al destinatario; l’impresa, infatti, a seconda degli obbiettivi che si pone
può incidere:
Il problema è proprio quello di individuare quale tra questi effetti si intende perseguire. Altro
aspetto della campagna da definire dopo gli obbiettivi è il BUDGET; esso risponde all’interrogativo
How much? In questo stadio dell’Imc Plan l’impresa deve stabilire quanto investire nella campagna:
poiché investire troppo poco non potrebbe consentire di raggiungere i potenziali obbiettivi di
vendita e di conseguenza di profitto, ma investire troppo vorrebbe dire affrontare costi e
investimenti non strettamente necessari che tenderebbero a ridurre il profitto. Per la definizione
del budget si possono impiegare:
Modelli di natura economica, il più noto è senza dubbio il “sales responde model”, che
prevede la rappresentazione di una curva ad “s” che si può ottenere rapportando gli
investimenti nella comunicazione sia alle vendite che ai contributi. Rapportando su un
sistema di assi cartesiani gli investimenti nella comunicazione con le vendite otteniamo una
curva che prima è quasi parallela all’asse delle ascisse poi aumenta, fino a che non arriva ad
un livello in cui rimane costante. Nella prima parte del grafico la curva non cresce perché
l’investimento in comunicazione è troppo basso, quindi non determina un aumento delle
vendite; poi la curva è quasi costante perché arriva ad un livello di saturazione. Il problema
è stabilire un budget che sia all’interno di questi limiti, cioè un budget che superi quella soglia
minima ma che non vada oltre il livello di saturazione, perché non si determinano effetti
convenienti. Rapportando, invece, gli investimenti nella comunicazione con il contributo
notiamo che la curva prima tende a decrescere, poi aumenta e poi di nuovo diminuisce.
Questa curva tende nella prima parte a diminuire perché l’impresa deve cercare di effettuare
un certo numero di comunicazione perché si abbia un significativo ritorno economico; nella
prima parte, quindi, il bilancio tra costi e ricavi significativi tende a diminuire. Poi man mano
che aumentano gli investimenti, aumentano i profitti che l’impresa riesce a realizzare; fino
ad un livello di spesa massima, è vero che le vendite continuano ad aumentare ma
aumentano ad un tasso sempre più modesto ciò significa che all’impresa non conviene più
investire, per questo si stabilisce un livello di spesa massima. È nel range tra spesa minima e
massima che deve posizionarsi l’investimento in comunicazione.
Modelli di natura manageriale, secondo cui il budget viene fissato secondo modalità diverse:
o Metodo della percentuale sulle vendite, secondo cui l’impresa stabilisce che
l’investimento in comunicazione deve essere pari ad una percentuale delle vendite
dell’anno precedente.
o Metodo degli obbiettivi da raggiungere, secondo cui l’impresa stabilisce
l’investimento in comunicazione in relazione all’entità di vendite che si vogliono
registrare nell’anno successivo.
o Metodo dell’importo disponibile, è un procedimento residuale, secondo cui l’impresa
prima copre tutti i costi aziendali, quello che rimane viene, poi, destinato alla
comunicazione.
o Metodo della parità competitiva, metodo abbastanza intuitivo, secondo cui l’impresa
effettua un livello di investimenti in comunicazione pari a quello effettuato dalla
concorrenza.
Tutti i procedimenti hanno pro e contro. Il pro del metodo della percentuale sulle vendite è che si
stabilisce l’importo dell’ investimento su dati precedenti, quindi, certi, però l’inconveniente è che
non tiene conto che la situazione si può anche migliorare. Il metodo degli obbiettivi da raggiungere
ha come inconveniente che si basa su dati aleatori. Altro procedimento è quello dell’importo
disponibile, che magari può essere più realistico perché assicura la copertura dei costi aziendali, ma
non tiene conto della concorrenza né degli obbiettivi che si vogliono raggiungere, quindi se l’impresa
è inefficiente destinerà molto poco alla comunicazione, mentre sappiamo che si più investe maggiori
sono i risultati. Il Metodo della parità competitiva guarda alle altre imprese non focalizzandosi su se
stessa, si fa una specie di inseguimento della concorrenza.
Successivamente alla definizione del budget è importante stabilire l’IMC STRATEGY, a tal proposito si
deve rispondere a due interrogativi: How e Where? Si tratta di definire come andare a costruire il
messaggio e dove, cioè quali strumenti comunicativi si vogliono impiegare. Per comunicare non
esiste solo la pubblicità, ma tantissimi altri mezzi comunicativi, perciò in questo stadio si cerca di
definire in che modo si vuole comunicare e quali strumenti utilizzare. L’IMPLEMENTAZIONE rappresenta,
invece, il momento operativo di effettiva messa in onda della strategia Imc definita. Si richiede, poi,
che vengano valutati i risultati attraverso l’ultima fase che riguarda il CONTROLLO DEI RISULTATI e che
risponde alla domanda How effective?
LA PUBBLICITA’
Il termine pubblicità nella lingua italiana, deriva da “pubblico” ed assume il significato di “rendere
noto” ciò che fino a quel momento non lo era; il corrispondente termine inglese “advertising” deriva
da “to advertise” = avvertire, privilegia il processo di natura commerciale finalizzato al
raggiungimento del destinatario del messaggio; mentre il suo corrispettivo nella lingua francese
“rèclame” = richiamo mette in evidenza l’aspetto di richiamo ad un’azione insita nel messaggio. In
realtà, mettendo insieme i tre significati è possibile raggiungere la seguente definizione di
pubblicità: “La pubblicità viene definita come la presentazione di un prodotto fatta da una fonte ben
identificata (o identificabile in tempi brevi) attraverso un canale non personale la cui utilizzazione
comporta il pagamento di un prezzo”. Possiamo, quindi, dire che perché si possa parlare di
pubblicità è necessario che ricorrano dei requisiti:
o La fonte deve essere identificata, o identificabile in tempi brevi, perché il destinatario del
messaggio deve capire chi sta pubblicizzando il prodotto.
o Il messaggio deve essere veicolato da un canale non personale, come ad es. la radio o la tv.
Non è considerata pubblicità ad esempio quella che compie un dipendente nel parlare bene
dell’impresa in cui opera.
o L’utilizzo del canale comporta il pagamento di un prezzo. È proprio su questo requisito che
si fonda la differenza tra pubblicità e sponsorizzazione.
La pubblicità è un attività che generalmente viene dedicata all’esterno; infatti, la creazione del
messaggio viene generalmente delegata ad un’agenzia di pubblicità. Un momento molto importante
all’interno del rapporto tra azienda inserzionista e agenzia di pubblicità e il c.d. BRIEFING, incontro che
si viene a realizzare tra l’azienda inserzionista e l’agenzia di pubblicità, attraverso il quale si deve
capire cosa l’impresa inserzionista vuole pubblicizzare a quale target vuole rivolgerlo ecc. Oltre
all’agenzia di pubblicità nel settore della pubblicità operano anche altri soggetti:
GLI OBBIETTIVI
o Informare
o Persuadere
o Ricordare
LA STRATEGIA CREATIVA
La strategia creativa consiste nell’individuare le modalità migliori per realizzare il contenuto dei
messaggi pubblicitari. Negli ultimi anni ha acquistato rilevanza la ricerca di un impatto comunicativo
in grado di colpire l’emotività dell’acquirente agendo su qualità o prestigio della marca o del
prodotto e affidandosi alla forza espressiva delle immagini. Spesso, infatti, per attirare l’attenzione
dell’audience si ricorre a contenuti che esprimano fascino, eleganza ed esclusività. Ciò porta a
considerare come l’impatto dell’annuncio pubblicitario non dipenda solo da ciò che si dice o si
racconta al suo interno, ma da come lo si racconta. Nella realizzazione creativa di una campagna
pubblicitaria si deve partire, infatti, da una COPY STRATEGY, un documento che racchiude la strategia
creativa e che risponde a tre interrogativi: a chi comunicare? Che cosa comunicare? Come
comunicare?
