Sei sulla pagina 1di 19

Economia e teologia negativa in Jacques Derrida

di Giorgia Bordoni

Die Ros ist ohn warum, sie blhet weil sie blhet, Sie acht nicht ihrer selbst, fragt nicht ob man sie siehet. La rosa senza perch Angelus Silesius

La portata e la gittata della teologia negativa - discorso negativo o interrogativo intorno a Dio che in questa sede vorrei indicare, quella che trapela come il basso continuo di una sinfonia nellopera di Derrida. Si tratta di quel movimento silenzioso e sotterraneo, si pu dire inter-detto, che si firma come altro nome della decostruzione e che sar sempre intervenuto nel procedere economico-metafisico come resistenza insuperabile. Tale impasse al cuore di ogni principio di ragione e dispositivo economico, dovr svelare lo spazio di una faglia invisibile in esso; lapertura che ad un tempo lo fonda, lo oltrepassa e lo depone. Nel pensiero di Jacques Derrida, la via negativa, che mette in questione il Dio metafisico e gli attributi che lo definiscono, aprir un discorso obliquo riguardo a Dio, inteso sia come Assolutamente altro-Terzo senza-nome, Segreto, sia come luogo-Traccia ove ogni altro pu avvenire senza che nessuna previsione o preparazione lo voli nella sua alterit, neutralizzandola nello spazio del proprio. Quella certa teologia negativa riformulata da Derrida a partire dalle fonti della mistica cristiana, oltre-passa (ricordo che nella lingua francese il termine pas significa passo ma anche non, negazione) e dif-ferisce, nel senso che fa differenza, che apre la differenza come origine ma anche che rimanda allinfinito, listante in cui ogni prospettiva di carattere teo-teleo-logico si risolve nel suo fine: interrompe perci ogni economia-garanzia di salvezza (soterio-logia) e ogni teoria-disposizione delle cose ultime (escato-logia). La tradizione metafisica, a partire da Aristotele e nella teoresi scolastica, aveva pensato Dio nei termini di un Ente essenzialmente essente ovvero lEssere necessario e incausato, la Ragione-causa suprema (il fondamento, il principio, il Grund) e pertanto il Fine ultimo, lultima ratio di ci che esiste. La via negativa, fin dal suo emergere proprio al cuore del pensiero cristiano, procedeva invece allo svuotamento di ogni discorso positivo su Dio; cercava dunque non solo una progressiva de-sostanzializzazione (che lo serbasse intatto dalla tradizionale riduzione ad Ens summum) ma si volgeva a rilevare il suo statuto ab-solutum, sciolto da qualunque rispondenza allidea di essere, ratio o senso. Per dirla con le parole di Silesius, Dio doveva essere colto nel nulla abissale (AbGrund) della sua sovra-divinit. Si tratta di un logos trasversale che richiede un certo sacrificio della ragione e della pulsione economica a questa legata, nel senso di un superamento da un lato dellidea di Dio come ragione teleologica, dallaltro della razionalit umana che calcola e rende ragione di ci che esiste, che dispone, rap-presenta (tiene di fronte, controlla nel proprio orizzonte di senso qualunque obiectum) e perci ricomprende ogni Altro (che sia umano e divino) nella logica, nella legge del proprio, della dimora. Quando Heidegger definisce il versetto di Angelus Silesius su citato come il pi significativo del mistico tedesco, intende che da esso emerge, in immagine poetica, un qualche spostamento del principium rationis di Leibniz (1646-1716). La rosa senza perch, fiorisce poich fiorisce, a se stessa non bada, che tu la guardi non chiede. 1 Sebbene la persistenza del poich decida ancora nel senso di una permanenza di questo verso nelleconomia del principio di ragione, tuttavia
ANGELUS SILESIUS, Cherubinisher Wandersmann, oder Geist- Reiche Sinn-und Schulu- Reime zur Gttlichen Beschauligkeit anleitende. Von dem Urheber aufs neue bersehn, und mit dem Sechsten buche vermert, den Liebhabern der theologie und beshaulichen Legens zur Geistichen Ergzligkeit zum andernmahl herau gegeben, Glatz 1675. Traduzione dal tedesco di Giovanna Fozzer e Marco Vannini, Il Pellegrino Cherubico, Edizioni Paoline, Milano 1989, p. 115.
1

Silesius si sarebbe volto al di qua del fondamento metafisico, nel luogo ove il fondo perde le fattezze di una sostanza suprema che giustifica lessente, per assumere quella di un abisso. Per Heidegger, il movimento di distacco, di abbandono (Gelassenheit) praticato da Silesius - rispetto alla ragione leibniziana - coglieva Dio oltre lente e lessere ed il pensiero pi adeguato a quel passo indietro che egli voleva compiere al di qua del principio di ragione, uno dei pilastri della metafisica come onto-teo-logia; per un pensiero dellessere come Ni-ente, Nulla, fondamento sfondato (Abgrund), fuori dalla metafisica come scienza o logica dellessere dellente, sarebbe stata forse necessaria una certa teologia negativa. Il domenicano Reiner Sh rmann, ispirandosi alle indicazioni heideggeriane sullopera di Silesius, Il Pellegrino Cherubico, comprendeva il tendere silesiano (e, vedremo, ancor prima in Eckhart, della cui mistica Silesius diviene il traduttore in versi) come una forma di pensiero peregrinale, che si distingue da una forma indicativa, o pensiero di sostanze. Mentre in questultima si rilevava una malattia dellintelligenza che vuole pronunciarsi sul reale, il pensiero peregrinale invece, anche detto pensiero del compimento, era proprio di una intelligenza libera e distaccata, che lascia essere lessere, non vuole appropriarsi delle cose: un errare e attraverso le sue itineranze, lorigine fa segno 2 . Precisamente nella figura dellitineranza, dellessere sempre in cammino nellerranza che si limita a tener di mira ci che non pu essere afferrato nel concetto, della destinerranza (per usare unespressione di Derrida) si mette in opera labbandono del cogitatum summum (Dio come impensabile e irrappresentabile, assolutamente altro) e lo si lascia venire, schiudendo lo spazio della sua evenemenzialit. Derrida coglier nella teologia negativa una dinamica di decostruzione: da un lato la decostruzione lirruzione di un Terzo senza-nome, non dialettizzabile, che avrebbe in modo an-archico (prima di ogni arch, di ogni origine risalibile), gi-da-sempre, innescato una sorta di dislocazione in seno al sistema onto-teo-logico e messo in crisi lidea metafisica di Dio come essere e come fondamento (Grund). Dallaltro, decostruzione anche il lasciare operativi gli effetti dellinterruzione del sistema da parte di quel non-sistematizzabile, an-economico, lavorare ad un linguaggio del limite, oltre la -logia metafisica, che li faccia risuonare liberando linattuale e limpensato velato dalla griglia economica e aprendo la possibilit di pensare lAssolutamente Altro avulso dalle categorie dellessere: nel lasciarlo venire inimmaginabile, senza nome, senza lorizzonte condizionato dal calcolo. Il suffisso -logia in questo contesto si fa essenziale per il fatto che il bersaglio polemico della teologia negativa, fin dai suoi albori, proprio il logos che si traduce come: pensiero, discorso, ma anche ragione, fondamento, calcolo e disposizione. La teologia negativa, nello specifico della lettura di Derrida, riformula lidea del logos-discorso: lo scardina dalla necessit del linguaggio (come sistema di segni volto alla definizione di un oggetto) e lo rideclina nei termini di un discorso obliquo: privo di referente, senza oggetto. La teologia negativa sar una de-ferenza infinita daddio, un ritegno per ci che non si d ad un intenzione significante, un dire particolare che lascia venire laltro come assolutamente imprevedibile. Heidegger aveva suggerito una prima forma di decostruzione della metafisica, in special modo nellaver rilevato, seppure non esplicitamente, il coappartenersi di metafisica ed economia. Leconomia e la teleologia lavorano nella metafisica come movimento della sua essenza onto-teologica. Nella peculiare essenza onto-teo-logica della metafisica emerge lurgenza di una qualche teologia negativa: vale a dire di unistanza che interrompe e rovescia le differenti configurazioni del paradigma economicoche si sono manifestate nelle articolazioni e nelle figure che la scienza dellessere dellente ha presentato fin dai tempi della sua fondazione aristotelica. necessario segnare i luoghi in cui, a partire dallentrata di Dio nella filosofia, Heidegger libera limpensato celato nellonto-teo-logia: la possibilit del rovesciamento, delloltrepassamento. Leredit decostruttiva di Heidegger, quellidea dellessenza impensata dellessere come abisso, sar raccolta da Derrida per unulteriore decostruzione del sistema metafisico.

REINER SCH

RMANN,

Maitre Eckhart ou la joie errante, Paris 1972, p. 367.

