Sei sulla pagina 1di 73

FedorDostoevskij

L'ETERNOMARITO

SE, Milano 1997.


Traduzione di Corrado Alvaro
Con uno scritto di Ren Girard.
Titolo originale: "Vechnyj muz".

INDICE.

"L'eterno marito".
1. Vel'chninov.
2. Il signore in lutto.
3. Pavel Pvlovic Trusockij.
4. La moglie, il marito, l'amante.
5. Liza
6. Nuove fantasie d'un ozioso.
7. Il marito e l'amante si baciano.
8. Liza malata.
9. Incubo.
10. Al cimitero.
11. Pavel Pvlovic si vuole sposare.
12. In casa Zachlbinin.
13. Da che parte pende la bilancia.
14. Sshen'ka e Nden'ka.
15. Si regolano i conti.
16. Analisi.
17. L'eterno marito.
"Psicologia del sottosuolo" di Ren Girard.
***
L'ETERNO MARITO.

1.
VEL'CHANINOV.

Cominciava l'estate, e Vel'chninov, suo malgrado, era ancora a Pietroburgo; il suo viaggio nel sud
della Russia non l'aveva potuto combinare; il processo continuava e non ne vedeva la fine. La
faccenda, una causa per un possedimento, prendeva una cattiva piega. Tre mesi prima tutto pareva
liscio e chiaro, poi tutto cambi improvvisamente. "Del resto, succede cos d'ogni cosa: tutto
cambia" si ripeteva spesso Vel'chninov di cattivo umore. Aveva preso un buon avvocato, caro e
conosciuto, non aveva risparmiato danari, ma per impazienza e per diffidenza fin con l'occuparsi
lui della cosa: aveva scritto una infinit di lettere che l'avvocato aveva cura di far scomparire,
andava pei tribunali, faceva fare delle indagini, e in realt metteva i bastoni fra le ruote; alla fine
l'avvocato si secc e lo consigli d'andare in campagna. Ma egli non si sapeva ancora decidere.
Godeva della polvere, del caldo soffocante, delle notti bianche di Pietroburgo che eccitano e
snervano. Abitava vicino al Bolshoj Teatr in un appartamento che aveva affittato da poco e che non
era di suo gusto. "Niente era di suo gusto!". La sua indolenza, che da un pezzo era cominciata,
cresceva ogni giorno.
Era un uomo che aveva molto e largamente vissuto: a trentotto o trentanove anni era gi molto
lontano dalla giovinezza e "tutta quella vecchiaia", come diceva, gli era piombata addosso
all'improvviso. Anch'egli capiva che non la quantit ma la qualit degli anni che aveva vissuti
l'avevano cos presto invecchiato e che la sua anima s'indeboliva pi presto del suo corpo. A vederlo
lo si sarebbe detto ancora un uomo giovane. Grande, forte e biondo, con una capigliatura morbida
senza un filo bianco e con una gran barba bionda che gli scendeva quasi a mezzo il petto. Poteva
sembrare a prima vista trasandato e inelegante, ma a guardarlo meglio si scopriva un uomo venuto
su con una educazione da signore. Conservava ancora un portamento distinto, fiero ed elegante che
contrastava con la goffaggine brusca che l'aveva preso. Aveva ancora quella scioltezza altera e fine
della quale forse nemmeno lui capiva l'importanza, sebbene avesse un'intelligenza non soltanto
chiara, ma sottile.
La carnagione del suo viso, bianca e rosa, era stata d'una delicatezza quasi femminile ed aveva
attirato su lui gli occhi delle donne. Anche ora, guardandolo, si diceva: "Che bella salute! sangue e
latte!". Soltanto che questa "bella salute" era intaccata dall'ipocondria. Dieci anni addietro i suoi
grandi occhi turchini avevano fatto un'infinit di conquiste; erano occhi chiari, vivi e spensierati che
fermavano lo sguardo che vi si imbatteva. Oggi, vicino alla quarantina, lo splendore e la bont
erano quasi scomparsi da quegli occhi gi contornati di sottili rughe e che esprimevano soltanto il
cinismo d'un uomo corrotto e stanco, l'astuzia, qualche volta il sarcasmo, ed anche una sfumatura
che prima non gli si conosceva, una sfumatura di tristezza e di sofferenza, una tristezza distratta e
quasi senza causa, ma profonda. Questa tristezza era pi forte quando era solo. Ed era strano che
quest'uomo, che due anni prima era stato gioviale, allegro e dissipato, che aveva saputo raccontare
cos bene certe storielle piccanti, fosse arrivato al punto da preferire la completa solitudine. Aveva
di proposito troncati i rapporti coi troppi amici dai quali forse avrebbe potuto non separarsi anche
dopo la rovina della sua ricchezza. L'orgoglio l'aveva consigliato, il suo orgoglio diffidente che gli
rendeva intollerabile la vicinanza dei vecchi amici e che a poco a poco l'aveva portato
all'isolamento.
Ma i suoi dolori non furono perci alleviati, anzi s'esasperarono e presero una forma curiosa e
nuova: cominci a soffrire per dei motivi impreveduti a cui in altri tempi non avrebbe nemmeno
pensato; dei motivi superiori a quelli che sino ad allora aveva tenuto in considerazione;
"supponendo che sia esatto esprimersi cos e che vi siano realmente dei motivi superiori e dei
motivi inferiori" pensava.
Era vero; si sentiva ossessionato dai motivi "superiori" dei quali non s'era mai curato. Quelli che in
fondo considerava come motivi superiori sono quelli dei quali nessuno, e con grande stupore, pu in
cuor suo ridere. In cuor suo, si capisce, perch con gli altri la faccenda diversa.
Sapeva benissimo che alla prima occasione avrebbe mandato al diavolo i segreti e i timorati
comandi della sua coscienza, che avrebbe mandato a spasso tutti i motivi "superiori" e ne avrebbe
riso lui stesso per primo. Le cose andavano cos, bench egli avesse acquistato una straordinaria
indipendenza d'idee nel giudicare i "motivi inferiori" che prima l'avevano completamente dominato.

Qualche volta, perfino, gli accadeva, alzandosi la mattina, di aver vergogna dei pensieri e dei
sentimenti che aveva avuti la notte durante l'insonnia (negli ultimi tempi soffriva d'insonnia).
Aveva notato da molto tempo d'avere un carattere troppo scrupoloso sul quale influivano tanto le
cose futili come le grandi, e cos s'era imposto di fidarsi il meno possibile di se stesso.
Intanto gli accadevano dei fatti che non poteva mettere in dubbio. Da qualche tempo, a volte
durante la notte, i suoi pensieri e i suoi sentimenti si modificavano fino a divenire quasi l'opposto di
quello che erano normalmente, e spesso non assomigliavano pi a quelli che aveva avuti durante il
giorno. Ne fu meravigliato e volle consultare un celebre medico del quale era amico; naturalmente
gliene parl come d'una facezia. Il medico gli rispose che l'alterazione e lo sdoppiamento dei
pensieri e delle sensazioni durante l'insonnia notturna un caso comune agli uomini "che pensano e
che sentono molto" e che a volte le convinzioni di tutta una vita possono cambiare ad un tratto per
l'azione deprimente della notte e dell'insonnia; che a volte si possono prendere senz'alcuna ragione
delle risoluzioni fatali, che per ci sono molti stadi, e che, insomma, se il paziente sente molto forte
lo sdoppiamento della personalit e ne soffre, quello il segno d'una vera malattia, e allora bisogna
agire senza indugio: il meglio di modificare completamente il genere di vita, cambiar di regime,
oppure viaggiare; e una purga doveva far certo buon effetto.
Vel'chninov non volle sentir altro e si convinse d'essere malato. "Questa dunque la causa
dell'ossessione che attribuiva a qualcosa di superiore; una malattia e niente altro" si ripeteva spesso
con amarezza, e non avrebbe voluto confessarselo. Poco dopo, quello che prima sentiva soltanto la
notte, accadeva anche di giorno ma con un'acutezza pi penetrante; ora vi provava un piacere
maligno e sarcastico invece dell'intenerimento di prima. Con sempre maggior frequenza gli
saltavano in mente "all'improvviso e Dio sa perch" certi fatti della sua vita trascorsa, e quei fatti gli
si presentavano in una luce insolita. Si lamentava da molto tempo d'aver perduta la memoria; aveva
dimenticato la fisionomia delle persone che aveva conosciuto proprio bene, e che quando lo
incontravano ne restavano sconcertate; gli capitava di dimenticare completamente un libro che
aveva letto sei mesi prima. Ed ecco che, malgrado questa evidente perdita della memoria, si
ricordava bruscamente di fatti passati, dimenticati da dieci o quindici anni, e la precisione di ogni
dettaglio era cos marcata che gli pareva riviverli. Certe cose poi le aveva dimenticate
completamente e gli pareva bizzarro perfino il fatto di ricordarsene. E questo era ancor niente; gli
uomini che hanno molto vissuto a volte trovano delle resurrezioni di questo genere. Ma l'importante
era che si ricordava di questi fatti in un modo affatto diverso, inatteso, e in una luce completamente
nuova. Perch questo e quest'altro atto della sua vita gli doveva fare oggi l'effetto d'un delitto? Non
ci avrebbe fatto gran caso se fosse stato soltanto un vago rimprovero della sua anima perch
conosceva troppo bene il fondo scuro, strano e malato del suo spirito. Ma queste riprovazioni
avevano un'eco pi profonda, e si malediva e quasi ne piangeva tra s.
Che avrebbe detto due anni prima se gli avessero predetto che un giorno avrebbe pianto?
Non erano stati di sensibilit che gli tornavano alla memoria, ma fatti che lo avevano mortificato;
insuccessi mondani, umiliazioni; si ricordava, per esempio, delle calunnie d'un intrigante in seguito
alle quali non fu pi ricevuto in una famiglia; oppure come non molto tempo prima era stato offeso
in pubblico e non aveva chiesto riparazione; o come un giorno, in compagnia di signore della
nobilt, non aveva risposto ad un frizzo che gli avevano rivolto. Ricordava due o tre debiti che non
aveva pagati; debiti insignificanti, vero, ma debiti d'onore, contratti con persone che non vedeva
pi e delle quali diceva male. Nei suoi peggiori momenti si ricordava anche, e ne soffriva, che
aveva sciupato nella maniera pi balorda due grosse fortune. Ma poi fu la volta dei ricordi e dei
rimpianti d'ordine "superiore".
Improvvisamente, per esempio, "senza un motivo" sorgeva dal fondo d'un oblo completo la figura
buona d'un vecchietto, un funzionario grigio e buffo che un giorno, era passato chiss quanto
tempo, egli aveva offeso, impunemente, senza ragione e per una fanfaronata; l'aveva fatto soltanto
per dire una parola motteggevole che era piaciuta e che poi aveva fatto strada. Aveva dimenticato
cos bene questa storia che non gli riusciva di ricordarsi il nome del piccolo funzionario; ma
rivedeva i dettagli della scena con una nettezza sconcertante. Si ricordava che il vecchio difendeva

l'onore della figlia, una ragazza gi d'et che viveva con lui e sulla quale in citt correvano voci
maligne. Il vecchietto s'era arrabbiato e gli aveva tenuto testa, poi improvvisamente era scoppiato in
lagrime davanti a tutti, cosa che fece una certa impressione.
Avevano finito per ubriacarlo di champagne e divertirsi. E adesso che Vel'chninov "senza un
motivo" si ricordava del vecchietto che singhiozzava col viso fra le mani, come un bimbo, gli
sembrava che non avrebbe mai potuto scordarsene. E, cosa strana, quella storia che prima aveva
trovata molto buffa, ora gli faceva l'impressione opposta, specialmente certi dettagli, e quel viso
nascosto fra le mani.
Si ricordava pure che, per svago, aveva diffamata la moglie onesta d'un maestro di scuola, e che la
diceria era arrivata alle orecchie del marito. Vel'chninov aveva subito abbandonata quella citt
senza sapere che seguito avesse avuto l'offesa, ma ora, improvvisamente, si domandava come
poteva essere finita la faccenda e Dio sa fin dove le ipotesi lo avrebbero condotto se un ricordo pi
recente non gli fosse saltato in mente: quello d'una giovinetta d'una famigliola borghese, che non gli
era mai piaciuta e dalla quale, senza quasi saper come, aveva avuto un bimbo; egli aveva
abbandonato madre e figlio senza un addio (per mancanza di tempo, vero) quando lasci
Pietroburgo. Pi tardi, per un anno intero, aveva cercata la ragazza senza riuscire a rintracciarla.
Ricordi come questi gli si presentavano a centinaia e ognuno ne risuscitava altri a diecine.
Abbiamo gi detto che il suo orgoglio aveva preso forme singolari. In certi momenti, rari vero,
dimenticava il suo orgoglio a tal punto che gli era indifferente di non aver pi la sua vettura,
d'andare a piedi al tribunale, vestito dimessamente, e, se per caso uno dei suoi vecchi amici
incontrandolo per strada lo sbirciava ironicamente o fingeva di non riconoscerlo, non se ne
adombrava nemmeno, a tal punto era arrivato il suo orgoglio. Era raro che queste cose gli
accadessero, ma non gliene importava affatto. Erano momenti passeggeri nei quali obliava se stesso
e la sua vanit; a poco a poco si disinteressava di tutto quello che prima aveva desiderato e si
concentrava su di un solo oggetto sempre presente nella sua anima.
"S," diceva con sarcasmo (era quasi sempre sarcastico quando parlava con se stesso) "c' qualcuno
che cerca di rendermi migliore e che mi suggerisce tutti questi ricordi maledetti e queste lagrime di
pentimento. Va bene. E poi? Fatica sprecata. Va bene le lagrime di pentimento; ma sono sicuro, coi
miei quarant'anni buttati via stupidamente, di esser diventato padrone di me stesso? Ma se domani
si ripresentasse la stessa occasione, se, mettiamo, io avessi interesse a dire che la moglie del
maestro di scuola accettava le mie proposte, sono sicuro che ricomincerei daccapo senza esitare e
sarei molto pi vile perch lo farei per la seconda volta. E se domani quel principotto al quale
undici anni fa spezzai una gamba con una rivoltellata tornasse ad offendermi, sarei sicuro di
provocarlo ancora, e lui si buscherebbe un'altra gamba di legno. Tutto questo rimugino del passato
non che polvere e non m'ha insegnato nulla. E perch devo rimescolare tutte queste storie quando
non so esser padrone di me stesso?".
Non trovava maestre di scuola da diffamare, o gambe da rompere, ma il solo pensiero d'esser
capace di queste cose lo schiacciava... certe volte. Perch non si pu sempre stare a pensare al
passato, bisogna pure che ci siano delle pause per riposarsi e distrarsi.
Era quello che faceva Vel'chninov: profittava subito delle pause per distrarsi ma pi il tempo
passava pi la vita di Pietroburgo gli diventava insopportabile. Luglio era vicino. Certe volte
decideva repentinamente di mandare alla malora tutto: il processo e il resto, e andarsene via senza
indugio, in un posto qualunque, in Crimea per esempio. Di solito, un'ora dopo rideva del progetto.
"Non c' n clima n paese che tenga. Adesso che ci sono non posso abbandonare tutto; e poi non
c' ragione. E perch me ne dovrei andare?" continuava con amarezza. "C' tanta polvere, tanto
caldo soffocante, questa casa cos brutta, ai tribunali dove passo le mie giornate con tutti quegli
uomini d'affari ci sono tante preoccupazioni, c' in tutta questa gente che riempie la citt, su queste
facce che passano dalla mattina alla sera un egoismo cos smaccato, una audacia cos grossolana,
una bassezza cos meschina, una cialtroneria cos bassa che questo davvero mi sembra il paradiso
degli ipocondriaci. Tutto cos sfacciato che non vale la pena di nascondere nulla; proprio come
fanno le nostre signore in campagna, al mare, all'estero, dappertutto; s, qua tutto degno della

maggior considerazione; non fosse altro che per la sincerit e per la semplicit... Io non me ne
andr! Creper qui, ma non me ne andr!".

2.
IL SIGNORE IN LUTTO.

Il tre luglio l'aria era pesante e il caldo soffocava. Quel giorno Vel'chninov aveva un gran daffare.
Perse tutta la mattinata alle corse; una visita urgente ad un consigliere di Stato, persona influente
che poteva essergli utile e che abitava lontano, in una casa di campagna sulla Ciornaia, gli prese
tutta la serata.
La sera, dunque, verso le sei, and a pranzare in un ristorante francese di meschina apparenza, sul
Nevskij Prospkt, presso il ponte della Polizia. Sedette al solito posto, al tavolino riservato a lui e
ordin il pranzo. Spendeva un rublo al giorno per pranzare, senza il vino che beveva di rado viste le
ristrettezze in cui si trovava. Si meravigliava spesso che si potesse mangiare con una cucina a quel
modo, eppure ingoiava fino all'ultima briciola, e con un tale appetito sempre, come se non avesse
mangiato da tre giorni. "Dev'essere un brutto segno" pensava quando se ne accorgeva.
Quella sera sedette al suo posto di malumore, gett con dispetto il cappello in un angolo, punt i
gomiti sulla tavola e si mise a pensare. Se per caso il suo vicino avesse fatto un po' di rumore o il
cameriere non gli avesse badato immediatamente, lui, che era quasi sempre cortese e che sapeva, al
caso, restare impassibile, avrebbe fatto certamente chi sa che chiassate, uno scandalo addirittura. Gli
servirono la minestra e Vel'chninov prese il cucchiaio ma, con un gesto repentino, lo scaravent
sulla tavola e diede un balzo sulla seggiola. Improvvisamente, chi sa come, aveva capito il motivo
della sua angoscia, della strana angoscia che da parecchi giorni, Dio sa come e perch, lo torturava e
lo assediava senza lasciargli un minuto di pace. Ora, di botto, capiva e vedeva questo motivo,
chiaro, come poteva vedere le cinque dita della sua mano.
- Il cappello! - mormor - quel maledetto cappello con quell'odiosa fascia da lutto. Ecco la causa di
"tutto"!
Vel'chninov cominci a pensare, ma pi pensava e pi diveniva cupo e "l'avvenimento" gli
sembrava strano. "Ma... ma... c' un avvenimento?" tentennava. "Che c' in tutto questo che somigli
a un avvenimento?".
Ecco che cosa era successo.
Una quindicina di giorni prima aveva incontrato per la prima volta, per istrada, in un posto, s,
all'angolo tra la via Pod'jceskaja e Meshchnskaja, un uomo che portava il lutto al cappello. Questo
signore era come ce ne sono tanti e non aveva niente che richiamasse l'attenzione; pass in fretta,
ma passando gett a Vel'chninov un'occhiata diritta che attir in modo straordinario la sua
attenzione. Ebbe immediatamente l'impressione di conoscere quella fisionomia. Doveva averla gi
incontrata.
"Mah!" pensava. "Ne ho vedute centinaia di persone come lui nella mia vita. E chi se le ricorda
tutte?". Dopo venti passi aveva dimenticato l'incontro, malgrado l'impressione che gli aveva fatto.
Nondimeno quest'impressione lo infastid per tutta la giornata, come un'irritazione vaga e curiosa.
Ora, dopo quindici giorni, queste cose gli tornavano nitide in mente. Si ricordava pure di non aver
potuto capire allora di dove gli venisse questa irritazione e non pensava nemmeno lontanamente che
il suo malumore potesse dipendere dall'incontro della mattinata. Ma quell'individuo ebbe cura di
non farsi dimenticare. Due giorni dopo si ritrov faccia a faccia con Vel'chninov lungo la Nev,
come la prima volta lo fiss in un modo strano. Vel'chninov sput in segno di disprezzo; ma non
l'aveva ancora fatto che si stup di esser arrivato a tanto. "Sicuro che ci sono certe facce che, senza
una ragione, ispirano un invincibile disgusto".
- Non c' pi dubbio, io l'ho incontrato delle altre volte, non ricordo dove - mormorava pensieroso
un'ora dopo.

E per tutta la serata fu di cattivo umore; la notte ebbe un sonno agitatissimo e non pens mai che
l'uomo in lutto poteva essere la causa del suo malessere nonostante che per tutta la sera gli
ritornasse spesso alla memoria. E s'infastidiva che "simili bagatelle" prendessero tanto posto nel suo
ricordo e sarebbe stato umiliato di dover attribuire a queste cose le sue sofferenze, se avesse dovuto
ammetterlo.
Due giorni dopo lo incontr tra la folla, ad un imbarcadero della Nev. Questa volta Vel'chninov
avrebbe giurato che "l'uomo in lutto" l'aveva riconosciuto e che la folla li aveva separati; era anche
certo che aveva fatto una mossa come per dargli la mano; e forse anche l'aveva chiamato per nome.
Il resto non l'aveva capito bene. "Ma chi dunque questa canaglia? Perch non mi viene a parlare,
se mi conosce, se vuole accostarmi?" pensava incollerito, mentre saliva su un fiacchere per farsi
portare al convento di Smol'nij.
Mezz'ora dopo discuteva calorosamente col suo avvocato; ma poi la sera e la notte gli riportarono il
corruccio e le fantasticherie. "Che abbia un travaso di bile?" si domandava inquieto guardandosi
nello specchio.
Passarono cinque giorni senza che "nessuno", senza che la "canaglia" desse segno di vita. Eppure
non poteva dimenticare l'uomo in lutto.
"Ma cos'ho, dunque, per occuparmi tanto di lui?" pensava Vel'chninov. "Anche lui avr molto da
fare a Pietroburgo. Ma per chi porta il lutto? Mi avr riconosciuto; io invece no. Ma perch porta il
lutto? Non ne ha l'aria. Credo che se lo vedessi pi da vicino lo riconoscerei".
Sembrava che qualche cosa affiorasse dai suoi ricordi: era come una parola conosciuta, scordata, e
che si fatica a ricordare. Si certi di saperla, quella parola, se ne conosce il significato, le si gira
attorno senza poterla afferrare.
"E' stato... stato... molto tempo fa... in un posto... C'era... c'era... Vada al diavolo. E' proprio il caso
di prendersela tanto per quella canaglia?".
Vel'chninov mont sulle furie. Ma la sera, a ricordarsi il suo "tremendo" furore si sent umiliato
come se qualcuno l'avesse sorpreso a fare una cattiva azione. Rest preoccupato e stupito. "Ci deve
pur essere una ragione perch io m'interessi tanto d'un ricordo" e non termin il pensiero.
Il giorno dopo ebbe una collera pi violenta, ma gli parve, questa volta, d'averne diritto e di aver
ragione. "S' mai vista una simile insolenza!". Era accaduto il quarto incontro col signore in lutto
che sembrava spuntato da sotterra. Ecco come and.
Vel'chninov aveva finalmente incontrato per istrada quel tal consigliere di Stato che cercava da
molto tempo. Questo funzionario che egli conosceva un poco e che avrebbe potuto essergli utile nel
suo processo, aveva manifestamente cercato di sfuggirgli. Vel'chninov, contento d'averlo
intoppato, gli camminava accanto, scrutandolo, cercando con ogni astuzia di condurre il discorso in
modo da strappargli la parola preziosa e tanto desiderata. Ma l'astuto vecchio stava in guardia e
rispondeva motteggevole, o taceva. Ed ecco che, proprio nel momento decisivo, lo sguardo di
Vel'chninov incontr, sul marciapiede opposto, quello del signore in lutto. Era fermo e guardava
fisso verso di loro; li seguiva, era evidente, e certo si doveva prendere gioco di loro.
- Il diavolo lo porti! - esclam Vel'chninov che s'era subito congedato dal funzionario e che
attribuiva l'insuccesso dei suoi sforzi all'improvvisa comparsa di "quell'insolente" - il diavolo se lo
porti ! Sono sicuro che mi spia, non c' dubbio, mi tien dietro; sar pagato per farlo e, per Dio, si
burla di me! Per Dio, l'avr da fare con me! Se avessi un bastone! Voglio comprar un bastone. Non
posso tollerar queste cose. Chi sar quell'individuo? Lo devo sapere.
Erano passati tre giorni da questo quarto incontro, quando abbiamo trovato Vel'chninov al
ristorante. Cos stavano le cose, per suo marcio dispetto. Esaminando tutto doveva riconoscere che
il suo strano umore e l'ansia che lo perseguitava da quindici giorni non avevano altra causa che
l'uomo in lutto, "quell'essere insignificante".
"Sono ipocondriaco, sicuro, sono sempre pronto a esagerare le cose; ma anche se fosse una mia idea
la cosa sarebbe grave lo stesso. Se un qualunque briccone capace di sconvolgere completamente
un uomo allora... allora...".

Questa volta, al quinto incontro, che avvenne quel giorno e che aveva messo Vel'chninov tutto
sossopra, parve che davvero tutto fosse una pura fantasia. Quell'uomo era passato ma questa volta
non aveva guardato Vel'chninov, parve che non lo avesse riconosciuto, camminava con gli occhi
bassi e sembrava che volesse passare inosservato. Vel'chninov s'era diretto verso di lui e gli aveva
gridato a gran voce:
- Dite, voi, quel signore col lutto! Fermatevi: chi siete?
Non c'era senso in queste domande ma Vel'chninov se ne accorse solo dopo che ebbe gridato.
L'uomo interpellato cos s'era voltato, aveva indugiato un poco, esit, sorrise, parve che volesse dire
o fare qualche cosa, era rimasto indeciso, poi s'era bruscamente allontanato senza guardare indietro,
Vel'chninov lo seguiva con lo sguardo, stupefatto. "Che sia io il persecutore, e non lui?" si diceva.
Finito il pranzo Vel'chninov corse alla villa del funzionario. Non era in casa. Gli risposero che
dalla mattina non era rientrato e che non sarebbe rincasato prima delle tre o delle quattro di notte
perch era in citt da suo nipote. Vel'chninov ne fu talmente contrariato che pens di andare a casa
del nipote. Ma strada facendo riflette che questo avrebbe potuto portare delle conseguenze, scese
dalla carrozza a mezza strada e si diresse svogliatamente verso casa sua, vicino al Bolshoj Teatr.
Sentiva il bisogno di camminare. Avrebbe avuto bisogno di una notte di sonno e di riposo per
calmare i suoi nervi, e per dormire doveva stancarsi. Rientr in casa alle dieci e mezza perch s'era
trovato molto lontano e si sentiva stanchissimo. La casa che Vel'chninov aveva affittata in marzo,
dopo tanta fatica per trovarla (si scusava che era di passaggio a Pietroburgo per quel maledetto
processo), non era poi cos incomoda e malmessa come diceva lui. L'ingresso, va bene, era scuro e
quasi indecoroso. D'altra parte non ce n'era altro all'infuori del portone. Ma l'appartamento, al
secondo piano, era composto di due stanze molto chiare e molto alte e separate da un'anticamera
quasi buia. Una delle stanze guardava nella corte, l'altra sulla strada. Alla prima era vicino uno
studio che poteva servire da camera da letto ma dove Vel'chninov aveva messo dei libri e delle
carte. Aveva scelto la seconda per camera e il divano serviva da letto. I mobili avevano
un'apparenza di comodit bench fossero piuttosto decrepiti. Sparse qua e l, le tracce dei tempi pi
prosperi: qualche oggetto di valore, dei soprammobili di bronzo, di porcellana, pezzi di damasco
autentico, due quadri di pregio; tutto in disordine e sotto la polvere accumulatasi dopo la partenza di
Pelageja, la ragazzetta che serviva Vel'chninov e che, improvvisamente, l'aveva lasciato per
tornare dai suoi, a Nvgorod.
Quando pensava alla strana situazione di una ragazza in casa di un giovanotto, che per nulla al
mondo avrebbe voluto mancare alla sua qualit di signore, Vel'chninov diventava rosso. Per di
Pelageja non poteva lamentarsi. Era andata da lui quando aveva preso in affitto la casa, in
primavera, lasciando una signora che partiva per l'estero. Pelageja era molto attiva e cominci
subito a metter in ordine quello che le era affidato. Vel'chninov, dopo la partenza della ragazza,
non volle pi prendere una donna per domestica. "E non valeva la pena, per cos poco tempo,
cercarsi un cameriere". D'altra parte detestava il servidorame; decise dunque che le stanze le
avrebbe ordinate ogni mattina la sorella della portinaia, Mavra, alla quale, quando usciva, lasciava
la chiave della stanza che dava nella corte. In fondo, Mavra non faceva niente, prendeva il salario e
forse rubava. Ma queste cose non gl'importavano ed era molto contento che la casa restasse vuota.
Ma qualche volta i nervi gli si tendevano in certi momenti di preoccupazione davanti a tutto quel
sudiciume, e spesso gli capitava, rincasando, d'entrare nella sua stanza con ripugnanza.
Quella sera Vel'chninov si svest in fretta e si mise a letto fermamente deciso di non pensare a
niente e di cercare d'addormentarsi subito. Infatti, cosa strana, appena pos la testa sul cuscino,
s'addorment. Era pi d'un mese che non gli capitava una cosa come questa.
Vel'chninov dorm tre ore, tre ore piene degli incubi delle notti di febbre. Sogn d'aver commesso
un delitto, un delitto che negava e del quale era accusato a gran voce da tanta gente che spuntava da
ogni parte. S'era adunata una folla enorme e dalla porta spalancata non faceva che entrare gente e
gente. Poi tutta la sua attenzione si fiss su di un uomo bizzarro, che aveva conosciuto molto bene
in passato, che era morto ed ora gli si ripresentava inaspettato. Quel che era pi penoso era che
Vel'chninov non sapeva chi fosse e non riusciva a ricordarsene il nome: solo ricordava d'avergli

voluto molto bene. Tutti quelli che erano l dentro aspettavano da questo uomo la parola decisiva;
un'accusa aperta contro Vel'chninov o la sua difesa. Ma quello rimaneva immobile, ritto e ostinato
davanti al tavolo. Il bruso non cessava, cresceva l'irritazione, finch Vel'chninov, esasperato dal
silenzio di colui, lo percosse e subito sent una calma strana. Il suo cuore, stretto dal terrore e dal
dolore, riprese il suo battito regolare. Poi lo riprese la collera, lo percosse di nuovo, e poi, come
ebbro di furore e di paura, in un'ebbrezza che confinava con lo smarrimento, torn a colpirlo senza
fermarsi, sentendosi sempre pi acquietare. Li voleva stritolare tutti. Ma tutti gettarono un grido di
terrore e si slanciarono verso la porta mentre nello stesso tempo risuonavano tre scampanellate cos
forti da sembrare che qualcuno avesse voluto strappare il campanello. Vel'chninov si dest, apr gli
occhi, salt dal letto, corse alla porta, sicuro che dovevano aver suonato davvero, che qualcuno
voleva entrare. "Sarebbe stranissimo che un rumore cos netto, cos vero, non fosse che un sogno".
Con sua grande sorpresa, nessuno era dietro la porta, usc sul pianerottolo, guard per le scale,
nessuno. Il cordone del campanello era immobile. Sorpreso, ma rassicurato, rientr in camera.
Accese una candela e si ricord che la porta era soltanto accostata, che non era chiusa col
catenaccio e con la chiave. Gli erano capitate spesso simili dimenticanze senza ch'egli vi avesse
dato importanza. Pelageja gliel'aveva fatto notare molte volte. Apr di nuovo la porta, guard fuori,
poi chiuse e tir il catenaccio senza girare la chiave. L'orologio suon le due e mezza. Aveva
dormito tre ore.
Il sogno l'aveva agitato troppo e non voleva rimettersi subito a letto e prefer passeggiare una
mezz'ora per la camera, "il tempo di fumare un sigaro". Si copr alla meglio, s'avvicin alla finestra,
sollev la pesante tenda di seta e la tendina bianca. L'alba gi rischiarava la strada. Le chiare notti di
Pietroburgo gli avevano sempre tormentati i nervi. Negli ultimi tempi gli avevano reso le insonnie
cos frequenti che da qualche settimana aveva dovuto attaccare alle finestre delle grosse tende di
seta che non lasciavano entrare la luce. Lasciando entrare il giorno e dimenticando la candela sulla
tavola, si mise a camminare in lungo e in largo, in preda a una sofferenza acuta. Si rafforzava
l'impressione che gli aveva lasciato il sogno. Provava un profondo dolore pensando che aveva
potuto alzare la mano su quell'uomo e batterlo. "Ma quest'uomo non esiste, non mai esistito, ed io
mi torturo per un sogno".
Allora, come se su questo punto si concentrassero tutti i suoi dubbi, risolse che doveva essere
davvero malato, "un uomo malato".
Gli era sempre stato penoso riconoscere che invecchiava, o che era malandato in salute e nelle ore
pi tristi si metteva di proposito ad esagerare i suoi mali, compassionandosi.
- E' la vecchiaia; invecchio terribilmente - mormorava camminando. - Perdo la memoria, ho delle
allucinazioni, dei sogni, sento delle scampanellate. Che il diavolo mi porti! So per esperienza che
incubi di questo genere voglion dire che ho la febbre. Sono sicuro che anche la "storia" del lutto non
che un sogno. Avevo ragione ieri. Sono io, sono io che lo perseguito, non lui. Me ne sono fatto
uno spauracchio, mi fa paura e corro a nascondermi sotto il tavolo. E poi perch lo chiamo
canaglia? Pu anche essere una bravissima persona. L'aspetto non molto simpatico vero, ma non
ha nulla proprio di brutto. E' vestito come gli altri. Solo il suo sguardo... Ecco che ancora sto a
pensare a lui. Che m'importa del suo sguardo? Non posso vivere senza pensare a quel birbone?
Fra tutti questi pensieri ce n'era uno ben distinto e che gli dispiacque: che il signore in lutto doveva
essere stato un suo amico e che ora, quando lo incontrava, si burlava di lui perch sapeva un gran
segreto del suo passato e lo vedeva ora cos decaduto. Macchinalmente and alla finestra per aprirla
e respirare il fresco della notte, ma rabbrivid all'improvviso: gli pareva che davanti ai suoi occhi
accadesse una cosa prodigiosa.
Non aveva aperta la finestra, che si nascose precipitosamente nell'angolo: l, davanti alla sua casa,
sul marciapiede deserto, c'era l'uomo in lutto. Era fermo col viso rivolto verso la finestra; non
l'aveva scorto di certo, spiava la casa come se cercasse qualche cosa. Sembrava che stesse
riflettendo; alz la mano e si tocc la fronte con un dito. Alla fine si decise. Gett un'occhiata
all'ingiro, e poi a piccoli passi, sulla punta dei piedi, attravers la strada. Eccolo che si avvicinava
alla porta di servizio che l'estate resta aperta fino alle tre del mattino. "Viene da me" pens

bruscamente Vel'chninov ed anche lui, in furia, camminando sulla punta dei piedi, travers
l'anticamera, corse alla porta e vi si ferm dietro, inchiodato nell'attesa, stringendo il catenaccio con
la mano che gli tremava, con tutta l'anima protesa allo scalpiccio su per le scale.
Il cuore gli batteva cos forte che aveva paura di non sentire lo sconosciuto salire sulla punta dei
piedi. Veramente non capiva nulla, ma distingueva ogni cosa con una lucidit centuplicata. Pareva
che il sogno si fosse fuso con la realt. Vel'chninov era coraggioso. In passato aveva spinto fino
all'affettazione la noncuranza del pericolo, anche quando nessuno lo vedeva, solo per un suo gusto.
Ma questa era un'altra cosa. Il misero ipocondriaco di poco prima era trasfigurato, era divenuto un
altro uomo. Un riso nervoso e sommesso gli scuoteva il petto. Attraverso la porta chiusa indovinava
ogni movimento dello sconosciuto.
"Ah! Eccolo che entra, sale, si guarda attorno, ascolta nelle scale, respira appena, cammina a passi
di lupo... Ah!... Prende la maniglia della porta, spinge, cerca d'aprire. Crede che non sia chiuso.
Dunque sa che qualche volta mi dimentico di chiudere? Di nuovo spinge l'impugnatura. Crede forse
che la serratura debba cedere cos facilmente? E' brutto, s brutto andarsene come si venuti!".
Doveva essere accaduto come Vel'chninov se l'era immaginato. Qualcuno difatti era l, dietro la
porta, aveva cercato adagio e senza far rumore di sforzare la serratura e tirava la maniglia. "Certo
doveva avere la sua idea". Vel'chninov era deciso a risolvere l'enigma, aspettava con impazienza il
momento giusto, bruciava dal desiderio di scostare bruscamente il catenaccio, di spalancare la porta,
di trovarsi faccia a faccia col suo spauracchio e dirgli con calma: "Ma che fate qui, caro signore?".
E cos accadde. Quando credette che il momento fosse propizio, tir di scatto il catenaccio, spalanc
la porta e per poco non urt contro il signore in lutto.

3.
PAVEL PAVLOVIC TRUSOCKIJ.

L'altro era rimasto sul pianerottolo, immobile e muto. Rimasero cos sulla soglia della porta, uno in
faccia all'altro, senza una mossa, guardandosi fissi negli occhi. Stettero cos per qualche minuto,
poi, improvvisamente Vel'chninov riconobbe il visitatore. Anche l'altro cap d'esser riconosciuto
ed ebbe un lampo negli occhi. Il viso gli si schiar in un sorriso dolcissimo.
- Ho il piacere di parlare con Aleksj Ivnovic? -disse con voce tanto soave da parer persino buffa.
- E voi siete Pavel Pvlovic Trusockij? - chiese Vel'chninov con aria stupita.
- Noi ci siamo conosciuti nove anni or sono a T..., e, se permettete che ve lo ricordi, siamo stati
anche buoni amici.
- Pu essere, certo; ma sono le tre del mattino e voi da dieci minuti stavate provando se la mia porta
fosse chiusa o aperta.
- Le tre! - disse l'altro stupito guardando l'orologio. - E' vero, sono le tre. Scusatemi, Aleksj
Ivnovic; avrei dovuto pensarci prima di venire; me ne dispiace; mi spiegher un'altra volta; adesso
me ne vado.
- Niente affatto. Se avete qualcosa da dirmi fatelo subito - interruppe Vel'chninov. - Favorite
entrare qua, nella mia camera. Credo che sia questo che volete. Certo non sarete venuto di notte per
il bel gusto d'osservare la mia serratura.
Era confuso, spaventato, non si sentiva pi padrone di se stesso, e se ne vergognava. Che c'era, in
fondo, di misterioso e d'inquietante in questa avventura? Perch tanto smarrimento per aver visto
comparire la stupida figura di Pavel Pvlovic? Eppure, in fondo, non la trovava tanto semplice
questa faccenda, e aveva un continuo presentimento di qualche cosa che lo faceva tremare. Offr
una poltrona all'ospite ed egli s'assise bruscamente sul letto ad un passo da lui, un po' teso in avanti,
con le palme distese sulle ginocchia; aspettava che l'altro parlasse e lo guardava fisso, sforzandosi
di ricordarselo.