La pubblicità può fare ricorso a particolari CHIAVI COMUNICATIVE, che vengono selezionate in funzione
di ciò che meglio si addice al concetto da esprimere e alla natura del prodotto o della marca. Tra
queste ricordiamo:
o Confronto con la gente comune: si ricorre alla gente comune perché più attendibile
o Testimonial: il ricorso a persone famose per attirare l’attenzione del pubblico. Rischi
derivanti dall’uso della tecnica del testimonial:
o L’invecchiamento del testimonial può determinare l’invecchiamento del prodotto
o L’eccessiva notorietà o personale del testimonial possono offuscare il prodotto
o Le vicende del testimonial possono incidere negativamente sul prodotto
o Humor – Ironia: (es. Rocco Siffredi per Amica Chips)
o Stili di vita; il messaggio sottostante è che l’utilizzo di quel prodotto riproduce lo stile di vita
evidenziato nella pubblicità
o Confronto: pone a confronto due prodotti non nominando il prodotto concorrente
o Pubblicità comparativa:
o Musicale: si ricorre a particolari motivi musicali (es. parmigiano reggiano)
L’impatto di un messaggio dipende, in gran parte, dalla sua forza nella sintesi, dalla capacità, cioè,
di comunicare in modo immediato una pluralità di contenuti. Ogni messaggio può essere articolato
secondo un’impostazione a più livelli, l’impiego coordinato di tutti i livelli rinforza e arricchisce
l’impatto del messaggio. I livelli sono cosi suddivisi:
Per quanto riguarda gli elementi che caratterizzano la struttura del messaggio sono:
LA STRATEGIA MEDIA
Per media si intendono i mezzi attraverso i quali il messaggio pubblicitario è portato a conoscenza
del target prescelto. La MEDIA STRATEGY concerne quindi la scelta dei mezzi di comunicazione su cui
veicolare la campagna, in un’ottica di ottimizzazione dell’investimento dell’azienda utente. Tale
strategia discende direttamente da quella pubblicitaria e si sviluppa coerentemente con la strategia
creativa, essa prevede:
Tra i fattori che maggiormente influenzano le scelte della media strategy, alcuni hanno assunto un
ruolo significativo, divenendo in alcuni casi indicatori di valutazione di efficacia, essi sono:
o La COPERTURA NETTA (reach), rappresenta l’estensione della campagna, indica quante persone
del target sono state esposte almeno una volta al messaggio in un determinato periodo di
tempo; la copertura dipende dalla combinazione di mezzi e veicoli, si deve scegliere, infatti,
un media che assicura una copertura netta più elevata. È data dal rapporto tra il numero
degli individui raggiunti dal messaggio appartenenti al target e il target del mercato.
o La FREQUENZA (opportunity to see), rappresenta l’intensità della campagna, indica il numero
di volte in cui una persona viene esposta al messaggio in uno specifico periodo di tempo; in
altre parole, indica quante occasioni di contatto con il messaggio, in media, ha raggiunto
ciascun individuo. È data dal rapporto tra tra il volume complessivo dei contatti sviluppati ed
il numero degli individui raggiunti.
o Il GROSS RATING POINT (Grp), misura la pressione pubblicitaria; è un parametro
convenzionalmente impiegato come indicatore di efficacia per valutare la capacità della
combinazione tra i mezzi pubblicitari di raggiungere il proprio target group. Esso rappresenta
la sintesi tra copertura e frequenza:
Può accadere che ci si trovi a dovere selezionare un piano con il medesimo Grp, ovviamente
proveniente da una differente combinazione tra frequenza e copertura:
o Piano media A
o Piano media B
I due piano pur raggiungendo il medesimo Grp sono molto diversi fra loro, poiché in un piano
si privilegia la possibilità di raggiungere una più ampia percentuale di pubblico ( INFORMARE);
mentre nel’altro è superiore la volontà di CONVINCERE.
È opportuno, però, fare una riflessione: la pubblicità di massa sta entrando in crisi. Le cause di questa
crisi sono:
Affollamento dei messaggi; giornalmente, infatti, siamo colpiti da migliaia di spot e da altre
forme di comunicazione; ciò sta determinando una sorta di antipatia nei confronti della tv
perché ad esempio si utilizzano le tecniche dell’interruption marketing, si interrompe il film
o il programma per mandare in onda la pubblicità
Proliferazione dei media; ormai si comunica tramite telefonino, internet ecc;
Frammentazione dell’audience su diversi media; prima vi era un solo canale, e tutti gli
spettatori guardavano un solo canale, oggi ci sono moltissimi canali, per questo è molto più
difficile raggiungere un numero elevato di consumatori
Distrazione per multitasking; contemporaneamente il soggetto utilizza più media
contemporaneamente
Diffusione di tecniche ad skipping; tecniche per evitare la pubblicità
Proprio per questa crisi della pubblicità, occorre ricercare maggiormente l’attenzione del
destinatario del messaggio, attraverso:
Mimetizzazione; si mandano dei messaggi mimetizzati, nel senso che lo spettatore è colpito
ma senza rendersi conto che è pubblicità
Inevitabilità; alcune emittenti non interrompono lo spettacolo , ma reclamizzano inserendo
la pubblicità in basso
Da spettatori a protagonisti; es. siti dove si può partecipare alla creazione del messaggio
Viralità; messaggi che vengono trasferiti da individui ad individuo, es. perché fanno ridere
“abbandona la Coca”
Ricerca di nuovi canali; la possibilità di sfruttare nuovi media che prima non venivano
utilizzati
CAPITOLO NONO
PROMOZIONE VENDITE, DIRECT MARKETING, COMUNICAZIONE ONE TO ONE
LA PROMOZIONE DELLE VENDITE: SIGNIFICATO E CARATTERISTICHE
Gli obbiettivi previsti possono essere suddivisi in OBBIETTIVI INCENTRATI SULLE VENDITE (es. aumento della
quantità venduta o del fatturato) e OBBIETTIVI INCENTRATI SU PARTICOLARI TIPOLOGIE DI TARGET:
Obbiettivi incentrati sul consumatore, consumer promotion (es. lo stimolo alla prova di un
nuovo prodotto, o l’incentivazione all’acquisto o al riacquisto)
Obbiettivi incentrati sui clienti della distribuzione, trade promotion (es. aumento delle
scorte)
Obbiettivi incentrati sulla forza di vendita, incentive (es. iniziative che stimolano lo sviluppo
della consumer o della trade promotion)
Generalmente gli obbiettivi legati a promozioni sulle vendite sono di lungo periodo, sia che essi
siano incentrati sulle vendite sia che essi siano incentrati su particolari tipologie di target; tuttavia,
il raggiungimento di obbiettivi di lungo periodo richiede che le differenti iniziative promozionali
siano coordinate tra di loro, mettendo in sequenza temporale le risposte che si intendono ottenere
dal consumatore. Si vedrà quindi che le prime operazioni fungeranno da stimolo primario e le
successive da stimolo di rafforzamento. Un percorso tipico è quello relativo ad iniziative
promozionali rivolte al consumatore che dalla prova del nuovo prodotto vogliono indurre ad una
maggiore fedeltà alla marca; ci sarà quindi una sequenza di risposte:
prova del prodotto -> primo acquisto -> riacquisto -> acquisto regolare/fedele
campione omaggio -> buono sconto -> raccolta prove d’acquisto con premio finale -> regalo
L’offerta del vantaggio è limitata nel tempo, avendo ciascuna iniziativa un momento di inizio ed uno
di fine (TEMPORANEITÀ). Al concetto di temporaneità si ricollegano:
Durata dell’iniziativa promozionale, può essere lunga o breve (es. un anno o un giorno)
Frequenza, si riferisce al numero delle azioni poste in essere in una certa unità di tempo
(nell’arco di un anno si possono sviluppare un’unica campagna o tante campagne
promozionali)
Il periodo di propagazione degli effetti, che va ben oltre la validità prevista
L’adesione all’iniziativa fornisce la possibilità di usufruire del VANTAGGIO SUPPLEMENTARE (es. buono
sconto, omaggio, riduzione di prezzo ecc.). I SOGGETTI ATTIVI delle campagne promozionali sono le
imprese industriali o le imprese di distribuzione; mentre i DESTINATARI DELLA PROMOZIONE, cioè coloro
che possono usufruire del vantaggio supplementare, sono: consumatori, distributori e forza di
vendita.