1- Il primo inabissamento di Dio al di qua della metafisica Nel XII libro della Metafisica di Aristotele, anche conosciuto come il Trattato teologico, Dio entrava nella filosofia nei termini della Causa prima, lIncausato che unifica tutte le cause, lEnte supremo che lessere dellessente. Gli studi di Heidegger sono stati essenziali al recupero di questo doppio legame interno allessenza della metafisica (ontologia e teologia). Nellanalisi dellontologia, infatti, Heidegger avrebbe messo in rilievo la confusione che fin da Aristotele sarebbe stata fatta sulla questione dellessere. La metafisica nella sua essenza, rimasta impensata nellarco della sua storia, ontologia perch teologia e teologia perch ontologia. Lesigenza di cogliere lessere come fondamento dellente conduce perci la metafisica ad identificare tale essere come un Ente sommo che renda legittimo tutto ci che esiste. importante ricordare che in questo contesto, il suffisso -logia indica linsieme delle relazioni di fondazionegiustificazione in cui, nella metafisica, lessente inteso nel senso della sua ragione prima e ultima. Per giungere al punto di torsione che Derrida imprime al tentativo heideggeriano di oltrepassamento del sistema metafisico, bisogna toccare con qualche riferimento i due vettori concettuali che si intrecciano nellonto-teo-logica: il principio di identit e quello di ragione. Vi nel loro stesso fondo la portata di un nascondimento essenziale: quello della differenza ontologica, differenza tra essere ed ente. Quali sono le due ombre che affiorano da questo oblio, come i negativi di una pellicola fotografica? Indico due voci: Ereignis (evento di appropriazione, ambito) e Abgrund (fondamento tolto, Ni-ente, abisso). Lepoca della tecnica (Gestell), come stato affrontato nei seminari precedenti, esaurisce, per Heidegger, la storia della destinazione dellessere, nel senso che porta a compimento il deferimento (Austrag) di essere ed ente in cui la verit dellessere si velava e disvelava (a-letheia). Il momento tecnico, come apice della economia della presenza, si rovesciava perci nel suo negativo astorico, anonimo: lEreignis, che blocca ogni forma di produzione economica-razionale di epoche, ogni calcolo del fine che si leghi ad un fondamento (Grund); quell evento stesso del venire alla presenza che precede an-archicamente (prima del tempo) ogni rap-presentazione. Lungi dallessere una nuova epoca dellessere, lEreignis invece il primo salto (Ur-sprung), lo scarto allorigine che oltrepassa il fondamento della metafisica inteso come principium (nel senso dellautorit, del comando): un venire alla presenza originario che elide il concetto stesso di origine (Grund, principium, ratio, logos), ambito (Bereich) in cui ogni palinsesto della finalit abolito. Il pensiero, nel venire alla presenza dellEreignis, diventa un pensiero senza perch, senza progetto, n definizione di un fine, che lascia venire. Questa deriva decostruttiva nel principio di identit nodale per comprendere i cardini da cui Derrida riarticola il suo pensiero della teologia negativa, in particolare quando ci si trover alle prese con un concetto sfuggente come quello di chora, lo spazio-traccia della differenza in cui ogni origine si elide. Nihil est sine ratione seu nullus effectus sine causa. Il principio di ragione inferisce: che ogni cosa ha un motivo e ogni effetto deriva da una causa. La traduzione heideggeriana del principio di ragione ribadiva ancora loblio della differenza ontologica portante nellenunciato leibniziano. Il principium rationis non parla del fondamento in s, ma della necessit per lente di avere un fondamento. Lessere cos colto come fondamento dellente si entificava in Dio (causa prima della totalit dellente) - Ente onnipotente e calcolante - e restava dimenticato nella metafisica. Questa frase del fondamento (Satz wom Grund), volge a render ragione dellessente con un Ente che ne garantisce e ne assicura lesistenza; in ci occulta il fondamento e la sua infondatezza, la sua abissalit. infatti proprio nel Nihil, primo termine del principio di ragione, che emerge il termine (nel senso di limite) della metafisica e del suo Grund. Lessere, fondamento dellente, differisce dallente perch non un ente, ma un Ni-ente. Nella stessa formulazione del principio metafisico la necessit che il Grund (lessere non-ente) resti infondato-inspiegato e inspiegabile, senza ragione, senza perch. La storia della metafisica si mostrava ancora una volta come un processo di gestione di un rimosso: lessere come Ab-Grund (abisso insondabile) che rimuove ogni ratio. 3

Il passo indietro (Schritt zurk) compiuto da Heidegger rispetto alla tradizione filosofica precedente, la domanda abissale al di qu delle maglie teleologiche della metafisica, liberava il pensiero di un Altrimenti: sia nellappropriazione nellEreignis, ambito che compie il deferimento essere-ente, sia nello spalancarsi dellAb-grund, linsensato a condizione al principio di ragione, albeggiano gli strumenti per un pensiero dell Altrimenti che essere (espressione di Lvinas che avremo modo di incontrare in relazione a Derrida) e quello di una certa morte di Dio.

2- La teologia negativa come deferenza ad-dio Il modello dal quale Derrida eredita gli strumenti per un pensiero di Dio come assolutamente sciolto (Ab-solutus) dal sistema metafisico, certamente quello offerto dalla tradizione mistica: in particolare lo Pseudo-Dionigi lAreopagita, Meister Eckhart e Angelus Silesius. Linsorgere di un discorso negativo intorno a Dio che lo sgombrasse da ogni nome o definizione mantenendolo nel segreto della sua trascendenza, deviava essenzialmente dalla speculazione positiva su Dio, diretta filiazione della tradizione onto-teo-logica inaugurata da Aristotele. La teologia negativa si torceva nel verso opposto al discorso che d i nomi a Dio, quello che ne fa un oggetto di pensiero, per muoversi ad un continuo svuotamento (kenosis) dei nomi di Dio, nel senso di una progressiva perdita, di una morte di Dio come ente: si trattava della regressione da Dio-obiectum in Diodesideratum, da Ens summum in Nihil (non-ente, oltre lente e poi anche oltre lessere). In Salvo il nome (1993), Derrida comincia col rilevare lessenza del termine apofatico: lapofasis la voce della teologia detta o se-dicente negativa 3 , una voce bianca, vuota che parla di un Dio senza lessere o Dio che al di l dellessere.() Lapofasi una dichiarazione, unesplicitazione, una risposta che, assumendo riguardo a Dio una forma negativa o interrogativa, rassomiglia talvolta seppur erroneamente ad una professione di ateismo, () come una certa mistica, il discorso apofatico sempre stato sospettato di ateismo. 4 Derrida intende la teologia negativa come un discorso al limite della tradizione teologico-positiva e del linguaggio stesso. Ma il particolare tipo di a-teismo che egli ricordava come la frequente accusa rivolta dalla tradizione ufficiale ai danni della corrente, quasi clandestina, del pensiero negativo di Dio, rivela due aspetti essenziali dellapofasi: essa ad un tempo parricidio e sradicamento di ogni onto-teo-logia e postscriptum, contro-firma ritardata che testimonia lincursione an-archica (senza origine) di Dio come traccia smisurata e irrisalibile al cuore del sistema, che impedisce il soggetto nel suo agire economico. Nello spazio di questo discorso pre-originariamente di risposta a Dio, Derrida scova lo slancio del desiderio di Dio che resta nel ritegno e nella disperazione, un anelito che abbandona il proprio oggetto, che gli dice addio per salvarlo dalla ri-comprensione della significazione. Da questo particolare a-teismo che salva il ci/Chi senza-Nome che non si d mai ad una intuizione e perci che non pu essere rappresentato se non in un modo senza modo, 5 si schiude il luogodeserto (che vedremo spalancarsi nella chora) come spazio di evenemenzialit in cui lAssolutamente altro, leterogeneo, pu venire improvvisamente, fuori dalle previsioni di una teoria del fine o della Fine (intesa ad esempio come fine della Storia). Questo aspetto del luogo-evento sar pi chiaro dopo il tracciato delle due trame guida di questo paragrafo (parricidio e post-scriptum); in esse la rivelazione della teologia negativa di Derrida dovr annunciare la nuova pratica di un movimento an-economico e ultra-metafisico. Parricidio e sradicamento. La teologia negativa imponeva uninterruzione radicale al pensiero cristiano: si sradicava infatti dallintreccio delle traiettorie onto-teo-logiche della filosofia e

JACQUES DERRIDA, Sauf le nom, Galile Paris 1993, ed. it. di G. Dalmasso e F. Garritano, Il segreto del nome. Chora, Passioni, Salvo il Nome, Jaca Book, Milano 1997; p. 129. 4 Ibi, p. 130. 5 MEISTER ECKHART, Deutche Werke, Pr. 71.

