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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

CORSO DI LAUREA IN LINGUE E LETTERATURE MODERNE

ELABORATO DI:

LETTERATURA RUSSA V

Il diabolico in Vij di Nikolaj Vasil’evič Gogol’

ZOE MARZOLO

matr. 4322102207
Indice

 Introduzione

 La vicenda

 Choma Brut e i suoi compagni seminaristi

 Cцена скачки: Pannočka

 Vij

 Conclusione
Introduzione

Vij è un racconto di Nikolaj Vasil’evič Gogol’, pubblicato nella seconda parte della raccolta
Mirgorod del 1835 ispirata al mondo ucraino. In questa prima edizione la storia avrebbe dovuto
concludersi con la morte del protagonista ma, a stampa già avviata, Gogol’ decise di eliminare la
breve prefazione del racconto successivo (Storia del litigio tra Ivan Ivanovič e Ivan Nikifrovič) e
aggiunse a Vij un nuovo finale. Il racconto venne poi rivisto dall’autore per l’edizione successiva
del 1842. Il volume Mirgorod è strettamente collegato alla raccolta precedente Veglie alla fattoria
presso Dikan’ka (1829-1832) come suggerisce il sottotitolo Storie a continuazione delle Veglie alla
fattoria presso Dikan’ka. Con Vij, infatti, Gogol’ prosegue la sua ricerca “sui labili confini tra
orrido e grottesco”1 iniziata proprio sulle pagine delle Veglie.
Il racconto mitopoietico è incentrato sull’avventurosa vicenda di Choma Brut, uno studente di
filosofia che, soggiogato dall’incantesimo di una vecchia strega, la pannočka, si trova a dover

1
Serena Vitale, Introduzione, in Nikolaj Gogol’, Taras Bul’ba e gli altri racconti di Mirgorod, trad. di Luigi Vittorio
Nadai, a cura di Fausto Malcovati, Milano, Garzanti, 2017.
fronteggiare le forze demoniache fino all’apparizione del mostruoso Vij, capo degli Gnomi e, come
si legge in una nota al titolo scritta da Gogol’ stesso, “una colossale creazione dell’immaginazione
popolare”. Il racconto, in particolare la descrizione dei bursaki e delle loro abitudini, è
caratterizzato da un pungente e divertito realismo e dalla tipica ironia gogoliana. Questo tono non
cambia con la comparsa della strega, primo elemento fantastico che irrompe nella storia e che darà
via ad una serie di scene ed avvenimenti magici e oscuri. L’intreccio si snoda infatti sulla stretta
interconnessione tra lo spazio narrativo fantastico, incentrato sul susseguirsi di un crescendo di
orrori, e quello quotidiano delle gagliarde avventure conviviali e amorose del seminarista Choma
Brut, legato agli appetiti materiali e caratterizzato da una primitiva voglia di vivere e da un
atteggiamento superficiale e indifferente nei confronti del suo incontro con il demonio. Come
vedremo successivamente, Choma Brut e i suoi due compagni compiranno lungo il loro cammino
una serie di errori che condurranno il filosofo faccia a faccia con il demonio e ai quali non
presteranno alcuna attenzione.

Al contrario di quello che scrive l’autore stesso, il Vij, capo degni Gnomi, non è ispirato
all’immaginario folkloristico slavo, bensì le origini letterarie e leggendarie di questo personaggio,
così come dell’ambiente fantastico da cui proviene, sono da rintracciare nella letteratura e nella
tradizione occidentale. La credenza negli gnomi, infatti, per lo meno ai tempi in cui visse Gogol’,
non era diffusa tra i popoli slavi bensì tra quelli dell’area germanica. Quindi, più che provenire
dall’immaginario popolare, il Vij è un essere composito che sembra essere il frutto
dell’immaginazione di Gogol’. D’altronde sebbene il folklore slavo sia molto presente nel racconto,
molti motivi fantastici e fiabeschi del racconto come – per citarne uno – la descrizione del magico
paesaggio lacustre in cui Choma si specchia cavalcato dalla strega, sono da rintracciare anche nella
letteratura e nelle tradizioni romantiche mitteleuropee.