LA PROMOZIONE DELLE VENDITE: CLASSIFICAZIONI E TIPOLOGIE
Esistono numerose tipologie di iniziative promozionali, che vengono classificate secondo alcuni
criteri:
Tattiche vs. strategiche: criterio che ha come oggetto di differenziazione la durata della
promozione. Le promozioni tattiche sono quelle che esauriscono i loro effetti nel breve
periodo, viceversa quelle strategiche nel lungo periodo.
Store-oriented vs. home-oriented: criterio che fa riferimento al luogo principale d’azione
della promozione; il punto di vendita per le store-oriented e l’abitazione per le home-
oriented. Il punto di vendita rappresenta il luogo in cui si compie l’acquisto, la promozione
comunicata in questo luogo stimolo all’acquisto d’impulso; mentre la promozione
comunicata all’interno dell’abitazione del consumatore stimola ad un acquisto consapevole,
poiché l’abitazione è il luogo in cui si programmano gli acquisti.
Tecniche promozionali di sell-in vs. tecniche promozionali di sell-out: le prime denominate
promozioni alle vendite, sono finalizzate a favorire la vendita dei prodotti ai vari intermediari
della distribuzione commerciale incentivandoli alla costituzione di scorte. Le seconde
denominate promozioni agli acquisti, perseguono l’obbiettivo di favorire l’uscita dei prodotti
dall’assortimento sia del industria (grossista) sia dei punti vendita; ciò significa che le
tecniche di sell-out potrebbero rivolgersi sia al trade, si ala consumatore, a differenza di
quelle di sell-in che si rivolgono esclusivamente agli intermediari commerciali.
Azioni push vs. azioni pull: le prime corrispondono ad attività tese a “spingere” i prodotti al
di fuori del luogo in cui si trovano; mentre le seconde corrispondono ad attività tese a “far
tirare(entrare)” i prodotti all’interno dei punti vendita. Con l’azione di tipo pull l’impresa
industriale interviene sul consumatore finale, agisce su di lui in maniera che poi lui reclami il
prodotto nei punti vendita che a loro volta si devono rivolgere all’impresa industriale. Con
un azione di tipo push, invece, l’impresa industriale agisce sugli intermediari
rappresentandogli l’opportunità di riconoscergli un vantaggio se vende maggiormente i
prodotti di quell’impresa, e allora l’intermediario fa in modo di vendere maggiori quantità di
quel prodotto spingendo sui consumatori finali.
Below the line vs. above the line expeditures (al di sopra o al di sotto della linea):
generalmente questa distinzione può essere vista nell’ottica del cliente: le promozioni below
the line determinano una riduzione del prezzo che si deve pagare ( 3x2 ; buoni sconto ecc.);
le altre invece, determinano l’extragame, il vantaggio aggiuntivo. Nell’ottica del’impresa le
azioni below the line rappresentano dei minori ricavi che l’impresa realizza, l’impresa vende
un prodotto ad un prezzo più basso, determinano un minor ricavo; quelli above the line sono
quelle che determinano dei costi aggiuntivi, nel senso che se l’impresa deve dare dei regali
ha un costo aggiuntivo. Abbiamo diverse forme di promozioni a seconda che vengano svolte
dal produttore o dall’intermediario, e ancora a seconda che agiscano sul prodotto, sul mezzo
o in collaborazione con il punto vendita:
Promozioni sul prodotto, non richiedono alcun ruolo del trade. Above the line: regali, vendite
abbinate, formati speciali. Below the line: offerte speciali e 3x2
Promozioni sul mezzo, coinvolgono attivamente il distributore. Above the line: concorsi,
vendite abbinate, regali. Below the line: coupon, offerte speciali, 3x2
Promozioni congiunte sul punto vendita. Above the line: esposizioni evidenziate, doppia
esposizione, degustazioni. Below the line: offerte speciali, 3x2
Promozioni commerciali (o del distributore), vengono realizzate esclusivamente dal trade e
sono simili a quelle di prodotto, con la sola eccezione della differente fonte di
comunicazione: produttore/industria vs. trade/distribuzione commerciale
CONSUMER PROMOTION
Le consumer promotion sono quelle offerte promozionali che si rivolgono all’acquirente finale.
Identificano il destinatario del vantaggio promozionale in chi compra il prodotto per utilizzi personali
e non per rivenderlo. Il vantaggio offerto può assumere diverse forme, e a ciascuna forma
corrispondono specifiche tecniche:
Promozioni convenienza, sono dei risparmi sul prezzo (es. sconto, offerta speciale, saldi, 3x2
ecc.)
Regali immediati certi, ottenibili da tutti coloro che acquistano il prodotto a cui si ricollega
questo vantaggio (es. campione omaggio)
Regali differiti certi, in cui il regalo viene offerto a seguito del pagamento di una somma di
denaro
Confezioni promozionali (es. contenitori riutilizzabili)
Regali incerti, ricollegabili ad aree della fortuna o aree dell’abilità (es. concorsi con
estrazioni, lotterie oppure concorsi a premio, gare)
Eventi promozionali (es. degustazioni, dimostrazioni)
Iniziative diverse (es. soddisfatti o rimborsati, serie speciali dei prodotti)
Programmi continuativi (es. raccolte punti), in questo caso essi tendono a stabilire un
rapporto continuativo, di fedeltà tra l’impresa e il consumatore. Quindi si va da promozioni
temporanee a rapporti di fedeltà che siano continuativi: il c.d. customer loyalty programs
Sono tecniche promozionali legate alle operazioni di trade promotion: sconti incondizionati, sconti
quantità ecc.
Le promozioni rivolte alla forza di vendita, INCENTIVE, perseguono l’obbiettivo di spingere e, per
l’appunto, incentivare i venditori nello svolgimento della loro attività, orientandoli al
raggiungimento di specifici traguardi fissati dall’azienda. Sono tecniche incentive:
Anche le sales promotions necessitano di un piano promozionale, che deve presentare al suo
interno una serie di informazioni:
Arco temporale del piano, ossia il periodo durante il quale si intende utilizzare la
promozione delle vendite
Budget destinato alle sales promotions
Campagna promozionale in termini di: numero, durata e calendario
Vantaggio: tipologia del vantaggio offerto
Partner/fornitori: delega di alcune attività a strutture specializzate come agenzie
promozionali, agenzia media ecc.
