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RELATORE:
Prof. Maurizio Vernassa
CANDIDATO
Chiara Cabras
Introduzione p. 4
Capitolo I
Afghanistan: aspetti storici e geografici
1.1 Afghanistan: presentazione paese p. 7
1.1 1 Città importanti p. 10
1.1 2 Le principali etnie afghane p. 13
1.2 Cenni storici: l'Afghanistan prima della guerra p. 16
1.2 1 L'invasione sovietica e la reazione statunitense p. 19
1.3 La guerra civile afghana p. 23
1.3 1 Le fazioni e i principali esponenti p. 23
1.3 2 Avvenimenti p. 24
1.4 L'Afghanistan sotto i talebani p.25
1.5 L'Afghanistan e il terrorismo p.28
1.6 Enduring Freedom p. 30
1.6 1 Il processo di ricostruzione p. 32
Capitolo II
L'Afghanistan interno: Costituzioni, riforme sociali e ruolo
della comunità internazionale
2.1 Brevi cenni sull'economia afghana p. 34
2.2 Aspetti costituzionali e sociali del periodo monarchico p. 36
e repubblicano
2.2 1 La Costituzione del 1964 p. 36
2.2 2 Il declino della storia p. 38
2.2 3 Uno sguardo alla Costituzione del 1977 p. 40
2.3 Dal 1978 al 1979: preludio all'invasione sovietica p. 41
2.4 Le riforme sociali sotto Karmal e Najibullah p. 44
2. 4 1 Le Costituzioni del 1986 e del 1990 p. 47
1
2.5 I mujaheddin e i talebani p. 49
2.6 L'Afghanistan e il nuovo ruolo della comunità p. 51
internazionale
2.6 1 L'ISAF e il contributo dell'Italia p. 54
2.7 La Costituzione del 2004 p. 55
Capitolo III
Tra torture e aiuti umanitari: le condizioni di vita della
popolazione
3.1 Introduzione: l'Afghanistan e la sua «epoca dell'oro» p. 58
3.2 Il periodo comunista e le Costituzioni non rispettate p. 60
3.2 1 Gli arresti avvenuti dopo il colpo di stato p. 60
3.2 2 Il trauma dovuto alla guerra p. 62
3. 2 3 Il KHAD sotto Karma e Najibullah p. 65
3.3 I mujaheddin prima e il Fronte unito poi: i diritti p. 68
umani negati
3.4 Condizioni di vita sotto i talebani p. 70
3.5 I problemi del nuovo millennio p. 75
3.6 Dalla parte del popolo: il ruolo delle organizzazioni p.78
umanitarie
3.6 1 Il contributo dell'Italia in ambito sanitario: Gino p. 81
Strada e la fondazione di Emergency
Capitolo IV
I profughi e i rifugiati: una piaga nell'Afghanistan lacerato dai
conflitti
4.1 Rifugiati, profughi, sfollati: differenze p. 83
4.2 Tra profughi e rifugiati: storia e numeri dell'esodo p. 85
afghano
4.3 Tra accoglienza e rimpatrio: la vita nei paesi ospiti p. 90
4.3 1 Pakistan: terra di confine p. 90
4.3 2 Come ospiti indesiderati: l'Iran e le controversie p. 94
2
4.3 3 L'accoglienza negli Stati Uniti e in Italia p. 97
4.4 I campi profughi p. 99
4.4 1 Definizione di campo profugo p. 99
4.4 2 Principali campi profughi p. 100
4.4 3 Condizioni di vita al loro interno p. 103
Capitolo V
Storia delle donne afghane: la parte debole dei conflitti
5.1 Nascere donna in Afghanistan: introduzione p. 106
5.2 Le donne durante il regno di Zahir Shah e sotto p. 110
Daud
5. 3 Le donna durante la Repubblica Democratica p. 113
dell'Afghanistan
5.4 Il cambiamento durante il regime comunista p. 115
5.5 Donne e guerra civile: quando la situazione p. 118
precipitò
5.5 1 I crimini commessi durante la guerra civile p. 121
5.6 Donne rese invisibili dai decreti religiosi p. 123
5.6 1 Conseguenze negative dei decreti talebani p. 126
5.7 Dopo il burqa: inizio dell'era Karzai p. 128
5.7 1 Progressi? p. 130
Bibliografia p. 138
Linkografia p. 142
3
INTRODUZIONE
4
1979) e ancora l'invasione comunista che in breve tempo si tramutò in
una guerra che durò otto anni, il regime di Najibullah tra il 1989 e il
1992, la già citata guerra civile che vide la contrapposizione tra i
principali mujaheddin e tra il 1996 e il 2001 il regime dei talebani.
Infine l'Enduring Freedom e il processo di ricostruzione economica e
politica attuato ad opera della comunità internazionale. In questo
capitolo ho preso in prestito alcune citazioni del libro "Mille Splendidi
Soli" di uno miei scrittori preferiti, l'afghano Khaled Hossein.
Il secondo capitolo è un approfondimento del primo e tratta aspetti
economici e giuridici nel periodo compreso tra il 1964 e il 2010, anno
seguente all'elezione del secondo mandato di Hamid Karzai. Dopo
una breve introduzione all'economia afghana verranno esaminate le
varie Costituzioni che sono state promulgate nel corso degli anni, le
riforme sociali emanate dai vari governi e regimi che si sono
susseguiti e verso la fine del capitolo verrà fatto un accenno al ruolo
della comunità internazionale, indispensabile nel processo di
ricostruzione economica e politica dell'Afghanistan.
Il terzo capitolo entra nel vivo dell'obiettivo, ossia quello di descrivere
le condizioni di vita della popolazione afghana. Si potrà notare una
sorta di spartiacque che ha come data il 1973, un anno da cui gli
eventi cominciarono a cambiare (precipitando qualche anno dopo nel
1978). Si analizzeranno i vari arresti, le sparizioni e le torture subite
durante più di trent'anni di guerra. Utile nel lavoro è stata la ricerca
delle varie sezioni dell'organizzazione internazionale Amnesty
International, indispensabile nel ricostruire i processi, grazie alle
testimonianze, che hanno determinato il cambiamento.
Il quarto lavoro è dedicato ai profughi e ai rifugiati. Qualsiasi guerra
comporta un esodo massiccio di disperati che fuggono dal proprio
paese e l'Afghanistan non è stato esente da questo fatto. Ci sono stati
vari profughi, rifugiati e sfollati che hanno lasciato le proprie case, la
propria terra per sfuggire a un simile destino. I principali paesi di
accoglienza sono stati l'Iran e il Pakistan, paesi confinanti, ma anche
5
gli Stati Uniti hanno visto un numero straordinario di rifugiati afghani
e infine l'Italia, seppur in un numero molto ridotto. Infine uno sguardo
ai campi profughi. In questo caso mi sono stati utili gli archivi
dell'Alto Commissariato per i rifugiati (UNHCR).
Infine l'ultima parte del lavoro sarà dedicata alle donne afghane,
vittime dei conflitti e vittime deboli in un paese come l'Afghanistan.
Le donne di questo paese molto tempo fa vivevano una storia
completamente diversa, la quale è cambiata in seguito al precipitare
degli eventi. L'apice dell'insuccesso è stato raggiunto durante il
regime dei talebani, con donne private della propria dignità, di un
lavoro e dell'istruzione. La situazione potrà migliorare solo con il
continuo aiuto da parte della comunità internazionale.
6
PRIMO CAPITOLO.
AFGHANISTAN: ASPETTI GEOGRAFICI E STORICI
7
distruzione del paese è bene partire con una descrizione fisica del
territorio.
L'Afghanistan è uno stato totalmente continentale, privo di sbocchi sul
mare e per questo motivo dipendente dal vicino Pakistan, dove lo
sbocco marittimo più vicino è il porto di Karachi 2, la città più
popolosa del Pakistan situata a sud del paese, sul Mar Arabico; inoltre
il territorio afghano è prevalentemente montuoso e al suo interno è
caratterizzato da ampie zone desertiche che rendono difficile la
circolazione. Il territorio montano giustifica uno dei principali
significati del nome, infatti il termine Afghanistan significa «terra di
montanari»3. Questo paese confina con diversi stati asiatici: a Nord
con le ex repubbliche socialiste sovietiche ossia Turkmenistan,
Uzbekistan e Tagikistan, a Est è collegato per una brevissima striscia
di terra con la Cina dal corridoio del Wakhan, il cosiddetto «l'osso
della bistecca»4, come viene definito a causa della sua forma; a Sud-
Est invece confina con il Pakistan e a Ovest con l'Iran. I vari confini
sono segnati dai rilievi montuosi, il più importante dei quali è l'Hindu
Kush, che si propaga dal Pakistan fino all'Iran, fino a toccare per un
pezzo anche la Cina. Il nome Hindu Kush significa «assassino di
Indiani» in cui kush sta per assassino e Hindu per indiani5, una catena
montuosa che da una parte ha dato vita a un'eterogeneità di popoli, usi
e culture diverse, ma dall'altra parte, in ogni tempo ha mietuto delle
vittime che si sono avventurate lungo il suo percorso (e da qui il suo
nome). Questo rilievo è uno dei più alti di tutta l'Asia e arriva a
toccare vette di 7000 metri nella parte orientale, mentre proseguendo
verso sud e verso la parte centrale di Kabul le alture decrescono: una
8
di queste vette è il Noshaq, sotto il corridoio del Wakhan e al confine
con il Pakistan, che supera i 7000 metri di altitudine. Altri rilievi sono
l'altopiano del Pamir, «la parte più selvaggia e inaccessibile del
paese»6 al confine con la Cina, mentre proseguendo verso occidente e
nella parte centrale del paese le alture si diradano fino a toccare i 5143
metri di altitudine: in questa zona la montagna più alta prende il nome
di Kuhi-i-Baba, il «nonno delle montagne»7 definito come «un
massiccio dalle cime scistose, piramidali»8. Nella parte meridionale vi
è alternanza tra steppa e deserto, in particolar modo c'è un'ampia zona
desertica, il Rigistan, una distesa di sabbia dove nel corso nel tempo si
sono stanziate varie tribù nomadi al confine con il Pakistan, mentre al
confine con l'Iran vi è il Dash-i Margo, il Deserto della Morte «il
quale rende la vita dell'uomo molto difficile a causa delle sue paludi» 9.
Sempre al confine con l'Iran ci sono sprazzi di zone pianeggianti,
mentre sono ancora più sporadiche nella zona settentrionale al confine
con Turkmenistan e Uzbekistan. L'alternanza di zone montagnose e
desertiche, oltre a rendere il territorio profondamente affascinante e
ricco di paesaggi spettacolari, influenza pure il clima, rendendo questa
terra in generale quasi sempre asciutta, fredda in inverno e molto calda
in estate, anche se ovviamente le diverse condizioni climatiche
variano da regione a regione. Solo i venti uniformano il territorio in
quanto «non hanno né costanza, né intensità a causa della chiusura
montagnosa del paese»10.
Dal punto di vista idrografico non ci sono molti fiumi e i pochi che si
trovano sul territorio non sono ricchi d'acqua e hanno causato
numerose siccità in passato. I principali comunque sono tre: a nord
l'Amu Darya, uno dei fiumi più lunghi dell'Asia Centrale, che segna il
confine con l'Uzbekistan e con il Tagikistan 11; altri fiumi minori sono
6 Il mondo: continenti, popoli e nazioni, op. cit., p.182.
7 P. Clammer, Afghanistan, Torino, EDT, 2008, p. 111.
8 Enciclopedia Geografia, Africa Centrale e Meridionale, Milano, Corriere della
Sera, 2005, p. 320.
9 Il mondo: Continenti, popoli e nazioni, op. cit., p. 182.
10 Enciclopedia Geografica, op. cit, p. 320.
11 N. Hatch Dupree, An Historical Guide to Afghanistan, Tokyo, Afghan Air
Autorithy Tourist Organization, 1977, p.14.
9
il Kabul, che si getta nell'Indo, in Pakistan e infine l'Helmand, il
maggiore fiume afghano lungo 1400 km che nasce dai monti
dell'Hindu Kush.
10
Kabul concentra una parte consistente della vita economica afghana.
Si parla di attività a carattere artigianale, come oggetti in cuoio o
pietre preziose e annovera industrie nel settore alimentare, meccanico
e tessile14.
Herat, nella parte occidentale, la «perla del Korassan15», grazie alle
sue opere storiche definita come «la città più afghana di ogni altra
afghana, posta verso il tramonto il cui riverbero sul deserto non
manca, ogni giorno, d'arrossare le sue antiche bellezze» 16. Fondata da
Alessandro Magno tra il III e il II millennio a. C, è stata la città più
importante del mondo islamico e anche la più importante dal punto di
vista artistico, letterario e poetico, per le sue importanti moschee e
architetture regali. Oggi gran parte di quelle antiche e preziose
testimonianze non ci sono più, sono state distrutte dalla guerra e oggi
la città è tristemente nota per le sue basi militari, compresa quella
italiana. Nella città c'è un attivo mercato agricolo con industrie
alimentari, ma sopratutto di preziosi tappetti17.
Bamiyan, situata nella valle omonima e nella regione dell'Hazarajat, si
trova nel centro del paese e dista circa 700 km da Herat. Viene definita
la «Valle degli Dei»18, grazie alla sua fertilità che da una parte la rende
unica nel suo genere mentre dall'altra le consente di coltivare frutta,
ortaggi e consentire alla sua popolazione di sopravvivere. Conosciuta
per essere stata la città del più grande centro di diffusione dell'impero
buddista e per la costruzione dei due famosi Buddha scavati nella
roccia, che hanno permesso alla regione di diventare il principale
centro turistico del paese19 e meta del pellegrinaggio buddista. I
Buddha era alti uno alto 53 metri e l'altro 35 e sono stati distrutti dai
talebani nel 2001. Oggi la città è isolata e in via di ricostruzione, ma in
passato è stata anche un importante stazione di transito della Via della
14 Enciclopedia geografica, op. cit., p. 327.
15 Korassan o Khorasan era un'antica regione situata nella parte meridionale
dell'Iran, la più vasta fino al settembre del 2004 quando venne suddivisa in diverse
parti
16 M. Guerrini, Afghanistan, Passato e presente, cit., p. 28.
17 Enciclopedia geografica, op. cit, p. 327.
18 M. Guerrini, Afghanistan. Passato e presente, cit., p. 34.
19 P.Clammer, op cit., p. 112.
11
Seta, che ha raccolto migliaia di commercianti e viaggiatori.
Mazar-i-Sharif o semplicemente Mazar. Situata all'incirca a 100 km
dal confine uzbeko20. Chiamata la «città turchese», spicca per la
maestosa moschea azzurra situata al centro della piazza. Nella città
regna una leggenda propriamente afghana, ovvero che vi sia sepolto
Alì Ibn Abi Talib, nipote del profeta Muhammed e figlio di Fatima, la
figlia prediletta del Profeta. Si narra che nel 661 d.C dopo la fine della
fitna21, Ali fu ucciso ad al-Naiaf, nell'odierno Iraq e la notte seguente
la sepoltura, affinché la salma non fosse profanata dai suoi nemici, i
familiari di Alì la trafugarono, la posero su un cammello e la
lasciarono libera di andare finché Allah avesse fermato l'animale22. Si
narra anche che secoli dopo fu un uomo a trovare il corpo e a
riconoscere in esso le spoglie di Ali. Subito l'uomo andò dal sultano di
Balkh, il re della regione, ma questo non gli credette. La notte stessa il
sultano sognò Ali, che gli confermò che il corpo trovato era proprio il
suo. Fu così che il sultano decise di costruire la grande moschea
azzurra in suo onore23. Anch'essa è meta dei pellegrinaggi ed è pure
importante dal punto di vista sportivo: il famoso gioco buzkashi24 si
svolge in questa zona e nelle vicine aree settentrionali. Celebre anche
20 Ho come punto di riferimento Termez, una città situata nella parte meridionale
dell'Uzbekistan, indicata nelle mappe.
21 Il profeta Muhammad morì nel 632 d.C senza lasciare un successore, dando
origine a delle dispute su chi avrebbe dovuto prendere il suo posto. Alla fine venne
scelto Abu Bakr che regnò due anni, dal 632 al 634 d.C, dopodiché fu la volta del
suo successore Omar, che regnò fino al 644. Dopo Omar fu la volta di un
ricchissimo aristocratico, Othman il quale venne ucciso nel 656. Come successore
venne scelto Ali, il quale prese le distanze dall'omicidio, senza però condannare i
mandanti. Per questo motivo fu sospettato di aver pianificato l'omicidio e dunque
non riconosciuto come profeta. Da quel momento ebbe inizio la fitna , che può
essere tradotta come«guerra civile» e che condusse alla morte di Ali e
all'instaurazione della dinastia Omayyade, con capostipite Mu'awiya, un parente di
Othman. La fitna dunque creò una spaccatura nella comunità musulmana creando
una divisione tra sciiti (10% della popolazione musulmana) i quali riconoscono Ali
come legittimo successore di Maometto e i sunniti (rappresentanti il 90% della
popolazione musulmana) i quali invece riconoscono legittima successione degli
Omayyadi. Passim (M. Campanini, I SUNNITI, Bologna, Il Mulino, 2008, pp 16-
18).
22 M. Guerrini, Afghanistan passato e presente, cit., p. 51.
23 Ibidem.
24 Il buzkashi è un antico passatempo di origine mongola. In questo gioco i
contendenti, a cavallo, si disputano la carcassa di una capra allo scopo di gettarla per
primi in una fossa scavata sul terreno.
12
il Nauroz, il capodanno afghano, che si celebra il 21 marzo di ogni
anno25 e che raccoglie centinaia di migliaia di visitatori26. Mazar fin
dai tempi dell'invasione sovietica è stata utilizzata per le munizioni di
armi a causa della vicinanza con l'Unione Sovietica, poi devastata
dalla furia talebana. Tutt'oggi in questa città sfociano dei violenti
conflitti interni tra i signori della guerra per il controllo dell'oppio e
rivalità tra uzkebi e tagiki, due etnie afghane.
Kandahar, capoluogo dell'omonima provincia che vanta un «clima da
latitudine mediterranea»27, il che la rende la prima provincia per
miglior qualità di uva, ma fa si che sia anche un grande mercato
agricolo con la sua produzione di cereali, ortaggi e frutta secca 28.
Antica città fondata da Alessandro Magno, fu la prima capitale
afghana dopo l'unità nel 1747 e terra dei pashtun, l'etnia afghana più
numerosa e ancora terra dei talebani, i quali si impossessarono della
città negli anni Novanta, per poi estendersi nel resto del paese.
Infine ultima, ma non per importanza, la città di Jalalabad, chiamata la
«città delle cascate»29 e situata a poca distanza dal confine pakistano e
dal famoso passo Khyber, principale punto di accesso al subcontinente
indiano. Venne fondata dall'imperatore Akbar, uno dei più grandi della
dinastia Moghul e un tempo era la città dove la Corte di Kabul aveva
la propria residenza invernale30.
13
Shah Abdhali Durrani31, il primo del paese. Come ogni stato che si
rispetti vi sono varie leggende legate alla sua nascita e al suo nome,
leggende che poi chiariscono la complessità etnica di questo paese.
Situato appunto in una zona abbastanza vicina a diversi paesi dell'Asia
centrale e meridionale, tanto da fargli assumere l'appellativo di
«Crocevia dell'Asia»32, questa zona strategica ha reso l'Afghanistan
vittima da sempre di invasori stranieri, i quali hanno influenzato
profondamente la sua storia fino ai giorni nostri. Nonostante la
continua presenza di stranieri sul suo territorio, l'Afghanistan non è
mai stato colonizzato, grazie soprattutto alla tenacia dei suoi abitanti, i
quali non hanno esitato a ribellarsi e a difendere l'integrità del paese
con le armi e con il sangue. Ma nonostante la continua difesa del
paese e la conseguente lotta all'invasore, c'è da dire che gli abitanti
stessi hanno dato vita a lotte intestine per far valere la loro etnia
sconquassando il paese in varie guerre civili. A proposito sempre di
abitanti, le principali etnie del paese sono quattro: pashtun, tagiki,
uzbeki e hazara, oltre alle minoranze dei Turkmeni,dei Beluci e dei
Nuristani.
I pashtun sono l'etnia più numerosa del paese rappresentanti la metà
della popolazione afghana e per questo motivo una delle lingue
principali del paese è proprio il pashtun, affiancato al dari. Vivono
prevalentemente nelle zone meridionali e orientali, ma soprattutto
nella città di Kandahar. I pashtun sono sempre stati in lotta tra di loro,
ma si sono fatti valere per una propria identità e fierezza, e si
ritengono fortunati per avuto come capo tribù Ahmed Shah Durrani 33.
Qualche milione di essi pratica il nomadismo ed essi vengono definiti
kushi34. Quest'etnia ha un proprio codice morale, il cosiddetto
pashtunwali, una sorta di Costituzione che ha la precedenza sulle leggi
esterne e gestisce gli affari della tribù, definita come conservatrice e
31 Durrani o durr-i durran che deriva dalla parola Dur, che significa perla. Il
termine fu aggiunto in seguito alla proclamazione del nuovo stato afghano, quasi a
voler simboleggiare la fierezza di tutto questo.
32 Asia Enciclopedia e Dizionari, op.cit, p. 482.
33 N. Hatch Dupree, op. cit, p. 279.
34 Asia Enciclopedia e Dizionari, op. cit, p. 486.
14
feudale. Questo codice morale si basa su tre concetti fondamentali: il
siali (uguaglianza individuale); il nang (onore), sia per uomini che
per donne e melmastia (ospitalità), «offerta a tutti i visitatori senza
aspettarsi nulla in cambio, che può arrivare fino a offrire rifugio a un
criminale e rischiare la propria vita per un ospite» 35. Le decisioni che
riguardano tutto il gruppo vengono prese da un consiglio di anziani, la
jirga.
I tagiki, il secondo gruppo etnico di origine indoeuropea che vive nella
parte settentrionale del paese. Sono musulmani sunniti e hanno trovato
il loro condottiero in Ahmad Shah Massoud36, che liberò l'Afghanistan
dai sovietici e che verso la fine degli anni Novanta fondò “l'Alleanza
del Nord”. Sono dei popoli sedentari dediti all'agricoltura, al
commercio e all'artigianato37. Come i tagiki, anche gli uzbeki hanno
popolato ampie zone dell'Afghanistan settentrionale ma hanno anche
contribuito alla nascita di centri agricoli stabili. Hanno le
caratteristiche dei mongoli e parlano la lingua turca38.
Gli hazara, l'etnia meno rappresentata e più perseguitata del paese. Da
sempre descritti come una tribù orgogliosa e fiera, sono seminomadi
discendenti da Gensis Khan che poi si mescolarono con le popolazioni
locali39. Oggi popolano le valli dell'Hindu Kush e sono presenti in
maggioranza nella regione dell'Hazarajat. Vengono considerati come
l'etnia più perseguitata perché è in atto un genocidio nei loro confronti.
La prima persecuzione avvenne nel 1893, all'inizio del regno di Amir
Abdul Rahman40, quando gli hazara cominciarono a ribellarsi alla
violenza compiuta dal sovrano nei loro confronti. In quell'anno furono
uccisi molti uomini, mentre donne e bambini furono ridotti in
schiavitù. Con l'avvento dell'islamismo nella regione continuarono i
massacri a motivo della loro fede: da buddhisti erano diventati
35 P. Clammer, op. cit, p.36.
36 Veniva soprannominato «Il Leone del Panchir» in quanto combatteva
principalmente nella regione omonima che si trova a nord-est del paese.
37 E. Giunchi, Afghanistan. Storia e società nel cuore dell'Asia, Roma, Carocci,
2007, p. 25.
38 Asia Enciclopedia e Dizionari, op. cit, p. 503.
39 Ivi, p. 486.
40 M. Guerrini, AFGHANISTAN passato e presente, cit., p. 78.
15
musulmani sciiti, quindi la minoranza. Furono perseguitati duramente
durante il regime dei talebani, mentre cronache recenti ci hanno
parlato di un'altra strage avvenuta nei loro confronti: il 23 luglio del
2016, mentre manifestavano pacificamente a Kabul per richiedere la
conduzione di energia elettrica, due aspiranti suicida si sono fatti
saltare in aria, uccidendo 80 persone e ferendone più di 20041.
16
Questo partito qualche anno più tardi si divise in due raggruppamenti
ben distinti46: il Khalq (Popolo) guidata da Nur Mohammad Taraki, a
cui si aggiunse Hafizullah Amin in un secondo momento, e l'altra
corrente denominata Parcham (Lo Stendardo o Bandiera)47 guidata da
Babrak Karmal.
Nel 1973, più precisamente il 17 luglio 1973, Daud approfittò di una
breve vacanza di suo cugino, il sovrano Mohammed Daud Khan 48 che
si trovava in Italia per motivi di salute 49, assalì il palazzo reale e si
proclamò presidente della Repubblica. Era nata la Repubblica
Afghana che con un colpo di stato pose fine alla monarchia
costituzionale del sovrano che aveva governato nel paese per
quarant'anni. Daud instaurò nel paese un regime autoritario e in questo
modo i poteri finirono nelle sue mani, «reprimendo con violenza
chiunque gli si opponesse50». Daud non voleva che il suo paese
continuasse a dipendere economicamente e politicamente dall'Unione
Sovietica e decise in questo modo di allontanarsi. Il nuovo governo
afghano cercò di ridurre il numero dei consiglieri sovietici presenti nel
paese51 e, rivolgendosi agli Stati Uniti per ricevere assistenza
economica52, fece preoccupare Mosca. Per qualche anno la situazione
si mantenne stabile, nonostante l'emergere delle prime rivolte sociali
contro il presidente.