Sulle fonti letterarie di Vij si sofferma in maniera approfondita Michail Vajskopf, famoso critico
letterario israeliano, in Сюжет Гоголя. Морфология, Идеология, Контекст2. In particolare, il
critico porta alla luce le importanti interdipendenze del Vij di Gogol’ con la tradizione letteraria
tedesca, ma anche francese, romantica e preromantica, con alcuni temi biblici, con l’architettura
egizia e con il simbolismo massonico. Tra le principali fonti e sottotesti di Vij il critico Vajskopf
analizza i punti di contatto del racconto gogoliano con Le miniere di Falun e Il vaso d’oro di Ernst
Theodor Amades Hoffmann, con la fiaba Runenberg di Ludwig Tieck e con il romanzo Notre-

2
La principale fonte per l’analisi di questo elaborato è il libro di Michail Vajskopf, Sjužet Gogolja. Morfologija,
Ideologija, Kontekst, Moskva, Rossijskij gosudarstvennyj gumanitarnyj universitet, 2002. Per successive citazioni si
faccia riferimento a questa edizione.
Dame de Paris di Victor Hugo. Come illustra il critico israeliano attraverso il confronto di alcune
lettere inviate alla madre dell’autore e ad alcuni amici e colleghi come Maksimovich, in Vij si
possono individuare anche degli elementi autobiografici. Questo aspetto però acquisisce significato
funzionale solo se letto nell’interazione con una serie di altre sfere presenti nel racconto.

Lo scopo di questo elaborato è quello di individuare e analizzare immagini, figure e motivi della
demonologia ucraino-russa ed europea che appaiono nel racconto attraverso la particolare lente
caricaturale e fantastica di Gogol’, che solo nella sua giovinezza accoglie il diabolico nelle sue
opere, eliminandolo definitivamente con una virata moralistica del suo pensiero; e di indagarne le
origini letterario-leggendarie.

La vicenda

La storia ha inizio con il suono della campana del seminario di Kiev che invita tutti i bursaki,
grammatici, retori, filosofi e teologi a fare il loro ingresso. Ci troviamo nel mese di giugno, l’inizio
delle vacanze. La strada maestra è animata dalla folla studentesca che pian piano si disperde verso i
nidi familiari, lasciando il seminario quasi vuoto. In queste prime pagine Gogol’ si dilunga in
un’approfondita descrizione dei costumi e delle abitudini dei bursaki perennemente occupati nella
ricerca di cibo. Durante una di queste migrazioni tre seminaristi: il filosofo Choma Brut, il teologo
Chaljava e il retore Tiberio Gorobec, spinti da questa ricerca, deviano dalla strada maestra. Scesa la
notte, i tre studenti si rendono conto di aver perso il sentiero e, dopo alcune esitazioni sul da farsi,
decisi a non tornare sui loro passi, si avvicinano imprudentemente ad una piccola fattoria che
scorgono illuminata da lontano. Ad aprirgli è una vecchia in mantello di montone “nudo” che in un
primo momento rifiuta la loro richiesta di cibo e ospitalità. I tre seminaristi, però, ignorando di
avere a che fare con il demonio nei panni della старуха, si dichiarano disposti ad accettare
qualunque condizione dandogli così il consenso di fare con loro tutto ciò che desidera. Entrati nella
fattoria vengono sistemati separatamente per la notte. Choma viene messo nella stalla dove sarà
presto raggiunto dalla vecchia che con le braccia tese e gli occhi che ardono “di un insolito
splendore” lo immobilizza e lo cavalca trasformandolo in un cavallo. Volano insieme sopra la
steppa. Ci troviamo nella famosa сцена скачки che ha termine quando Choma, con grande sforzo
fisico e una serie di preghiere, riesce a cavalcare a sua volta la strega e a colpirla a morte con un
bastone. Solo quando giace ai suoi piedi si rende conto che la vecchia si è trasformata in ciò che
realmente è: una donna bellissima, gemente e con gli occhi pieni di lacrime. Il filosofo spaventato
fugge a Kiev e, tornato nuovamente a cercare cibo, si dimentica rapidamente della sua disavventura.
Passeggia già allegro per il mercato, si intrattiene con una “vedovella” e, a sera, se ne sta nella
bettola a bere e a fumare. Ben presto si viene a sapere che la figlia di uno dei più ricchi centurioni
cosacchi la cui fattoria si trova non lontano da Kiev, un giorno, di ritorno da una passeggiata, era
rientrata a casa con il corpo pesto e, in punto di morte, aveva dichiarato di volere che le esequie
fossero officiate per tre giorni proprio da Choma Brut. Il giovane filosofo viene così informato dallo
stesso rettore di doversi mettere subito in viaggio e che ad attenderlo ci sarebbero stati degli uomini
e un calesse inviati di proposito dal centurione il quale, se avesse eseguito tutte le volontà della
figlia, lo avrebbe ricompensato in denaro.
La maggior parte degli elementi autobiografici si scorgono, come illustra Vajskopf, oltre che nella
iniziale descrizione del seminario vuoto e degli studenti che fanno ritorno a casa 3, proprio
nell’episodio del viaggio di Choma verso la fattoria del cosacco. Il giovane Gogol’, infatti, in alcune
lettere a sua madre esprime il desiderio di volere una carrozza “adatta”, non troppo grande, come
era già capitato altre volte, per rientrare dal ginnasio Nižyn a Vasilevska il mese successivo alla
morte del padre, proprio a giugno. Allo stesso modo quella che accoglie Choma è una carrozza di
lusso, enorme, tanto da poter essere scambiata per una “хлебный овин на колесах”, “[…] она
была так же глубока, как печь, в которой обжигают кирпичи”.
Arrivato alla fattoria, lo studente cerca in tutti i modi di convincere il sotnik della sua mancanza di
capacità fisiche e mentali per compiere l’impresa ma il cosacco lo costringe ad accettare con
ripetute minacce.
A questo punto del racconto Gogol’, con l’abilità descrittiva che lo contraddistingue, fa un’accurata
raffigurazione del villaggio dove si trova la fattoria. Essendo nell’ambito di un testo mitopoietico, lo
spazio fisico del racconto assume un forte valore simbolico. Il villaggio viene descritto come un
terreno pianeggiante che si trova, a nord, delimitato da un ripido versante scosceso, percorso da
Choma e dagli uomini cosacchi per arrivare alla fattoria e sulla cui vetta “rosa da solchi e striature
di pioggia […] dall’aspetto brullo, argilloso, [che] incuteva mestizia” spunta un’erba selvaggia e
scura; e al lato opposto si dirada seguendo il pendio fin giù a valle. Quest’altissima e minacciosa
montagna che sprofonda fino al piano può essere associata alla montagna infernale dell’Ade ed è
contrapposta all’immagine pianeggiante e rigogliosa del villaggio ai suoi piedi che, a sua volta, può
essere vista come allegoria del Paradiso. L’aurea magica e sinistra è dunque presente sin dalla
descrizione paesaggistica dell’ambiente in cui si svolge la vicenda. In Gogol’ riecheggia in maniera
decisa la contrapposizione cristiana tra bene e male, alto e basso, luce e tenebre etc., che, al