Cosa strana, l'altro taceva e pareva che non capisse che "doveva" spiegarsi subito; anzi guardava
Vel'chninov con aria d'attesa. Forse aveva paura, o forse si sentiva male, come un topo in trappola.
Ma Vel'chninov scatt:
- Che volete dunque? Non siete, credo, n un fantasma n un sogno. O siete venuto qui a farmi il
morto? Spiegatevi, piccolo padre.
L'ospite tentenn, sorrise, e cominci timidamente:
- M'accorgo che siete molto meravigliato che io sia venuto a quest'ora, e in circostanze cos strane...
Quando ripenso a quel che stato, e al modo con cui ci separammo... s, molto strano. Del resto
non avevo nessuna intenzione d'entrare in casa vostra, ed accaduto proprio per caso.
- Come per caso! Ma se v'ho veduto dalla finestra traversare la strada in punta di piedi!
- Ah! m'avete veduto! Allora vi assicuro che ne sapete pi di me. Ma vi faccio perdere la pazienza.
Ascoltate. Sono arrivato a Pietroburgo da tre settimane, per affari. S, sono proprio Pavel Pvlovic
Trusockij; m'avete riconosciuto. Sto cercando di cambiare impiego e di esser trasferito in un'altra
provincia, con un aumento di stipendio. Ma non voglio dir questo. Ecco, dunque, l'essenziale che
io stesso vado da tre settimane trascinando e inceppando il mio affare, s, l'affare del mio
trasferimento, e che, se tutto s'accomoda, male; far conto che non si sia accomodato nulla e non
me ne potr andare da Pietroburgo in questa situazione. Vivo come se non avessi pi scopo e son
contento di non averne. Nella mia situazione...
- Che situazione? Spiegatevi - interruppe Vel'chninov.
L'ospite lo guard, prese il cappello, e, solennemente dignitoso, gli mostr il lutto.
- Va bene, s, che situazione?
Vel'chninov guardava inebetito ora il lutto ora il viso dell'ospite. Improvvisamente arross ed ebbe
una scossa violenta.
- Che! Natl'ja Vasl'evna?
- S, Natl'ja Vasl'evna! Nel marzo passato, quasi improvvisamente, in due o tre mesi... La tisi. Ed
io son rimasto nelle condizioni che vedete.
Dicendo queste parole, l'ospite, con aria desolata, apr le braccia, tese la mano sinistra col cappello a
lutto, lasci cadere la testa calva sul petto per alcuni minuti.
Quel gesto e quella tristezza calmarono subito Vel'chninov; un sorriso ironico e quasi aggressivo
gli contrasse le labbra, ma scomparve subito. La notizia della morte di quella donna che conosceva
da molti anni, gli faceva una profonda impressione.
- E' possibile? - mormorava. - Ma perch non siete venuto da me apertamente e francamente?
- Vi ringrazio della vostra simpatia; la vedo e ve ne sono riconoscente. Bench...
- Bench...
- Bench ci siamo separati da molti anni, voi partecipate al mio dolore, vi preoccupate di me con un
interesse cos sincero che io ve ne sono molto grato, ve l'assicuro. Ecco che cosa vi volevo dire.
Non mi sono ingannato sul conto dei miei amici perch potrei dirvi a colpo sicuro, in questo
momento, chi sono i miei amici veri, e baster che io vi citi Stepn Michjlovic Bagautov; ma per la
verit, Aleksj Ivnovic, dal tempo dei nostri rapporti d'una volta, e, permettete che ve lo dica
giacch ho buona memoria, dal tempo della nostra vecchia amicizia son passati nove anni senza che
voi vi ricordaste mai di noi; e non ci siamo scambiata nemmeno una lettera.
Sembrava che recitasse una parte imparata a memoria. Mentre parlava, teneva gli occhi fissi sul
pavimento, ma senza che gli sfuggisse nulla di quanto accadeva. Vel'chninov s'era dominato e
ascoltava e guardava Pavel Pvlovic con delle impressioni bizzarre che andavano sempre pi
aumentando, e quando colui tacque gli passarono per la mente le idee pi strane e inaspettate.
- Come mai non v'ho riconosciuto prima? - esclam. - E ci siamo incontrati cinque volte per la
strada.
- Infatti vero; io m'imbattevo ogni momento in voi, e due o tre volte nella stessa sera.
- Cio, ero io che m'imbattevo in voi e non voi in me.
Vel'chninov si alz e scoppi improvvisamente in una risata convulsa. Pavel Pvlovic rest
immobile e zitto, l'osserv, e subito riprese:

- Non m'avete riconosciuto perch m'avevate dimenticato, e poi perch ho avuto il vaiolo che m'ha
lasciato le tracce sul viso.
- Il vaiolo? Gi, vaiolo. Ma come...?
- Come m'ha pizzicato? Tutto pu capitare, Aleksj Ivnovic: sono stato pizzicato.
- E' strano. Ma dite pure, caro amico.
- Dunque, sebbene io v'abbia ritrovato...
- Scusate, perch avete detto, poco prima, "pizzicato"? Bisogna parlare in un modo meno banale.
Dite pure, dunque, dite pure.
Si sentiva diventare allegro a mano a mano che parlava. Era scomparsa l'angoscia che lo soffocava.
Camminava a grandi passi su e gi per la stanza.
- E vero, v'ho ritrovato. Avevo deciso di venirvi a trovare fin da quando arrivai a Pietroburgo; ma
ve lo ripeto, io sono ora in un tale stato d'animo, sono talmente sconvolto fin dal mese di marzo...
- Sconvolto dal mese di marzo? Gi, sicuro! Scusate, fumate?
- Sapete che dal tempo in cui Natl'ja Vasl'evna...
- Ah, gi! Ma dunque, dal mese di marzo?
- Per quanto, una sigaretta.
- Ecco una sigaretta; accendetela, e... continuate. Continuate; troppo...
E Vel'chninov accese un sigaro e si sedette sul letto continuando a parlare. Pavel Pvlovic
l'interruppe:
- Ma anche voi, non siete un po' agitato? Siete sicuro di star proprio bene?
- Ma al diavolo la salute! - esclam Vel'chninov irritato. - Continuate, dunque!
L'ospite, a sua volta, scorgendo l'agitazione di Vel'chninov, si sentiva rassicurato e padrone di s.
- Che vi devo dire? Immaginate, Aleksj Ivnovic, un uomo morto, proprio morto; un uomo che,
dopo vent'anni di matrimonio, cambia vita, si trascina tra la polvere delle strade, senza meta, come
se andasse per le steppe, quasi fuori di s, con una specie di pazzia tranquilla. E' vero: io certe volte
incontro uno che conosco, magari un amico, e fingo di non vederlo per non andargli incontro in
questo stato d'incoscienza. In certi altri momenti, invece, ci si ricorda di tutto con tanta intensit, si
prova un bisogno cos imperioso di rivedere un testimone di quel passato ormai finito per sempre, ci
si sente battere il cuore con tanta forza che, giorno o notte che sia, bisogna correre assolutamente a
gettarsi nelle braccia d'un amico, anche se lo si debba svegliare alle quattro del mattino. Avr scelto
male l'ora, ma non mi sono ingannato sull'amico perch ora mi sento confortato. Quanto all'ora, vi
assicuro che io credevo che fosse soltanto mezzanotte. Succede che si beve il proprio dolore e si
finisce con l'ubriacarsene, allora non pi il dolore, ma una nuova vita che sento battere in me...
- Come parlate - disse con voce sorda Vel'chninov, divenuto improvvisamente triste.
- Gi, un modo curioso di spiegarmi.
- E... non scherzerete!
- Scherzare? - disse Pavel Pvlovic con un tono affannoso - scherzare proprio quando vi assicuro...
- Ah! non dite altro, ve ne prego.
Vel'chninov si alz e si rimise a passeggiare per la stanza. Cos passarono cinque minuti. L'ospite
si volle alzare ma Vel'chninov gli disse: - State seduto, state seduto! - E l'altro, docilmente, si
lasci ricadere nella poltrona.
- Dio mio, come siete cambiato! - riprese Vel'chninov fermandoglisi davanti come se l'osservasse
solo in quel momento. - Terribilmente, enormemente cambiato. Mi parete un altr'uomo.
- Non una cosa strana; son passati nove anni!
- No, no, non una questione d'anni, ma il vostro aspetto che cambiato, siete divenuto un uomo
diverso da quello che eravate!
- Eh s, pu essere; nove anni!
- O piuttosto, non cos soltanto fin dal mese di marzo?
- Eh, eh! - fece Pavel Pvlovic con un sorriso maligno - volete scherzare. Ma che cambiamento
trovate?

- Ecco: il Pavel Pvlovic d'altri tempi era una persona serissima, degna, e spiritosa; quello d'oggi
soltanto un "vaurien".
Vel'chninov era arrivato a quello stato di smarrimento in cui anche gli uomini padroni di se stessi
sono trascinati dalle parole.
- "Vaurien", vi pare? Non sono pi un uomo spiritoso? - chiese con arrendevolezza Pavel Pvlovic.
- Al diavolo lo spirito! Ora siete soltanto intelligente.
"Io sono insolente" pensava Vel'chninov "ma questa canaglia pi insolente di me. Dove vuoi
parare?".
- Ah, mio caro Aleksj Ivnovic- sospir a un tratto l'ospite agitandosi sulla poltrona. - Che fare
adesso? Il nostro posto non pi nel mondo, nella brillante societ del gran mondo! Siamo due
vecchi e veri amici e, ora che la nostra intimit divenuta completa, ricorderemo la preziosa unione
dei nostri due affetti tra i quali la defunta era un legame preziosissimo.
Come trasportato dallo slancio dei suoi sentimenti, curv di nuovo la testa e nascose il viso dietro il
cappello. Vel'chninov lo guardava con inquietudine e ripugnanza.
"Via, che tutta questa non sia una commedia?" pensava. "Ma, no, no, no. Non ha l'aria d'essere
ubriaco... Ma pu anche essere che sia ubriaco: abbastanza rosso. Ma del resto, ubriaco o no, per
me lo stesso. Insomma, che cosa vuole questa canaglia?".
- Vi ricordate, vi ricordate? - esclam Pavel Pvlovic, scostando il cappello, esaltato sempre pi dai
ricordi. - Vi ricordate le nostre gite in campagna, le serate, i balli, i divertimenti in casa di Sua
Eccellenza l'ospitalissimo Semn Semnovic? E le nostre letture serali in tre? E la nostra
conoscenza, quella mattina che mi veniste a consultare? Vi ricordate che stavate per perdere la
pazienza quando entr Natl'ja Vasl'evna e che, dopo dieci minuti, eravate il nostro miglior amico
come eravate stato per tutto un anno, proprio come nella "Provinciale" di Turgenev?
Vel'chninov andava su e gi lentamente, con gli occhi bassi, ascoltando con impazienza, con
ripugnanza, ma ascoltando attentamente.
- Non ho mai pensato alla "Provinciale", - interruppe - e non v'ho mai sentito parlare con codesta
vocina in falsetto, in una maniera che non da voi. Perch fate cos?
- E' vero. Un tempo io stavo zitto un po' pi e parlavo di meno - riprese vivamente Pavel Pvlovic. Prima preferivo ascoltare la defunta quando parlava. Vi ricordate come parlava lei, e con che
spirito? In quanto alla "Provinciale", e specialmente per quanto riguarda Stupend'ev avete ragione;
noialtri, la cara defunta ed io, spesso pensando a voi, dopo la vostra partenza, paragonammo il
nostro primo incontro con quella commedia. E veramente l'analogia era impressionante,
specialmente per Stupend'ev...
- Vada al diavolo il vostro Stupend'ev! - esclam Vel'chninov battendo il piede, irritato per quel
nome che gli ridestava ricordi inquieti.
- Stupend'ev? Ma se il nome del marito nella "Provinciale" - continu Pavel Pvlovic con la voce
pi mansueta di cui era capace. - Ma tutte queste cose sono in relazione con l'altra parte dei miei
ricordi, del tempo dopo la nostra partenza, quando Stepn Michjlovic Bagautov ci concedeva la
sua amicizia, proprio come voi, ma per cinque anni interi.
- Bagautov? Quale Bagautov? - replic Vel'chninov piantandosi davanti a Pavel Pvlovic.
- Ma Bagautov, Stepn Michjlovic Bagautov, che divenne nostro amico proprio un anno dopo di
voi e... per l'appunto come avevate fatto voi.
- Ma s, ma s, lo conosco! - riprese Vel'chninov. - Bagautov? Mi pare che fosse un funzionario
della vostra provincia.
- Sicuro. Era funzionario presso il governatore. Era di Pietroburgo. Un giovane elegante... distinto! esclam con un certo entusiasmo Pavel Pvlovic.
- Ma s, ma sicuro! Dov'ho la testa? Dunque, anche lui...
- Anche lui, s, anche lui, - ripet Pavel Pvlovic con lo stesso entusiasmo, cogliendo al volo la
parola imprudente del suo interruttore - anche lui! Fu allora che recitammo la "Provinciale" in un
teatro di dilettanti, in casa di Sua Eccellenza l'ospitalissimo Semn Semnovic. Stepn

Michjlovic faceva da conte, la defunta faceva "la Provinciale" ed io... io dovevo recitare la parte di
marito, ma mia moglie diceva che non ero capace e cos mi ripresero la parte.
- Ma che Stupend'ev! Siete Pavel Pvlovic Trusockij e non Stupend'ev - interruppe con violenza
Vel'chninov che non riusciva a contenersi e tremava per l'irritazione. - Scusate: Bagautov qui a
Pietroburgo. L'ho veduto io a primavera. Perch non l'andate a trovare?
- Ma io vado a casa sua tutti i giorni da tre settimane. Non mi vuol ricevere. E' malato, non pu
ricevere. Figuratevi che ho saputo che veramente malato, e molto. Quello un amico! Un'amicizia
di cinque anni! Ah! Aleksj Ivnovic, ve l'ho detto e ve lo ripeto: ci son dei momenti in cui si
vorrebbe essere sotterra e invece in certi momenti vorrei incontrare uno di quelli che hanno vissuti i
nostri tempi per piangere con lui, s, proprio per piangere.
- Credo che basti per oggi, non vero? - disse Vel'chninov annoiato.
- Oh, s, basta - disse Pavel Pvlovic alzandosi di scatto. - Mio Dio, son gi le quattro. Come vi ho
scomodato per me!
- Verr anch'io a farvi visita, e spero... Ma ditemi francamente... non siete ubriaco oggi?
- Ubriaco? Ma nemmen per sogno.
- Non avete bevuto prima di venir qui, o lungo la strada?
- Badate, Aleksj Ivnovic, che dovete avere la febbre.
- Domani verr da voi prima dell'una.
- S - insist Pavel Pvlovic - s, voi parlate come nel delirio. L'ho capito subito. Ne sono
mortificato... Certo v'ho importunato. S, ora me ne vado, me ne vado. Ma voi, Aleksj Ivnovic,
coricatevi e cercate di prender sonno.
- Ma non mi avete ancor detto dove abitate - disse Vel'chninov accompagnandolo verso l'uscita.
- Non ve l'avevo detto? All'albergo Pokrov!
- Dov' l'albergo Pokrov?
- E' vicino a Pokrov, nel vicolo... Ma, ecco che ho dimenticato il nome della strada ed il numero.
Insomma nel quartiere di Pokrov...
- Lo trover.
- Addio.
Era gi uscito sulle scale.
-Aspettate! aspettate! - grid bruscamente Vel'chninov. - Non ve la svignerete mica cos?
- Come "me la svigno"? - fece l'altro spalancando gli occhi e fermandosi sul terzo scalino.
Per tutta risposta Vel'chninov chiuse la porta, diede un giro di chiave e tir il paletto; poi rientr
nella camera e sput disgustato come se avesse toccato una cosa ributtante. Rest in piedi, in mezzo
alla stanza, immobile, per cinque minuti, e, di botto, senza spogliarsi, si gett sul letto e
s'addorment all'istante. La candela dimenticata accesa sulla tavola si consum tutta.

4.
LA MOGLIE, IL MARITO, L'AMANTE.

Vel'chninov dorm d'un sonno pesante e si svegli alle nove e mezza, si lev a sedere sul letto e si
mise a pensare alla morte di "quella donna".
L'impressione che aveva provata alla notizia della sua morte lo turbava e lo addolorava; era riuscito
a dominarsi davanti a Pavel Pvlovic; ma adesso che si trovava solo, tutto quel tempo trascorso da
nove anni gli si ripresent con una precisione estrema davanti agli occhi.
Quella donna, Natl'ja Vasl'evna, la moglie di "quel Trusockij", lui l'aveva amata, era stato il suo
amante, nel tempo in cui, per un'eredit, era rimasto un anno intero a T..., bench il suo affare non
richiedesse tanto tempo. La vera ragione era stata quella relazione. Quella relazione, quella
passione, l'avevano cos interamente preso, che era diventato quasi schiavo di Natl'ja Vasl'evna ed
avrebbe compiuto senza esitare le cose pi pazze e pi insensate per appagare un capriccio di quella

donna. Mai, n prima n dopo, gli era capitata una simile avventura. Verso la fine dell'anno, quando
fu inevitabile la separazione, Vel'chninov, avvicinandosi la data fatale, si sent disperato bench
quella dovesse essere una separazione di breve durata: e aveva perduta a tal punto la testa da
proporre a Natl'ja Vasl'evna di fuggire insieme, di andarsene insieme per sempre, all'estero. Ci
volle la resistenza tenace e motteggevole della donna che in principio, o che ne fosse infastidita, o
che volesse scherzare, mostr di acconsentire al progetto e l'obblig a partire solo. E dopo, non eran
passati due mesi che Vel'chninov, a Pietroburgo, si domandava se davvero avesse amata quella
donna o se fosse stato vittima d'una illusione senza riuscire a darsi una risposta.
Non lo faceva n per leggerezza n perch avesse una nuova passione; nei primi due mesi che
seguirono il suo ritorno a Pietroburgo rimase sotto un'impressione di stupore che gl'impediva di
notare qualunque donna, bench avesse ripresa la vita mondana e ne vedesse molte.
E sapeva benissimo che se fosse tornato a T..., malgrado cercasse di convincersi del contrario,
sarebbe ricaduto sotto il dominio di quella donna. Dopo cinque anni era sicuro di questo come il
primo giorno, ma questa constatazione non riusciva che a irritarlo e non poteva ricordarsi di quella
donna che con antipatia, vergognandosi dell'annata trascorsa a T... Non riusciva a capire come
avesse potuto innamorarsi cos stupidamente. I ricordi di quella passione non gli davano altro che
disgusto; arrossiva di vergogna sino a piangerne. Poi, lentamente, si calm; cerc di dimenticare e
c'era quasi riuscito. Ed ora, dopo nove anni, il passato risuscitava alla notizia della morte di Natl'ja
Vasl'evna.
Seduto sul letto, con la testa piena di idee tetre e disordinate, non sentiva e non vedeva chiaramente
che una cosa: che cio, malgrado la scossa che gli aveva dato la notizia, si sentiva calmo all'idea di
saperla morta.
"Non ho per lei nemmeno un rimpianto?" si chiedeva. La verit era che tutte le simpatie che aveva
avute per lei ora erano scomparse e poteva adesso giudicarla spassionatamente.
In nove anni di lontananza s'era convinto che Natl'ja Vasl'evna era il tipo perfetto della
provinciale, della signora della "buona societ" della provincia, e che forse lui era stato il solo che
s'era scaldata la testa per lei. Per aveva sempre dubitato che quell'idea fosse sbagliata, ed ora ne era
sicuro. I fatti gli davano torto: Bagautov era stato anche lui, per diversi anni, in relazione con lei, ed
era evidente che, anche lui, era rimasto "soggiogato". Bagautov era davvero un uomo della migliore
societ di Pietroburgo, "un essere stupido come non ce n'era altri" diceva Vel'chninov, e che non
poteva fare strada altro che a Pietroburgo. E quell'uomo aveva sacrificato Pietroburgo, cio il suo
avvenire, per restare cinque anni a T..., solo per quella donna. Era tornato poi a Pietroburgo, ma a
spasso "come una ciabatta vecchia". Quella donna doveva dunque avere qualche cosa di
straordinario, il dono di soggiogare, di asservire, di dominare.
Eppure gli sembrava che ella non avesse quello che ci vuole per soggiogare e per asservire. Era
tutt'altro che bella; e non giurerei che non fosse molto brutta. Quando Vel'chninov l'aveva
incontrata ella aveva gi ventotto anni. Non aveva un bel corpo; si animava alle volte
piacevolmente, ma aveva gli occhi veramente brutti; aveva uno sguardo troppo duro. Era molto
magra, la sua cultura era mediocre, aveva un'intelligenza ferma e penetrante, ma limitata. Aveva i
modi d'una mondana di provincia ma, bisogna dirlo, con molto tatto; era di gusto squisito e si
vestiva in modo perfetto. Aveva un carattere deciso e dominatore; era impossibile intendersi con lei
a meno: "tutto o niente". Portava, nei momenti scabrosi, una fermezza e un'energia superiore. Era
generosa, ma ingiusta e senza limiti; discutere con lei era impossibile: per lei due pi due non
facevano niente; mai, in nessun caso avrebbe riconosciuto d'essere stata ingiusta e d'aver torto. Le
innumerevoli infedelt verso suo marito non le pesavano sulla coscienza. Era fedele interamente al
suo amante a patto che non l'annoiasse. Le piaceva far soffrire i suoi amanti ma anche consolarli.
Era appassionata, crudele, e sentimentale.
Odiava la depravazione negli altri che giudicava spietatamente, bench fosse anche lei depravata e
non le piaceva sentirselo dire.

"Non se ne rende conto, sinceramente" pensava Vel'chninov quando era ancora a T... "E' una di
quelle donne che nascono per essere infedeli, e non c' pericolo che le donne di quel genere cadano
fin da ragazze; la loro sorte aspettare d'essere maritate. Il marito il loro amante, prima e dopo il
matrimonio. E per l'appunto son donne nate per trovar marito il quale naturalmente sempre
responsabile del primo amante. Seguitano cos sempre con la medesima sincerit, sino alla fine,
convinte d'esser veramente oneste e innocenti".
Vel'chninov era persuaso che esistessero donne simili ed era sicuro che ci fosse un tipo di marito
fatto apposta per donne come queste, e che anzi non avesse altra ragion d'essere che di esser fatto
per loro. Secondo lui la qualit principale dei mariti di questo genere era, per cos dire, quella di
"eterni mariti", anzi d'esser per tutta la vita mariti e nient'altro. "Uomini di questo genere vengono al
mondo e vivono soltanto per maritarsi, e, appena maritati, divengono una cosa che completa la
donna, anche se abbiano un carattere personale e deciso. Il distintivo di questi uomini l'ornamento
che tutti sanno; ed impossibile che non ne portino come non possibile che il sole non risplenda:
e non soltanto naturale che non lo sappiano, ma non potranno mai sapere le leggi della loro
natura".
Vel'chninov credeva certa l'esistenza di questi due tipi e Pavel Pvlovic Trusockij gli pareva il
rappresentante di uno di questi tipi a T... Quel Pavel Pvlovic che se n'era andato poco prima non
era naturalmente quello che aveva conosciuto a T... L'aveva trovato cambiato quasi per un prodigio,
ma lui sapeva che era naturale e non poteva essere che cos. Il vero signor Trusockij, quello che lui
aveva conosciuto, non poteva esser completo altro che sino a quando gli fosse vissuta la moglie:
quello che rimaneva ora era soltanto una parte di quel tutto, una cosa abbandonata alla ventura, una
cosa fuori del comune che non rassomigliava a nulla.
Del vero Pavel Pvlovic, quello di T..., ecco il ricordo che aveva serbato Vel'chninov e che gli
tornava ora in mente.
"Propriamente parlando, il Pavel Pvlovic di T... era un marito e nient'altro". Per esempio, se oltre a
questo era anche un funzionario, lo era perch doveva assolvere uno dei doveri principali della sua
parte di marito: avere un posto nella burocrazia perch sua moglie avesse una posizione nella
societ di T...; lui, per conto suo, era un funzionario molto zelante. Aveva allora trentacinque anni,
aveva anche una discreta fortuna che forse era una fortuna considerevole. Nel suo ufficio poi non
mostrava n un'attitudine degna di nota n un'incapacit degna di nota. Era accolto dalle persone pi
altolocate della provincia e aveva un aspetto distinto. A T... tutti eran pieni di riguardi per Natl'ja
Vasl'evna, cosa alla quale ella non dava troppo peso, perch riceveva gli omaggi come tributi
doverosi; sapeva accoglierli con molta disinvoltura, e aveva ammaestrato cos bene Pavel Pvlovic
che per distinzione di modi non era al disotto dei pezzi grossi della provincia. "Pu darsi" pensava
Vel'chninov "che fosse un uomo di spirito; ma siccome a Natl'ja Vasl'evna non garbava sentirlo
parlar troppo, non aveva occasione di mostrarlo. Probabilmente avr avuto dalla natura buone
qualit e difetti; ma le qualit restavano sotto il moggio e i difetti erano scoperti non appena
facevano capolino". Per esempio, Vel'chninov si ricordava che Trusockij era inclinato a far
qualche pettegolezzo, ma gli era proibito categoricamente; gli piaceva, alle volte, raccontare
qualche storiella, ma non gli era concesso altro che di raccontare delle cose insignificanti e
brevissime; gli sarebbe piaciuto di uscire un po', di andare al circolo, di bere tra amici, ma gliene
fecero passar subito la voglia. E il bello era che, malgrado queste cose, non si poteva dire che il
marito fosse tenuto sotto il calcagno dalla moglie. Natl'ja Vasl'evna aveva tutte le apparenze della
moglie sottomessa, e forse anche lei era convinta della sua obbedienza. Probabilmente Pavel
Pvlovic amava Natl'ja Vasl'evna sino all'abnegazione pi completa; ma era impossibile saperne
qualche cosa, visto il modo con cui la loro vita era combinata.
Pi d'una volta durante il suo soggiorno a T... Vel'chninov si era domandato se il marito sapesse
qualcosa della loro tresca. Aveva anche interrogata seriamente Natl'ja Vasl'evna a questo
proposito, ma lei era sempre andata in collera e rispondeva invariabilmente che un marito non sa e
non pu saper nulla di queste cose e che "in quelle cose lui non c'entrava". Altro particolare strano:
ella non motteggiava mai Pavel Pvlovic, non lo trovava n brutto n ridicolo, e l'avrebbe difeso a

ogni costo se qualcuno si fosse permessa qualche indelicatezza sul suo conto. Non aveva avuto
bambini e s'era dedicata alla vita mondana, ma amava la sua casa. I divertimenti non l'assorbivano
mai completamente; le piaceva occuparsi delle faccende domestiche e di lavorare per la casa. Pavel
Pvlovic ricordava ancora le serate di lettura in comune; era vero: Vel'chninov leggeva; anche
Pavel Pvlovic leggeva ad alta voce, e molto bene, con grande stupore di Vel'chninov. Per tutto il
tempo Natl'ja Vasl'evna ricamava ed ascoltava in silenzio. Leggevano i romanzi di Dickens,
qualche articolo di una rivista russa, e delle volte qualche cosa di "serio". Natl'ja Vasl'evna
stimava molto la cultura di Vel'chninov, ma in silenzio, come una cosa risaputa sulla quale non c'
pi niente da dire; in genere i libri e la scienza la lasciavano indifferente, come una cosa utile ma
che non l'interessava. Pavel Pvlovic ci si metteva qualche volta con impegno.
Questo legame si ruppe improvvisamente, quando la passione di Vel'chninov, che non aveva fatto
che ingigantire, stava per togliergli la ragione. Fu mandato via, semplicemente, all'improvviso, e la
commedia fu fatta cos bene che egli se ne and senza accorgersi che lo avevano buttato via "come
una ciabatta vecchia". Un mese e mezzo prima della sua partenza era arrivato a T... un ufficialetto
d'artiglieria, appena uscito dalla scuola. Fu ricevuto da Trusockij e invece di tre furono in quattro.
Natl'ja Vasl'evna accolse con molta benevolenza il giovanotto ma lo trattava come un ragazzo.
Vel'chninov non dubit di niente, non cap niente, nemmeno il giorno che gli dissero che la
separazione era necessaria. Fra le tante ragioni per le quali Natl'ja Vasl'evna gli dimostrava che
doveva assolutamente, immediatamente partire c'era anche questa: era incinta: bisognava che egli se
ne andasse subito, non fosse che per tre o quattro mesi, in modo che in nove mesi fosse pi difficile
al marito fare il conto, se gli fosse venuto qualche sospetto.
Vel'chninov la supplic di fuggire con lui a Parigi o in America; poi part solo per Pietroburgo
"senza nessun sospetto"; credeva che sarebbe stato lontano al pi tre o quattro mesi, altrimenti
nessun argomento sarebbe valso ad allontanarlo, ed a nessun costo. Due mesi dopo riceveva a
Pietroburgo una lettera di Natl'ja Vasl'evna che lo pregava di non tornare pi perch amava un
altro e che non era incinta; s'era sbagliata. Quest'ultima spiegazione era superflua; adesso capiva e si
ricordava dell'ufficialetto. Cos fu finita, per sempre. Qualche anno dopo seppe che Bagautov era
andato a T... e che c'era rimasto cinque anni. Si disse, per spiegarsi la durata della tresca, che
Natl'ja Vasl'evna doveva essere invecchiata molto per essere divenuta cos fedele.
Rimase cos seduto sul letto, quasi un'ora; finalmente si scosse, chiam Mavra, ordin il caff che
bevve avidamente, si vest e alle undici precise si mise alla ricerca dell'albergo Pokrov. Gli era
venuto qualche dubbio durante il discorso con Pavel Pvlovic e voleva chiarirlo. Non sapeva
spiegarsi tutta quella specie di fantasmagoria notturna che con l'ubbriachezza di Pavel Pvlovic,
forse anche per un'altra causa, ma quello che non riusciva a capire era perch si mettesse ora a
rimescolare le relazioni col marito di un tempo quando tutto era finito fra loro. Qualche cosa
l'attirava; aveva ricevuta un'impressione particolare nella quale c'era qualcosa che l'"attirava".

5.
LIZA.

Pavel Pvlovic non aveva niente affatto pensato a "fuggire" e chi sa perch Vel'chninov lo aveva
creduto, forse perch in quel momento egli stesso non ragionava. Alla prima domanda che fece in
un negozietto di Pokrov, gl'indicarono subito l'albergo, in un vicolo.
All'albergo gli dissero che il signor Trusockij abitava in un appartamento mobiliato presso Mr'ja
Sysevna, nel padiglione in fondo al cortile. Mentre saliva le scale di pietra del padiglione, strette e
sudicie, sent un pianto. Era una voce lamentosa di bimbo di sette od otto anni. Si sentivano
irrompere dei singhiozzi soffocati e nello stesso tempo un rumore di passi, degli urli che qualcuno
cercava di coprire, e la voce rauca di un uomo. Pareva che l'uomo si sforzasse di calmare il bimbo e
facesse di tutto perch non lo sentissero piangere; ma faceva egli stesso pi rumore del bimbo; la

sua voce era rude e il bimbo sembrava chiedere perdono. Vel'chninov si incammin per un
corridoio stretto sul quale s'aprivano due porte ai due lati; incontr una donna molto grande e grossa
e trasandata alla quale chiese di Pavel Pvlovic. Ella col dito gl'indico la porta dalla quale partivano
i singhiozzi. Il viso largo e rubicondo di quella donna di quarant'anni era indignato.
- Si diverte! - borbott dirigendosi verso le scale.
Vel'chninov stava per bussare alla porta ma cambi parere; apr ed entr. La camera era piccola,
ingombra di mobili semplici di legno dipinto. Pavel Pvlovic era in piedi nel mezzo della stanza,
senza panciotto, senza giubba, rosso e sconvolto. Gridando, gesticolando, ed anche picchiandola,
come parve a Vel'chninov, cercava di calmare una bambina di otto anni, vestita miseramente ma
da signorina, con un abitino corto di lana nera. Sembrava che la bimba fosse in piena crisi nervosa,
singhiozzava convulsamente, tendeva le mani verso Pavel Pvlovic come se volesse abbracciarlo,
supplicarlo, intenerirlo. Subitamente la scena cambi; vedendo il forestiero, la piccola gett un
grido e si rifugi in una cameretta attigua; Pavel Pvlovic, improvvisamente calmato, si rasseren
tutto con un sorriso simile a quello che aveva la notte precedente quando Vel'chninov aveva aperto
bruscamente la sua porta.
- Aleksj Ivnovic! - esclam con tono profondamente sorpreso. - Ma come avrei potuto
aspettarmi... Entrate, entrate vi prego! Qui sul divano... o piuttosto qui sulla poltrona... Ma io sono...
- Non fate complimenti, restate come siete. - E Vel'chninov sedette su una seggiola.
- Ma no, ma no, lasciatemi fare, cos sono un po' pi presentabile. Perch vi mettete in quell'angolo?
Sedetevi qui nella poltrona, vicino al tavolo... Io non v'aspettavo.
Si sedette su di una seggiola impagliata, vicinissimo a Vel'chninov per vederlo bene in faccia.
- Perch non m'aspettavate? Non v'avevo assicurato questa notte che sarei venuto a quest'ora?
- S, ma credevo che non sareste venuto; e poi, svegliandomi, pi mi ricordavo quello che era
successo, pi disperavo di rivedervi.
Vel'chninov gett un'occhiata attorno.
La camera era tutta in disordine, il letto disfatto, gli abiti buttati qua e l, sul tavolo dei bicchieri nei
quali avevano bevuto del caff, delle briciole di pane, una bottiglia di sciampagna aperta e
dimezzata, e accanto un bicchiere. Guard nella cameretta vicina: c'era silenzio, la piccola non
piangeva pi, taceva.
- Ne bevevate adesso? - chiese Vel'chninov accennando allo sciampagna.
- Oh! non l'ho bevuto tutto... - mormor Pavel Pvlovic imbarazzato.
- Siete molto cambiato !
- S, una cattiva abitudine, v'assicuro che da allora. Non mento, non posso trattenermi. Ma state
tranquillo, Aleksj Ivnovic, adesso non sono ubriaco e non dir delle bestialit come questa notte.
Ah! se qualcuno m'avesse detto, solo sei mesi fa, come sarei cambiato e m'avesse fatto vedere in
uno specchio quello che sono adesso, vi giuro che non l'avrei creduto.
- Dunque eravate ubriaco, questa notte?
- S - confess a mezza voce Pavel Pvlovic abbassando gli occhi. - Non ero ubriaco ma lo ero
stato. Bisogna che mi spieghi perch dopo l'ubriachezza divento cattivo, malvagio, quasi pazzo e
soffro tremendamente. Forse il dolore che m'induce a bere e allora mi capita di dire delle cose
stupide ed offensive. Dovevo sembrare molto bizzarro questa notte.
- Non ve ne ricordate?
- Come non mi ricordo? Me ne ricordo benissimo!
- Anch'io, Pavel Pvlovic, ho riflettuto e debbo dirvi che questa notte sono stato con voi eccessivo,
impaziente, lo confesso. Mi succede alle volte di non sentirmi bene e la vostra visita inattesa, di
notte...
- S, di notte, di notte! - disse Pavel Pvlovic, scuotendo la testa come condannandosi da se stesso. Come pu essermi capitato? Ma certo, e per niente al mondo, non sarei entrato in casa vostra; se
non m'aveste aperto, me ne sarei andato. Ero gi venuto da voi, Aleksj Ivnovic, otto giorni or
sono e non v'avevo trovato. Forse non sarei pi ritornato. Sono un po' fiero Aleksj Ivnovic,
sebbene sappia... il mio stato. Ci siamo incontrati in istrada ed ogni volta mi dicevo: "Ecco che non

mi riconosce, ecco che si volta". E' molto, nove anni, e non mi decidevo a fermarvi. Questa notte...
avevo dimenticata l'ora; e tutto colpa di questa (accenn alla bottiglia) e dei miei sentimenti. E'
sciocco, molto sciocco; e se voi non foste l'uomo che siete, poich, per riguardo al passato, venite
da me malgrado il mio contegno di questa notte, avrei perduto ogni speranza di riacquistare la
vostra amicizia.
Vel'chninov ascoltava attentamente: gli pareva che quell'uomo parlasse sinceramente ed anche
dignitosamente, ma tuttavia non gl'ispirava nessuna confidenza.
- Ditemi, Pavel Pvlovic, non siete solo qui? Chi quella bimba che era l quando sono entrato?
Pavel Pvlovic alz i sopraccigli con aria sorpresa, poi, con uno sguardo franco ed amichevole:
- Come? Quella bimba? Ma Liza! - disse sorridendo.
- Che Liza? - balbett Vel'chninov.
Ad un tratto qualcosa gli s'agit dentro; fu un'impressione improvvisa. Entrando, alla vista della
bambina era rimasto un poco sorpreso, ma non aveva avuto nessun presentimento.
- Liza, nostra figlia - insistette Pavel Pvlovic sempre sorridendo.
- Come vostra figlia? Ma Natl'ja Vasl'evna aveva avuto dei figli? - domand Vel'chninov con
voce quasi soffocata, sorda, ma calma.
- Certo... Ma, Dio mio, vero, voi non lo potete sapere. Dove ho la testa? Fu dopo la vostra
partenza che il buon Dio fece la grazia...
Pavel Pvlovic s'agit sulla seggiola, un poco commosso, ma sempre cortese.
- Io non sapevo niente - disse Vel'chninov divenuto pallidissimo.
- Gi, gi; come l'avreste potuto sapere? - rispose Pavel Pvlovic con voce velata. - Avevamo
perduta ogni speranza, la defunta ed io; ve ne ricordate: ed ecco che improvvisamente il buon Dio ci
bened. Quello che provai non si pu ridire. Nacque giusto un anno dopo la vostra partenza; no, non
proprio un anno. Vediamo; se non sbaglio partiste in ottobre o in novembre?
- Sono partito da T... il 12 settembre, mi ricordo benissimo.
- S, davvero? In settembre? Uhm... ma dove ho la testa? - disse Pavel Pvlovic con sorpresa. Dopo tutto, se cos, guardiamo: voi siete partito il 12 settembre e Liza nata l'8 di maggio;
dunque: settembre, ottobre, novembre, dicembre, gennaio, febbraio, marzo, aprile, circa otto mesi
dopo la vostra partenza. E se sapeste come la defunta...
- Fatemela vedere, portatela qui - interruppe Vel'chninov con voce soffocata.
- Subito, in questo momento... - disse Pavel Pvlovic.
E senza finire la frase, and nella stanzetta dove era Liza.
Passarono tre o quattro minuti; nella cameretta si discuteva a bassa voce, poi si sent la voce della
bimba.
"Prega che la lascino tranquilla" pens Vel'chninov.
Finalmente comparvero.
- E' tanto agitata, - disse Pavel Pvlovic - tanto timida, tanto fiera... il ritratto della madre!
Liza entr; aveva gli occhi asciutti e bassi. Suo padre la teneva per mano. Era una bimba agile,
piccola e molto graziosa. Alz vivamente i suoi grandi occhi azzurri sul forestiero, con curiosit, lo
guard seria, poi subito riabbass gli occhi.
C'era nel suo sguardo la gravit che hanno i bambini quando, soli, in presenza d'uno sconosciuto, si
rifugiano in un angolo e di l osservano con diffidenza la persona che non hanno mai visto. Ma
forse c'era anche in quello sguardo altra cosa che quel pensiero infantile, almeno cos parve a
Vel'chninov.
Il padre la condusse per mano fino a lui.
- Guarda, ecco uno zio che ha conosciuto la mamma; ci voleva molto bene, non devi aver paura di
lui; dagli la mano.
La bimba s'inchin leggermente e gli tese timidamente la mano.
- Natl'ja Vasl'evna non voleva che facesse l'inchino e le ha insegnato a salutare cos, inclinandosi
un poco e dando la mano, all'inglese - spieg il padre a Vel'chninov, fissandolo.