Allocazione del budget tra: mix di comunicazione (es. supporti pubblicitari, comunicazione
nel punto vendita, pubbliche relazioni) mix di prodotti (decidendo se la promozione riguarda
un solo prodotto, una linea di prodotti o diverse linee di prodotti)
Destinatari delle promozioni
Mezzi e veicoli di comunicazione utilizzati per indirizzare le promozioni
Cosi come accade per tutte le attività di marketing e di comunicazione, anche per le promozioni
l’efficacia può essere definita come il grado di raggiungimento delle finalità perseguite dall’impresa
attraverso le operazioni promozionali sviluppate in un periodo di tempo determinato. Possiamo
valutare l’efficacia delle operazioni promozionali attraverso:
Il direct marketing indica una realtà alquanto complessa, multiforme e in continua evoluzione; esso
offre il vantaggio di esaltare il contatto diretto e particolare instaurabile con il cliente attuale o
potenziale dell’azienda, operando secondo uno schema selettivo, capillare, misurabile e improntato
alla massima efficienza. Sono, quindi, caratteristiche del direct marketing:
Gli strumenti utilizzati per il marketing diretto possono essere distinti in quattro categorie:
MEDIA CLASSICI MONOVALENTI: monovalenti, in quanto gli strumenti possono essere utilizzati
soltanto dal direct marketing; classici, poiché questa categoria di media è sempre stata
utilizzata nelle azioni di comunicazione diretta (es. cataloghi e direct mail)
MEDIA INNOVATIVI MONOVALENTI: innovativi, poiché sono mezzi di comunicazione più
avanzati da un punto di vista tecnologico; per cui sono mezzi recenti e monovalenti, in
quanto utilizzati esclusivamente come mezzi di direct marketing (es. telemarketing)
MEDIA CLASSICI BIVALENTI: mezzi che sono sempre stati utilizzati sia nella comunicazione di
massa che in quella diretta (es. la stampa)
MEDIA INNOVATIVI BIVALENTI: strumenti che oltre ad essere utilizzati per la comunicazione
di massa, sono sempre più utilizzati al fine di in saturare un dialogo con i consumatori
(es. radio e televisione)
Per scegliere il media migliore da utilizzare, l’azienda deve considerare tre variabili:
Dall’interazione fra queste tre variabili risulta come all’aumentare dell’interattività del mezzo cresce
il costo per contatto e si riduce l’ampiezza del target raggiunto; riducendo la personalizzazione del
mezzo aumenta la dimensione del target raggiunto o raggiungibile e diminuisce il costo per contatto.
Il contatto personale come strumento di comunicazione è utilissimo e fondamentale nelle relazioni
one to one, ma raggiunge costi per contatto elevatissimi. Il direct mail e il telemarketing sono
caratterizzati da un elevato potenziale di interattività e comunicazione a due vie, ma sono elevati i
costi per contatto.
GLI OBBIETTIVI DEL DIRECT MARKETING E DELLA COMUNICAZIONE ONE TO ONE
Il direct marketing persegue sia obbiettivi conoscitivi che operativi. Gli obbiettivi conoscitivi si
riferiscono alla capacità degli strumenti di avviare e approfondire le conoscenze di mercato:
Farsi conoscere
Informare circa i nuovi prodotti/servizi
Fare traffic building, modalità di conoscenza reciproca e approfondimento della stessa
Far imparare le modalità di impiego e di utilizzo di un bene/servizio
Promuovere i prodotti
Supportare la forza vendita
Vendere
Fidelizzare
Occorre però precisare che l’efficacia della comunicazione diretta è strettamente connessa
all’integrazione fra i differenti strumenti; quindi, maggiore è l’integrazione fra gli strumenti,
maggiore è la capacità di relazionarsi con il mercato e di trovare modalità di avvicinamento. Alcuni
possibili modalità di integrazione degli strumenti di direct marketing sono:
Instaurando un contatto diretto con i consumatori, l’impresa può valutare con precisione i risultati
dell’iniziativa. Nell’ambito della comunicazione il grado d’efficacia può essere calcolato con notevole
precisione perché espressione della quantità di risposte ottenute a seguito di una specifica iniziativa
di comunicazione diretta. I principali indicatori che possono essere utilizzati per misurare il grado di
efficacia sono:
L’ORDER o TRIAL: il primo indica quante persone hanno provato il prodotto, il secondo indica
quante persone hanno acquistato il prodotto:
Tutti questi indicatori d’efficacia (esprimono la capacità dell’impresa di raggiungere gli obbiettivi)
devono essere analizzati dall’azienda in modo combinato con quelli di efficienza (esprimono il modo
attraverso cui sono stati raggiunti i risultati), al fine di valutare e misurare con certezza e precisione
i risultati che qualsiasi campagna di marketing diretto deve perseguire. I principali indicatori che
misurano il grado di efficienza di una campagna di marketing diretto sono:
COSTO PER CONTATTO (Cpc): esplicita il rapporto tra il costo totale per la realizzazione di
un’iniziativa di direct marketing e il numero di persone che si sono raggiunte:
Costo per contatto (Cpc) = Costo totale del’iniziativa/Numero di contatti (persone raggiunte)
COSTO PER RISPOSTA o PER INQUIRY: rappresenta l’investimento necessario affinchè l’azienda
possa ricevere una risposta da parte dei clienti attuali o potenziali appartenenti al target
obbiettivo selezionato. Tale indice è ottenibile dal rapporto fra l’investimento promozionale
(calcolato moltiplicando il costo per contatto per il numero di contatti) e il numero di risposte
ricevute:
COSTO PER ORDINE (Cpo): è un indicatore utile nel momento in cui la campagna di direct
marketing miri ad effettuare la vendita diretta; rappresenta l’investimento necessario
affinchè l’azienda possa ricevere un acquisto dai clienti identificati come appartenenti ad
uno specifico target obbiettivo. Il costo per ordine è ottenibile dal rapporto fra investimento
promozionale (calcolato moltiplicando il costo per contatto per il numero di contatti) e il
numero di ordini ricevuti:
Il COSTO PER CONTATTO FINALE (Cpo finale), infine, misura le iniziative articolate in più fasi successive
coordinate e miranti alla vendita dei prodotti; viene così calcolato:
Il canale distributivo può essere definito come il percorso che un prodotto (bene o servizio) segue
per passare dalla sfera di disponibilità del produttore a quella del cliente finale . la scelta del canale
distributivo è fondamentale per l’impresa, per varie ragioni:
Crea utilità di spazio, tempo e modo, dunque valore per il cliente finale; infatti, grazie al
canale distributivo, un prodotto viene reso disponibile nei luoghi, nei tempi e nei modi
desiderati dal cliente, generando UTILITÀ DISTRIBUTIVE.