3
Alcune frasi presenti nelle lettere a sua madre sono riportate praticamente uguali nel racconto. Ad esempio, in una
lettera alla madre del marzo 1825, lamentandosi del fatto che i genitori non gli permettevano di tornare a Vasilevska
prima delle vacanze, Gogol’ osserva con rimprovero: «У нас почти все порозъезжались, кроме тех, которые из
самых дальних мест». Questa frase è entrata a far parte del racconto: «Все почти разбродились по домам и
оставались те, которые имели родительские гнезда далее других».
contrario delle Veglie in cui è contemplata la continua transizione tra questi elementi opposti, in Vij
si configura come un’entità unica che li comprende sinteticamente secondo la teoria negativo-
teologica modernizzata nella teosofia di Schelling, della coincidentia oppositorum4. Inoltre, le trame
dei racconti romantici tedeschi – a cui egli attinge – si svolgono spesso sullo sfondo di un cupo
paesaggio di montagna alternato ad un paesaggio pacifico, proprio come in Vij5. Lo spazio fisico in
cui si svolge l’azione è l’espressione di un mondo capovolto, ctonio e sotterraneo, governato dagli
spiriti elementali che sembrano concentrarsi tutti nella царство стихийных духов, la giovane
fanciulla nelle sembianze della strega, terribile nella sua seducente bellezza. Tale è anche la regina
demoniaca delle profondità sotterranee delle Miniere del Falun o di Runenberg che, sottomettendo
l’eroe al suo fascino magico, lo rende schiavo e privo della sua volontà, sostituita con un темный
двойниок, un “notturno”, oscuro e primitivo Io.
Choma Brut, in preda alla paura, si reca in chiesa per vegliare la fanciulla. La chiesa è piena di luce
ma in alto è come se il buio fosse ancora più fitto: le forze oscure dominano la casa di Dio.
Continuando a rassicurarsi e cedendo alla tentazione di guardare la bella fanciulla che sembra più
viva che mai, lo studente comincia a recitare i salmi ad alta voce finché la morta, di colpo tutta
livida, si solleva dalla bara tentando di afferrarlo. Disegnandosi un cerchio attorno per proteggersi e
raddoppiando gli scongiuri, la prima notte riesce a sopravvivere. Al termine della seconda notte di
veglia Choma viene trovato in chiesa quasi morto, sfinito dalle terribili prove a cui il demonio lo
sottopone. Convinto a voler tornare a Kiev, tenta di scappare ma viene fermato da un vecchio
cosacco, uomo del centurione, che lo riporta alla fattoria. Giunge la terza e ultima notte di veglia.
Questa volta in chiesa fanno ingresso mostri, demoni e spiriti che cercano affannosamente Choma,
nascosto nel suo cerchio. Il cadavere invoca il mostruoso Vij, tozzo e arboreo, con il volto di ferro e
lunghe e pesanti palpebre che gli coprono gli occhi. Sollevate dai mostri, egli riesce a vedere
Choma e a puntargli contro il dito di ferro. Il filosofo, non ascoltando la sua coscienza che gli
suggerisce di non guardare, viene fulminato dallo sguardo del mostro e stramazzando al suolo
muore per la paura. È l’alba, i demoni non riescono a fuggire e rimangono intrappolati nelle porte e
nelle finestre della chiesa. La natura, poi, riprendendo il suo spazio, la ricopre di piante, erbacce e
rovi cancellandone per sempre le tracce e la memoria. Il racconto, a struttura circolare poiché sulla
fine riprende alcuni elementi dell’inizio come il suono delle campane di Kiev, si conclude
parodicamente in un clima di festa e di ritrovata fratellanza: i compagni di Choma Brut, il teologo
Chaljava, nominato campanaro, e Tiberio Gorobec, ormai filosofo, ne onorano il ricordo con
un’allegra bevuta all’osteria.
4
Come spiega la Treccani, secondo Nicola Cusano, filosofo e teologo tedesco, in Dio tutte le opposizioni coincidono e
nella sua indifferenziata unità egli contiene in sé la molteplice varietà delle cose, a cui come forma eterna dà l’essere
pur rimanendone nettamente separato come creatore dalle sue creature.
5
Cfr. Michail Vajskopf, Sjužet Gogolja. Morfologija, Ideologija, Kontekst, cit., pp. 198-199.
Choma Brut e i suoi compagni seminaristi