Vel'chninov si sentiva osservato ma non cercava pi di nascondere la sua angoscia. Rimaneva


seduto, immobile, tenendo nella sua mano la mano di Liza e guardandola attentamente. Ma la bimba
era assorta, dimenticava la sua mano in quella dello straniero, e con gli occhi non lasciava il padre
ed ascoltava con aria paurosa tutto quello che diceva.
Vel'chninov riconobbe subito i suoi grandi occhi azzurri, ma quello che lo colpiva di pi era la
stupefacente e delicatissima candidezza del suo viso ed il colore dei suoi capelli: in quelli si
riconosceva lui. Invece la forma del viso e delle labbra ricordavano nettamente Natl'ja Vasl'evna.
Intanto Pavel Pvlovic s'era messo a raccontare con molto calore e sentimento una storia. Ma
Vel'chninov non lo sentiva, non cap che l'ultima frase.
- Cos, Aleksj Ivnovic, vi potete immaginare la nostra gioia quando il buon Dio ci fece questo
regalo. Dal giorno che nata stata tutto per me e mi dicevo che se Dio m'avesse presa la mia
felicit, almeno Liza mi sarebbe restata.
- E Natl'ja Vasl'evna? - domand Vel'chninov.
- Natl'ja Vasl'evna? - disse Pavel Pvlovic con una smorfia. - Voi la conoscevate, sapete che non
le piaceva parlare; fu solo sul suo letto di morte... ma allora disse tutto! S, il giorno che precedette
la sua morte improvvisamente divenne nervosa e irascibile. Grida che con tutte quelle medicine la
vogliono uccidere, che non ha che un po' di febbre, che i due medici non capiscono niente, che
Koch (ve lo ricordate, il vecchio medico militare) l'avrebbe guarita in quindici giorni. Cinque ore
prima di morire si ricordava ancora che di l a tre settimane si doveva andare a far gli auguri a sua
zia, la madrina di Liza che abita in campagna, per la sua festa.
Vel'chninov si rizz bruscamente, stringendo sempre la mano di Liza; credeva di vedere nello
sguardo che la bimba teneva fisso sul padre, quasi un rimprovero.
- Non per caso malata? - domand con aria strana.
- Malata? Non credo, ma... come vanno le nostre cose... - disse Pavel Pvlovic con un'amarezza
inquieta. - E poi la bimba bizzarra, nervosa... Dopo la morte di sua madre stata malata quindici
giorni... isterismo. Piangeva, quando siete arrivato. Capisci, Liza, capisci? E perch poi? Sempre
per la stessa ragione: perch io esco, perch la lascio sola; e che non le voglio pi bene come ai
tempi della mamma: il suo rimprovero. E con quest'idea assurda si monta la testa quando non
dovrebbe pensare che ai suoi giocattoli. E' vero che qui non c' nessuno col quale possa giocare.
- Allora siete soli qui, voi due?
- Solissimi. C' una donna che viene una volta al giorno a fare pulizia.
- E voi uscite e la lasciate cos sola?
- Cosa volete che faccia? Ieri sono uscito e l'ho chiusa a chiave in quella camera. E' per quello che
oggi abbiamo avuto tante lagrime. Ma vediamo. Potevo fare in altro modo? Ditelo anche voi, due
giorni or sono discesa senza di me nel cortile e un monello le ha dato una sassata in testa; lei s'
messa a piangere ed a gettarsi su tutti quelli che erano nella corte domandando dove ero io. Com'
simpatico!... Ed io che esco per un'ora e rientro la mattina del giorno dopo come ho fatto questa
notte... E la proprietaria che ha dovuto chiamare il fabbro per aprirle perch io non c'ero. Non vi
pare che sia una vergogna? Io devo aver l'aria di un mostro, e tutto questo perch non son padrone
di me.
- Papa! - disse la piccola con voce timorosa e inquieta.
- Sta' buona! Non ricominciare! Che cosa ti ho detto adesso?
- Non lo far pi, non lo far pi - grid Liza spaventata torcendosi le mani.
- Non potete continuare a vivere cos - interruppe subito Vel'chninov con impazienza e con voce
risoluta. - Vediamo... vediamo; avete dei danari; perch abitate in una casa come questa, in questo
canile?
- Questa casa! Ma forse partiremo fra otto giorni e spendiamo, anche vivendo cos, molti danari... e
ci vuole altro che aver qualche...
- Va bene, va bene - interruppe Vel'chninov con impazienza crescente e con un tono che voleva
dire " inutile, so benissimo che cosa vuoi dire". - Sentite, vi voglio proporre una cosa. Mi dite che
forse ve ne andrete fra otto giorni, mettiamo quindici. C' qui una casa dove io da vent'anni sono

come in famiglia. Sono i Pogorel'cev; s Aleksndr Pvlovic Pogorel'cev, il consigliere segreto; egli
potr esservi utile. Adesso sono in campagna, hanno una villa molto comoda. Klvdija Petrovna
Pogorel'ceva per me come una sorella, come una madre. Ha otto bambini. Lasciate che io le porti
Liza; lo far io stesso per non perdere tempo. L'accoglieranno con gioia e la tratteranno come una
loro figlia.
Egli era incredibilmente impaziente e non cercava di nasconderlo.
- Non possibile - disse Pavel Pvlovic con una smorfia nella quale Vel'chninov scorse una
intenzione, e scrutandolo negli occhi rispose:
- Perch? Perch non possibile?
- Ma perch non posso lasciar partire cos la bambina. Oh! so benissimo che con un amico sincero
come voi... Non per questo... Alla fine sono persone del gran mondo e non so come vi sarebbe
accolta.
- V'ho detto adesso che sono ricevuto da loro come se fosse la mia famiglia - grid Vel'chninov
quasi incollerito. - Klvdija Petrovna la ricever come meglio potr, come se fosse mia figlia. Il
diavolo vi porti; sapete benissimo anche voi che dite queste cose solo per parlare.
- E poi, - riprese l'altro - non sembrer strano tutto questo? Bisognerebbe pure che una volta o l'altra
io andassi a vederla, perch non dovrebbe rimanere completamente senza il padre; e come andrei io
in casa di gente cos nobile?
- Vi dico che una famiglia molto semplice, senza pretese; poi vi dico che ci sono molti bambini.
Rinascer con loro. Io vi presenter domani, se volete; e bisogner assolutamente che andiate a
ringraziarli; potremo andarci tutti i giorni, se vorrete.
- S, ma...
- E' assurdo! E quello che esaspera che voi stesso sapete assurde le vostre osservazioni. Vediamo.
Verrete da me a passare la notte e domattina partiremo in modo da esser l a mezzogiorno.
- Voi mi colmate di favori. Anche passare la notte da voi! - consent commosso Pavel Pvlovic. Siete troppo buono. E dov' la loro villa?
- A Lesnoe.
- Ma vestita cos? In una famiglia nobile, sia pure in campagna! Mi capite... Il cuore di un padre!
- Poco importa il vestito: in lutto e non pu mettersi altro. Quello che ha decentissimo. Soltanto
la biancheria un po' pi pulita, un grembiulino.
Infatti il grembiulino e la biancheria che si vedeva lasciavano molto a desiderare.
- Le diamo subito la biancheria necessaria: - disse improvvisamente Pavel Pvlovic - da Mr'ja
Sysevna.
- Allora bisogner cercare una carrozza, e presto - disse Vel'chninov.
Ma sorse un ostacolo: Liza resistette con tutte le sue forze. Aveva ascoltato con terrore e se
Vel'chninov, mentre cercava di persuadere Pavel Pvlovic, l'avesse guardata un poco attentamente,
avrebbe visto sul viso di lei l'espressione della pi profonda disperazione.
- Io non andr - disse la bimba energicamente e gravemente.
- Ecco, vedete... tutta sua madre.
- Non sono come la mamma, non sono come la mamma! - grid Liza torcendosi disperatamente le
manine, come se si difendesse dal rimprovero d'assomigliare alla mamma.
- Babbo, babbo, se m'abbandoni...
Improvvisamente si volse verso Vel'chninov che rimase sbalordito:
- E voi, se mi portate via, io...
Non pot dire altro perch Pavel Pvlovic l'aveva afferrata per la mano e brutalmente, con collera,
la trascinava nella stanzetta... Per qualche minuto si ud un bisbigliare e un piangere soffocato.
Vel'chninov stava per entrare quando ne usc Pavel Pvlovic che, con un sorriso stentato, gli disse
che ella sarebbe partita subito. Vel'chninov fece uno sforzo per non guardarlo e torse gli occhi.
Mr'ja Sysevna entr: era la donna che aveva incontrata nel corridoio; portava della biancheria che
mise in un sacchettino per Liza.

- Dunque siete voi, piccolo padre, che conducete via la bimba? - disse rivolgendosi a Vel'chninov.
- Avete famiglia voi? E' buono quello che fate; ella molto buona, la salvate da un inferno.
- Mr'ja Sysevna! - brontol Pavel Pvlovic.
- Che cosa? Non forse un inferno qui? Non una vergogna vivere come fate voi davanti ad una
bambina che gi in et di capire? Volete una carrozza, piccolo padre? Per Lesnoe, non vero?
- S, s.
- Dunque, buon viaggio!
Liza usc, pallidissima, con gli occhi bassi e prese il sacco. Non ebbe uno sguardo per Vel'chninov;
si conteneva; non si gett come prima nelle braccia di suo padre per dirgli addio: si capiva che non
lo voleva nemmeno guardare.
Il padre l'abbracci calmo e freddo, e la baci sulla fronte: le labbra della bimba si serravano, il suo
mento tremava, ma ella non lev gli occhi sul padre. Pavel Pvlovic impallid, le mani gli
tremavano. Vel'chninov se ne accorse sebbene facesse di tutto per non guardarlo. Non aveva che
un desiderio: partire al pi presto, "Tutto questo non m'importa" pensava; "doveva pur accadere".
Discesero.
Mr'ja Sysevna abbracci Liza e fu soltanto allora, quando erano gi in carrozza, che Liza alz gli
occhi sul padre, giunse le mani e gett un grido. Ancora un attimo e si sarebbe precipitata fuori
della carrozza per correre da lui, ma i cavalli erano gi in viaggio.

6.
NUOVE FANTASIE D'UN OZIOSO.

- Ti senti male? - chiese Vel'chninov spaventato; - faccio fermare, faccio portare un po' d'acqua.
Ella lev su di lui uno sguardo cattivo, pieno di rimproveri.
- Dove mi conducete? - chiese con voce seccata e tagliente.
- Da buonissime persone, Liza. Adesso sono in campagna; la casa molto bella e vi sono molti
bambini che ti vorranno molto bene; sono tanto buoni. Non esser cattiva con me, io non ti voglio
fare che del bene.
Se un amico l'avesse visto in quel momento lo avrebbe trovato stranamente cambiato.
- Come siete, come siete cattivo! - grid Liza, soffocata dai singhiozzi, guardandolo con i suoi begli
occhi azzurri, accesi di collera.
- Ma Liza, io...
- Siete cattivo, cattivo, cattivo! - e stringeva i pugni.
Vel'chninov era annientato.
- Liza, cara, se tu sapessi la pena che mi fai...
- E' vero che verr domani? E' vero? - domand con voce imperiosa.
- S, s, vero. Lo condurr io stesso, lo andr a chiamare e lo condurr io.
- Voi non potrete, non verr - mormor Liza abbassando gli occhi.
- Perch? Forse non ti vuol bene?
- No, non mi vuol bene.
- Dimmi, e ti dispiace?
Liza lo guard pensosamente e non rispose. Poi volse il viso dall'altra parte e tenne ostinatamente
gli occhi bassi. Egli cerc di calmarla, le parlava con calore, febbrilmente. Liza ascoltava con aria
diffidente e ostile, ma ascoltava. Vel'chninov era felice di vederla cos attenta e cominci a
spiegarle cos' un uomo che beve. Le diceva che anche lui amava suo padre e che avrebbe vigilato
su di lui. Alla fine Liza alz gli occhi e lo guard fissamente. Egli le raccont come aveva
conosciuto sua madre e s'accorse che la bimba s'interessava al racconto. A poco a poco, infatti,
cominci a rispondere alle domande, svogliatamente, per monosillabi, con aria diffidente. Alle

domande pi importanti non rispondeva, rimaneva ostinatamente silenziosa su tutto quello che si
riferiva alle sue relazioni col padre.
Parlando, Vel'chninov le prese una mano fra le sue, e la strinse; la bimba non la ritir e non rimase
silenziosa; fin col rispondere confusamente che aveva voluto molto bene a suo padre, pi che alla
madre, perch il babbo, prima, l'aveva amata pi della mamma; ma che la mamma, in punto di
morte, quando erano rimaste sole nella stanza, l'aveva abbracciata forte forte ed aveva pianto tanto e
lei adesso voleva pi bene alla mamma che ad ogni altra cosa al mondo, ed ogni giorno l'amava di
pi.
Ma la bimba era molto fiera e appena s'accorse d'aver parlato troppo tacque e guardava
Vel'chninov con rancore perch le aveva cavato di bocca tante cose.
Verso la fine del viaggio i suoi nervi erano calmi, ma rimaneva pensierosa, con un'aria diffidente,
selvaggia e dura. Sembrava che adesso soffrisse meno al pensiero che la conducevano tra gente
sconosciuta, in una casa dove non era mai stata. Vel'chninov capiva che cosa l'addolorava
continuamente; ella si vergognava di "lui", si vergognava che il padre l'avesse potuta abbandonare
con tanta facilit ad un altro, che l'avesse quasi gettata nelle mani di un altro. "E' malata," pensava
" molto malata; forse l'hanno fatta soffrire troppo. Ah! l'ubbriaco, l'infame! Ti capisco adesso, ti
capisco". Disse al cocchiere d'andare pi lesto. Contava per lei sulla campagna, l'aria libera, il
giardino, i bambini, il cambiamento, la vita nuova e dopo... Non pensava a quello che sarebbe
venuto poi: sperava. Non vedeva che una cosa: che non aveva mai provato quello che provava ora e
che non lo avrebbe dimenticato per tutta la vita. "Ecco lo scopo della vita! Ecco la vera vita!"
pensava.
Le idee gli si affollavano in mente; ma non ci si fermava, non voleva entrare nei dettagli. Gli pareva
che le cose fossero molto semplici e che sarebbero andate da s. "Ci sar modo di toglier di mezzo
quel miserabile che crede d'avermela affidata solo per pochi giorni: bisogner invece che si rassegni
a lasciarla a Pietroburgo dai Pogorel'cev e che se ne vada solo, cos Liza rester a me. Ecco tutto.
Perch riscaldarsi? Poi, dopo tutto, credo che anche lui desideri una simile soluzione; altrimenti
perch la tormenterebbe come fa?".
Arrivarono. La casa dei Pogorel'cev era davvero un nido grazioso. Un chiassoso sciame di bambini
si rivers sulle scale e sul balcone per riceverli. Da molto tempo Vel'chninov non s'era fatto vedere
e la gioia dei bimbi fu grandissima perch lo amavano molto.
Anche prima che fosse smontato dalla carrozza i pi grandi gli gridarono:
- E il vostro processo? Cosa succede del vostro processo?
E tutti gli altri, anche i pi piccoli, ripeterono la domanda ridendo.
Era ormai un'abitudine di stuzzicarlo sul suo processo. Ma appena scorsero Liza, la circondarono
esaminandola con la curiosit silenziosa e attenta dei bimbi. Nel momento stesso Klvdija Petrovna
usciva di casa e dietro a lei c'era il marito. Anche loro, ridendo, per prima cosa gli domandarono del
processo.
Klvdija Petrovna era una donna di trentasette anni, bruna, forte, ancora graziosa e colorita. Il
marito era un uomo di cinquantacinque anni, intelligente e fino, ma soprattutto molto buono. La
loro casa era davvero, per Vel'chninov, un "cantuccio di famiglia". Ecco perch.
Vent'anni prima Klvdija Petrovna avrebbe dovuto sposare Vel'chninov che era ancora studente,
quasi un ragazzo. Era stato il primo amore, l'amore ardente, assurdo e meraviglioso.
Era finito col suo matrimonio con Pogorel'cev. Si ritrovarono cinque anni dopo e il loro amore d'una
volta divenne una amicizia franca e calma. Dell'antica passione non rimaneva che un soffio caldo
che riscaldava e colorava la loro amicizia. Non c'era niente che non fosse puro e onestissimo nei
ricordi che Vel'chninov serbava del passato, e che gli erano cari perch erano unici nella sua vita.
In quella famiglia si sentiva semplice, schietto e buono, era pieno di cure per i piccoli, non
s'inquietava mai, acconsentiva a tutto, senza obiezioni. Pi d'una volta aveva detto ai Pogorel'cev
che sarebbe vissuto ancor poco tempo nel mondo e che poi si sarebbe ritirato presso di loro per non
abbandonarli pi, e pensava seriamente a questo progetto.

Sul conto di Liza diede tutte le spiegazioni necessarie; del resto bastava il suo desiderio, senz'altra
spiegazione. Klvdija Petrovna baci "l'orfanella" e promise di fare tutto quel che poteva. I bambini
presero Liza e la condussero in giardino a giocare.
Dopo mezz'ora di animata discussione Vel'chninov si conged: tutti s'accorsero dell'impazienza
che aveva di partire e ne furono sorpresi. Era stato tre settimane senza andare da loro, ed ecco che
se ne andava dopo mezz'ora. Giur ridendo che sarebbe tornato il giorno dopo. Si vedeva che era
molto agitato; prese improvvisamente la mano di Klvdija Petrovna, e col pretesto che aveva
dimenticato di dirle qualche cosa la condusse in un luogo vicino.
- Vi ricordate di quello che dissi a voi sola, e vostro marito non lo sa, dell'anno che passai a T...?
- Me ne ricordo benissimo; me ne avete parlato spesso.
- Non dite che ve ne ho parlato, dite che mi sono "confessato" ed a voi sola! Non v'ho mai detto il
nome di quella donna. Era la moglie di Trusockij. E' morta; e Liza sua figlia... mia figlia!
- Siete sicuro? Non v'ingannate? - chiese Klvdija Petrovna un poco addolorata.
- Sono certo, sono certissimo di non ingannarmi - disse Vel'chninov con calore.
E le raccont tutto, il pi brevemente possibile, vivamente, a scatti. Klvdija Petrovna sapeva tutto,
meno il nome della donna. Vel'chninov aveva sempre temuto che qualcuno incontrasse la signora
Trusockij e si stupisse come lui l'avesse potuta amare tanto. Per questo, anche a Klvdija Petrovna,
la sua migliore amica, aveva nascosto fino a quel giorno il nome di quella donna.
- E il padre non sa niente? - chiese ella quando Vel'chninov ebbe finito il racconto.
- No. Lo sa. Ma proprio questo che mi tormenta; non riesco a capire. Lo sa, lo sa, me ne sono
accorto oggi e questa notte. Ma fino a che punto sappia, ecco quello che debbo chiarire, ed per
questo che debbo partire subito; deve venire da me questa notte. Non riesco a capire come sia
arrivato a sapere "tutto". Di Bagautov, non c' dubbio, sa tutto. Ma vi pare? Conoscete le donne; in
questi casi non stentano troppo a rassicurare il marito. Potrebbe scendere un angiolo dal cielo, ma il
marito crederebbe a loro e non all'angiolo. Non scuotete la testa, non mi condannate: mi sono gi
condannato da me, da molto tempo. Pensate; poco fa, da lui, ero talmente convinto che sapeva tutto
che mi sono tradito davanti a lui. Lo credereste? Mi vergogno d'averlo ricevuto stanotte con una
grossolanit cos grande. Vi racconter tutto dettagliatamente, pi tardi... Evidentemente venuto
da me con l'intenzione di farmi capire che sapeva l'offesa e conosceva l'offensore. E' l'unica ragione
di quella stupida visita, ubbriaco... Ma del resto naturale; ha voluto confondermi ed io mi sono
portato come un imbecille; mi sono tradito. Se no, perch sarebbe venuto in quel momento, quando
ero cos poco padrone dei miei nervi? V'assicuro che tormentava Liza, la poverina, soltanto per
prendersi una rivincita. E' un pover'uomo, non cattivo: adesso ha un'aria buffa, lui che prima era
cos bene accomodato; ma naturale che sia sconvolto. Amica mia, bisogna essere caritatevoli; mia
cara amica; io voglio essere diverso con lui, voglio essere molto buono. Sar un'opera buona,
perch in fondo, sono io che ho tutti i torti. Ascoltate, dovete saperlo; una volta a T... io ebbi
improvvisamente bisogno di quattromila rubli; egli me li diede subito, senza volere ricevuta,
contento di rendermi un servigio, ed io ho accettato ed ho preso il denaro dalle sue mani, capite,
come dalle mani d'un amico.
- Soprattutto siate pi prudente, - rispose Klvdija Petrovna dopo quella tempesta di parole, un poco
inquieta - agitato come siete, ho paura per voi. Certamente Liza per me ora come mia figlia, ma ci
sono ancora molte cose indecise. L'essenziale che siate pi prudente, dovete assolutamente essere
pi prudente quando vi sentite cos felice e cos entusiasmato; siete troppo generoso quando siete
felice - aggiunse con un sorriso.
Uscirono tutti per accompagnare Vel'chninov alla carrozza. I bimbi condussero Liza che giocava
con loro nel giardino; adesso la guardavano ancor pi stupiti di quando era arrivata. Liza parve
addirittura inferocita quando Vel'chninov, davanti a tutti, la baci, le disse addio e le promise
ancora formalmente che il giorno dopo le avrebbe condotto il padre. Ella rimase silenziosa fino
all'ultimo, senza guardarlo; ma poi bruscamente gli prese la mano e lo trascin da parte,
guardandolo supplichevole.

- Cosa vuoi Liza? - le chiese con voce tenera e persuasiva; ma la bimba lo guardava sempre
tremante, lo trascin ancor pi lontano, in un angolo nascosto dove nessuno poteva vederli.
- Dimmi Liza; che vuoi?
Ella taceva, non osava cominciare a parlare; teneva sempre fissi su di lui gli occhi azzurri e sul suo
viso di bimba si dipingeva un terrore smarrito.
- S'impiccher - disse a voce bassa come in delirio.
- Chi s'impiccher? - chiese Vel'chninov spaventato.
- Lui, lui, anche questa notte si voleva impiccare - disse la bimba con affanno. - S, l'ho veduto! Si
voleva impiccare, me l'ha detto, l'ha detto. Lo voleva fare da molto tempo, ci ha sempre pensato.
L'ho visto questa notte.
- Non possibile - mormor Vel'chninov perplesso. Improvvisamente ella gli prese le mani e le
baci; e piangeva soffocata dai singhiozzi, e pregava, e supplicava, senza che egli si facesse una
ragione di quella crisi di nervi. E sempre, dopo, nel sonno o desto, gli apparivano gli occhi smarriti
della bimba che lo guardavano con terrore e con un resto di speranza.
"Dunque lo ama tanto?" pensava con un sentimento di gelosia mentre tornava in citt in uno stato di
febbrile impazienza. "Poco prima m'aveva detto, lei stessa, che amava di pi sua madre... Chi sa?
Pu essere che non lo ami affatto, pu essere che lo odii. Impiccarsi? Perch dovrebbe impiccarsi
quell'imbecille? Bisogna che io sappia tutto e subito. Bisogna finirla il pi presto possibile e per il
bene di tutti".

7.
IL MARITO E L'AMANTE SI BACIANO.

Aveva un imperioso bisogno di "sapere" subito.


"Questa mattina ero tutto smarrito e mi stato impossibile di padroneggiarmi;" pensava ricordando
il suo primo incontro con Liza "ma ora debbo sapere tutto".
Per affrettare le cose fu sul punto di farsi condurre subito da Trusockij, ma cambi subito idea: "No,
meglio che venga lui da me; nell'attesa cercher di sbrigare i miei maledetti affari".
Si mise al lavoro con un'ansia febbrile, ma anch'egli capiva d'esser troppo distratto, che non era in
istato di occuparsi di qualche cosa. Alle cinque, mentre andava a pranzo, gli venne in mente,
all'improvviso, un'idea strana che non aveva mai avuta: non poteva essere che con la sua mania
d'immischiarsi in tutto, di correre pei tribunali, di affliggere il suo avvocato che lo fuggiva, non
poteva essere che ritardasse la soluzione dei suoi affari?
Quest'ipotesi lo divertiva. "Pensare che se quest'idea mi fosse venuta ieri me ne sarei impensierito"
e intanto la sua allegrezza aumentava.
Con quell'allegria, ingrandirono la sua distrazione e la sua impazienza. Piano piano si mise a
fantasticare e il suo pensiero passava da una cosa all'altra, senza arrivare a una decisione chiara di
quello che lo interessava di pi.
"Io devo scrutare fino in fondo quest'uomo, e poi devo finirla. Non c' che una soluzione: battersi".
Quando rientr in casa, alle sette, fu molto stupito di non trovare Pavel Pvlovic. Poi pass dalla
sorpresa alla collera, dalla collera alla tristezza, dalla tristezza alla paura. "Dio sa come finir questa
faccenda!" si ripeteva, ora camminando a gran passi per la camera, ora seduto sul divano, sempre
attento all'orologio.
Finalmente, verso le nove, Pavel Pvlovic arriv. "Se quest'uomo si burla di me, non avr mai pi
un cos facile divertimento come ora, tanto poco mi sento padrone dei miei nervi" pensava
assumendo un'aria cordiale e lieta.
Gli domand con premura e di buon umore perch avesse tardato tanto a venire. L'altro sorrise con
aria sorniona, si sedette con molta disinvoltura e gett con noncuranza il cappello col lutto su di una
seggiola.

Vel'chninov not subito il suo modo di fare e stette in guardia.


Tranquillamente, senza frasi inutili, senza agitarsi troppo, gli rese conto della sua giornata, gli disse
com'era andato il viaggio, con quanta gentilezza Liza era stata accolta, il giovamento che ne
avrebbe avuto la sua salute; e poi, piano piano, come se avesse dimenticato Liza, parl solo dei
Pogorel'cev. Elogi la loro bont, la vecchia amicizia che lo univa a loro, disse che persona
eccellente e distinta era Pogorel'cev ed altre cose come queste. Pavel Pvlovic ascoltava con aria
distratta ed ogni tanto lanciava al suo interlocutore un sorriso pungente e sarcastico.
- Siete un uomo impaziente - mormor con una smorfia cattiva.
- E voi siete oggi di umore molto cattivo - disse Vel'chninov irritato.
- E perch non dovrei essere cattivo come gli altri? -grid Pavel Pvlovic balzando dal suo posto.
Pareva che non avesse atteso altro che l'occasione per scoppiare.
- Padronissimo! - disse Vel'chninov sorridendo. - Credevo che vi fosse accaduto qualcosa.
- S, m' capitata qualche cosa - disse l'altro con arroganza, come se se ne vantasse.
- E che cosa?
Pavel Pvlovic indugi un poco a rispondere.
- Il nostro amico Stepn Michjlovic ne fa sempre delle sue. S proprio Bagautov, il signore pi
galante di tutta Pietroburgo, il giovanotto della pi alta societ.
- Che? Si rifiutato di ricevervi un'altra volta?
- No, questa volta sono stato ricevuto, sono stato ammesso alla sua presenza, a contemplare il suo
volto... soltanto non era altro che il volto d'un morto.
- Come? Cosa? Bagautov morto? - disse Vel'chninov meravigliato, sebbene non ci fosse niente
che lo dovesse meravigliare tanto.
- Per l'appunto! Proprio lui, lui che m'era stato amico per sei anni. E' morto ieri verso mezzogiorno
ed io non ne sapevo niente. Chiss, forse morto proprio mentre andavo a chiedere sue notizie. Lo
sotterrano domani; gi sepolto sotto velluti purpurei gallonati d'oro. E' morto in un accesso di
febbre. M'hanno lasciato entrare e l'ho potuto rivedere. Mi sono presentato come un vecchio amico
ed per questo che m'hanno lasciato passare. Vi prego, considerate quello che ha fatto di me questo
caro amico. Forse soltanto per lui che sono venuto a Pietroburgo.
- Non ve la prendete con lui ora; - disse Vel'chninov - non penserete che sia morto per farvi
dispetto!
- Ma come! Anzi mi dispiace per lui, povero amico. Ecco, guardate che cosa m'aveva fatto.
E inaspettatamente Pavel Pvlovic port la mano sulla sua fronte calva, e drizzando l'indice e il
mignolo si mise a ridere con una risatina calma e prolungata. Rest cos per qualche istante
guardando con insolenza canzonatoria Vel'chninov negli occhi. Questi rimase sorpreso, come se
vedesse uno spettro; ma fu un attimo; un sorriso canzonatorio, freddo e provocante, si deline
lentamente sulle sue labbra.
- Cosa vuol dire questo? - domand con freddezza, strascicando le parole.
- Vuol dire... quello che sapete molto bene - rispose Pavel Pvlovic, togliendosi le dita dalla fronte.
Tacquero entrambi.
- Siete davvero un uomo di cuore! - riprese Vel'chninov.
- Perch? Forse perch ho fatto cos? Sapete, Aleksj Ivnovic, fareste meglio ad offrirmi qualcosa
da bere; v'ho dato da bere a T..., per un anno intero, senza mancare un giorno! Fate portare una
bottiglia, ho la gola secca.
- Con piacere, avreste dovuto dirmelo prima; cosa prendete?
- Non dite cosa prendete, dite cosa prendiamo. Dobbiamo bere assieme, non vero?
E Pavel Pvlovic lo guardava dritto negli occhi, con aria di sfida, e con un'inquietudine strana.
- Sciampagna?
- Certo; non siamo ancora arrivati all'acquavite.
Vel'chninov si lev calmo, suon, e quando entr Mavra ordin.

- Berremo al nostro felice incontro dopo nove anni di lontananza! - grid Pavel Pvlovic con un
assurdo scoppio di risa che si spezz di botto. - Adesso siete voi, siete voi che rimanete il mio solo e
vero amico. Stepn Michjlovic Bagautov finito. Come dice il poeta:
"E' morto il grande Patroclo
Il piccolo Tersite ancora vivo".
E pronunciando il nome di Tersite indicava se stesso col dito.
"Avanti dunque, animale, spiegati pi presto perch non mi piacciono i sottintesi" pensava
Vel'chninov. La collera ribolliva in lui e riusciva a stento a trattenerla.
- Ma ditemi, se siete sicuro che Stepn Michjlovic (non lo chiamava pi semplicemente Bagautov)
v'ha fatto dei torti, dovreste essere molto contento che sia morto; perch invece sembrate sdegnato?
- Contento? Perch dovrei essere contento?
- Io giudico le cose mettendomi nei vostri panni.
- Ah! Ah! Voi vi sbagliate sui miei sentimenti. Il saggio l'ha detto: "E' bene un nemico morto, ma
un nemico vivo meglio ancora!...".
- Ma quand'era vivo, insomma, per cinque anni interi, credo che l'abbiate potuto contemplare ogni
giorno e con tutto comodo! - disse Vel'chninov in modo aggressivo.
- Ma cosa sapevo allora, cosa sapevo? - grid con forza Pavel Pvlovic balzando di nuovo dal suo
angolo, e si sarebbe detto che udisse con gioia la domanda che aspettava da molto tempo. - Ma
dunque, Aleksj Ivnovic, per chi mi prendete?
E nel suo sguardo brill un'espressione nuova e imprevista che trasfigur il suo viso fino allora torto
da una smorfia maligna e repulsiva.
- Come, non sapevate niente? - disse Vel'chninov meravigliato.
- Ah! davvero pensavate che io lo sapessi! Ah, questi Dei! Per voi un uomo non che un cane e voi
credete che tutto il mondo sia fatto sullo stampo delle vostre piccole e miserabili nature. Ecco cosa
vi meritereste, pigliate!
Batt violentemente il pugno sul tavolo, ma subito si spavent di tanto rumore e si guard attorno
con occhi attoniti.
Vel'chninov era tornato padrone di s.
- Ascoltate, Pavel Pvlovic. Credete a me, proprio indifferente che voi sapeste tutto o no. Se non
lo sapevate, una cosa che vi fa onore. Ma, del resto, io non capisco perch m'abbiate scelto per
vostro confidente.
- Non per voi, non v'arrabbiate, non per voi... - balbett Pavel Pvlovic con gli occhi bassi.
Entr Mavra con lo sciampagna.
- Ah ! Eccolo - esclam Pavel Pvlovic visibilmente contento della diversione. - I bicchieri, cara, i
bicchieri. Benissimo, quello che ci vuole. E' stappata? Benissimo. Potete lasciarci soli.
Aveva ripreso coraggio e di nuovo guardava con audacia Vel'chninov in faccia.
- Confessate - disse sogghignando - che tutto questo v'interessa terribilmente, che tutto questo per
voi tutt'altro che "completamente indifferente" come avete voluto farmi intendere, e che rimarreste
male se me ne andassi senza avervi spiegato qualche cosa.
- Siete in errore, io non rimarrei niente affatto male.
"Tu menti" diceva il sorriso di Pavel Pvlovic.
- E allora, beviamo! - e riemp i bicchieri.
- Beviamo - riprese alzando il bicchiere - alla salute postuma del povero amico Stepn Michjlovic.
- Io non bevo con un simile brindisi - disse Vel'chninov e pos il suo bicchiere.
- Ma perch? E' un brindisi delizioso!
- Eravate ubbriaco quando siete venuto?
- Avevo bevuto un poco. Perch?
- Oh! niente di speciale. Soltanto avevo creduto, la notte passata, e soprattutto questa mattina, che
aveste un dolore sincero... la morte di Natl'ja Vasl'evna.

- E chi vi dice che il mio dolore sia minore adesso? - fece Pavel Pvlovic saltando dal suo angolo
come spinto da una molla.
- Non questo che volevo dire, ma riconoscerete voi stesso che avete potuto anche ingannarvi sul
conto di Stepn Michjlovic: e questo importante.
Pavel Pvlovic ghign e strizz l'occhio.
- Ah! come siete sulle spine perch volete sapere in che modo son venuto a conoscenza di quanto
riguarda Stepn Michjlovic.
Vel'chninov arross:
- Vi ripeto ancora che per me lo stesso.
"Se lo buttassi fuori, lui e la sua bottiglia" pensava; e la sua collera aumentava e il viso gli si
imporporava.
- Andiamo! Tutto questo non ha importanza - disse Pavel Pvlovic, come se gli volesse ridare
coraggio. E si riemp il bicchiere. - Vi voglio spiegare subito come ho saputo ogni cosa, e soddisfare
la vostra impaziente curiosit... perch siete un uomo impaziente, Aleksj Ivnovic, un uomo troppo
impaziente. Soltanto, datemi una sigaretta, perch dal mese di marzo...
- Prendete.
- Eh! s. E' dal mese di marzo che ho saputo, Aleksj Ivnovic; ed ecco come avvenuto. Ascoltate.
La tisi, voi lo sapete, caro amico, - diventava sempre pi familiare - la tisi una malattia molto
strana. Di solito i tisici muoiono senza saperlo. Vi dir che proprio cinque ore prima della fine
Natl'ja Vasl'evna progettava di andare, di l a quindici giorni, a trovare una sua zia che abitava
quaranta miglia lontano. D'altra parte conoscerete certo l'abitudine, o meglio, la mania che hanno
tante femmine e forse anche tanti uomini, di conservare le loro corrispondenze amorose... La cosa
pi sicura, non vero? di bruciarle. No, il pi minuto pezzo di carta esse lo chiudono gelosamente
nei cofani o nei cassetti, e perfino classificano ogni cosa, numerata, per anni, per categorie, per
serie. Non so se ci trovino una consolazione, ma certo debbono trovarci dei ricordi dolci.
Evidentemente, quando cinque ore prima di morire Natl'ja Vasl'evna progettava di andare a far
visita alla zia, non immaginava che stava per morire, nemmeno un'ora prima, quando voleva il
dottor Koch. Cos mor e il cofano di legno nero incrostato di madreperla e d'argento rimase sul suo
tavolino. Era un cofano grazioso, con una chiavettina piccola, un cofano di famiglia che aveva
ereditato dalla madre. Ebbene, in quel cofanetto c'era tutto, ma tutto, quello che si dice tutto! Tutto
senza eccezione, da vent'anni, classificato per anni e per giorni. E come Stepn Michjlovic aveva
un debole per la letteratura, c'erano cento lettere di sua composizione, quante ne basterebbero per
fare una novella molto passionale per una rivista; vero che la faccenda dur cinque anni. Qualche
lettera era annotata dalla mano di Natl'ja Vasl'evna. E' una consolazione per un marito, non vi
pare?
Vel'chninov riflett un momento e si ricord che non aveva mai scritto a Natl'ja Vasl'evna n
lettere n un biglietto. Da Pietroburgo aveva scritto due lettere ma erano indirizzate ai due sposi,
come avevano convenuto, e non aveva neanche risposto alla lettera di Natl'ja Vasl'evna che lo
congedava.
Quando ebbe finito il suo discorso, Pavel Pvlovic tacque per qualche istante con un sorriso
insolente ed interrogativo.
- Perch dunque non rispondete alla mia domanda? - chiese con insistenza.
- Che domanda?
- Sulla consolazione che pu provare un marito quando scopre un cofano come quello.
- Cosa importa a me! - disse con aria agitata Vel'chninov alzandosi e mettendosi a camminare in
lungo e in largo per la stanza.
- Io scommetto che in questo momento voi dite: "Che bruto! Ostenta il suo disonore!". Ah! Ah! fate
l'uomo delicato.
- Io non penso niente di questo. Tutt'altro. Voi siete troppo eccitato per la morte dell'uomo che v'ha
offeso; e poi avete bevuto molto vino. Non ci vedo niente di straordinario e capisco benissimo
perch tenevate che Bagautov vivesse ed apprezzo il vostro rincrescimento, ma...