Nell’ambito del canale vengono svolte diverse funzioni ed attività e hanno luogo FLUSSI di
varia natura, che rendono possibile la creazione di utilità distributive e valore; infatti la
generazione delle utilità distributive e la conseguente creazione di valore aggiunto
nell’ambito del canale distributivo si realizza grazie all’attivazione di flussi di varia natura, a
loro volta, connessi allo svolgimento di diverse funzioni ed attività. Questi flussi possono
essere cosi classificati:
o Flusso fisico-logistico, che fa riferimento al trasferimento del prodotto
o Flusso giuridico-negoziale, che riguarda il titolo di proprietà del prodotto
o Flusso del rischio, che fa riferimento all’assunzione e all’eventuale trasferimento di
rischi, di varia natura, relativi al prodotto
o Flusso comunicativo, che riguarda lo scambio bidirezionale di dati e informazioni di
varia natura
o Flusso monetario-finanziario, relativo al trasferimento immediato o differito di mezzi
monetari quale forma di pagamento
È una delle leve del marketing mix dell’impresa, che contribuiscono alla realizzazione della
strategia di marketing, ed è spesso considerata una scelta vincolante nel medio-lungo
periodo dal momento che comporta investimenti e assunzione di rischi. Spesso è proprio
grazie al canale che è possibile conseguire un posizionamento distintivo e alimentare un
vantaggio competitivo. Si possono individuare due ambiti decisionali fondamentali per la
scelta del canale distributivo:
o La progettazione dei canali distributivi, che comprende scelte di struttura
o La gestione dei canali distributivi, relativa a scelte relazionali
Nel caso in cui si opti per il canale indiretto, so dovrà decidere la lunghezza del canale ossia il numero
degli stadi di intermediazione (solo dettaglianti? Grossisti e dettaglianti?). Eventualmente un
ulteriore decisione riguarderà il tipo di intermediari commerciali da coinvolgere, definiti sbocchi. Si
può optare per un solo tipo di intermediari (mono-sbocco) o per una pluralità di tipi (multi-sbocco).
Si pone anche il problema del numero di intermediari da reclutare a ciascun livello del canale per
ottenere il tasso di copertura del mercato necessario alla realizzazione degli obbiettivi di
penetrazione, il c.d. grado di intensità distributiva, le alternative disponibili sono:
Una volta definiti il tipo di intermediari e il grado di intensità distributiva, si può procedere
all’individuazione dei singoli intermediari da coinvolgere nel canale.
Nel caso del canale diretto e per gli intermediari che operano all’ultimo livello di un canale indiretto
è necessario selezionare le interfacce da attivare nella relazione con la clientela finale. In sostanza
si tratta di individuare il modo di vendere, cioè come realizzare il flusso giuridico - negoziale. Le
interfacce vengono distinte a seconda che richiedano o meno la contemporanea presenza spazio-
temporale del soggetto che vende e del cliente finale che intende acquistare il prodotto. Tra le
interfacce che richiedono la compresenza spazio-temporale si possono individuare:
I negozi, che possono essere distinti in stabili vs. itineranti
La vendita personale, presso il venditore o il potenziale il cliente o in un altro luogo dove i
due soggetti possano incontrarsi personalmente
Le varie forme di vendita a distanza, differenziabili in base al mezzo utilizzato che può essere
il catalogo, la posta tradizionale ed elettronica, il telefono ecc.
I distributori automatici
La gestione riguarda il management delle relazioni e dei processi all’interno del canale distributivo.
Si tratta di gestire le relazioni tra i vari soggetti e di coordinare le specifiche funzioni ed attività che
ciascuno svolge. La gestione del canale deve anche considerare la natura intrinsecamente
conflittuale delle relazioni distributive e deve cercare di trasformarla in una dimensione più
collaborativa. Un canale è coordinato quando i suoi vari soggetti interdipendenti agiscono in modo
da perseguire gli obbiettivi del canale come “sistema”, anziché privilegiare i rispettivi obbiettivi
individuali. Per favorire una maggiore coordinazione l’impresa deve adottare un approccio rivolto al
trade marketing. Per trade marketing si intende l’insieme di strategie e attività di marketing
specifiche attraverso le quali le imprese produttrici tendono a pianificare e gestire i loro rapporti
con le imprese distributrici. In sostanza, comprende tutte le iniziative di marketing dell’impresa
industriale che hanno come destinatario il cliente intermedio al fine di soddisfarne le specifiche
esigenze. Anche per il trade marketing si possono individuare alcune fasi tipiche:
Fase analitica, comprende l’analisi della domanda, l’analisi dell’ambiente e della concorrenza
Fase strategica, segmentazione targeting e posizionamento
Fase operativa, leve di trade marketing
Fase di controllo, verifica dei risultati
Nelle prime due fasi si possono seguire logiche e adottare metodologie analoghe a quelle del
marketing tradizionale. Nell’ambito della fase strategica è abbastanza frequente l’elaborazione del
c.d. Piano cliente-canale, in cui si specificano precisi obbiettivi da conseguire relativamente a un
dato cliente-canale e la strategie che si intende perseguire. Sono leve del trade marketing mix:
La gestione del canale è ancora più complessa in molti contesti attuali a causa della tendenza alla
multi-canalità. Il termine multicanalità viene utilizzato per definire alcune situazioni come:
CAPITOLO DODICESIMO
LO SVILUPPO E IL LANCIO DEI NUOVI PRODOTTI
L’impresa ha la necessità di svolgere un’attività di innovazione, di realizzazione di nuovi prodotti,
perché i prodotti presto o tardi sono destinati a morire, ed è quindi necessario che essi vengano
continuamente innovati. Secondo qualche studioso le funzioni dell’impresa sono sostanzialmente
due la funzione di marketing e la funzione di ricerca e sviluppo, poichè tutte le imprese oltre a
occuparsi di vendere i prodotti devono anche sviluppare l’attività di innovazione. Essa viene svolta
dalla funzione di ricerca e sviluppo, una funzione aziendale deputata a creare innovazione, cioè a
creare qualcosa di nuovo, innovazione che può essere di tre tipi:
In questo tipo di analisi dobbiamo riporre la nostra attenzione su innovazioni, che la maggior parte
delle volte riguardano sia il prodotto in sé che il processo produttivo.
La realizzazione di nuovi prodotti può essere sviluppata facendo riferimento a due vettori di
innovazioni, ossia due diverse modalità attraverso le quali si attiva il processo di innovazione; i
vettori di innovazione sono:
La SPINTA TECNOLOGICA o TECHNOLOGY PULL: secondo questo primo vettore i concept, ossia le idee
di prodotto nascono all’interno dell’impresa non su sollecitazione dell’ambiente esterno,
vengono spinti dalla tecnologia. Questi vettori danno vita prevalentemente a prodotti più
innovativi, perché se l’impresa aspetta sollecitazioni dai consumatori questi non hanno
conoscenze e competenze, mentre le innovazioni che vengono create e realizzate all’interno
delle imprese da persone specializzate sono realmente innovativi, perché il personale
tecnico ha maggiori competenze, guardano maggiormente al lungo termine; se invece sono
i consumatori a dare questi input, l’innovazione si realizzerà ma sarà leggera.
La TRAZIONE DELLA DOMANDA o DEMAND PULL: secondo questo vettore,invece, l’innovazione viene
tirata dalla domanda, si dice che il demand pull è un innovazione che fa riferimento al mondo
economico-finanziario, al mondo degli investitori, cioè persone che hanno i mezzi finanziari
e allora cercano delle imprese nelle quali investire, imprese che possano creare prodotti
innovativi. Altri autori, invece, quando parlano di demand pull fanno riferimento alla
domanda di mercato, cioè alla domanda dei consumatori.