Le illustrazioni sono di R. Shteyn per un’edizione illustrata di Vij (1901).

Il filosofo Choma Brut, come suggerisce il nome stesso, è colui che non ha fede sufficiente. La
mancanza di fede e l’assenza di amore (inteso come amore universale, quello puro e misericordioso
di Dio) è infatti uno dei temi centrali del racconto oltre che motivo della sconfitta del filosofo nella
battaglia con il demonio. Come spiega Vajskopf, se Gogol’ scrivendo Vij avesse avuto un obiettivo
edificante, sarebbe stato sicuramente quello di “identificare l’inferno con la chiesa” 6. Nella chiesa
del villaggio dove Choma officia i funerali della strega Dio non c’è, il soffitto è dominato da un
buio fitto, i volti scuri delle icone sembrano più incupiti del solito e gli spiriti demoniaci entrano
rimanendovi intrappolati per sempre.
Choma è un uomo superficiale, incapace di vedere oltre e destinato a perdere contro il diavolo a
causa della paura. Egli non è un eroe, come lo è il fabbro de La notte di Natale, Choma è un
perdente. Un eroe, infatti, è tale proprio per la sua capacità di richiamare a sé le forze dello spirito e
di combattere contro il diavolo senza paura. Per colpa della sua superficialità e della sua paura,
invece, il filosofo commette una serie di errori che gli saranno fatali.
6
Ibi, pp. 221-222.
Il primo errore è quello di aver deviato dalla strada maestra e, quando se ne accorge, di rinunciare a
tornare indietro per ritrovare la retta via7. La metafora della strada e la sua funzione separatoria è
molto presente nella demonologia secondo cui ostacoli e improvvisi cambiamenti del tragitto
vengono associati alla volontà del demone di separare il protagonista dalla sua amata o dal suo
scopo. Choma e i suoi amici, nel compiere quella deviazione mossi dalla loro preoccupazione più
importante, la ricerca del cibo, non si rendono conto di essere entrati in uno spazio oscuro e
“sporco”, uno spazio demoniaco.
Il secondo errore lo commettono quando non riconoscono il demonio nei panni della strega. La
vecchia padrona della fattoria mostra la solita sgarbatezza, mancanza di gentilezza e diffidenza
tipica dei demoni, rispondendo con un rifiuto alla prima richiesta di aiuto. Ma i tre studenti si
dichiarano disposti ad accettare qualunque cosa arrendendosi incondizionatamente alla volontà del
demonio senza saperlo: “[…] Где хочешь помести нас. И если мы что-нибудь, как-нибудь того
или какое другое что сделаем, – то пусть нам и руки отсохнут, и такое будет, что Бог один
знает. Вот что!”. La superficialità dei seminaristi è ben evidente poiché si suppone che, studiando
teologia, avrebbero dovuto avere qualche conoscenza del mondo demoniaco e del suo
funzionamento che avrebbe loro permesso di riconoscere il demonio sotto mentite spoglie.
Fuggito a Kiev il filosofo compie ancora un altro errore. Invece di riflettere sull’accaduto e di capire
la stranezza del suo incontro con la strega, si intrattiene con una “vedovella” alla cui dimora viene
rimpinguato di cibo e verso sera si reca alla bettola dimenticandosi della sua disavventura. Questa
non è l’unica volta in cui Choma, preoccupato solamente di riempire la pancia vuota, si
dimenticherà dei fatti oscuri che gli stanno capitando. Appena arrivato al villaggio del sotnik,
riconosce spaventato la strega nella figlia del centurione che giace morta sul letto, ma ben presto
pensa già ad altro: “Голод, который в это время начал чувствовать философ, заставил его на
несколько минут позабыть вовсе об умершей”. Anche dopo la prima notte di veglia Choma si
comporta allo stesso modo:

Когда он проснулся, все ночное событие казалось ему происходившим во сне. Ему дали для
подкрепления сил кварту горелки. За обедом он скоро развязался, присовокупил кое к чему
замечания и съел почти один довольно старого поросенка.
Segue l’importantissimo dialogo del filosofo con il centurione che gli chiede informazioni sul suo
conto. Choma ammette di non conoscere la sua stirpe, di non sapere chi è suo padre né sua madre,
rinnegando così i suoi genitori. Si dichiara un “nessuno”, privo di capacità fisiche e mentali per
officiare una messa funebre. La sua è una doppia resa. Per certi versi Choma potrebbe essere
7
Questo motivo è presente anche in altri racconti demoniaci come ne La notte di Natale di Gogol’ in cui il sentiero non
si vede e i protagonisti rischiano di perdere la strada giusta ma anche ne I demoni di Aleksandr Puškin.
associato all’Anticristo in quanto quest’ultimo è colui di cui non si conosce la stirpe da cui
proviene, colui che è privo di legami e di appartenenza, un nessuno figlio di nessuno:

Хома и козак почтительно остановились у дверей.


– Кто ты, и откудова, и какого звания, добрый человек? – сказал сотник ни ласково, ни
сурово.
– Из бурсаков, философ Хома Брут.
– А кто был твой отец?
– Не знаю, вельможный пан.
– А мать твоя?
– И матери не знаю. По здравому рассуждению, конечно, была мать; но кто она, и откуда, и
когда жила – ей-богу, добродию, не знаю.

Un altro errore che Choma compie è il suo atteggiamento blasfemo nell’atto di fumare tabacco
all’interno della chiesa ortodossa, particolarmente restrittiva e conservatrice, mentre celebra i
funerali della strega. Dopo la seconda notte di veglia, il filosofo trasgredisce nuovamente.
Profondamente turbato dall’orribile esperienza appena trascorsa, tenta di fuggire ma viene raggiunto
da un cosacco che gli dice di aver sbagliato tutto, che avrebbe dovuto fare come lui e percorrere la
strada dritta.
L’ultimo errore, che poi gli costerà la vita, lo commette durante la terza e ultima notte quando
spaventatissimo, legge altre cose che non quelle scritte nel libro sacro. Contro la sua volontà, forse,
invocava spiriti maligni leggendo cose sbagliate. Proprio quegli spiriti che dopo poco fanno
irruzione riempendo tutta la chiesa e cercano di afferrare lo studente. Alla fine, Choma soccombe,
fa il suo ultimo grande sbaglio nel momento in cui non resiste alla tentazione di guardare il demone
Vij. Non è Vij a uccidere Choma: è Choma stesso a rendersi visibile, tramite il proprio sguardo. La
vendetta del demonio è stata compiuta e “l’anima carnale di Choma Brut torna alla sua fonte
metafisica e al suo padrone”8, quella di Choma è in effetti una iniziazione fatale all’esercito di
spiriti maligni.