lontologia di provenienza greca, la teologia neo-testamentaria e la mistica cristiana. 6 Alla fine del paragrafo sar esplicitata laffinit tra la teologia negativa e la decostruzione, come cerniera al problema dellessenza anarchica e aneconomica dellevento; per ora, mi sembra interessante riportare la definizione di Heidegger in merito a questa dislocazione che sorge al cuore dei risultati teologici dellontologia di Parmenide e della metafisica di Aristotele: iperbole paradossale del cristianesimo. Si pu recuperare, a questo proposito, anche il concetto che Platone offriva, nella Repubblica, della nozione di iperbole: un movimento di trascendenza che trasporta al di l dellessere e dellessenza, un gesto che annuncia. Di cosa la via apofatica nuntio? Annuncia, fa risuonare labisso anarchico e insondabile di Dio. necessario, dunque, un breve esergo che prepari quel tratto del saggio di Derrida ove si fa cenno al contributo di Silesius, centrale ad una idea della teologia negativa come deferenza addio: a tal fine indico la doppia accentazione che Dionigi lAreopagita legava al termine teo-logia. Teologia : discorso di Dio, intorno allessenza di Dio, riguardo alla questione di Dio, ma anche discorso di Dio, da parte di Dio agli uomini. Nella Teologia mistica 7 , lesperienza dellascesa alla divinit aveva un carattere puramente linguistico: si trattava di raggiungere la nuda caligine di Dio mediante lopera di uno svuotamento (kenosis) dei nomi da cui nelle Sacre Scritture era stato definito. Nellopera dellAreopagita il discorso di Dio (da parte di Dio) avveniva nella creazione, come effusione luminosa: secondo il modello neoplatonico, la teo-fania di Dio nel mondo (e come mondo) era un discorso che scendendo dalla vetta da cui scaturiva, si allargava sempre di pi, arricchendosi man mano di parole: Dio, essendo in ogni esistente, si rivelava nei suoi molteplici nomi. Le Scritture (che sono quindi il deposito del discorso positivo su Dio) conservavano liper-denominazione di Dio. Tuttavia se nella sua immanenza Dio poteva essere richiamato con tutti i nomi degli enti, nellassoluta trascendenza questi era senza-nome, oltre ogni definizione, sfuggiva al dominio del senso e dellimmaginabile, cos come restava latitante al raggio della visibilit. Non poteva neppure essere inteso come Uno, Bene: era Uno come principio della processione degli enti e Bene in quanto restava il fine della riconversione, ma il suo nome non era n Bene n Uno. Non poteva venire assimilato allEssere, categoria che esso produceva ma dalla quale non era toccato: il Dio di Dionigi era un non-essere primitivo 8 , un Dio super-essente o iper-essente. Per questo, la modalit dellascesa a questa oltre-divinit doveva articolarsi nei termini di una teologia apofatica: prosciugare il lungo discorso positivo, simbolico, affermativo, apofantico delle Scritture in un iter che, elidendo i nomi da quelli pi infimi a quelli pi vicini ad una qualche idea di Dio, salisse fino alla soglia dell ignoranza mistica; apice della possibilit di una conoscenza di Dio. Lultimo grado dellascesa che procedeva a colpi di negazione doveva, per Dionigi, essere quello di una teologia superlativa: si trattava del superamento di ogni proposizione su Dio, apofantica o apofatica che fosse, in forza di una negazione eccellente che oltrepassasse il linguaggio stesso e la dicotomia ontologica essere-non essere. Il lavoro estremo di tale afairesis (dal greco: eliminazione) portava il linguaggio al suo limite, a spegnersi nel luogo del silenzio assoluto dellineffabile divinit, ove essa resta nel suo segreto e nulla si vede, n si sa. La regressione involutiva del discorso lo convertiva nel luogo di Dio, il luogo di tenebra luminosissima dove la Trinit soprasostanziale, superdivina e superbuona 9 , Colui che al di l di tutti i nomi, aveva posto il proprio nascondiglio. Altro quadro essenziale per Derrida la riflessione mistico-speculativa di Meister Eckhart domenicano e allievo di Alberto Magno - contro cui il sospetto di ateismo che investiva la
J. DERRIDA, Salvo il nome, op. cit. p. 155. DIONIGI LAREOPAGITA, Teologia mistica, tratto dalla raccolta Tutte le opere, trad. Piero Scazzoso, Rusconi Libri S.p.A., 1981 Milano. 8 ETIENNE GILSON, La philosophie au moyen age, Payot, Paris 1952, ed. it. del Torre, La filosofia del Medioevo, Sansoni, Milano 2005, p. 91. 9 DIONIGI LAREOPAGITA, Teologia mistica, op.cit. capitolo terzo 1033C, pp. 412-413.
7 6

tradizione teologico-negativa si concretizz nella bolla papale In agro dominico (1326), in cui Papa Giovanni XXII condannava per eresia diciassette delle sue tesi. Eckhart si poneva sullo stesso solco di Dionigi, sempre nel verso della corrente di pensiero rimasta celebre come metafisica della conversione: a questa si opponevano le metafisiche dellEsodo, di matrice scolastico-tomista, che interpretavano la rivelazione del Nome fatta da Dio a Mos in Esodo 3,14 (Io sono colui che sono) come la prova nella coincidenza dellessere con Dio. Eckhart rileggeva per la conversione in modo differente da Dionigi: ispirandosi ad Agostino, in chiave immanentista; in essa, il luogo invisibile e tenebroso della divinit corrispondeva col fondo segreto dellanima umana (lapex o abditum mentis). Il cammino mistico doveva riguardare non lascesa, ma la discesa dellanima al luogo pi profondo di s stessa, quello che Eckhart chiamava piazzaforte, favilla, la cittadella dove era Dio, pura sapienza, eccedente persino la categoria metafisica di Essere. Eckhart apriva lo spiraglio allapofatica: le tre morti dello spirito scandivano gli stadi di purificazione che lanima avrebbe dovuto raggiungere per profondarsi in Dio: deserto abissale della divinit che in essa. Lanima doveva praticare labbandono (Gelassenheit) fino ad arrivare in condizione di poter patire Dio: in primo luogo rinunciare a se stessa e alle cose del mondo, poi perdere il Figlio ovvero perdere luguaglianza a Dio che essa possiede solo nellarchetipo eterno del Cristo, infine raggiungere la morte suprema o morte divina. Qu lanima perdeva Dio come oggetto di desiderio: la morte di Dio corrispondeva dunque allentrata dellanima nellabisso (Ab-Grund: il fondamento tolto che richiama lidea di Heidegger sulla verit dellessere) indicibile della Deit (Gottheit), la nuda divinit ove lanima non ha pi un Dio poich fa tuttuno con esso. A godere della pi alta beatitudine era infatti luomo povero, privo delle cose, del sapere di esse, del desiderio di goderne, ormai giunto nel fondo super-essente di Dio. Il patire Dio inteso nei termini di un ritrarsi nel silenzio di ogni immagine, nellesser completamente assorbita dellanima (Eckhart chiama questo inabissamento: sinderesi) nel fondo segreto, nellabisso insondabile, nel deserto di Dio. Lidea del deserto o pi precisamente del luogo ove nessuno a casa propria, 10 come nome che rispetta Dio nella sua indefinibilit, fa da immagine speculare allidea derridiana di chora, che verr toccata tra breve come luogo dell apertura senza ubicazione: il deserto dove ogni teleologia ed economia deposta. Nel percorso teoretico di Eckhart, lidea di Dio si approfondisce nel senso del fondamento tolto (Ab-Grund) a tal punto da perdere la connotazione originaria di puro intelletto e prendere quella di Ni-ente, Nulla senza fondo: letteralmente Dio un non si sa che misterioso e nascosto. Come metafora della trascendenza assoluta di questo Ni-ente rispetto a tutti i discorsi di carattere teologico, noetico, unologico, Eckhart riportava levento alla radice della conversione di S. Paolo: lincontro col mistero divino che questi ebbe sulla via di Damasco:
Paolo si alz da terra e aperti gli occhi, non vide nulla () non vuol dire nientaltro se non che, aperti gli occhi, vedeva il Niente. Non vedendo alcunch, vedeva il Niente divino. 11

Il Niente di Dio, scrive Eckhart, deve essere afferrato come modo senza modo, nellassoluta dismisura, poich nessun principio di ragione umana lo afferra. Il desiderio di Dio, che lancia il dinamismo di ogni teologia apofatica, deve tradursi nellabbandono del desiderio stesso, nel disperato distacco (altra voce del Gelassenheit) dal Dio inteso in senso ontologico. La pi efficace traduzione poetica di questo concetto di Dio- ni-entit dellorigine 12 proprio lopera di Silesius, forse anche in quel verso richiamato da Heidegger intorno alla rosa senza perch, che indicava lo spiraglio ad un pensiero dellessere fuori dal senso e dal principio di ragione sufficiente, che illumina lidea del non-senso di Dio, dellirrappresentabile deserto al di
MEISTER ECKHART, Deutuche Werke, Pr. 48. Ibi, Pr. 71. 12 Ibi, Pr. 23 ; E se egli (Dio) non Bont, n Essere, n Verit, n Uno, che dunque mai? Non niente di niente, non n quello.
11 10