Sia il vettore di innovazione di technology push che quello di demand pull ignorano il mercato,
ignorano il consumatore; perché uno fa riferimento alla spinta tecnologica, l’altro fa riferimento a
sollecitazioni che vengono dal mondo economico-finanziario. Il concetto di mercato è, invece, un
importante vettore di creazione delle innovazioni. È opportuno analizzare una classificazione delle
innovazioni, che fa ricorso ad una matrice, che classifica i tipi di innovazione a seconda del grado di
novità per l’impresa e del grado di novità per il mercato. Vi sono quattro tipo di innovazioni
particolarmente rilevanti:
NEW TO THE WORLD: sono prodotti nuovi sia per il mercato che per l’impresa. Tali prodotti
hanno richiesto all’impresa un importante sforzo in termini di investimento e il mercato li ha
vissuti come prodotti completamente nuovi rispetto all’offerta presente sul mercato.
RISEGMENTAZIONI: sono prodotti nuovi per il mercato ma non per l’impresa; rappresentano
un’importante forma di innovazione, poiché permettono ad un determinato segmento di
consumatori di beneficiare per la prima volta di un nuovo prodotto. Tali innovazioni di
mercato che lo ri-segmentano, si riferiscono a strategie di imprese che ad esempio
estendono l’utilizzo di un loro prodotto a nuovi segmenti di mercato.
IMITAZIONI: prodotti nuovi per l’impresa ma non per il mercato.
RIDUZIONI DI COSTO: presentano innovazioni limitate; poiché si tratta di prodotti che già erano
conosciuti sia dall’impresa che dal mercato ma che magari presentano una riduzione di costo
rispetto a quelli già esistenti.
PROCESSO DI INNOVAZIONE
La creazione delle idee, che può essere collegata a nuovi servizi a nuove esigenze
La selezione delle idee, in cui le idee create nella fase precdente vengono ridotte in un
numero limitato, sulla base dei principi di economicità, di accettazione da parte del mercato,
di fattibilità tecnologica e di efficienza economica-finanziaria del progetto
Lo sviluppo del prototipo, relativo alla creazione fisica del prototipo di prodotto e servizio in
modo da poter concretamente valutare la fattibilità tecnica ed economica, e quindi testare
l’indice di gradimento
Lo sviluppo del prodotto, relativo alla creazione definitiva del prodotto, per poter verificare
il suo successo potenziale in seguito al lancio sul mercato
Il lancio del prodotto sul mercato
Questo processo che conduce alla realizzazione del prodotto può essere sviluppato secondo due
approcci:
Recentemente è modificato il ruolo del consumatore all’interno dei processi innovativi, da soggetto
passivo è divenuto attivo; il cliente non è più semplicemente destinatario dell’innovazione, ma viene
considerato come partners o addirittura come protagonista dell’innovazione; si va a ricercare un
rapporto con il consumatore che possa dare all’impresa delle indicazioni dei suggerimenti. Questo
fenomeno di coinvolgimento del consumatore nel processo di innovazione prevede l’assorbimento
della conoscenza del cliente. La conoscenza del cliente si fonda su queste quattro dimensioni:
Queste quattro dimensioni vengono rappresentate su un sistema di assi cartesiani, dal quale si
evince che il problema è che molto spesso l’attività di innovazione tende nello studio della
conoscenza del consumatore a concentrarsi sugli aspetti core del prodotto, sulle caratteristiche
funzionali, su quello che è il consumo individuale della persona, su quelle che sono le esplicitazioni
dei suoi bisogni e dei desideri. Non si va invece a scavare in profondità cercando di capire qual è la
conoscenza tacita, cioè quanto non esprime il consumatore, quali sono i rapporti con il sociale, qual
è la dimensione simbolica del prodotto, o ancora agli elementi periferici del prodotto. Questa
rappresentazione ci indica che l’innovazione combinata con il consumatore non deve essere
circoscritta, ma sempre più deve svilupparsi lungo queste 4 direttrici. Per sviluppare questa migliore
conoscenza del consumatore si possono attuare delle tecniche di generazione della conoscenza di
tipo diverso, vengono prese in considerazione relativamente a quelle variabili che prima abbiamo
analizzato il locus della conoscenza e il livello di esplicitazione della conoscenza. Attraverso una
rappresentazione che prevede come variabili il locus della conoscenza e il livello di esplicitazione
della conoscenza vengono classificate quattro tecniche che prevedono la generazione di nuove idee
di prodotto:
LEAD USER TECHNIQUE ed EMPATHIC DESIGN: prevedono come locus della conoscenza il consumatore ed
un livello di esplicitazione piuttosto modesto. Sono delle tecniche diverse che vengono sviluppate a
seconda del tipo di mercato nel quale ci si trova ad operare: mercati b2b (impresa to impresa) o b2c
(mercati di consumo). I lead user sono gli utilizzatori del prodotto, coloro che già sono clienti
dell’impresa, che tipicamente già utilizzano il prodotto e sono in grado di dare dei suggerimenti su
come migliorarlo, sono quei soggetti dai quali l’impresa si attende un maggior contributo
all’innovazione, perché loro utilizzando il prodotto possono essere in grado di sviluppare nuovi
utilizzi di segnalare in maniera tecnica le problematiche che il prodotto presenta, non tutti gli
utilizzatori sono lead users; sono lead users soltanto quelli che presentano la capacità di fornire un
contributo. Si realizzano delle tecniche di coinvolgimento del consumatore o dell’utilizzatore nei
processi di creazione, ma non in maniera esplicita come possono fare i focus group, che sono gruppi
di utilizzatori o consumatori che vengono riuniti in una stanza e dove discutono sul prodotto sui
modi per migliorarlo, sulle loro esigenze, ed esplicitano la loro conoscenza in occasione di questi
incontri che potrebbero essere anche delle interviste in profondità, interviste ad uno ad uno. Nel
caso delle lead user technique e delle empathic design si cerca di acquisire la conoscenza dei clienti
in maniera indiretta facendo emergere cose che in realtà non vogliono dire coinvolgendoli magari
in progetti comuni di sviluppo. Ci si concentra sul cliente acquisendo le informazioni in maniera
indiretta, analizzando le loro tendenze di acquisto. Un esempio di queste tecniche è rappresentato
dai c.d. innomediari, sono tecniche attuate per riuscire a capire il pensiero dei consumatori, senza
fare delle interviste al FOCUS GROUP. Le imprese attraverso questi innomediari riescono a capire cosa
pensano i consumatori dei propri prodotti, quali sono i giudizi. L’impresa quindi acquisisce la
conoscenza in maniera indiretta, quindi, non facendo un intervista diretta, ma guardando i rapporti
che loro intrattengono con questi innomediari, che sono siti in cui i consumatori si scambiano giudizi
e pareri.
Una volta realizzata l’idea occorre passare alle fasi successive: lo sviluppo e il lancio del prodotto.
Affinché lo sviluppo e il lancio siano efficaci si deve agire su due variabili:
Integrazione fra le funzioni; integrazione significa che le funzioni devono dialogare le une
con le altre
Collaborazione con i clienti
Per quel che concerne il lancio del nuovo prodotto sul mercato un aspetto centrale nella logica
dell’innovazione basata sulla collaborazione di mercato consiste nell’identificazione dei segmenti di
clientela a cui indirizzare l’offerta in prima battuta. È possibile segmentare la popolazione in cinque
cluster di riferimento:
Questi segmenti di clientela mostrano una differente attitudine verso la sperimentazione del nuovo
prodotto e devono essere oggetto di attenzioni differenziali da parte dell’impresa. L’abilità di
riuscire a colpire pionieri e primi adottanti può favorire una più veloce diffusione del prodotto nel
mercato; sembrano inoltre meno sensibili al prezzo poiché più attratti dalle caratteristiche
intrinseche dell’innovazione.