La situazione precipitò il 18 aprile del 1978, giorno in cui Mir Akbar
Khyber, un membro di spicco del Parcham, venne assassinato53. Da
quel giorno si intensificarono le manifestazioni di piazza contro Daud,
17
accusato di aver pianificato l'omicidio con la collaborazione degli
Stati Uniti, ma Daud si proclamò innocente e fece arrestare Taraki,
Karmal e Amin, anche se quest'ultimo venne scarcerato qualche ora
dopo54. Quest'ultimo, il 27 aprile dello stesso anno, effettuò un colpo
di stato che riuscì in poche ore. Daud venne «massacrato e ucciso55»
nel palazzo presidenziale insieme a tutta la sua famiglia e il 30 aprile
un consiglio rivoluzionario proclamò la Repubblica Democratica
dell'Afghanistan (da ora in poi DRA) riunendo i partiti del Parcham e
del Khalq56: Taraki e Karmal, che nel frattempo erano stati liberati,
vennero nominati rispettivamente presidente della Repubblica e
vicepresidente, mentre Amin venne nominato ministro degli Esteri.
Dopo qualche mese di calma, una volta ottenuto il potere, i leader dei
due partiti iniziarono ad avere dei problemi e si divisero nuovamente:
il Khalq di Taraki ebbe la meglio, mentre Karmal venne mandato in
Cecoslovacchia, dove venne nominato ambasciatore. Nel mentre il
paese fu scosso dalle ribellioni antigovernative dei mujaheddin, i
combattenti: la situazione peggiorò nel marzo del 1979, quando nella
città di Herat oltre una dozzina di consiglieri politici sovietici vennero
uccisi insieme alle loro mogli e figli57. Il loro scopo era stato quello di
portare nella città un programma di alfabetizzazione. La rivolta venne
sedata grazie al soccorso dei militari sovietici, anche se la situazione
era ormai al limite. Dinanzi a questa situazione insostenibile Taraki,
che si trovava a Mosca in visita ufficiale, fu convinto dai leader del
Politburo dapprima a riconciliarsi con il Parcham in modo da porre
fine alle ribellioni e successivamente a eliminare definitivamente
Amin, ma le cose non andarono secondo i piani poiché lo stesso
Taraki, tornato a Kabul, rimase vittima di una trappola che gli tese il
suo vice, il quale prese da solo il potere 58. Trovatosi in difficoltà Amin
18
chiese aiuto economico al Pakistan e all'Iran, ma da entrambi ricevette
una risposta negativa. A questo punto, rimasto solo, chiese aiuto ai
sovietici che decisero di intervenire: il 24 dicembre del 1979 circa
centomila uomini dell'Armata Rossa partirono dalla repubblica
sovietica centro-asiatica del Turkmenistan e giunsero in Afghanistan.
59 M. Hassan Kakar, Afghanistan. The Soviet Invasion and the Afghan Response,
1979-1982, Berkeley, University of California Press, 1995, p. 23.
60 Ivi, p. 64.
61 Capoluogo della provincia pakistana della North West Frontier Province. Era il
luogo di smistamento delle armi e la città dove cominciarono a cercare asilo politico
i primi afghani scappati dal paese.
62 J. B Amstutz, op. cit, p. 90.
19
insistenti e a seminare la morte dei soldati sovietici fu a quel punto
che Mosca decise di aumentare il numero dei propri soldati. Quella
che all'inizio si rivelò una semplice occupazione si trasformò in un
conflitto che durò per 8 anni.
Comunque non bisogna dimenticare che in quel periodo il mondo era
ancora diviso, infatti gli Stati Uniti non persero l'occasione di far
sentire la propria voce in questo drammatico momento. Già il
principale intervento del 197963 era stato visto come una minaccia, una
nuova forma di rappresentazione dell'aggressività sovietica. Il 14
gennaio del 1980 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con 104
voti a favore e 18 contrari64 condannò l'invasione, ma gli statunitensi
si fecero sentire anche individualmente: il presidente Jimmy Carter
enunciò la sua dottrina ai membri del Congresso e decise, onde
evitare un nuovo coinvolgimento militare, prima di appoggiare e poi
di sostenere finanziariamente i mujaheddin, e dare sostegno al
Pakistan, «territorio amico65», che dava rifugio ai mujaheddin. I
finanziamenti venivano gestiti tramite l'ISI, una branca dei servizi
dell'intelligence pakistana che addestrava i militari e gli stessi
combattenti e tutti questi aiuti furono necessari nell'indebolire i
sovietici.
Pochi giorni dopo l'enunciazione della dottrina Carter i dirigenti del
Partito Comunista dell'Unione Sovietica (da ora in poi PCUS),
preoccupati dell'intervento statunitense, fecero il punto della
situazione sovietica. Dopo aver analizzato i fatti decisero per una
maggiore assistenza alla DRA e maggiori aiuti militari. Dopo i primi
attacchi che erano stati rivolti prevalentemente alle città, i sovietici
iniziarono a perseguire i ribelli nascosti nelle montagne tra
l'Afghanistan e il Pakistan, guidati da Ahmad Shah Massoud 66. I
63 Il 1979 stesso per gli Stati Uniti era stato difficile, in quanto la Rivoluzione
Islamica nel vicino Iran aveva eliminato un regime favorevole agli Usa, destituendo
la monarchia e instaurando un nuovo governo guidato dall'ayatollah Ruhollah
Khomeyni.
64 J.B Duroselle, op. cit, p.707.
65 E. Giordana, Afghanistan. Il crocevia della guerra alle porte dell'Asia, Città di
Castello, Il Giro del Mondo, 2007, p. 21.
66 J. B Amstutz, op. cit, p. 134.
20
sovietici provarono a sconfiggerli, ma i loro mezzi militari non erano
adatti per quel tipo di terreno. Così tornarono nelle città, dove
attaccarono qualsiasi tipo di struttura e in seguito si addentrarono nelle
valli dove misero in atto una serie di sanguinose rivolte, molto spesso
vittoriose. I sovietici contemporaneamente iniziarono ad applicare la
tattica dei bombardamenti aerei, provocando sempre più numerosi
morti tra i civili afghani. Fu durante questo periodo che iniziò a
crescere il numero dei profughi afghani.
Già dopo un anno si pensò a una ritirata sovietica che però avrebbe
limitato il prestigio dell'Unione Sovietica e in piena Guerra Fredda
chiaramente avrebbe rafforzato la posizione statunitense, ma non si
poteva fare diversamente. Si pensò inoltre che un eventuale ritiro
potesse avvenire solo quando l'Unione Sovietica fosse stata
politicamente e militarmente molto forte, ma per il momento ancora
ciò non era possibile. Dopo un periodo di instabilità governativa, nel
1985, venne eletto l'ultimo segretario del PCUS, Michail Gorbačëv, il
quale si rese conto che l'Urss era «economicamente al collasso67».
Occorreva un cambiamento che portò nel suo paese alla nascita di due
parole d'ordine: perestrojka e glasnost68 e anche in Afghanistan le cose
cominciarono a cambiare, con un cambio di tattica e infiltrazione nelle
montagne per scovare le tane dei mujaheddin anche se in seguito si
rese conto che un ritiro sarebbe stato più che necessario. Nel 1986, in
occasione del XXVII Congresso del PCUS iniziò il lento rimpatrio
delle truppe sovietiche di stanza in Afghanistan: questa fu solo la
prima fase della fine dell'occupazione del paese, che si concluse tre
anni dopo.
Karmal intanto, fortemente indebolito in seguito all'invasione e agli
avvenimenti accaduti successivamente fu costretto a dimettersi da
presidente. Il 4 maggio del 1986, venne sostituito da Mohammed
Najibullah, un pashtun che per alcuni anni aveva diretto la polizia
67 M. Galeotti, AGHANISTAN, The Soviet Union's Last War, Londra, Frank Cass,
1995, p. 17.
68 Perestrojka (ristrutturazione) e glasnost (trasparenza).
21
segreta afghana (KHAD). Sotto Najibullah gli statunitensi
incrementarono i finanziamenti ai mujaheddin e li dotarono di missili
antiaerei in modo da sconfiggere definitivamente i sovietici. Questa
decisione spinse Gorbačëv ad annunciare la decisione del ritiro
definitivo, durante il vertice di Washington del 1987. Il 15 febbraio
del 1988, gli ultimi soldati sovietici abbandonarono definitivamente
l'Afghanistan.
Negli anni successivi Najibullah continuò a ricevere aiuti economici
dall'Unione Sovietica fino alla sua dissoluzione, avvenuta nel 1991.
Inoltre dotò il proprio governo di un esercito regolare che controllava
gran parte della capitale e che serviva a calmare gli attacchi dei
mujaheddin69, pronti a tutto pur di sconfiggere i comunisti.
A pochi mesi dal ritiro sovietico dunque il paese era nuovamente
diviso: da una parte gli stessi combattenti nascosti nelle montagne che
operavano con le armi e con i missili Stinger somministrati durante la
Guerra Fredda dagli statunitensi, e dall'altra parte il regime fantoccio
di Najibullah, che però operava secondo le tradizionali linee d'attacco.
I combattimenti continuarono per un intero anno e i primi mesi del
1992 i guerriglieri avanzarono fino alla linea del regime, a Kabul. Il
presidente decise di incrementare i rinforzi, ma senza l'aiuto
dell'Unione Sovietica, che era implosa nel dicembre del 199170, la fine
del presidente era vicina. Infatti il 25 aprile del 1992 le truppe di
resistenza e i loro rappresentanti mujaheddin conquistarono
l'Afghanistan ed entrarono definitivamente della capitale. Venne
proclamata la “Repubblica Islamica dell'Afghanistan” e formato il
legittimo governo di coalizione con Buharnuddin Rabbani presidente,
Guldubbin Hekmatyar primo ministro e Massoud Ministro della
Difesa. Il deposto presidente Najibullah si rifugiò in un complesso
delle Nazioni Unite, dove vi restò fino al 1996. Sembrava cominciata
una nuova fase positiva per il paese, in realtà questo non fu che l'inizio
69 A. Rasanayagam, Afghanistan: a modern history, London, Ib Tauris&Co, 2007, p.
129.
70 Nel dicembre del 1991 gli statunitensi cominciarono a disinteressarsi del paese.
Uno dei motivi del disimpegno statunitense fu la guerra del Golfo, in Kuwait.
22
della guerra civile nel paese.
23
sauditi e statunitensi negli anni Ottanta. Hekmatyar era uno studente
di ingegneria attivo nel movimento studentesco e fin dal momento
della sua nascita aveva raccolto numerosi adepti pasthtun. Negli anni
Novanta la sua fazione controllava il sud di Kabul e per poco non
assunse il controllo della città74. Un altro rappresentante pashtun fu
Abdul Rab Rasul Sayyaf della fazione Ittehad-i-Islami (Unione
Islamica per la libertà dell'Afghanistan) ed infine la fazione Hizb-e-
Wahdat (Partito dell'Unità) di Abdul Ali Mazari, un rappresentante
hazara con forti legami con l'Iran sciita.
1.3. 2 Avvenimenti.
74 Ivi, p. 95.
75 K. Hosseini, op. cit, p. 177.
24
stesso nelle case dei pashtun. Ma i combattenti principali, con i razzi,
avvenivano tra le forze di Massoud e quelle di Hekmatyar. I continui
lanci di razzi durarono per tutto il 1993. In tutto questo il generale
Dostoum cambiò nuovamente alleanze: ai primi di gennaio del 1994
passò dalla parte di Hekmatyar, sperando di avere una rappresentanza
nel governo ed insieme attaccarono le truppe di Massoud e di
Rabbani, «asserragliate nel Ministero della Difesa e nel palazzo
presidenziale76». La pacificazione sembrava molto lontana. Massoud
sostenne che questa si potesse raggiungere solo se si fosse smesso di
bombardare la capitale, mentre Rabbani, con una decisione che suscitò
critiche, affermò che voleva unire le sue forze con quelle di
Hekmatyar, perché solo in questo modo si sarebbe raggiunta la
stabilità. In ogni caso niente di tutto questo successe e la città continuò
a svuotarsi, con la popolazione che ancora una volta fuggiva dalle
proprie abitazioni.
Il 4 novembre del 1994, vicino a Kandahar, ci fu il sequestro di un
convoglio di autotreni pakistani, bloccato da un gruppo di comandanti
locali che chiesero come pedaggio denaro e una parte della merce. Il
giorno dopo gli autotreni vennero liberati ad opera dei talebani, un
nuovo gruppo emerso nel sud del paese. Da quel giorno i talebani si
impadronirono della città di Kandahar e iniziarono delle rivolte per
conquistare la capitale del paese. Ci riuscirono dopo due anni,
ponendo fine alla guerra civile e alla drammatica situazione che questa
aveva creato.
25
all'etnia pashtun, erano appoggiati dal vicino Pakistan, paese in cui
aveva vissuto la maggior parte di loro nei campi profughi 78 ed erano
guidati dal mullah Omar. Buona parte di essi aveva combattuto
l'Armata Rossa negli anni Ottanta, altri avevano lottato contro il
regime di Najibullah, un'altra parte ancora non aveva mai combattuto
contro i comunisti ed era composta da giovani studenti coranici
provenienti da centinaia di madrasse, le scuole di teologie islamiche79.
Il loro principale obiettivo «era quello di mettere fine alle attività dei
mujaheddin che stavano depredando la popolazione locale» 80 e di
porre fine alle violenze che questi avevano creato. Volevano riportare
l'ordine e la stabilità e cominciarono a emergere mentre ancora il
paese era distrutto dalla guerra.
L'escalation talebana iniziò dunque nel 1994 a Kandahar, la quale
divenne la loro capitale e dove fin da subito imposero le regole che
traevano origine dal loro programma, il quale consisteva
principalmente nel: «riportare la pace, disarmare la popolazione,
imporre la legge coranica e preservare l'integrità e il carattere islamico
dell'Afghanistan81». La comunità internazionale cominciò ad
esprimere i propri dubbi su questo nuovo movimento soprattutto per la
visione restrittiva che aveva delle donne e, in misura minore, degli
uomini. Alle donne venne impedito di lavorare, di studiare e vennero
obbligate a portare il burqa e fu loro severamente proibito di uscire di
casa senza un parente maschio. Agli uomini fu richiesto di farsi
crescere la barba e di pregare cinque volte al giorno.
Dopo aver conquistato Kandahar, nel 1995 puntarono verso la città di
Herat amministrata dall'allora governatore Ismail Khan, riuscendo a
conquistarla nel settembre dello stesso anno82. Il governatore dovette
arrendersi e lasciare la città e il paese. Alla fine di quell'anno
riuscirono a controllare ben dodici città su trentuno e in ogni città
78 W. Maley (Ed), Fundamentalist Reborn? Afghanistan and the taliban, London,
Hurst and Company London, 1998, p. 14.
79 A. Rashid, op. cit, p.17.
80 A. Rasanayagam, op. cit, p. 145.
81 A. Rashid, op. cit, p. 58.
82 W. Maley (Ed), op. cit, p. 100.
26
imponevano le loro regole, ma il loro obiettivo principale rimase
quello di conquistare Kabul: a poco a poco riuscirono ad avvicinarsi,
ma il governo legittimo Massoud-Rabbani combatté per difendere la
capitale. Sempre nel 1995 uccisero il leader hazara Mazari 83 ma questo
fatto aveva rappresentato, già prima di cominciare, la disfatta dei
talebani a Kabul, non fu mai perdonato dal popolo hazara e
sicuramente rappresentò una perdita di prestigio nei loro confronti e di
tutti coloro che li sostenevano. Nonostante questa disfatta non si
arresero e nel mentre conquistarono Jalalabad e altre città minori.
Il 26 settembre del 1996 riuscirono a conquistare Kabul dopo
estenuanti bombardamenti, nonostante la presa della capitale fosse
stata parecchio difficile, in quanto venne difesa fino allo stremo dalle
truppe del governo legittimo. Tra l'altro la caduta della capitale
rappresentò una disfatta per le truppe governative, in modo particolare
per il “leone del Panchir”, il quale si trovò costretto a una resa
temporanea. Si rifugiò al Nord, nella sua terra natale, ma continuò ad
opporsi ai talebani, sempre senza successo. Chiaramente la presa di
Kabul aveva rappresentato una disfatta anche per Hekmatyar e per
tutti coloro che avevano combattuto durante la guerra civile.
Il giorno dopo l'ingresso trionfale dei talebani nella capitale, il 27
settembre, essi compirono un grave gesto: dopo il rapimento e pesanti
torture uccisero Najibullah e suo fratello Shahpur Ahmadzi 84: i loro
corpi furono appesi a un lampione nella piazza della città, esposti in
modo che tutti potessero vedere quello che era successo. Questo fatto
portò all'immediata condanna da parte delle Nazioni Unite, ma i
talebani non si scoraggiarono in quanto l'obiettivo principale era stato
raggiunto: conquistare Kabul e riportare il potere nelle mani dei
pashtun.
Intanto nel nord del paese venne creato il “Fronte Islamico Unito per
la salvezza dell'Afghanistan”, conosciuto con il semplice nome di
83 A. Rashid, op. cit, p. 54.
84 Ora a Kabul comanda solo il Corano” in
http://archiviostorico.corriere.it/1996/settembre/28/Ora_Kabul_comanda_solo_Cora
no_co_0_96092812568.shtml
27
“Alleanza del Nord”, il cui leader era Massoud. Questo fronte nacque
principalmente per combattere i talebani e vide l'unione delle tre etnie:
tagiki, hazara e uzbeki85. Aveva il suo quartier generale in Mazar-I-
Sharif, dove vi furono dei violenti combattimenti contro il regime 86.
Nella città risiedevano persone di etnia hazara, le quali vennero
massacrate dai talebani a partire dall'8 agosto del 1998, giorno della
conquista della città, dando atto a un vero e proprio genocidio nei
confronti di questa popolazione. Un'altra città governata dagli hazara
fu Bamiyan, conquistata nel settembre del 1998, dopo la resa di alcuni
comandanti locali, questa volta senza massacri. Dal punto di vista
governativo, per tutto il resto dell'anno continuarono i bombardamenti
dell'Alleanza del Nord, nei confronti dei loro nemici e alla fine del
1998 i talebani avevano assunto il controllo dell'80 % del paese. Tra
l'altro il 1998 era stato un anno estremamente duro per gli afghani in
quanto nel mese di febbraio c'era stato un violento terremoto nel Nord
del paese. Mentre proseguirono gli scontri tra i talebani e il Fronte
Unito, la comunità internazionale iniziò a protestare più vivamente. La
conseguenza culminò con i talebani che espulsero tutti gli addetti delle
organizzazioni internazionali nelle aree da loro controllate.
28
costruendo con le sue finanze campi di addestramento dove
indottrinava i combattenti e aiutando il paese economicamente nella
ricostruzione di strade e gallerie. Cominciò a combattere per il jihad e
il terrorismo cominciò a prendere forma. Nel 1988 fondò al-Qaida (La
Base)89 e continuò a finanziare e ad ampliare i campi di addestramento
in Afghanistan e in Pakistan, reclutando i militari. Dopo il fallimento
sovietico nel 1989 Bin Laden dichiarò conclusa la sua missione in
Afghanistan e tornò in Arabia Saudita. Dopo una breve parentesi nel
suo paese natale e in Sudan (dove venne espulso), nel 1994 tornò in
Afghanistan per occuparsi dei suoi affari relativi al terrorismo
internazionale, proprio quando nel paese facevano la prima comparsa i
talebani, decidendo di fare dell'Afghanistan la principale base
operativa e consolidare proprio in questo paese al-Qaida, aiutato dal
mullah Omar. Bin Laden venne autorizzato ad aprire ulteriori campi di
addestramento e instaurò, in questo modo, buone relazioni con i
talebani. Il 7 agosto del 1998 fu l'autore di due attentati terroristici
avvenuti nelle ambasciate statunitensi in Africa Orientale,
precisamente a Nairobi, in Kenya e a Dar-es-Salaam in Tanzania, con
229 morti e oltre 4500 feriti90, perlopiù africani. Gli Stati Uniti, guidati
dall'allora presidente Clinton, chiesero ai talebani la consegna di
Osama Bin Laden, ma la richiesta non venne mai accolta. Egli
dichiarò in una fatwa (sentenza religiosa) che la sua missione era
quella di uccidere gli infedeli e i loro alleati: non era un dovere suo,
«ma di ogni musulmano che avrebbe dovuto e potuto farlo in qualsiasi
paese fosse stato possibile»91. Il nuovo presidente statunitense Bill
Clinton vide in queste parole una scusa per combattere. Si
cominciarono ad arrestare i comandanti dei campi di addestramento
afghani e pakistani e anche chi veniva sospettato di preparare attentati
terroristici.
Al di là della questione del terrorismo, un anno cruciale per
29
l'Afghanistan fu sicuramente il 2001, anno ricco di elementi
significativi: il 19 gennaio venne approvata la Risoluzione ONU
133392 contro l'Afghanistan, che prevedeva sanzioni contro il regime
talebano a causa dell'appoggio dato al terrorismo internazionale e
l'ospitalità concessa a Bin Laden. Le conseguenze di queste sanzioni
furono: «messa al bando delle loro armi, chiusura delle rappresentanze
internazionali e proibizioni dei voli fuori dal paese dalla compagnia di
bandiera Ariana93». A febbraio furono fatte saltare in aria con la
dinamite le millenarie statue dei Buddha di Bamiyan, causando grande
sconforto tra il popolo hazara e nuovamente sconcerto tra la comunità
internazionale. Dopo l'episodio drammatico delle statue dei Buddha,
Massoud fece un ultimo tentativo: si recò al Parlamento Europeo di
Strasburgo per ricevere aiuti e in particolar modo per mettere in
guardia le potenze occidentali dell'imminente pericolo. Massoud negli
ultimi anni aveva chiesto protezione alla comunità internazionale ed
era sfuggito varie volte agli attacchi di Osama Bin Laden che avevano
l'obiettivo di ucciderlo. A Massoud vennero promessi aiuti
internazionali, ma il 9 settembre Massoud venne ucciso da due
estremisti suicidi che, facendosi passare come giornalisti occidentali,
nascosero una bomba all'interno delle telecamere 94. Il nemico numero
uno di Bin Laden era saltato in aria e morto dopo qualche ora di
agonia. In questo modo uno dei pochi leader seriamente riconosciuto
dalla comunità internazionale era morto, ma la conclusione dell'era
talebana era anch'essa vicina.
1. 6 Enduring Freedom
30
New York, più un terzo che si schiantò contro il Pentagono
provocando quasi tremila vittime tra i civili e un numero imprecisato
di dispersi. Fin da subito fu grande la reazione internazionale e il
senso di solidarietà di cui giovarono gli Stati Uniti a partire da quel
giorno. Gli attentati furono organizzati per mano dei terroristi di Al-
Qaida e il piano di distruzione era partito proprio dall'Afghanistan che
ancora una volta fu protagonista di un nuova intrusione, questa volta
statunitense.
Il neo-presidente statunitense George Walker Bush dichiarò pochi
giorni dopo che sarebbe stata messa in atto una «guerra contro tutti
coloro che cercano di esportare il terrore e contro quei governi che li
appoggiano e li ospitano»95 e già alla fine di settembre del 2001
iniziarono i preparativi per la campagna militare in Afghanistan e
migliaia di soldati statunitensi e inglesi furono dislocati in Uzbekistan,
Tagikistan e Pakistan, con l'aggiunta delle forze speciali nelle aree
controllate dal Regno Unito per aiutare militarmente il “Fronte Unito”.
Il 7 ottobre ebbe inizio l'operazione Enduring Freedom che può essere
tradotta come “giustizia duratura”96 con diversi scopi: esportare nel
paese la democrazia, rovesciare il regime talebano e catturare i vertici
di al-Qaida. L'amministrazione Bush aveva ancora una volta chiesto
ai talebani di consegnare volontariamente Osama Bin Laden, ma
questi ancora una volta si erano rifiutati. Con questa operazione si è
realizzato in pochi mesi il rovesciamento del regime talebano, mentre
per la cattura dei principali terroristi ci è voluto più tempo e solo
parzialmente si è realizzato questo obiettivo, con la morte di Bin
Laden avvenuta nel maggio del 2011, del mullah Omar nell'aprile del
2013, mentre latita ancora Al-Zawairi, pediatra egiziano e un tempo
braccio destro di Osama Bin Laden.
Il 7 ottobre del 2001 dunque ebbero inizio i bombardamenti aerei della
coalizione guidata dagli Stati Uniti che permisero al “Fronte Unito” di
conquistare Mazar, Herat e Kabul, mentre a dicembre fu la volta di
31
Kandahar. Dopo i bombardamenti, i talebani si dispersero nelle
montagne o in Pakistan, ma continuarono a lanciare degli attacchi.