8
Michail Vajskopf, Sjužet Gogolja. Morfologija, Ideologija, Kontekst, cit., p. 226.
Cцена скачки: Pannočka

La pannočka (letteralmente figlia di Pan) o ved’ma cioè strega, è una figura mitologica appartenente
al folklore ucraino-russo e più in generale a tutti i popoli slavi, presente anche in un altro racconto
di Gogol’ della stessa raccolta, Taras Bul’ba, e caratterizzata da tratti femminili e tratti demoniaci.
Essa può essere una donna anziana o una bellissima fanciulla che tenta di soggiogare l’eroe e di
sottometterlo al suo fascino magico. Una delle caratteristiche principali della strega è quella di
trasformare in animale, più spesso in un maiale o in un cavallo, chi si trova al suo cospetto, così
come avviene per Choma. La sua capacità di metamorfosi però non è rivolta solo all’oggetto ma
anche a se stessa. Ella può infatti tramutarsi in un cane feroce, in un lupo ma anche in un vampiro o
in un gatto dagli artigli affilati. Per l’appunto, tipico del demonio è il suo essere mutaforma: senza
forma e “tuttoforme” al contempo.
In Vij la strega si presenta in diverse “sembianze”. Dapprima la vecchia padrona della fattoria che
ospita i seminaristi per la notte e che cavalca Choma (motivo piuttosto frequente nella fiaba ucraina
quello della pannočka che tenta di cavalcare il suo “aspirante marito”), poi la bella fanciulla, figlia
del sotnik, dalle guance rosse e le ciglia nere. Ma le forme in cui ci appare la strega nel racconto non
sono finite. Con la narrazione di alcune terribili vicende che hanno interessato la figlia del
centurione da parte di alcuni uomini del villaggio riuniti a cena, si passa alle “trasformazioni
zoomorfe”. Si racconta infatti come la strega, trasformatasi in un cagnaccio, avesse azzannato al
collo una bambina succhiandole il sangue e avesse poi morso ripetutamente la madre (si noti una
certa natura vampiresca). Poi ancora si racconta di quando si era trasformata in una balla di fieno, di
quando aveva rubato il berretto e la pipa ad un uomo e tagliato le trecce a tante ragazze del
villaggio; comportamenti simili a quelli di un folletto dispettoso. Da ciò capiamo come la pannočka
del folklore slavo sia un essere diabolico che comprende in sé numerosi aspetti, atteggiamenti e
comportamenti di altre figure fiabesche e demoniache. D’altronde la natura del demone è subdola e
si manifesta in innumerevoli forme.
Vajskopf nella sua analisi evidenzia come il fatto che la vecchia si presenti ai tre studenti
indossando il mantello di montone con la pelliccia rivolta verso l’interno, quasi fosse la sua pelle,
sia già un indizio del suo “travestimento” e del suo nascondersi dietro quel corpo. Cito
testualmente: “[ella] che irrompe nella stalla, è come un lupo travestito da pecora”9.

Mentre volano sopra la steppa Choma, cavalcato dalla strega indemoniata, si arresta ad ammirare un
magico paesaggio fiabesco - dove compare una rusalka, altra figura appartenente al folklore e alla
mitologia russa ed europea - descritto in modo analogo nel racconto tedesco Le miniere di Falun di
Hoffmann che probabilmente Gogol’ lesse in francese. I fratelli di Serapione, infatti, furono
pubblicati in russo solo nel 1836 cioè dopo il racconto gogoliano. La descrizione di questa scena si
rifà alla teoria filosofico-naturale della coincidentia oppositorum che si concretizza nella mutua
trasformazione degli elementi naturali e nel capovolgimento dei punti di riferimento spaziali, il
sopra e il sotto. Leggiamo la descrizione del paesaggio in Vij:

9
Ibi, p. 191.
«Он опустил голову вниз и видел, что трава, бывшая почти под ногами его, казалось, росла
глубоко и далеко, и что сверх ее находилась прозрачная, как горный ключ, вода, и трава
казалась дном какого-то светлого, прозрачного до самой глубины моря. <...> Он видел, как
вместо месяца светило там какое-то солнце; он слышал, как голубые колокольчики, наклоняя
свои головки, звенели. Он видел, как из-под осоки выплывала русалка. <...> Она оборотилась
к нему — и вот ее лицо с глазами, светлыми, сверкающими, острыми, с пеньем
вторгавшимися в душу, уже приближалось к нему, уже было на поверхности и, задрожав
сверкающим смехом, удалялось <...> Она вся дрожит и смеется в воде».