CAPITOLO TREDICESIMO
IL MARKETING DIGITALE
Internet è il mezzo di comunicazione che ha generato una rivoluzione tecnologica che ha investito
tutti i settori dell’economia. Il web non cambia il principio secondo il quale il cliente svolge un ruolo
centrale nell’orientamento strategico dell’azienda e l’impresa deve sviluppare una value pro
position strutturata intorno alla capacità di soddisfazione del cliente stesso. La rivoluzione riguarda
il sostanziale potenziamento delle tecnologie di informazione e comunicazione che divengono
essenziali per competere nel mondo virtuale. In passato le aziende erano abituate a costruire il loro
marketing intorno al prodotto, oggi lo devono ripensare intorno all’informazione, poiché è
l’informazione è più in generale la conoscenza, a garantire il sostenimento del vantaggio competitivo
in ambienti virtuali. A parità di principi di marketing, le modalità analitiche, strategiche e operative,
con cui viene concretamente realizzata l’azione di marketing, necessitano di essere adattate alla
nuova realtà introdotta dal web di prima e, oggi, seconda generazione (il c.d. Web 2.0). mentre,
infatti, la teoria di marketing si adatta bene agli ambienti virtuali, i modelli di marketing
management richiedono un adattamento per poter essere impiegati in contesti digitali. Nel Web di
prima generazione, la rete è prevalentemente un ambiente informativo e necessita di una
produzione sistematica di contenuti. Nel Web di seconda generazione, che fa perno sul concetto di
user generated content (ovvero il contenuto è prodotto direttamente dagli utenti), alla dimensione
informativa si viene ad affiancare quella relazionale; infatti, le opportunità di collaborazione, tanto
fra impresa e clienti, quanto fra gli stessi clienti, si moltiplicano. In sintesi, fare marketing sul web
richiede un adeguamento dei modelli di riferimento tipici del marketing classico: la teoria rimane
immutata, i modelli invece, devono essere sensibilmente adattati ai nuovi contesti digitali.
Apertura e ubiquità: Internet è una rete aperta e ubiqua, che consente interazioni a costi
ridotti. Internet è una rete aperta nella quale tutti possono accedere e iscrivere contenuti; e
ubiqua nel senso che si può accedere da qualsiasi luogo. Contribuisce a ridurre qualsiasi
distanza, ed è un ambiente democratico dove tutti hanno accesso alle medesime
informazioni e possono portare il proprio contributo.
Flessibilità: questa proprietà riguarda una maggiore flessibilità dell’azione strategica e
operativa, con riferimento alla capacità di raccogliere informazioni dal mercato e alla
capacità di trasferire informazioni al mercato stesso. Grazie alla flessibilità Internet ha il
vantaggio di adattare i messaggi e i contenuti a soggetti differenti, mediante:
o Il tracking, che riguarda la tracciabilità, attraverso cui si riesce a vedere quali siti il
consumatore utilizza maggiormente
o Il profiling, attraverso cui si definisce il profilo del consumatore
È opportuno evidenziare, inoltre, che le proprietà degli ambienti virtuali potenziano i processi di
marketing lungo tre direttrici:
La direzione della comunicazione, poiché il dialogo a due vie aiuta l’azienda a raccogliere una
conoscenza sempre più approfondita sui clienti.
L’intensità e la ricchezza dell’interazione, che aumenta in virtù dell’opportunità di raccogliere
informazioni sempre più analitiche.
La grandezza e il raggio d’azione del pubblico raggiunto, che possono aumentare, poiché
l’azienda ha la possibilità di prendere parte in rete a interazioni mediate da terze parti
indipendenti, i c.d. innomediari.
L’ambiente virtuale prodotto dalla rete, non fa altro che alimentare la complessità strategica dei
processi competitivi e accresce ulteriormente l’idea secondo cui la customer satisfaction è al centro
dell’impresa.
Se, quindi, i principi di fondo del marketing non mutano nei contesti digitali, ma semplicemente si
potenziano, la stessa affermazione non si può sostenere nei confronti del marketing management
in rete rispetto ala marketing management tradizionale. Infatti, l’ampliamento e il potenziamento
degli elementi di marketing rendono necessario un aggiornamento degli strumenti che possono
impiegarsi per fare marketing management attraverso la rete. Gli strumenti utilizzati nel marketing
tradizionale sono quelli del marketing mix basati sulle quattro P; con l’avvento del nuovo marketing
centrato su interazioni con l’utente e condivisione di esperienza tra gli utenti, il marketing mix si
realizza attraverso le tre C: content (comunicazione impresa-utente), community (comunicazione
tra utenti) e commerce (che prevede le 4P).
Il cliente rimane l’epicentro della strategia dell’impresa, tuttavia, a differenza delle tecnologie
passate che non ne permettevano l’effettivo coinvolgimento nei processi di definizione dell’offerta,
il web consente al cliente stesso di cooperare con l’impresa e con altri clienti nella messa a punto.
Si è affermata sempre più una logica pull (tirata dal cliente) anziché push (spinta dall’impresa).
Mentre prima l’impresa produceva, il cliente consumava e il mercato era il luogo dove avveniva lo
scambio. Oggi, l’impresa e il cliente collaborano per co-creare valore e il mercato è il luogo in cui co-
creare il prodotto.
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
LE RICERCHE DI MERCATO
IL SISTEMA INFORMATIVO DI MARKETING
Sub sistema di rilevazione interna, si occupa della raccolta, conservazione e trattamento dei
dati necessari alla gestione aziendale. I dati a cui si fa riferimento sono quelli provenienti dai
sistemi di rilevazione aziendali (es. i dati di vendita o i risultati di un’azione di direct
marketing)
Sub sistema informativo di mercato, comprende i dati riguardanti il macro e il micro
ambiente; si tratta di dati secondari che provengono da fonti istituzionali o comunque da
fonti esterne all’impresa
Sub sistema di ricerca di mercato, quando le ricerche vengono commissionate a soggetti
esterni, in questo caso vengono raccolti dati primari
Sub sistema dei modelli di marketing, quando l’impresa realizza delle indagini, cioè ricerca
delle informazioni ad hoc per definiti obbiettivi conoscitivi
La scelta del disegno di ricerca è strettamente correlata alla definizione dell’obbiettivo; può essere
selezionato un disegno esplorativo, descrittivo o causale a seconda dell’obbiettivo. È bene precisare
che le ricerche esplorative vengono anche dette qualitative, mentre quelle descrittive e causali
vengono dette quantitative. La RICERCA ESPLORATIVA è volta a chiarire la natura di un problema, ad
acquisire una migliore comprensione di una situazione di mercato, a fornire indicazioni per
eventuali indagini future. La RICERCA DESCRITTIVA, invece, si propone di determinare le risposte alle
seguenti domande: chi, che cosa, quando, dove e come (es. definire la struttura di un mercato).
Infine, la RICERCA CAUSALE si propone di determinare i rapporti causa-effetto.
La scelta del disegno di ricerca, a sua volta, condiziona la selezione della tecnica di raccolta dei dati.
Esistono tecniche di raccolta che rispondono ad obbiettivi di tipo qualitativo o di tipo quantitativo.