sopra di ogni concetto. Quel senza perch (ohn warum) che passa il dominio dellesprimibile e del razionale, del logos, dellorigine univoca e risalibile (arch), oltraggia (nel senso del superamento ma anche dell offesa) perci ogni metafisica. Il contributo di Silesius alla diffusione del pensiero eckhartiano, interessa anche la questione dellabbandono, di quell amore apofatico che Eckhart aveva trovato come unica via di desiderio che rispettasse lassoluto Altrimenti di Dio. Se Derrida, nel saggio del 1993, riprende Silesius precisamente per suggerire un alternativa al logos onto-teo-logico: il linguaggio poetico sembra essere pi adeguato ad uscire fuori dalla sfera della significazione immediata. Gli enunciati apofatici tracciano un percorso del senza, fuori dalleconomia che cerca lafferramento del significato: lascia risuonare il Niente di Dio in un deferimento (un riferirsi senza-oggetto, senza dominazione della nominazione su questo) che differisce sempre altrove il suo luogo introvabile. In un distico dal titolo Il mistico distacco, Silesius scriveva: Il qualcosa si deve abbandonare. Uomo, se tu ami qualcosa, allora non ami niente veramente: Dio non questo e quello, lascia dunque per sempre qualcosa 13 . E altrove ancora: Labbandono pi segreto. Labbandono capace di prendere Dio; ma lasciare Dio stesso, ecco un abbandono che pochi uomini sono capaci di intendere 14 . Lateismo di cui i mistici sembravano essersi macchiati perci amore infinito che abbandono e amore per labbandono: una rinuncia che salva intoccato il Dio assoluto (ab-solutum: sciolto, slegato dagli enti) e sfida la metafisica nelle sue pretese di risalire e spiegare il sommo principio. Ma come riconfigurare questo parricidio dellapofatica sullonto-teo-logia nei termini del distacco, del desiderio e del limitar-si (nel senso dellesser-linguaggio-del limite e dellesser discorso auto-svuotantesi) della teologia negativa, nel pensiero di Derrida? Come questo discorso senza nomi interrompe leconomia e apre levento nella sua ingovernabilit essenziale? Silesius deve essere riletto alla luce della teologia negativa intesa come post-scriptum. Post-scriptum. necessario a questo punto un altro esergo che riferisca di uneredit che in qualche modo prosegue e trasforma la tradizione apofatica, e che Derrida rielabora: si tratta di Emmanuel Lvinas. La riflessione di questi sullIlleit e sullad-dio il nodo in cui Derrida ri-allaccia il discorso di Dio come impronta anacronica di una Traccia che si inscrive autocancellandosi e il discorso su Dio nei termini di una risposta ad-dio, testimonianza del desiderio pi disperato per ci che resta altrimenti che essere, fuori dalla metafisica. Il principium rationis di Leibniz, che poneva il fondamento nella ragione sufficiente nellEnte Sommo a garanzia dellessente, diventava nel pensiero moderno un principio di ragione umana. Gi nellapparato critico kantiano la modernit comincia a pensare il fondamento (Grund) come soggetto conoscitivo che pone loggetto di fronte a s. Vale a dire che nella ragione pura (reine Vernunft) risiede la capacit di rendere ragione di ci che ; poich essa dispone delle condizioni a-priori della possibilit di conoscenza dellessente si offre come motore di giustificazione delloggetto che non pu stare in piedi da s e che non pu prescindere da una soggettivit, ragione del suo esistere. una ragione che mentre conosce, calcola e costituisce. Se ci si sposta tra le analisi di Husserl, fondatore della fenomenologia e maestro di Lvinas, si tocca lesigenza di risalire persino al di qua delle forme a-priori dellintuizione kantiana (spazio e tempo), considerate come dei costituiti e non come le condizioni trascendentali della conoscenza. Il punto di costituzione di un mondo, il Grund, doveva invece essere la struttura di un soggetto colto nella sua purezza, sgombrato dalle conoscenze precedenti. La riduzione trascendentale (eideticotematica) meglio conosciuta come epoch, messa tra parentesi, imponendo un dubbio sul gi pensato intorno a un mondo, riscopriva il campo originario dello scaturire evidente del senso del mondo a partire dalla sfera indubitabile, necessaria (apodittica), del flusso dei vissuti (Erlebnisse) di un soggetto: la coscienza trascendentalmente pura, unico luogo da cui rendere ragione di un mondo. Nellego puro, punto zero della spazialit, loggetto si d in carne ed ossa lasciandosi penetrare totalmente; con le strutture intenzionali-temporali pre-originarie il soggetto afferra ogni
13 14

ANGELUS SILESIUS, Il Pellegrino Cherubico, Edizioni Paoline, Milano 1989, p. 115. Ibi, p. 176.

fuori di s in un dentro che ordina e d senso. In tale orizzonte di senso guadagnato nella manovra di riduzione, si schiudeva la legge di correlazione universale tra soggetto e oggetto (noesis e noema) e la portata essenziale del soggetto entro il quale sarebbe sorto un senso indubitabile del mondo. Lego husserliano d ragione dellessente nel processo fenomenologico che, sebbene infinito, resta teleologico. La svolta rispetto a questa auto-posizione e auto-gestione del soggetto come fondamento di ragione, avviene con Lvinas che riadopera la manovra dellepoch per rivolgerla contro la fenomenologia stessa. Lvinas si spostava gi al di qua dellego puro, ravvisando (il punto di partenza era stato lappaiamento originario di ego e alter-ego nella zona pi intima dellego monadico, gi indicata da Husserl stesso) unassoluta precedenza su di esso: laltro. Laltro si ritrae allafferramento del soggetto, non gli si offre mai in unintuizione eidetica, sfugge al suo dominio concettuale. Lepoch rideclinata da Lvinas diventa interruzione della fenomenologia e dellontologia poich rileva una irruzione anacronica al cuore della sfera appartentiva del soggetto che non si lascia dialettizzare in una sintesi n disciplinare in uno spazio domestico: piuttosto ci che rivela lessenza del soggetto nel suo esser-gi-da-sempre-fuori-di s, esser-per-laltro. Lego si scopre in un ritardo non recuperabile, gi da sempre a dover rispondere allappello del volto daltri, da cui era stato traumatizzato e stra-volto allinsonnia dellattesa e della responsabilit. Dal nominativo del potere su se stesso e sulle cose, il soggetto si rivoltava in accusativo del debito verso laltro, in esposizione alla chiamata. Il punto che tuttavia definito il passaggio dallontologia alletica da parte di Lvinas, prendeva corpo da un certo al-di-qua delletica stessa. Per dirla in altre parole: lidea di Dio faceva il suo ingresso nello spazio del rapporto duale e asimmetrico delletica. La portata maestosa del volto daltri nel soggetto, il suo sopraggiungere da una lontananza abissale e ad un tempo la sua ossessione tanto prossima al soggetto da destabilizzarlo dallinterno, diviene possibile perch il volto per Lvinas il luogo della verit metafisica, il luogo ove trapela la traccia di Dio, Terzo assoluto, che garantisce la relazione etica proprio mentre la interrompe. Questo Dio per lontano dal Dio metafisico, trascendenza che si risolve nellimmanenza del volto e che resta inimmaginabile, inafferrabile e invisibile, in una parola: un Altrimenti che essere. La traccia di Dio/Terzo, storna il tempo fenomenologico e apre una temporalit asimmetrica ove il soggetto perde il suo statuto di origine ed invece chiamato a rispondere a un appello senza memoria. Lvinas offre dunque a Derrida una prima suggestione di tipo apofatico per un discorso intorno a Dio come Assolutamente altro. Il concetto di traccia, inoltre, sar essenziale al pensiero di Derrida: la traccia un passato che non mai stato presente, una resistenza alla rap-presentazione e ripresentazione. In Lvinas la traccia diceva, secondo lespressione che egli formula in Altrimenti che essere 15 , lIlleit (Terziet) di Dio come passivit pi passiva di ogni passivit, che sorge nel faccia a faccia delletica e lo garantisce, parla dal volto come gloria dellin-finito che fa esplodere la finitezza del soggetto e lo apre allinfinito nellingiunzione alla responsabilit. In Derrida, invece, la traccia indica un supplemento dorigine. Si tratta di una frattura assolutamente non recuperabile nel regime del senso, che elide ed elude lorigine unica (il Grund) della metafisica onto-teo-logica; la dif-ferenza allorigine e come origine sia intesa come la spaccatura, spaziamento (brisure) anacronica a condizione di ogni reductio ad unum tradizionale e che sta a condizione di questa, sia nel senso del dif-ferirsi pre-originario dellorigine, del suo trovarsi sempre altrove rispetto al punto in cui la si cerca o, che il medesimo dispositivo, ancora da venire. La traccia allorigine indica un resto: non ci che avanza da un calcolo economico, ma ci che insiste nel resistere da sempre a qualunque riconduzione nel circolo normativo del proprio. LIlleit lvinasiana, il Terzo assoluto e fuori dallessere, sorgeva cooriginariamente al volto: come Derrida fa notare nellAddio ad Emmanuel Lvinas 16 , quell Altrimenti che essere, sebbene renda
15

EMMANUEL LVINAS, Autrement quetre ou au-de-l dellessence, Martinus Nijhoff, La Haye 1974 ; ed. it. a cura di S. Petrosino e M.T. Aiello, Altimenti che essere o al di l dellessenza, Jaca Book, Milano 1983. 16 J. DERRIDA, Addieu Emmanuel Lvinas, Edition Galile, Paris 1997 ; ed. it. a cura di S. Petrosino, Addio a Emmanuel Lvinas, Jaca Book, Milano 1998.

