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UNA MATEMATICA LETTERATA

Piergiorgio Odifreddi
Novembre 2018

Le Memorie di infanzia (1889) di Sonja Kovalevskaja (nata Sofja Krukov-


skaja) costituiscono uno dei grandi racconti di formazione dell’Ottocento, e
raccontano in stile tolstojano la movimentata adolescenza di due sorelle russe
destinate a lasciare entrambe un segno nella storia: non a caso l’autobiografia
fu presentata per la prima volta come un romanzo, intitolato Le sorelle
Raevskij (1890).
Anna, la maggiore delle sorelle, causò da giovane uno scandalo in famiglia
quando si scoprı̀ che aveva pubblicato in segreto ben due romanzi nella rivista
L’Epoca diretta da Fëdor Dostoevskij, la cui reputazione di “giornalista ed ex
condannato ai lavori forzati” non era delle migliori. Lo scrittore si innamorò
nel 1866 della giovane e le propose di sposarlo, ma si consolò del suo rifiuto
pochi mesi dopo, trovando in Anna Grigorievna la sua seconda moglie e la
propria biografa. Anche se quest’ultima racconta in Dostoevskij mio marito
(1925) che la Krukovskaja gli aveva detto di sı̀, e che fu lui a ripensarci.
Da adolescente anche Sofja si infatuò di Dostoevskij, quand’egli prese a
frequentare la loro casa, e rimase poi sua amica in seguito. Nelle Memorie
racconta di aver notato nei Fratelli Karamazov (1879) una forte somiglianza
tra Alioscia e il protagonista del secondo romanzo della sorella, Michele
(1864): quando lo disse a Dostoevskij, lui rispose di averlo dimenticato, ma
non escluse di esserne forse rimasto influenzato inconsciamente. Non aveva
invece dimenticato Anna, che divenne la Aglaja dell’Idiota (1869).
L’autobiografia di Sofja si ferma al 1866, quando lei aveva sedici anni e
la sorella ventitré, ma il filo del racconto viene subito ripreso nella biografia
Sonja Kovalevskaja (1892), opera dell’amica scrittrice Anna Carlotta Mittag-
Leffler, sorella del matematico svedese Gösta e moglie del matematico italiano
Pasquale del Pezzo, duca di Caianello.

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La storia riparte dall’anno 1867, un periodo di grandi cambiamenti politici
e sociali nella Russia zarista. Questa volta è la sorella più giovane a causare
uno scandalo in famiglia, quando decide di contrarre un matrimonio bianco
con lo studente di biologia Vladimir Kovalevskij, con l’unico scopo di eman-
ciparsi dalla famiglia e poter andare a studiare all’estero, visto che in Russia
l’università era chiusa alle donne. I due si sposeranno nel 1868 ed emigr-
eranno in Germania l’anno dopo, vivendo indipendentemente le proprie vite.
A Heidelberg lei otterrà un permesso speciale per seguire come uditrice le
lezioni di luminari quali il fisico Hermann von Helmholtz e il chimico Robert
Bunsen. Durante una visita a Londra il marito incontrerà il biologo Charles
Darwin, dei cui lavori aveva effettuato la prima traduzione russa, e Sofja
frequenterà il salotto della scrittrice George Eliot, che scriverà nel romanzo
Middlemarch (1874): “la donna è un problema non meno complicato della
rotazione di un solido irregolare”.
La citazione riflette probabilmente le discussioni che la diciannovenne
Sofja fece nel salotto della Eliot con il filosofo Herbert Spencer, a proposito
della possibilità di un pensiero astratto femminile. Ironicamente, sarà proprio
la soluzione di un caso particolare del problema della rotazione di un solido
irregolare, la cosiddetta “trottola di Kovalevskaja”, a farle vincere vent’anni
dopo, nel 1888, il premio Bordin dell’Accademia delle Scienze francese, tanto
prestigioso quanto un premio Nobel moderno.
Per inciso, in precedenza il problema in questione era stato risolto da
Leonhard Euler per un solido che ruota attorno al proprio baricentro, e da
Joseph-Louis Lagrange per la trottola comune, che ruota attorno al punto
d’appoggio sul piano del proprio asse di simmetria. La Kovalevskaja indi-
viduò l’unico altro caso non banale in cui è possibile risolvere esplicitamente
il problema.
La sua capacità di pensare astrattamente, descritta in dettaglio da Roger
Cooke in La matematica di Sonja Kovalevskaja (1984), era emersa fin dalla
sua infanzia. Ella stessa racconta nelle Memorie l’effetto che ebbero su di lei
le conversazioni matematiche e scientifiche dello zio Piotr, la cui moglie era
stata assassinata dai servi, esasperati dal suo pessimo carattere. Il fascino
esercitato dalle dispense di analisi di Michail Ostrogradskij, usate da studente
dal padre, che le aveva poi impietosamente riutilizzate come tappezzeria per
la camera della ragazza. E il giudizio del suo primo professore di matematica,
al quale era stata raccomandata come “un nuovo Pascal”, che rimase stupito
dalla rapidità con cui ella assorbiva i concetti.