Sono tecniche di tipo qualitativo:
CAPITOLO DICIOTTESIMO
IL PIANO DI MARKETING
Il piano di marketing si inserisce nell’ambito della pianificazione aziendale (business plan). Spesso,
infatti, le imprese operanti in ambienti competitivi e dinamici si trovano a dover gestire una
crescente complessità gestionale che richiede l’adozione di processi e strumenti decisionali
improntati alla pianificazione. La scelta dei processi e degli strumenti decisionali vengono poi indicati
nel piano di marketing. In funzione della dimensione dell’azienda e della numerosità delle
combinazioni prodotti/mercati, possono esistere più livelli gerarchici di pianificazione:
Piani di marketing con una valenza più strategica e aggregata per business unit
Piani di gruppo di prodotti, di categoria merceologica
Piani di prodotto o di marca
Queste gerarchie di pianificazione non hanno ragion d’essere nella aziende di piccole e medie
dimensioni, dove il tutto è più concentrato.
Il piano di marketing può essere idealmente suddiviso in cinque parti sequenziali e tra loro
strettamente interconnesse:
1. Introduzione al Piano, non è altro che un introduzione sull’azienda, sui suoi macro-obbiettivi;
in cui vi è la presenza di una sintesi manageriale l’Executive Summary
2. Analisi della situazione di Marketing
3. Swot analysis, in cui sono razionalizzate le minacce e le opportunità, le forze e le debolezze
dell’impresa
4. Planning, si concentra sulla pianificazione vera e propria delle decisioni di marketing a livello
degli obbiettivi, del buffe, delle azioni e della struttura
5. Controlli di marketing
INTRODUZIONE
Prevede l’Executive Summary, cioè il riassunto manageriale del piano di marketing; apre il
documento per mettere in risalto i principali obbiettivi di marketing, le linee guida d’azione
pianificate e un breve estratto delle previsioni economiche finanziarie, costituisce un vero e proprio
biglietto da visita del documento. Poi l’Introduzione vera e propria si concentra sugli obbiettivi di
fondo che l’impresa intende raggiungere nel breve e/o nel medio-lungo periodo; obbiettivi che
possono avere sia natura economica (es. fatturato, margini, quote ecc.) che non economica (es.
immagine ecc.)
Per definire degli obbiettivi di marketing mirati e raggiungibili, è necessario fare bene il punto della
situazione su quanto accade all’esterno e all’interno dell’impresa. L’analisi della situazione si
marketing è fondamentale perché racchiude in sé tutte le informazioni fondamentali per supportare
la pianificazione. Per realizzarla è necessario effettuare un audit di marketing:
Audit esterno, che è volto alla conoscenza dell’ambiente di marketing e delle forze che in
esso operano e contribuiscono a influenzare il comportamento dei clienti e dei concorrenti.
L’audit esterno, quindi, evidenzia e analizza quali sono e come si comportano queste forze,
in modo da identificare e valutare le minacce e le opportunità offerte:
o Forze economiche: fanno riferimento al reddito disponibile e spendibile da parte
delle famiglie, all’andamento dei risparmi, al livello di occupazione e di andamento
dei prezzi, al costo di indebitamento ecc.
o Forze socio demografiche: vengono messi in risalto tutti gli elementi legati alle
caratteristiche e ai cambiamenti del quadro socio demografico in grado di
evidenziare la presenza di opportunità o minacce per il business dell’impresa.
o Forze tecnologiche e politiche: nel primo caso si fa riferimento alla disponibilità di
nuove tecnologie, di materiali sostitutivi ecc. Nel secondo caso ci si riferisce, invece,
al ruolo giocato dalla politica (es. governi, partiti ecc.) e alla conseguenza di norme
che possano limitare o estendere il campo d’azione competitivo delle aziende.
o Forze competitive: l’impresa deve fare i conti con la qualità delle risorse aziendali a
disposizione e con le minacce provenienti dalla concorrenza. Le valutazioni del
quadro competitivo devono indicare e descrivere con chiarezza quali sono i principali
competitori diretti e indiretti (es. prodotti e tecnologie sostitutive emergenti)
Tramite l’analisi di queste forze si determina l’esistenza o meno di opportunità non ancora
sfruttate a livello di mercato, ed eventualmente di minacce che al contrario potrebbero
ostacolarne il successo o lo sviluppo futuro del business del prodotto.
L’audit interno, il cui obbiettivo è comprendere quali sono le risorse, le azioni e i risultati su
cui, rispetto all’ambiente di riferimento, l’azienda è confidente per il futuro. È opportuno
compiere un’analisi sulle aree dell’audit interno:
o L’offerta: è una valutazione che riguarda il valore offerto dall’impresa. L’analisi deve
concentrarsi sulle caratteristiche (tangibili e intangibili) più rilevanti dell’offerta.
o Le politiche di prezzo: è una riflessione critica sulle passate politiche di pricing; da cui
devono emergere in modo chiaro quali sono state le strategie e le tattiche di pricing.
o La comunicazione: è una descrizione delle principali attività di comunicazione svolte
in passato, specificando il mix e l’intensità degli strumenti di comunicazione utilizzati
.
o La distribuzione e le vendite: è la mappa delle scelte a livello dei canali distributivi e
della forza vendita. Molto del successo del prodotto può dipendere, infatti, dalle
strategie di canale, dalla tipologia di intermediari selezionati, dalla capacità di
condividere con loro le strategie di marketing , di comunicazione e di prezzo.
S.W.O.T. ANALYSIS
PLANNING
Con la formalizzazione della swot analysis, il piano di marketing entra in una fase cruciale in cui si
devono:
Per semplicità, gli obbiettivi di marketing possono essere raggruppati in tre categorie:
Per raggiungere gli obbiettivi di marketing è necessario pianificare un set di azioni efficaci ed
efficienti al tempo stesso. Si devono, quindi, prendere decisioni relativamente a:
Prodotto e marca: cioè si tratta di definire l’offerta che caratterizzerà il piano in termini di
qualità, quindi, di benefici tangibili e intangibili che si generano rispetto alla concorrenza. È
opportuno mettere in evidenza, anche aspetti legati agli elementi accessori come ad es. il
servizio, le garanzie pre e post vendita.
Politiche di prezzo: si deve definire in che modo si andrà ad incidere sulle performance
economiche e competitive dell’azienda. Il prezzo rappresenterà, infatti, una variabile
fondamentale nel posizionamento sul mercato.
Canali distributivi e forza vendita: il piano deve contenere indicazioni sulle strategie
distributive che s’intendono perseguire per raggiungere gli obbiettivi di marketing. Una volta
stabiliti i canali e le tipologie di clienti intermedi da servire, è opportuno stabilire i relativi
obbiettivi di vendita e di penetrazione, le varianti dell’offerta e il prezzo. infine si devono
prendere decisioni relativamente alla forza vendita che deve ricoprire un ruolo
fondamentale nei processi di comunicazione, erogazione e cattura del valore per l’azienda.
Promozione e comunicazione: sono decisioni che riguardano la comunicazione e la
promozione. Si tratta di definire il communication mix che può essere composto in varia
misura da strumenti come ad es. la pubblicità, la sponsorizzazione ecc. si deve decidere
anche su quali di questi strumenti s’intende puntare in funzione del target, con quale costi e
a fronte di quali ritorni attesi.
SCELTE DI STRUTTURA
A conclusione del piano è possibile riportare schematicamente alcune indicazioni e linee guida
d’intervento per la struttura commerciale. Si fa riferimento alla possibilità di specializzare il
personale di marketing e vendite, in base alle aree geografiche servite, ai prodotti/linee prodotti, ai
segmenti di clienti serviti e alle attività di vendita svolte.
Come conclusione possiamo dire che la stesura del piano di marketing rappresenta un momento
rilevante per riflettere sul futuro del business aziendale.