possibile lasimmetria tra altro e soggetto e la relazione etica possibile solo in forza di questo squilibrio, emergendo nel rapporto duale lo interrompe: lAltro dellaltro che rivendica il suo appello, impone uno spergiuro originario nellaltrettanto originario giuramento etico, apre la questione della giustizia e del politico perch impone lo sguardo del terzo umano (oltre che di quello divino). LAssolutamente altro che Lvinas traduce con lidea di Illeit, diventa in Derrida lEterogeneo, il qualunque altro, sempre sconosciuto: lignoto che resta sempre-ancora a venire, proprio perch gi sempre venuto, ma in un permanere impensabile, segreto, irrisalibile. In Derrida Dio finisce di essere il fine della pazienza etica e riprende la sua portata immateriale: una sorta di spettralit. Nello specifico del problema della teo-logia negativa intesa come discorso da Dio a noi, il Terzo che passa lessere e la nominabilit, lEterogeneo-Traccia anacronica (come supplemento dorigine che rimanda allidea mistica di sovra-divinit), smisurata perch abissale, mi agita da sempre: paralizza la ricomprensione dellaltro nel sistema economico-sintetico, blocca la teleologia della metafisica del proprio, rideclinabile anche come logo-centrismo che poi quella ove domina la voce, il logos, la simultanea e simmetrica rispondenza tra il chiamante e il chiamato. LEterogeneo ha lasciato la sua firma (marca o anche incisione) della dimora, prima ancora di ogni legislazione domestica: il terzo non-dialettizzabile che fonda il sistema mentre impedisce che questo si chiuda, la faglia che da sempre manda a vuoto e in vacanza il moto di ricomprensione sullestraneit. La situazione di ritardo insuperabile in cui il soggetto si trova lo richiama ad un dovere di controfirma alla firma pre-originaria e irrisalibile: dire lirruzione inquietante del Terzo non pu quindi che tradursi in un post-scriptum. La teo-logia negativa, questa volta intesa nei termini del discorso da noi a-Dio, sorge sempre post-festum, (per usare unespressione di Derrida: aprs coup), in un secondo tempo, in risposta allincursione non memorabile della Traccia che ha gi sempre interrotto il codice dialettico di ogni dispositivo economico. La teo-logia negativa pertanto la scrittura in ritardo che per prima testimonia lAssolutamente altro in modo rispettoso, post-scriptum e prolegomeno, descrizione che giunge dopo ci che essa descrive e pertanto scrittura inaugurale 17 , e ha il compito di conservare sacro, salvo, intatto, inviolato il senza-nome di questa Terziet che apre nel Segreto. La negativit di questo discorso risuona nel compito di spoliazione incessante di ogni attributo che cerchi di ridurre lIdefinibile-Invisibile sotto il controllo economico del senso; unopera che ricalca specularmene quella che la Traccia di Dio-Terzo ha gi posto in azione nel sistema, inoculando in esso uninterruzione continua. In Salvo il nome Derrida coglieva lo slancio cui meglio si addiceva la modalit di questa particolare attenzione allEterogeneo: un desiderio infinito che deferenza, ad-Dio. Nellad-Dio, termine levinasiano, parlava gi lidea del de-ferimento a Dio come saluto ultimo, abbandono che lascia venire laltro in quanto tale. Derrida lo ripropone nella formulazione di Silesius: labbandono (Gelassenheit) la sola pratica che rispetta e dimostra ritegno per Colui che non si d mai in unintuizione; altro nome dellabbandono : desiderio. Il particolare a-teismo che da sempre ogni enunciato apofatico porta con s, la sua radicalit non lassenza ostinata di Dio o la sua semplice morte, ma a-teo-teleo-logia, ovvero desiderio profondo di Dio come inarrivabile alle teleologie dei mortali; morte di Dio come Ente supremo degli essenti e rivendicazione del suo Altrimenti che essere. Un desiderio, scrive Derrida, che rinuncia alla sua stessa spinta di raggiungimento del desideratum e in questo rinunciare denuncia lincombenza del Dio-Segreto come abisso, deserto, Nulla. Labdicazione alla matrice narcisistica del desiderio (che sarebbe sempre teso al godimento delloggetto anelato) prende corpo nellabnegazione allabbandono, inteso come slancio che si trattiene, che lascia venire (o nonvenire: questo essenziale nel pensiero derridiano dellevento) laltro/Altro (che sia umano o divino) nel suo modo senza modo, impossibile. Il post scriptum della teologia negativa desidera la distanza, di essa gode ed essa salvaguarda come massimo gesto damore per Dio/Altro.

17

J.DERRIDA, Salvo il nome, op. cit. p. 157.

In un testo del 1994, Politiche dellamicizia, Derrida offriva una definizione per questo singolare amore oltre il possesso dellamore e il senso dappartenenza della fratellanza. La disposizione del desiderio che abbandona, presentatosi in Salvo il Nome, detta aimance: al di l dellamicizia e dellamore, della decisione e della passione, dellattivit e della passivit 18 . Lad-dio dice, allora, la de-ferenza (il riferimento vuoto di significato) che fuggendo i nomi, dif-ferisce lEterogeneo sempre altrove.
Dimenticarlo nel chiamarlo, ricordando(se)lo. () Il linguaggio dellabnegazione o della rinuncia non negativo () esso denuncia ingiungendo, prescrive di debordare questa insufficienza, ordina: bisogna fare limpossibile, bisogna andare laddove non si pu andare. Passione del luogo, ancora. 19

Derrida riprende limmagine di Silesius quando questi paragonava gli enunciati apofatici a delle frecce che tenessero sotto tiro ci che non avrebbero mai potuto raggiungere: la teologia negativa un tendere verso il Nulla; si limita, al confine del linguaggio e come linguaggio, a denunciarne la trascendenza rinunciandovi nella dif-ferenza (dif-ferimento), restando ovvero nel desiderio, nelladdio. Derrida rileva nelle parole di Silesius la spinta a considerare la via negativa una sorta di via di verit che colga Dio non come donante una verit, o una ratio, bens come lo spazio della verit a-venire, il deserto dove un evento trovi spazio nella sua alterit. La teologia negativa sarebbe quindi per Derrida la marginalit sovversiva che, come vederemo tra poco, agita ogni fede determinabile, dogmatica. La kenosis che la via negativa esige come suo dinamismo essenziale ha forse una gittata messianica. Si tratta, per, di un messianismo che non lega con lidea di attesa storicamente necessaria di un Salvatore, che non una soteriologia: quell adesso che sfida il tempo dellanticipazione e fa il rispetto senza il quale non pu venire alcuna alterit radicale. La missione silesiana dell andare ove non possibile, verso limpossibile, per Derrida lunico modo di recarsi, di andare e di venire: chi si reca in un luogo che conosce, resta paralizzato nella indecisione dellan-evento 20 che segna ogni procedimento economico, in cui si calcola ci che dovr venire e in quale orizzonte di senso neutralizzare lim-pre-visto. Lautentico recarsi deve fare i conti con lindecicibile e limpossibile, al confine come linguaggio. un recarsi che abbandona, che cede allaltro, che lo lascia venire in un atteggiamento di indifferenza, insensibilit agli attributi di ci che viene, amando anche linvisibilt che custodisce linaccessibilit dellAltro. Arrendersi e rendere le armi senza disfatta, senza memoria n progetto di guerra () un amore senza gelosia che lascerebbe essere laltro; la resa di cui parla Derrida il modo di risposta dellabbandono alla Resistenza senza nome, lesercizio di ritegno che la teologia deve operare affinch laltro resti altro. Lincessante spinta della teologia negativa a debordare il linguaggio, ad abbandonare per salvare, pu prendere, per Derrida, le fattezze di una preghiera, che prega Dio non di provvedere con doni, ma di darsi lui stesso, di venire senza dare alcuna prova. Una preghiera che testimonia lamore, il desiderio, quello che Derrida chiama il Ti amo sempre in cammino 21 . Ecco che quellidea di pensiero peregrinale che era apparso nellopera di Sch rmann su Silesius, forse traduce con chiarezza il movente vitale della teologia negativa; un restare in viaggio verso lirragiungibile, lasciando aperto nellabbandono lo spazio ove lo si attende: il desiderio come luogo puro. Il desiderio di Dio, Dio come altro nome del desiderio tratta nel deserto con lateismo pi radicale- Ad ascoltarvi, si ha sempre di pi il sentimento che deserto laltro nome se non il luogo proprio del desiderio. () In questoscillazione la teologia negativa presa 22 . Lapofasi disegna, senza delimitare, il luogo desertico ove da sempre siamo gettati: la Traccia di Dio come luogo del desiderio, desiderio del deserto, desiderio nel deserto. Lateismo che sempre
J. DERRIDA, Politiques de lamiti, Galile, Paris 1994; trad. It. di G. Chiurazzi, Politiche dellamicizia, Cortina, Milano 1995, p. 16, nota 7. 19 J. DERRIDA, Salvo il nome, op. cit. pp. 151-152. 20 Ibi, p. 167. 21 Ibi, p.161. 22 Ibi, p. 171-172.
18

incombe nellidea desertica di Dio designa il pi forte slancio di questa fede del desiderio: errare, perdere Dio/Altro per lasciarlo venire, per rispettarlo nel suo senza. Nel luogo aporetico del deserto, luogo potenziale di tutte le vie perch privo di tracciati, confini, autorit nazionale, sita la terra di nessuno che lascia venire laltro/Altro. Labbandono il tributo di ritegno reso allImpossibile, o per chiamare ancora in causa Silesius, a Dio come il pi che impossibile ( berunm glichste). Dio per Derrida il nome di un crollo senza fondo, di questa desertificazione senza fine del linguaggio. Ma la traccia di questa operazione negativa si iscrive in, su e come levento 23 . Ma cosa intende Derrida per: passione del luogo? Nel deserto ha luogo una certa donazione del dar luogo. Si pu toccare trasversalmente la questione di questo luogo puro dellapertura e la passione irriducibile che in esso si consuma, se si richiama il profondo legame tra teo-logia negativa (nelle due accentazioni di Dionigi) e lidea di decostruzione. Derrida, riferendosi al discorso di Silesius sullidea di un iper, un al di l del possibile che Dio era come eterogeneit assoluta, scriveva: Questo pensiero sembra stranamente familiare allesperienza di ci che si chiama decostruzione. () , la decostruzione sovente stata definita come lesperienza stessa della possibilit (impossibile) dellimpossibile, del pi impossibile, condizione che essa divide con il dono, il si, il vengo, la decisione, la testimonianza, il segreto, etc.24 La teologia negativa decostruzione perch disloca il sistema teleologico di ogni ragione, di ogni arch. Il procedimento apofatico di de-ferenza porta la negativit come principio di autodistruzione al cuore di ogni tesi, 25 ma in Derrida si distingue sia dallepoch fenomenologica (di stampo husserliano) che dalla skepsis (linterruzione scettica). Infatti non si tratta di recuperare regressivamente un territorio da cui riguadagnare una nuova ragione del mondo e neppure di voler gettare discredito su ogni definizione di Dio-Assolutamente altro, di considerarle tutte egualmente vane, come avverrebbe in uno scetticismo. invece un processo di continua inquietudine interna al sistema onto-teo-logico; si pu praticarlo attivamente perch gi da sempre il sistema patisce la lussazione imposta dal Terzo, la faglia che lo frattura e gli impedisce di chiudersi, di risolversi dialetticamente (in senso hegeliano). Decostruire dice per Derrida il gesto dellaccellerazione di una dislocazione gi in opera nel sistema: la prova del fatto che il sistema stesso, la sua economia totalizzante e il suo movimento di sintesi sillogistica, impossibile. La teo-logia negativa traduce altrimenti la decostruzione. Nei modi in cui Derrida la definisce, grande sisma o tremore generale nel sistema, affiora lirruzione delleterogeneo (Dio) che non si lascia economizzare. La negativit della teo-logia, intesa nel senso del discorso di Dio agli uomini, nella agitazione senza origine, abissale, senza tempo di un Terzo-Traccia senza-nome che impone al soggetto-sistema la deposizione delle sue mire sul Tuttaltro che ogni altro ; Tout autre est Tout autre 26 (Ogni altro Tuttaltro). Presa invece nel senso di post-scriptum, di risposta ad-Dio, la teologia negativa decostruzione perch testimonia la de-strutturazione ad opera della Traccia e la mantiene salva, inviolata come linattuale che ad un tempo fonda e interrompe il sistema. La Traccia non si d mai alla presenza ma si dif-ferisce sempre a-venire e lascia uno spazio abissale e mai saturabile di interruzione, ove ogni avvenire trova spazio. Proprio la Traccia , per Derrida, condizione dellevento, di ci che deve ancora venire ma che resta impensabile e non preparabile. Il nome che sembra a Derrida figurare in qualche senso questo abisso, altro nome della Traccia/ Terzo/Dio/Assolutamente altro, : chora.