Sempre nel mese di ottobre l'amministrazione Bush pensò di sostituire
il regime talebano «con un governo che fosse rappresentativo di tutti i
segmenti della popolazione, in modo da dare una stabilità al paese e
per evitare che l'Afghanistan diventasse ancora una volta il santuario
degli jihadisti internazionali» e «per evitare di costituire un ulteriore
minaccia per gli interessi statunitensi97».
32
uomo scelto dalla comunità internazionale, Hamid Karzai, «un
pashtun anti-talebano98» Sotto di lui venne convocata una loya jirga a
Kabul che durò dal 11 al 19 giugno del 2002, inaugurata dall'ex
sovrano99 e che diede a Karzai il compito di presiedere il governo
transitorio. La transizione non sarebbe stata un caso isolato, ma per
aiutare meglio il paese in quest'opera venne creato l'ISAF
(International Security Assistence Force) con il mandato di assicurare
il mantenimento dell'ordine e della sicurezza del paese, una sorta di
missione di pace di cui ha fatto parte anche l'Italia. Nel 2004 venne
approvato un nuovo testo costituzionale, mentre nell'autunno dello
stato anno si tennero le elezioni libere presidenziali accompagnate da
una grande affluenza100. Contemporaneamente a queste fasi venne
avviato nel paese il processo di ricostruzione politica, completato il 18
settembre del 2009 con le elezioni provinciali e nomina dei relativi
rappresentanti101. La ricostruzione non è stata solo politica, ma anche
economica e sociale anche se per queste due fasi il processo è ancora
in corso e l'opera procede lentamente.
I talebani, subito dopo la loro disfatta, continuarono a farsi sentire
ostacolando i progetti di ricostruzione e destabilizzando il nuovo
assetto politico, creando problemi nel nuovo governo di Karzai prima,
poi quello di Ahmadzai e creando notevoli disagi al personale
umanitario impegnato nel ricostruire strade, ospedali e altro genere di
aiuti. Oggi continuano a esercitare nel sud e nel sud-est del paese, tra
la popolazione che non si riconosce nel nuovo governo tagiko e
destabilizzano il paese con attacchi suicidi. Oggi nel paese incombe la
minaccia dell'ISIS e il solito problema dei signori della guerra che
devastano una situazione già abbastanza precaria.
33
CAPITOLO SECONDO
34
durante la presa del potere migliorarono "leggermente" il settore
agricolo, ma con la loro caduta del 2001 le condizioni peggiorarono.
Fonti del 2005 elencarono tra i principali prodotti coltivabili i cereali,
la frutta, il cotone e il papavero da oppio 1, però prodotte in basse
quantità. Oggi l'Afghanistan è il leader mondiale della produzione di
oppio e vanta la percentuale del 90% della materia prima 2. Inoltre è il
maggiore produttore di cannabis indiana, da cui si ricavano altre due
droghe: l'hashish e la marijuana. Per quanto concerne il settore
secondario invece vi sono poche industrie che producono pochi generi
come scarpe, tessuti, sapone, anche se l'opera di ricostruzione ha fatto
respirare un po' il settore. Molto famosa è la produzione dei tappetti
afghani, che vengono anche esportati all'estero. L'energia elettrica è
poco distribuita, concentrata soprattutto nella capitale e tra le tante
infrastrutture fondamentali manca anche un sistema di fognature
decente. Infine il settore terziario è quasi nullo: l'economia afghana
non è rinomata per il turismo, nonostante le grandi opere d'arte e i
ritrovamenti archeologici recenti3: il rischio di attentati e di rapimenti,
in particolar modo nelle zone meridionali, è molto alto, tanto da far
scoraggiare eventuali visitatori che vorrebbero addentrarsi nella
regione. Recentemente nella capitale sono stati costruiti degli alberghi,
alcuni economici, altri lussusi come il "Kabul Serena Hotel", di
proprietà dell'Aga Khan4 Anche il commercio è difficoltoso: il
trasporto avviene solo su strada, visto che la rete ferroviaria è
praticamente inesistente (solo il 25%) e i paesi maggioramente
importatori sono i vicini Pakistan e Turkmenistan per l'importazione di
gas naturale e petrolio, mentre dall'Iran l'Afghanistan è dipendente per
35
l'importazione di combustibili. La fase di ricostruzione dopo la caduta
dei talebani ha migliorato la situazione, però è proceduta a rilento con
gli aiuti economici che sono arrivati a singhizzo.
Secondo i dati della Banca Mondiale aggiornati al settembre 2015 5,
oggi l'Afghanistan conta un Pil6 di 19.20 miliardi di dollari. La
situazione economica appare abbastanza critica, soprattutto se
confrontata con altre realtà economiche mondiali, ma concentrando la
nostra attenzione sull'Afghanistan, viene fuori che la sua linea
economica a partire dal 1973 è andata via via sempre più crescendo.
Questo perchè appunto vi sono stati degli aiuti internazionali, che
hanno aiuto il paese a "respirare" in questi anni.
36
in sostanza la piena libertà degli individui. Da sottolineare il fatto che
il testo costituzionale dava la preminenza alle leggi emanate dal
Parlamento, le quali non avrebbero dovuto violare i principi
fondamentali dell'Islam, la sacra religione del paese.
La Costituzione del 1964 era composta dal Preambolo più dodici
Titoli per un totale di 128 articoli. Il Titolo primo era dedicato alla
figura dello Stato, il quale al primo articolo definiva l'Afghanistan una
Monarchia Costituzione «indipendente, unitaria e indivisibile».
L'articolo due focalizzava l'attenzione sull'Islam, definita la religione
di stato, mentre gli altri articoli si basavano su aspetti generali della
Nazione, come le lingue e la suddivisione delle varie etnie. Il Titolo
due era dedicato alla figura del Re, con doveri e diritti del re e alla
successione dinastica (generalmente al figlio più grande o in
mancanza a un fratello più grande). Di fondamentale importanza gli
articoli riguardanti il Titolo tre, intitolato “I diritti umani e i doveri
della popolazione” comprendente 15 articoli, dal numero 25 al 40, in
cui venivano enunciati dei diritti pienamente paragonabili a quelli
occidentali, come quello a noi comune dell'uguaglianza delle persone
davanti alla legge, come l'articolo 26 interamente dedicato alla libertà
dell'uomo, definita come «inalienabile e inviolabile». Negli articoli
seguenti fu inserito un chiaro riferimento al divieto alla tortura, al fatto
che nessuno potesse essere giudicato senza un regolare processo, il
diritto all'istruzione, di parola e di espressione. Il Titolo quarto
dedicato alla Shura, diviso in due camere e rappresentante tutta la
popolazione afghana; a seguire Titolo quinto dedicato alla Loya Jirga,
definita dall'articolo 78 come il “Gran Consiglio” e composta dai
membri della Shura e dai presidenti dei Consigli Provinciali, mentre il
sesto era dedicato al Governo e alla figura del Primo Ministro e dei
ministri vari. Titolo settimo e ottavo dedicati rispettivamente alla
Magistratura e all'Amministrazione, mentre il nono allo “Stato di
emergenza”, il quale poteva essere proclamato solo dal re. A seguire
gli ultimi Titoli dedicati agli Emendamenti e alle Transizioni Finali.
37
2.2 2 Il «declino della storia»
38
della storia repubblicana che segnò un accentramento dei poteri nelle
mani di Daud e che utilizzò per legittimare il suo potere e proclamarsi
presidente della neo-nata Repubblica. Se all'inizio si pensava che il
periodo Repubblicano avrebbe significato una svolta nel processo
politico e sociale, ci si sbagliò. Infatti cominciarono a riemergere in
Afghanistan le prime rivolte della nuova Repubblica, che
aumentarono a poco a poco. Una delle contestazioni principali
riguardò l'annuncio di riforma agraria che istituiva un tetto massimo
per i latifondi, che variava a seconda del tipo di terreno. In poche
parole, le terre in eccesso sarebbero state distribuite a mezzadri e a
braccianti, dietro un compenso dilazionato da parte dello stato ai
proprietari terrieri. Ma la corruzione che dilagava tra i funzionari
governativi e lo stesso disinteresse dei contadini fece si che alla fine
del 1975 “solo” «32.226»13 contadini furono interessati da questa
proposta. Daud in ogni caso aveva fallito sia dal punto di vista
economico, che nel campo della politica estera: se da una parte
sperava che il suo paese fosse indipendente economicamente alla fine
dovette rendersi conto che l'Afghanistan era troppo povero per
affrontare un percorso economico e sociale da solo, ed inoltre si attirò
contro le antipatie dei sovietici, perché al posto di continuare la
dipendenza con loro decise di svincolarsi, di cacciare i comunisti e
chiedere aiuto all'Arabia Saudita e alla Cina14. Dal 1973 al 1978, a
parte il regime autoritario di Daud, non avvennero particolari
cambiamenti e dal punto di vista dei diritti umani molto probabilmente
il 1978 fu l'ultimo anno in cui la popolazione godette di “libertà”
rispetto agli anni che seguirono.
39
2.2 3 Uno sguardo alla Costituzione del 1977
40
Ancora, Capitolo sette intitolato “Il Presidente della Repubblica”,
l'otto al governo e il nove al sistema giudiziario, restando in linea con
la Costituzione del 1964, ferma restando la separazione tra i tre poteri.
Per finire il Capitolo dieci, dedicato allo “Stato di Emergenza”,
proclamato dal Presidente della Repubblica e ancora una volta, in
fondo, concludevano il testo costituzionale gli Emendamenti e le
disposizioni finali.
41
furono gli obiettivi democratici che si intendevano raggiungere come:
la limitazione delle grandi proprietà terriere, consegna della terra ai
contadini senza terra, sviluppo dell'economia nazionale,
alfabetizzazione e democratizzazione della vita sociale e politica. Le
nuove riforme del regime prevedevano la «sovietizzazione e la
laicizzazione del paese»22, anche se le nuove proposte avevano
alimentato il malcontento di larghi strati della popolazione, proprio
perché i termini di laicizzazione e sovietizzazione non piacevano: fu a
quel punto che incominciò a organizzarsi la resistenza armata. Essa
dunque cominciò un po' prima dell'avanzata sovietica, senza le truppe
sovietiche e per protestare contro la piega comunista che stava
prendendo il paese23. Mosca comunque decise di non inviare le proprie
truppe, ma solo consiglieri e la fornitura di armi.
All'interno del paese Taraki, per implementare le rivolte socialiste,
diede vita a un'ondata di violenza con arresti di massa (nella temibile
prigione di Pul-i-Charki), torture ed esecuzioni24, soprattutto nei
confronti dei suoi avversari politici. Chiaramente la Costituzione del
1977 era stata soppressa, visto che tra i suoi articoli vietava
espressamente la tortura. Non mancarono delle accuse agli stessi
membri del PDPA. Tra l'altro, le zone rurali insorsero contro i progetti
di riforma agraria e contro i sistemi di prestiti islamici. Venne inoltre
vietata la dote alle spose, fu legalizzata la libera scelta nei matrimoni e
resa obbligatoria l'istruzione universale secondo i dogmi del
42
marxismo25. Ma al di là di motivazioni tecniche, dal punto di vista
“marxista” fu proprio la riforma agraria a dare i maggiori problemi
perché questa riforma modificò le strutture sociali ed economiche del
paese. Fu subito annunciata da Taraki fin dal suo discorso inaugurale
del 1978 prevedendo una serie di obiettivi come: aumento della
produzione agricola, e soprattutto la rottura dei tradizionali rapporti
economici26. In pratica il contadino un tempo apparteneva al locale
proprietario terriero per i debiti contratti precedentemente dalla sua
famiglia, quindi fin dal momento della nascita 27. Con i decreti di
riforma il contadino veniva considerato un uomo libero, in quanto
furono aboliti tutti i debiti verso i feudatari e gli usurai. E tutto questo
fa capire come vi sia stato una sorta di cambiamento nell'assetto socio-
economico del paese e la diffidenza della società rurale nei confronti
delle innovazioni. A tutto questo si aggiunse il fatto che Taraki, il
primo anno di governo rivoluzionario, aveva personalizzato il proprio
culto della personalità: aveva prodotto e diffuso centinaia di manifesti
che lo definivano “Il Grande Maestro” 28. Come da contorno, la
resistenza armata si fece più accentuata a partire da gennaio del 1979,
quando vi furono dei potenti scontri nelle regioni orientali del paese
tra le truppe di Taraki che destabilizzarono il paese29. Taraki poi venne
ucciso da Amin, ma la situazione non cambiò granché dal punto di
vista sociale: anche sotto Amin vi era stato l'arresto e l'esecuzione di
migliaia di dissidenti politici: si è stimato che all'incirca 12.000
prigionieri fossero stati giustiziati30, ma dopo che divenne presidente
ne rilasciò 850. Economicamente parlando: «l'economia fu seriamente
danneggiata sotto Amin. Il commercio fu in uno stato disastroso e i
43
trasporti erano disorganizzati»31, riferì qualche anno dopo il Sultano
Alì Keshtmand, Ministro della pianificazione sotto Karmal. Tra l'altro,
con questa guerra l'Afghanistan era divenuto il principale produttore
di eroina e gestiva il 60% del mercato americano. Per arginare questo
mercato i mujaheddin perpetuarono delle violenze nei confronti dei
contadini, imponendo nelle zone da loro controllate la coltivazione
dell'oppio.
Le rivolte armate continuarono fino a quando vi fu l'intervento armato
sovietico, il quale «portò all'eliminazione di un capo di stato in carica
grazie a un precedente colpo di mano, e alla sua sostituzione con un
esule»32. L'esule era Karmal e l'intervento armato quella volta avvenne
con delle vere e proprie truppe.
44
«speranzose promesse»35, come un'amnistia generale che avrebbe
portato al al rilascio di un gran numero di prigionieri politici arrestati
durante il regime di Amin, promise inoltre di garantire la libertà
individuale e la difesa della proprietà privata. In più sostenne che da
quel momento in avanti non ci sarebbero più state esecuzioni e che
presto sarebbe stata redatta una nuova Costituzione36, si offrì di
restituire le terre confiscate ai proprietari terrieri, a condizione che
rinunciassero a ogni attività antigovernativa e vendessero i loro
prodotti allo stato37 e al fine di attirarsi le simpatie dei rappresentanti
religiosi promise la costruzione di centinaia di moschee, la
ristrutturazione di altre già presenti sul territorio 38 e anche il
finanziamento per l'hajj (il pellegrinaggio alla Mecca), ma questa
impresa si rivelò inutile in quanto gli stessi rappresentanti religiosi si
resero conto che si trattava «di un programma politico che rimaneva
nella sostanza contrario ai suoi valori e ai suoi interessi» 39. Le misure
elencate furono realizzate a poco a poco, eccetto che per il rilascio del
numero dei prigionieri: infatti si stima che prima dell'invasione i
detenuti per motivi politici erano circa 270040 e già il 6 gennaio del
1980 i rilasciati furono 2600.
Nell'aprile del 1980 il regime di Karmal adottò una Costituzione
temporanea intitolata “Principi Fondamentali della Repubblica
Democratica dell'Afghanistan”, redatta già quando era al potere Amin
e che non differiva molto da quella del 1977 in tema di libertà e
condizioni di vita, ma che sulla carta fu «intricatamente
contraddittoria»41. Infatti sulla carta appariva una perfetta democrazia
35 Ivi, p. 71.
36 Ibidem.
37 E. Giunchi, op. cit, p. 89.
38 Durante la guerriglia i mujaheddin distrussero molte moschee. Il governo, per
rispetto della tradizione islamica, stanziò fondi per la riparazione e la ricostruzione
delle moschee 5 milioni di afghani e costruì 29 nuove moschee nel solo 1982
(E.Vigna, op. cit, p. 30), mentre si stima che dal 1981 al 1984 la controrivoluzione
avesse – in totale – distrutto 250 moschee e che il governo avesse stanziato
complessivamente oltre 850 milioni di afghani (dollari) per la costruzione di 59
nuove moschee e il restauro di altre 559. (EVigna, op. cit, p. 36).
39 E. Giunchi, op. cit, p. 89.
40 M. H. Kakar, op. cit,. 72.
41 Ivi, p. 73.
45
costituzionale, molto vicina ai diritti individuali, tuttavia leggendola
meglio ci si rendeva conto che era un documento che attribuiva il
monopolio del potere al partito di Karmal, nel senso che si favoriva
ulteriormente lo stato rispetto ai cittadini. Ad esempio, l'articolo 29
garantiva il diritto di «condurre una vita sicura e il diritto di libertà e
di parola e pensiero»42, mentre l'articolo 30 proclamava: «il diritto di
un imputato di essere un presunto innocente fino ad essere dichiarato
colpevole»43.
Fin dall'inizio del suo mandato Karmal godette dell'appoggio sovietico
e questa sorta di Costituzione provvisoria durò poco perché vi fu la
rappresaglia dei mujaheddin, i quali non mancarono di farsi sentire e
di ostacolare qualunque progetto di Karmal44, oltreché di uccidere
tantissimi soldati sovietici.
Questa situazione durò fino al 1986, anno della destituzione di Karmal
e alla sostituzione con Najibullah, un altro uomo scelto da Mosca, anzi
più precisamente da Michail Gorbačëv, il quale si rese conto che
Karmal non era stato in grado di promuovere la riconciliazione
nazionale. Najibullah rafforzò le istituzioni in senso democratico e il
paese vide ancora una volta la promulgazione di una Costituzione,
pari a quella del 1964 in cui introduceva una democrazia parlamentare
multipartitica. La Costituzione ideò un sistema presidenziale con un
parlamento bicamerale elettivo. Dichiarò l'Islam la Sacra religione e
dichiarò che il potere dello stato apparteneva al popolo
dell'Afghanistan. Ancora, garantì i diritti democratici degli individui e
rese legale formare partiti politici, la società venne dichiarata multi-
46
nazionale45. Anche Najibullah non riuscì a portare a termine i suoi
tentativi di riconciliazione durante il periodo sovietico, questo perché
l'opposizione si rifiutò di arrivare a un compromesso per vie negoziali.
L'Unione Sovietica infatti stava cercando di uscire da questo conflitto
dispendioso ed era ormai alla fine dei giorni. Il ritiro definitivo
dell'Armata Rossa in Afghanistan avvenne nel febbraio del 1989, dopo
gli accordi di Ginevra del 1988. Dopo il ritiro dei militari sovietici
Najibullah restò solo al potere, aiutato finanziariamente dall'URSS
almeno fino al 1991. Durante il suo periodo politico vi fu una sorta di
“anteprima della guerra civile”. Il potere era ancora nelle mani di una
fazione comunista, per questo motivo i mujaheddin non smisero di
combattere, fino al 1992, quando riuscirono a conquistare Kabul e a
destituire Najibullah, il quale fu costretto a rifugiarsi in un complesso
delle Nazioni Unite.
47
l'articolo 36 tutelava il loro ritorno (return home). I soliti articoli sul
divieto della tortura e dell'essere giustiziati senza un processo valido
non furono rispettati nemmeno sotto il regime di Najibullah. Capitolo
quattro e cinque intitolati rispettivamente “Loya Jirga” e “Presidente”,
mentre il sei all'Assemblea Nazionale. All'ottavo, la parte dedicata al
potere Giudiziario. In tal senso nessuna novità rispetto alla precedente
Costituzione. Però nuovo fu il Capitolo Sette, con una nuova dicitura:
“Il Consiglio dei Ministri” ossia «il più alto organo esecutivo e
amministrativo», composto da primo ministro, ministri e Presidente.»
Il Capitolo nove rappresentò anch'esso una novità, infatti prese il
nome di “Ufficio Procuratore” (Attorney Office), il quale veniva
definito dall'articolo 117 come: «un sistema unificato basato sul
principio di centralismo», che in sostanza aveva il compito di
mantenere le leggi. Questo nuovo termine fu probabilmente dovuto
all'influenza della comunità internazionale dopo 6 anni di guerra.
Ancora, Capitolo undici “Il Consiglio Locale”, che spartiva i suoi
compiti nei distretti e nelle province e il dieci, “Il Consiglio
Costituzionale”, che tutelava sul rispetto delle leggi Costituzionali.
Ultimi Capitoli dodici e tredici, rispettivamente sulla politica estera e
sulle disposizioni varie. Per la prima volta sparì la parte dedicata agli
emendamenti.
Per finire la Costituzione del 199047, emanata ancora una volta da
Najibullah e l'ultima fino al 2004. Questa Costituzione ricalcò
praticamente quella del 1986, le diciture dei Capitoli erano le stesse,
tranne che per il Preambolo che venne tolto, e uguale fu lo stesso
numero di articoli. Venne annullata dai mujaheddin durante la guerra
civile.
48
2.5 I mujaheddin e i talebani
49
per ospitare un ambasciatore51.
Durante questo periodo l'indifferenza della comunità internazionale fu
grande, vi fu solo lo sporadico aiuto di qualche organizzazione
internazionale, più a carattere umanitario che a livello politico-
internazionale. Nel 1994 entrò in gioco l'Onu che, l'11 febbraio del
1994, mandò un proprio inviato, Mehmur Mestiri in Afghanistan.
Mestiri si incontrò in diverse città afghane con i membri della Shura
per cercare di fare da mediatore alle fazioni mujaheddin al fine di
raccogliere uno spirito estero dei leader afghani e per sollecitare il loro
parere su come le Nazioni Unite potessero meglio assistere
l'Afghanistan per facilitare la riconciliazione e la ricostruzione 52. In
seguito a questo incontro, qualche mese dopo, emersero la posizione
statunitense e quella pakistana. Gli statunitensi, guidati dall'assistente
del segretario di stato per l'Asia Centrale Robin Raphel che si batté per
una causa piuttosto ovvia, ossia per la continuazione dell'assistenza
umanitaria, mentre dal punto di vista politico propose un governo di
coalizione che comprendesse tutte le fazioni e il ritorno alla
monarchia, con l'ex sovrano deposto Zahir Shah che si trovava in
esilio in Italia. Analizzando nel capitolo precedente la situazione dal
punto di vista politico si è visto come vi fu un cambio di alleanze,
anche se il potere in quattro anni restò principalmente nelle mani di
pochi (Massoud, Rabbani, Hekmatyar).
Ai talebani ci vollero circa due anni per conquistare Kabul. Diversi
fattori favorirono la conquista talebana, prima di tutto il sostegno del
Pakistan e dell'Arabia Saudita, sicuramente dovuto a un cambio di
scena nella politica statunitense che, durante la guerra civile, non
aveva voluto interessarsi degli affari della regione, ma in ogni caso era
impossibile farlo visto e considerato che il paese era diviso in bande
tribali. Non si trattò mai di un regime riconosciuto dalla comunità
internazionale, meno che per alcuni stati come l'Arabia Saudita e il
50
Pakistan e, nonostante avesse perso la capitale, il governo riconosciuto
dalla comunità internazionale era ancora quello di Massoud e
Rabbani.
51
internazionale per cercare di portare stabilità e pace nel paese. Se
all'inizio l'attenzione fu rivolta agli Stati Uniti e al loro impegno nel
combattere la minaccia al terrorismo, in seguito ci si rese conto che
l'Afghanistan e la popolazione andavano aiutati nel processo di
ricostruzione. Ma raggiungere tale obiettivo per l'Afghanistan da solo
non era possibile e dunque il Consiglio di Sicurezza dell'ONU
approvò una serie di risoluzioni in cui approvava i piani di
stabilizzazione. Solo per citare alcune delle risoluzioni più importanti
dell'anno 2001: la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza (da ora in
poi CdS) 1378/0154 del 12 settembre, in cui si affermava la volontà di
sostenere un processo di transizione per arrivare poi a un governo
sostenuto, un processo in cui vi sarebbe stata la coesione delle varie
componenti afghane e inoltre, una piccola parte della risoluzione,
venne dedicata anche a un possibile impegno delle organizzazioni
umanitarie per sostenere gli sforzi della popolazione affranta e dei
rifugiati che avevano lasciato il paese. La Risoluzione CdS 1383/01
del 6 dicembre nel quale l'impegno preso venne ancora una volta
confermato. Tra l'altro il giorno prima si era conclusa la conferenza di
Bonn, in Germania, che era durata una settimana e che aveva definito
il completo quadro istituzionale che si sarebbe andato a formare.
Infine, l'ultima risoluzione che fu anche l'ultima per l'anno 2001, la n.
1386/01 dedicata al ruolo dell'ISAF, l'acrononimo di International
Security Assistenze Force, che averebbe assicurato il mantenimento
dell'ordine e mantenuto la pace nel paese. Fu proprio l'ISAF, insieme
alla NATO, ad aiutare Hamid Karzai, un uomo scelto questa volta
dalla comunità internazionale piuttosto che dal Cremlino come i
precedenti presidenti, nel processo di transizione. Karzai nel 2001 si
insediò come presidente provvisorio della prima Autorità Interinale
Afghana, una sorta di governo provvisorio, mentre nel giugno del
2002 venne eletto presidente dell'Autorità Transitoria Afghana.