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Lo sbocciare del suo talento è invece coperto dalla Mittag-Leffler, che
narra degli studi della Kovalevskaja a Berlino con Karl Weierstrass, padre
dell’analisi matematica. Poiché alle donne era proibita la frequenza, il pro-
fessore fu costretto a darle lezioni private, ma alla fine riuscı̀ a convincere
l’università a concederle il dottorato senza farle sostenere esami, basandosi
solamente sui risultati da lei ottenuti. Uno dei quali era il fondamentale “teo-
rema di Cauchy-Kovalevskaja”, che stabiliva in generale l’esistenza e l’unicità
delle soluzioni di equazioni differenziali analitiche alle derivate parziali, di cui
Cauchy aveva dimostrato solo un caso particolare.
Nel 1874 la Kovalevskaja divenne la prima donna a ottenere (ovviamente
con lode) un dottorato in matematica, che le era costato quattro anni di
studio “matto e disperatissimo”. Anche se a volte fu costretta a staccarsi
dalla scrivania, come quando nel 1871 dovette andare a Parigi sulle tracce
della sorella Anna, che dopo averla seguita in Germania era finita sulle bar-
ricate della Comune al fianco di Victor Jaclard, un giovane amico di Karl
Marx. Dopo la repressione Anne scappò in Inghilterra, dove venne appunto
ospitata da Marx, ma Victor fu arrestato e condannato a morte, e venne poi
liberato rocambolescamente grazie a un’azione congiunta del vecchio padre
Krukovskij e dei due giovani coniugi Kovalevskij.
Il dottorato tedesco non bastò a Sofja per trovare un lavoro. Tornata
in Russia decise dunque di consumare finalmente il matrimonio, e nel 1878
partorı̀ la figlia Sofja: in seguito, per ovviare alla confusione causata dalla
ripetizione del nome, cambiò il proprio in Sonja, e con quello divenne nota
come matematica. Nel frattempo il marito si imbarcò in una serie di sfor-
tunate attività finanziarie, il cui insuccesso lo condusse infine al suicidio nel
1883.
In quello stesso anno Sonja, che già dal 1881 si era separata dal marito,
accettò una libera docenza a Stoccolma, su invito di Gösta Mittag-Leffler.
Nonostante le resistenze di una parte dell’accademia, l’anno dopo ricevette
un incarico quinquennale e nel 1889 divenne la prima europea a salire in
cattedra, sull’onda del successo ottenuto al premio Bordin.
In Svezia l’amicizia con la sorella di Mittag-Leffler stimolò il suo talento
letterario. Le due donne diventarono amiche sororali, e non solo ciascuna
lesse e corresse le opere letterarie dell’altra, ma ne scrissero anche una insieme
in svedese: La lotta per la felicità. Due drammi paralleli (1891), ispirata alla
teoria del caos che Poincaré stava studiando in quegli stessi anni.
L’idea era di raccontare due volte la stessa storia, una volta com’era

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veramente andata, e l’altra come avrebbe potuto andare. Tutto dipendeva
da ciò che succedeva in un punto di biforcazione, dove una piccola variazione
nella causa poteva provocare enormi variazioni negli effetti, in una sorta di
“effetto farfalla”. Nelle parole della stessa Sonja nel prologo: “in un momento
decisivo una piccola differenza di carattere nei due personaggi orienta la scelta
in due direzioni opposte, e questo fa sı̀ che i loro destini divergano senza
mai più reincontrarsi”. Un’idea che verrà poi sfruttata a fondo da Alain
Resnais nel film Smoking, No Smoking (1993), in cui quattro biforcazioni
produrranno ben dodici storie diverse (delle sedici possibili).
Ai drammi delle due amiche allude fin dal titolo il lungo racconto Troppa
felicità (2009) del premio Nobel per la letteratura Alice Munro, che dichiarò
di essere rimasta affascinata dalla combinazione di matematica e letteratura
nella vita della protagonista, e di aver attinto informazioni su di lei da Il
passerotto: un ritratto di Sofja Kovalevskaja (1983) di Don Kennedy.
Ma il romanzo più riuscito e leggibile della Kovalevskaja è forse l’autobio-
grafico La nichilista (1890), in cui le sue due nature si sdoppiano nelle figure
della narratrice letteraria e della protagonista scientifica. Anche se nella sua
vita queste due nature erano integrate, al punto da farle affermare in una
lettera del 1890 a Lydia Shabelskaja:

Chi non conosce la matematica la confonde con l’aritmetica e


crede che sia arida, ma in realtà è la scienza che richiede più
immaginazione. Non a caso un grande matematico del nostro
secolo [Weierstrass, in una lettera del 1883 a lei] ha detto che è
impossibile essere un matematico senza essere anche un po’ poeta.
Naturalmente, per capire questa verità bisogna abbandonare il
pregiudizio che l’immaginazione sia un modo per inventarsi cose
che non esistono. Lo sguardo del poeta e del matematico va solo
più a fondo, e gli fa vedere cose che ad altri sfuggono.

Queste parole sono quasi un testamento spirituale: Sonja Kovalevskaja


morı̀ infatti di polmonite nel 1891, a quarantun anni. La sua amica Anna
Leffler morı̀ nel 1892 di peritonite, a quarantatré anni, e la biografia di Sonja
rimase la sua ultima opera. La sorella Anna era invece già morta nel 1887
dopo una lunga malattia, a quarantaquattro anni. Tutte e tre avevano vissuto
all’insegna dell’epigrafe che la prima aveva apposto al lavoro presentato per
il premio Bordin: “Di’ quel che sai, fa’ quel che devi, venga quel che può”.

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