23 24

Ibi, p. 149. Ibi, p.137. 25 Ibi, p. 160. 26 J. DERRIDA, Donner la mort, Galile, Paris 1999; tr. it. di L. Berta, Donare la morte, introduzione di S.Petrosino, Jaca Book, Milano 2003.

3- Chora e messianicit a-priori: le piste possibili della teologia negativa. Leconomico tra due abissi La teologia apofatica, come de-ferenza che dif-ferisce lAltro assoluto e lo lascia a-venire nelladdio, ha il compito di lasciare aperto lo spiraglio per la venuta dellimpossibile (lAltro/altro come pi che impossibile). Derrida, perci, ereditava una certa idea di questa apertura pre-originaria testimoniata dalla decostruzione dal Timeo di Platone: chora pu essere colta come la prima pista della teologia negativa. In Chora 27 (1993), Derrida sottolineava lo statuto eccezionale della chora del Timeo: essa sfida la logica di non contraddizione dei filosofi e perci lidea di origine razionale in senso metafisico. Sul piano etimologico chora indicava lidea di luogo, contrada, spazio, ma in Platone viene ad assumere una portata inquietante: era intesa come terzo genere (triton ghenos). Per risolvere il problema del luogo della partecipazione tra le idee o ci che sempre senza generazione e le cose o ci che sempre diviene senza mai essere per la formazione del mondo, Platone postulava lesistenza di un terzo genere, ad un tempo eterno e informe come i paradigmi ideali, ma dotato di un certa materialit come gli oggetti empirici: la chora appunto, luogo neutro, intermedio e introvabile di un incontro tra i piani ontologici. Chora era anche la materia amorfa che resisteva alla volont di informazione che il demiurgo (la causa efficiente del mondo) cercava di perpetrare su di essa (causa materiale) per realizzare la creazione. Platone la coglieva quindi come ricettacolo di impronte, poich in essa conservava i calchi di imitazione delle idee, da cui le cose sarebbero state ricavate: ma chora si limitava ad ospitare, a ricevere senza prendere la forma di ci che in essa giungeva; era un luogo di donazione che restava vergine ad ogni trasformazione. Inoltre era introvabile poich situante (spazio che pone la legge della partecipazione degli opposti e resta immune alla legge che pone) ma mai situabile tramite confini o linee di demarcazione. Altro nome che Platone dava alla chora era genere difficile ed oscuro: vale a dire che questo spazio sfuggente non poteva essere tematizzato nel logos metafisico tradizionale per il fatto che nessun nome le si addiceva, che nessun significante realizzava lessenza del suo significato. Chora era causa del cosmo ma causa errante, che oltrepassava ogni possibilit di essere afferrata in una comprensione: senza logos, senza ragione, senza perch. Per questo, Platone indicava un possibile avvicinamento allidea del terzo genere in un discorso senza-padre, senza-origine o principium: un logismo notho, un discorso corrotto, bastardo, un discorso di sogno. Forse, una teologia negativa. Derrida, scavando nellopera di Platone, scova proprio nel concetto-senza concetto di chora, il primo luogo della filosofia occidentale in cui si sarebbe rivelata la decostruzione di una eccedenza indescrivibile nel dominio della metafisica; ci sarebbe una specie di ventriloquio che agita lontologia fin da Platone, un segreto che impone un tono generale di denegazione 28 . La logica binaria dei filosofi e il discorso razionale viene interrotto da questa origine introvabile, da questa faglia che divide e dona un campo dincontro e di confronto, che interrompe ogni soluzione del logos. Derrida la riformula quindi come lo spaziamento aperto dalla decostruzione del Terzo/Altro assoluto, la traccia cancellata che divarica (dif-ferisce: nel senso del fare differenza e del rimandare) lorigine e il sistema in unerranza continua, stravolta, che non torna mai a casa. Se la chora questo nome insensato che non n nome proprio (di persona, anche fosse una persona divina) n comune (di cosa), ed questo luogo impossibile dell impropriet, informe e inimmaginabile, essa deve essere avvicinata ancora allidea di abisso (lAbgrund di Eckhart e Silesius), di segreto, di deserto, di Niente (in Dionigi). Per Derrida il varco aperto dal Dio/Terzo: luogo particolare di donazione che non dona nulla ma che ha gi sempre decostruito la teleo-logia e aperto lav-venire. Lunico discorso trasversale, ultra-razionale che pu riferirsi obliquamente a questo deserto che Dio come chora, la via apofatica. Ogni logos metafisico subisce unimpasse linguistica nel tentativo di spiegarla: portando al di l della polarit del senso (metaforico o proprio) essa non
J. DERRIDA, Chora, Galile Paris 1993, ed. it. di G. Dalmasso e F. Garritano, Il segreto del nome. Chora, Passioni, Salvo il nome, Jaca Book, Milano 1997. 28 Ibi, p. 79.
27

apparterrebbe pi allorizzonte del senso, n del senso come senso dellessere 29 . Per Derrida, chora l anacronia dellessere, sussiste nellessere come resto anacronico, lo fa uscire dal tempo della presenza. La teologia negativa riesce a far risuonare lidea di questo spazio che non ha luogo, che non pu essere visto n pensato, un fuori genere che oltre-passa il discorso mitico oltre che quello logico: chora, come il Dio senza- essere, situa ma non circoscrivibile; linterruzione preoriginaria che ha spalancato ogni ordinamento metafisico. Detto altrimenti: labisso che si apre come differenza allorigine, la traccia acronica che trova la condizione del suo dar luogo nel fatto di non avere un luogo. Nella chora e come chora si annuncia leterogeneo, si inscrive la marca di un segreto che resta sempre impenetrabile: un segreto senza segreto. 30 Anche la declinazione platonica di causa errante riferita a chora riformulata da Derrida nei termini del fondo-senza fondo della differenza, che si annuncia senza dirsi, sempre differendosi, anteriore ad ogni schema atropo-teo-logico. Il luogo-senza luogo n nome che chora , come spaziamento che la via apofatica post-festum mantiene allopera, proprio il deserto in cui si pratica il particolare ateismo di Derrida; lapertura in cui si abbandona laltro/Altro al suo venire, lo si lascia venire senza condizioni. Chora dunque il deserto dellevento, lo spazio senza vie predisegnate, senza circuito che indirizzi un andare o un venire dellaltro gi previsto. Ogni altro pu avere luogo in questa piega, la sola che permetta di avanzare la possibilit, seppure problematica, di un certo pensiero dellevento fuori dallorbita delleconomico, una certa attesa senza atteso; lapertura allincondizionato che rinuncia alle proiezioni onto-teo-logiche e si lascia sorprendere dalla tonalit mostruosa dellevento. Per poter cogliere tutta la portata di uno spazio come la chora, bisogna pensarla come il luogo di una spettralit. La Traccia senza memoria di ci che non si lascia sintetizzare e che resiste alla totalizzazione del sistema (Dio come Altro dallessere) richiama, dallabisso della sua impensabilit non superabile, un altro abisso: quello della-venire. Il passato senza presente, torna nel modo spettrale come lAltro, leterogeneo linimmaginabile e imprevedibile che pu venire in qualunque momento dal futuro, in modo improvviso e fuori dallorizzonte di senso di un soggetto. La teleologia delleconomico che scandisce ogni metafisica resta tesa tra questi due abissi: il passato irrecuperabile di un traccia che la eccede-oltraggia e la-venire non anticipabile di ci che si sottrae alla sua ratio. Chora il luogo di un tempo dellim-possibile, che spettralmente minacci o prometta di tornare dal futuro. La seconda pista possibile che la teologia negativa sembrerebbe aprire una certa messianicit a-priori. Al fine di lanciare lallaccio problematico della chora e dellidea di messianicit a-priori come articolazioni nellinterruzione delleconomico tra i due abissi e indicare, nella loro apertura alla-venire, la potenzialit di liberazione dellimpensato delle categorie metafisiche (anche nel politico, giuridico, etico, economico), necessita la lettura della teologia negativa nei termini dellistanza che possa aprire una religiosit senza religione. Lapofasi dovr prendere corpo in una fede folle e non dogmatica che storna lassicurazione soteriologica insita in ogni religione e rende instabile la convinzione di un ordine storico vlto alla salvezza nel quale si conclude e si giustifica in forza di una ragione sufficiente. Si tratta di riassumere la teologia negativa come a-teo-teleologia: il punto di svolta che segna il superamento della prospettiva escatologica e perci economica , per Derrida, il passo che la nuova fede daddio compie al di l dellodierno ritorno del religioso. Il saggio Fede e Sapere 31 , Derrida affronta il rapporto di reciproca implicazione tra fede e sapere, religione e scienza: il ritorno del religioso si gioca nel luogo di questo legame apparentemente paradossale. La questione complessa e non pu essere approfondita in questa sede, ma pochi cenni possono essere funzionali a segnare i nodi da cui sorge una fede non assicurata, non garantita nelle sue aspettative finali da nessun principio di ragione.
29 30

Ibi, p. 50. Ibi, p.74. 31 J. DERRIDA, Fede e Sapere. le due fonti della religione ai limiti della semplice ragione, in La religione, a cura di J. Derrida e Gianni Vattimo, Laterza, Roma-Bari 1995.