Durante la prima fase del suo mandato ad interim ossia tra il 2001 e il
52
2004 non avvennero grandi cambiamenti, in attesa delle prime e vere
elezioni presidenziali del 2004. Tra l'altro, vi fu il passaggio da
un'antica società tribale a a una moderna democrazia55.
Il 9 ottobre del 2004 si svolsero le prime elezioni presidenziali. Ci
furono diversi candidati tra cui l'ex Ministro dell'Istruzione del
governo di Rabbiani, Yunus Qanooni. Hamid Karzai vinse al primo
turno con il 55,4 % delle preferenze56 e un mese dopo venne dichiarato
presidente della Repubblica Islamica dell'Afghanistan. Karzai venne
celebrato in tutto il mondo e definito come un «unificatore e un
conciliatore»57, ma nonostante queste promesse, il cammino verso la
stabilità non fu facile e ci vollero anni prima che alcune delle riforme
sociali proposte dal presidente venissero attuate. Karzai dovette far
fronte a una situazione insostenibile: il 6% della popolazione non
godeva dell'energia elettrica, metà degli adulti afghani non era istruita
ed economicamente l'Afghanistan era ancora considerato uno dei paesi
più poveri del mondo58. A livello economico cresceva solo il mercato
di oppio, nonostante fosse vietato dalla nuova Costituzione. Nel marzo
del 2004 a Berlino si tenne una nuova conferenza internazionale, la
cosiddetta “Conferenza Internazionale per i donatori
dell'Afghanistan”, nel quale Karzai chiese ai paesi donatori un
contributo di 27.5 miliardi di dollari per i futuri sette anni, riuscendo
ad ottenerne solo 8.2 miliardi59 in 3 anni60. Tra l'altro gli aiuti
economici sono arrivati con lentezza e poco è stato speso per le
infrastrutture fondamentali come le strade e il ripristino della rete
idrica. Riuscì a far approvare solo poche riforme, incaricato di tenere a
55 J. Partlow, A Kindom of their own: the Family Karzai and the Afghan disaster,
New York, Alfred A. Knopf, 2016, p. 5.
56 C. Gall, "Election of Karzai is Declared Official" in New Yorl Times, 4
Novembre 2004.
57 J. Partlow, op. cit. p. 7.
58 N. Mills, Karzai: The Failing American Intervetion and The Sruggle for
Afghanistan, New Jersey, John Wiley and Sons, 2007, p. 209.
59 G. Longoni e L.Quagliulo, "Afghanistan, un futuro incerto", in Guerra e mondo.
Annuario Geopolitico della pace 2004, Terre di Mezzo, Febbraio 2005.
60 L'Italia ha dato il suo contributo di 143 milioni di euro. Fonte: Ambasciata Kabul.
http://www.ambkabul.esteri.it/ambasciata_kabul/it/i_rapporti_bilaterali/cooperazion
e_politica/storia
53
bada il traffico di stupefacenti e l'insorgere dei talebani nelle aree
remote del paese. Per quanto concerne la droga, essa è continuata a
crescere: dal 2001 vide aumentare la sua produzione del 2000%, una
percentuale esagerata e nel 2007 l'Afghanistan è arrivato a produrre
dal 85 al 90% dell'eroina e dell'oppio 61, un record mondiale. Karzai,
fin dall'inizio del suo mandato, aveva fatto delle dichiarazioni contro
l'eccessiva produzione, ma essendo una delle poche fonti di reddito
certe nello stato (e fonte di guadagno, seppur misero, per i contadini),
lo stato non è stato in grado di combatterlo. Karzai dovette far fronte
alla nuova avanzata dei talebani, protagonisti di sporadici episodi di
protesta, mai travolgente62 e senza più il loro leader, il Mullah Omar.
Hamid Karzai venne rieletto nelle elezioni presidenziali del 2009 e il
suo mandato è durato fino al 2014. Oggi il presidente è Asharaf Ghani
e anch'egli deve affrontare sfide difficili, come la minaccia dell'ISIS e
la lotta alla corruzione.
54
coalizione. Inizialmente la missione non si mosse da Kabul e dalle
aree circostanti, mentre il resto della sicurezza nelle altre zone del
paese fu affidato all'Autorità ad Interim attraverso il “Military
Technical Agreement” (Accordo Tecnico Militare). Nel 2003
l'operazione ISAF viene estesa al resto dell'Afghanistan, questa volta
interamente sotto la guida della NATO. L'operazione fu autorizzata
con una Risoluzione del CdS, n. 1510/0364. Nel corso degli anni è
stato esteso più volte il mandato e nuovi stati hanno deciso di dare il
proprio contributo al paese, arrivando a un totale di 34. La missione
ISAF si è conclusa ufficialmente il 31 dicembre del 2014, ma l'opera
di sostegno e cooperazione è proseguita con un'altra missione: Resolut
Support Mission (Sostegno Risoluto)65, iniziata il 1° Gennaio del 2015
e che dura ancora oggi.
Per quanto concerne il nostro paese, anche l'Italia ha dato il proprio
contributo a partire dal 2001, in ossequio a quanto previsto
dall'articolo 5 del Patto Atlantico. Alla fine di dicembre del 2001
contava un contributo di 500 effettivi che sono poi cresciuti a più di
2000 unità in quindici anni. L'Italia ha dato il proprio contributo
economico e di sicurezza e nella spartizione delle zone volute
dall'ONU (Regional Command West) è stata assegnata di base a
Herat66. Purtroppo l'Italia ha pagato anche in termini di vite umane:
sono infatti 55 i caduti dal 2001 al 201567.
55
Nel Preambolo, rispettivamente al punto 4 69 e 670 si leggono dei
riferimenti a un nuovo Afghanistan, libero e unito di tutte le
componenti etniche, mentre il punto 8 promette di:
3FCB1188C165/0/23COSTAFGITALIANA2.pdf
69 «Convinti che l'Afghanistan sia un paese unico ed unito e che appartiene a tutte
le componenti etniche del paese».
70 «Al fine di consolidare l'unità nazionale, di preservare l'indipendenza, la
sovranità nazionale e l'integrità territoriale del paese».
56
Citando brevemente gli altri titoli, il Titolo tue è dedicato ai “Diritti e
Doveri della popolazione”, in cui si afferma che tutti hanno pari
dignità e uomini e donne hanno gli stessi diritti. L'articolo 29 71
proibisce la tortura, che era stata la prassi durante il governo dei
mujaheddin e durante il regime dei talebani.
Il Titolo tre, dedicato alla figura del Presidente, eletto secondo elezioni
libere, segrete e a scrutinio diretto, con possibilità di ballottaggio nel
caso uno dei due contendenti non riuscisse a vincere il primo turno.
Inoltre veniva ammessa la possibilità di referendum su questioni
«nazionali, politiche, sociali ed economiche»72 (articolo 65). Titolo
quarto dedicato al Governo e alla figura dei ministri, il Titolo quinto
dedicato all'Assemblea Nazionale, ossia «il più alto organo legislativo,
espressione della volontà del popolo e rappresentante l'intera nazione»
(articolo 81) e composto da due Camere: la Wolesy Jirga73 e la
Mesharano Jirga74con competenze e composizioni differenti. Titolo
sesto, dedicato alla Loya Jirga, «la più alta espressione della volontà
del popolo dell'Afghanistan», Titolo settimo intitolato “La
Magistratura”, Titolo ottavo “La Pubblica Amministrazione”, Titolo
nono “Lo Stato di Emergenza”75, che può essere proclamato solo dal
Presidente della Repubblica. Per finire, Titolo dieci dedicato agli
Emendamenti vari, Titolo undici “Disposizioni Varie” ed infine
l'ultimo titolo dedicato alle “Disposizioni Transitorie e Finali”, per un
totale in tutto di 162 articoli.
71 «La tortura è vietata. Nessuno, anche se per accertare la verità, può ricorrere
alla tortura o ordinare la tortura di un'altra persona indagata, accusata, arrestata o
condannata. E' proibita ogni pena contraria all'integrità umana».
72 Ancora questa possibilità non è stata usufruita.
73 L'Assemblea del Popolo, definita dall'articolo 83. Eletti dal popolo, durano in
carica 5 anni e non possono essere più di 250.
74 Assemblea degli Anziani, definita dall'articolo 84. Eletti in seguito a un
meccanismo che vede la partecipazione di un Consiglio provinciale o un Consiglio
distrettuale di provincia e in seguito la nomina del presidente della Repubblica.
75 Ad esempio in caso di guerra, rivoluzione o calamità naturali.
57
CAPITOLO TERZO
58
Il passaggio da monarchia a Repubblica portò ancora più da vicino il
paese alla modernità, avvicinandolo in questo modo alle altre potenze
mondiali. Un esempio di questa apertura verso l'esterno è dato dagli
hippy, i “figli dei fiori”, che scoprirono l'Afghanistan negli anni
Settanta durante il loro viaggio spirituale. Si muovevano dall'Iran per
poi dirigersi verso l'India, ma durante il loro viaggio era obbligatoria
una sosta nelle città afghane di Herat, Kandahar o Jalalabad,
esattamente come avveniva ai tempi antichi con l'attraversamento
della Via della Seta. Quello che colpì i viaggiatori fu proprio la
tradizionalità dell'Afghanistan più remoto:
59
Il periodo di serenità della monarchia era finito, la “tolleranza”
durante la prima fase della Repubblica stava per concludersi. A quel
tempo la popolazione afghana era stimata a 12,0225 milioni di
abitanti4 che aumentarono di un milione nel 19785.
60
temibile edificio. La costruzione di questa prigione ebbe inizio proprio
negli anni Settanta e fu resa operativa dopo il colpo di stato del 1978.
Questo carcere, chiamato anche l”Alcatraz dell'Afghanistan”, «poiché
riuscire ad evadere è quasi impossibile» 8, continuò a funzionare anche
negli anni seguenti e ancora oggi risulta aperto. Si moriva dopo pesanti
torture o dopo aver ridotto alla fame i condannati. Si stima che ne l978
i detenuti per motivi politici erano 12.0009, mentre alla fine del 1979 i
morti erano già 15.00010. Stime più attendibili, provenienti da agenzie
internazionali ed organizzazioni non-governative, riferiscono che il
numero era minore: ad esempio la Press Truth of India (PTI) riferisce
che 8400 persone furono uccise o scomparvero durante il regime di
Taraki-Amin e che il 40% di esse proveniva da Kabul 11 o ancora
Amnesty International, in un report del 1980, riporta un alto numero di
persone scomparse, le quali, verso la fine degli anni Settanta,
toccarono la quota di 9000. A proposito di Amnesty International,
questa organizzazione aveva cominciato a riscontrare una «grossa
violazione dei diritti umani»12 proprio alla fine degli anni Settanta.
Prima degli incarceramenti avvenivano le perquisizioni nelle case e gli
sconvolgimenti nei villaggi per cercare potenziali avversari; la maggior
parte degli arresti avveniva nel cuore della notte. Molti uomini, che
magari un tempo avevano detenuto uno status symbol prestigioso, si
trovarono a dover abbandonare tutto per cercare protezione o all'estero
o sempre all'interno del paese. Alcuni decisero di combattere a fianco
dei mujaheddin. Con il passare del tempo non furono soltanto gli
studenti e gli opponenti al regime ad essere arrestati. Una delle accuse
peggiori fatte dai comunisti era quella di essere considerati dei petit-
bourgeois13, dei piccoli borghesi: si imputava loro di guadagnare sulla
base di un modello capitalistico, totalmente contrario alle ideologie del
8 F. Koozi, op. cit, p. 197.
9 M. Ewans, Afghanistan, A New History, London, Curzon Press, 2001, p. 52.
10 K. E. Meyer, op. cit, p. 192.
11 J. B. Amstutz, op. cit. p. 54.
12 Amnesty International, Amnesty International Report 1980, London, Amnesty
International Publications, p. 179 in
https://www.amnesty.org/en/documents/pol10/0003/1980/en/.
13 A. Seierstad, Il libraio di Kabul, Milano, Sonzogno Editore, 2002, p. 34.
61
Marxismo.
A causa di questi arresti il paese era sprofondato nel caos, sia dal punto
di vista dei diritti umani (negati), sia dal punto di vista economico.
Sempre il report di Amnesty International riporta che ai prigionieri fu
negato di parlare con i loro familiari e di avere contatti con il mondo
esterno. Inoltre, tra le torture subite dai prigionieri vi furono: «shock
elettrico, frustate, percosse e stiramento di unghie»14, ma la stessa
sofferenza venne provata dai familiari delle vittime, in costante
angoscia nel non sapere se i loro parenti fossero vivi oppure no.
62
pensieri mutarono e pochi mesi dopo l'occupazione, a Kabul e di notte,
decine di migliaia di persone si riunivano sui tetti a scandire il
richiamo alla preghiera maomettana (Allah Akbar) come una sfida
«terribile e unitaria»18. Nonostante le dimostrazioni popolari che
dimostrarono la contrarietà all'invasione, i sovietici non si fermarono e
in pochi mesi altre centinaia di civili afghani vennero uccisi nelle
strade. Per rappresaglia i mujaheddin iniziarono a fare lo stesso:
organizzarono delle imboscate contro le colonne sovietiche ed
effettuarono scorrerie contro città grandi e piccole19. L'intero paese era
diviso in due parti: da una parte i cosiddetti “quelli di Kabul”, ossia i
membri del governo filo-sovietici, l'esercito del regime e la maggior
parte dei membri delle organizzazioni internazionali, mentre dall'altra i
mujaheddin, quelli del “prenderemo Kabul”. Nonostante la guerra e le
continue aggressioni l'economia non era ancora a pezzi: ad esempio nel
1981 la produzione industriale crebbe dell'1,5%, mentre quella agricola
del 3%20.
Un recente report dell'Oxfam21 intitolato “The cost of the war. Afghan
experiences of conflict, 1978-2009”, (Il costo della guerra. Esperienze
del conflitto afghano, 1978- 2009) riporta la testimonianza di un uomo
risiedente della provincia di Nangarhar, al confine con il Pakistan:
18 Ibidem.
19 Cifr, S. Coll, op. cit, p. 82 e M. Ewans, op. cit. p. 158.
20 E. Vigna, op. cit, p. 29.
21 L'Oxfam è un'importante confederazione umanitaria mondiale specializzata in
aiuto umanitario e di sviluppo. E formata da 17 organizzazioni che collaborano con
3000 partner locali in 90 paesi del mondo. Ha diverse sedi dislocate in diversi parti
del mondo, tra cui anche in Italia. Fonte: http://www.oxfamitalia.it
22 Traduzione personale. Oxfam, The Cost of the War. Afghan Expericences of
Conflict, 1978-2009, p. 7.
63
comuniste circondarono il nostro villaggio, ci spararono con potenti
armi all'interno del nostro villaggio. Essi non lasciarono ai civili
alcuna via di fuga e noi non avevamo speranza di sopravvivere»23.
I mujaheddin inizialmente combattevano nella montagne o nelle aree
rurali uccidendo i soldati che si trovavano nelle loro zone. Le truppe
antigovernative entrarono per la prima volta dalla guerriglia a Kabul il
31 agosto del 198224 e da quel giorno anche i mujaheddin iniziarono
ad attaccare la popolazione residente nella capitale, riuscendo a
provocare la distruzione degli sforzi umanitari che erano stati
compiuti fino a quel momento.
Dando uno sguardo sommario alle condizioni della popolazione di
allora, i dati riportano che più del 90% della popolazione era
analfabeta e solo il 30% dei bambini poteva frequentare la scuola,
nonostante le varie riforme scolastiche emanate dai vari governi.
Inoltre vi era un alto tasso di mortalità causato da un'emergenza
sanitaria senza precedenti. Le malattie più comuni erano il vaiolo, la
malaria e la tubercolosi25. Per quanto concerne l'emanazione delle
riforme scolastiche, esse da una parte avevano fatto crescere il tasso di
alfabetizzazione, dall'altro lato questo programma fu duramente
ostacolato dai mujaheddin, i quali distrussero nelle campagne decine
di scuole e ospedali sovietici, uccidendo scolari e insegnanti e
aggredendo le donne per impedire qualsiasi forma di istruzione.
Nonostante fossero compiuti elevati sforzi di modernizzazione, le
violenze non mancarono e le sofferenze della popolazione
cominciarono a farsi più acute. Vi fu l'emersione dei primi danni
collaterali del conflitto: i primi profughi cominciarono ad abbandonare
il paese per recarsi in paesi vicini, i villaggi cominciarono ad essere
distrutti, tanti orfani e diverse persone senza più un tetto sopra la testa.
Insomma, una catastrofe umanitaria, che aveva l'obiettivo di
«terrorizzare la popolazione e creare una situazione di instabilità»26 e
23 Traduzione personale. Oxfam, op. cit, p. 8.
24 G. Chiesa, Vauro, op. cit, p. 31.
25 S. Noja, op. cit, p. 272.
26 E. Vigna, op. cit, p. 36.
64
impedire lo sviluppo dei progetti di riforma sociale e strutturale
lanciati dal governo. Tutto questo andò avanti fino al 1989, anno della
ritirata sovietica. L'Afghanistan alla fine dell'anno venne duramente
distrutto, sia dal punto di vista dei diritti umani che dal punto di vista
economico27. A causa degli intensi combattimenti il 75% dei villaggi
venne distrutto dai bombardamenti, mentre il 40% della terra divenne
infertile28. A causa della guerra la città di Kabul subì una metamorfosi,
«trasformandosi da luogo ricercato da un turismo snob, archeologico o
frichettone, a ricettacolo di ogni maledizione, cloaca destinazione di
imprecazioni e vendette»29.
Ricapitolando: sia le truppe sovietiche, che i mujaheddin
contribuirono alla distruzione del paese. Questi ultimi, in particolar
modo, nel report annuale di Amnesty International del 1990, vennero
segnalati per aver svolto «esecuzioni extra giudiziarie sulla cattura di
soldati governativi e civili, inclusi i bambini, nelle aree da loro
effettivamente controllate»30. Un altro esempio: «Le forze
mujaheddin, inclusi un certo numero di volontari Arabi, riporta che
essi avevano sinteticamente ucciso un imprecisato numero di soldati
governativi e almeno 20 civili disarmati» 31. Il numero variava
comunque ogni giorno e di anno in anno.
65
regime di Karmal vi furono degli abusi di questo tipo, ancora una
volta contro coloro che si opponevano al regime comunista. Se
all'inizio del mandato di Karmal i prigionieri sperarono di non subire
più torture, resi soprattutto fiduciosi dalle promesse del nuovo
presidente, negli anni seguenti ci si sbagliò. Ancora una volta vi
furono incarceramenti nella prigione di Pul-i-Charkhi, ma i metodi
repressivi furono guidati dal KHAD32, la polizia segreta afghana, a sua
volta sotto la sorveglianza del KGB sovietico. Nonostante
l'emanazione della temporanea Costituzione intitolata “Principi
Fondamentali della Repubblica Democratica dell'Afghanistan” che
vietava le torture, esse proseguirono con le stesse modalità delle
precedenti, sebbene un certo numero di prigionieri fosse stato
rilasciato nella prima fase del governo di Karmal. Ma, tra il 1981 e il
1983, il numero dei prigionieri politici ricominciò a crescere. Il
Dipartimento di Stato degli Stati Uniti diede una stima di circa
20.000/25.000 detenuti nella prigione principale, mentre 500
prigionieri furono detenuti nella sezione speciale del KHAD 33. Sempre
lo stesso Dipartimento do Stato denunciò maltrattamenti «incluse
percosse, violenze sessuali, celle piene di carcerati, senza
riscaldamento, servizi igienici o cibo inadeguato»34.
I rapporti seguenti del Dipartimento di Stato sono abbastanza similari,
così come quelli di Amnesty International. Si occuparono anche delle
sparizioni delle persone, prelevate di notte dalle abitazioni e che non
fecero più ritorno a casa.
A quasi sette anni dall'inizio della guerra, i Sovietici e il regime di
Kabul avevano terrorizzato il popolo afghano. La politica seguita in
tutti quegli anni, secondo il Dipartimento di Stato, aveva terrorizzato
più di un terzo della popolazione afghana (che ammontava a circa
66
quindici milioni di persone) e causato la morte di centinaia di migliaia
di civili35. Inoltre i Sovietici e Karmal avevano impoverito
l'Afghanistan e distrutto le principali vie di comunicazione.
Nel 1986 fu la volta di Najibullah, che restò in carica fino al 1992,
anno della sua resa. Era l'ex direttore del KHAD e per questo non
rinunciò ai metodi di tortura e violenza. Ad esempio, dati del rapporto
di Amnesty International del 1990, dunque un anno dopo la ritirata
sovietica, riportano che nel mese di febbraio circa 2,165 persone
furono detenute come prigionieri politici36, un numero abbastanza
inferiore rispetto alle cifre degli anni precedenti. Numericamente e
complessivamente parlando, il costo della guerra dopo dieci anni di
conflitto era stato pesantissimo. I numeri: un milione e mezzo di
vittime civili, circa il 10% della popolazione37, un afghano su sette era
mutilato, la speranza di vita alla nascita era di 38 anni e tre bambini su
dieci morivano prima di aver compiuto cinque anni per varie
infezioni, dissenteria o morbillo. Una donna su dieci moriva durante la
gravidanza o il parto.
Najibullah fino al 1992 ebbe uno scontro vero e proprio con i
mujaheddin. Il governo controllava la capitale e alcune città
dell'Afghanistan, mentre i mujaheddin controllavano principalmente le
aree rurali. L'esercito di Najibullah cercò di sconfiggere le forze dei
ribelli, ma alla fine dovette arrendersi, anche perché i rifornimenti e
gli aiuti economici dell'Unione Sovietica stavano per terminare. Nel
marzo del 1991 i mujaheddin guidati dal generale Jalaluddin Haqqani,
conquistarono la città di Khost, facendo più di duemila prigionieri e
nei mesi seguenti rafforzarono le loro strutture logistiche e militari
grazie al sostegno del Pakistan38.
67
3.3 I mujaheddin prima e il Fronte Unito poi: i diritti umani negati
68
Soprattutto gli indù dovettero patire le peggiori umiliazioni, in quanto
vennero ripetutamente umiliati dai mujaheddin: fu vietato loro di
organizzare feste in nome della loro religione, ma soprattutto una delle
umiliazioni più gravi fu l'obbligo di portare una fascia gialla intorno al
braccio. Inoltre i maschi indù vennero fatti circoncidere, sebbene
questa pratica non facesse parte della loro cultura42.
Fino al 1996 continuò questo terrore di massa in cui vennero
impiccati o fucilati migliaia di uomini e donne, altrettanti mutilati o
internati in campi di prigionia. «Un popolo al limite della
sopravvivenza» ha scritto Gino Strada43.
Dal punto di vista politico, economico e sociale vennero emananti dei
decreti che abolirono quelli del precedente governo rivoluzionario,
senza realmente pianificare o progettare vere e proprie alternative per
costruire un nuovo Stato. Inoltre la città fin dal 1993 era priva di
energia elettrica, si moriva di stenti e migliaia di persone contavano
sullo sforzo delle poche organizzazioni internazionali presenti per
ricevere un po' di generi alimentari come tè e pane quotidiani 44. Vi era
anche un'emergenza sanitaria senza precedenti, soprattutto nelle
campagne dove si moriva a causa della lontananza dagli ospedali. Nel
marzo del 1995 le forze del comandante Massoud a Kabul commisero
violazioni e saccheggi di alcuni villaggi45, abbandonandosi «ad atti di
violenza indiscriminata e sistematica»46.
Nel 1996 vi fu la presa dei talebani a Kabul e la disfatta dei
mujaheddin, i quali non si ritirarono ma si unirono nel già citato
Fronte Unito per la Salvezza dell'Afghanistan (o Alleanza del Nord).
Nonostante l'unione tra le diverse fazioni e i diversi esponenti di
differenti etnie, le violazioni dei diritti umani non mancarono.
Un report sull'Afghanistan dell'HWR (Human Watch Right) del 2001
scrisse:
42 Passim J. Malalai, op. cit. p. 47.
43 G. Strada, Pappagalli Verdi. Cronache di un chirurgi di guerra, Milano,
Feltrinelli, 2013, p. 44.
44 S. Coll, op. cit, p. 18.
45 A. Rasanayagam, op. cit, p. 148.
46 E. Vigna, op. cit. p. 63.
69
Durante la guerra civile in Afghanistan le fazioni principali del Fronte Unito
(Alleanza del Nord) hanno commesso ripetutamente degli abusi dei Diritti
dell'Uomo e le violazioni delle leggi umanitarie internazionali, comprese
uccisioni, bombardamenti aerei indiscriminati e devastanti, attacchi aerei ai
civili, esecuzioni sommarie, violenze e persecuzioni in base a religione o
etnia, reclutamento e uso dei bambini come soldati e uso e utilizzo di mine
antiuomo, saccheggio e incendio di case e villaggi. Molte di queste
violazioni effettuate in modo “diffuso e sistematico” possono essere una base
di accusa per crimini contro l'umanità47.
Negli anni tra il 1992 e il 1996 i vari partiti si erano spartiti il paese tra di
loro, mentre si combatteva per il controllo di Kabul. Nel solo 1994 sono stati
valutati in 25.000 i morti di Kabul, con la distruzione di un terzo della città e
gran parte della restante seriamente danneggiati da razzi e colpi di artiglieria.