- E perch, secondo voi, ci tenevo tanto che Bagautov vivesse?


- Questo affar vostro.
- Scommetto che pensate a un duello.
- Il diavolo vi porti - grid Vel'chninov non riuscendo a padroneggiarsi. - Quello che pensavo
che un uomo per bene... in un caso simile non s'abbassa a ciarle inutili, a smorfie stupide, ai pianti
ridicoli, ed a sottintesi ripugnanti che non fanno che degradare chi li dice; ma agisce francamente,
apertamente, senza reticenze, da gentiluomo.
- Ah! Ah! E allora non sono un gentiluomo?
- Questo, ancora una volta, affar vostro... ma dopotutto perch avevate tanto bisogno che
Bagautov vivesse?
- Perch? Soltanto per vederlo, il caro amico; avremmo fatto comperare una bottiglia e l'avremmo
bevuta assieme.
- Avrebbe rifiutato di bere con voi.
- Ma perch? "Noblesse oblige". Bevete pure voi con me, perch lui avrebbe dovuto essere pi
delicato?
- Io? Io non ho bevuto con voi.
- E perch dunque, improvvisamente, tanta superbia?
Vel'chninov scoppi a ridere, d'un riso nervoso e inquieto.
- Oh! ma voi siete davvero feroce! Ed io credevo che voi foste semplicemente un "eterno marito"!
- Come? Un "eterno marito"? Cosa volete dire con questo? - chiese Pavel Pvlovic drizzando le
orecchie.
- Oh! niente, un tipo di marito... E' troppo lungo da raccontare. E poi ora che ve n'andiate; voi
m'annoiate.
- E perch "feroce"? Avete detto "feroce"?
- V'ho detto scherzando, che siete davvero feroce.
- Cosa volete dire con questo? Vi prego, Aleksj Ivnovic, ditemelo, per amor di Dio, o per amore
di Cristo!
- Basta! - grid Vel'chninov incollerito. - E' ora di finirla, andatevene.
- No, non basta ancora! - disse Pavel Pvlovic con voce ferma. - Pu darsi che io v'annoi, ma non
me ne andr di qui se prima non avrete bevuto con me, brindato con me. Beviamo, dopo me ne
andr, ma prima no.
- Insomma, Pavel Pvlovic, ve ne andrete al diavolo s o no?
- Andr al diavolo, ma quando avremo bevuto. Avete detto che non volete bere "con me"; ebbene
"io voglio" che beviate con me.
Non sogghignava pi, non dissimulava pi. In tutti i lineamenti del suo viso era avvenuta una
trasformazione cos completa che Vel'chninov ne fu colpito.
- Su, dunque, Aleksj Ivnovic, beviamo, non me lo rifiutate - continuava Pavel Pvlovic
stringendogli la mano e guardandolo stranamente.
Pareva che non si trattasse altro che di un bicchiere di vino.
- Se proprio lo volete, - mormor l'altro - ma vedete che non c' pi che il fondo.
- Ce ne sono ancora due bicchieri; e del resto il fondo non torbido; su dunque, beviamo e
brindiamo. Prendete il vostro bicchiere.
Bevvero e brindarono.
- Ed ora, giacch cos... Ah!
Pavel Pvlovic si prese la fronte fra le mani e rimase cos qualche istante. Vel'chninov aspettava;
credeva che questa volta l'altro gli avrebbe detto ogni cosa. Egli guardava Vel'chninov
tranquillamente, con la bocca torta in un sorriso cattivo e sarcastico.
- Ma insomma, che cosa volete da me, ubbriacone? Vi prendete gioco di me? - grid Vel'chninov
con voce furiosa, battendo i piedi.
- Non gridate, non gridate, perch gridare? - disse subito l'altro calmandolo col gesto. - Non vi
derido. Ah, sapete cosa siete, sapete cosa siete adesso per me?

E con un movimento rapido gli prese la mano e la baci. Vel'chninov non fece a tempo a ritirarla.
- Ecco che cosa siete oggi per me, e adesso me ne vado al diavolo.
- Aspettate, rimanete, dimenticavo di dirvi...
Pavel Pvlovic che era gi vicino alla porta torn indietro.
- Sentite, - disse Vel'chninov a voce bassa, molto in fretta, arrossendo e torcendo gli occhi -
necessario che voi andiate domani, senza fallo, dai Pogorel'cev per conoscerli e per ringraziarli...
ma senza fallo...
- Certamente, senza fallo. E' troppo giusto - rispose Pavel Pvlovic con una fretta insolita, facendo
cenno con la mano che era superfluo insistere.
- Tanto pi che Liza desidera moltissimo di rivedervi, e le ho promesso...
- Liza? - ripet Pavel Pvlovic. - Liza? Sapete cos' stata per me, Liza, cos' anche adesso? - egli
gridava come un forsennato. - Ma queste cose, tutte queste cose sono per pi tardi. Per ora, non
basta che abbiate bevuto con me. Aleksj Ivnovic, bisogna che mi diate un'altra soddisfazione...
Pos il suo cappello su di una seggiola e di nuovo, come prima, un poco ansante, guard
Vel'chninov bene in faccia.
- Baciatemi, Aleksj Ivnovic - disse bruscamente.
- Siete ubriaco! - grid l'altro rinculando.
- Ubriaco! Mio Dio, s, ma non una ragione. Baciatemi, Aleksj Ivnovic. Bisogna che mi baciate.
Vi ho pure baciata la mano, io!
Vel'chninov rimase un istante stordito come se avesse ricevuta una bastonata sulla testa. Poi con
un gesto brusco, si protese verso Pavel Pvlovic e lo baci sulle labbra che puzzavano di vino. Tutto
accadde cos presto e in modo cos strano, che egli non seppe mai se lo aveva davvero baciato.
- Ah! Adesso, adesso!... - esclam Pavel Pvlovic con uno slancio da ubriacone, e con gli occhi
lustri. - Ecco, vedete cosa mi dicevo: "Come, allora anche lui? Ma allora a chi credere, se vero, a
chi credere?".
E si mise a piangere.
- Adesso capite, che amico siete ora per me!
Prese il cappello e fugg. Vel'chninov rimase qualche momento in piedi, inchiodato sul posto,
come dopo la prima visita di Pavel Pvlovic.
"E' un ubriaco e un buffone! nient'altro" e alz le spalle. "Nient'altro, sicuro!" ripet energicamente
quando si fu svestito e si mise a letto.

8.
LIZA E' MALATA.

La mattina dopo, aspettando Pavel Pvlovic che aveva promesso d'esser puntuale, per andare dai
Pogorel'cev, Vel'chninov cominci a passeggiare per la camera, prese il caff, fum e pens: ad
ogni momento si faceva l'effetto d'un uomo che svegliandosi si ricorda che il giorno prima ha
ricevuto uno schiaffo. "Hum! sa benissimo come stanno le cose, e vuole vendicarsi di me
servendosi di Liza" pensava, ed aveva paura.
L'immagine delicata e triste della bimba sorse davanti a lui. Il cuore gli batteva pensando che dopo
due ore avrebbe visto la "sua" Liza. "Non c' dubbio," concluse con entusiasmo "d'ora in poi l
tutta la mia vita, tutto il mio ideale. Che m'importa di tutti gli schiaffi e di tutti i ritorni del passato?
A che cosa servita la mia vita fino ad oggi? Disordini e dolori. Ma ora tutto cambiato, ora
un'altra cosa".
In contrasto alla sua esaltazione le preoccupazioni l'opprimevano sempre pi.
"Si vendicher di me, con Liza, chiaro! E si vendicher su Liza: con lei che mi colpir... Certo io
non tollerer pi gli affronti di ieri" ed arross a quel ricordo. "Ma non arriva ancora ed
mezzogiorno".

Aspett fino a mezzogiorno e mezzo e Pavel Pvlovic non giungeva ancora. Poi, l'idea che se non
veniva era soltanto per aggravare ancora le offese del giorno prima, quest'idea gli tornava sempre in
mente, s'impadron completamente di lui e lo sconvolse. "Sa che mi tiene in pugno; come posso
presentarmi a Liza senza di lui?".
Non potendo pi resistere, all'una si fece condurre in fretta a Pokrov. Gli dissero che Pavel Pvlovic
non aveva dormito in casa, che era rientrato la mattina alle nove, che non s'era fermato pi d'un
quarto d'ora ed era uscito di nuovo. Vel'chninov ascoltava le spiegazioni della domestica, fermo
davanti alla porta di Pavel Pvlovic della quale macchinalmente tormentava la maniglia. Quando la
donna ebbe finito, sput, se ne and, e si fece condurre da Mr'ja Sysevna.
Costei, avendo saputo che egli era l, vi accorreva nello stesso momento. Era una donna
buonissima, "una donna dai sentimenti molto generosi" come diceva Vel'chninov in seguito,
quando raccontava a Klvdija Petrovna la sua conversazione con lei. Subito dopo avergli chiesto
notizie della bimba ella cominci a cicalare sul conto di Pavel Pvlovic. Diceva che "se non fosse
stato per la bambina l'avrebbe mandato a spasso da molto tempo. L'avevano gi mandato
dall'albergo nel padiglione per la sua vita disordinata. E' un delitto portare a casa delle ragazze
quando si ha una bimba in un'et in cui capisce. E lui gridava allora: 'Guarda; sar lei tua madre,
quando lo vorr io'. Figuratevi che la donna che aveva condotta a casa gli ha lei stessa sputato in
faccia per il disgusto. E le diceva altre volte: 'Non sei mia figlia, sei una bastarda'".
- Come! - disse Vel'chninov spaventato.
- L'ho sentito con le mie orecchie. E' un ubbriaco che non sa quello che dice, vero, ma certe cose
non si dovrebbero dire davanti ad una bimba. Ha un bell'esser piccola, queste cose le entrano in
testa e poi vi restano. La piccola piange e soffre, si vede bene. Qualche giorno addietro accaduta
qui una disgrazia. Un signore, un commissario, dicevano, aveva affittata una camera la sera. La
mattina del giorno dopo s'era impiccato. Hanno detto che aveva perduto al gioco. Accorse molta
gente. Pavel Pvlovic non era in casa, la piccola, non sorvegliata, esce; io, andando nel corridoio, la
vedo in mezzo alla gente, che guarda con aria strana l'impiccato. La portai via subito. Immaginatevi
che appena rientrata, si mise a tremare per la febbre, divent tutta nera e cadde a terra stecchita. Le
feci dei massaggi, la battei nelle mani e riuscii con fatica a farla rinvenire. Quando il padre rincas e
seppe la cosa cominci a pizzicarla. Pensate che preferisce pizzicarla anzich picchiarla; poi si
versa un gran bicchiere di vino e le dice per spaventarla: "Anch'io m'impiccher; per causa tua mi
impiccher, guarda, m'impiccher con questa corda" e vi fece un nodo davanti a lei. Allora la
piccina ha perso la testa, s' gettata su lui, s' aggrappata a lui con le manine, gridando: "Non lo far
pi! non lo far pi". Che pena!
Vel'chninov s'aspettava di udire delle cose strane, ma questo racconto lo costern cos forte che
non poteva credere che fosse vero. Mr'ja Sysevna gli raccont altre cose ancora. Per esempio, una
volta, se non ci fosse stata lei, forse Liza si sarebbe gettata dalla finestra.
Quando lasci Mr'ja Sysevna era come ubriaco: "Lo ammazzer come un cane, con una bastonata
in testa" si ripeteva.
Prese una carrozza e si fece condurre dai Pogorel'cev. Prima d'arrivare fuori di citt la carrozza si
dovette arrestare a un crocevia vicino ad un ponticello sul quale sfilava un funerale. L'ingresso del
portone era ingombrato da carrozze che aspettavano e una folla compatta era l che guardava. Il
funerale era ricco, la fila delle carrozze era lunga. Improvvisamente, in una di quelle carrozze
Vel'chninov vide apparire la figura di Pavel Pvlovic. Non avrebbe creduto ai suoi occhi se l'altro
non si fosse sporto dal finestrino e non lo avesse salutato con la mano sorridendo; evidentemente
era contento dell'incontro.
Vel'chninov salt a terra e, malgrado la folla e le guardie, raggiunse il finestrino della carrozza che
cominciava a traversare il ponte. Pavel Pvlovic era solo.
- Perch non siete venuto? - grid Vel'chninov; - perch siete qui?
- Rendo l'estremo omaggio; non gridate, non gridate... Rendo l'estremo omaggio, - disse Pavel
Pvlovic con un allegro strizzar d'occhi - accompagno la spoglia mortale del mio eccellente amico
Stepn Michjlovic.

- Ma questa una buffonata, stupido d'un ubriacone - grid pi forte Vel'chninov. - Andiamo,
venite subito con me.
- Impossibile... un dovere.
- Vi porter via per forza - url Vel'chninov.
- Ed io grider, grider - disse Pavel Pvlovic, con lo stesso ridere allegro come se il gioco lo
divertisse, accovacciandosi in un angolo della carrozza.
- Attento, attento, vi schiacciano! - grid un agente.
Infatti una carrozza arrivava sul ponte con gran fracasso risalendo il corteo. Vel'chninov dovette
saltare da un lato; altre carrozze e la folla lo cacciarono pi lontano. Indispettito torn nella sua
carrozza.
"E' lo stesso; ad ogni modo non avrei potuto condurlo in quello stato" pensava inquieto e disperato.
Quando ebbe raccontato a Klvdija Petrovna le storie di Mr'ja Sysevna e lo strano incontro al
funerale ella rimase pensierosa.
- Ho paura per voi, - gli disse - cercate di rompere il pi presto possibile ogni rapporto con
quell'uomo.
- E' un ubriaco e un buffone, ecco tutto - disse Vel'chninov con ira. - Volete che io abbia paura di
lui? E come potrei rompere ogni relazione quando c' di mezzo Liza?
Liza era a letto, molto malata. La sera del giorno precedente le era venuta la febbre ed aspettavano
un medico molto reputato che avevano mandato a chiamare in citt la mattina prestissimo.
Vel'chninov ne fu completamente sbigottito. Klvdija Petrovna lo condusse dalla malata.
- L'ho osservata ieri molto attentamente - gli disse prima d'entrare. - E' fiera e triste; si vergogna
d'essere qui, abbandonata da suo padre. Secondo me questa la sua malattia.
- Come, abbandonata? Perch pensate che l'abbia abbandonata?
- Oh, il solo fatto che l'ha lasciata venire qui, in casa di sconosciuti, con un uomo... quasi
ugualmente sconosciuto... almeno...
- Ma sono stato io che l'ho presa; ho dovuto prendergliela per forza, non vedo...
- Mio Dio, non si tratta di me ma di Liza che una bimba e che vede cos le cose. Per conto mio
sono sicura che lui non verr mai qui.
Quando vide che Vel'chninov era andato solo, Liza non ne fu stupita, sorrise tristemente e volse
verso il muro la sua testina arsa di febbre. Non rispose niente n alle timide consolazioni, n alle
calde promesse di Vel'chninov che s'impegnava di condurle il padre il giorno dopo.
Quando l'ebbe lasciata scoppi in lagrime.
Il medico non arriv che verso sera. Dopo che l'ebbe visitata spavent tutti dicendo che avrebbero
dovuto chiamarlo prima; e quando gli dissero che aveva cominciato a star male solo la sera prima,
non lo volle credere.
- Tutto dipende da come passer la notte - concluse.
Scrisse la ricetta e part promettendo di tornare l'indomani il pi presto possibile.
Vel'chninov voleva assolutamente rimanere tutta la notte, ma Klvdija Petrovna lo supplic di fare
un altro tentativo "per condurre quel bruto".
- Questa volta, - disse Vel'chninov agitato - questa volta verr, quand'anche dovessi legarlo e
portarlo.
L'idea di portarlo legato come un bagaglio s'impossess di lui fino ad ossessionarlo.
- Adesso finita, io non mi sento pi colpevole verso di lui - disse a Klvdija Petrovna
congedandosi. - Rinnego tutte le mie miserie sentimentali e tutti i miei piagnistei di ieri.
Liza stava coricata, con gli occhi chiusi, e pareva dormisse. Sembrava che stesse meglio.
Quando Vel'chninov le si avvicin con precauzione per darle prima di partire un bacio discreto, su
qualcosa di lei, non fosse che l'orlo della sua camicia, ella improvvisamente apr gli occhi come se
lo avesse aspettato e gli disse sottovoce:
- Portatemi via.
Era una preghiera dolce e triste dove non rimaneva niente dell'irritazione esaltata del giorno prima;
ma nella quale si sentiva quasi la rassegnazione, la certezza che la preghiera non sarebbe stata

esaudita. Quando Vel'chninov cominci a spiegarle che era impossibile, chiuse gli occhi e non
disse pi niente, come se non lo sentisse e non lo vedesse.
Quando rientr in citt si fece subito condurre a Pokrov. Pavel Pvlovic non era in casa. Erano le
dieci. Vel'chninov lo aspett per una mezz'ora andando su e gi pel corridoio in uno stato
d'impazienza dolorosa. Mr'ja Sysevna fin per fargli capire che Pavel Pvlovic molto
probabilmente non sarebbe tornato che la mattina del giorno dopo.
- Allora torner a mezzogiorno.
E se ne torn a casa.
Fu stupito, quando Mavra gli disse che il forestiero del giorno prima era l che lo aspettava dalle
dieci.
- Ha bevuto il t qui, poi ha fatto comperare del vino come quello di ieri, e m'ha regalato un
biglietto da cinque rubli.

9.
INCUBO.

Pavel Pvlovic s'era accomodato bene. S'era seduto sulla seggiola del giorno prima, fumava una
sigaretta e si stava versando il quarto ed ultimo bicchiere dalla bottiglia. La teiera e la tazza ancor
piena a met erano davanti a lui, sul tavolo. Il suo viso rosso brillava di contentezza. S'era tolta la
giacca ed era rimasto col panciotto.
- Scusatemi, caro amico, - disse vedendo Vel'chninov, e si alz per rimettersi la giacca - me l'ero
tolta per stare pi comodo.
Vel'chninov gli si avvicin con aria minacciosa:
- Siete ubriaco? Ci si pu ancora intendere?
- Dio mio, non sono ubriaco... Ho reso l'ultimo tributo al morto... e no, non lo sono.
- Siete in istato di capire?
- Ma per questo che sono qui, per capirvi.
- Giacch cos, - riprese Vel'chninov con voce soffocata dalla collera - comincer col dirvi che
non siete altro che un miserabile.
- Se cominciate cos, come finirete? - disse Pavel Pvlovic visibilmente impaurito.
- Vostra figlia moribonda. E' gravemente malata. L'avete abbandonata, s o no?
- Moribonda? Davvero?
- E' molto malata, gravissima.
- Oh! ma forse non che una semplice crisi.
- Non dite sciocchezze; malata gravemente. Avreste gi dovuto andarci, non fosse altro...
- Per ringraziare dell'ospitalit? Eh s, lo so anche troppo! Aleksj Ivnovic, mio caro, mio unico
amico - balbettava prendendogli la mano con un intenerimento da ubbriaco, con le lagrime agli
occhi come se implorasse il suo perdono. - Aleksj Ivnovic, non gridate, non gridate. Che io
muoia, che io m'affoghi nella Nev... Perch dovrei farlo ora? Quanto ai Pogorel'cev ci sar sempre
tempo.
Vel'chninov riusc a dominarsi.
- Siete ubriaco; non capisco cosa vogliate dire - aggiunse duramente. - Io sono sempre pronto a
spiegarmi con voi e ci tengo a farlo il pi presto possibile. Prima di tutto voglio che passiate la notte
qui. Domattina vi condurr con me; non vi lascer - grid con voce tonante. - Vi legher e vi
porter con le mie mani! Vediamo; su quel divano starete bene?
E accennava a un divano largo e soffice all'altra parete, simile a quello sul quale dormiva lui.
- Ma vi prego; per me lo stesso.
- Nient'affatto lo stesso. Su quel divano. Prendete, ecco le lenzuola, una coperta, un guanciale.

Vel'chninov trasse queste cose da un armadio e le gett a Pavel Pvlovic che tendeva le braccia
rassegnato. - Su dunque, accomodatevi il letto, subito.
Pavel Pvlovic restava immobile, in piedi in mezzo alla camera, con le braccia incrociate, indeciso,
con un largo sorriso stupido sulla faccia da ubriaco; ed eseguendo l'ordine di Vel'chninov che
gridava si mise alla bisogna con gran fretta. Scost il tavolo e sbuffando spieg e distese le
lenzuola. Vel'chninov lo aiut, soddisfatto della docilit e dello stordimento del suo ospite.
- Finite di vuotare il vostro bicchiere e coricatevi - ordin. Capiva che bisognava comandare. - Siete
stato voi che avete fatto comperare il vino?
- S, sono stato io. Sapevo, Aleksj Ivnovic, che voi non avreste pi permesso di mandarlo a
comperare.
- E' bene che abbiate capito questo, ma c' anche un'altra cosa che dovete capire. Sono risoluto a
non sopportare pi tutte le vostre smorfie e le vostre carezze da ubriaco.
- Oh! ma credete, Aleksj Ivnovic, che capisco benissimo che quelle cose erano possibili una volta
sola.
A questa risposta Vel'chninov, che andava su e gi per la camera, si ferm bruscamente davanti a
Pavel Pvlovic con aria solenne.
- Pavel Pvlovic siate franco! Siete intelligente, lo ripeto, ma battete una strada sbagliata. Siate
franco, agite apertamente e vi do la mia parola d'onore che risponder a tutte le vostre domande.
Pavel Pvlovic sorrise di nuovo con quel sorriso stupido che bastava a esasperare Vel'chninov.
- Non teniamo segreti! Io vedo chiaro fino al fondo di voi. Vi ripeto: vi do la mia parola d'onore che
risponder a "tutto" e che riceverete da me tutte le soddisfazioni possibili... voglio dire tutte le
soddisfazioni, possibili o impossibili. Oh! come vorrei che mi capiste!
- Ebbene, poich siete tanto buono, - disse Pavel Pvlovic con aria circospetta - io sono rimasto
molto male ieri, quando vi siete servito della parola "feroce".
Vel'chninov sput e si mise a camminare pi in fretta per la camera.
- Oh! no, Aleksj Ivnovic, non sputate perch sono curioso di saperlo; sono venuto apposta. La
lingua mi tradisce, oggi, ma voi sarete indulgente. Una volta ho letto qualche cosa in una rivista su
un individuo "feroce" e uno "bonario". Me lo sono ricordato questa mattina, soltanto non mi ricordo
bene, e, a dir la verit, non ho capito. Per esempio, vorrei sapere: Stepn Michjlovic Bagautov era
del tipo "feroce" o del tipo "bonario"?
Vel'chninov taceva sempre e continuava a camminare. Si ferm bruscamente e parl con stizza.
- L'uomo di tipo "feroce" si sarebbe affrettato a versare del veleno nel bicchiere di Bagautov, al
momento di bere con lui lo sciampagna in onore dell'amicizia cos felicemente ripresa, come avete
fatto ieri con me; ma un uomo di questo tipo non sarebbe andato ad accompagnarlo al cimitero,
come avete fatto voi, chi sa diavolo per quale motivo segreto, basso e vile, e non avrebbe fatto tutte
quelle smorfie sconvenienti.
- E' certo che non ci sarebbe andato, - disse Pavel Pvlovic- ma voi mi trattate...
- L'uomo di tipo "feroce" - prosegu Vel'chninov senza dargli retta - non si d delle arie, non posa a
giustiziere esatto e scrupoloso, non studia con meticolosit il caso per trarne la morale d'una
lezione, non piange, non fa smorfie, non si appiccica alla gente soddisfatto di questo modo
d'impiegare il suo tempo. Ditemi la verit: vero che volevate impiccarvi?
- Oh! non mi ricordo... ma possibile che in un momento d'ubriachezza... Ma sentite Aleksj
Ivnovic, delle persone come noi, non possono servirsi del veleno. Sono un funzionario stimato,
sono abbastanza ricco ed probabile che pensi a rimaritarmi.
- E poi si rischiano i lavori forzati.
- Giustissimo! E sarebbe incomodo, sebbene adesso i giurati accordino volentieri le circostanze
attenuanti. Ascoltate, Aleksj Ivnovic, mi sono ricordato stamane, mentre ero in carrozza, una
curiosa storiella che voglio raccontarvi. Parlavate poco fa dell'uomo che "s'appiccica alla gente".
Pu essere che vi ricordiate Semn Petrovic Livcv, che arriv a T... quando anche voi c'eravate.
Aveva un fratello cadetto, un bel giovane di Pietroburgo, come lui, che era in funzione al distretto di
V... dove era molto apprezzato. Gli capit un giorno di leticare col colonnello Golbenko, in

societ. C'erano delle signore e fra quelle la fanciulla del suo cuore. Egli rimase umiliatissimo ma
non rispose parola. Poco dopo il colonnello gli storn la fanciulla del suo cuore e la chiese in
moglie. Cosa credete che facesse Livcv? Fece di tutto per diventare amico intimo di Golbenko;
meglio ancora, chiese di servire da testimone. Il giorno del matrimonio ademp onorevolmente il
suo ufficio; poi quando ebbero ricevuta la benedizione nuziale, s'avvicin allo sposo per felicitarlo
ed abbracciarlo, e allora, davanti a tutta la nobile societ, davanti al governatore, ecco che Livcv lo
colpisce con una gran coltellata al ventre e Golbenko cade a terra... E non fiat. Il bello fu che
dopo la coltellata si gett a destra e a sinistra. "Ahim, cos'ho fatto, ahim, cos'ho fatto!" e
singhiozzava, e s'agitava e si appiccicava a tutti, anche alle signore: "Ahim, cos'ho fatto...". Ah!
Ah! Ah! c'era da crepare dalle risa. Non c'era che il povero Golbenko che faceva piet; ma poi s'
salvato.
- Non capisco perch mi raccontiate questa storia - disse seccamente Vel'chninov con le
sopracciglia aggrottate.
- Ma solo per la coltellata! Ecco un ragazzo che, preso dal terrore, manca a tutte le convenienze e
s'attacca dietro le signore, in presenza del governatore. E questo non vuol dire che non abbia dato
bene la sua coltellata e non abbia fatto quello che voleva fare... E' solo per quello che ve l'ho
raccontata.
- Andate al diavolo, - url Vel'chninov, con voce mutata, come se qualcosa si fosse spezzato in lui
- andate al diavolo coi vostri sottintesi, briccone che siete; mi volete far paura; canaglia, vigliacco...
vigliacco... vigliacco! - grid fuori di s ansando dopo ogni parola.
Pavel Pvlovic, di colpo, fu come trasfigurato. La sua ubriachezza spar, le sue labbra tremarono.
- Allora siete voi, Aleksj Ivnovic, "voi" che chiamate vigliacco me?
Vel'chninov torn in s.
- Sono pronto a farvi le mie scuse - disse dopo un momento di riflessione che lo atterr. - Sono
pronto a farvi le mie scuse, ma ad una condizione: che voi stesso, subito, vi decidiate ad agire
apertamente.
- Al vostro posto, Aleksj Ivnovic, avrei fatto delle scuse senza condizione.
- Ebbene, sia (ci fu ancora una pausa). Vi faccio le mie scuse; ma converrete voi stesso, Pavel
Pvlovic, che dopo questo io mi sento sciolto da ogni obbligazione verso di voi; non parlo solo per
il caso presente; ma anche per quello che concerne "tutta" la faccenda.
- Ma che obblighi ci possono essere tra noi? - chiese Pavel Pvlovic sorridendo, ad occhi bassi.
- Se cos, meglio, meglio. Su, dunque vuotate il vostro bicchiere e coricatevi, perch non voglio
lasciarvi andare.
- Ah! s! il vino... - disse Pavel Pvlovic agitato. S'avvicin al tavolo per vuotare il suo bicchiere.
Forse aveva gi bevuto molto, certo la sua mano tremava e vers una parte del vino in terra, sulla
sua camicia e sul panciotto. Tuttavia bevve fino all'ultima goccia, come se gli dispiacesse lasciarne,
poi, con precauzione, pos il bicchiere sul tavolo e docilmente and verso il suo letto per svestirsi.
- Ma non sarebbe meglio che non rimanessi qui, stanotte? - disse improvvisamente. S'era gi tolta
una scarpa e la teneva in mano.
- Nient'affatto, non sarebbe meglio - rispose violentemente Vel'chninov che camminava in lungo
ed in largo per la camera senza guardarlo.
L'altro fin di svestirsi e si coric. Dopo un quarto d'ora anche Vel'chninov si coric e spense la
candela.
Cominciava ad assopirsi, senza riuscire ad esser calmo. Qualche cosa di nuovo, di ancor pi
confuso che tutto il resto, qualche cosa che non aveva previsto, l'opprimeva e nello stesso tempo
egli si vergognava di quell'angoscia. Stava per addormentarsi quando un rumore lo svegli. Guard
subito verso il letto di Pavel Pvlovic. Era buio nella stanza (le tende erano chiuse) ma credette di
vedere che Pavel Pvlovic non era pi steso sul letto, ma seduto.
- Cosa avete? - grid Vel'chninov.
- L'ombra! - disse Pavel Pvlovic con voce sorda, appena percettibile.
- Che cosa, che ombra?

- L, nell'altra camera, accanto alla porta, m' sembrato di vedere un'ombra.


- L'ombra di chi? - chiese Vel'chninov dopo una pausa.
- L'ombra di Natl'ja Vasl'evna.
Vel'chninov salt dal letto, diede un'occhiata nell'anticamera e nella stanza vicina la porta della
quale era rimasta aperta. Non c'erano portiere alla finestra e le tendine leggere lasciavano entrare
una luce fievole.
- Non c' niente di l. Siete ubriaco, coricatevi! - disse Vel'chninov che si coric e si ravvolse nella
coperta.
Anche Pavel Pvlovic si sdrai di nuovo, senza dir parola.
- V' gi capitato, di vedere delle ombre? - domand all'improvviso Vel'chninov, dieci minuti pi
tardi.
- Una volta sola - rispose Pavel Pvlovic con voce fioca.
Poi si fece di nuovo silenzio.
Vel'chninov non capiva se dormisse o no. Pass un'ora; poi ad un tratto trasal: era ancora un
rumore che l'aveva svegliato? Non sapeva, ma gli pareva che nel buio ci fosse qualcosa di bianco,
ritto, poco discosto da lui, in mezzo alla camera. Si mise a sedere sul letto e guard.
- Siete voi, Pavel Pvlovic? - disse con voce fievole.
Quella voce alterata, nel silenzio e nelle tenebre, fece a lui stesso un'impressione strana. Non
ottenne risposta, ma non ebbe pi dubbio; c'era qualcuno l vicino.
- Siete voi, Pavel Pvlovic? - ripet pi forte, talmente forte che anche se Pavel Pvlovic avesse
dormito profondamente si sarebbe svegliato di botto trasalendo e avrebbe risposto.
Non ebbe risposta, ma gli parve che la forma bianca, ora quasi distinta, si muovesse e gli si
avvicinasse. Accadde una cosa strana. Ebbe improvvisamente una impressione che aveva gi avuta
prima; l'impressione che qualche cosa si rompesse in lui; e grid, con tutte le sue forze, con voce
rauca, strangolata, quasi soffocando ad ogni parola.
- Ubriaco, buffone, se credete di farmi paura, ebbene ecco, mi volter dalla parte del muro,
m'avvoltoler nelle coperte anche con la testa e non mi muover per tutta la notte... per mostrarti
cosa m'importa di te; e tu avrai una bella voglia di rimanere l, diritto fino a domattina per
prolungare la farsa... Ti sputo addosso!...
E sput con rabbia verso quello che credeva fosse Pavel Pvlovic; poi si volse verso il muro, si
copr bene e rimase fermo, come morto. Si fece un silenzio terribile.
Non sapeva, non poteva sapere se il fantasma gli si avvicinasse o se stesse immobile; e il suo cuore
batteva, batteva... batteva.
Cinque minuti passarono, poi improvvisamente ud la voce di Pavel Pvlovic vicino a lui, debole e
piagnucolosa.
- Sono io, Aleksj Ivnovic; mi sono alzato per cercare... - (e nomin un oggetto indispensabile). Non l'ho trovato vicino al letto, sono venuto piano piano a cercarlo al vostro.
- Perch non avete detto niente quando v'ho chiamato? - chiese Vel'chninov con voce rotta, dopo
un lungo silenzio.
- Ho avuto paura. Avete gridato cos forte... ho avuto paura.
- L, nell'angolo, a sinistra. Nel tavolino. Accendete la candela.
- Ah! adesso non importa... - disse Pavel Pvlovic con voce dolce - lo trover. Perdonatemi Aleksj
Ivnovic, d'avervi disturbato... mi sono sentito improvvisamente ubriaco...
Vel'chninov non rispose. Rimase coricato col viso rivolto verso il muro, tutta la notte senza
muoversi. Voleva mantenere la promessa e mostrargli che lo disprezzava? Non sapeva egli stesso
cosa accadeva in lui. La scossa era stata cos violenta che ne era rimasto come stordito e pass
molto tempo prima che riuscisse ad addormentarsi. Quando il giorno dopo si svegli, alle dieci,
trasal e si trov seduto sul letto, come mosso da una molla... Ma Pavel Pvlovic non era pi nella
camera; il letto era vuoto, in disordine. Era fuggito all'alba.
- Lo sapevo! - disse Vel'chninov battendosi la fronte.

10.
AL CIMITERO.

Il dottore aveva previsto giusto: lo stato di Liza peggior pi di quanto Vel'chninov e Klvdija
Petrovna se lo fossero immaginato. Quando Vel'chninov arriv, la malata riconosceva ancora la
gente, sebbene bruciasse di febbre.
Egli assicurava, pi tardi, che gli aveva sorriso e gli aveva stesa la manina. Fosse vero, o fosse
un'illusione consolante, non si poteva pi accertare. Quando venne la notte, ella perdette la
conoscenza e rimase cos fino alla fine. Il decimo giorno dopo il suo arrivo dai Pogorel'cev, mor.
I giorni che precedettero la sua morte furono orribili per Vel'chninov. I Pogorel'cev temettero per
lui. Egli pass in casa loro la maggior parte di quel periodo d'angosce. Durante gli ultimi giorni,
rimaneva per delle ore intere solo, in un luogo qualunque, in un angolo, senza pensare a niente.
Klvdija Petrovna cercava qualche volta di distrarlo, ma egli le rispondeva appena e qualche volta
lasciava capire che quei discorsi gli erano penosi. Ella non aveva creduto che lui avrebbe sofferto
tanto. Solo i bimbi riuscivano a distrarlo qualche volta, e qualche volta anche rideva con loro, ma
ogni momento scappava, in punta di piedi, a vedere la malatina. Gli pareva, alle volte, che lo
riconoscesse; non aveva pi degli altri speranza di vederla guarire, ma non sapeva allontanarsi dalla
camera dove ella moriva e di solito stava nella stanza vicina.
Due volte, in quel periodo, fu preso da un bisogno furioso d'agire. Partiva, correva a Pietroburgo,
andava dai medici pi reputati e li riuniva in consulto; l'ultima volta fu alla vigilia della morte. Tre
giorni prima Klvdija Petrovna gli aveva detto che bisognava ad ogni costo trovare il signor
Trusockij.
"In caso di morte, non avrebbero potuto sotterrarla senza la presenza del padre". Vel'chninov aveva
risposto con aria distratta che gli avrebbe scritto. Il vecchio Pogorel'cev allora aveva detto che lo
avrebbe fatto ricercare dalla polizia, e allora Vel'chninov aveva finito con lo scrivere un biglietto
laconico che port lui stesso all'albergo. Pavel Pvlovic, secondo il solito, non c'era e dovette
consegnare la lettera a Mr'ja Sysevna. Liza mor in una magnifica sera d'estate, mentre il sole
tramontava.
Fu come se Vel'chninov uscisse da un sogno. Quando l'ebbero vestita con un abitino bianco, il
vestito di festa d'una delle bimbe, quando l'ebbero distesa, con le mani incrociate, sul tavolo del
salone, coperto di fiori, egli s'avvicin a Klvdija Petrovna e con le lacrime agli occhi le disse che
andava a cercare "l'assassino" e che lo avrebbe condotto l immediatamente. Non volle sentire
consigli, rifiut di rimandare la cosa al giorno dopo e part per la citt.
Sapeva dove trovare Pavel Pvlovic. Quando, negli ultimi giorni, era andato a Pietroburgo, non era
stato soltanto a vedere i dottori. Gli pareva che se Liza avesse potuto rivedere suo padre, sarebbe
guarita solo a sentire la sua voce; ma poi, scoraggiato, aveva rinunciato a cercarlo. Pavel Pvlovic
abitava ancora allo stesso indirizzo, ma non era l che bisognava cercarlo. "Qualche volta sta anche
tre giorni senza dormire qui; senza entrare," diceva Mr'ja Sysevna "e se per caso torna, rimane in
casa un'ora e se ne va di nuovo; non salva nemmeno pi le apparenze, l'ubriacone". Il ragazzo
dell'albergo disse a Vel'chninov che da molto tempo Pavel Pvlovic frequentava certe ragazze che
abitavano sul Voznesenskij Prospkt. Vel'chninov fece presto a rintracciarle. Soltanto dopo che le
ebbe ben pagate, si ricordarono del loro cliente - il cappello col lutto le aveva colpite - e si dolsero
di non averlo pi visto. Una di loro, Katja, dichiar "che era facilissimo trovare Pavel Pvlovic"
perch non lasciava pi Mashka Prostakova. Katja non credeva di poterlo trovare subito, ma lo
promise formalmente pel giorno dopo. E Vel'chninov si ridusse a contare sul suo aiuto.
Torn dunque il giorno dopo verso le dieci, and a prendere Katja e si mise alla ricerca con lei. Non
sapeva cosa avrebbe fatto di Pavel Pvlovic; se lo avrebbe ammazzato sul posto, o se si sarebbe
limitato ad annunciargli la morte della figlia e dirgli che la sua presenza al funerale era
indispensabile. Le prime ricerche furono inutili; seppero che tre giorni prima Pavel Pvlovic era

venuto alle mani con Mashka Prostakova che gli aveva tirato una sedia in testa. Finalmente, alle due
del mattino, mentre Vel'chninov usciva da un caff che gli avevano indicato, s'imbatt in lui. Pavel
Pvlovic era completamente ubriaco; due donne lo trascinavano verso il caff; una lo sosteneva pel
braccio; un omaccio le seguiva gridando a squarciagola e facendo a Pavel Pvlovic delle furiose
minacce. Urlava, fra l'altro, "che lo aveva rovinato, che gli aveva avvelenato la vita". Forse si
trattava di danaro. Le donne avevano una grande paura e andavano leste il pi possibile. Quando
Pavel Pvlovic vide Vel'chninov gli corse incontro con le mani tese, gridando come se lo
strangolassero:
- Aiuto, fratello!
Non appena l'omaccio che li seguiva s'accorse della forte corporatura di Vel'chninov, scomparve in
un batter d'occhio. Pavel Pvlovic, fiero della vittoria, mostrava i pugni e schiamazzava
trionfalmente; ma Vel'chninov l'afferr violentemente per le spalle e, senza sapere perch,
cominci a scrollarlo con tanta forza che l'altro batteva i denti. Pavel Pvlovic smise subito di
gridare e lo guard con la stupida meraviglia degli ubbriachi. Vel'chninov, evidentemente non
sapendo come agire, lo fece sedere a forza su di un pilastro.
- Liza morta! - gli disse.
Pavel Pvlovic continuava a guardarlo, stando seduto sul pilastro e mantenuto in equilibrio da una
delle femmine. Finalmente cap e i suoi lineamenti si rabbuiarono.
- E' morta... - mormor con aria strana.
Vel'chninov non riusc a capire se era solo il suo largo e ignobile sorriso d'ubriaco o se anche
qualche cosa di malvagio, di nascosto, passasse nei suoi occhi.
Dopo un istante Pavel Pvlovic alz con sforzo la mano destra per fare un segno di croce, ma la
croce rimase incompiuta e la mano tremante ricadde. Poco dopo faticosamente s'alz dal pilastro e,
aggrappandosi alla femmina, si rimise in strada, come se niente fosse accaduto, senza pi occuparsi
di Vel'chninov. Questi lo afferr di nuovo pel braccio.
- Non capisci, bestia ubriaca, che non la si pu seppellire senza di te? - grid soffocando dalla
collera.
L'altro volse la testa verso di lui.
- Il sottotenente d'artiglieria, vi ricordate? - balbett.
- Che cosa? - grid Vel'chninov tutto fremente.
- E' lui il padre!... Cercatelo... per sotterrarla.
- Tu menti! - url Vel'chninov con rabbia folle. - Canaglia! Lo sapevo che avresti detto cos.
Fuori di s alz il pugno sulla testa di Pavel Pvlovic; ancora un attimo e l'avrebbe accoppato. Le
donne gettarono delle grida acute e si scostarono, ma Pavel Pvlovic non si mosse; il suo viso si
contrasse in una selvaggia espressione di perversit.
- Tu sai, - disse con voce ferma come se la ubbriachezza l'avesse abbandonato - tu lo sai come si
dice in russo? - (pronunci una parola che non si pu scrivere). - Questo sei tu. E adesso vattene, e
subito.
Si svincol dalle mani di Vel'chninov con tanta violenza che per poco non cadde lungo disteso. Le
femmine lo sostennero e lo portarono via in fretta, quasi trascinandolo. Vel'chninov non le segu.
Il giorno dopo, all'una, arriv dai Pogorel'cev un signore molto compito, d'et matura; un
funzionario in uniforme. Molto gentilmente diede a Klvdija Petrovna un pacchetto indirizzato a lei
per parte di Pavel Pvlovic Trusockij.
Il pacchetto conteneva una lettera, trecento rubli e i documenti necessari pel sotterramento di Liza.
La lettera era breve, molto deferente, correttissima. Esprimeva la sua gratitudine a Sua Eccellenza
Klvdija Petrovna per la bont e l'interessamento usato all'orfanella ed aggiungeva che solo Dio
avrebbe potuto ricompensarla. Spiegava vagamente che una grave indisposizione gl'impediva di
assistere in persona alle esequie della cara e povera bimba e che si rimetteva con ogni confidenza
all'angelica bont di Sua Eccellenza. Aggiungeva che i trecento rubli erano per le spese del funerale
e per quelle fatte durante la malattia: se la somma era troppo forte egli la pregava di usare il resto in
messe per il riposo dell'anima di Liza.