Sebbene la religione si sia sempre schierata contro le diverse configurazioni storiche del male radicale, vale a dire contro le forme di morte di Dio che il sapere proponeva, invero, fin dal secolo dei Lumi, essa sempre stata legata al sapere e alla sua istanza de-sacralizzante. Levidenza di questo pre-originario coappartenersi si esplica nellepoca contemporanea. Per ritorno del religioso, oggi, si intende non il trionfo della fede sulle pretese del sapere, ma il nuovo compromesso tra le due sfere. Il termine religio richiama etimologicamente due significati precisi: da un lato indica lo scrupolo che raccoglie attorno ad un sacro (relegere), dallaltro invece indica il legame, lobbligo e lalleanza tra uomo e uomo o tra uomo e Dio (religare). Quella che Derrida perci chiama lellissi della religione ruota tra due fuochi: la credenza e la sacralit, o detto in altre parole: la componente del fiduciario e quella dellindenne. La seconda spinge ogni religione alla difesa di qualcosa di inviolabile, sacro, indenne (Heilig). La prima inserisce la religione in un gioco di responsabilit, nel senso del re-spondeo: la religione un atto di credenza col quale ognuno risponde con un moto di fiducia incondizionata alla testimonianza di una rivelazione che non si pu ripresentare ma deve essere creduta, appunto, al di l di ogni verifica. Il sapere, la scienza, si appoggia proprio a questultimo fuoco della religione per il fatto che il giuramento, il pegno, la fede giurata la radice di ogni responsabilit; nessun patto, seppure laico pu avvenire senza che colui che rivela un fatto chieda silenziosamente agli ascoltatori di prestargli fede e prometta in qualche modo di dire la verit. Ma ci che rende questo impegno fra uomo e uomo garantito, precisamente il richiamo implicito ad un Terzo, un testimone (si noti lassonanza in latino tra il termine terzo, terstis e il teste, testis) assoluto che assista alla contrazione del patto e alla responsabilit che questo mette in gioco: forse proprio un Dio. Da questo primo aspetto emerge gi la connessione essenziale che fa del fiduciario, origianalmente religioso, il fondo dintesa di ogni comunit scientifica e la ragione per cui la scienza, lungi dal cercare lestinzione della fede, la presuppone. Ma anche la religione necessita del sapere; nella misura in cui, nell ineliminabile spinta alla difesa dellindenne, essa si trova sempre radicata ad un sistema linguistico-politico che, pur trasformandosi nelle diverse identit nazionali, resta invariato nel fondo del suo attaccamento al luogo, alla razza, al sangue, alla terra. Il religioso si serve del sapere per salvare il suo recinto sacro dalla profanazione di nemici esterni. La questione risulta meglio centrata se si fa reagire il religioso con lo sviluppo odierno della ragione critica nella forma di quella che Derrida chiama la tele-tecno-scienza. La forma contemporanea di male radicale o di morte di Dio contro cui il religioso sembrerebbe schierarsi quello che pu essere definito un male dastrazione, poich ha a che fare con quei luoghi dastrazione che sono la macchina, la tecnica, la tecnoscenza e soprattutto la trascendenza tele-tecno-logica 32 . Rispetto a questa figura della de-sacralizzazione, la religione vive in un rapporto che Derrida definisce antagonismo reattivo e rilancio riaffermativo. Da un lato infatti la possibilit che il dispositivo tecnico offre di riprodurre allinfinito un evento e di verificare il dato, attenta alla singolarit non ripresentabile dellevento religioso, che deve salvarsi in una attestazione pura. In questo taglio prospettico il nuovo sapere sradica la religione dal suo ambito domestico, dal suo proprio e dalla dimora etnico-culturale perch la espropria dalle sue radici deportandola nello spaesamento anonimo della riproducibilit tecnica, che non appartiene a nessun regime culturale, storico, geografico. Dallaltro lato, per, tale astrazione mentre strappa la religione alle sue radici, ad un tempo la lega ancora di pi ad esse, fornendole infatti gli strumenti per la difesa della sua identit e per lallargamento del suo spazio vitale contro attacchi o contaminazioni del fuori. La religione presuppone la tele-tecno-scienza, il male radicale che la minaccia, come condizione dellindennit e dellespansione del suo idioma (linguistico e non solo). Questa manovra di collusione tra sapere (che presuppone il fiduciario-religioso) e fede (che si lega al suo opposto per difendere la sua identit) un moto economico. La religione vive la morte di Dio nella riproduzione dellevento come tassa della sua indennit. Detto in altre parole, il religioso trionfa in senso imperialistico mentre si auto-annienta. Questo apre il meccanismo di immunit
32

Ibi, p. 4.

autoimmune, che spinge il religioso a proteggersi da ci che la protegge (cio dalla tecnica) e genera in essa un corto circuito: il sapere, la macchinalit della riproduzione dellevento inocula nel religioso una certa spettralit. Lo spettro colui che non n morto n vivo ma resta nella consistenza inquietante di qualcosa che ritorna di continuo dallabisso di un temporalit non lineare o teleologica: un revenant, un ritornante, come nella traduzione francese. Per Derrida la religione, come imperativo che ingiunge di mantenere intatto e inviolato il vivente, davanti a cui fermarsi in un ritegno, in un gesto di riserva e scrupolo (Verhaltenheit, per riprendere il temine heideggeriano), abbandono, ha gi in s il meccanismo automatico della pulsione sacrificale: la vita non vale nulla, se non vale pi della vita 33 , la vita reca la testimonianza di uneccedenza, di una trascendenza infinita che vale pi di lei, che la oltrepassa e ne conferisce dignit sacrale. La figura del sacrificio umano nei grandi monoteismi storici (si pensi ad esempio alla storia di Abramo e Isacco) centrale alla comprensione di quel rispetto assoluto che si deve a lassolutamente altro (Dio, che reclama attenzione oltre le leggi delluomo) che traspare nel vivente, per cui il vivente pu essere sacrificato. Lattesa di ogni comunit religiosa (e perci politica) si decostruisce, secondo Derrida, perch precisamente nellintento di conservare la propria immunit, danneggia il principio di protezione di s, in vista di una sopravvivenza spettrale: si schiude alloltre s che avvenire imprevedibile. Il sacrificio del vivente contro se stesso si fa necessario per non ferire lAltro assoluto e lasciarlo venire intatto: proprio questo dispositivo meccanico che lancia la vita oltre la vita, nel suo spazio spettrale, laspetto del religioso liberato dalla macchina tele-tecno-scientifica. Per Derrida, il sapere, nel suo meccanismo di ripetizione spettrale dellevento, impedisce alla religione di diventare una provvidenza, uneconomia di salvezza, una soteriologia, un moto dattesa dellavvento risolutivo del Messia che segna la fine dei tempi. Non pu esserci avvenire senza lelemento della spettralit che decostruisce la dialettica teleologicamente orientata e apre a ci che viene-tornando sempre come lo spettro, ma ancora una volta in modo imprevedibile. Cos come nessun avvenire ha luogo fuori dalla ripetizione di una promessa di fiducia incondizionata, che ha gi anacronicamente detto s allignoto, attesa che non sa cosa attendere o attendersi, che non ha alcuna direzione n oggetto. Questa particolare condizione non messianica, nel senso che priva del sapere storico-teleologico, quella che Derrida definisce una messianicit senza messianismo, o anche messianismo a-priori: una attesa infinita che lascia venire ci che non si d alla presenza, leterogeneo che proprio perch senza origine n ragione, giunge spettralmente senza annunciarsi. La promessa traduce il compito di mantenere salvo la-venire, fuori da ogni controllo economico, di lasciare schiusa la possibilit dellimpossibile e allimpossibile. Il luogo della nuova connessione tra indenne e fiduciario che lasci salvo la-venire, per Derrida la testimonianza: in essa si promette la verit al di l di ogni prova, di ogni verifica. La mia fede (distinta dalla religione) deve credere alla testimonianza nellimpossibilit dellattestazione, come si crede ad un segreto. La nuova fede che Derrida suggerisce una follia dellattestazione pura che crede senza chiedere ragione o principio di ragione, fuori dal vedere e dal conoscere. Loltrepassamento delle due gestioni teleologiche: la garanzia di certezza del sapere tecnico che vuole il controllo dellimprevisto e la promessa di salvezza messianica della religione a cui legato, avviene nella decostruzione reciproca tra le due che d vita a una fede testimoniale disarmata. Derrida coglier nella e al di l della tradizione teologico- negativa lunica possibilit di una fede spettrale, che nella sua de-ferenza daddio lascia venire limpresentabile. La-teismo e la particolare morte di Dio da lui indicata nella decostruzione che la via negativa opera (una morte distinta dalle tentazioni che nel saggio segnala di Kant, Hegel, Heidegger), un uscita dalleconomia del sapere rassicurante (sia tecnico che religioso), un fede non dogmatica fuori dal paradigma abramico e cristiano, che rende ragione dellaltro senza tematizzarne lalterit, lo richiama come spettro, lo lascia venire rinunciando alla tentazione di anticiparlo e ricomprenderlo in un sistema chiuso.