Nelle zone controllate da essi non c'era nessuna norma di legge, queste forze
sono interamente dedite a violenza, esecuzioni sommarie, arresti, torture,
rapimenti, stupri, estorsioni49.
47 Human Rights Watch, Afghanistan. Crisis of impunity, Vol. 13, Cap. II, July
2001, p. 18 in https://www.hrw.org/reports/2001/afghan3/afgwrd1001.pdf
48 E. Vigna, op. cit. p. 62.
49 Human Right Watch, op. cit. p. 15
70
talebani un elemento particolarmente significativo è dato dal popolo, il
quale stanco dei soprusi, degli atti incivili e dai continui timori, decise
di appoggiare in un primo momento i talebani 50. Subito l'Afghanistan
prese il nome di “Emirato Islamico” e il mullah Omar ricevette il
titolo di Emiro. Appena conquistata la capitale i talebani compirono
un atto crudele nei confronti dell'ex presidente Najibullah, il quale
dopo essere stato barbaramente torturato venne impiccato a un
lampione della città. Grave fin da subito fu lo sconcerto della
comunità internazionale, che peggiorò quando ci si rese conto che in
realtà, all'interno del paese la situazione era ben peggiore. Non si
trattò mai di un regime riconosciuto dalla comunità internazionale,
meno che per alcuni stati come l'Arabia Saudita e il Pakistan e
nonostante la disfatta, il governo riconosciuto dalla comunità
internazionale, era ancora quello di Massoud e Rabbani.
Già durante la conquista di Kandahar i talebani avevano imposto la
loro visione puramente restrittiva nei confronti della società e
soprattutto della donna51 e si andava incontro a pesanti sanzioni
corporali se non si rispettavano le loro leggi. Giravano nelle città
seduti dietro i loro pick-up bianchi e delle volte colpivano
indiscriminatamente, se avevano il sospetto che si stesse
contravvenendo alle loro regole. Nelle mani tenevano «dei bastoni con
pesanti sfere di rame all'estremità» 52. Da sottolineare il fatto che molti
si schierarono con i talebani in quanto condividevano l'etnia e la
cultura, mentre altri soltanto per una pura esigenza economica, in uno
scenario caratterizzato ancora una volta da grande povertà.
Ma in cosa consistevano questi decreti religiosi? Nel novembre del
1996 il “Ministero per la repressione del vizio e la promozione della
71
virtù”53 di Kabul54 emise un programma con delle norme generali55 Le
nuove leggi della capitale furono pubblicate come editti da Radio
Kabul, ribattezzata “La voce della Sharia”56: si vedrà più avanti,
dettagliatamente cosa prevedevano i decreti sulle donne, ma iniziamo
con il descrivere uno dei loro decreti che proibiva la musica:
72
i-Charkhi, arrestati e frustati. A questo proposito l'organizzazione
internazionale di Amnesty International, già a partire dal 1997,
cominciò ad occuparsi della negazione dei diritti da parte dei talebani.
Ad esempio, il rapporto annuale del 1997 riporta che centinaia di
persone nelle città di Farah e di Herat furono arrestate poiché esse non
avevano rispettato i decreti religiosi o perché sospettate di nutrire
simpatia nei confronti degli opponenti al regime (Rabbani-Massoud).
Già il primo anno vi fu il sospetto che nelle carceri talebani vi fossero
all'incirca 1000 prigionieri59. Una delle nuove torture ai prigionieri
consistette nel far loro trascorrere la notte al gelo, per poi farli
rientrare la mattina per l'interrogatorio, che culminava quasi sempre
con le percosse. È evidente come una situazione di questo tipo abbia
potuto provocare delle conseguenze devastanti sul fisico dei carcerati.
Inoltre, sotto i talebani, potevano esserci dei rilasci sotto cauzione.
Uno dei decreti più significativi era quello che proibiva il taglio della
barba. Nel novembre del 1996 il decreto recitava: «chi tra un mese e
mezzo verrà trovato anche parzialmente sbarbato sarà imprigionato
fino a quando la sua barba non sarà cresciuta foltamente». La barba
doveva avere la lunghezza di un pugno. Chi l'aveva corta veniva
picchiato, ma anche chi tra gli uomini portava i capelli lunghi era
passabile di arresto e conduzione verso il dipartimento di polizia
religiosa, dove a spese del condannato si tagliavano i capelli. Ancora,
un altro decreto riguardava il divieto di allevare piccioni e altri uccelli,
ritenendo i combattimenti tra le pernici assolutamente vietati, così
come il combattimento degli aquiloni. In questo modo si negava
qualsiasi tipo di svago agli adulti e ai bambini.
Il venerdì, nello stadio di Kabul, vi era la cosiddetta «punizione
pubblica dei peccatori»60, in cui i condannati erano principalmente
assassini, apostati, ladri e adulteri. Gli assassini dovevano essere
uccisi in pubblico dai parenti delle vittime e gli apostati dalla polizia
73
religiosa; i ladri venivano mutilati, tagliando loro una mano 61. Infine
gli adulteri, uomini o donne che fossero, venivano lapidati a morte.
I commercianti e i negozianti furono avvertiti di non utilizzare più la
carta per avvolgere i loro prodotti, «onde evitare di usare senza volerlo
le pagine del Corano62».
A causa di tutti questi preoccupanti decreti i talebani vennero
denunciati dalle varie associazioni internazionali dei diritti umani, ma
loro continuarono a imporre le loro angherie e i loro soprusi alla
popolazione. Sempre il report di Amnesty International del 1997,
dopo aver abbondantemente denunciato la condizione delle donne
afghane, passò ad analizzare alcuni gravi fatti, compiuti sia dai
talebani, che dal Fronte Unito. Ad esempio, i costanti e giornalieri
attacchi su Kabul, le distruzioni delle case dei civili 63 e le morti della
popolazione sotto i bombardamenti. La linea di demarcazione tra
l'Alleanza del Nord e quella dei talebani era rappresentata dalla piana
di Shomali, la quale si trovava a 65 km a Nord di Kabul e 25 dalla
linea del fronte, che divideva l'Alleanza del Nord dai talebani 64 che
divenne tristemente nota con il nome di «pianura in fiamme»65, dove
durante una battaglia i talebani uccisero migliaia di uomini, poi
incendiarono gli alberi e le coltivazioni, rasero al suolo i resti,
spazzando via ogni speranza di sopravvivenza per la popolazione. Le
donne furono portate vie e della loro esistenza non si seppe più nulla.
Ancora una volta dunque, il paese non conosceva la pace mentre la
popolazione, soprattutto le nuove generazioni, non riuscivano a
ritrovare la tranquillità. Ancora una volta il paese si trovava nelle
peggiori condizioni possibili e una nuova crisi umanitaria era in atto.
L'Afghanistan deteneva in Asia il peggior record in diversi campi:
mortalità infantile e femminile (dovuta soprattutto alla chiusura degli
74
ospedali femminili), ancora una bassa aspettativa di vita, poco accesso
all'acqua potabile e un basso tasso di alfabetizzazione 66. Senza contare
poi i mutilati, gli invalidi e i rifugiati. Dall'avanzata dei talebani nel
1996 quasi un terzo degli originari abitanti dell'Afghanistan era
rimasto ucciso nei combattimenti e un altro terzo aveva trovato rifugio
all'estero67.
75
occidentali addetti alla sicurezza personale e alla protezione di
obiettivi sensibili, come ambasciate, istituzioni o altre società
private70. Diversi funzionari, sempre occidentali, sorvegliavano altre
città minori come Kandahar ed Herat. Le sedi delle ambasciate
occidentali e delle residenze dei vari operatori ebbero sede nel
quartiere Wasir Akbar Khan, un tempo il quartiere più prestigioso
della capitale e l'unico risparmiato dai combattimenti della guerra
civile71.
Dal punto di vista interno continuò la conta delle vittime civili, dei
feriti e dei rifugiati, scappati o all'interno del paese o sempre nel
vicino Pakistan. Per quanto concerne il numero delle vittime dal 2001
al 2009, dunque dall'inizio dell'operazione Enduring Freedom fino
all'anno della seconda elezione di Hamid Karzai, esse furono 42.500,
di cui 11.000 civili (7.500 vittime delle truppe di occupazione e 3500
degli attacchi talebani), più 6000 tra soldati e agenti di polizia e 2500
guerriglieri72, mentre le sole vittime dei bombardamenti statunitensi
sono state più di 30.000. Sempre secondo il rapporto di Archivio
Disarmo vi sono state altre 20.000 vittime a causa delle conseguenze
delle guerra, dovute alla fame o alle ferite troppo gravi. Nell'anno
2010 l'Afghanistan batté il record negativo di 2079 morti tra i civili,
tra cui molte donne e 739 bambini73
Nonostante i vari aiuti internazionali che l'Afghanistan ha ottenuto (e
ottiene ancora) dagli stati occidentali, la povertà continua a dilagare:
ad esempio l'aspettativa di vita è ancora tra le più basse del pianeta e
la mortalità infantile tra le più alte, «di cui il 60% dei bambini è
malnutrito, meno di un terzo della popolazione non ha l'acqua potabile
e gli analfabeti sono oltre il 70%74». Inoltre nel 2009 mancava un vero
76
e proprio sistema giudiziario (previsto dalla Costituzione) e vi era la
costante lotta contro i narcotrafficanti che controllavano gran parte di
oppio. A proposito di droga, l'oppio non è soltanto venduto, ma viene
anche utilizzato per fuggire dai problemi quotidiani. Il tasso di
tossicodipendenza è alto: l'oppio viene utilizzato indistintamente da
uomini e donne, anziani e ragazzi e vi è anche una bassa percentuale
di genitori che fa provare la droga ai figli piccoli. In diverse parti
dell'Afghanistan sono stati aperti dei centri di recupero dall'United
Nations Office on Drugs and Crime (UNODC), il quale si occupa
anche di monitorare la situazione dell'oppio e dell'eroina. Il problema
della droga va di pari passo con quello relativo al virus dell'HIV: la
sieropositività viene trasmessa con il sangue infetto e con lo scambio
di siringhe, ma anche con la prostituzione, severamente punita in
Afghanistan ma non per questo praticata. È un circolo vizioso che è
diventato comune dopo la caduta dei talebani.
Per concludere, al tempo dei talebani molte persone aderirono alla
loro causa non tanto per questioni ideologiche e religiose, bensì per
una pura esigenza economica. Dopo il 2001 prese avvio il programma
di smobilitazione e le statistiche delle Nazioni Unite hanno messo in
evidenza delle percentuali. Per chi ha aderito a questo programma: il
43% ha fatto la scelta di tornare a fare il contadino, il 25% ha
imparato un mestiere tra carpentiere, sarto o fabbro, il 21% ha avviato
una propria attività commerciale, il 5% è entrato nell'esercito
nazionale afghano o nelle forze di polizia locali e l'1% è tornato
all'insegnamento75. Il programma, partito nel 2003, nel luglio del 2005
ha visto la smobilitazione di 63.380 guerriglieri afghani e la maggior
parte di essi (60.646) erano stati integrati in lavori vari76.
77
3.6 Dalla parte del popolo: il ruolo delle organizzazioni
umanitarie.
78
Nel 1993 l'attivista afghana Suraya Sedeed, autrice del libro “Le
lezioni proibite”, fondò un'associazione umanitaria chiamata Help The
Afghan Children (HTAC), sovvenzionata dalle sostanziose donazioni
degli esuli afghani residenti negli Stati Uniti, dove la stessa Suraya
Sadeed aveva chiesto asilo politico negli anni Ottanta. Questa donna
fu una delle poche attiviste che si avventurò dentro la guerra nel 1995,
proprio dentro la città martoriata di Kabul. Non riuscì a portare a
termine il suo progetto di aiutare la popolazione all'interno della
capitale, poiché preoccupata dai continui razzi lanciati dalle diverse
fazioni. Nonostante questa battuta d'arresto, ella riuscì, con la sua
straordinaria tenacia, ad aiutare i rifugiati in Pakistan e nella valle del
Panchir. A Peshawar andò in aiuto delle persone intrappolate nei
campi profughi fondando una clinica chiamata Aria, abbreviazione di
Ariana, il nome dell'antico impero persiano che in quella regione era
durato un millennio, riuscendo in questo modo a dare assistenza a
circa 2500 profughi al mese. Anche sotto i talebani riuscì a portare
avanti il suo progetto HTAC, quella volta costruendo all'interno dei
seminterrati scuole clandestine femminili.
Durante il regime dei talebani tutti i membri delle Nazioni Unite, i
membri delle varie organizzazioni internazionali furono mandati via,
compresi i membri della Croce Rossa Internazionale. Alcune agenzie
abbandonarono volutamente il territorio, per non dover sottostare agli
ordini dei talebani che imponevano loro di vietare alle donne,
comprese quelle straniere, di lavorare. L'Unione Europa e l'ONU ad
esempio decisero di sospendere gli aiuti umanitari, per poi riprenderli
nel febbraio del 1998, quando un violento terremoto di magnitudo 6.1
della scala Richter colpì il Nord del paese, dove si stimava che fossero
rimaste uccise circa 5000 persone, dunque una persona su quattro. Il
terremoto aveva causato enormi frane che avevano portato via enormi
villaggi in una regione così remota81. In questa occasione furono
portati degli aiuti. Suraya Sadeed se ne occupò ancora una volta
79
personalmente, occupandosi della distribuzione del denaro, mentre i
medici della clinica Aria volarono occasionalmente dal Pakistan
all'Afghanistan per prestare cure ai feriti. Ancora, un altro aiuto delle
varie organizzazioni umanitarie, compresa la Croce Rossa
Internazionale, avvenne in occasione di un altro terremoto, nel mese di
maggio del 1998 nella regione del Badaskhan. Non vi furono
condizioni meteo sfavorevoli, ci furono molti meno morti rispetto al
precedente sisma anche se a crollare fu lo stesso numero di abitazioni.
Le organizzazioni internazionali riuscirono a portare la loro assistenza
donando tende, vestiti e cibo. L'organizzazione HTAC fondò altre due
cliniche: una a Kabul e una nel villaggio di Rostaq, territorio
dell'Alleanza del Nord.
L'Afghanistan, nonostante tutto l'aiuto umanitario ricevuto, così come
quello economico e in più il dispiegamento di forze internazionali con
l'ISAF, rimane uno dei pochi paesi al mondo a vedersi negare i propri
diritti umani. L'United Nations development programme (UNDP) ha
calcolato l'indice di sviluppo umano: la speranza di vita è di poco oltre
40 anni, il tasso di alfabetizzazione è ancora molto basso e riguarda
solo un terzo della popolazione, lo stesso per quanto concerne la
mortalità infantile82. Così come negli anni della guerra, anche ai giorni
nostri i bambini muoiono entro i primi cinque anni di vita per delle
malattie che nel nostro mondo occidentale trovano facilmente una
cura. Ci sono stati alcuni miglioramenti dal punto di vista dei diritti
umani, soprattutto nei confronti delle donne e dal punto di vista
dell'istruzione, ma la stragrande maggioranza della popolazione ha
continuato a vivere in povertà. L'iniziativa Afghanistan Compact della
Nato, un'iniziativa di cooperazione internazionale aveva previsto,
entro il 2010, di portare almeno un quarto della popolazione rurale e la
metà di quella urbana ad avere accesso all'acqua potabile e all'energia
elettrica83. Un risultato che a poco a poco si è riusciti a raggiungere.
82 In http://hdr.undp.org/en/countries/profiles/AFG#
83 E. Giordana, op. cit. p. 67.
80
3.6 1 Il contributo dell'Italia in ambito sanitario: Gino Strada e la
fondazione di Emergency.
81
Gino Strada è stato presente in Afghanistan giù alcuni anni prima la
fondazione di Emergency, durante la guerra civile afghana. Il 25 aprile
del 199287 era presente alla presa di potere della città e la sua presenza
fu fondamentale nel prestare le prime cure ai feriti che celebravano la
vittoria. L'aiuto in questa zona di guerra particolarmente cruenta non fu
certo facile e il più delle volte dovette negoziare per dei cessate il fuoco
di qualche ora al fine di attraversare una linea per prestare assistenza
dall'altra parte88. Non sempre il “cessate il fuoco” veniva concesso: vi
era il pericolo di essere considerati spie o di trovare nuove guardie
armate. In seguito tornò occasionalmente per aiutare la popolazione e
dopo l'invasione statunitense fu uno dei primi medici a recarsi sul posto
per portare aiuto.
I dati del sito ufficiale di Emergency riportano che dal dicembre del
1999 ad oggi (i dati sono del giugno del 2016) sono state curate in
Afghanistan 4.845.000 persone nei centri chirurgici, nel Centro di
maternità, nei posti di Primo pronto soccorso e nei centri sanitari89.
82
CAPITOLO QUARTO
chiunque nel giustificato timore di essere perseguitato per la sua razza, la sua
religione, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue
opinioni politiche, si trova fuori dallo stato di cui possiede la cittadinanza e
non può, o per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto stato;
oppure a chiunque, essendo apolide e trovatosi fuori del suo stato di
domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra
indicato, non vuole ritornarvi1.
83
proprio stato di cittadinanza o all'interno dello stato in cui dimora
abitualmente. Chi è dunque vittima di persecuzione abbandona il
proprio paese e si rifugia in un paese vicino o in un paese di propria
scelta e avanza domanda di protezione internazionale in modo da
ottenere lo status di rifugiato, ma fino a quando la domanda non viene
accettata da parte delle autorità competenti il soggetto viene visto
come richiedente asilo. Nonostante questo il richiedente asilo può
comunque soggiornare nel paese in cui ha avanzato la richiesta, anche
se privo di documenti o soggiorna in maniera irregolare, ma viene
definito rifugiato solo dopo il riconoscimento di detto status. In tale
condizione non può essere attuato il principio del non-refoulement, il
cosiddetto respingimento di una persona verso il luogo dove si
troverebbe ad affrontare un reale rischio di persecuzione.
La definizione di profugo invece è leggermente diversa e non è sancita
dal diritto internazionale. Per il termine “profugo” non c'è una vera e
propria definizione, ma con questo termine si fa riferimento a chi è
costretto a lasciare la propria casa, la propria terra e il proprio paese a
causa di diverse ragioni, che possono essere guerre, fame, povertà o
eventi climatici3. Dal punto di vista della logica internazionale un
evento climatico o ambientale non è sempre prevedibile, mentre il
caso dei conflitti ha origine da ingiustizie politiche e sociali «le cui
conseguenze negative possono essere certamente ridotte al minimo
con un consistente e integrato approccio attraverso il miglioramento e
lo sviluppo di leggi internazionali e il loro effettivo implemento 4». Il
profugo, a differenza del rifugiato, non è in grado di chiedere la
protezione internazionale e la sua condizione, temporanea, termina
quando cessa la situazione avversa nel paese di origine.
Nel caso dell'Afghanistan ci sono stati sia profughi, sia rifugiati. I
profughi, in quanto cittadini afghani, hanno dovuto lasciare il paese a
84
causa della guerra e della povertà come effetto collaterale, ma anche
come rifugiati fin dal 1978, in quanto vittime di persecuzioni che sono
aumentate nel 1996, anno dell'avanzata dei talebani. Oltre a questi casi
c'è stata anche un'altra categoria, quella degli sfollati, ossia di coloro
che hanno dovuto abbandonare la propria casa e che hanno trovato
rifugio all'interno dei propri confini. Queste persone vengono
identificate con l'acronimo IDP, che significa Internally Displaced
Person. La condizione di rifugiati, profughi e sfollati ha colpito tutti
indistintamente e indiscriminatamente: uomini, donne e bambini,
ragazzi o anziani che hanno subito per decenni le conseguenze della
guerra. Alcuni rifugiati, una volta ottenuto questo status, hanno
continuato a vivere nel paese che ha dato loro accoglienza, mentre i
profughi e gli sfollati hanno dovuto seguire due strade: o tornare in
Afghanistan oppure restare nei campi profughi, anche se non sempre
per propria scelta.
Tra il 1979 e la fine del 2001 l'Afghanistan ebbe il numero più alto al
mondo tra rifugiati e profughi, un numero che comunque è diminuito
con la fine del regime talebano, con un terzo della popolazione che è
stata rimpatriata. Le prime persone che si allontanarono si diressero
nelle regioni del vicino Pakistan e in Iran (mentre una bassa
percentuale si è contata anche in India e in alcuni paesi dell'Europa),
dove solo una minoranza di essi riuscì ad ottenere lo status di
rifugiato.
In Afghanistan il problema dei profughi e dei rifugiati emerse verso la
fine degli anni Settanta del secolo scorso, ossia durante l'inizio del
regime comunista. Infatti, già a partire dalla “Rivoluzione di Saur”
avvenuta nel 1978, alcune persone cominciarono ad abbandonare il
paese. Ancora non si parlava di un vero e proprio esodo: chi era
costretto a lasciare il paese lo faceva per non incorrere in arresti,
85
punizioni o torture dovuti alla loro contrarietà al regime comunista.
Durante i primi tre mesi di regime lasciarono il paese diverse centinaia
di persone. I primi rifugiati consistevano principalmente in parenti di
Daud o altri associati con la famiglia reale5. Dopo che il potere fu
effettivamente preso da Taraki e da Amin il numero dei rifugiati
continuò a salire e si conta che circa 3000 profughi trovarono
assistenza in Pakistan6, un numero che continuò ad aumentare con il
tempo. Davanti a questo esodo massiccio, il nuovo governo comunista
afghano, preoccupato, si mise in contatto con un responsabile
dell'United Nation High Commissioner for Refugees 7 (da ora in poi
UNHCR) per incoraggiare gli afghani a tornare nel proprio paese,
offrendo ai rimpatriati terre da coltivare e piena amnistia 8. L'UNHCR
avrebbe dovuto garantire assistenza in questo ritorno, ma la stessa
organizzazione rifiutò questa iniziativa in quanto: «accettando si
sarebbe compromessa la capacità dell'UNHCR di aiutare in modo
parziale i profughi afghani»9.
All'inizio lasciare il paese non risultò problematico, per lo meno nel
recarsi nei paesi vicini. Inoltre non vi erano guardie del nuovo
governo che cercarono di fermare il flusso10. Vi erano delle sostanziali
differenze tra i profughi che scappavano da Kabul e coloro che invece
scappavano da altre parti del paese: per quanto concerne i residenti a
Kabul nel 1978, per loro la normale procedura di fuga consisteva nel
contattare delle organizzazioni clandestine o uomini specializzati
(khachak bar)11 le quali, a pagamento trasportavano le persone a
5 J. Amstutz, op. cit., p. 224.
6 UNHCR, The State of World's Refugees. Fifty Year of Humanitarian Action,
Oxford, Oxford University Press, 2000, p. 116.
7 Questa organizzazione internazionale in italiano prende il nome di "Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati" e si occupa di dare assistenza agli
sfollati, ai rifugiati e a offrire aiuti concreti a chi intende rimpatriare nel proprio
paese. Fondata il 14 dicembre del 1950, inizialmente aveva un mandato di soli tre
anni e doveva occuparsi solo dei rifugiati. Le sue funzioni sono state poi ampliate e
recentemente ha celebrato i suoi 66 anni di attività. Fonte: https://www.unhcr.it/chi-
siamo/storia
8 J. Eisenberg, "The Boatless People": the UNHCR and Afghan Refugees 1979-
1990, in International History, n. 14, 2013, p. 6.; J. Amstutz, op. cit. p. 226.
9 J. Eisenber, op. cit, p. 6.
10 J. Amstutz, op. cit., p. 224.
11 A. Mahmoud Ulrich, op. cit, p. 82.
86
Peshawar o a Quetta con dei mezzi di fortuna, mentre i profughi
provenienti da altre zone si muovevano a piedi verso i confini 12.
Alcuni preferirono spostarsi in pullman o in aereo, procedura preferita
per chi si muoveva da Kabul a New Delhi, la capitale dell'India che
preferiva i «ricchi rifugiati»13.
Pochi mesi dopo una nuova ondata di profughi si mosse dal paese,
questa volta perché l'invasione sovietica e la conseguente guerra che
ne derivò spinsero alla resa numerosissime persone, che aumentarono
di anno di anno. Una guerra tra mujaheddin e sovietici e cambi di
scena alla presidenza non cambiarono comunque la situazione dei
profughi. Soltanto con il termine della guerra vi fu un primo lento
rimpatrio dei profughi.
Si calcola, secondo fonti dell'UHNCR, che nel periodo compreso tra il
1979 e il 1990 nei principali paesi ospiti il numero dei rifugiati e dei
profughi sia stato questo: nel 1979 402,000 profughi in Pakistan e
100,000 in Iran fino a raggiungere in undici anni milioni di persone
(nel 1990 rispettivamente 3,253,000 e 3,061,000)14. Tra l'altro a partire
dal 1989 cominciò il primo lento rimpatrio, che si concluse nel 1992,
anno della vittoria dei mujaheddin. In quell'anno vi furono consistenti
rimpatri da entrambi i paesi ospiti principali con 1 milione e mezzo di
rimpatriati. All'inizio del 1993, mentre 4 milioni di persone restarono
all'estero, ci fu una decelerazione dei rimpatri, ossia 468,894
rimpatriati con gli sforzi delle Nazioni Unite e 400,000 che tornarono
in Afghanistan volontariamente15.