L’intera scena suona quasi come una citazione da Le miniere del Falun di Hoffman, come una
rivisitazione dei sogni del suo marinaio diventato minatore:

«Ему пригрезилось, будто <...> вокруг растилается зеркальная гладь; но, кинув взглад на
волны, он разглядел, что вместо моря внизу была плотная и прозрачная сверкающая твердь
<...> То, что он сначала принимал за небеса, оказалось горной породой <...> Со дна поднялись
дивные цветы и растения, переливающиеся металлическим блеском <...> Дно было столь
прозрачно, что Эллину отчетливо были видны корни растений, но взгляд его, все дальше
проникая вглубь, скоро начал различать в самом низу бесчисленные сонмы прекрасных юных
дев, которые, блистая белизной нагих плеч, соединили руки в едином хороводе. <...> Когда
девы улыбались, сладостные аккорды воспаряли под обширными сводами, и все выше и
радостнее вытягивались кверху металлические цветы. Невообразимое чувство страдания и
блаженства охватило юношу, целый мир любви, неутолимой тоски и сладострастной неги
возник в его душе»10.

Non solo, l’unione degli opposti si esplicita anche nell’ “incoerenza” dei sentimenti di Choma e
nella fusione di emozioni polari presente nel già citato racconto di Hoffmann così come in molti
altri racconti più accessibili a Gogol’, per esempio nel Runenberg di Tieck e nelle affini opere
tedesche romantiche e preromantiche che trasferivano il principio della coincidentia oppositorum
agli stati psichici. Notiamo l’incredibile vicinanza tra i sentimenti di Choma nel Vij gogoliano e
quelli di Anselmo ne Il vaso d’oro di Hoffman. Gogol’ dice di Choma:

«Он чувствовал какое-то томительное, неприятное и вместе сладкое чувство, подступавшее к


его сердцу»; «Он чувствовал какое-то пронзающее, какое-то томительно-страшное
наслаждение»

10
Il testo è citato da Vajskopf in una traduzione moderna di I. Streblova.
Leggiamo ora la confusione di Anselmo:
«Он встрепенулся, трепет пробежал по его жилам — он пристально взглянул вверх — и пара
невиданно-дивных, темно-голубых глаз смотрела на него — а в них такая невыразимая тихая
грусть — и он чувствовал, что какое-то томительное, болезненное и вместе сладкое
чувство подступает к его сердцу, вливается к нему в душу с каким-то пронзительным
наслаждением, и он задыхался от полноты но¬ вого блаженства — это чувство давило его, не
умещалось у него в груди»11.

Inoltre, l’immagine naturale-filosofica del sole notturno e sotterraneo utilizzata prima dal
romanticismo tedesco e poi russo degli anni ’20 e ’30, è collegata, nel simbolismo occulto
dell’Egitto e di Iside, con la semantica della discesa nel buio degli elementi e della rinascita. A
questo proposito è interessante confrontare la scena di Choma che ammira la magia di questo
fenomeno con l’iniziazione di Lucio, l’eroe di Apuleio, divenuto sacerdote di Iside: “Sono giunto
sulla linea della morte, ho varcato la soglia di Proserpina e sono tornato, dopo aver attraversato tutti
gli elementi; a mezzanotte ho visto il sole in uno splendore radioso, sono apparso davanti agli dei
della terra e del cielo e da vicino mi sono inchinato a loro”. Oltre ai testi romantici Gogol’ potrebbe
aver trovato un motivo simile in Giuseppe, poema di Bitobe, nella traduzione in prosa di Fonvizin:
Ituriel, l'angelo d'Egitto, conduce Giuseppe negli "abissi" sotterranei, dove "risplende il più
gradevole fuoco del sole e i suoi raggi, emessi dal mezzo, aprono i semi della vita”12.