Il funzionario che port la lettera non pot aggiungere altro; solo si cap, da qualche parola che si
lasci sfuggire, che Pavel Pvlovic aveva dovuto insistere molto per fargli accettare l'incarico.
Pogorel'cev fu esasperato dall'espressione "le spese fatte durante la malattia". Valut a cinquanta
rubli la spesa del funerale - non si poteva impedire al padre di pagare le esequie alla figlia - e voleva
rimandare immediatamente al signor Trusockij i duecentocinquanta rubli di resto. Finalmente
Klvdija Petrovna decise di non mandarglieli ma di fargli arrivare una ricevuta della chiesa,
attestante che i duecentocinquanta rubli erano stati consacrati per qualche messa in suffragio
dell'anima della bimba. La ricevuta fu consegnata a Vel'chninov che la mand per posta a Pavel
Pvlovic.
Dopo il sotterramento Vel'chninov scomparve. Per due settimane intere err per la citt, senza
scopo, solo, pensieroso al punto che urtava i passanti. Qualche volta restava tutta la giornata steso
sul divano, dimenticando tutto, anche le cose pi elementari. I Pogorel'cev lo invitarono
ripetutamente; prometteva e poi non ci pensava pi. Klvdija Petrovna and lei stessa un giorno da
lui, ma non lo trov in casa. Il suo avvocato riusc a rintracciarlo: finalmente si presentava un
accomodamento facile; la parte avversa consentiva ad un accordo; bastava rinunciare ad una parte
insignificante della propriet. Non mancava che il consenso di Vel'chninov. L'avvocato fu stupito
di trovare un'indifferenza e una noncuranza completa nel cliente che prima era cos agitato e
meticoloso.
Erano le pi calde giornate di luglio, ma Vel'chninov aveva dimenticato anche il tempo. Soffriva
senza requie d'un dolore acuto, come d'un ascesso maturo. I pensieri si succedevano ai pensieri e lo
turbavano. Il suo gran dolore era che Liza non aveva avuto il tempo di conoscerlo e che era morta
senza sapere quanta era la sua tenerezza. Lo scopo unico della sua vita, quello scopo che aveva
intravisto in un'ora di gioia, era scomparso per sempre nel nulla. Questo fine che aveva sognato ed
al quale ora pensava ad ogni istante, era che ad ogni giorno, ad ogni ora Liza sentisse la tenerezza
che aveva per lei. "No," pensava alle volte, in un'esaltazione disperata "no, non c' al mondo uno
scopo pi elevato! Se ve ne sono altri, nessuno pi sacro. Con l'aiuto del mio amore per Liza avrei
purificato e rifatto tutto il mio passato assurdo e inutile, avrei cacciato da me l'uomo ozioso, vizioso
e stanco del passato, avrei allevato alla vita un piccolo essere puro e grazioso, e per questo esserino
tutto mi sarebbe stato perdonato, io stesso mi sarei perdonato...".
Questi pensieri gli tornavano sempre alla mente con la visione chiara e commovente della bimba
morta. Rivedeva il corpicino vestito di bianco, ne rivedeva l'espressione. La rivedeva sul letto in
mezzo ai fiori, la rivedeva delirante, bruciata dalla febbre, con gli occhi spalancati. Ricordava
l'impressione provata quando la vide distesa nella bara, quando not che uno dei suoi ditini era
diventato quasi nero.
La vista di quel povero ditino gli aveva dato un desiderio folle di trovare subito Pavel Pvlovic e di
ammazzarlo sul posto. Dalla sua fierezza umiliata era stato ucciso quel piccolo cuore di bimba; e i
tre mesi di sofferenza dura che le aveva fatto soffrire il padre, l'amore improvvisamente cambiato in
odio, le parole di rimprovero, di sdegno per le sue lagrime, e, infine, il suo abbandono in mani
straniere. Tutte queste cose gli tornavano a mente sotto nuovi aspetti. "Sapete quello che Liza
stata per me?". Si ricordava quel grido di Trusockij e sentiva che non era stata una smorfia, che era
stato uno schianto sincero, che c'era della tenerezza... "Come aveva potuto, quel mostro, essere cos
crudele con la bimba che adorava? Era possibile?". Ma scartava sempre questa domanda e la
fuggiva perch conteneva una incertezza orribile; una cosa intollerabile e insolubile.
Un giorno, senza sapere come, arriv al cimitero dove era sotterrata Liza. Non c'era pi andato dopo
le esequie, gli sembrava che il dolore sarebbe stato pi forte e non osava. Cosa strana, quando si fu
inginocchiato sulla pietra che la copriva, e l'ebbe baciata, si sent il cuore meno oppresso. Era una
serata chiara; il sole tramontava; attorno alla tomba cresceva l'erba folta e verde; un'ape ronzava
volando da una rosellina all'altra; i fiori e le corone che i bimbi di Klvdija Petrovna avevano
lasciato sulla tomba erano ancor l, quasi sfogliati. Per la prima volta, dopo tanto tempo, quasi una
speranza illumin il suo cuore. "Come dolce!" pensava, sentendosi avvinto dalla pace del
cimitero; e guardava il cielo chiaro e calmo. Sentiva affluire una gioia pura e forte che gli riempiva

l'anima. "E' Liza che mi manda questa pace; Liza che mi parla" pensava. Era notte completa
quando lasci il cimitero per rincasare. Vicino all'ingresso del cimitero, ai lati della strada, vide una
casetta di legno, una specie di osteria; le finestre erano spalancate, delle persone erano attorno ai
tavoli e bevevano. Gli parve che uno di essi, che guardava dalla finestra, fosse Pavel Pvlovic, che
l'aveva scorto e l'osservava con curiosit. Continu la sua strada. Poco dopo sent che qualcuno
cercava di raggiungerlo: infatti era Pavel Pvlovic. Senza dubbio l'aria calma di Vel'chninov gli
aveva dato coraggio. Gli si avvicin con aria timida, sorrise, non col suo sorriso da ubriaco; non era
ubriaco.
- Buon giorno - disse.
- Buon giorno - rispose Vel'chninov.

11.
PAVEL PAVLOVIC SI VUOLE SPOSARE.

Nello stesso momento in cui diceva buon giorno, Vel'chninov fu stupito di quel che provava. Gli
pareva strano di vedere quell'uomo senza nessuna collera e di provare per lui quasi un sentimento
nuovo, quasi il desiderio di sentimenti diversi.
- Che bella serata! - disse Pavel Pvlovic scrutandolo negli occhi.
- Non siete ancora partito! - riprese Vel'chninov col tono pi d'una riflessione che d'una domanda,
e continu a camminare.
- Ci sono stati dei ritardi, ma finalmente ho avuto un posto e degli aumenti; partir certamente dopo
domani.
- Avete ottenuto un posto? - chiese Vel'chninov e questa volta era una domanda la sua.
- E perch no? - rispose Pavel Pvlovic con una smorfia.
- Dio mio, dicevo cos per... - si scus aggrottando le sopracciglia e dando un'occhiata obliqua a
Pavel Pvlovic.
Fu stupito di accorgersi che il vestito, il cappello col lutto e tutto l'aspetto del signor Trusockij fosse
molto pi decente di due settimane prima. "Ma perch diavolo era in quell'osteria?" si domandava.
- Bisogna pure, Aleksj Ivnovic, che io vi partecipi un altro grande avvenimento - riprese Pavel
Pvlovic.
- Un avvenimento?
- Mi sposo.
- Come?
- Dopo la tristezza, la gioia. Cos la vita. Io avrei voluto, Aleksj Ivnovic... Ma temo... avete
fretta... mi parete...
- S, s, ho fretta, e poi non mi sento bene. - Gli venne un desiderio violento di sbarazzarsi dell'altro;
tutte le sue buone disposizioni erano svanite in un attimo.
- S, avrei voluto...
Pavel Pvlovic non disse quello che avrebbe voluto; Vel'chninov taceva.
- Ma in questo caso, sar pure per un'altra volta, quando avr la fortuna d'incontrarvi...
- S, s, un'altra volta - disse in fretta Vel'chninov, senza guardarlo e senza fermarsi.
Tacquero un minuto; Pavel Pvlovic continuava a camminargli accanto.
- Allora, arrivederci.
- Arrivederci; spero...
Vel'chninov rincas di nuovo angosciato. La vicinanza di "quell'uomo" gli era addirittura
insopportabile. Era pi forte di lui. Coricandosi si domandava ancora: "Che cosa faceva vicino al
cimitero?".
La mattina dopo, finalmente, si decise d'andare dai Pogorel'cev; si decise a malincuore; adesso tutte
le sue simpatie gli davano noia, anche le loro. Ma essi erano tanto inquieti per lui che bisognava

assolutamente andare. Improvvisamente ebbe l'idea che avrebbe provato un grande imbarazzo a
vederli. "Andr o non andr?" pensava, affrettandosi a finire la colazione, quando, con suo grande
stupore, Pavel Pvlovic entr.
Malgrado l'incontro del giorno prima, s'aspettava cos poco che quell'uomo si sarebbe ripresentato a
lui, che rimase tanto sconcertato da guardarlo senza trovare una parola da dirgli. Ma Pavel Pvlovic
non era affatto imbarazzato; lo salut e si sedette sulla stessa seggiola sulla quale s'era seduto tre
settimane prima, nell'ultima visita. Il ricordo di quella visita torn alla mente di Vel'chninov che
guard il suo ospite con inquietudine e disgusto.
- Siete sorpreso? - chiese Pavel Pvlovic che aveva notato lo sguardo di Vel'chninov.
Era meno spigliato del giorno prima e si capiva che era pi intimidito. Il suo aspetto era stranissimo.
S'era vestito con ricercatezza: giacchetta da estate, pantaloni chiari, corpetto chiaro, guanti, occhiali
d'oro, biancheria irreprensibile, ed era anche tutto profumato. Era ridicolo e nello stesso tempo
bizzarro e ripugnante.
- Precisamente, Aleksj Ivnovic, - prosegu inchinandosi - la mia venuta vi sorprende e me ne
accorgo. Ma ci sono delle persone fra le quali io credo che rimanga sempre qualche cosa... non vi
pare? qualche cosa di superiore a tutti gli avvenimenti e a tutti i fastidi che possono accadere... non
vi pare?
- Vi prego, Pavel Pvlovic, di dirmi in fretta e senza chiacchiere quello che mi dovete dire - rispose
Vel'chninov aggrottando le sopracciglia.
- Ecco, in due parole: io mi marito, e debbo andare adesso dalla mia fidanzata, in campagna. Io
vorrei che mi faceste il grandissimo onore di presentarvi in questa casa, e sono venuto a pregarvi, a
supplicarvi - e inchin la testa umilmente - di venire con me...
- Di venire con voi dove? - disse Vel'chninov sgranando gli occhi.
- Da loro, in campagna. Scusatemi, m'esprimo male, con precipitazione febbrile, sgraziatamente; ma
ho tanta paura che rifiutiate! - E guard Vel'chninov supplichevole.
- Voi volete che io v'accompagni subito dalla vostra fidanzata? - disse Vel'chninov inebetito, non
credendo ai suoi orecchi ed ai suoi occhi.
- S - disse Pavel Pvlovic tutto timoroso. - Ve ne prego, Aleksj Ivnovic; non vi stupite, non
supponete in questo dell'audacia, ma solo un'umile preghiera. Io spero che voi non mi opponiate un
rifiuto...
- E' impossibile - rispose Vel'chninov con irrequietezza.
- Eppure il mio desiderio pi grande e non ve ne nasconder il motivo; volevo dirvelo solo dopo...
ma ve ne prego umilmente.
E s'alz rispettosamente.
- Ma nient'affatto; impossibile, ricordatevelo!
Anche Vel'chninov s'era alzato.
- Ma s, Aleksj Ivnovic, possibilissimo. Volevo presentarvi come amico. E poi vi conoscono
gi. Si tratta del consigliere di Stato, signor Zachlbinin.
- Come! - disse Vel'chninov sorpreso. Era il consigliere di Stato che aveva inutilmente cercato
d'intenerire due mesi prima e che nel suo processo rappresentava la parte avversaria.
- Ma s, ma s, - disse Pavel Pvlovic, sorridendo come se la sorpresa di Vel'chninov gli desse
coraggio - ma s, quello stesso col quale parlavate, ricorderete, quando io vi guardai e mi fermai.
Aspettavo per avvicinarlo che lo aveste lasciato. Siamo stati colleghi, dodici anni fa, e quando
volevo parlargli, dopo voi, non avevo nessun'altra idea... L'idea m' venuta improvvisamente, otto
giorni or sono.
- Ma ditemi, mi sembrano persone molto per bene! - riprese Vel'chninov con stupore.
- Sicuro, e poi? - disse Pavel Pvlovic facendo una smorfia.
- Oh niente, non che... solo perch mi pareva aver notato, quando sono stato da loro...
- Oh, si ricordano benissimo che siete stato da loro; - interruppe Pavel Pvlovic premurosamente soltanto non conoscete la famiglia. Il padre si ricorda di voi e vi tiene in gran conto. Io ho parlato di
voi con molto entusiasmo.

- Ma come pu essere che, vedovo solo da tre mesi...


- Oh, il matrimonio non avverr subito, solo tra nove o dieci mesi e allora il mio lutto sar finito.
Siatene persuaso; tutto andr benissimo. Intanto Fedosj Petrovic mi conosce da bambino, ha
conosciuto mia moglie, sa tutta la mia carriera, e poi io sono abbastanza ricco ed ho ottenuto un
posto con uno stipendio maggiore. Tutto va bene.
- E sua figlia...
- Vi racconter tutto dettagliatamente, - disse Pavel Pvlovic con molta calma - lasciatemi
accendere una sigaretta. E poi lo vedrete oggi. Sapete che qui, a Pietroburgo, spesso si valuta la
condizione d'un funzionario come Fedosj Petrovic dall'importanza delle sue funzioni. Ebbene,
salvo lo stipendio e il resto, supplementi di ogni sorta, gratificazioni, indennit d'alloggio e di vitto,
egli non ha capitale. Vivono molto bene, ma impossibile risparmiare con una famiglia cos
numerosa. Pensate, otto figlie e un maschio, ancora tutti giovani. Se lui dovesse morire, a loro non
rimarrebbe altro che una misera pensione. E otto figlie! Pensateci! Solo per fare un paio di scarpette
a ognuna, pensate cosa spende! Cinque sono in et da marito: la pi grande ha ventiquattro anni
(un'incantevole creatura, vedrete): la sesta ha quindici anni ed ancora al ginnasio. Ecco dunque
cinque ragazze alle quali bisogna trovare marito e non troppo tardi. Bisogna che il padre le conduca
in societ e immaginatevi che spese! Ed ecco che io mi sono presentato come pretendente;
conosceva la mia posizione, mi conosceva da molto tempo... Ed ecco fatto!
Pavel Pvlovic aveva dette tutte queste cose con una specie d'ebbrezza.
- Avete chiesta la maggiore?
- No, non la maggiore. Ho chiesto la sesta, quella che va ancora al ginnasio.
- Come? - disse Vel'chninov con un sorriso involontario. - Ma se mi dicevate che ha quindici anni.
- Quindici anni adesso; ma fra dieci mesi ne avr sedici, sedici anni e tre mesi... e allora!... Intanto,
come giusto, ella non sa niente ed io solo coi parenti mi sono inteso. Non una buona cosa?
- Allora non c' niente di deciso?
- Deciso? S! Tutto deciso! Non vero che una buona cosa?
- E lei non sa niente?
- Non le si detto nulla per delicatezza, ma deve aver capito - disse Pavel Pvlovic con una
strizzatina d'occhi. - E dunque? Mi farete questo favore, Aleksj Ivnovic? - chiese umilmente.
- Ma cosa volete che venga a fare laggi? E poi, - aggiunse in fretta - non vorrei in tutti i casi;
quindi inutile cercare delle ragioni che mi possano decidere.
- Aleksj Ivnovic...
- Pensateci; posso presentarmi con voi? Riflettete.
Distratto un momento dal chiacchierare di Pavel Pvlovic, si sentiva ripreso dalle sue antipatie e
dalle sue avversioni. Ancora un poco e l'avrebbe messo fuori della porta. Era scontento di se stesso.
- Su, via, vi prego, Aleksj Ivnovic; sedete qua vicino a me e non vi agitate - disse Pavel Pvlovic
con voce supplichevole. - No, no! - esclam rispondendo a un gesto risoluto di Vel'chninov. - No,
Aleksj Ivnovic, non rifiutate cos, senz'altro. Credo che abbiate capito male: so troppo bene che
non possiamo essere amici; non sono tanto bestia da non capirlo. Il piacere che vi domando non
v'obbliga affatto per l'avvenire. Io partir domani l'altro, per sempre. Sar come se niente fosse
avvenuto. Sar un fatto isolato, senza seguito. Sono venuto da voi fidando nella nobilt dei
sentimenti che forse gli ultimi avvenimenti hanno destato nel vostro cuore... Vedete con quanta
sincerit vi parlo. Direte ancora di no?
Pavel Pvlovic era cos agitato che Vel'chninov lo guardava con stupore.
- Mi domandate un favore di natura tale ed insistete con tanta impazienza che mi costringete a
diffidare. Voglio sapere il resto.
- L'unico favore che vi domando che mi accompagniate. Al ritorno vi dir tutto, come ad un
confessore! Aleksj Ivnovic, fidatevi di me.
Ma Vel'chninov seguitava a rifiutare, con sempre maggior ostinazione sentendo crescere un
pensiero cattivo e maligno. Quest'idea era germogliata in lui da quando Pavel Pvlovic aveva
cominciato a parlargli della sua fidanzata. Era una semplice curiosit o un impulso ancora oscuro?

Egli sentiva quasi la tentazione di consentire, e pi la tentazione ingrandiva pi lui s'ostinava a


rifiutare. Rimaneva seduto, pensieroso, mentre Pavel Pvlovic insisteva, lo supplicava, lo annoiava
con le sue moine.
- Ebbene, verr! - disse Vel'chninov con un'agitazione quasi ansiosa.
Pavel Pvlovic non era in s dalla gioia.
- Presto, Aleksj Ivnovic, vestitevi. - E gli gironzava intorno esultante.
"E perch ci terr tanto, questo stupido?" pensava Vel'chninov.
- E poi, Aleksj Ivnovic, dovete farmi un altro favore. Dovete darmi un consiglio.
- A che proposito?
- Ecco, una questione difficile. Il mio lutto. Che cosa ne dite? Devo toglierlo o lasciarlo?
- Come vi pare.
- No, bisogna che decidiate voi. Cosa fareste al mio posto? A mio parere, tenendolo dimostro una
costanza nei miei affetti che deporrebbe molto bene in mio favore.
- Allora evidente che bisogna toglierlo.
- Vi pare? - Pavel Pvlovic rest pensieroso un momento. - No, meglio che lo tenga.
- Come vorrete! - "Allora non si fida di me; va bene" pens Vel'chninov.
Uscirono. Pavel Pvlovic guardava con soddisfazione Vel'chninov che era di buon umore: si
sentiva pieno di attenzione e di rispetto. Vel'chninov non riusciva a capire il compagno, e ancor
meno se stesso. Una carrozza li aspettava alla porta.
- Come, avevate gi presa la carrozza? Eravate certo che sarei venuto?
- Oh! avevo preso la carrozza per me, ma ero sicuro che sareste venuto - rispose Pavel Pvlovic con
l'aria d'un uomo completamente soddisfatto.
- Ditemi, Pavel Pvlovic, - disse Vel'chninov quando furono in istrada - non vi pare di fidarvi
troppo di me?
- Ma badiamo, Aleksj Ivnovic, non sarete voi a concludere che sono uno sciocco - rispose
gravemente Pavel Pvlovic.
"E Liza?" pens Vel'chninov, ma subito respinse quest'idea come un sacrilegio. Gli parve di agire
da miserabile, che il pensiero che l'aveva sfiorato fosse basso e riprovevole... ed ebbe un gran
desiderio di abbandonare tutto, di saltare dalla carrozza, anche se avesse dovuto liberarsi di Pavel
Pvlovic con la violenza. Ma questi si rimise a discorrere e la tentazione s'impadron nuovamente di
lui.
- Ve ne intendete, Aleksj Ivnovic, di gioielli?
- Di che gioielli?
- Di diamanti.
-S.
- Vorrei portare un regalo. Consigliatemi: lo devo fare o no?
- Io non trovo che sia necessario.
- Ma a me piacerebbe molto. Soltanto non so cosa comprare. Cosa debbo prendere, spilla, orecchini
e braccialetto, o soltanto un oggettino?
- Quanto volete spendere?
- Quattro o cinquecento rubli.
- Diavolo!
- Vi pare che sia troppo? - chiese con inquietudine Pavel Pvlovic.
- Comprate un braccialetto da cento rubli.
A Pavel Pvlovic non piacque l'idea. Voleva pagare di pi e comprare tutto un finimento. Si
fermarono ad un negozio e finirono per comprare soltanto un braccialetto, ma non quello che
piaceva di pi a Pavel Pvlovic, bens quello che scelse Vel'chninov.
Pavel Pvlovic non fu soddisfatto quando il gioielliere, che aveva chiesto centosettantacinque rubli,
glielo lasci per centocinquanta. Ne avrebbe volentieri pagati duecento se glieli avesse chiesti, tanto
desiderava di pagar caro.

- Credo che non ci sia nessun inconveniente se io faccio dei regali adesso; - disse con gran premura
appena furono di nuovo in istrada - non sono persone del gran mondo, sono molto semplici... L'et
innocente ama i regali - aggiunse con un sorriso malizioso e gaio. - Vi siete meravigliato, Aleksj
Ivnovic, quando v'ho detto che ha quindici anni; ma proprio cos che mi piace; questa ragazzina
che va ancora a scuola, con i libri e le penne sotto il braccio! E' stato proprio questo che m'ha
conquistato. Io, Aleksj Ivnovic, sono per l'innocenza. A me importa meno la bellezza del viso,
che quello. Bambine che scoppiano dalle risa, in un angolo, e perch? perch il gattino nel saltare
dal comodino al letto ruzzolato come una palla... E' come un cestino di mele fresche! Ma
vediamo, bisogna togliere o non togliere il lutto?
- Come vi pare.
- Sentite; io lo tolgo!
Si tolse il cappello e ne strapp il lutto che gett sul marciapiede. Vel'chninov vide nei suoi occhi
come un raggio di speranza quando si rimise il cappello sulla testa calva.
"Ma dopo tutto" pens irritato "cosa c' di sincero nelle arie che si d? Cosa significa la sua
insistenza perch io vada con lui? Ha davvero la confidenza che dice nella generosit dei miei
sentimenti?" (e quest'ipotesi gli faceva quasi l'effetto d'un'offesa). "Alla fine dei conti, un buffone,
un imbecille o un 'eterno marito'? Insopportabile, insomma".

12.
IN CASA ZACHL BININ.

Gli Zachlbinin erano infatti "gente molto per bene", come aveva detto prima Vel'chninov, e
Zachlbinin era un funzionario rispettabile. Quello che Pavel Pvlovic aveva raccontato delle
risorse era esattissimo. "Stanno bene; ma se il padre morisse a loro non resterebbe nulla".
Il vecchio Zachlbinin ricevette Vel'chninov con molta cordialit; l'"avversario" d'una volta
divenne subito un eccellente amico.
- I miei complimenti per la buona riuscita del vostro processo, - disse subito con molta gentilezza io ho sempre patteggiato per una soluzione amichevole. Ptr Krlovic (l'avvocato di Vel'chninov)
per queste cose un uomo prezioso. Riceverete sessantamila rubli, senza brighe, senza dilazioni,
senza noie. E la cosa poteva ancora andare in lungo per tre anni!
Vel'chninov fu subito presentato alla signora Zachlbinin. Ella era una donna in et, piuttosto
grassa, con un viso insignificante e stanco. Poi gli presentarono le signorine, a una o due per volta.
Ce n'era un reggimento. Vel'chninov ne cont dieci o undici, poi rinunci; le une entravano le altre
uscivano; alcune del vicinato s'erano aggiunte alle ragazze di casa. La casa di Zachlbinin era un
gran fabbricato di legno, d'un gusto mediocre e strambo, costruito in diverse riprese. Era attorniata
da un grande giardino sul quale davano altre ville; il giardino era in comune e le ragazze del
vicinato erano tutte amiche.
Vel'chninov cap subito che era atteso e che il suo arrivo, come amico di Pavel Pvlovic,
desideroso d'esser presentato, era un avvenimento.
Esperto com'era in queste cose scopr subito in tutto questo un'intenzione speciale: l'accoglienza
anche troppo cordiale dei genitori, una cert'aria delle ragazze e i loro vestiti ( vero che era giorno
di festa) gli fecero immediatamente pensare che Pavel Pvlovic gli aveva giocato un tiro e che
aveva fatto sul suo conto delle insinuazioni che potevano aver l'aria di approcci, descrivendolo
come un uomo "della buona societ", uno scapolo ricco, stanco del celibato e forse disposto ad
accasarsi da un momento all'altro, "specialmente adesso che gli toccava quell'eredit". Sembrava
appunto che queste cose interessassero la maggiore delle ragazze, Katerina Fedosevna, quella che
aveva ventiquattro anni e della quale Pavel Pvlovic parlava come d'una creatura incantevole. Si
distingueva dalle sorelle per la ricercatezza del suo vestito e per l'originale acconciatura che s'era
fatta coi suoi magnifici capelli. Le sorelle e le altre ragazze avevano tutta l'aria d'essere persuase che

Vel'chninov andasse "per Katja". I loro sguardi, certe parole dette durante il giorno, lo convinsero
che la sua ipotesi era giusta.
Katerina Fedosevna era una ragazza alta, bionda, robusta, dall'espressione oltremodo dolce, e dal
carattere evidentemente pacifico, timido, un po' pigra.
"E' strano che una creatura come questa non sia ancor maritata," pens suo malgrado Vel'chninov
guardandola con un vero piacere "non ha dote, vero, ingrassa troppo presto, ma pure ci sono molti
cui piace questo genere di bellezza". Le sorelle erano tutte graziose e fra le amiche egli not
qualcuna molto simpatica o veramente graziosa. Non che gli dispiacessero quelle cose; ma era
venuto in una condizione di spirito particolare.
Nadezda Fedosevna, la sesta, quella del liceo, la promessa di Pavel Pvlovic, si faceva aspettare;
Vel'chninov era impaziente di vederla, cosa che lo sorprese e gli parve piuttosto buffa. Finalmente
arriv e il suo ingresso fece effetto. Era accompagnata da un'amica, una brunetta non bella dall'aria
svelta e maliziosa, Mr'ja Niktichna, una ragazza di ventiquattro anni, che era istitutrice in una casa
vicina; gli Zachlbinin la trattavano come una di famiglia e le ragazze le volevano molto bene. Era
evidente, intanto, che Nadja non poteva separarsi da lei.
Vel'chninov s'era accorto alla prima occhiata che tutte le ragazze, ed anche le vicine, erano ostili a
Pavel Pvlovic. Un minuto dopo che Nadja era l, egli cap che lo detestava, e si convinse che Pavel
Pvlovic non s'era accorto di nulla o non se ne voleva accorgere.
Nadja era incontestabilmente la pi graziosa delle sorelle: era una brunetta dall'aria un po' selvatica,
un demonietto dagli occhi vivi, con un sorriso incantevole e spesso malizioso, con le labbra e i denti
bellissimi; sottile ed elegante, con un'espressione fiera e risoluta e nello stesso tempo quasi
infantile. Ogni suo passo, ogni sua parola dicevano che aveva quindici anni.
Il braccialetto ebbe poco successo; anzi l'effetto che produsse fu quasi di fastidio. Appena ella era
entrata Pavel Pvlovic le si era avvicinato col sorriso sulle labbra e le fece il regalo, col pretesto
"del gran piacere provato, l'altra volta, a sentirla cantare quella squisita romanza al piano".
S'imbrogli, non riusc a terminare la frase, rimase impalato, stupito, cercando di mettere nella
mano di Nadja l'astuccio. Questa rifiut di prenderlo, rossa di confusione e di collera, ritir la mano,
si volse arditamente verso la madre che pareva sconcertata e disse ad alta voce:
- Non voglio, "maman"!
- Accetta e ringrazia - disse il padre in tono severo e calmo, ma era anche lui contrariato.
- Era inutile, proprio inutile! - disse a bassa voce a Pavel Pvlovic e con un tono molto significativo.
Nadja, rassegnata, prese l'astuccio, con gli occhi bassi fece un inchino da bimba, inchinandosi
repentinamente e risollevandosi come mossa da una molla. Una sorella le si avvicin per vedere il
braccialetto; Nadja le tese l'astuccio senza aprirlo, per mostrare che non desiderava affatto vederlo.
Il braccialetto pass di mano in mano, tutti guardarono senza dir parola; qualcuna con un sorriso
motteggevole. Solo la madre, con aria contrita, disse che il braccialetto era molto carino. Pavel
Pvlovic avrebbe voluto sprofondare sotto terra.
Vel'chninov trasse tutti dall'imbarazzo.
Afferr la prima idea che gli capit e cominci a parlare a voce alta, con foga: cinque minuti dopo,
tutte le persone presenti nel salone pendevano dalle sue labbra. Sapeva a meraviglia l'arte della
conversazione mondana; sapeva prendere un'aria candida di convinzione che dava ai suoi uditori
l'impressione d'essere considerati da lui come persone convinte e candide. Quando era necessario,
sapeva sembrare l'uomo pi felice e pi allegro del mondo. Era abilissimo nel dire al momento
opportuno una parola spiritosa e mordente, un'allusione piacevole, un gioco di parole, con l'aria pi
naturale, senza mostrare di starci attento, anche quando il complimento era preparato da molto
tempo, imparato a memoria e ripetuto per la centesima volta. Ma questa volta non era solo arte la
sua; lo faceva istintivamente.
Si sentiva allegro, eccitato; sentiva con certezza piena e trionfante che gli sarebbero bastati pochi
minuti perch tutti gli occhi fossero fissi su di lui, perch non si ascoltasse pi che lui, perch non si
ridesse che di quello che diceva lui. Infatti a poco a poco tutti parteciparono alla conversazione che
egli conduceva con abilit perfetta.

Il viso stanco della signora Zachlbinin si rischiar di consolazione, quasi di gioia, e Katja si mise
ad ascoltare ed a guardare, rapita. Nadja l'osservava diffidente; si vedeva che era prevenuta contro
di lui, cosa questa che non faceva altro che aguzzare di pi l'ingegno di Vel'chninov. La maligna
Mr'ja Niktichna aveva saputo far correre sul suo conto una storia che nuoceva al suo prestigio:
aveva assicurato che il giorno prima Pavel Pvlovic le aveva parlato di Vel'chninov come del suo
compagno d'infanzia; cosa che invecchiava quest'ultimo di sette anni buoni. Ma adesso, la maligna
Mr'ja, anche lei era rimasta incantata. Pavel Pvlovic era avvilito. Vedeva la superiorit del suo
amico, e dapprincipio era rimasto entusiasmato del successo. A poco a poco era caduto in una
specie di fantasticheria, e poi addirittura in una tristezza che gli si leggeva in viso.
- Voi siete un ospite col quale ci si pu dispensare dai complimenti - disse gaiamente il vecchio
Zachlbinin alzandosi per andar nella sua stanza dove, malgrado fosse un giorno di festa, doveva
esaminare alcune pratiche; - e pensate che vi consideravo l'uomo pi ipocondriaco del mondo!
Come ci s'inganna!
Nel salone c'era un piano a coda. Vel'chninov domand chi s'occupava di musica e si volse di
colpo verso Nadja.
- Voi cantate, non vero?
- Chi ve l'ha detto? - chiese ella seccamente.
- Pavel Pvlovic l'ha detto or poco.
- Non vero; io canto per passatempo ma non ho voce.
- Anch'io non ho voce, eppure canto lo stesso.
- Allora, ci canterete qualche cosa? Poi, canter anch'io - disse Nadja con un lampo negli occhi; soltanto non adesso, dopo pranzo... Non posso soffrire la musica, - aggiunse - questo piano
m'annoia, qui non fanno che suonare e cantare dalla mattina alla sera; e non c' che Katja che se ne
intenda un poco.
Vel'chninov prese la palla al balzo, e tutti convennero che infatti Katja era la sola che s'occupasse
seriamente di musica. Cos la preg di suonare qualcosa; tutti ebbero piacere che si fosse rivolto a
Katja e la madre arross di piacere. Katja si alz sorridendo e si diresse verso il piano, e l,
improvvisamente, senza che lo aspettasse, si sent arrossire, confusa come una bimba, lei, la grande
e forte ragazza di ventiquattro anni - e tutto questo le si leggeva sul viso mentre sedeva al piano -;
suon un breve pezzo di Haydn, correttamente, ma senza espressione, perch era intimidita.
Quando ebbe terminato Vel'chninov lod calorosamente non il suo modo di suonare ma il pezzo di
Haydn. Ella ne fu contenta ed ascoltava con aria cos riconoscente e felice l'elogio che faceva, non
di lei, ma di Haydn, che Vel'chninov non pot fare a meno di guardarla pi attentamente e con pi
cordialit: "Sei davvero una cos buona figliola?" diceva il suo sguardo - e tutti capirono il suo
sguardo, ma soprattutto Katerina.
- Che magnifico giardino avete! - disse rivolgendosi a tutte e guardando verso le porte vetrate della
terrazza. - Andiamo tutti in giardino; volete?
- S, s, in giardino!
Fu un urlo di gioia, come se avesse indovinato il desiderio di tutte.
Scesero dunque in giardino aspettando l'ora del pranzo. Anche la signora Zachlbinin, che da molto
tempo desiderava fare la sua siesta, dovette uscire con gli altri, ma si ferm prudentemente sulla
terrazza dove si sedette e subito s'assop.
In giardino, i rapporti di Vel'chninov con le ragazze divennero subito completamente amichevoli e
familiari. Due o tre giovanetti uscirono dalle ville vicine per unirsi a loro, ed ognuno s'avvicin alla
fanciulla per la quale era andato. Il terzo era un giovane di vent'anni, con uno sguardo fosco, coi
capelli arruffati, con degli enormi occhiali azzurri; si mise a parlare a voce bassa e molto in fretta,
con le sopracciglia aggrottate, con Mr'ja Niktichna e con Nadja, lanciando verso Vel'chninov
delle occhiate dure, e sembrava che si fosse proposto di guardarlo col pi grande disprezzo che
potesse.
Qualcuna delle ragazze propose di giocare. Vel'chninov domand a che cosa giocassero di solito.
Gli risposero che giocavano a tutti i giochi, ma pi spesso ai proverbi. Gli spiegarono: tutti stanno

seduti, uno solo s'allontana un momento; si sceglie un proverbio qualunque e quando arriva quello
che deve indovinare, ognuno gli dice una frase dove ci sia una parola del proverbio; l'altro deve
indovinare la frase intera.
- Ma molto divertente! - disse Vel'chninov.
- Oh no! molto noioso - risposero in coro due o tre voci.
- E poi, giochiamo anche al teatro, - disse Nadja rivolgendosi a lui - vedete l in fondo quell'albero
grande attorniato di panche: gli attori sono dietro all'albero come fra le quinte; si esce a turno: il re,
la regina, la principessa, l'attor giovane; si dice quello che passa per la testa, poi si va via.
- E' grazioso - replic Vel'chninov.
- Oh no, molto noioso! Interessa al principio, ma poi nessuno sa pi cosa dire, non sa come finire:
forse con voi s'andrebbe meglio... Credevamo che foste l'amico di Pavel Pvlovic, ma ora ci
accorgiamo che lui s'era voluto vantare. Sono molto contenta che siate venuto, per... per un affare disse guardando Vel'chninov seria seria, con insistenza; e subito corse a raggiungere Mr'ja
Niktichna.
- Stasera giocheremo ai proverbi - disse a bassa voce a Vel'chninov una piccola amica che lui
aveva appena notata e che non aveva ancora aperto bocca. - Vedrete, ci burleremo di Pavel
Pvlovic, e voi con noi.
- Oh, s, come avete fatto bene a venire, ci annoiamo sempre tanto - disse un'altra piccola amica, dai
capelli rossi, anch'essa passata inosservata; e tutta riscaldata per aver corso.
Pavel Pvlovic si sentiva sempre pi imbarazzato. Vel'chninov chiacchierava amichevolmente con
Nadja che non lo guardava pi con sospetto ma rideva con lui, saltava, scherzava e due volte gli
prese la mano, era allegra e non faceva nessun caso di Pavel Pvlovic, come se non ci fosse stato.
Vel'chninov era sicuro, adesso, che c'era un complotto organizzato contro Pavel Pvlovic. Nadja,
con una squadra di ragazzine aveva attirato Vel'chninov in un angolo; un'altra squadra d'amiche,
con un pretesto qualunque tratteneva Pavel Pvlovic in un altro angolo. Pavel Pvlovic tentava di
liberarsi per correre tra il gruppo dove era Nadja e Vel'chninov, per ascoltare cosa dicevano. In
ultimo non salvava nemmeno pi le apparenze, e i suoi gesti e la sua agitazione erano d'una
scempiaggine prodigiosa.
Vel'chninov non pot fare a meno di osservare attentamente Katerina Fedosevna.
Ella capiva ora, e non ne dubitava, che Vel'chninov non era andato l per lei e s'interessava molto
di Nadja; ma il suo viso rimaneva dolce e calmo come prima; sembrava che fosse completamente
felice d'esser vicino a loro e d'ascoltare quello che diceva il nuovo ospite, ma non le riusciva
d'immischiarsi ai discorsi che facevano.
- Che buona creatura vostra sorella Katja - disse sottovoce Vel'chninov a Nadja.
- Katja! ma non possibile esser migliore di lei. E' il nostro angelo ed io l'adoro - rispose ella con
calore.
Alle cinque fu servito il pranzo. Evidentemente per fare onore all'ospite, avevano preparato cose
straordinarie. Avevano aggiunto alla solita lista due o tre piatti prelibati: uno era cos complicato
che nessuno riusc a capire che cosa fosse. Oltre ai soliti vini servirono una bottiglia di tokai e alla
frutta, con un pretesto qualunque, stapparono lo sciampagna.
Il vecchio Zachlbinin che aveva bevuto un po' pi del solito era pieno d'allegria e rideva di tutto
quello che diceva Vel'chninov. Alla fine Pavel Pvlovic non pot pi trattenersi, volle anche lui
produrre un certo effetto, e lanci un gioco di parole: segu uno scoppio di risa dall'estremit
opposta della tavola, vicino alla signora Zachlbinin.
- Babbo, babbo, Pavel Pvlovic ha detto una freddura! - gridarono in coro due ragazze.
- Ah, anche lui dice delle freddure; sentiamo dunque - disse il vecchio con voce grave, voltandosi
verso Pavel Pvlovic e sorridendo affabilmente.
Ci volle del bello e del buono per fargli capire in che cosa consistesse l'arguzia, e poi, quando ebbe
capito:
- Ah! Benissimo - rispose. - Vuol dire che un'altra vi riuscir meglio.