Durante il regime dei mujaheddin fu quasi del tutto rasa al suolo
Kabul, la capitale. I bombardamenti proseguivano per parecchie ore al
giorno e questo costrinse un'altra volta le persone ad abbandonare le
proprie case: davanti a questa nuova drammaticità una nuova
attenzione venne data ai campi profughi allestiti in alcune città del
12 J. Amstutz, op. cit., p. 224.
13 J. Eisenberg, op. cit. p. 17.
14 UNHCR, The State of the world's refugees.., cit, p. 119.
15 General Assembly, Report Of the UNHCR 1994, in UNHCR, 1994 in
http://www.unhcr.org/excom/unhcrannual/3ae68c3e4/report-united-nations-high-
commissioner-refugees-1994.html
87
paese, quelle città di confine che si fecero carico di accogliere gli
sfollati, in particolar modo Jalalabad. Questa nuova situazione si creò
quando il Pakistan, ad un certo punto della sua storia, decise di
chiudere le frontiere causando una situazione di emergenza nazionale,
che si aggravò ulteriormente in seguito alle violenze, alla mancanza di
cibo e di corrente elettrica che resero intollerabile la vita all'interno del
paese16. A tutto questo si aggiunse la nuova presenza dei talebani
lungo il confine e in particolar modo nella città di Kandahar.
Tra il 1992 e il 1996 il numero andò ancora una volta a scemare a
seguito delle politiche di rimpatrio attuate da entrambi i paesi (Iran e
Pakistan). Il numero degli sfollati interni si aggirò intorno alle 400.000
persone e le organizzazioni umanitarie aprirono diversi campi
principalmente intorno all'area di Jalalabad17. Nel 1992 in Pakistan ci
furono 3,077,000 profughi e in Iran 2,900,000. Quattro anni dopo,
ossia nel 1996, erano rispettivamente di 1,200,000e 1,420,00018.
Nel 1996 i talebani presero Kabul. Anche in questo caso ci furono
ritorni nel paese e rimpatri. Chi scappava lo faceva sia per non
incorrere in torture che per sfuggire alla dilagante crisi economica che
questo regime aveva creato. In questo caso abbandonare il paese
risultò più difficoltoso a causa della costante presenza dei guerriglieri
in tutto il paese e muoversi non era facile in quanto ogni singola cosa
veniva accuratamente ispezionata. Chi riusciva a non incorrere in
arresti durante il tragitto riuscì a trovare riparo nei territori dove
combatteva l'Alleanza del Nord. Un quarto della popolazione di
Kabul e a sud del paese, metà della popolazione di Kandahar era stata
evacuata19.
A partire dal 1996 il Pakistan chiuse ancora una volta le proprie
frontiere e dunque registrò solo i profughi ancora presenti sul proprio
territorio e inoltre registrò solo quelli effettivamente iscritti in un
16 D. W. Haines (Ed), Refugees in America in the 1990s. A reference handbook,
London, Greenwood Press, 1996, p. 66.
17 P. Banerjee, S.B.R. Chaudhury, S. Dumar Das (Ed), Internal Displacement in
South Asia, New Delhi, Sage Publications, 2005, p. 30.
18 UNHCR, The State of the world's refugees.., cit, p. 119.
19 P. Banerjee, S.B.R. Chaudhury, S. Dumar Das (Ed), op. cit,. 39.
88
registro ufficiale delle Nazioni Unite, mentre gli anni precedenti a tale
data riportavano sia i profughi iscritti che quelli non iscritti. Da
sottolineare il fatto che nel mentre centinaia di persone erano andate a
vivere all'interno di abitazioni private. Il Pakistan chiuse le proprie
frontiere almeno fino al 200020.
Nell'ottobre del 2001 scoppiò una nuova guerra che ancora una volta
portò a una nuova drammatica situazione per il popolo afghano. Nuovi
bombardamenti costrinsero ancora alla fuga dalle principali città
migliaia di persone. Ancora difficoltoso risultò l'accesso ai paesi
limitrofi, questa volta in Iran e ancora una volta aumentò il numero
degli sfollati interni. La situazione migliorò leggermente nel 2002
quando alla fuga si sostituì il rimpatrio, questa volta imponente e
gestito dall'Alto Commissariato per i rifugiati. Dal marzo del 2002
fino al 2008 fu facilitato il ritorno di più 4.3 milioni di rifugiati,
provenienti dal Pakistan e dall'Iran21. La città maggiormente colpita
dagli effetti del rimpatrio fu Kabul, la cui crisi economica si aggravò:
il lavoro scarseggiava ma parallelamente aumentò il consumo di
oppio. Per un maggiore aiuto al rimpatrio si fecero carico ancora una
volta le Nazioni Unite, con l'aggiunta dell'ISAF a partire dal 2003. Ma
la crisi economica ha costretto gli afghani ad andarsene ancora una
volta o a continuare a vivere di assistenza economica22.
L'Afghanistan, dal canto suo, ha dimostrato di essere in grado di
assistere in modo efficace il ritorno dei profughi, anche se queste
persone hanno trovato molte difficoltà, ad esempio nell'ottenere
l'accesso alla terra o nel prendere nuovamente possesso delle vecchie
case23. Nonostante le varie politiche di rimpatrio, molti non hanno
fatto ritorno in Afghanistan a causa della paura delle mine, alla paura
20 Ivi, p. 41.
21 In http://www.unhcr.org/49ba2f5e2.pdf
22 La condizione dei profughi afghani non si è fermata, nonostante il vasto
programma di rimpatrio attuato dalle Nazioni Unite. Ancora oggi numerose persone
si trovano in Pakistan, decise a non tornare in Afghanistan, mentre altre si mettono
in marcia verso l'Europa per cercare di raggiungere un posto più sicuro.
23 Human Right Watch (HRW), Unwelcome guest. Iran's violence of Afghan
Refugees and Migrant Rights, United States of America, Human Right Watch,
2013,p. 27.
89
dei bombardamenti o semplicemente perché nei nuovi paesi si erano
fatti una nuova vita. Per quanto concerne il rimpatrio, a partire dal
2002 l'UNHCR ha messo a disposizione 65 dollari a famiglia per
pagarsi il viaggio o per altri indispensabili oggetti, come sapone o
qualche chilo di farina24. Il totale sarebbe aumentato per le donne
vedove e con figli a carico. L'UNHCR ha aiutato anche i profughi una
volta tornati in Afghanistan offrendo loro la cifra di 600 dollari per
riparare la propria casa25.
Chi non riusciva a mettersi in cammino sentiva la nostalgia del
proprio khawk26, termine non propriamente traducibile nella nostra
lingua ma che indica un chiaro riferimento a tutto ciò che ricorda la
propria terra e la propria casa, come la polvere, la sabbia, il suolo.
Anche per chi è nato all'estero, da padre o madre afghana, vi è la
nostalgia del proprio khawi e che, pur non avendolo mai visto, lo
sentono come vissuto perché gli è stato raccontato dai propri parenti.
90
principalmente all'interno dei campi profughi, in tendopoli o
all'interno di baracche di fortuna. Si sono creati un proprio mondo al
loro interno, rafforzato soprattutto dai legami familiari
Per quanto concerne il Pakistan vi è da sottolineare un fatto
importante e se vogliamo problematico: questo paese non ha mai
ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 e il relativo protocollo
addizionale del 1967. A causa di questa mancata ratifica il Pakistan
«non ha avuto alcun obbligo di legge nell'aiutare i rifugiati che
chiedevano asilo nel suo territorio, né con l'UNHCR regolarizzato» 28.
Nonostante questo primo stallo iniziale, il Pakistan ha comunque
accolto un gran numero di persone, mantenendo cordiali i rapporti con
l'Afghanistan, sebbene, si vedrà più avanti, i rapporti non sono sempre
stati collaborativi. Si è pensato che i profughi afghani abbiano causato
problemi alla società pakistana, in particolar modo sulle infrastrutture,
ecologia e inquinamento29 anche se: «c'è da riconoscere che la loro
presenza non ha causato stravolgimenti sociali o un collasso
economico e amministrativo nelle zone dove essi erano collocati»30.
A partire dal 1978 fino al 2010, nonostante alcune limitazioni, il
governo del Pakistan ha fatto del suo meglio per prendersi cura degli
afghani: il record totale dei profughi in questo paese è stato
approssimativamente di «4.4 milioni di entrate, di cui 1.7 milioni
registrati, che hanno potuto godere dei benefici internazionali e oltre
un milione non registrati»31. La maggioranza dei profughi si è stabilita
lungo le regioni di confine, la cosiddetta Federally Administered
Tribal Areas (FATA) e lungo la cui area vive la maggior parte della
popolazione pashtun, che come si è già visto, risulta l'etnia più
numerosa in Afghanistan.
Fin dall'inizio dell'invasione sovietica il Pakistan aprì dei campi
profughi aiutati da alcune organizzazioni internazionali non
governative, ma i primi profughi per poter ricevere assistenza si
28 J. Eisenberg, op. cit, p. 9.
29K. Rehman, F. Mehmood , op. cit, p. 65.
30 Ibidem.
31 K. Rehman, F. Mehmood, op. cit, p. 31.
91
dovettero rivolgere all'United Nations Development Programme
(UNDP)32 e non all'UNHCR. Infatti inizialmente questa
organizzazione non aveva uffici dislocati sul territorio pakistano e
questa situazione durò fino al 1980 quando il governo di Islamabad
richiese formalmente l'assistenza dell'UNHRC sul proprio territorio, la
quale in quell'anno riuscì inizialmente a raccogliere più di 15 milioni
di dollari per assistere i profughi33. Si fece tutto questo per una ragione
puramente umanitaria e non politica. Un'altra organizzazione attiva nel
primo periodo fu la Croce Rossa Internazionale.
Fino al 1992 gli aiuti proseguirono senza sosta, ma dopo questa data
andarono a scemare, lasciando il governo di Islamabad in difficoltà in
quanto da solo non poteva provvedere a tutte le necessità dei profughi.
Tra l'altro una minoranza di essi aveva già lasciato il Pakistan per
tornare nella propria terra nel 1989 e altri si misero in cammino nel
1992, quando i mujaheddin entrarono a Kabul. In quell'anno il
Pakistan esercitò forti pressioni per favorire il ritorno dei profughi in
Afghanistan e da quel momento in avanti questo paese chiuse alcuni
campi profughi, offrendo però incentivi agli afghani che intendessero
tornare a casa e tentò anche diverse volte di chiudere i confini per
coloro che tentarono di rientrare in Pakistan con l'inizio della guerra
civile34, negando l'accesso soprattutto a coloro che erano sprovvisti di
visto. Intanto in Pakistan le Nazioni Unite aprirono delle scuole per
permettere ai bambini e alle bambine l'accesso all'istruzione. Molti
bambini poterono frequentare queste scuole, mentre poche bambine
ebbero accesso, a causa di pratiche culturali e discriminatorie che
resero difficile per molte di loro frequentare queste scuole 35.
L'UNHCR si dissociò dalle scuole private e coraniche, le cosiddette
madrasse36, frequentate solo da giovani ragazzi. In realtà queste scuole
32 UNHCR, The State of the world's refugees.., cit., p 116.
33 Ibidem.
34 P. Banerjee, S.B.R. Chaudhury, S. Dumar Das (Ed) op. cit. p. 31.
35 UNHCR, The State of the world's refugees..., cit, p. 120.
36 «Le scuole furono fondate in larga parte da gruppi ultraconservatori in Arabia
Saudita e leader Pashtun religiosi e conservatori in Pakistan e nel sud
dell'Afghanistan. Essi insegnavano lo studio del Corano e del sacrificio piuttosto
che, per esempio, la matematica o la letteratura. Le madrasse dimostravano gruppi
92
furono aperte già a partire dagli anni Ottanta e molti ragazzi che le
frequentarono divennero leader del movimento dei talebani o
comunque abbracciarono la loro causa.
Nel 1995 l'aiuto internazionale cessò sulla base del “donor fatigue”,
che in italiano può essere tradotto come la cessazione dell'aiuto dei
donatori37, molto probabilmente perché il Pakistan appoggiò il regime
dei talebani. Senza l'aiuto delle classiche organizzazioni internazionali
come l'UNHCR, il World Food Programme (WFP) e altre agenzie non
governative minori fu molto difficile per il Pakistan riuscire ad andare
avanti. Una delle prestazioni che le Nazioni Unite riuscirono a fare fu
quella di spedire i rifugiati verso altri paesi del mondo: ad esempio
Stati Uniti, Canada, Europa Occidentale e Australia38 e lo continuò a
fare anche dopo che scoppiò la guerra nel 2001. In ogni caso la
mancanza di cibo spinse gli afghani ad abbandonare i campi profughi
per tentare la fortuna nelle maggiori città pakistane, ma questo causò
numerosi problemi interni al Pakistan:
maturi per il movimento talebano. Agli studenti fu insegnato che la la cura per i
combattimenti tra fazioni e l'illegalità che aveva preso il paese, si trovava nella
creazione di uno stato islamico rigoroso». H. A Ruiz,Afghanistan:conflict and
displacement 1978 to 2001 in
http://www.fmreview.org/sites/fmr/files/FMRdownloads/en/FMRpdfs/FMR13/fmr1
3.3.pdf
37 P. Banerjee, S.B.R. Chaudhury, S. Dumar Das (Ed), op. cit, p. 64.
38 K. Rehman, F. Mehmood, op. cit, p. 80.
39 H. A. Ruiz, op. cit, p. 10.
93
4.3 2 Come ospiti indesiderati: l'Iran e le controversie.
94
l'organizzazione venne estromessa dall'Iran. La prima ragione di
questo cambio di vedute va ricercata sempre nell'anno 1979, anno
della Rivoluzione Iraniana, che portò a un inasprimento delle relazioni
tra il nuovo governo islamico e gli stati dell'Occidente. A questo si
aggiunse anche l'episodio dell'ambasciata a Teheran, la capitale
dell'Iran, quando soltanto un mese prima dell'invasione sovietica in
Afghanistan degli studenti radicali sequestrarono dozzine di ostaggi
statunitensi. Da quel momento in poi il Pakistan aiutò i profughi
afghani «da solo e con orgoglio»44. Nonostante l'euforia iniziale l'Iran
si trovò catapultato in una nuova guerra, scoppiata contro l'Iraq nel
1980 che costrinse il governo iraniano a chiedere nuovamente aiuto
internazionale, a causa di un nuovo massiccio arrivo dei profughi. I
finanziamenti arrivarono 3 anni dopo e in maniera abbastanza esigua.
Questa è un'altra differenza con il Pakistan: per questo paese vennero
concessi aiuti praticamente da subito e sin dall'inizio furono
abbastanza consistenti, mentre all'Iran andò solo un milione di dollari
nel 1983 e 5000 tende45, che portarono a un vero fallimento in quanto
una cooperazione vera e propria con l'UHNCR non era stata ripresa
ancora e questo rendeva problematiche le operazioni di aiuto e la
scarsità di fondi. Per ovviare il problema si raggiunse un'intesa tra i
vertici dell'organizzazione e il governo iraniano e nell'estate del 1984
poté riprendere la collaborazione. Fino al 1989 l'Iran accolse quasi 3
milioni di persone46.
Nel 1992 l'Iran incoraggiò gli afghani a tornare nel proprio paese,
spesso attuando misure repressive, come ad esempio: «attivazione di
procedure onerose per rinnovare il permesso di soggiorno, il rifiuto di
registrare i nuovi arrivati come rifugiati e la negazione dei servizi
pubblici agli afghani registrati che già godevano dei benefici» 47.
Dunque, mentre in Afghanistan infiammava la guerra civile, in Iran le
forze di polizia attuavano abusi ed espulsioni nei confronti dei
44 Ivi, p. 11.
45 J. Eisenberg, op. cit., p. 12.
46 UNHCR, The state of the World's Refugees.., cit, p. 119.
47 Human Right Watch, op. cit, p. 4.
95
profughi che vivevano clandestinamente nel proprio territorio. A
partire dal 1993 circa 600 mila afghani tornarono in patria, di cui 300
mila lo fecero con il programma di rimpatrio attuato dall'UNHCR48.
Fino al 1996 in Afghanistan tornarono dall'Iran 1.336.000 persone49,
con più ritorni spontanei che assistiti, dovuti alla politica di terrore. Fu
anche rafforzato il confine, una situazione che proseguì con i talebani
in Afghanistan e che non permise l'attuazione delle domande d'asilo.
In Iran in particolar modo le forze di sicurezza iraniane compirono
delle violazioni nei confronti dei minori non accompagnati, nei
confronti di lavoratori migranti afghani e deportati 50, violando la
Convenzione di Ginevra del 1951.
Un'altra collaborazione con le Nazioni Unite avvenne nel 1998,
quando furono proseguite le attività di rimpatrio. Oltre a questa forma
di collaborazione ce n'era un'altra che prevedeva che la comunità
internazionale facesse una selezione dei rifugiati, in modo da
permettere loro protezione e di evitare il confinamento all'interno di
appositi campi51, e inoltre si preoccupò di garantire ai rifugiati
registrati ufficialmente di rimanere nelle apposite aree. Nonostante
l'accordo raggiunto e i numerosi rimpatri, la situazione si fece
nuovamente tesa nel 2001, quando l'Iran ancora una volta «sigillò» le
proprie frontiere, in quanto era «praticamente impossibile accettare i
nuovi afghani»52. Infatti dal punto di vista dell'accoglienza, il numero
dei profughi cominciò ad essere in costante calo, ma si attuarono delle
misure permissive nei confronti degli afghani legalmente residenti nel
territorio. Ad esempio nel 2003 fu introdotto un sistema conosciuto
come “Amayesh” (che significa logistica o preparazione), approvato
poi dall'UNHCR. Si trattava sostanzialmente di una carta, a
pagamento e rinnovabile, la quale registrò nuovamente gli afghani
96
arrivati nel periodo compreso tra il 1980 e il 1990, garantendo loro lo
status di rifugiati sotto la tutela internazionale53 e dunque li
proteggeva da un'eventuale cessazione del loro status da parte delle
autorità iraniane54. Inoltre la registrazione in questo sistema comportò
buone possibilità di accedere al mondo del lavoro o di prendere la
residenza, ma chi non aveva la carta Amayesh veniva considerato
come un immigrato irregolare. La maggior parte di loro veniva
arrestato e deportato in Afghanistan, ma prima della deportazione
dovevano subire abusi fisici e maltrattamenti e lungo la via verso
“casa” privati dei loro beni55, nel deserto iraniano.
Una carta di questo tipo risultò quasi impossibile per i nuovi rifugiati
afghani, dunque tra il 2003 e il 2010 ci furono poche richieste di asilo
e più espulsioni, ma l'Iran ancora adesso si trova a dover affrontare
situazioni drammatiche, come una crisi economica che «ha reso
impossibile la rivendicazione dello status di rifugiato che avrebbe dato
ai profughi diritti giuridici internazionali, accesso agli studi, cure
mediche ed istruzione»56.
Gli Stati Uniti e alcuni paesi europei venivano scelti in base a due
collegamenti: il primo consisteva nel scegliere il paese che avrebbe
permesso loro maggiori possibilità di lavoro e il secondo per stabilirsi
in un paese dove un membro della famiglia aveva già trovato
assistenza57, anche se il sogno preferito rimaneva quello di vivere
negli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti diedero il proprio contributo accogliendo rifugiati
53 Ivi, p. 5.
54 Essendo una carta riconosciuta a livello internazionale essa cessa per alcuni
motivi come: mancata registrazione, mancato pagamento e mancanza dei requisiti
che hanno portato alla sua autorizzazione. Il mancato rinnovo comporta l'espulsione
dal paese.
55 HRW, op. cit, p. 76.
56 T.Ciavardini, Rifugiati afghani in Iran in Q Code Mag, 2003 in
http://www.qcodemag.it/2013/12/11/rifugiati-afghani-iran/
57 D. W. Haines (Ed), op. cit, p. 68.
97
afghani a partire dagli anni Ottanta dove, tra il 1980 e il 1989,
arrivarono all'anno tra le 2,000 e le 4,000 persone 58. Nel 1994 fu
formata una vera e propria comunità afghana, infatti circa 75.000
persone avevano trovato accoglienza come rifugiati, in particolar
modo la città di San Francisco deteneva la più alta percentuale con il
67% delle presenze59. Il ricongiungimento familiare in questo caso
comportò un'elevata presenza di afghani. L'arrivo negli Stati Uniti non
era sempre diretto, prima di arrivare nel continente americano gli
afghani transitavano in Europa, dove il paese in cui ricevettero
maggior assistenza era l'allora Repubblica Federale Tedesca 60. Chi
arrivava negli Stati Uniti era principalmente un insegnante, un medico
o un avvocato e se queste professioni avevano permesso agli afghani
di vivere economicamente bene in Afghanistan prima dell'inizio della
guerra, trovarsi in un paese diverso e condurre una vita diversa e al di
sotto delle aspettative non fu certo facile. Dal 1996 fino al 2001
l'Ufficio Immigrazione degli Stati Uniti registrò che gli arrivi degli
afghani si attestarono dai 40 ai 60 all'anno61, dovuti soprattutto ai
ricongiungimenti familiari. Il numero dei rifugiati è tornato a crescere
nel 1999 a seguito delle politiche oppressive dei talebani e anche dopo
il 2001 si è registrata una leggera crescita.
Per quanto concerne l'Italia, anch'essa ha accolto dei rifugiati afghani,
ma in misura minore rispetto agli Stati Uniti e agli altri paesi. Tra
l'altro nel nostro paese trovarono rifugio l'ex re Zahir Shah e i membri
della famiglia reale, a partire dal 1973. L'ex monarca afghano morì a
Kabul nel 2007, dopo aver trascorso trentacinque anni a Roma. Sulla
condizione degli afghani in Italia non si hanno fonti certe. Tra il 1952
e il 1989 l'Italia accolse 122.362 richiedenti asilo e di questi 35
richiedenti asilo erano afghani, i quali viaggiarono attraverso l'Iran e
illegalmente dall'ex Jugoslavia62. La percentuale è cresciuta nel
58 Ivi, p. 63.
59 Ivi, p. 64.
60 R. H. Bayron (Ed)., Multicultual America. An encyclopedia of the Newst
Americans, Santa Barbara, Greenwood, 2011, p. 10.
61 Ibidem.
62 In https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2015/12/Excursus_storico-
98
periodo compreso tra il 1990 e il 1999, in particolar modo nel 1995 i
richiedenti asilo in Italia erano 12.700 e una piccola percentuale di
essi era afghana63. Nel 1999 tra l'altro si formò la prima comunità
afghana a Roma che nel 2010 è andata a toccare le 5000-6000
persone64, e la metà di essi è riuscita ad ottenere la cittadinanza65.
Nonostante il numero dei rifugiati afghani in Italia sia stato minimo, il
nostro paese ha ha aiutato gli sfollati e i rifugiati offrendo il proprio
contributo di 22,5 milioni di euro all'UNHCR, e il contributo di 20
milioni al World Food Programe per la distribuzione di aiuti
alimentari e di beni di prima necessità, in particolare nelle realtà rurali
e isolate66.
statistico_dal_1945_al_1995.pdf
63 G. Godio, Sessant'anni di esilio in "Vie di fuga. Osservatorio permanente sui
rifugiati", 2001 in http://viedifuga.org/sessant-anni-di-esilio/
64 C. Hein, Rifugiati, Vent'anni di storia del diritto di asilo in Italia, Roma, Donzelli
Editore, 2010, p. 205.
65 Fonte: http://www.tuttitalia.it/statistiche/cittadini-stranieri/afghanistan/
66 In http://www.esteri.it/mae/approfondimenti/afghanistan.pdf
99
internazionali, oppure abitazioni di fango. In questi alloggi di fortuna
si svolge la vita quotidiana. La sistemazione non è per sempre, ma
soltanto per un periodo di tempo provvisorio a garantire la cessazione
della situazione che ha portato a questo67.
Prima di arrivare a destinazione c'è sempre un viaggio da compiere,
breve o lungo che sia: per quanto concerne l'Afghanistan il passaggio è
risultato difficoltoso in quanto i profughi si sono ritrovati a dover
attraversare il confine, in un percorso irto di pericoli e posti di blocco.
Per arrivare in Pakistan bisogna attraversare il Passo Khyber o sentieri
minori, ma anche attraversare l'Iran non è lo stesso semplice, perché vi
è il temuto Dasht- I Margo, il Deserto della Morte. I migranti, una
volta giunti al confine, sono stati collocati nei campi profughi.
Nel corso degli anni ne sono stati costruiti più di 300 in Pakistan,
mentre pochi sono stati costruiti in Iran e in Afghanistan (che in
questo paese presero il nome di campi per sfollati).