Vij

L’immagine femminile “sotterranea” e ctonia nelle trame “minerarie” dei racconti romantici
tedeschi, antesignana della strega in Vij, è solitamente completata da una maschile che svolge la
stessa funzione di rendere schiavo l’eroe. Vij, fulminando con lo sguardo Choma, ha portato a
compimento l’azione della strega, e cioè del demonio, di vendicarsi sul giovane filosofo
impedendogli di raggiungere il suo obiettivo: il denaro che avrebbe ricevuto in cambio della
celebrazione dei funerali della strega. Per questo il mostro può essere considerato il complementare
maschile della strega, il padrone del mondo sotterraneo e degli spiriti elementali. Vij è infatti il re
degli Gnomi, il “capo” di tutti quegli spiriti che lo accompagnano in chiesa l’ultima notte di veglia.
In Runenberg l’abitante del “vecchio scoglio”, la montagna che il protagonista scala, è l’ipostasi
maschile dell’eroina magica e ne Le miniere del Falun il vecchio minatore Thorbjorn è il padrone
del mondo sotterraneo che conosce i segreti delle “piante metalliche”13.
11
Cito i testi delle fonti in russo direttamente dal testo di Vajskopf.
12
Cfr. Michail Vajskopf, Sjužet Gogolja. Morfologija, Ideologija, Kontekst, cit., pp. 193-197 e pp. 211-212.
13
Ibi, p. 199.
Questi personaggi possono essere considerati i precursori di Vij il quale, anch’esso, combina nel
suo aspetto metallo e radici, ricoperto com’è di terra nera.
Come abbiamo già detto il Vij è un essere composito, partorito dall’immaginazione di Gogol’. Un
personaggio piuttosto surreale e fiabesco, con delle lunghissime palpebre che gli cadono fino a
terra, con le braccia e le gambe cosparse di terra che assomigliano a delle radici e con il volto e le
dita di ferro, che avanza pesante trascinandosi nella terra e inciampando ad ogni passo.
Vij, raffigurato con gli occhi chiusi, incarna anche la contrapposizione tra il voler vedere e il non
voler vedere, contrapposizione che si riflette proprio nel personaggio di Choma. L’ultima notte
infatti il filosofo “non aveva lo spirito per vedere” («не имел духу разглядеть») il mostro
malvagio, ma non appena ebbe questo “spirito” e guardò Vij, allora “l’anima volò immediatamente
fuori di lui dalla paura” («тут же вылетел дух из него от страха»). In altre parole, la
conservazione e la perdita dello spirito/anima sono intrinsecamente equivalenti e rivelano il
coinvolgimento di Choma, il suo entrare a far parte del mondo dei demoni, la sua sconfitta contro il
diavolo14.
Dal punto di vista della teologia negativa, come suggerisce Vajskopf, nella storia sono aperte due
possibilità. Vij potrebbe coincidere con Dio come il “principe delle tenebre” («княз тьмы») o con

14
Cfr. ibi, p. 216.
Lucifero, con cui ha in comune il volto di ferro. L’oscurità che cattura la cupola della chiesa è
interpretata non in modo neoplatonico ma in modo gnostico: è Dio che è responsabile dell’esistenza
e del trionfo degli spiriti maligni, «Бог уж знает, как нужно; Бог все знает»; «Так уж воля
Божия положила»; «Так ему Бог дал». Secondo la teosofia, il volto terribile di Dio appare solo a
chi è spiritualmente immaturo, a chi non ha ancora conosciuto la propria interiorità, a chi è
affascinato solo dall’essere esteriore. Cioè proprio a Choma, un uomo superficiale e legato alla
materialità che alla fine, nel confronto con il demonio o con il “volto negativo” di Dio, questo dio
sotterraneo, soccombe, entrando a far parte del mondo demoniaco. La seconda possibilità, anch’essa
gnostica, è che il vero sovrano sacro venga catturato da Satana, o come Lucifero, irrimediabilmente
espulso dal mondo. In ogni caso non c’è un’alternativa “sacra”. Secondo le parole di Driessen: «B
церкви недостает только одного, а именно — Бога. Теперь, когда свершился суд земного
отца [Вия], небесное попечение исчезло».

Conclusione

Come abbiamo potuto notare attraverso questa analisi, la mitopoietica del giovane Gogol’ si
concentra, da una parte, sullo spirito romantico e dall’altra sul folklore. I critici romantici
interpretano questo dualismo come un mondo ideale a cui l’uomo deve tendere, gli studiosi del
folklore invece lo intendono come uno spazio di personaggi demoniaci e di morte. In ogni caso,
entrambe le parti sono concordi nell’affermare che ci si trova di fronte ad uno spazio del
miracoloso, dello spaventoso e del sovrannaturale. Come dimostrato da Vij dunque Gogol’ indaga
lo spettro del demoniaco in un modo peculiare, grottesco e caricaturale, particolarmente legato al
folklore e alle tradizioni sia ucraino-russe che europee. Ma egli è stato anche il primo, come afferma
Merežkovskij, a scorgere il male dove non c’è nulla di tragico, a vedere il diavolo senza maschera,
il suo volto terribile in quanto ordinario e volgare. In Vij assistiamo alla sconfitta dell’uomo contro
il diavolo, la stessa sconfitta che vive Gogol’, il quale tenta di lottare contro il diavolo e di
sbeffeggiarlo ma alla fine, per la paura, soccombe eliminando completamente l’elemento
demoniaco dalle sue opere.

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