- Cosa volete, Pavel Pvlovic, non si possono avere tutte le qualit - disse ad alta voce e in tono
canzonatorio Mr'ja Niktichna. - Ah, Dio mio, ecco che si soffoca con una lisca! - grid balzando
dalla seggiola.
Avvenne una gran confusione. Era quello che lei voleva. Pavel Pvlovic aveva voluto nascondere la
sua confusione vuotando il bicchiere, e gli era andato di traverso; ma Mr'ja Niktichna gridava "che
era una lisca, che ne era certa, e che cos aveva visto morire molta gente".
- Bisogna picchiarlo nella schiena - disse qualcuno.
- S, s, giustissimo - approv Zachlbinin.
Si gettarono sul malcapitato. Mr'ja Niktichna, la rossa, e perfino la madre, tutta impaurita,
facevano a chi lo picchiava pi forte.
Pavel Pvlovic si dovette alzare da tavola e uscire. Quando torn spieg che gli era andato di
traverso il vino. Soltanto allora capirono che era stato un brutto tiro di Mr'ja Niktichna.
- Che birbante! - voleva dire severamente la signora Zachlbinin, ma scoppi in una risata cos
pazza che non le avevano mai sentito e che fece, anch'essa, un certo effetto.
Dopo pranzo uscirono a prendere il caff sulla terrazza.
- Che bella giornata! - disse il vecchio guardando soddisfatto il giardino. - Adesso ci vorrebbe un
po' di pioggia. Io vado a riposarmi un momento; e voi divertitevi. Su dunque, divertiti - disse
battendo una mano sulla spalla di Pavel Pvlovic.
Quando furono discesi tutti in giardino Pavel Pvlovic tir Vel'chninov per un braccio.
- Un minuto per piacere - gli disse con voce bassa e agitata.
Andarono per un sentiero appartato del giardino.
- No, qui non vi lascer... non ve lo permetter - disse soffocando di rabbia e stringendogli le
braccia.
- Che cosa? Che cosa? - chiese Vel'chninov spalancando gli occhi.
Pavel Pvlovic lo guard senza dire parola, e pieg le labbra ad un sorriso di collera.
- Ma dove siete dunque? Cosa fate? Stiamo ad aspettar voi - gridarono le ragazze impazienti.
Vel'chninov si diresse verso di loro, alzando le spalle. Pavel Pvlovic lo segu.
- Credevo che vi domandasse un fazzoletto, - disse Mr'ja Niktichna - anche le altre volte ha
dimenticato il fazzoletto.
- Lo dimentica sempre - disse un'altra.
- Ha dimenticato il fazzoletto! Pavel Pvlovic ha lasciato a casa il fazzoletto! Mamma, Pavel
Pvlovic ha dimenticato di nuovo il fazzoletto! Mamma, Pavel Pvlovic anche oggi infreddato! gridarono da tutte le parti.
- Ma perch non lo dite? Come siete timido, Pavel Pvlovic! - sospir la signora Zachlbinin, con la
sua voce strascicata. - Non dovete giocare, se siete raffreddato. Vi far portare subito un
fazzoletto... Ma come mai sempre raffreddato? - aggiunse allontanandosi, felice che un pretesto le
permettesse di rientrare in casa.
- Ma ho due fazzoletti, e non sono nient'affatto raffreddato - le grid Pavel Pvlovic.
Ella non sent, e un minuto pi tardi Pavel Pvlovic, che cercava di seguire gli altri e di non perdere
di vista Vel'chninov e Nadja, vide accorrere una domestica tutt'affannata che gli portava un
fazzoletto.
- Giochiamo, giochiamo ai proverbi - gridavano da tutte le parti come se si promettessero chi sa che
cosa da quel gioco.
Scelsero il posto e tutti si sedettero, Mr'ja Niktichna fu designata per prima a indovinare; la fecero
allontanare parecchio perch non potesse sentire; scelsero il proverbio e si divisero le parole. Mr'ja
Niktichna torn e indovin subito.
Poi tocc al giovane coi capelli arruffati e con gli occhiali azzurri. Lo mandarono anche pi lontano,
vicino a un padiglione dove rimase col naso contro il muro. Sembrava che si prestasse malvolentieri
al gioco e si sarebbe detto che si sentisse umiliato. Quando lo chiamarono non indovin niente; si
fece ripetere due volte, riflett a lungo con aria cupa, ma non riusc. Il proverbio da indovinare era:
"La preghiera fatta a Dio, il servizio reso allo zar, non vanno mai perduti".

- Proverbio stupido! - mormor il giovane indispettito e scontento, tornando al suo posto.


- Che noia! - dissero alcune voci.
Fu la volta di Vel'chninov. Lo condussero anche pi lontano del precedente; non indovin niente.
- E' proprio noioso! - dissero delle voci, pi numerose di prima.
- Adesso, debbo andar io - disse Nadja.
- No, deve andare Pavel Pvlovic - gridarono tutti. Lo condussero fino in fondo al giardino, lo
misero in un angolo col naso contro il muro e perch non potesse tornare gli misero per sentinella la
ragazza coi capelli rossi. Pavel Pvlovic volle fare completamente il suo dovere e rimase l, dritto
come un pilastro, a contemplare il muro.
La rossa lo sorvegliava ad una ventina di passi di distanza e faceva, con grande agitazione, dei cenni
alle compagne. Si capiva, che aspettavano qualcosa con impazienza.
Bruscamente la rossa fece un segnale, e tutte si misero a correre.
- Correte, su via, correte - dissero a Vel'chninov dieci voci, inquiete di vederlo rimanere al suo
posto.
- Cosa c'? Cosa fate? - domand mettendosi a correre dietro di loro.
- Non gridate, non gridate! Bisogna lasciarlo l in piedi a contemplare il muro e nasconderci. Ecco,
anche Nastja scappa.
Nastja, la rossa, correva a perdifiato agitando le braccia. Scomparvero tutti nell'altra estremit del
giardino, dietro lo stagno. Quando anche Vel'chninov vi giunse, trov Katerina che rimproverava
le compagne, soprattutto Nadja e Mr'ja Niktichna.
- Katja, colomba mia, non t'inquietare! - diceva Nadja abbracciandola.
- Non dir niente alla mamma, ma me ne vado perch non sta bene fare cos. Cosa deve pensare
quel pover'uomo, l in fondo, davanti a un muro!
Se ne and, ma le altre non ebbero n compassione n rimorso. Insistettero con Vel'chninov perch
facesse finta di niente quando Pavel Pvlovic le avrebbe raggiunte.
- E adesso giochiamo tutte ai quattro cantoni - grid la rossa, entusiasta.
Pavel Pvlovic stette almeno un quarto d'ora senza raggiungere la compagnia; infatti era rimasto pi
di dieci minuti dritto, davanti al muro. Quando arriv, il gioco era gi cominciato; tutte ridevano e
strillavano. Fuori di s dalla collera, Pavel Pvlovic corse dritto verso Vel'chninov e lo prese pel
braccio.
- Un minuto, per favore.
- Ecco, ancora quello del minuto!
- Domanda ancora un moccichino! - dissero dieci voci.
- Questa volta siete voi... colpa vostra...
Pavel Pvlovic non pot aggiungere altro, batteva i denti.
Vel'chninov l'incoraggi amichevolmente ad essere pi allegro.
- Si burlano di voi perch siete di cattivo umore quando tutti sono allegri.
Con suo grande stupore, il suo consiglio determin in Pavel Pvlovic un improvviso e completo
cambiamento d'attitudine; divent subito calmo, ritorn in mezzo alla compagnia come se fosse
stata colpa sua, e prese parte a tutti i giochi; dopo mezz'ora aveva ritrovata la sua gaiezza.
In tutti i giochi faceva il paio, quando ce ne era bisogno, con la rossa o con una delle Zachlbinin. Il
colmo dello stupore per Vel'chninov fu che nemmeno una volta rivolse la parola a Nadja sebbene
le fosse sempre vicino. Sembrava che accettasse la sua situazione come doverosa, naturale. Ma
verso la fine della giornata si present l'occasione di giocargli un tiro. Giocavano a nascondersi. Era
permesso di nascondersi dove si voleva.
Pavel Pvlovic, che era riuscito a nascondersi in un fitto macchione, ebbe improvvisamente l'idea di
correre a nascondersi in casa. Lo videro e strillarono. Sal la scala a quattro gradini per volta fino al
mezzanino; vi conosceva un eccellente nascondiglio, dietro un armadio. Ma la rossa sal dietro a lui,
raggiunse in punta di piedi la camera dove s'era nascosto, e la chiuse a chiave.
Come avevano fatto prima, continuarono tutte a giocare e corsero fino allo stagno, dall'altra parte
del giardino.

Dopo dieci minuti, vedendo che non l'andavano a cercare, Pavel Pvlovic s'affacci alla finestra.
Non c'era pi nessuno. Non os chiamare per paura di disturbare i genitori: e poi i domestici
avevano ricevuto l'ordine di non comparire e di non rispondere alle chiamate di Pavel Pvlovic.
Soltanto Katerina l'avrebbe potuto soccorrere, ma s'era ritirata nella sua camera e dormiva. Rimase
dunque cos quasi un'ora. Finalmente le ragazze arrivarono e cominciarono a comparire a due o tre,
come per caso.
- Pavel Pvlovic, perch non venite? Se sapeste com' divertente! Giochiamo al teatro e
Vel'chninov fa da attor giovane.
- Pavel Pvlovic, perch non scendete? Siete pur strano! - dissero delle altre ragazze passando.
- Perch strano? - chiese improvvisamente la signora Zachlbinin che s'era svegliata e si decideva a
fare un giretto in giardino, aspettando il t, per vedere i giochi "dei ragazzi".
- Ma guardate l Pavel Pvlovic! - e le mostrarono la finestra dalla quale l'altro s'era affacciato,
pallido di rabbia.
- Che gusto rimanere l solo, quando tutti gli altri si divertono - disse la madre scuotendo la testa.
Durante questo tempo Vel'chninov finalmente seppe da Nadja le ragioni per le quali era stata
contenta di vederlo arrivare e la questione che la preoccupava.
La spiegazione ebbe luogo in un viale deserto. Mr'ja Niktichna aveva fatto segno a Vel'chninov,
che prendeva parte a tutti i giochi e cominciava ad annoiarsi di stare fermo, e l'aveva condotto in
quel viale dove lo lasci solo con Nadja.
- Sono certa - gli disse con voce forte e precipitata - che non siete cos intimo amico di Pavel
Pvlovic come egli ha voluto dire. Voi siete il solo uomo che mi possa rendere un servigio molto
importante. Ecco il suo antipatico braccialetto: - (trasse l'astuccio dalla tasca) - io vi domando di
renderglielo immediatamente, perch io non voglio assolutamente pi parlargli per tutta la vita. Del
resto gli potete dire che sono stata io a dirvelo e che vi prego anche d'aggiungere che non si presenti
pi con dei regali. Il resto, glielo far sapere per mezzo d'altri. Mi volete fare questo gran favore?
- Per amor di Dio, vi prego, dispensatemene! - rispose Vel'chninov con rincrescimento.
- Come? Come? Dispensacene? - riprese Nadja sconcertata, spalancando gli occhi. Non si pot pi
dominare e stava per scoppiare in lagrime. Vel'chninov sorrise.
- Non crediate che... Lo farei volentieri... Ma per l'appunto ho un conto da fare con lui.
- Lo sapevo che non eravate suo amico e che mentiva - interruppe ella con volubilit. - Non sar
mai sua moglie, capite, mai! Non capisco come abbia osato... Ma non questo. Bisogna che gli
rendiate il suo braccialetto. Se no, cosa volete che io faccia? Voglio che gli sia reso oggi stesso. E
poi se lo dice al babbo vedr cosa gli capita. - A questo punto sorse improvvisamente da un
nascondiglio il giovane coi capelli arruffati e con gli occhiali azzurri.
- Bisogna che gli rendiate il braccialetto, - grid a Vel'chninov, quasi con rabbia - non fosse che in
nome del diritto della donna, e supponendo che siate all'altezza della situazione...
Non ebbe tempo d'aggiungere altro. Nadja lo afferr violentemente pel braccio e lo respinse lontano
da Vel'chninov.
- Dio mio, che bestia che siete, Predposylov - grid. - Andatevene, andatevene e non vi permettete
di spiare i discorsi degli altri. V'avevo dato l'ordine di stare lontano...
E batt i piedi. L'altro era gi scomparso dietro il suo nascondiglio ed ella continuava ancora a
camminare avanti e indietro, fuori di s, con i pugni stretti.
- Voi non potete immaginare fino a che punto siano stupidi - disse fermandosi davanti a
Vel'chninov. - Voi queste cose le troverete ridicole ma non avete idea di quel che sono per me.
- Allora non lui? - chiese Vel'chninov sorridendo.
- No, certo, come avete potuto pensarlo? - disse Nadja sorridendo e tutta rossa. - Non che un suo
amico. Ma come li sceglie i suoi amici! Io non capisco niente; dicono tutti che questo qui "un
uomo di grande avvenire"; io non ci capisco niente. Aleksj Ivnovic, voi siete il solo uomo al quale
io mi possa rivolgere; ditemi la vostra ultima parola: glielo renderete o no?
- Ma s, ma s, glielo render, datemelo.

- Ah! voi siete gentile, voi siete buono - grid raggiante di gioia tendendogli l'astuccio. - Canter
per voi tutta la serata: perch sapete, canto molto bene, e v'ho detta una bugia quando ho detto che
non mi piaceva la musica. Come sarei contenta se ritornaste qui un'altra volta! Vi racconterei tutto,
tutto, tutto, e vi direi ancora molte cose, perch siete tanto buono, tanto buono; buono come... Katja.
Infatti, quando furono rientrati per il t, Nadja gli cant due romanze, con voce ancora poco ferma,
ma simpatica e gi forte. Pavel Pvlovic stava seduto coi genitori vicino al tavolino del t, sul quale
avevano disposto un antico servizio di Svres e dove bolliva gi un immenso samovar. Egli senza
dubbio parlava di cose molto serie perch doveva partire due giorni dopo, per nove mesi. Non fece
attenzione alle ragazze che rientravano dal giardino e non guard nemmeno Vel'chninov.
Evidentemente s'era calmato e non pensava a lagnarsi della sua sventura.
Ma quando Nadja si mise a cantare, egli le si avvicin subito: ogni volta che le indirizzava la parola
ella affettava di non rispondergli; ma non ne fu turbato. Stava in piedi dietro di lei, appoggiato allo
schienale della seggiola e tutto il suo atteggiamento diceva che quel posto era suo e che non
l'avrebbe ceduto a nessuno.
- Adesso deve cantare Aleksj Ivnovic, mamma. Canta Aleksj Ivnovic - gridarono in coro le
ragazzine stringendosi attorno al piano, mentre Vel'chninov si sedeva, sicuro di s, per
accompagnarsi da solo.
I parenti e Katerina Fedosevna, che era seduta vicino a loro e serviva il t, s'avvicinarono.
Vel'chninov scelse una romanza di Glinka, ormai quasi dimenticata.
"Quando nell'ora gioconda tu aprirai le labbra
e mi parlerai, pi tenera d'una colomba..."
Cantava, volto verso Nadja che stava ritta vicino a lui. Da molto tempo non aveva pi che un resto
di voce ma che bastava a far capire che aveva dovuto cantare molto bene. Aveva sentito quella
romanza dallo stesso Glinka, a un pranzo artistico letterario, dato da un amico del compositore.
Glinka quella sera cant e suon le cose sue che preferiva. Non aveva quasi pi voce, ma
Vel'chninov si ricordava l'impressione straordinaria che aveva fatto, specialmente quella romanza.
Un cantante di professione non sarebbe mai riuscito a darle un'espressione cos potente. In quella
romanza la passione ingrandisce e s'eleva ad ogni verso, ad ogni parola; la gradazione cos forte e
cos legata che la minima nota falsa, il minimo smarrimento, che in un'opera passerebbero
inosservate, toglierebbe al pezzo ogni valore.
Per cantare quella cosettina cos semplice ma cos straordinaria, occorreva assolutamente una
sincerit, uno slancio d'ispirazione, una passione vera o perfettamente simulata. Altrimenti non
sarebbe stata altro che la solita romanzetta, brutta e quasi sconveniente. E' impossibile tradurre con
tanta forza la tensione estrema della passione senza provocare il disgusto, a meno che la sincerit e
la semplicit non salvino tutto.
Vel'chninov si ricordava il successo ottenuto con quella romanza. Aveva imitato il pi possibile la
maniera di Glinka ed anche adesso, dalla prima nota, dal primo verso, una vera ispirazione riemp la
sua anima e pass nella sua voce. Ad ogni parola il sentimento cresceva pi forte e pi audace,
verso la fine ebbe dei veri gridi di passione; guardando Nadja con gli occhi fiammeggianti cantava
gli ultimi versi della romanza.
"Ora guardo i tuoi occhi con pi audacia,
accosto le mie labbra e, senza forza per capire,
ti voglio baciare, baciare, baciare,
ti voglio baciare, baciare, baciare".
Nadja trem di paura e indietreggi, il rosso le copr le guance. Da Vel'chninov al viso di lei,
sconvolto dalla confusione, e quasi dalla vergogna, pass come un lampo.

Gli altri uditori erano incantati e sconcertati: sembrava che ognuno volesse dire che era fuori di
luogo cantare in quel modo, e nello stesso tempo tutti quei visini e tutti quegli occhi brillavano. Il
viso di Katerina Fedosevna era tanto raggiante che Vel'chninov la trov quasi bella.
- Ecco una bella romanza - mormor il vecchio Zachlbinin un poco imbarazzato. - Ma... non
troppo violenta? E' bella, ma violenta...
- E' violenta... - volle dire anche la moglie.
Ma Pavel Pvlovic non le lasci il tempo di continuare, si protese in avanti come un pazzo, prese
Nadja pel braccio e la respinse lontano da Vel'chninov; si ferm davanti a lui guardandolo con
occhi sperduti, le labbra tremanti.
- Un minuto solo, per piacere... - riusc a dire.
Vel'chninov cap subito che se avesse tardato un attimo, quel personaggio ne avrebbe fatte di pi
pazze; lo prese per le braccia e senza far caso alla sorpresa di tutti, lo condusse sulla terrazza, scese
con lui in giardino dove cominciava gi ad esser buio.
- Capite che dovete venir via subito con me? - disse Pavel Pvlovic.
- Ma, io non capisco.
- Ricordatevi, - prosegu Pavel Pvlovic con rabbia - ricordatevi che m'avete imposto di dirvi tutto,
s, "tutto", sinceramente, fino all'ultimo, vi ricordate? Ebbene, il momento venuto... Andiamo.
Vel'chninov riflette, guard ancora Pavel Pvlovic ed acconsent ad andar via.
Questa partenza improvvisa desol i genitori ed esasper le ragazze.
- Almeno, accettate ancora una tazza di t - supplicava la signora Zachlbinin.
- Ma infine, cos'hai da essere tanto agitato? - domand il vecchio con tono severo e scontento a
Pavel Pvlovic che sorrideva e taceva.
- Pavel Pvlovic, perch portate via Aleksj Ivnovic? - gemettero le ragazze lanciandogli occhiate
furiose.
Nadja gli gett uno sguardo cos duro che egli fece una smorfia, ma non cedette.
- La ragione che Pavel Pvlovic m'ha fatto un favore ricordandomi un affare importantissimo che
stavo per dimenticare - disse Vel'chninov sorridendo.
Strinse la mano al padre, s'inchin davanti alla signora e alle signorine e specialmente davanti a
Katja, cosa che fu ancora notata.
- Grazie d'esserci venuto a trovare; noi ne saremo tutti sempre felicissimi - disse con insistenza il
vecchio Zachlbinin.
- Oh s, noi saremo cos felici... - riprese calorosamente la madre.
- Ritornerete Aleksj Ivnovic? Ritornerete? - gridarono le ragazze dall'alto della terrazza mentre
egli saliva in carrozza con Pavel Pvlovic.
Una piccola voce aggiungeva, pi bassa delle altre:
- Oh s! tornate! caro, caro Aleksj Ivnovic. "Questa la rossa" pens Vel'chninov.

134.
DA CHE PARTE PENDE LA BILANCIA.

Pensava ancora alla rossa, eppure il rimpianto e la scontentezza di se stesso gli bruciavano il cuore.
Alla fine di quella giornata, in apparenza cos gaia, la tristezza non l'aveva lasciato. Prima di
mettersi a cantare non sapeva pi come liberarsene e forse per quello aveva cantato con tanto
slancio.
"Ed ho potuto abbassarmi fino a questo punto e dimenticare tutto" pensava.
Ma subito tagli corto con i rimorsi. Gli sembrava umiliante compatirsi; avrebbe preferito cento
volte di far ricadere la sua collera su di un altro.
- Imbecille - borbott con collera dando un'occhiata di traverso a Pavel Pvlovic seduto al suo
fianco nella carrozza.

Pavel Pvlovic rimaneva ostinatamente zitto. Sembrava raccogliersi in se stesso e prepararsi. Di


tanto in tanto, con gesto impaziente si toglieva il cappello e s'asciugava la fronte col fazzoletto.
- Gronda di sudore - borbott Vel'chninov.
Una sola volta Pavel Pvlovic apr la bocca per domandare al cocchiere se il temporale sarebbe
scoppiato.
- Sicuro. Ci siamo arrostiti tutta la giornata.
Infatti il cielo s'oscurava, illuminato a volte da lampi ancora lontani. Erano le dieci e mezza quando
rientrarono in citt.
- V'accompagno a casa - disse Pavel Pvlovic a Vel'chninov quando furono arrivati molto vicini
alla sua casa.
- Lo vedo; ma vi prevengo che mi sento molto indisposto.
- Oh, non mi tratterr troppo.
Quando passarono davanti alla portineria Pavel Pvlovic si allontan un momento per andare a
parlare con Mavra.
- Cosa le siete andato a dire? - domand severamente Vel'chninov quando egli lo ebbe raggiunto e
mentre entravano nella camera.
- Oh niente... il cocchiere...
- Sapete... non crediate di bere.
L'altro non rispose. Vel'chninov accese una candela, Pavel Pvlovic si sdrai nella poltrona.
Vel'chninov si piant davanti a lui con le sopracciglia aggrottate.
- Anch'io ho promesso di dirvi la mia ultima parola - disse, trattenendo ancora la sua agitazione. Eccola dunque. Io credo che tutto sia definitivamente regolato tra di noi al punto tale che non
abbiamo pi niente da dirci. Capite, pi niente e per conseguenza meglio che ve ne andiate subito
e che io chiuda la porta dietro di voi.
- Regoliamo i nostri conti, Aleksj Ivnovic - disse Pavel Pvlovic scrutandolo negli occhi.
- Come: "Regoliamo i nostri conti"? - rispose Vel'chninov cadendo dalle nuvole. - Che strano
modo di parlare! Quali conti? Ah, dunque questa la vostra "ultima parola", la rivelazione che mi
promettevate!
- E' proprio questa.
- Non abbiamo nessun conto da regolare, molto tempo che tutto regolato - replic Vel'chninov
con aria altera.
- Davvero! Credete? - riprese Pavel Pvlovic con voce accorata. E nello stesso tempo faceva il gesto
di giungere le mani e di portarsele al petto.
Vel'chninov tacque e cammin in lungo e in largo per la camera. Il ricordo di Liza gli riemp il
cuore: fu come un richiamo doloroso.
- Quali sono, dunque, questi conti che volete regolare? - disse dopo un lungo silenzio
soffermandoglisi davanti, col viso scuro.
Pavel Pvlovic non aveva lasciato di seguirlo con gli occhi, le mani giunte sul petto.
- Non andate pi laggi - disse con voce quasi fioca, supplichevole e si lev di scatto dalla poltrona.
- Come? Soltanto questo? - chiese Vel'chninov con un sorriso cattivo. - Mi fate cadere di sorpresa
in sorpresa, oggi - continu con voce mordente; poi bruscamente cambi attitudine. - Ascoltatemi disse con un'espressione di tristezza e di sincerit profonda. - Io credo che mai, in nessun caso, io
mi sia abbassato come ho fatto oggi, prima acconsentendo d'accompagnarvi e poi comportandomi
laggi come ho fatto... Sono stato cos meschino, cos pietoso. Mi sono macchiato, mi sono avvilito,
lasciandomi andare... dimenticandomi. E che cosa poi! - Si rimise a sedere di colpo. - Ascoltate;
oggi m'avete preso alla sprovvista; ero eccitato, malato... ma non c' giustificazione. Non torner
pi laggi dove, v'assicuro, non c' niente che m'attiri - concluse risolutamente.
- Davvero? Davvero? - grid Pavel Pvlovic in uno slancio di gioia.
Vel'chninov lo guard con disprezzo e cominci a camminare per la camera.
- Sembrate proprio deciso a fare la vostra felicit ad ogni costo.
- Oh, s! - disse Pavel Pvlovic piano piano, sospirando.

"E' buffo," pensava Vel'chninov "e non riesce ad essere malvagio che a forza di stupidaggini; ma
io non me ne devo curare, e ad ogni modo non posso non odiarlo... forse non lo merita neanche".
- Vedete; io sono un "eterno marito" - disse Pavel Pvlovic con un sorriso rassegnato. - Conoscevo
la vostra espressione da molto tempo, Aleksj Ivnovic, da quando vivevamo assieme a T... Mi
sono ricordato molte parole che vi piaceva di usare spesso durante quell'anno. L'altra volta, quando
avete parlato dell'"eterno marito" ho capito benissimo.
Mavra entr con una bottiglia di sciampagna e due bicchieri.
- Perdonatemi, Aleksj Ivnovic; sapete che non posso farne a meno. Non v'inquietate se mi sono
permesso... io sono molto al di sotto di voi, sono indegno di voi.
- Va bene, - disse Vel'chninov con disgusto - ma v'assicuro che mi fa pena.
- Oh, sar l'affare d'un minuto, - rispose l'altro in fretta - solo un bicchiere perch ho la gola... Vuot il bicchiere d'un fiato avidamente e si sedette osservando Vel'chninov quasi con tenerezza.
Mavra usc.
- Che disgusto! - mormor Vel'chninov.
- Vedete; colpa delle sue amiche - riprese repentinamente Pavel Pvlovic ringagliardito.
- Come? Che cosa? Ah gi; pensate sempre a quella storia.
- E' colpa delle sue amiche. E' ancora tanto giovane e non pensa che a fare degli scherzi per
divertirsi. E' anzi molto gentile. Pi in l cambier. Io sar sempre ai suoi piedi, sar pieno di cure
per lei che si vedr ossequiata. E poi la vita... avr il tempo di trasformarsi, insomma.
"Bisogna pure che gli renda il braccialetto" pensava Vel'chninov preoccupatissimo, tastando
l'astuccio in fondo alla tasca.
- Dicevate adesso che sono deciso a fare la mia felicit a tutti i costi. Ebbene s, Aleksj Ivnovic,
bisogna assolutamente che io mi mariti - riprese Pavel Pvlovic con fare persuasivo e con voce un
poco tremante. - Se no che cosa volete che diventi? Lo vedete anche voi. - E addit la bottiglia. - E
quella non che la pi piccola delle mie... qualit. Io non posso assolutamente vivere senza una
donna, senza un affetto, senza un'adorazione. Adorer e sar salvato.
"Ma perch diavolo mi raccontate questo?!" stava per esclamare Vel'chninov che faceva fatica a
trattenere le risa e si conteneva solo pensando che sarebbe stato troppo crudele.
- Almeno ditemi perch m'avete condotto l per forza. A che cosa potevo servirvi?
- Per fare una prova - disse Pavel Pvlovic impacciato.
- Che prova?
- Per provare l'effetto. Ecco, Aleksj Ivnovic; non che una settimana che io vado laggi in qualit
di... (ed era sempre pi commosso). Ieri v'ho incontrato e mi sono detto: "Non l'ho mai vista in
compagnia d'estranei; voglio dire con altri uomini". Era un'idea stupida, me ne accorgo adesso; era
una cosa inutile. Ma l'ho voluto ad ogni costo; la colpa del mio brutto carattere.
Nello stesso tempo alz la testa arrossendo. "Sar vero tutto questo?" pensava Vel'chninov stupito.
- E allora? - chiese a voce alta.
Pavel Pvlovic sorrise d'un sorriso dolce e sornione.
- La colpa delle sue amiche; ma non sono state che bambinate, e molto carine. Voi dovete
perdonare la mia condotta stupida verso di voi durante tutta la giornata. Non avverr pi.
- Anche a me non accadr pi; non andr pi laggi - disse Vel'chninov sorridendo.
- E' anche il mio desiderio.
- Ma io non sono solo al mondo; ci sono anche degli altri uomini.
Pavel Pvlovic arross di nuovo.
- Voi mi mortificate Aleksj Ivnovic; ho tanta stima, tanto rispetto per Nadezda Fedosevna.
- Scusatemi, scusatemi, non volevo fare delle insinuazioni... soltanto mi stupisce che abbiate dato
tanto peso ai miei mezzi di piacere... e che vi siate fidato di me cos ciecamente.
- L'ho fatto perch questo succedeva dopo tutti gli avvenimenti passati.
- Allora voi mi considerate ancora come un uomo d'onore? - disse Vel'chninov fermandosi davanti
a lui.
In un altro momento sarebbe stato atterrito, che gli fosse sfuggita una domanda cos imprudente.

- Non ho mai cessato di credervi tale - rispose Pavel Pvlovic abbassando gli occhi.
- S, senza dubbio; ma non questo che volevo dire. Volevo domandarvi se non avete pi la minima
prevenzione.
- Nessuna prevenzione.
- E quando siete venuto a Pietroburgo?
Vel'chninov non pot trattenersi dal fargli questa domanda sebbene egli stesso comprendesse a che
punto arrivava la sua curiosit.
- Quando venni a Pietroburgo io vi reputavo un uomo degnissimo. V'ho sempre stimato Aleksj
Ivnovic.
Pavel Pvlovic alz gli occhi e lo guard in faccia, francamente e senza la minima esitazione.
Vel'chninov ebbe paura; a nessun costo voleva provocare una spiegazione.
- Vi ho amato, Aleksj Ivnovic, - disse Pavel Pvlovic come se a un tratto si decidesse - s, v'ho
amato durante il nostro anno di T... Non ve ne siete accorto, - continu con voce un poco tremante
che atterr Vel'chninov - ero troppo poca cosa, vicino a voi, perch ve ne accorgeste. E poi, forse
era meglio cos. Durante questi nove anni di lontananza mi sono sempre ricordato di voi, perch non
c' pi stato nella mia vita un anno come quello. - I suoi occhi brillavano stranamente. - Mi ricordo
le parole e le espressioni che v'erano familiari. Mi sono sempre ricordato di voi come d'un uomo di
buoni sentimenti; colto, straordinariamente colto, e molto intelligente. "Le grandi idee vengono
meno da un grande intelletto che da un gran cuore": lo avete detto voi e forse l'avete dimenticato;
ma io me lo ricordo. V'ho sempre considerato come un uomo di gran cuore; e l'ho creduto...
malgrado tutto...
Gli tremava il mento. Vel'chninov era spaventato e voleva ad ogni costo por fine a
quell'improvvisa effusione.
- Basta, vi prego, Pavel Pvlovic; - disse con voce sorda e fremente, arrossendo - perch vi dovete
avvinghiare cos a un uomo gi scosso, vicino al delirio, e trascinarlo in tutte queste tenebre...
quando tutte queste cose sono fantasmi, illusioni, menzogne, vergogne, falsit... e senza misura; e
proprio questa la cosa principale, e quel che peggio che voi, ed io, siamo persone viziose,
dissimulatrici e vili... Volete che vi dimostri ora che voi non siete mio amico, che anzi mi odiate con
tutte le forze, e che mentite, e lo sapete? Siete venuto a prendermi, m'avete condotto laggi, non per
provare la vostra fidanzata (forse che una simile idea pu venire in testa ad un uomo). No, ecco la
semplice verit: m'avete visto ieri e la collera vi ha ripreso; m'avete condotto per farmela vedere e
per dirmi: "Vedi com' bella! Ebbene sar mia; fatti avanti adesso!". M'avete sfidato; chiss? forse
non lo sapevate nemmeno voi, ma questo era il vostro pensiero. E per fare una simile sfida bisogna
odiare, perch voi, s, voi m'odiate.
Correva gridando per la camera e si sentiva avvilito, offeso, e soprattutto umiliato all'idea di
abbassarsi cos davanti a Pavel Pvlovic.
- Volevo fare la pace con voi, Aleksj Ivnovic! - disse l'altro ad un tratto, con voce decisa, ma
breve e rotta; e il suo mento ricominci a tremare.
Un furore selvaggio s'impossess di Vel'chninov come se avesse subita una gravissima ingiuria.
- Vi ripeto ancora una volta - url - che vi siete attaccato ad un uomo malato, demolito, per
strappargli nel delirio non so che parole che non vi vuole dire. Andiamo! Non siamo gente dello
stesso mondo, capitelo, e poi... e poi fra voi e me c' una piccola tomba... - aggiunse balbettando di
rabbia.
- Come potete sapere, - il viso di Pavel Pvlovic si contrasse e divenne improvvisamente pallido come potete sapere cosa rappresenti per me quella piccola tomba - grid avvicinandosi a
Vel'chninov e battendosi il petto con un gesto ridicolo ma terribile. - La conosco quella piccola
tomba, ed ai lati ci siamo noi due; soltanto, dalla mia parte, c' molto di pi, s, molto di pi... balbett come in un delirio continuando a battersi il petto coi pugni - s molto, molto di pi...
Una scampanellata violenta li fece bruscamente tornare in se stessi. Suonavano cos forte che
sembrava volessero strappare il cordone del campanello.
- Non si suona in questo modo a casa mia - disse Vel'chninov con rabbia.

- Eppure non stanno suonando in casa mia - borbott Pavel Pvlovic che in un batter d'occhio era
tornato padrone di s ed aveva ripreso il suo solito contegno.
Vel'chninov aggrott le ciglia ed and ad aprire.
- Il signor Vel'chninov, se non sbaglio? - disse una voce sonora, giovane e sicura.
- Cosa desiderate?
- So di certo - prosegu la voce sonora - che c' da voi in questo momento un certo Trusockij. Ho
bisogno di vederlo subito.
Vel'chninov avrebbe volentieri gettato con un calcio gi per le scale il signore cos sicuro di se
stesso. Ma riflette e lo lasci passare scostandosi.
- Ecco il signor Trusockij. Entrate.