33

Ibi, p. 56.

La decostruzione di Derrida, come altro nome della teologia-negativa sorge, secondo laffermazione di J. Caputo, nel punto in cui Dio non n morto n vivo, ma continua da sempre a vivere in una forma spettrale, sorge nel punto che si pu chiamare traccia di Dio: E avendo superato la morte di Dio sempliciter, egli ha svelato la struttura di quel certo essere religioso, di un certo essere sulle tracce di Dio, con o senza Dio () e ci costituisce ci che egli stesso ha chiamato una religione senza religione. 34 La religione senza religione, perci, segnala una nuova struttura dellessere religioso, che il mettersi sulle tracce di Dio, dellassolutamente altro a-venire, o dellavvenire come assolutamente altro; a prescindere dallesistenza di un Dio in senso metafisico. Il cammino di questa fede deve restare cieco e sordo: non sapere quando e se levento-altro avr luogo e procedere sul deserto ove nessuna strada sicura emerge. La Traccia anacronica, abissale dellAltro, che si cancella come differenza allorigine e si differisce sempre altrove, che mi chiama gi da sempre al post scriptum testimone di un ritardo insuperabile, mi lascia proseguire senza assicurazione (n assicurazione sulla vita,) nel rischio assoluto di perdita, di morte. una fede disperata: senza speranza di salvezza garantita, il cui tendere non ha ragione, n fine. Solo questa modalit a-teologica per in grado, per Derrida di lasciare lavvenire inviolato nella sua sorpresa. Si tratta di un escatologia a-priori: pensiero delle cose ultime senza un fine o una Fine, una fede che attende abbandonando il suo desideratum in un addio che lo ri-manda, lo re-invia sempre come ancora-da-venire. Affinch ci che viene sia salvo, deve restare sempre inimmaginabile, indicibile, fuori da ogni orizzonte di senso. Lassenza di orizzonte proprio la condizione essenziale dellevento, che deve esser lasciato venire senza condizioni della ragione. Derrida rileva una particolare razionalit alla base della nuova fede non dogmatica: la razionalit incondizionale, quella che non prevede levento ma lo lascia nella sua evenemenzialit imprevedibile. Se prevedo levento lo neutralizzo nella sua irruzione; devo perci liberare il campo da ogni telos e lasciarmi sorprendere da Colui/ci che viene: limpossibile, laneconomico, o anche il mostruoso perch senza precedente. Questa ratio, fuori dal principio di ragione e dalleconomia che lo guida, una ratio folle che ha a che fare con lincalcolabile, con ci che fuori dal sapere. Per questo Derrida coglie in questa ragione massimamente rischiosa il luogo della decisione pi responsabile; essa lavora nel campo dellindecidibile, quello che ospita levento. Le due piste di questa religiosit particolare, che si offre al rischio assoluto del ri-veniente in una ragione incondizionale, come puro gesto di salvaguardia delleterogeneo venivano indicate da Derrida proprio nel messianismo non messianico e nella chora. Il primo anche detto la struttura generale dellesperienza. Non dipende da alcuna rivelazione ma la situazione pre-originaria in cui ci si trova implicati: lessere esposti alla sorpresa assoluta, al rischio-risorsa dellaltro, in un apertura a-venire senza prefigurazione profetica, nellabisso dellavvenire. Ma tale messianicit strutturale la risposta ad un irruzione anarchica, all Ab-grund della Traccia non risalibile. Il messianico una decisione passiva del soggetto che risponde ad un Altro che lo precede, lincombenza insuperabile dello spettro dellAltro nellio. Leconomico e il teleologico restano sospesi tra due abissi, impediti da una temporalit anomala, da una sorta di lacerazione della storia intesa come processo dialettico: Nel bene e nel male, senza alcuna garanzia n orizzonte antropoteologico. Senza questo deserto nel deserto, non ci sarebbe atto di fede, () n rapporto con la singolarit dellaltro. 35 Latto di fede negativo lascia venire senza veder venire, esce dalleconomia perch non d disposizioni; come risposta allaccecamento originario della Traccia abissale e spettrale dellaltro assoluto, ricalca il movimento di una erranza nel deserto. Deserto pu essere anche laltro nome della seconda pista di questa fede non dogmatica in cui Derrida sembra rielaborare il pensiero apofatico tradizionale: chora, presupposto di ogni istanza teologica e antropologica. Nella sua piega introvabile e senza luogo, spaziatura aperta in ogni sistema, possibile un pensiero di ci che al di l dellessere, del senso, della ragione: lAltro dellavvenire. Solo la chora il luogo di donazione per definizione: poich essa non ha forma e non
34 35

J. CAPUTO, Dlier la langue, in Cahier de lHerne, 2004 (numero 83), numero speciale dedicato a J. Derrida, p. 69. Ibi, p. 21.

imprime forma n si lascia informare, ma riceve le impronte senza lasciarsi intaccare, non pu donare nulla perch non ha nulla; lunica cosa che in essa si d, proprio nella modalit di slancio del messianismo a-priori, donare il tempo, nel senso del lasciar venire laltro senza anticiparlo, differire leterogeneo continuamente, serbandolo nella sua spettralit. La riflessione che Derrida dedicava alla questione del dono e allimpossibilit che ne costituisce linessenza, in Donare il tempo 36 , indicativa per il modo in cui in chora si dona. Il dono la stessa figura dellimpossibile perch eccede leconomia, lo scambio e la distribuzione. Se immaginiamo leconomia come un dinamismo che si muove strutturalmente sul binario di un tempo circolare, che ha il proprio destino gi annunciato alla partenza, che esce da s solo per poi ritornare al proprio della dimora (alla stregua di Ulisse che si allontana solo in vista di un rimpatrio) il dono sospende il calcolo economico, la circolazione e la simmetria che lo costituisce. Apre la necessit di un nonritorno del donato del dono al donante. Il tempo del ritorno lacerato dal dono che per sua essenza incalcolabile, smisurato; non ricambiabile, non un presente (present il termine inglese che segna il dono) e si annulla se laltro lo percepisce. Derrida segnala un vero oblio del dono alla radice del circolo economico: il dono non un nulla, ma una traccia anarchica che fa partire il ciclo economico e lo interrompe. Metafora del dono infatti la cenere che non si lascia toccare e definire ma traccia una traccia non lasciando alcuna traccia. 37 Il debordare del dono rispetto alla ragione dato infatti dalla dismisura della traccia, che sbiadisce i bordi chiusi del sistema; imprevedibile, come levento un resto senza memoria, al di l dellessere, il segreto di cui non si pu parlare, ma che non si pu pi tacere. 38 La chora, dunque, resta un luogo di donazione pre-originaria poich spazio aperto in quanto Traccia che decostruisce, apertura allevento im-possibile a-venire perch dona il tempo dellavvenire. Nella deferenza della fede non dogmatica che salva laltro nel lasciarlo venire senza condizioni, il ciclo economico si spezza in un attesa infinita e pericolosa, in una esigenza di differimento che rilancia sempre quellinattuale del sistema da venire. Nella chora , ad esempio lo spazio che dona il tempo di una democrazia a-venire, di una giustizia a-venire, di una religione a-venire, dove la a di a-venire declina verso lingiunzione cos come verso lattesa messianica, la a disgiuntiva di una differance. () occorre il tempo, occorre che si doni, la democrazia, il tempo che non c 39 . Derrida pensa dunque alla chora anche come lalcova che d luogo e tempo per la liberazione di ogni impensato. interessante anche la questione se una riformulazione delle categorie del politico o delletico non debba passare per una messianicit apriori; altrimenti detto, se la democrazia a-venire si leghi a qualche teologhema inconfessato. 40 La deferenza della via negativa, nella forma di una religiosit senza religione che supera leconomico della soteriologia delle religioni dogmatiche, si volge a richiamare un certo Dio senza sovranit, la cui venuta la cosa meno sicura si possa pensare. Derrida definisce questa fede: ipercritica perch si affida alla razionalit folle e incondizionata, al di qua del principio di ragione, abbandona attivamente lassolutamente altro fuori dallessere e lascia spazio ad un Dio vulnerabile, sempre a-venire e lontano dal poter esser definito Dominus, legislatore- garanteprovvidente o principio economico che giustifica e ordina lessente. Il movimento decostruttivo che anima il pensiero di Derrida, nella sua rinominazione in una certa teo-logia negativa, dunque la testimonianza di una persistenza: quella di un intrattabile (Traccia/Dio/Altro) che rompe i timpani alla filosofia e la costringe a vivere della sua vertigine e a lasciarsi agitare dalla-dogmaticit di un impensato. Leconomico principio di ragione della metafisica non pu che cedere a questa Eccedenza e il logos dellonto-teo-logia resta marcato da un
J. DERRIDA, Donner le temps, Galile, Paris 1991; ed. it. a cura di G. Berto, Donare il tempo. La moneta falsa, Raffaello Cortina, Milano 1996. 37 J. DERRIDA, Feu la cendre, ed. it. Ci che resta del fuoco, Sansoni editore, Firenze 1984. 38 J. DERRIDA, Donare il tempo, p. 148. 39 J. DERRIDA, Voyous. Deux essais sur la raison, Galile, Paris 2003 ; ed. it. a cura di L. Odello, Stati canaglia. Due saggi sulla ragione, Raffaello cortina, Milano 2003, p. 157. 40 Ibi.
36

Fuori-senso che spezza il tempo dialettico nel deserto. Lunico modo di far vibrare questo Ni-ente acronico e a-venire si affiderebbe a una sorta di dialettica negativa infinita.

Potrebbero piacerti anche