Per quanto concerne il Pakistan, le città di questo paese maggiormente
interessate dall'esodo furono Quetta e Peshawar68, che tra l'altro fu la
sede dell'UNHCR. In questa città un importante campo profughi fu
quello di Nasir Bagh, che ospitava centinaia di migliaia di persone ed
è da considerarsi il più vecchio, in quanto è stato il primo ad essere
costruito nel 1980 ed è anche il più famoso 69. Le case erano
costruzioni di fango e le tende erano state donate dalle varie
67 UNHCR, The State of the World Refugees.., cit, p. 108.
68 Una testimonianza di Suraya Sadeed, a proposito dei campi profughi a Peshawar
riporta: «A Peshawar un breve tragitto ci portò a destinazione. Il campo si
estendeva davanti a noi come un mare di tende immerse nella luce dorata del
pomeriggio. Montagne grigio chiaro dalle pieghe violette sorgevano in lontananza.
Ma la bellezza severa di quel posto nascondeva un'estrema disperazione». (S.
Sadeed, op. cit. p. 40).
69 La sua popolarità è stata sicuramente resa tale da Sharbat Gula, fotografata a
Nasir Bagh nel 1984 dal celebre fotografo Steve McCurry e poi pubblicata sulla
copertina del National Geographic. La sua foto fece il giro del mondo, ma la sua
identità rimase sconosciuta per ben 17 anni, fino a quando il fotografo decise di
intraprendere una nuova spedizione per andarla a cercare. Dopo tante difficoltà la
trovò nel 2002 in un villaggio sperduto dell'Afghanistan.
100
organizzazioni internazionali, le quali dopo tanti anni si erano ridotte a
stracci. Il campo ospitava: «bambini, uomini senza lavoro, persone
senza cibo o assistenza sanitaria e persone senza case»70. Durante la
Guerra Fredda il campo e le persone sopravvissero grazie ai
consistenti aiuti internazionali, ma in seguito dovettero occuparsene le
ONG minori. Proprio per questo motivo il Pakistan cominciò ad
attuare le politiche di rimpatrio già descritte. Le drammatiche
condizioni hanno portato a uno spopolamento e Nasir Bagh è stato
chiuso nel 2002. Simile destino ha avuto il campo profughi di Jalozai
o Jailuzai, situato anch'esso nella provincia di Peshawar e che ha
ospitato i migranti afghani sempre a partire dall'invasione sovietica.
Arrivò ad ospitare massimo settantamila persone e ne ospitò anche
dopo lo scoppio delle guerra in Afghanistan nel 2001. A Jalozai non
c'erano rifugiati, mancava infatti qualsiasi procedura di registrazione e
le strutture si rivelarono al di sotto degli standard internazionali71.
Anche questo campo è stato chiuso nel 2002 a seguito della più vasta
operazione di rimpatrio, anche se la maggioranza dei profughi che non
è rientrata in Afghanistan è stata collocata in accampamenti vicini. Un
altro campo profughi minore è stato quello di Kacha Garhi, a dieci
chilometri da Peshawar che inizialmente contava 14.000 persone, che
poi crebbero a Settantamila72. Chiuso dopo 27 anni nel 2007, a
differenza degli altri due citati è rimasto aperto un po' più a lungo73.
Anche l'Afghanistan ha avuto la sua parte di campi profughi. Tutto
ebbe inizio negli anni Novanta con la chiusura delle frontiere da parte
del Pakistan, quando furono costruiti campi per gli sfollati a Jalalabad,
altri nell'area intorno a Mazar- i Sharif e vicino alla città di Herat al
confine con l'Iran74, in cui vi trovarono rifugio le persone che
scappavano dai mujaheddin. Al confine con l'Iran ci fu il Maslakh,
101
nella provincia di Herat, il quale arrivò ad ospitare 350.000 persone, in
cui si moriva ogni giorno: molti erano troppo deboli per sopravvivere
ed inoltre si moriva per la fame75. Riguardo alla città di Jalalabad vi
era il campo Hesar Shahee, che significa “il limitare del regno”,
situato in una piana desertica alla periferia della città, in cui erano
intrappolate 100.000 persone76. Un altro campo per sfollati fu costruito
nel 1999 nella piana di Shomali: ospitò 150.000 persone, con solo
trecento case e senza servizi igienici adeguati77. Questa scarsa
condizione portò a una diffusione del tifo. Infine, durante il regime dei
talebani gli sfollati trovarono riparo presso l'ex ambasciata sovietica a
Kabul, la quale arrivò ad ospitare circa 17.000 persone78.
Infine l'Iran il quale è stato tristemente noto per i campi di detenzione,
riservati agli afghani. Vennero definiti come: «veri e propri campi di
concentramento, progettati per umiliare gli afghani e infrangere il loro
orgoglio nazionale»79. I più famigerati erano: Tal-e Shea, AskarAdab e
Safaid Sang80. Al di là di questa triste parentesi, in Iran furono
costruiti pochi campi profughi e la maggior parte degli afghani riuscì a
stabilirsi nelle città, riuscendo a formare veri e propri quartieri
residenziali nelle principali città del paese. Alcuni più importanti sono
stati: Golshahr, il quale viene chiamato dagli iraniani locali Kabul
Shahr, ossia il borgo o la città di Kabul e conta 40 mila abitanti;
Sakhteman o Shahid Rajai; Altaymoor o Sheikh Hassan e ultimo
Hosseinieh-e Heratiha81. Tutti i borghi citati sono situati nella città di
Mashad, una città iraniana vicina al confine con il Turkmekistan e
garantiscono una condizione di vita normale per gli afghani, grazie
anche alla presenza di ospedali, scuole e posti di lavoro.
102
4.4 3 Condizioni di vita al loro interno.
103
utilizzava lo stesso per bere, cucinare e lavarsi85.
Anche nel campo di Maslakh la situazione era insostenibile. Le
condizioni erano rese difficili a causa delle basse temperature: quando
vi erano delle forti nevicate era difficile far arrivare gli aiuti
umanitari86, anche solo per portare cibo e coperte. Con lo scoppio
della guerra del 2001 alle condizioni climatiche avverse si aggiunsero
i bombardamenti che resero molto difficoltoso il raggiungimento in
questo campo da parte degli aiuti umanitari. La sopravvivenza in
questa parte di mondo era difficile e si moriva quotidianamente:
104
venivano avviati al lavoro infantile per aiutare la propria famiglia,
mentre le donne e le bambine subivano quotidianamente il pericolo di
subire violenze fisiche. Inoltre non sempre gli uomini riuscivano a
trovare lavoro e le famiglie vivevano nella costante paura di vedere
rapite le proprie figlie per essere affidate all'esercizio della
prostituzione89. Un'altra situazione dei campi era data dalla criminalità
organizzata e dal consumo di droga, per superare i momenti bui.
Anche gli uomini dovettero sottostare a violenze e intimidazioni
fisiche già a partire dal 1980, quando un gruppo prendeva il controllo
del campo (con il passare del tempo mujaheddin e poi talebani)90.
Per ovviare ai problemi che la vita di un campo profughi conduce,
essenziale è stato l'aiuto delle Nazioni Unite, il quale oltre a donare
consistenti aiuti monetari ha anche cercato di inviare personale
umanitario e sanitario per far condurre alle vittime di queste situazioni
una vita il più possibile normale o se vogliamo migliore. Non soltanto
si è cercato di aiutare gli afghani a tornare nella propria terra, ma, per
chi non è riuscito a tornare in patria sono stati costruiti all'interno degli
appositi campi profughi ospedali, scuole e si è offerta la possibilità di
posti di lavoro.
105
CAPITOLO QUINTO
106
figlio maschio dunque porta «prestigio in famiglia e rende il marito
felice3». Un altro ostacolo, più che da superare lo potremmo definire
come da evitare, è quello di essere date in spose giovanissime,
coniugate in matrimoni forzati e precoci 4 spesso a un uomo molto più
grande di loro per permettere alla famiglia di pagare qualche debito o
di condurre una vita più dignitosa. È il cosiddetto dramma delle
“spose bambine”, una condizione che non interessa soltanto
l'Afghanistan ma anche diversi paesi dell'Asia e dell'Africa. A
proposito del cedere la figlia per un debito, in Afghanistan questa sorta
di “pratica” ha un proprio termine: bad o baad che si rifà ad un'antica
usanza tribale non scritta5, la quale tra l'altro è contraria alla legge
islamica.
In una famiglia tradizionale è raro che una donna possa scegliere il
futuro marito autonomamente, tant'è che una giovane donna può
soltanto sognare di avere un matrimonio senza esternare le proprie
speranze. Per permettere ciò è necessaria una mente molto aperta da
parte dei genitori e dei fratelli maggiori, che devono avere a cuore
soltanto il benessere della ragazza o della donna. Alcune famiglie
possono decidere di mandare le figlie a scuola soltanto per imparare a
leggere e scrivere, altre per permettere loro di studiare ciò che
vogliono per riuscire a realizzare in futuro i propri sogni. Se dunque
una ragazza riesce a evitare un matrimonio combinato 6, allora vi sono
due possibili strade: o accudire la famiglia per il resto dei suoi giorni
oppure cercare un lavoro, una condizione che ha avuto i suoi momenti
di discontinuità nei decenni precedenti, in quanto alla donna non è
3 Ibidem.
4 Una definizione affidabile di "matrimonio precoce" l'ha data l'UNICEF: «I
matrimoni precoci sono le unioni (formalizzate o meno) tra minori di 18 anni, una
realtà che tocca milioni di giovanissimi nel mondo», per poi proseguire: «sposarsi
in età precoce comporta una serie di conseguenze negative per la salute e lo
sviluppo. Al matrimonio precoce segue quasi inesorabilmente l'abbandono
scolastico e una gravidanza altrettanto precoce e dunque pericolosa sia per la neo-
mamma che per il suo bambino» in http://www.unicef.it/doc/4605/matrimoni-
precoci-una-violazione-dei-diritti-umani.htm
5 T. Ferrario, op. cit, p. 120.
6 Tra l'altro viene considerato sposarsi molto saggio sposarsi con un parente stretto,
ad esempio un cugino.
107
sempre stato permesso di lavorare. Ma se nel caso dovesse sposarsi,
allora dovrà occuparsi a tempo pieno del nuovo marito e dei futuri
figli. Al giorno d'oggi non sono rari i casi delle donne che riescono sia
ad occuparsi della casa che a svolgere un lavoro. È il segno di un
Afghanistan più aperto, ma anche profondamente ostacolato, ma di
questo si parlerà nelle pagine seguenti.
Questa prima, breve descrizione fa capire che ci sono delle differenze
tra un uomo e una donna, soprattutto perché al primo sono consentiti
diritti maggiori, ad esempio studiare e cercare un lavoro che gli
consenta di mantenere la famiglia, sia quella composta dai genitori
che quella composta dalla moglie e dai figli o entrambe, anche con
l'aggiunta dei parenti della moglie. All'uomo, come alla donna, non è
consentito di presentarsi dalla donna e chiedere la sua mano. Questo
gesto è consentito solo dalle donne della famiglia e soprattutto dalla
madre che dovrà valutare alcune caratteristiche e qualità, quali, ad
esempio, quella di essere una brava donna di casa o avere un buon
livello di istruzione, i quali possono far alzare il valore della sposa.
Infatti la sposa si compra e il suo prezzo si stabilisce anche in base
all'età e alla bellezza e a seconda del suo status di famiglia. Più l'uomo
è anziano, più alto è il compenso che si può ottenere per una figlia 7.
Quando non vi sono altre possibilità, allora va direttamente l'uomo.
Dunque vi sono dei ruoli complementari: un uomo manda una donna
della famiglia a chiedere la mano di una ragazza o donna, la cui
richiesta verrà accettata dagli uomini della famiglia di lei, sempre per
le stesse caratteristiche: bravo lavoratore, status di famiglia e reddito.
La bellezza di un uomo non viene considerata.
In Afghanistan è accettata la poligamia. L'uomo, soltanto se può
permetterselo, può prendersi più di una moglie, senza che la prima
possa opporsi. In questo modo le mogli vivranno insieme sotto lo
stesso tetto insieme ai figli. Il fatto di prendere una nuova moglie è
umiliante per la prima, ma non costituisce motivo di disonore. Allo
108
stesso tempo è umiliante anche per la seconda moglie, in quanto con
l'uomo che ha sposato si dovrà “godere” la vecchiaia, mentre con la
prima l'uomo ha vissuto la sua gioventù8. Il divorzio è accettato, ma in
questo caso la donna perde tutti i privilegi e i figli verranno affidati al
marito, senza che la donna possa più vederli. Queste situazioni
comportano che anche l'uomo certe volte possa trovarsi vittima di
questo sistema, infatti potrebbe essere coinvolto in un matrimonio che
non ha voluto, non ha cercato, con una moglie che non sente sua. Ma
questa è la tradizionalità in Afghanistan.
Una ragazza può scappare di casa per sfuggire alla tradizionalità. Se
va via volontariamente allora non ci saranno conseguenze. Diverso è il
caso di una ragazza che scappa con l'uomo che ha scelto di amare: per
la famiglia è parecchio umiliante e la stessa ragazza sarà disonorata in
futuro. Una forma di riparazione consiste nel dare una delle sorelle del
ragazzo con cui una giovane è scappata alla famiglia di quest'ultima 9.
Dunque una forma di punizione-riparazione in cui a farne le spese è
un'altra giovane vittima, che non c'entra nulla. Alcune ragazze si
suicidano pur di non sottostare a determinate regole o si danno fuoco:
l'auto-immolazione è purtroppo una pratica molto diffusa soprattutto
nella ricca provincia di Herat10, anche se poi da questa città si è estesa
in tutto il paese11.
Tutto questo appena descritto fa capire cosa si prova a nascere donna
in Afghanistan e le differenze di genere che tutto questo comporta:
esse riguardano soprattutto l'accesso all'istruzione o al mondo del
lavoro. Ancora, possiamo dire che le differenze dipendono dal
contesto sociale di appartenenza: ad esempio nelle aree rurali non vi è
il concetto di identità individuale, a differenza delle aree urbane dove
questo concetto è stato forte per molto tempo12. Nelle aree rurali le
donne vengono incaricate di occuparsi principalmente della famiglia,
8 Ivi, p. 25.
9 T. Ferrario, op. cit, p. 123.
10 Ivi, p. 133.
11 A Kabul la Cooperazione Italiana allo Sviluppo ha creato un centro grandi
ustionati a Esteqlal, dove vengono ricoverate soprattutto le donne.
12 T. Ferrario, op. cit, p. 17.
109
dove magari sono state date in spose fin da giovanissime, mentre nelle
città o periferie le donne hanno avuto una qualche possibilità di scelta.
Anche se questo ragionamento non deve essere seguito alla lettera, in
quanto può darsi che una famiglia considerata più aperta abbia potuto
concedere una chance differente a una figlia che non fosse il
matrimonio precoce. Magari la stessa madre a cui era stato negato
tutto questo in passato, anche se ciò non toglie che la percentuale di
donne analfabete rimane comunque nelle aree rurali13.
Dopo questa lunga introduzione, è il tempo di esaminare la storia delle
donne di queste paese, la quale è un po' particolare: infatti questa è la
storia di una paese che al posto di migliorare è tornato indietro nel
tempo, tanto da farlo diventare uno dei paesi del mondo con i più bassi
indici per quanto riguarda la condizione umana 14 (ad esempio la
mortalità infantile). Cosa è cambiato nel tempo? Per rispondere a
questa domanda di seguito verrà presentata una panoramica del
cambiamento della loro condizione, a partire dal tempo della
monarchia fino ai giorni nostri, con l'analisi di alcune esperienze
negative che le donne afghane hanno dovuto subire nel corso degli
ultimi decenni.
110
questa ventata di modernizzazione.
Dopo la fine del governo di Daud iniziò la fase della “monarchia
costituzionale”, che si aprì con l'innovazione più importante, ossia la
promulgazione della Costituzione16 del 1964 la quale aveva enunciato
pieni diritti alle donne. Nel famoso Titolo tre intitolato “Diritti
fondamentali e doveri della popolazione” vi furono dei pieni
riferimenti ad esse. Ad esempio, il già citato articolo 25 che recitava:
«Le persone dell'Afghanistan, senza alcuna discriminazione o
preferenza, hanno eguali diritti e obblighi di fronte alla legge».
Durante il periodo monarchico le donne godevano di ampie libertà e
potevano addirittura studiare. A tal proposito l'articolo 34 dello stesso
titolo diceva: «L'istruzione è il diritto di ogni cittadino e dovrebbe
essere fornita liberamente da parte dello stato», sottolineando con la
parola «ogni» ancora una volta la parità tra uomini e donne.
Dunque, tra riforme positive emanate nei confronti delle donne,
accesso all'istruzione e anche diritto di voto, l'Afghanistan risultava
abbastanza aperto. Nel 1965 si tennero le prime elezioni parlamentari
libere e a suffragio universale, che, seppur con una scarsa influenza
maggiormente nelle aree rurali, per la prima volta nella storia videro
l'elezione di sole tre donne17. Nello stesso anno venne fondata la
Democratic Organization of Afghan Women (la DOAW)18,
un'associazione che si batteva per promuovere l'istruzione, opporsi ai
matrimoni forzati e al prezzo della sposa, ma che ebbe una propria
connotazione a partire da qualche anno più tardi. Infatti questa
associazione nel 1985 arrivò ad avere circa 51.000 iscritte in 142 sedi
di città e distretti19. Ancora, nel 1971, fu approvata la legge sul
matrimonio che confermava il divieto del prezzo della sposa e la
concessione del divorzio che da quel momento in avanti poterono
111
chiedere anche le donne20. Questa condizione fece aumentare le rivolte
sociali, soprattutto quelle dei rappresentanti religiosi i quali non erano
per nulla favorevoli a questi nuovi cambiamenti.
Spodestato il re, prese il potere come presidente Daud Khan e fu
avviata la forma di governo repubblicana. Daud continuò la visione
aperta e liberale dei diritti della donna. A trarne i maggiori benefici
furono, ancora una volta, le donne che abitavano a Kabul o nei suoi
dintorni, rispetto ad altre che abitavano molto più lontano. Da
sottolineare il fatto che all'epoca dei fatti narrati il burqa21 non era
considerato un capo di abbigliamento obbligatorio, ma piuttosto un
tipo di ornamento, indossato solo dalle donne della casa reale afghana
e dalle donne più tradizionaliste. Il capo di abbigliamento più
utilizzato era lo chador.
Durante la presidenza di Daud, che continuò fino al 1978, le donne
mantennero i loro diritti e le loro libertà: istruzione, diritto di voto e
anche il modo di vestire era totalmente libero. Le studentesse
«potevano indossare la gonna corta, portare grosse acconciature 22» e
sedersi tra i banchi di scuola insieme ai loro compagni di sesso
maschile. Tutto questo contribuì a una generazione di donne in
carriera: medici, avvocatesse e insegnanti, ma questo tipo di carriere
sfortunatamente per alcune di loro, alcuni anni dopo continuarono
all'estero oppure si interruppero del tutto. La Costituzione provvisoria
del 1977 aveva anch'esso previsto dei diritti per le donne nel Capitolo
quattro, dedicato ai “Diritti e Doveri delle persone”.
Il 1977 fu anche un anno importante per le donne afghane, in quanto
vi fu la fondazione della Revolutionary Association of the Women of
112
Afghanistan23 (da ora in poi RAWA), un'associazione clandestina
fondata a Quetta dall'attivista Meena Keshwar Kamal. Questa
associazione, che esiste tutt'oggi, si occupa ancora di dare voce alle
donne afghane e promuove i loro diritti24.
113
dovettero sottostare ai principi tradizionali.
Sulla carta queste riforme furono certamente un bene ma ci fu chi
sollevò delle obiezioni dinanzi a tanta innovazione e questi furono gli
ulama e i mullah, più propensi a una visione dell'Islam tradizionale
che riformista. Infatti per questi rappresentanti religiosi la
sottomissione della donna era un «elemento imprescindibile dei
rapporti sociali ed economici: i matrimoni combinati cementavano i
rapporti tra i gruppi, stabilivano nuove alleanze e risolvevano dispute
locali»27 e da sempre in Afghanistan il prezzo della sposa era fonte
imprescindibile dell'economia locale che riusciva a colmare debiti
fatti o dal padre della sposa o dal futuro marito. Nonostante il nuovo
processo di modernizzazione la maggioranza delle donne viveva in
condizioni di ristrettezza economica ed esse furono escluse dalle
opportunità che la modernizzazione poteva loro offrire28.
In ogni caso le proteste religiose non furono accolte e anzi, Taraki e
Amin si resero disponibili ad applicarle con una certa urgenza, per
migliorare ancora una volta la condizione della popolazione
femminile. A differenza di Daud dunque, non le enunciarono
semplicemente ma le vollero applicare a tutti i costi. Fu a causa di
questa necessità che vennero mandati nelle campagne i funzionari
governativi e decine di consiglieri sovietici, i quali nel marzo del 1979
vennero uccisi nelle campagne intorno alla città di Herat in seguito
allo scoppio delle rivolte. Questo fu un chiaro segnale del fatto che nei
villaggi e nelle campagne non si voleva sottostare ai dettami del
governo e si rifiutava l'emancipazione femminile, soprattutto per il
modo in cui si tentava di imporle. In questo modo si causava
un'interferenza con il potere tradizionale. Le donne avevano cercato di
stravolgere il delicato equilibrio tradizionale di un ordine secolare e
«avevano tentato di scardinare l'intera struttura di dominio sociale,
sfruttamento e oppressione, sui cui si poggiava l'intero impianto della
114
società tribale afghana29».
Intanto nel paese erano scoppiate altre rivolte di carattere religioso,
che portarono il governo a chiedere l'intervento di Mosca. Da
ricordare che durante questo breve lasso di tempo (biennio 1978-
1979) Amin con una trappola fece uccidere Taraki e prese da solo il
potere. Mosca invece fece uccidere Amin e portò al potere Karmal,
precedentemente inviato da Amin come ambasciatore in
Cecoslovacchia.
115
sovietiche, inoltre un piccolo numero di donne lavorava nelle varie
agenzie internazionali, mentre altre continuarono a lavorare sulla
tessitura dei tappeti e sulla produzione artigianale 31. Karmal introdusse
la Costituzione provvisoria del 1980: ben pochi furono i riferimenti
alle donne, in pratica questa Costituzione ricalcava quella del 1977.
Dunque sotto Karmal la situazione femminile rimase ai livelli dei
precedenti governi, seppur leggermente migliorata. A causa dei pochi
miglioramenti l'associazione RAWA si mise in prima fila per
protestare contro il governo, opponendosi sia alle mancate concessioni
del governo, sia all'invasione sovietica in sé32. Contribuì dunque alla
lotta contro l'occupazione sovietica in Afghanistan33.
Con il cambio alla presidenza, Najibullah tentò di cambiare la
situazione approvando la Carta Democratica del 1987, la quale, così
come era avvenuto per la Costituzione del 1964, diede ancora pieni
diritti e libertà alle donne. A proposito del 1987, in quell'anno avvenne
un fatto tragico per la storia della RAWA, ossia l'assassino della sua
fondatrice Meena, a causa delle sue idee politiche «troppo attive34». Fu
un duro colpo per le donne afghane, ma le altre attiviste
dell'organizzazione fecero di tutto per mandare avanti il progetto e
occuparsi delle cliniche e delle strutture femminili che Meena aveva
costruito. D'altro canto la guerra in sé aveva portato a un
«irrigidimento in senso conservatore della società»35, la quale stava
privando le donne di ogni diritto faticosamente raggiunto nel corso
degli ultimi decenni e che sarebbe peggiorato di lì a poco. Questo
perché i mujaheddin erano contrari a qualsiasi forma di
modernizzazione nei confronti delle donne e in particolar modo gli
estremisti islamici pensavano che, a livello di istruzione, soltanto i
maschi potessero frequentare la scuola36.
Si è visto dunque che già a partire da diversi anni le donne, soprattutto
31 E. Rostami-Povey, op. cit, p. 21.
32 G. Watkins, op. cit, p. 37.
33 M. Joya, op. cit, p. 33.
34 G. Watkins, op. cit, p. 37.
35 P. Clammer, op. cit, p. 42.
36 M. Joya, op. cit, p. 34.
116
quelle appartenenti alla classe medio-alta di Kabul, avevano accesso
all'istruzione, al mondo del lavoro e si muovevano senza chador o
burqa. Dunque anche durante l'invasione sovietica vi era libertà di
movimento, ma la minoranza di donne contrastava con la
maggioranza: infatti nei villaggi e nelle zone rurali delle principali
città le donne vivevano in povertà ed erano escluse dal partecipare alla
vita che prometteva vantaggi di carriera o condizioni di lavoro più
agevolate37. Nel Parlamento afghano nel 1990 sedevano sette donne,
ossia 3,7% del totale38.
Una citazione appare importante:
sebbene a tutte le donne sia stato concesso il diritto di voto, a non tutte le
donne è permesso di esercitare questo diritto. Sebbene, teoricamente, le
donne hanno la scelta di non indossare il velo a non tutte le donne è
permesso di compiere tale scelta. Sebbene, teoricamente, a ogni donna
afghana sia concessa un'opportunità di istruzione, non tutte le donne possono
godere di questa opportunità39.
117
dei Diritti umani, il cui articolo 6 era a favore della donna: «La donna
è uguale all'uomo in quanto a dignità umana e ha tanti diritti da godere
quanto obblighi da adempiere; essa ha un proprio stato civile e
indipendenza finanziaria e il diritto di mantenere il proprio nome e
lignaggio»42. Gli eventi della seguente guerra civile e dei talebani
resero invisibile questo articolo e la dignità della donna fu totalmente
annullata.