14
SASHENKA E NADEN'KA.

Colui entr. Era un ragazzo di diciannove anni, forse meno, tanto sembrava giovane all'aspetto,
simpatico, fiero e disinvolto. Era vestito molto bene; o almeno quello che indossava gli stava molto
bene; alto un po' meno della media, i capelli neri ricciuti e folti ed i grandi occhi arditi e scuri
davano un'espressione singolare alla sua fisionomia. Il naso era un po' largo e rivolto all'ins; senza
quel naso sarebbe stato molto bello. Entr con aria d'importanza.
- E' senza dubbio col signor Trusockij che ho la fortuna di parlare - e sottoline con soddisfazione
particolare la parola "fortuna" per far capire che la conversazione non prometteva n onore n
piacere.
Vel'chninov cominciava a capire e Pavel Pvlovic forse supponeva qualche cosa. Una certa
inquietudine si dipingeva sul suo viso. Per si conteneva.
- Siccome non ho l'onore di conoscervi, suppongo che non abbiamo nulla da spartire - rispose
tranquillamente.
- Prima ascoltatemi; poi direte quello che vi piacer - disse il giovane con una sicurezza che colpiva.
Poi si mise il monocolo d'oro che pendeva a un filo di seta e guard la bottiglia di sciampagna posta
sul tavolo. Quando ebbe sufficientemente osservata la bottiglia, si tolse il monocolo, si rivolse di
nuovo a Pavel Pvlovic e disse: - Aleksndr Lobov.
- Chi Aleksndr Lobov?
- Sono io, non conoscete il mio nome?
- No.
- Infatti, come lo potete conoscere! Vengo per un affare importante che vi riguarda da vicino; ma
prima permettetemi di sedere; sono molto stanco.
- Sedete - disse Vel'chninov; ma il giovane s'era seduto prima che lui avesse avuto il tempo
d'invitarlo. Malgrado la sofferenza che lo tormentava Vel'chninov s'interessava a quel giovanetto
sfrontato, che nella graziosa figura d'adolescente ricordava lontanamente Nadja.
- Sedete anche voi - disse il ragazzo accennando negligentemente con la testa una seggiola a Pavel
Pvlovic.
- Ma no, resto in piedi.
- Vi stancherete... E voi, signor Vel'chninov, potete restare.
- Non ho nessuna intenzione d'andarmene; sono in casa mia.
- Come vorrete; del resto desidero che assistiate alla spiegazione che sto per avere col signore.
Nadezda Fedosevna ed io ci amiamo da molto tempo e ci siamo scambiati la nostra parola. Voi vi
siete interposto fra noi. Io sono venuto per invitarvi ad abbandonare il posto. Siete disposto a
ritirarvi?
Pavel Pvlovic trasal, impallid e un sorriso cattivo gl'incresp le labbra.
- Non sono nient'affatto disposto - rispose nettamente.

- Allora, va bene! - disse il giovane lasciandosi andare sulla poltrona ed incrociando le gambe.
- E poi, io non so a chi parlo, e penso che questa conversazione sia durata anche troppo - disse Pavel
Pvlovic, e pens che era meglio si sedesse anche lui.
- Ve lo dicevo che vi sareste stancato - not negligentemente il giovane. - Ho avuto la fortuna di
dirvi, or un minuto, che mi chiamo Lobov, e che Nadezda Fedosevna ed io ci siamo scambiati la
nostra parola; quindi non potete dire che non ci conosciamo e non potete pensare che non abbiamo
pi niente da dirci. Non si tratta di me, si tratta di Nadezda Fedosevna che voi affliggete in un
modo indecoroso. Vedete bene che c' qualcosa da spiegare.
Disse queste cose fra i denti, come fanno i giovani, degnandosi appena di spiccicare le parole, e
quand'ebbe finito di parlare si rimise il monocolo e fece finta di guardare con molta attenzione
qualche cosa, chiss che cosa.
- Scusate ragazzo mio... - esclam Pavel Pvlovic. Ma il "ragazzo" lo interruppe subito.
- In altre circostanze v'avrei assolutamente proibito di chiamarmi "ragazzo" ma in questo caso
riconoscerete voi stesso che la mia giovinezza, se mi si confronta con voi, forma appunto la mia
superiorit; converrete che oggi, per esempio, quando avete offerto quel braccialetto, avreste dato
molto per averne un poco di pi, di giovinezza!
- Che briccone! - mormor Vel'chninov.
- In tutti i casi, signore, - riprese Pavel Pvlovic con dignit - i motivi che voi invocate e che per
parte mia giudico molto dubbi e sconvenienti, non mi sembrano tali da giustificare una
conversazione pi lunga. Tutte queste non sono che bricconate e baggianate. Domani andr da
Fedosj Semnovic. Intanto vi prego di lasciarmi in pace.
- Ma guardate la dignit di quest'uomo! - esclam l'altro rivolto a Vel'chninov, perdendo il suo bel
sangue freddo. - Lo cacciano di laggi tirandogli la lingua. Credete che gli basti? Nossignore. Andr
domani a riferire tutto al padre. Non forse la prova, uomo sleale che siete, che volete ottenere la
ragazza per forza, che pretendete di comprarla da gente che invecchiando ha perduto la testa e che
profitta della barbarie della societ per disporre a lor piacimento? Eppure ella v'ha mostrato
abbastanza il suo disprezzo. Non vi ha reso, oggi stesso, il vostro stupido regalo, il vostro
braccialetto? Cosa volete di pi?
- Nessuno m'ha reso il braccialetto; impossibile - disse Pavel Pvlovic fremendo.
- Come? Forse il signor Vel'chninov non ve lo ha reso?
"Che il diavolo se lo porti" pens Vel'chninov.
- Infatti, - disse a voce alta, con aria cupa - Nadezda Fedosevna m'ha incaricato, oggi, di rendervi
questo astuccio, Pavel Pvlovic. Non volevo accettare l'incarico ma ella ha insistito... Eccolo. Ne
sono desolato.
Trasse l'astuccio dalla tasca e lo tese, con aria imbarazzata, a Pavel Pvlovic che rest impietrito.
- Perch non glielo avevate ancora reso? - chiese severamente il giovane rivolgendosi a
Vel'chninov.
- Non ne ho avuta l'occasione - rispose l'altro di cattivo umore.
- E' strano.
- Che cosa?
- E' per lo meno strano, convenitene; ma voglio credere che tutto questo non sia che un malinteso.
Vel'chninov ebbe una voglia furiosa di alzarsi e d'andare a tirare le orecchie al giovincello; ma suo
malgrado scoppi in una risata ed anche il giovane si mise a ridere. Solo Pavel Pvlovic non rideva;
se Vel'chninov avesse notato lo sguardo che gli lanci mentre stavano ridendo tutti e due, avrebbe
capito che si trasformava in quel momento in una bestia pericolosa. Vel'chninov non vide quello
sguardo ma cap che bisognava soccorrere Pavel Pvlovic.
- Ascoltate, signor Lobov; - disse con tono amichevole - senza intervenire nel resto dell'affare nel
quale non voglio immischiarmi, vi faccio notare che Pavel Pvlovic, chiedendo la mano di Nadezda
Fedosevna ha ottenuto il consenso di tutta la famiglia; in secondo luogo ha una posizione
abbastanza alta, e poi anche un bel patrimonio, e che per conseguenza in diritto di essere sorpreso

dalla rivalit d'un uomo come voi, indubbiamente pieno di buone qualit, ma giovane al punto che
nessuno pu considerarlo come un rivale serio... E quindi ha ragione di pregarvi di finirla.
- Ma voi credete che sia poi tanto giovane? Ho diciannove anni e un mese; ho gi da molto tempo
l'et legale per il matrimonio. Ecco tutto.
- Ma quale padre si deciderebbe a darvi, oggi, sua figlia, quand'anche foste destinato ad essere pi
tardi milionario o a diventare il benefattore del mondo? Un uomo di diciannove anni pu appena
rispondere di se stesso; e voi, vorreste con tanta leggerezza caricarvi dell'avvenire d'un altro essere,
d'una ragazza giovane come voi? Pensateci. Se mi permetto di parlarvi cos perch mi avete
invocato come arbitro tra voi e Pavel Pvlovic.
- Allora si chiama Pavel Pvlovic? - chiese il giovane. - Perch mai credevo che fosse Vaslij
Petrovic? A dir la verit - e si volse a Vel'chninov - il vostro discorso non mi sorprende affatto;
sapevo bene che siete tutti precisi. Per strano che mi abbiano parlato di voi come d'un uomo un
poco moderno; del resto non sono altro che sofisticherie. La verit, eccola. Io non mi sono condotto
nient'affatto male, in tutta questa faccenda, come vi siete permesso di dire; anzi proprio il
contrario; come spero di farvelo capire. Innanzi tutto noi ci siamo scambiata la nostra parola, di pi
le ho formalmente promesso, in presenza di due testimoni, che se s'innamorasse d'un altro, o se
volesse finirla con me, io mi riconoscerei senza esitare colpevole d'adulterio per fornirle il motivo
del divorzio. Non tutto: siccome bisognava anche prevedere il caso che io mi disdicessi, o mi
rifiutassi di fornirle il motivo, il giorno stesso del matrimonio, per assicurare il suo avvenire, io le
consegnerei una lettera di cambio per centomila rubli, in modo che se dovessi mancare ai miei
impegni ella potrebbe scambiare la tratta, ed io, io rischierei la prigione. Cos tutto previsto e non
compromesso nessuno.
- Scommetto che stato Predposylov che vi ha suggerito questa combinazione - disse Vel'chninov.
- Ah! Ah! Ah! - ghign Pavel Pvlovic.
- Cos'ha questo signore da divertirsi tanto? Avete indovinato, un'idea di Predposylov, e dovete
riconoscere che ben trovata. In questo modo la vostra assurda legislazione impotente contro di
noi. Naturalmente io sono deciso ad amarla sempre ed ella non fa che ridere di queste precauzioni,
ma dovete riconoscere che tutto stato abilmente e generosamente combinato e che non lo farebbe
chiunque.
- A mio parere il procedimento non solo manca di elevatezza, ma addirittura basso.
Il giovane alz le spalle.
- I vostri sentimenti non mi sorprendono - disse dopo una pausa; - da molto tempo ho finito di
stupirmi di queste cose. Predposylov vi direbbe che la vostra ignoranza completa delle cose pi
naturali causata dai vostri sentimenti e dalle vostre idee pervertite dalla vita inutile e stupida che
avete fatta. Del resto possibile che non c'intendiamo; sebbene m'abbiano parlato molto bene di
voi... Ma avete gi passata la cinquantina?
- Se non vi dispiace, torniamo al nostro affare.
- Scusate la mia indiscrezione e non v'offendete; era senza la minima intenzione. Continuo. Non
sono nient'affatto il futuro milionario che vi siete compiaciuto d'immaginare... idea piuttosto strana.
Sono quello che vedete, ma ho un'assoluta fiducia nel mio avvenire. Non sar certo un eroe o un
benefattore dell'umanit ma sapr assicurare la mia esistenza e quella di mia moglie. Per essere
esatti, io adesso non ho un soldo; sono stato allevato da loro dall'infanzia.
- Come mai?
- Sono figlio d'un lontano parente della signora Zachlbinin; quando rimasi orfano, a otto anni,
m'hanno preso con loro e pi tardi mi hanno messo al liceo. Il padre una brava persona, vi prego
di crederlo.
- Lo so bene.
- S, soltanto invecchia: retrogrado. Per sempre una gran brava persona. Da molto tempo non
sono pi sotto la sua tutela e mi guadagno la vita da solo e non devo niente a nessuno.
- Da quanto tempo? - domand con curiosit Vel'chninov.
- Saranno quasi quattro mesi.

- Oh, ma allora tutto chiaro; siete compagno d'infanzia! E avete un posto?


- S, un posto provvisorio da un notaio; venticinque rubli al mese. Ma dovete sapere che non
guadagnavo nemmeno cos quando feci la domanda. Allora ero alle ferrovie dove mi davano dieci
rubli. Ma son cose che passano.
- Allora, voi avete fatta la vostra domanda alla famiglia.
- S, in tutte le forme; da quasi tre settimane.
- E cosa hanno detto?
- Il padre ha cominciato a ridere, poi s' sdegnato. Hanno chiusa Nadezda in una camera del solaio,
ma ella non s' arresa; stata eroica. Del resto non ho avuto fortuna col padre perch ha della
vecchia ruggine con me. Non mi perdona d'aver lasciato un posto che m'aveva offerto nei suoi
uffici, quattro mesi fa, prima che andassi alle ferrovie. E' un vecchio un po' rammollito. Lo ripeto;
in casa sua buono e alla mano, ma in ufficio non ve lo potete immaginare; sta l come un nume.
Gli feci capire che i suoi modi non mi andavano, ma l'incentivo part dal suo segretario. Questo
signore and a lamentarsi che ero stato villano con lui; m'ero limitato a dirgli che era arretrato. Li
ho piantati in asso, e adesso sono dal notaio.
- Eravate pagato bene nei suoi uffici?
- Oh! io ero in pi l dentro. Il vecchio mi dava quello che m'era necessario. Lo ripeto, una brava
persona. Ma ecco, noi non siamo gente che cede... Certo venticinque rubli non bastano, ma spero
che tra poco m'impiegheranno a riordinare gli affari del conte Zaviljskij che sono molto
imbrogliati. Allora avr tremila rubli all'inizio. Se ne stanno interessando in questo momento.
Diavolo che tuono! Il temporale s'avvicina. Per fortuna che sono arrivato prima che scoppi, sono
venuto a piedi da laggi; ho fatto quasi tutta la strada di corsa.
- Scusate, ma se non vi ricevono pi in casa, come avete potuto parlare con Nadezda Fedosevna?
- Possiamo parlare da sopra il muro. L'avete notata la rossa? - disse sorridendo. - Ella con noi,
anche Mr'ja Niktichna con noi; un vero serpente quella Mr'ja Niktichna... Cos'avete da fare
quella smorfia? Avete paura del tuono?
- No, sto male, molto male.
Vel'chninov era stato assalito da un improvviso dolore al petto: s'alz e passeggi per la camera.
- Non vi voglio disturbare. Non v'incomodate; me ne vado subito.
E il giovane s'alz dal suo posto.
- Non m'incomodate affatto, non niente - disse piano Vel'chninov.
- Non niente, come dice Kobylnikov quando ha male al ventre. Vi ricordate, in Scedrn. Vi piace
Scedrn?
- Certamente!
- Anche a me. E dunque Vaslij, scusate, Pavel Pvlovic, finiamola - riprese rivolgendosi a Pavel
Pvlovic con un sorriso. - Perch comprendiate meglio, vi ripeto ancora una volta la cosa, molto
nettamente: consentite a rinunciare domani, ufficialmente, in presenza di me e dei parenti a tutte le
vostre pretese su Nadezda Fedosevna?
- Non consento a niente, - disse Pavel Pvlovic alzandosi con impazienza e con collera - e vi prego
ancora una volta di lasciarmi in pace... perch tutto questo non che una bambinata e una
sciocchezza.
- State attento, - rispose il giovane con un sorriso arrogante, minacciandolo col dito - siete sicuro di
non fare male i vostri calcoli? Sapete dove vi potrebbe condurre un simile errore nei vostri calcoli?
Vi prevengo che fra nove mesi, quando avrete speso molto denaro, quando vi sarete fatto molto
male, e ritornerete, sarete costretto voi stesso a rinunciare a Nadezda Fedosevna e se neanche
allora vorrete rinunciare, le cose andranno male per voi. Ecco che cosa v'aspetta se v'ostinate! Vi
debbo prevenire che adesso fate la parte del cane di guardia al fieno. Scusatemi, dico per dire. Ve lo
ripeto, riflettete, riflettete seriamente, almeno una volta nella vostra vita.
- Vi prego di tenere per voi la vostra morale - url Pavel Pvlovic con furore. - In quanto alle vostre
allusioni volgari, da domani prender delle misure, e misure radicali.

- Le mie allusioni volgari? Cosa volete dire? Siete un buffone se pensate a certe cose. Del resto
aspetter fino a domani, ma s... Tuona ancora. Arrivederci. Sono felicissimo d'avervi conosciuto disse a Vel'chninov.
E se ne and frettolosamente per evitare il temporale.

15.
SI REGOLANO I CONTI.

- Avete visto? Avete visto? - grid Pavel Pvlovic accostandosi a Vel'chninov quando il giovane se
ne fu andato.
- Eh s, non siete fortunato!
Non si sarebbe lasciata scappare questa parola se non fosse stato esasperato dal dolore sempre
crescente che gli tormentava il petto. Pavel Pvlovic trasal come fosse scottato.
- E la vostra parte qual in tutto questo? Per compassione non m'avete reso il braccialetto, non
vero?
- Non ne ho avuto il tempo.
- O forse perch mi compiangete di tutto cuore come un vero amico compiange un amico?
- Ebbene s, vi compiangevo - disse Vel'chninov cominciando ad alterarsi.
In poche parole gli raccont come era stato costretto ad accettare il braccialetto; come Nadezda
Fedosevna l'aveva costretto a mischiarsi nella faccenda.
- Capirete benissimo che non volevo incaricarmene a nessun costo; ho gi avuto abbastanza noie
oltre questa.
- Vi siete lasciato intenerire ed avete accettato - ghign Pavel Pvlovic.
- Anche voi capite che quello che dite stupido; ma bisogna perdonarvi... avete visto anche adesso
che non sono stato io il personaggio principale in questa faccenda.
- Gi, ma non c' niente da dire; vi siete lasciato intenerire.
Pavel Pvlovic si sedette e riemp il suo bicchiere.
- Credete che io voglia cedere il posto a quel bricconcello? Lo spezzer come un fuscello. Da
domani andr laggi e metter un po' d'ordine. La finiremo con tutte queste ragazzate.
Vuot un bicchiere quasi d'un fiato e se ne vers un altro; agiva con una disinvoltura straordinaria.
- Ah! Ah! Nden'ka e Sshen'ka, che ragazzi affascinanti! Ah! Ah! Ah!
Non sapeva pi trattenere il suo furore. Scoppi un tuono violento e cominci a diluviare. Pavel
Pvlovic s'alz e and a chiudere la finestra.
- Vi domandava se avevate paura del tuono! E poi il suo Kobylnikov? E i vostri cinquant'anni? Vi
ricordate? - chiese Pavel Pvlovic con aria canzonatoria.
- Ormai siete qui - disse Vel'chninov che poteva parlare a stento pel dolore. - Io mi corico. Voi
farete quello che vorrete.
- Non si metterebbe fuori nemmeno un cane con questo tempaccio - brontol Pavel Pvlovic ferito
dall'osservazione e quasi contento che un'occasione qualunque gli permettesse di mostrarsi offeso.
- Va bene, rimanete pure, bevete, passate la notte come volete - mormor Vel'chninov e si distese
sul divano con un leggero lamento.
- Passare la notte qui? Non avete paura?
- Paura di che? - domand Vel'chninov alzando bruscamente la testa.
- Ma che so io? L'altra notte avete avuto una paura terribile, almeno a quello che mi pareva.
- Siete un imbecille - grid Vel'chninov fuori di s, e si volse col viso contro il muro.
- Va bene, non ne parliamo pi.
Non appena il malato si fu sdraiato s'addorment. Dopo la sovreccitazione di tutta la giornata e
degli ultimi tempi si sentiva debole come un bambino; ma presto il male riprese il sopravvento e
vinse la stanchezza e il sonno. Dopo un'ora Vel'chninov si dest e si rizz sul divano gemendo di

dolore. Il temporale era cessato, la camera era piena di fumo e di tabacco, la bottiglia era vuota sulla
tavola e Pavel Pvlovic dormiva sull'altro divano. S'era steso tutto lungo; non s'era levato n il
vestito n le scarpe; il suo monocolo era scivolato dalla tasca e pendeva, attaccato ad un filo di seta
quasi toccando il pavimento. Il cappello era ruzzolato in terra, non lontano da lui.
Vel'chninov lo guard astiosamente ma non lo svegli. Si alz e cammin per la camera; non
poteva pi rimanere coricato; si lamentava e pensava angosciosamente alla sua malattia.
Aveva paura e non senza motivo. Era soggetto da molto tempo a quelle crisi che in principio gli
venivano a grandi intervalli, dopo un anno o due. Sapeva che era malattia di fegato. Cominciavano
con un dolore allo stomaco o un poco pi su, un dolore sordo e continuo. Poi il dolore cresceva
poco a poco, senza interruzione, certe volte per dieci ore di seguito e in ultimo era cos violento e
intollerabile che il malato credeva di dover morire. Dopo l'ultima crisi, un anno prima, s'era sentito
cos spossato che poteva appena stendere la mano; il medico non gli aveva permesso di prendere
che un po' di t leggero e un po' di pane nel brodo. La crisi sopraggiungeva per motivi molto
diversi; ma sempre dopo eccessivi eccitamenti nervosi. Alle volte si riusciva a troncarla dal
principio, dopo la prima mezz'ora, applicando degl'impacchi caldi; altre volte tutti i rimedi erano
inutili e non si riusciva a calmare il dolore che dopo molto tempo, a forza di vomito; l'ultima volta,
per esempio, il medico aveva detto d'aver creduto a prima vista ad un avvelenamento.
Adesso il mattino era ancora lontano e non voleva mandare a cercare un medico durante la notte;
del resto preferiva farne a meno. Non potendo pi contenersi, grid. I suoi urli svegliarono Pavel
Pvlovic che si sollev sul divano e rimase un momento stravolto, ascoltando e guardando
Vel'chninov che correva come un pazzo per la camera. Il vino che aveva bevuto lo aveva stordito a
tal punto che rimase qualche tempo senza capir niente; poi s'avvicin a Vel'chninov.
- E' il fegato; lo so benissimo - disse Pavel Pvlovic con una strana indifferenza. - Ptr Kuzmc e
Polosuchin avevano gli stessi dolori. Mal di fegato. Bisogna fare degli impacchi molto caldi. Ptr
Kuzmc si faceva sempre gli impacchi. Si pu anche morire. Volete che corra a chiamare Mavra?
- Non importa, non importa, - disse Vel'chninov spossato - non ho bisogno di niente.
Ma Pavel Pvlovic, chi sa perch, era addirittura fuori di s, sconvolto come se si fosse trattato di
salvare suo figlio. Non volle sentir niente ed insisteva che bisognava assolutamente mettere delle
compresse calde e preparare subito del t leggero e quasi scottante. Corse a cercare Mavra senza
aspettare che Vel'chninov glielo permettesse, la condusse in cucina, accese il fuoco, prepar il
samovar; e nello stesso tempo indusse il malato a coricarsi; lo svest, lo avvilupp in una coperta e
dopo venti minuti il t era pronto e il primo impacco era riscaldato.
- Ecco, sono caldissimi, scottanti! - disse con appassionata premura, applicando sul petto di
Vel'chninov un piatto avvolto in un tovagliolo. - Non si pu fare in altro modo e ci vorrebbe troppo
tempo per procurarsi delle altre compresse. E poi i piatti sono quelli che servono meglio; ve lo
posso assicurare; li ho esperimentati anch'io su Ptr Kuzmc. Sapete, si pu morire. Prendete,
bevete questo t, in fretta; tanto meglio se vi bruciate, si tratta di salvarvi. - Scuoteva Mavra ancora
mezz'addormentata, cambiava le compresse ogni tre o quattro minuti. Dopo la terza compressa e la
seconda tazza di t, bevuta quasi bollente, Vel'chninov si sent improvvisamente meglio.
- Quando si riesce a padroneggiare il male, allora, grazie a Dio, buon segno - disse Pavel Pvlovic.
E corse tutto allegro a cercare un altro piatto caldo e un'altra tazza di t.
- Bisogna agguantare il male, bisogna riuscire a farlo cedere - diceva ad ogni minuto.
Dopo mezz'ora il dolore era completamente calmato, ma il malato era cos estenuato che, malgrado
le insistenze di Pavel Pvlovic, rifiut di lasciarsi mettere "ancora un piattino". Gli occhi gli si
chiudevano per la debolezza.
- Dormire, dormire - mormor.
- S, s - disse Pavel Pvlovic.
- Coricatevi anche voi, che ora ?
- Sono le tre meno un quarto.
- Coricatevi.
- S, s, mi corico.

Un minuto dopo il malato chiam ancora Pavel Pvlovic che accorse da lui.
- Oh! voi siete... voi siete migliore di me!... Grazie.
- Dormite, dormite - disse sottovoce Pavel Pvlovic. E torn in fretta al suo divano sulla punta dei
piedi.
Il malato lo sent ancora fare piano piano il suo letto, togliersi i vestiti, spegnere la candela e
coricarsi, trattenendo il fiato, per non disturbarlo.
Vel'chninov si dovette addormentare appena fu spenta la candela; se lo ricord pi tardi
nettamente. Ma durante tutto il sonno e fino a quando si svegli, gli sembrava, in sogno, di non
dormire e di non riuscire ad addormentarsi malgrado la debolezza estrema.
Sogn di delirare, che non riusciva a cacciare le immagini ostinatamente fisse nella sua memoria,
sebbene avesse la piena coscienza che erano visioni e non la realt. Riconosceva tutta la scena, la
sua camera era piena di gente e la porta, nell'ombra, rimaneva aperta; le persone entravano in folla,
salivano le scale in file serrate. In mezzo alla camera, vicino al tavolo, era seduto un uomo,
esattamente come nel sogno d'un mese prima. Come l'altra volta, l'uomo rimaneva seduto,
appoggiato al tavolo, senza parlare, ma questa volta aveva un cappello col lutto. "Come? era dunque
Pavel Pvlovic anche l'altra volta?" pensava Vel'chninov; ma guardando i lineamenti dell'uomo
silenzioso si convinceva che era un altro. "Ma perch porta il lutto?". La folla s'accalcava attorno al
tavolo, parlava, gridava, il tumulto era terribile. Tutta quella gente sembrava pi irritata contro
Vel'chninov, pi minacciosa che nell'altro sogno; tendevano i pugni verso di lui e gridavano da
assordare: che cosa gridassero, che cosa volessero, non riusciva a capire.
"Ma tutto questo non che delirio" pensava; "so bene che non potevo addormentarmi, che mi sono
alzato perch non potevo rimanere coricato tanto soffrivo!". Eppure gli urli, le persone, i gesti gli
apparivano con una lucidit cos perfetta, con una tale realt che pensava: "E' davvero
un'allucinazione? Cosa vogliono da me tutte queste persone? Dio mio, ma se questo non delirio
com' possibile che questi urli non sveglino Pavel Pvlovic che dorme, l sul divano!".
Alla fine successe come nell'altro sogno; tutti si precipitarono verso la porta ed irruppero sulle scale
ma furono rigettati nella camera da una nuova folla che saliva. I nuovi arrivati portavano una cosa
enorme e pesante; si sentivano risuonare nelle scale i passi pesanti dei portatori; salivano dei
rumori, delle voci strozzate. Nella camera tutti gridarono:
"Lo portano, lo portano!". Gli occhi scintillarono e si spalancarono minacciosi, su Vel'chninov, e
gli accennarono le scale. Egli non dubitava pi che tutto quello fosse vero, non un sogno; si alz
sulla punta dei piedi per vedere pi presto, sopra le teste, che cosa portavano. Il cuore batteva,
batteva, batteva - e improvvisamente, come nell'altro sogno, squillarono tre scampanellate; ed erano
cos chiare, cos precise, cos distinte che non era possibile che non fossero reali!... Gett un grido e
si svegli.
Ma non corse alla porta, come l'altra volta. Quale improvvisa idea diresse il suo primo gesto? Fu
un'idea qualunque che lo fece agire? Era come se qualcuno gli suggerisse che cosa doveva fare:
s'alz vivamente sul letto, si gett in avanti, verso il divano dove dormiva Pavel Pvlovic, con le
mani tese come per prevenire, per respingere un attacco. Le sue mani incontrarono altre mani tese
verso di lui; le afferr violentemente; qualcuno era l. Le tende erano chiuse ma l'oscurit non era
completa, giungeva un chiarore tenue dalla stanza vicina. Improvvisamente un dolore terribile gli
attravers la palma e le dita della mano sinistra ed egli cap che con quella mano aveva afferrato la
lama d'un coltello o d'un rasoio. Nello stesso tempo sent il rumore secco di un oggetto caduto in
terra.
Vel'chninov era almeno tre volte pi forte di Pavel Pvlovic; eppure la lotta fu lunga, continu per
quattro o cinque minuti. Finalmente lo atterr, gli pieg le mani dietro la schiena, tenne fermo
l'assassino con la mano sinistra e con l'altra cerc qualche cosa che potesse servirgli per legargliele.
Finalmente trov il cordone delle tende e lo strapp. Durante quei tre minuti nessuno dei due disse
una parola, non si sentiva che il loro respiro affannato ed il rumore sordo della lotta. Quando
Vel'chninov ebbe legate le mani di Pavel Pvlovic lo lasci a terra; si alz, and alla finestra,
scost le tende. La strada era deserta. Il cielo cominciava a sbianchire. Apr la finestra e vi rimase

qualche istante a respirare a pieni polmoni l'aria fresca. Erano quasi le cinque. Richiuse la finestra,
tolse dall'armadio un panno, si fasci strettamente la mano sinistra per fermare il sangue. Vide ai
suoi piedi il rasoio aperto sul tappeto; lo raccolse, lo asciug, lo rimise nella scatola che la mattina
aveva dimenticata su di un tavolinetto vicino al divano dove aveva dormito Pavel Pvlovic; mise la
scatola nello scrittoio che chiuse a chiave. Poi s'avvicin a Pavel Pvlovic e l'osserv.
Era riuscito con grande stento ad alzarsi e si era seduto su di una seggiola. Non era vestito ed era
senza scarpe. La camicia era macchiata di sangue: nella falda e nelle maniche c'era sangue. Il suo
viso era irriconoscibile. Era seduto, con le mani dietro la schiena, sforzandosi di mantenersi ritto; il
viso sconvolto, convulso, pallido, a tratti tremava. Guardava fissamente Vel'chninov, ma il suo
sguardo smorzato non vedeva. Improvvisamente ebbe un sorriso stupido e smarrito, ed accennando
col capo alla bottiglia sul tavolo disse balbettando:
- Da bere.
Vel'chninov riemp un bicchiere d'acqua e gli porse da bere. Pavel Pvlovic bevve avidamente tre
sorsi d'acqua, poi alz la testa, guard fisso in faccia Vel'chninov ritto davanti a lui col bicchiere in
mano, e senza dir niente ricominci a bere. Quando ebbe finito respir profondamente.
Vel'chninov prese i suoi vestiti, il suo cuscino, pass nella stanza vicina e chiuse a chiave Pavel
Pvlovic nella stanza dove si trovava.
I dolori della notte erano completamente cessati, ma dopo lo sforzo fatto la sua debolezza aument.
Cerc di riflettere su quello che era successo, ma le sue idee non riuscivano a coordinarsi; la scossa
era stata troppo forte. S'assop, sonnecchi qualche minuto, ma si svegli subito tremando e si
ricord tutto. Sollev con precauzione la mano sinistra con la fasciatura umida di sangue e si mise a
riflettere con agitazione febbrile. Una sola cosa era completamente chiara per lui: che Pavel
Pvlovic aveva voluto sgozzarlo, ma che forse, un quarto d'ora prima di tentare il colpo, egli stesso
ignorava che l'avrebbe fatto.
Forse la sera prima gli era saltata agli occhi la scatoletta del rasoio e dopo, quel ricordo, aveva agito
come un'ossessione. (Il rasoio di solito era chiuso a chiave nello scrittoio, ma il giorno prima,
Vel'chninov, dopo essersene servito, l'aveva dimenticato fuori.)
"Se era deciso ad ammazzarmi si sarebbe munito d'un pugnale o d'una rivoltella; non poteva contare
sul mio rasoio che non aveva mai visto" pensava.
Finalmente suonarono le sei. Vel'chninov si vest e torn da Pavel Pvlovic. Aprendo la porta non
poteva spiegarsi perch avesse rinchiuso Pavel Pvlovic invece di cacciarlo subito fuori. Fu
sorpreso di trovarlo vestito: era riuscito a sciogliersi dai legami. Stava seduto sulla poltrona col
cappello in mano e s'alz quando Vel'chninov entr.
Il suo sguardo turbato diceva: "E' inutile parlarci, non c' niente da dire...".
- Andate - disse Vel'chninov. - Prendete il vostro astuccio.
Pavel Pvlovic si avvicin al tavolo, prese l'astuccio che si mise in tasca e si diresse verso le scale.
Vel'chninov stava vicino alla porta per chiuderla dietro di lui. I loro sguardi s'incontrarono
un'ultima volta. Pavel Pvlovic si ferm e per cinque secondi si guardarono in faccia con gli occhi
negli occhi, come indecisi.
- Andate - disse Vel'chninov a bassa voce facendogli segno con la mano.
E chiuse la porta a chiave.

16.
ANALISI.

Una gioia sconosciuta, immensa, lo emp. Capiva che qualche cosa finiva, si scioglieva; una
pesantezza insopportabile, durata cinque settimane, si staccava da lui.
Alz la mano, guard la fasciatura macchiata di sangue e mormor:
- No, questa volta finita davvero!

E per tutta la mattinata, per la prima volta dopo tre settimane, non pens quasi a Liza, come se quel
sangue caduto dalle sue dita ferite, lo avesse liberato anche da quell'ossessione.
Capiva che l'aveva minacciato un pericolo enorme. "La gente come quella" pensava "non sa un
minuto prima se vi sgozzer o no; ma poi se nelle loro mani tremanti capita un coltello e sentono la
prima goccia di sangue sulle loro dita, non s'accontentano pi di sgozzarvi ma addirittura vi
vogliono spaccare la testa".
Non poteva rimanere in casa, bisognava assolutamente che facesse qualche cosa; usc, cammin per
le strade. Aveva un gran desiderio di incontrare qualcuno, di parlare con qualcuno, fosse pure un
estraneo, e questo desiderio gli sugger d'andare da un medico e di farsi medicare la mano.
Il medico che lo conosceva da molto tempo esamin la ferita e gli domand con curiosit:
- Come vi successo questo?
Vel'chninov rispose con una facezia, si mise a ridere e stava per raccontargli tutto, ma si contenne.
Il medico gli sent il polso e quando seppe della crisi che aveva avuto la notte precedente, gli fece
prendere immediatamente una pozione calmante che aveva sotto mano. Quanto alla ferita lo
rassicur.
- Non vi dar conseguenze fastidiose.
Vel'chninov ridendo rispose che buone conseguenze erano gi venute.
Nella stessa giornata, per altre due volte fu ripreso dal desiderio di raccontare "tutto", anzi una volta
fu in una pasticceria, in presenza d'un uomo sconosciuto, lui che non aveva mai potuto sopportare di
parlare con degli sconosciuti in luoghi pubblici.
Entr in un negozio, comper un giornale, and dal suo sarto ad ordinargli degli abiti. L'idea di
recarsi dai Pogorel'cev continuava a non piacergli, non pensava a loro, e poi non poteva andare in
campagna perch doveva rimanere in citt, ad aspettare; non sapeva cosa. Pranz di buon appetito,
parl col cameriere e con un vicino di tavola, vuot mezza bottiglia di vino. Non pensava nemmeno
che fosse possibile un ritorno della crisi; era convinto che il suo male era completamente scomparso
quando, malgrado la sua debolezza e dopo un'ora e mezza di sonno, era saltato dal letto, ed aveva
cos vigorosamente atterrato il suo assassino.
Per verso sera la testa cominciava a girargli e a volte sentiva qualche cosa che assomigliava al
delirio della notte. Rincas al tramonto e la sua camera quasi lo spavent, quando v'entr. Si sentiva
agitato ed oppresso. Percorse parecchie volte l'appartamento ed entr anche in cucina dove non
andava mai. "E' qui dove ieri hanno riscaldato i piatti" pensava. Chiuse la porta col catenaccio ed
accese le candele prima del solito. Si ricord che poco prima, passando dalla terrazza, aveva
chiamato Mavra e le aveva chiesto: "Pavel Pvlovic non venuto durante la mia assenza?" come se
davvero fosse potuto tornare.
Dopo essersi diligentemente chiuso in casa prese la scatola ed apr il rasoio "di ieri" per esaminarlo.
Sul manico d'avorio bianco c'erano ancora alcune macchie di sangue. Ripose il rasoio nella scatola e
la rinchiuse nello scrittoio. Voleva dormire, bisognava assolutamente che si coricasse subito
altrimenti "domani non sarebbe buono a niente". Questo domani gli pareva un giorno destinato ad
essere in qualche modo fatale e "definitivo". Ma gli stessi pensieri che durante tutta la giornata,
mentre correva per le strade, non l'avevano lasciato, invasero tumultuosamente la sua testa malata
senza che potesse riordinarli o scacciarli; e pensava, pensava, pensava, e per molto tempo ancora
non pot addormentarsi.
"Essendo certo che s'era accinto a sgozzarmi senza premeditazione, chiss se aveva mai avuta
quest'idea nei suoi momenti cattivi?".
Trov una risposta buffa.
"Pavel Pvlovic voleva ammazzarlo ma l'idea del delitto non era mai balenata al futuro assassino".
Pi brevemente "Pavel Pvlovic voleva ucciderlo senza sapere di volerlo".
"E' incomprensibile, ma cos" pensava Vel'chninov. "Non venuto a Pietroburgo n per trovare
un posto, n per Bagautov, sebbene una volta qui, abbia cercato il posto e sia corso dietro a
Bagautov e fosse fuori di s quando morto; pensava a Bagautov come al suo primo paio di scarpe.
E' per me che venuto; ed venuto con Liza. Gi io m'aspettavo qualche cosa...".

Si convinse che davvero s'era aspettato qualche cosa fin da quando l'aveva visto in carrozza, al
funerale di Bagautov.
"M'aspettavo qualche cosa, ma naturalmente non questo... non che mi volesse tagliare il collo!
Ma chi sa, chi sa se era sincero questo pazzo quando ieri mi diceva la sua tenerezza per me, e il suo
mento tremava e si batteva il petto.
Era proprio sincero" rispondeva approfondendo l'analisi disordinata. "Era abbastanza stupido e
abbastanza generoso per entusiasmarsi dell'amante della moglie senza trovare, per venti anni, da
ridire sulla sua condotta. M'ha stimato per nove anni, ha onorato il mio ricordo e ha imparato a
memoria le mie 'espressioni'. Non possibile che ieri abbia mentito. Non mi amava ieri quando mi
diceva: 'Regoliamo i nostri conti'? Proprio cos, m'amava odiandomi e quest'amore il pi forte di
tutti.
E' possibile - anzi certo - che io a T... abbia fatto su lui un'impressione prodigiosa, s, prodigiosa,
che lo abbia soggiogato; con un essere simile pu capitare benissimo. M'ha fatto cento volte pi
grande di quello che sono perch si sentiva schiacciato davanti a me. Sarei curioso di sapere che
cosa, in me, gli facesse tanto effetto. Pu essere benissimo che siano i miei guanti puliti, o il modo
come li metto. I guanti sono pi che sufficienti per certe anime nobili, soprattutto per le anime da
'eterni mariti'. Il resto lo esagerano, lo moltiplicano per mille, si batterebbero per voi se questo vi
facesse piacere. Come ammirava i miei mezzi di seduzione! Pu essere benissimo che sia stato
questo a fargli tanta impressione... E il suo grido, l'altro giorno, 'anche lui! Ma allora non ci si pu
fidare di nessuno!'. Quando un uomo arriva a quel punto finito; non pi che un bruto.
E' venuto qui per 'abbracciarmi e piangere assieme' come diceva con la sua aria sorniona; il che
vuol dire che veniva per tagliarmi il collo e che credeva di venire a piangere ed abbracciarmi.
Aveva condotto Liza con s; se io avessi pianto forse m'avrebbe perdonato davvero perch aveva
una voglia incredibile di perdonare. Tutto questo, dal nostro primo incontro, si volse in tenerezza
d'ubriaco, in balordaggini grottesche, in villani schiamazzi da femmina offesa. E' per questo che
diventato un ubriacone, per essere, con tutte le sue smorfie, in condizione di parlare; non lo avrebbe
mai potuto senza essere ubriaco... e come gli piacevano le smorfie! Che gioia quando mi lasciai
andare a quell'abbraccio! Soltanto allora non sapeva se tutto sarebbe finito con un bacio o con una
coltellata. Ebbene, la soluzione venuta, la migliore, la vera soluzione: il bacio e la coltellata; tutti e
due in una volta. E' la soluzione pi logica.
E' stato abbastanza bestia per condurmi a trovare la sua fidanzata! Signore! Non c' che un essere
come quello che possa pensare di 'rinascere a vita nuova' con un mezzo simile. Eppure non c'
dubbio; voleva l'alta sanzione di Vel'chninov, dell'uomo che stimava tanto. Bisognava che
Vel'chninov gli desse la sicurezza che il sogno non era sogno, che tutto era realt vera. M'ha
condotto perch mi ammirava infinitamente, perch aveva una confidenza assoluta nella nobilt dei
miei sentimenti - e chiss? perch forse sperava che laggi, fra il verde, ci saremmo abbracciati e
avremmo pianto; a due passi dalla casta fidanzata. E s, bisognava pure che una volta tanto questo
'eterno marito' si vendicasse di tutto; e per vendicarsi aveva preso in mano il rasoio senza
premeditazione, vero, ma l'aveva preso. Pensiamo, c'era un secondo fine, quando mi raccontava la
storia di quel giovanotto? 'Eppure gli aveva dato una coltellata nel ventre, eppure aveva finito per
dargliela in presenza del governatore'. E chi sa quale intenzione aveva l'altra notte quando si alz e
venne in mezzo alla camera? Forse era soltanto per fare una farsa. S'era alzato senza nessuna cattiva
intenzione e poi, quando ha visto che avevo paura rimasto l, senza parlare, per dieci minuti,
perch si divertiva vedendo che avevo paura di lui. E' possibile anzi che l'idea gli sia balenata per la
prima volta mentre era l al buio.
Io credo che se ieri non avessi dimenticato il rasoio sul tavolinetto, credo che non sarebbe successo
niente. Certamente, certamente, perch mi evitava, perch da quindici giorni non veniva per piet di
me. Perch era Bagautov che voleva, non me. Perch s' alzato stanotte per fare riscaldare i piatti
sperando che la compassione avrebbe allontanato il coltello. E' chiaro che li scaldava tanto per lui
che per me, i suoi piatti!".

Per parecchio tempo la sua testa malata lavor a tessere sul nulla, fino a quando s'assop. La mattina
dopo si svegli col cervello ancora malato ed in preda a un terrore nuovo, imprevisto.
La causa di questo terrore era la convinzione che egli s'era fatta di dover andare lui, Vel'chninov,
in quello stesso giorno da Pavel Pvlovic. Perch? In vista di cosa? Non sapeva, non voleva sapere;
sapeva solo che sarebbe andato.
La sua pazzia - non trovava un altro termine - ingrandiva a tal punto che fin per trovare ragionevole
e plausibile questa risoluzione: anche il giorno prima era stato ossessionato dall'idea che Pavel
Pvlovic, rientrato in casa, si sarebbe impiccato proprio come il commissario del quale gli aveva
parlato Mr'ja Sysevna.
Quest'allucinazione gli era divenuta a poco per volta una certezza assurda ma incrollabile. "E perch
diavolo questo imbecille s' impiccato?" si chiedeva ogni momento. Si ricordava le parole di Liza.
"Anch'io al suo posto mi sarei impiccato" gli accadde di pensare una volta. Poi non si pot pi
contenere: invece d'andare a pranzo prese la strada della casa di Pavel Pvlovic. "Mi limiter a
chiederne a Mr'ja Sysevna" diceva; ma appena si trov sotto il portone si ferm. "Via, via"
esclamava, imbrogliato e irritato. "Mi dovrei trascinare fin l per 'abbracciarci e piangere insieme!'.
Scender a questa vergogna? a questa vilt insensata?". - Fu salvato da questa "vilt insensata" dalla
provvidenza che veglia sugli uomini quanto basta: appena fu sulla strada s'imbatt in Aleksndr
Lobov. Il giovanotto era ansimante e agitato.
- Ah! venivo proprio da voi. Il nostro amico Pavel Pvlovic...
- S' impiccato! - mormor Vel'chninov con aria smarrita.
- Come impiccato? E perch? - domand Lobov sgranando gli occhi.
- Niente... non ci fate caso... credevo... Dite, dite.
- Ma che razza d'idea. Non s' impiccato. E perch si doveva impiccare? Se n' andato invece. L'ho
accompagnato ora al treno... Ma come beve! Quanto beve! Cantava a squarciagola nello
scompartimento; s' ricordato di voi, m'ha raccomandato di salutarvi... Dico, una canaglia o no?
Voi che ne pensate?
Il giovanotto era agitatissimo: il volto in fiamme, gli occhi e la lingua ingarbugliata erano
abbastanza eloquenti.
Vel'chninov si mise a ridere.
- Dunque anche loro avevan finito per "abbracciarsi". Ah! Ah! Si sono abbracciati ed hanno pianto
insieme!
- Dovete sapere che "laggi" s' congedato. C' andato ieri ed anche oggi... Ha rivelato ogni cosa.
Hanno chiuso Nadja in soffitta. Strilli e pianti, ma noi non cederemo. Ma quanto beve! Come beve!
Ha parlato di voi tutto il tempo... Ma com' diverso da voi! Voi siete davvero un uomo ammodo, e
poi siete stato nella buona societ e se siete stato costretto ad allontanarvene stato soltanto per la
povert, non vero?
- E' stato lui che v'ha detto queste cose sul conto mio?
- Lui, lui. Ma non abbiatevene a male. Essere una brava persona molto meglio che appartenere
all'aristocrazia. Secondo me di questi tempi non si sa chi tenere in conto in Russia. Confessate
anche voi che un gran guaio per un'epoca non sapere chi tenere in conto, non vero?
- Giustissimo. Ma lui?
- Lui? Chi lui? Ah! giusto. Perch diavolo diceva: "Vel'chninov ha cinquant'anni ma rovinato"?
Perch quel "ma"? Rideva di gusto ed ha ripetuto questa frase un migliaio di volte. E' salito nello
scompartimento e s' messo a cantare, ed ha pianto. Era vergognoso; faceva anche pena vederlo
ubbriaco. A me non piacciono gl'imbecilli. E poi gettava danari ai poveri pel riposo dell'anima di
Liza. E' sua moglie, vero?
- Sua figlia.
- Ma che avete sulla mano?
- Mi sono tagliato.
- Non niente. Cose che passano. Ha fatto bene ad andarsene all'inferno; ma scommetto che dove
capita si marita subito... Lo credete anche voi?

- Gi, ma anche voi vi volete sposare?


- Io? S, ma un'altra cosa. Se voi avete cinquant'anni lui ne ha sessanta; e in queste cose ci vuole
un po' di logica! E poi dovete sapere che prima ero un panslavista feroce, ma adesso aspettiamo
l'aurora dall'Occidente. Arrivederci; sono molto contento d'avervi incontrato senza avervi cercato.
Non posso salire da voi, non me lo chiedete; impossibile!
E riprese la sua corsa.
- Ma dove ho la testa? - disse tornando indietro. - M'ha dato una lettera per voi. Eccola. Perch non
l'avete accompagnato alla stazione?
Vel'chninov sal in casa e strapp la busta.
Sulla busta non c'era nemmeno un segno di Pavel Pvlovic; era una lettera scritta da un'altra mano.
Vel'chninov riconobbe la scrittura. La lettera era vecchia, il tempo aveva ingiallita la carta e
sbiadito l'inchiostro. Era stata scritta per lui dieci anni prima, due mesi dopo la sua partenza da T...
Ma non gli era arrivata, non era stata spedita.
In quella lettera Natl'ja Vasl'evna gli diceva addio per sempre - come in quella che aveva ricevuta
- gli dichiarava che amava un altro al quale non aveva detto d'essere incinta. Gli prometteva, per
consolarlo, che gli avrebbe affidato il bambino che sarebbe nato; gli ricordava che sorgevano per
loro dei nuovi doveri e che anche la loro amicizia rimaneva sigillata per sempre... Insomma, la
lettera era pochissimo logica ma diceva chiaramente che Natl'ja voleva essere sbarazzata per
sempre del suo amore. Gli permetteva di tornare a T... dopo un anno per vedere il bimbo. Poi ella ci
aveva pensato e, chiss perch, sostitu questa lettera con l'altra.
Vel'chninov, leggendo, impallid e si figur Pavel Pvlovic che trovata quella lettera, la leggeva
per la prima volta, davanti al cofano di famiglia, il cofano d'ebano incrostato di madreperla.
"Anche lui deve essere diventato pallido come un morto," pensava vedendo il proprio pallore nello
specchio "s, certamente, quando l'ha letta, avr chiuso gli occhi, poi li avr riaperti bruscamente
sperando che la lettera ridiventasse un semplice foglio bianco... S, deve aver fatto tre volte la
prova...!".

17.
L'ETERNO MARITO.

Due anni dopo, in una bella giornata d'estate, Vel'chninov era in uno scompartimento, diretto ad
Odessa per far visita ad un amico; sperava che quest'amico lo avrebbe presentato ad una signora
interessantissima che da molto tempo desiderava conoscere pi da vicino. Era molto cambiato, o
meglio, era migliorato molto in quei due anni. Non gli rimaneva quasi pi niente dell'antica
ipocondria.
Di tutti i "ricordi" che due anni prima, durante il suo processo, l'avevano torturato non rimaneva pi
che un po' di confusione; quando pensava a quel periodo d'impotenza e di pusillanimit malaticcia,
si consolava dicendosi che quello stato non si sarebbe ripetuto mai pi e che nessuno avrebbe
saputo mai niente.
In quei tempi, aveva rotto completamente i legami con la societ e s'era lasciato mettere in disparte:
lo avevano notato. Ma era rientrato in quella societ con una contrizione cos perfetta, si era
mostrato cos rinnovato, cos sicuro di se stesso, che tutti gli avevano perdonato subito la sua
defezione momentanea.
Quelli stessi che aveva smesso di salutare furono i primi a riconoscerlo e a tendergli la mano senza
fargli nessuna domanda fastidiosa, come se avesse dovuto semplicemente dedicarsi per qualche
tempo ai suoi affari personali, che non riguardavano che lui.
La causa principale della sua felice trasformazione era anche la buona riuscita del processo. Aveva
ricevuti sessantamila rubli; poca cosa, ma per lui erano molti. Si ritrovava su di un terreno solido,

sapeva che non avrebbe sprecato le sue ultime risorse come aveva fatto prima e che le avrebbe
sapute amministrare per la durata della sua esistenza. "Possono benissimo sconvolgere il mondo a
loro piacere e insinuarci alle orecchie quello che vorranno" pensava qualche volta considerando le
cose belle ed eccellenti che accadevano a lui. "Nell'intera Russia possono cambiare gli uomini,
anche le idee, io non me ne curo: so che avr sempre a mia disposizione un pranzetto appetitoso
come questo che assaporo; per il resto sono tranquillissimo". Questo giro di idee borghesi e comode
gli aveva trasformato anche la persona: l'isterico agitato di prima era completamente scomparso ed
aveva ceduto il posto ad un uomo nuovo, a un uomo allegro, aperto, posato. Anche le rughe
inquietanti che gli s'erano affacciate attorno agli occhi erano quasi scomparse e il suo colorito s'era
modificato diventando bianco e rosa.
Era comodamente seduto in uno scompartimento di prima classe e il suo pensiero carezzava un'idea
incantevole. C'era una biforcazione alla stazione seguente. "Ho la scelta; se lascio la linea dritta per
volgere a destra potrei fare una visita, due stazioni pi avanti, ad una signora che conosco molto
bene e che appena tornata dall'estero e che si trova laggi in una solitudine molto comoda per me
ma molto noiosa per lei: ecco una maniera di passar bene il tempo, quasi come a Odessa, tanto pi
che sarei sempre in tempo a partire per Odessa...".
Esitava ancora, non riusciva a decidersi, aspettava la spinta improvvisa che lo avrebbe deciso.
Intanto la stazione era vicina e la spinta non veniva.
A quella stazione c'era una fermata di quaranta minuti e il pranzo pronto pei viaggiatori. Alla porta
della sala d'aspetto di prima e seconda classe c'era un gruppo di persone che si pigiavano per veder
meglio; certamente l succedeva qualche scandalo. Una signora, scesa da uno scompartimento di
seconda classe, molto carina, ma vestita con troppo sfarzo per una viaggiatrice, trascinava quasi per
forza un ulano, un giovane e bell'ufficiale che cercava di liberarsi dalle sue mani. L'ufficiale era
completamente ubriaco e la signora, probabilmente una parente, la sorella maggiore, gl'impediva di
correre al banco per rimettersi a bere.
L'ulano urt nella folla un giovane mercante, anch'egli ubriaco al punto da non aver pi la ragione.
Questo mercante non aveva lasciata la stazione da due giorni; era rimasto l a bere e a spendere il
suo danaro con dei compagni, senza trovare il tempo di proseguire la sua strada. Vi fu un bisticcio,
l'ufficiale grid, il mercante si arrabbi, la signora disperata cercava di tagliar corto alla disputa e di
trascinare l'ulano e gli gridava con voce supplicante:
- Mten'ka! Miten'ka!
Il giovane mercante trovava che questo era rivoltante. Tutti ridevano ma lui si considerava
profondamente offeso nella sua dignit.
- Ebbene cosa? "Mten'ka!" - disse contraffacendo la vocetta acuta e supplichevole della signora. Non vi vergognate, davanti alla gente?
La signora s'era lasciata cadere su di una panca ed era riuscita a far sedere l'ulano presso di lei; il
giovane mercante le si avvicin titubante, li guard con aria di disprezzo e url un'ingiuria.
La signora alz degli strilli laceranti e si guard attorno, angosciosamente, se nessuno accorresse in
suo aiuto. Era vergognata e atterrita. Per di pi, l'ufficiale s'alz dalla panca, voci delle minacce,
avrebbe voluto gettarsi sul mercante, scivol e cadde all'indietro sulla panca. Le risate aumentarono,
ma nessuno pensava a soccorrerlo. Il salvatore fu Vel'chninov: prese il mercante pel colletto, lo
fece girare su se stesso e lo mand a ruzzolare a dieci passi dalla giovane signora spaventata.
Fu la fine dello scandalo: il mercante, calmato dalla caduta e dall'inquietante statura di
Vel'chninov, si lasci condurre via dai suoi compagni. Il portamento imponente di quel signore
cos ben messo fece il suo effetto su quelli che ridevano; le risate cessarono. La signora, tutta rossa,
con le lacrime agli occhi, gli espresse commossa tutta la sua riconoscenza. L'ulano balbett "grazie,
grazie" e voleva tendere la mano a Vel'chninov, ma cambi idea, si coric su due sedie e allung i
piedi verso di lui.
- Mten'ka! - gemette la signora con un gesto d'orrore.
Vel'chninov era molto soddisfatto dell'avventura e del suo successo. La signora lo interessava: era
evidentemente una provinciale ricca, vestita senza gusto ma con civetteria; coi modi un po' buffi -

tutto quello che ci vuole per dare delle speranze ad uno della capitale che abbia delle mire su di una
donna. - Parlarono: la signora gli raccont la storia con calore e si lament del marito "che era
improvvisamente scomparso e che era la causa di tutto. Scompare sempre quando c' bisogno di
lui...".
- E' andato... - balbett l'ulano.
- Oh! ma dunque! Mten'ka! - interruppe ella supplicando.
"Bene! Attento al marito!" pens Vel'chninov.
- Come si chiama? - domand a voce alta. - Andr a cercarlo.
- Pa...l Palyc - s'imbrogli l'ulano.
- Vostro marito si chiama Pavel Pvlovic? - domand con curiosit Vel'chninov.
Nello stesso tempo la testa calva che conosceva molto bene, sorse tra lui e la signora. In un attimo,
rivide il giardino dei Zachlbinin, i giochi innocenti, l'insopportabile testa calva che si interponeva
sempre fra lui e Nadezda Fedosevna.
- Ah! eccovi finalmente! - gli grid la signora in tono arrabbiato.
Era Pavel Pvlovic in persona. Egli guardava Vel'chninov con stupore e con terrore; rimase
pietrificato come alla vista d'un fantasma. Il suo smarrimento fu tale che per un buon minuto non
sent i rimproveri che la moglie gli rivolgeva con molta scioltezza. Alla fine cap, vide cosa lo
minacciava e trem.
- S, colpa vostra, e questo signore - indicava Vel'chninov - stato per noi un angelo salvatore e
voi... voi non ci siete mai quando c' bisogno di voi...
Vel'chninov si mise a ridere.
- Ma noi siamo dei vecchi amici, amici d'infanzia! - esclam guardando la signora stupita e posando
familiarmente e con aria protettrice la sua mano destra sulla spalla di Pavel Pvlovic che,
pallidissimo, sorrideva vagamente; - non vi ha mai parlato di Vel'chninov?
- No, mai - rispose ella dopo aver pensato.
- In questo caso presentatemi alla vostra signora, amico smemorato.
- Infatti, cara Lpochka, ecco il signor Vel'chninov che...
S'imbrogli, si perse, non pot continuare. La moglie, tutta rossa, lo guardava con occhi furiosi,
forse perch l'aveva chiamata Lpochka.
- E figuratevi che non m'ha neanche partecipato il suo matrimonio, e non m'ha invitato alle nozze;
ma vi prego, Olimpida...
- Semnovna - sugger l'ulano che s'addormentava.
- Vi prego Olimpida Semnovna, perdonategli, fatemi questa grazia in onore al nostro incontro...
E' un eccellente marito. - E Vel'chninov batt con fare amichevole una mano sulla spalla di Pavel
Pvlovic.
- M'ero allontanato, carina, appena un minuto - disse Pavel Pvlovic.
- E avete lasciato insultare vostra moglie - interruppe Lpochka. - Quando c' bisogno di voi non ci
siete mai, e quando non c' bisogno di voi, ci siete sempre.
- S, s, quando non c' bisogno di lui, lui l... - aggiunse l'ulano.
- Quando non importa, ne sapete prendere, di precauzioni!
- Perfino sotto il letto... cerca gli amanti... perfino sotto il letto... quando non importa - grid
Mten'ka che a sua volta s'animava.
Ma nessuno prestava attenzione a Mten'ka.
Tutto fin per calmarsi; si fece pi interamente conoscenza. Mandarono Pavel Pvlovic a cercare
caff e brodo.
Olimpida Semnovna spieg a Vel'chninov che arrivavano da O... dove il marito era funzionario
e che andavano a passare due mesi in campagna, non lontano, a quaranta miglia da quella stazione;
che laggi avevano una bella casa ed un giardino, che ricevevano, che avevano dei vicini, e che se
Aleksj Ivnovic fosse cos gentile d'andare a visitarli "nella loro solitudine" ella lo accoglierebbe
"come il suo angelo custode" perch non poteva pensare senza terrore a quello che sarebbe successo
se... eccetera eccetera, in una parola, "come il suo angelo custode".

- S, come un salvatore - aggiunse calorosamente l'ulano.


Vel'chninov ringrazi, rispose che sarebbe felicissimo, che del resto aveva tutto il tempo possibile
perch non era impegnato con nessuna occupazione, e che l'invito di Olimpida Semnovna lo
seduceva infinitamente. Poi parl molto gaiamente e lanci due o tre complimenti molto a
proposito.
Lpochka arross di piacere. Quando Pavel Pvlovic li raggiunse, essa gli annunci con molto
entusiasmo che Aleksj Ivnovic aveva avuto la bont d'accettare il suo invito e che sarebbe andato
a passare un mese intero in campagna, con loro, fra una settimana. Pavel Pvlovic sorrise con aria
disperata e non disse niente.
Olimpida Semnovna alz gli occhi al cielo e croll le spalle. Finalmente si separarono; vi furono
degli altri ringraziamenti, ancora "l'angelo custode, il salvatore", ancora Mten'ka, poi Pavel
Pvlovic accompagn la moglie e l'ulano al loro scompartimento. Vel'chninov accese un sigaro e
passeggi avanti e indietro aspettando la partenza. Pensava che Pavel Pvlovic sarebbe tornato per
parlare con lui.
Infatti Pavel Pvlovic sorse davanti a lui, con gli occhi, con tutto il viso pieni di domande ansiose.
Vel'chninov sorrise, gli prese amichevolmente il braccio, lo condusse fino ad una panca vicina, se
lo fece sedere accanto. Non disse niente, voleva che fosse Pavel Pvlovic a cominciare.
- Allora, verrete da noi? - domand, andando dritto alla questione.
- Ne ero sicuro, voi siete sempre lo stesso! - disse Vel'chninov ridendo. - Vediamo, - disse
battendogli la mano sulla spalla - avete potuto credere che sarei venuto da voi e per un mese intero?
Ah! Ah!
Pavel Pvlovic era raggiante di gioia.
- Allora non verrete!
- Ma no, non verr, non verr - disse Vel'chninov con un sorriso allegro.
Non capiva perch tutto questo gli sembrasse cos prodigiosamente comico; ma pi parlava pi si
divertiva.
- Siete sicuro?... Dite davvero?
E Pavel Pvlovic sussult d'impazienza e di inquietudine.
- V'ho detto che non verr! che strano uomo siete!
- Ma allora, cosa dir? Come spiegher a Olimpida Semnovna, alla fine della settimana, quando
vedr che non venite?
- Le direte che mi sono rotto una gamba, ditele quel che volete.
- Non lo creder - disse Pavel Pvlovic gemendo.
- E vi sgrider? - riprese Vel'chninov sempre sorridendo. - Ma davvero, mio caro amico, mi
sembra che tremiate davanti alla vostra adorabile mogliettina.
Pavel Pvlovic fece di tutto per sorridere ma non ci riusc. Che Vel'chninov avesse promesso di
non andare andava bene, ma che si permettesse di scherzare cos familiarmente sul conto di sua
moglie era inammissibile. Pavel Pvlovic s'adont.
Vel'chninov se ne accorse. Intanto suonavano il secondo colpo di campana: una vocetta acuta usc
da uno scompartimento, chiamando impazientemente Pavel Pvlovic. Questi si agitava, ma non
rispondeva alla chiamata: si capiva che aspettava ancora qualche cosa da Vel'chninov; certamente
una nuova promessa di non andare.
- Di che famiglia vostra moglie? - domand Vel'chninov come se non s'accorgesse
dell'inquietudine di Pavel Pvlovic.
- E' la figlia del nostro pope - rispose l'altro guardando con occhio inquieto verso lo
scompartimento.
- Gi si vede che l'avete sposata per la bellezza.
Pavel Pvlovic s'adombr di nuovo.
- E chi quel Mten'ka?

- E' un mio parente lontano, il figlio d'una cugina che morta. Si chiama Golbcikov. L'hanno
cacciato dal servizio per un'avventura; sta per rientrarvi; siamo stati noi che l'abbiamo fornito di
tutto. E' un povero giovane che non ha avuto fortuna.
"E' ben quello, ben quello, ci sei" pensava Vel'chninov.
- Pavel Pvlovic! - strill ancora la voce che veniva dallo scompartimento, ma questa volta in tono
pi acuto.
- Pa...l Pa...lyc! - ripet un'altra voce, una voce da ubbriaco.
Pavel Pvlovic s'agit, si dimen, ma Vel'chninov lo afferr per un braccio e lo tenne immobile.
- Volete che io vada a raccontare a vostra moglie che volevate assassinarmi?
- Che? Come? - disse Pavel Pvlovic spaventato. - Dio ve ne guardi!
- Pavel Pvlovic! Pavel Pvlovic! - grid ancora la voce.
- E adesso andate! - disse Vel'chninov ridendo di cuore.
- Allora non verrete? - mormor un'ultima volta Pavel Pvlovic disperato, con le mani giunte.
- Vi giuro di no! Su, correte, non farete a tempo.
E gli tese cordialmente la mano... ma trasal. Pavel Pvlovic non la prendeva e ritirava la sua.
La campana suon per la terza volta.
Accadde all'improvviso fra loro qualcosa di strano; erano come trasformati.
Vel'chninov non rideva pi, sentiva un tremito, un laceramento brusco. Afferr Pavel Pvlovic per
le spalle, violentemente.
- E se io vi tendo questa mano - e gli mostr la palma della mano sinistra dove si vedeva ancora la
lunga cicatrice della ferita - voi forse non la rifiuterete - disse a bassa voce con le labbra pallide e
tremanti.
Pavel Pvlovic gemette e trem; i suoi lineamenti si contrassero.
- E Liza? - disse con voce sorda. E improvvisamente le sue labbra fremettero, le guance e il mento
gli tremarono e le lacrime caddero dai suoi occhi. Vel'chninov restava ritto davanti a lui, come
impietrito.
- Pavel Pvlovic, Pavel Pvlovic!
Questa volta era un urlo come se avessero strozzato qualcuno. Risuon un fischio.
Pavel Pvlovic torn in s e si mise a correre da rompersi il collo. Il treno si mosse. Riusc ad
afferrare lo sportello e d'un balzo salt nello scompartimento.
Vel'chninov rimase l fino alla sera, poi riprese il viaggio interrotto. Non cambi strada, non and
a salutare la signora che conosceva; non ci pensava pi.

PSICOLOGIA DEL SOTTOSUOLO


di
REN GIRARD.
[Questo scritto stato tratto da Ren Girard, "Dostoevskij dal doppio all'unit", pubblicato da SE
nel 1987 (seconda edizione 1996), nella traduzione di Roberto Rossi.]

Sotto certi aspetti, il Dostoevskij di "Umiliati e offesi" pi lontano dal proprio genio che il
Dostoevskij del "Sosia". E' proprio questo allontanamento - si sarebbe tentati di scrivere: questo
smarrimento - a suggerire che una rottura inevitabile. Ma soltanto l'imminenza di questa rottura
rivelata, e non l'imminenza del genio. Se nel 1863 Dostoevskij fosse divenuto pazzo, anzich
scrivere i "Ricordi dal sottosuolo", non avremmo difficolt a scoprire in "Umiliati e offesi" i segni
anticipatori di quella follia. E forse, per il Dostoevskij del 1863, non vi era altra via d'uscita che la
follia o il genio.
Vediamo bene, adesso, che il cammino verso la maestria romanzesca non un progresso continuo,
un processo di accumulo, paragonabile all'erezione per corsi successivi di un qualunque edificio.

"Umiliati e offesi" certamente superiore, per tecnica, alle opere degli esordi; la futura lucidit gi
affiora, innegabilmente, in certi passaggi e in certi personaggi, ma l'opera si situa nondimeno considerato lo squilibrio da cui affetta e lo scarto che rivela fra la prospettiva del creatore e il
significato oggettivo dei fatti - al punto estremo dell'accecamento. E questo punto estremo non pu
che precedere e annunciare la notte definitiva o la luce della verit.
Non vi compito pi essenziale, e tuttavia pi trascurato, del raffrontare, in uno stesso scrittore, le
opere veramente superiori con quelle che non lo sono. Per facilitare questo raffronto, lasceremo
inizialmente da parte i "Ricordi dal sottosuolo", opera infinitamente ricca e varia, e ci rivolgeremo a
un racconto di sette anni pi tardi, "L'eterno marito". Se per un momento ci allontaniamo dall'ordine
cronologico, soltanto per ragioni pratiche e per facilitare la comprensione del nostro punto di
vista. "L'eterno marito" completamente consacrato ai motivi ossessivi che abbiamo riscontrato
nelle opere del periodo romantico e nella corrispondenza siberiana; questo racconto ci permetter
dunque di abbozzare, su alcuni punti ben definiti, un primo confronto e una prima distinzione fra i
due Dostoevskij, quello che ha del genio e quello che non ne ha.
"L'eterno marito" la storia di Pavel Pvlovic Trusockij, un notabile di provincia che dopo la morte
della moglie parte per Pietroburgo allo scopo di ritrovarne gli amanti. Il racconto mette pienamente
in luce il fascino che esercita sui protagonisti dostoevskijani l'individuo che li umilia sessualmente.
In "Umiliati e offesi" l'insignificanza dell'amante suggeriva l'importanza della rivalit nella passione
sessuale; nell'"Eterno marito" la donna morta, l'oggetto desiderato scomparso e il rivale
permane; il carattere essenziale dell'ostacolo pienamente rivelato.
Al suo arrivo a Pietroburgo, Trusockij pu scegliere fra due amanti della moglie defunta. Il primo,
Vel'chninov, il narratore dell'"Eterno marito"; il secondo, Bagautov, ha soppiantato Vel'chninov
nel cuore della sposa infedele e il suo dominio si rivelato pi durevole del precedente. Ma
Bagautov muore a sua volta e Trusockij, dopo i funerali a cui assiste in lutto stretto, ripiega, in
mancanza di meglio, su Vel'chninov. Agli occhi di Trusockij Bagautov - perch lo ha pi
radicalmente ingannato e schernito - che incarna pienamente l'essenza della seduzione e del
dongiovannismo. E' di questa essenza che Trusockij si sente privo, proprio perch la moglie lo ha
ingannato; quindi di questa essenza che egli cerca di appropriarsi diventando il compagno, l'emulo
e l'imitatore del proprio rivale trionfante.
Per capire questo "masochismo" bisogna dimenticare il bagaglio medico che abitualmente lo oscura
al nostro sguardo e leggere, molto semplicemente, "L'eterno marito". In Trusockij non vi un
desiderio di umiliazione nel senso consueto del termine. L'umiliazione costituisce, piuttosto,
un'esperienza cos terribile che inchioda il masochista all'uomo che gliel'ha inflitta o a coloro che gli
somigliano. Il masochista non pu ritrovare la stima in se stesso se non con una vittoria clamorosa
sull'individuo che lo ha offeso; ma questo individuo acquisisce ai suoi occhi dimensioni cos
favolose da sembrare contemporaneamente l'unico capace di procurare quella vittoria. Vi nel
masochismo una sorta di miopia esistenziale che restringe la visione dell'offeso alla persona
dell'offensore. Quest'ultimo stabilisce non solo lo scopo dell'offeso ma anche gli strumenti della sua
azione. Ci significa che la contraddizione, la scissione e lo sdoppiamento sono inevitabili. L'offeso
condannato a girare senza fine intorno all'offensore, a riprodurre le condizioni dell'offesa e a farsi
offendere nuovamente. Nelle opere che abbiamo considerato finora, il carattere ripetitivo delle
situazioni genera una specie di umorismo involontario. Nell'"Eterno marito" questo carattere
ripetitivo sottolineato; lo scrittore ne trae effetti comici del tutto consapevoli.
Nella seconda parte del racconto, Trusockij decide di risposarsi e cerca di coinvolgere Vel'chninov
nell'impresa. Non pu aderire alla propria scelta finch il seduttore patentato non ne abbia
confermato l'eccellenza, finch quest'ultimo non desideri, insomma, la ragazza che egli stesso
desidera.
Egli invita dunque Vel'chninov ad accompagnarlo dalla giovane. Vel'chninov cerca di esimersi,
ma finisce per cedere, vittima, scrive Dostoevskij, di un "bizzarro impulso". I due uomini si
fermano dapprima in una gioielleria e l'eterno marito chiede all'eterno amante di scegliere per lui il
regalo da destinare alla futura sposa. Poi vanno a casa della signorina e Vel'chninov ricade,

invincibilmente, nel proprio ruolo di seduttore. Egli piace e Trusockij non piace. Il masochista
sempre l'artefice affascinato della propria infelicit.
Perch si lancia in questo modo nell'umiliazione? Perch immensamente vanitoso e orgoglioso.
La risposta paradossale soltanto in apparenza. Quando Trusockij scopre che la moglie gli ha
preferito un altro, lo shock che ne prova terribile perch egli si fatto un dovere di essere il centro
e l'ombelico dell'universo. L'uomo un vecchio proprietario di servi; ricco; vive in un mondo di
padroni e di schiavi; incapace di vedere una via di mezzo fra questi due estremi, il minimo scacco
lo condanna dunque alla servit. Marito ingannato, si vota egli stesso al nulla sessuale. Dopo essersi
concepito come un individuo da cui irradiavano naturalmente la forza e il successo, si considera un
rifiuto che trasuda inevitabilmente impotenza e ridicolaggine.
L'illusione dell'onnipotenza tanto pi facile da distruggere quanto pi totale. Fra l'Io e gli Altri si
stabilisce sempre un raffronto. La vanit pesa sulla bilancia e la fa pendere verso l'Io; non appena
questo peso viene a mancare, la bilancia, raddrizzatasi bruscamente, pender verso l'Altro. Il
prestigio che attribuiamo a un rivale troppo felice sempre la misura della nostra vanit. Crediamo
di stringere saldamente lo scettro del nostro orgoglio, ma esso ci sfugge al minimo scacco per
ricomparire, pi splendente che mai, fra le mani di un altro.
Come Ordynov, nella "Padrona", tenta invano di assassinare Murin, cos Trusockij accenna un gesto
omicida nei confronti di Vel'chninov. Pi sovente, egli cerca un "modus vivendi" con il rivale
affascinante. Come il protagonista di "Un cuore debole", egli spera di vedere riversarsi su di s un
po' di quella felicit favolosa che attribuisce al proprio vincitore. Il "sogno della vita a tre", fino a
qui idillico o patetico, ricompare in una prospettiva grottesca.
L'impulso primario che anima i personaggi dostoevskijani non quindi quello che suggerivano le
prime opere. Il lettore di "Umiliati e offesi" che intende rimanere fedele alle intenzioni consapevoli
dello scrittore giunger a formulazioni che contraddicono radicalmente il significato latente
dell'opera. Il critico Georges Haldas, per esempio, definisce cos l'essenza comune a tutti i
personaggi: "E' la piet che riporta alla luce quanto il loro cuore ha di pi nobile e li fa acconsentire
al sacrificio, in se stessi, della parte possessiva di ogni amore". Il critico percepisce bene che un
"elemento torbido" si mescola alla passione, ma di questo elemento, a sentir lui, che i personaggi
finirebbero per trionfare: "Vi " prosegue "come un sabba dell'amore-passione e della piet - e
anche della carit -, una lotta terribile alla fine della quale la piet che vince ed la passione che
perde".
Lungi dal rinunciare alla "parte possessiva di ogni amore", questi personaggi non sono interessati
che ad essa. Sembrano generosi "poich non lo sono". Perch dunque riescono a farsi credere, e a
credersi, il contrario di ci che sono? Perch l'orgoglio una potenza contraddittoria e cieca che
produce sempre, a pi o meno lunga scadenza, effetti diametralmente opposti a quelli che ricerca.
L'orgoglio pi fanatico disposto, al minimo scacco, a inchinarsi a terra davanti all'altro; vale a dire
che somiglia, esteriormente, all'umilt. L'egoismo pi estremo fa di noi, alla minima disfatta, degli
schiavi volontari; vale a dire che somiglia, esteriormente, allo spirito di sacrificio.
La retorica sentimentale che trionfa in "Umiliati e offesi" non rivela il paradosso, ma se ne serve per
dissimulare la presenza dell'orgoglio. L'arte dostoevskijana del periodo maggiore fa esattamente
l'opposto. Stana l'orgoglio e l'egoismo dai loro nascondigli; denuncia la loro presenza in
comportamenti che somigliano, fino a trarre in inganno, all'umilt e all'altruismo.
Non percepiamo il masochismo dei personaggi di "Umiliati e offesi" se non quando andiamo oltre
le intenzioni dell'autore, verso una "verit oggettiva" che non pu esserci rimproverato di
"proiettare" sul romanzo poich essa diviene esplicita nell'"Eterno marito". Nell'opera maggiore non
vi pi scarto fra le intenzioni soggettive e il significato oggettivo.
Dei lampi attraversano senza dubbio "Umiliati e offesi". Il titolo stesso una scoperta: esso fa
credere a molti che questo romanzo, raramente letto, sia "dostoevskijano" nel senso in cui lo
saranno le opere posteriori. L'idea che il comportamento dei personaggi sia radicato nell'orgoglio vi
gi espressa: "Sono spaventato" osserva laconicamente Vanja "perch vedo che sono tutti divorati
dall'orgoglio". L'idea, tuttavia, rimane astratta, isolata, annegata nella retorica idealista.

Nell'"Eterno marito", invece, abbiamo una sensazione quasi fisica della vanit morbosa e
digrignante del personaggio principale, autentico specchio deformante in cui il dandy Vel'chninov
contempla il "doppio" della propria sufficienza dongiovannesca.
Dopo "Umiliati e offesi" vi in Dostoevskij un cambiamento di orientamento al tempo stesso sottile
e radicale. Questa metamorfosi ha delle conseguenze intellettuali, ma non il frutto di
un'operazione intellettuale. Di fronte all'orgoglio, l'intelligenza pura cieca. La metamorfosi non
neppure di ordine estetico; l'orgoglio pu assumere tutte le forme, ma pu ugualmente fare a meno
di forma. Il Dostoevskij di Semipalatinsk, il Dostoevskij che scrive a Vrangel' le lettere che
sappiamo, era incapace di scrivere "L'eterno marito". Nonostante i dubbi che gi lo assalivano, si
ostinava a considerare il proprio orgoglio morboso e la propria ossessione per l'umiliazione sotto
una luce adulatoria e ingannevole. Quel Dostoevskij non poteva scrivere che "Le notti bianche" o
"Umiliati e offesi". Non si tratta di fare di Trusockij un personaggio autobiografico nel senso
tradizionale del termine, ma di riconoscere che questa creazione geniale si fonda sulla
consapevolezza acuta di meccanismi psicologici appartenenti al creatore stesso, meccanismi la cui
tirannia poggiava, precisamente, sullo sforzo disperato del creatore per nascondersi il loro
significato e persino la loro presenza.

Potrebbero piacerti anche