Gli anni della guerra civile furono molto duri per le donne afghane
poiché rappresentarono una sorta di anteprima di quello che sarebbe
accaduto qualche anno più tardi. Le innumerevoli vittime di questa
guerra portarono a un numero imprecisato di vedove di guerra, orfani
e a un esodo verso i paesi confinanti, il quale esodo aveva inoltre
causato la dispersione di numerose famiglie. Si dice che furono anni
molto duri per le donne afghane in quanto furono le principali vittime
di questo conflitto. Si è già visto come questo si sia svolto
principalmente nella città di Kabul e dunque a farne le spese furono
principalmente le donne che vivevano nella capitale. A causa delle
azioni di guerra morirono per proiettili vaganti, praticamente ovunque:
case, strade, fermate dell'autobus, ma anche mentre si recavano in
moschea, a scuola o mentre erano ricoverate in ospedale 43. Al di fuori
dei combattimenti, la situazione era ben peggiore.
Più che analizzare le vicende che andarono dal 1992 fino al 1996 è
necessario descrivere soprattutto gli effetti negativi che questa
situazione aveva creato: ai crimini della precedente guerra come lo
stupro e le uccisioni, si aggiunsero le torture fisiche e le mutilazioni.
Inoltre fu vietata l'istruzione femminile e venne reso obbligatorio il
118
velo.
Già pochi mesi dopo l'inizio della guerra e la proclamazione dello
“Stato islamico dell'Afghanistan, l'ayatollah Afis Mohseni e Sayed Ali
Javed avevano pubblicamente annunciato una nuova serie di norme o
meglio decreti ultraconservatori44, indicando quali dovevano essere le
caratteristiche dell'abbigliamento femminile. Di seguito alcune delle
caratteristiche dell'ordinanza:
A causa di tutte queste proibizioni, proprio nel maggio del 1992, ossia
nel mese in cui ci fu l'emanazione di questi decreti «il segno più
visibile di cambiamento nelle strade, a parte la presenza di armi, è la
totale scomparsa di donne vestite all'occidentale» 46. Il velo venne
dunque reso obbligatorio, ma alcune donne preferirono indossare il
119
burqa e questo capo di abbigliamento veniva utilizzato anche per non
incorrere in stupri o uccisioni. Nascondersi significava anche sfuggire
a un'eventuale proposta di matrimonio da parte di un mujaheddin:
purtroppo una richiesta del genere non si poteva rifiutare, pena la
condanna a morte della ragazza o donna e di tutta la sua famiglia47.
La situazione precipitò nel 1993, quando l'11 febbraio avvenne un
fatto sconvolgente: il massacro di circa 30,000 hazara in un distretto di
Kabul, dove a farne le spese furono soprattutto le donne di questa
minoranza, nei cui confronti furono compiuti un gran numero di
stupri48 dalle truppe di Sayyaf e Massoud, contro il capo hazara
Mazari. La loro condanna fu semplicemente per una questione
religiosa: infatti appartenendo a questa etnia professano la fede sciita.
Oltre alle donne hazara, centinaia di donne subivano torture e
uccisioni ogni giorno nelle loro case, ma spesso venivano anche
rapite, o per essere date in spose ai comandanti, oppure per essere poi
fatte prostituire oppure ancora per essere abusate sessualmente. Molte
preferivano sfuggire a queste orrende condizioni togliendosi la vita 49
oppure fuggendo dal proprio paese.
L'episodio del 1993 non fu certo l'unico nella storia dello “Stato
Islamico dell'Afghanistan”, ma anche gli anni dal 1994 al 1996 furono
lo stesso carichi di tensione, dove ogni giorno era palpabile la paura
che provavano le donne afghane. Le maggiori sofferenze e torture
fisiche le provarono maggiormente le donne hazara: ad esempio nel
1995, dopo l'assassinio del loro leader Mazari tra 1500 vittime, molte
furono donne50. Al di là dell'importanza dei massacri compiuti a danno
degli hazara, che forse furono tra i massacri che fecero più scalpore,
bisogna annotare la situazione invivibile che erano costrette a subire le
altre donne e giovani ragazze: studiare era diventato molto pericoloso
e dunque calò il tasso di alfabetizzazione. Il lavoro femminile subì un
120
brusco scalo, in quanto la maggioranza degli insegnanti era donna e
avendo paura di lavorare51 non si recava nel posto di lavoro, causando
problemi all'istruzione anche ai ragazzi52. Il tasso totale di
analfabetismo toccò circa il 90% delle ragazze e il 60% dei ragazzi 53.
Conseguenze di questo genere portarono le donne a lasciare il paese.
Parallelamente, nella parte meridionale del paese, le donne stavano
subendo le prime proibizioni imposte dai talebani che nel resto del
paese si sarebbero diffuse soltanto a partire dal 1996. Dunque, «una
forma di violenza diversa rispetto a quella fisica, ma pur sempre
restrittiva della visione della donna54».
51 Da notare che alle donne durante questo periodo non era stato ancora proibito di
lavorare, ma furono soltanto estromesse dai pubblici uffici. Se si recavano nel posto
di lavoro dovevano semplicemente rispettare il decreto imposto dai mujaheddin.
Fonte: http://www.afghan-web.com/woman/afghanwomenhistory.html.
52 E. Rostami-Povey, op. cit, p. 25.
53 Cfr A. Rashid, op. cit, p. 135; E. Rostami-Povey, op. cit, p. 25.
54 S. Frederik, Rape: weapon of terror, River Edge, Global Publishing Co. Inc,
2001, p. 53.
55 Amnesty International, Women in Afghnistan..., cit, 9.
56 Amnesty International, Afghanistan: Women in Afhanistan: Paw's in men's power
struggles, in Amnesty International, 1999, p. 4 in
121
nel 1978, quando intere famiglie non sapevano che fine avessero fatto
i propri parenti. Tra il 1992 e il 1996 la cosa si ripeté, ma in questo
caso fu molto alta la percentuale di donne. I rapimenti avvenivano
prelevando le vittime dalle loro abitazioni, oppure mentre nelle strade
si recavano a scuola o a lavoro. Una conseguenza dei rapimenti fu
quella di vendere le ragazze per poi farle prostituire 57, anche se questa
è una pratica illegale in Afghanistan in quanto contraria ai precetti
dell'Islam. Per aggirare il problema le ragazze venivano spedite in
Pakistan o in altri paesi58. Comunque a farne le spese non furono
soltanto le donne e le bambine, ma anche i bambini, vittime del dacha
bazi59, letteralmente “il divertimento sui minori” e il quale nome fa
capire che anche i bambini erano costretti a prostituirsi. Le giovani
donne potevano essere rapite per poi essere fatte sposare con dei
mujaheddin. Per evitare questo alcune giovani ragazze preferirono
togliersi la vita. Per esempio, Amnesty International riportò la
testimonianza di un familiare di Nahid, una ragazza di soli 16 anni:
nella metà del 1992 la sua casa fu razziata dalle guardie armate mujaheddin
che erano venute a prenderla. Il padre e la famiglia resistettero. Nahid corse
fino al quinto piano del suo appartamento e si gettò dal balcone. Morì
all'istante60.
https://www.amnesty.org/en/documents/asa11/011/1999/en/
57 S. Frederik, op. cit, p. 52.
58 Amnesty International, Women in Afghnistan..., cit, p. 12.
59 F. Bitani, op. cit, p. 38.
60 Amnesty International, Women in Afghanistan.., cit, p. 9.
122
crimine in Afghanistan, anche se la vittima «spesso è additata come
una prostituta, come se avesse volutamente provocato l'aggressione e
infiammato i lombi dell'uomo che, reso pazzo dalla lussuria, non è
riuscito a controllarsi»61. Anche lo stupratore può essere condannato a
morte, in quanto si tratta pur sempre di un crimine religioso, ma la
vittima principale rimane sempre la donna per «una questione
d'onore»62. A subire le peggiori violenze furono, come è già stato
scritto, le donne di etnia hazara. Non si conosce la percentuale esatta
di donne che furono vittime di tali vessazioni durante la guerra civile,
non vi furono denunce di tal genere all'epoca 63. Per sfuggire alla
vergogna e all'umiliazione che un avvenimento simile comporta nella
vita di una afghana una conseguenza è il suicidio che le “libera” da
questo ricordo, appunto “disonorevole” nella società afghana, ma
spesso ci si toglieva la vita per sfuggire in partenza a questo terribile
crimine64.
123
da uno stretto parente (maschio), ricevono trattamenti medici da dottori
maschi e appaino in pubblico senza essere pienamente coperte66.
124
uomini dal canto loro dovettero rispettare questi decreti. Tra l'altro
furono annunciati regolarmente da Radio Sharia, dunque non vi era
motivo di dimenticarsene. Gli unici che potevano avere un accesso
diretto alle donne erano i parenti stretti, come i padri, i fratelli o il
marito (queste persone prendevano il nome di mahrams o
mahrammat)70. Le donne senza mahram non potevano uscire di casa,
non potevano fare la spesa o recarsi al bagno pubblico (hamman)71. E
ancora: non potevano andare in bici o salire su un taxi senza un
mahram: un tassista che avrebbe trasportato una donna sola sarebbe
stato punito, così come lo sarebbero stati i loro mariti che avrebbero
subito la stessa sorte, soltanto per aver permesso a una donna di
viaggiare da sola72. Chiaramente anche la donna sarebbe stata percossa
in pubblico, così come lo sarebbe stata se non avesse ubbidito ai
dettami religiosi: «qualche volta i talebani volevano picchiare le
donne nelle strade e nessuno poteva farci niente. Le persone dovevano
fermarsi e guardare»73. Si respirava dunque un clima di indifferenza
generale, ma per il semplice fatto che vi era la paura di venire
picchiati a propria volta. Ancora, se una donna era interamente coperta
dal burqa, ma mostrava una caviglia scoperta veniva frustata in quella
parte del corpo o mutilata se a un controllo risultava che sotto il burqa
fosse truccata o portasse lo smalto 74. Un altro grave crimine fu quello
della lapidazione, praticato alle donne adultere e, spesso, al loro
amante. Le esecuzioni avvenivano pubblicamente, ad esempio a Kabul
venivano praticate nello stadio Ghazhi. L'adulterio è considerato un
crimine sessuale o religioso (zina)75, il quale avviene tra una donna (in
questo caso musulmana) e un uomo che non sia suo marito.
Ma, in un Afghanistan lacerato dai conflitti esterni ed interni, è chiaro
che vi fosse un gran numero di vedove. In un paese con vasti legami
familiari come l'Afghanistan, le donne sole venivano prese in carico
70 W. Maley (Ed.), op. cit, p. 145.
71 Dopo pochi mesi dalla presa di Kabul i bagni pubblici vennero chiusi.
72 G. Chiesa, Vauro, op. cit, p. 2.
73 E. Rostami-Povey, op. cit, p. 27.
74 S. Federick, op. cit, p. 53.
75 G. Watkins, op. cit, p. 68.
125
dai genitori della donna o del defunto marito o da qualche fratello di
entrambi. Però, se una donna non fosse stata così fortunata, quale
sarebbe stata la sua sorte, a parte mendicare lungo le strade? La
letteratura descrive di donne sole che lasciarono il paese e trovarono
accoglienza nei campi profughi. La vita per le donne vedove negli
accampamenti di fortuna non fu facile, soprattutto senza un marito o
un altro parente stretto. Fu per questo motivo che nei principali campi
profughi del Pakistan76 o all'interno dell'Afghanistan stesso furono
adibiti i “campi per le vedove”, altamente pericolosi per una donna
sola, la quale sarebbe stata sicuramente vittima di violenze fisiche. Il
nome originale di questi campi fu Zanane bee Sarparat, più
precisamente di «donne non protette77» e in questi luoghi stavano
interamente coperte col velo78.
76 Un dato riferito a questo paese è il campo di Peshawar. (S. Sadeed, op. cit, p.
120).
77 E. Rostami-Povey, op. cit, p. 25.
78 D. W. Haines (Ed), op. cit, p. 67.
79 G. Watkins, op. cit, p. 4.
126
La mancata istruzione era considerata un grosso problema: dalla presa
di Kabul in tre mesi i talebani fecero chiudere parecchie scuole e
anche l'università della capitale, colpendo ancora una volta centinaia
di migliaia di studentesse e insegnanti80 e facendo collassare una
situazione già precaria. Tra l'altro l'UNICEF, già a partire dal 1995
aveva annunciato la sospensione dei suoi programmi di istruzione81
nelle zone sotto il controllo talebano. Sempre l'UNICEF, nel 1998,
emise un preoccupante rapporto in cui, dopo due anni di regime, il
tasso di alfabetizzazione raggiunse minimi storici del 47% per i
maschi e il 15% per le bambine, mentre Carol Bellamy, all'epoca
direttrice generale dell'UNICEF, riferì, sempre nel 1998:
127
talebani provarono ogni sorta di astio nei confronti degli stranieri.
Soltanto ad alcune organizzazioni internazionali era permesso di
restare sul suolo afghano e soltanto donne straniere impegnate in
associazioni a carattere medico avevano il diritto di prestar loro
assistenza84 La comunità internazionale aveva fallito nella mediazione
con i talebani: essi avevano la propria visione restrittiva nei confronti
della donna e la loro argomentazione non poteva essere influenzata da
nessuno. I posti di lavoro femminili che intendeva creare l'ONU e le
scuole che intendeva aprire fallirono, proprio per i motivi giù visti,
ossia per il divieto imposto di lavorare e di studiare. Si compirono
anche dei rapimenti a danno degli stranieri che lavoravano presso le
ONG e le donne straniere dovettero indossare il burqa per rispetto.
Dopo la caduta dei regime dei talebani le donne poterono sentirsi più
libere. Grande fu la gioia e le immagini trasmesse dai mass media
mostrarono donne che si liberavano dal loro simbolo di oppressione: il
burqa. La liberazione dei talebani era costata ancora sangue a causa di
nuova guerra, ma un nuovo presidente promise grandi diritti alle
donne e la nuova Costituzione del 2004 (ancora in vigore) proclamò
nuove grandi enunciazioni sulla carta.
Hamid Karzai fu l'uomo scelto dalla comunità internazionale per
portare avanti le riforme che avrebbero miglioramento sensibilmente
la situazione dell'Afghanistan e delle donne. Inizialmente lavorò come
presidente ad interim e poi come presidente a tutto campo dopo le
elezioni, anche se cercare di ricostruire uno stato a pezzi non fu certo
un compito facile. Nella prima fase della sua presidenza non
avvennero grandi cambiamenti, ma restando in tema femminile, molte
donne ebbero modo di fare la propria campagna elettorale in vista
delle elezioni del 2004 per poi essere elette come parlamentari. Esse
84 Ivi, p.133.
128
riuscirono a vincere la battaglia dei seggi ottenendo un bel risultato,
ossia la quota legale del 25% dei seggi85. L'unica donna che sfidò gli
uomini e si candidò alla presidenza fu il medico Massouda Jalal, ma
ottenne soltanto « l'1,14% dei voti e 191,415 voti» 86, la quale disse di
«non essere felice per come erano andate le cose»87, ma ottenne
comunque la carica di Ministro per gli Affari Femminili. Ci furono
altre donne che ottennero dei posti tra le fila parlamentari, come la
coraggiosa Malalai Joya che denunciò i membri afghani della Wolesy
Jirga, accusati di crimini internazionali e che sedevano nei banchi con
lei. A causa delle sue ferventi proteste venne espulsa e costretta a
vivere sotto scorsa88.
Già prima delle elezioni parlamentari era stata promulgata la
Costituzione, la quale mancava nel paese dal 1992. Durante i lavori
preparatori nel Dicembre del 2003, nella Loya Jirga, il 25% era
composta da delegate89. Gli articoli principali riferiti alle donne si
trovano principalmente nel Titolo due: articolo 22 che indica che tutti i
cittadini, uomini e donne, sono uguali davanti alla legge, articolo 23
relativo alla libertà degli individui, facendo così intendere che le
donne non sarebbero più state perseguitate e obbligate a portare il
velo. Inoltre qualsiasi atto inteso a provocare sofferenza sarebbe stato
punito dalla legge: insomma, con pochi articoli si intendevano
cancellare i periodi buoi che le donne avevano passato sotto il regime
dei talebani. E per cercare di eliminare totalmente i traumi che la
vecchia presenza talebana aveva creato vennero emanati altri due
articoli: l'articolo 33 relativo all'istruzione: « l'Istruzione è il diritto di
tutti i cittadini dell'Afghanistan, il quale deve essere offerto al livello
B.A negli istituti di formazione liberamente a carico dello stato» e
l'articolo 34 relativo invece al miglioramento dell'istruzione
85 HRW, we have the promise of world.. , cit, p. 15.
86 In http://www.globalsecurity.org/military/world/afghanistan/politics-2004.htm
87 In Corriere della Sera:
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2004/10_Ottobre/09/voto.shtml
88 La storia della sua vita, della campagna elettorale, dell'elezione a parlamentare e
delle minacce subite successivamente sono raccontate nel suo libro "Finché avrò
voce. La mia lotta contro i signori della guerra e l'oppressione delle donne afghane".
89 E. Rostami-Povey, op. cit, p. 59.
129
femminile, il quale doveva essere attuato soprattutto per uscire
dall'arretratezza e dall'ignoranza provocata negli ultimi anni. Tra
l'altro per le stesse donne la Costituzione del 2004 aveva elencato
un'altra serie di articoli sulla parità lavorativa tra uomini e donne.
Comunque, nel periodo compreso tra il 2004 e il 2009, non vi furono
così tante acclamazioni. Nel 2009 ci furono nuove elezioni
presidenziali con Hamid Karzai ancora candidato e vincente.
Candidate donne questa volta furono: Frozan Fana e Shahla Ata 90.
Vinse nuovamente Hamid Karzai e per i successivi cinque anni rimase
lui in carica, mentre le due donne riuscirono ad ottenere dei posti alla
Jolesy Jirga.
Dunque, ancora una volta, sulla carta vennero enunciati buoni diritti
alle donne e a vedere i dati che mostrano la situazione dal 2001 fino al
2010 sembrerebbe che soltanto dal punto di vista dell'istruzione ci sia
stato solo un leggero miglioramento, mentre i dati relativi alle
violenze sono sempre stati costanti. L'Afghanistan, nonostante Hamid
Karzai e il nuovo successore Ghani, è un paese ancora in disordine per
ciò che concerne i diritti umani e in particolar modo quelli relativi al
mondo femminile, coadiuvata dal fatto che nel 2009 venne approvata
la “Shia Family Law”, una legge che suscitò molto scalpore perché:
«riferita alla minoranza sciita che obbliga le mogli ad avere rapporti
sessuali con il marito, vieta loro di cercare un lavoro, istruirsi e farsi
visitare dal medico senza il permesso del coniuge»91. Ancora una volta
una legge contro gli hazara, ma soprattutto contro le donne, la quale fa
capire come un miglioramento sia ancora lontano.
5.7 1 Progressi?
90 In http://news.bbc.co.uk/2/hi/south_asia/8173389.stm
91 G. Bresciani, op. cit, p. 96.
130
studenti poterono studiare e il 20% di esse erano bambine92, mentre
nel 2005 il numero fu di 3 milioni di bambini in età scolare e 4 milioni
delle altre scuole93. Aumentando le scuole, soprattutto gestite dalle
varie ONG aumentò parallelamente il numero delle insegnanti. Le
donne poterono finalmente riprendere a lavorare e anche i medici non
ebbero problemi, nonostante lo scarso livello di condizioni
ospedaliere.
La situazione cambiò qualche anno più tardi. Restando in linea con i
dati forniti dall'UNICEF nel 2008:
Due milioni di bambini in età scolare non vanno a scuola (60%) e si stima
che l'1,3 milioni siano ragazze. Secondo i dati del Ministero dell'istruzione
forniti nel 2006, 3.929 scuole non hanno edifici, 535 edifici sono stati
danneggiati e 1.481 scuole hanno bisogno di ulteriori aule. Nel complesso ci
sono 2.219 scuole che hanno edifici utilizzabili94.
131
Dopo il secondo mandato di Karzai nel 2009, alimentato da un nuovo
clima di insubordinazione e minacce da parte dei talebani, l'attenzione
nei confronti dell'istruzione è migliorata. Nel 2011, circa 7,3 milioni di
bambini frequentavano la scuola divisi in 12,740 scuole e 170,000
insegnanti, di cui 51,000 donne97. Un buon miglioramento compiuto
dopo il 2009 e nella nuova epoca Karzai, destinato però a decrescere
lievemente negli anni seguenti a seguito delle minacce.
In queste righe si è parlato soprattutto del ruolo dell'istruzione,
facendo soltanto un piccolo accenno al ruolo lavorativo delle donne,
soprattutto citando le insegnanti. In realtà le donne, dopo che si tolsero
il burqa, cominciarono a chiedere maggiori parità con gli uomini
anche dal punto di vista lavorativo, dopo tanti anni che era stato loro o
vietato, oppure semplicemente evitato per paura di subire ritorsioni. In
un paese che ha visto un maggiore impegno nel processo di
ricostruzione, la maggior parte delle donne ha trovato lavoro presso le
organizzazioni internazionali, con precedenza alle donne che avevano
ottenuto un grado di istruzione superiore. Nel 2006 la percentuale di
donne che prestavano lavoro presso servizi civili era del 31%, mentre
nel 2009 calò al 21,4%98. Il calo vi è stato sia per la già citata paura
delle ritorsioni, sia perché esse hanno dovuto lottare un'altra volta
contro il pregiudizio degli uomini afghani, i quali non vedono di buon
occhio che una donna possa provvedere al sostentamento della
famiglia, specialmente quando l'uomo è impossibilitato a farlo 99. Tutto
questo fa comprendere come l'Afghanistan da una parte abbia tanta
voglia di crescere, ma dall'altro lato trovi degli ostacoli in tutti i suoi
percorsi e si trovi ad essere un paese maschilista, dove chiaramente la
percentuale di uomini che lavorano o studiano è di parecchio superiore
rispetto a quella delle donne.
Le sfide del nuovo millennio per le donne sono le stesse di sempre:
97 Dati UNICEF in
https://www.unicef.org/infobycountry/files/ACO_Education_Factsheet_-
_November_2011_.pdf
98 HRW, we are the promise of the world.. cit, p. 15.
99 E. Rostami-Povey, op. cit, p. 48.
132
devono combattere contro le proprie famiglie per poter studiare, per
poter lavorare e per cercare di avere un futuro migliore. E se riescono
ad ottenere il consenso da parte delle famiglie devono ancora lottare,
contro i rapimenti, contro gli stupri e ancora contro i matrimoni forzati
imposti dalle famiglie. Non si sono nemmeno fermati i suicidi o i casi
di auto-immolazione. Già, perché nonostante il cambiamento del
paese dal punto di vista economico, i crimini nei confronti delle donne
sono mai cessati e nel 2008 HRW, a fronte di un'intervista a 4,700
donne, riferiva che un'alta percentuale dell'87% delle intervistate
aveva effettivamente subito violenza fisica o psicologica 100. Nel 2009
Karzai firmò un decreto presidenziale su una legge intitolata:
“l'eliminazione della violenza contro le donne”101 ma le violenze non
sono cessate, soprattutto quelle familiari: le donne afghane vengono
picchiate regolarmente dal proprio padre, fratello o marito e, come se
non bastasse «finiscono in prigione per futili ragioni e vengono uccise
per un capriccio del coniuge o la ripicca dei familiari»102. Nel 2007 è
stata costruita la nuova prigione femminile della capitale, grazie
all'ennesimo contributo dell'Italia103, la “Kabul Female Detention
Center”, senza nessuna promiscuità con uomini. Sono rinchiuse donne
che hanno disubbidito alla legge afghana: coloro che sono scappate di
casa, sposate senza consenso del padre o le donne adultere, donne
rinchiuse perché magari i mariti sospettano che i figli in grembo non
siano i loro.
Per concludere: «in sostanza sono vittime innocenti di un sistema
misogino»104.
133
CONCLUSIONI E RIFLESSIONI
134
presa di posizione da parte sua. È ancora presto per parlare, ma a un
solo mese dal suo insediamento ha dovuto affrontare altre priorità. Per
quanto concerne l'Italia, il nostro ministro della difesa Roberta Pinotti
ha detto, giusto qualche settimana fa, che intende proseguire: «Le
nostre truppe si stanno spostando anche a Farah per ampliare
l'addestramento degli afghani. Non c'è dubbio che in Afghanistan la
situazione sia ancora luci e ombre»3. Per il momento non si sa ancora
quale sarà il futuro dell'Afghanistan nei prossimi anni.
Sempre negli ultimi anni sono cresciute le ribellioni antigovernative e
i talebani hanno causato più di un problema al paese. La popolazione
ha paura di un eventuale e completo ritiro dei militari stranieri: una
situazione di questo tipo potrebbe avere una sorta di effetto ricaduta e
culminare nella triste esperienza della guerra civile degli anni Novanta
o direttamente in un nuovo regime talebano. Viene difficile da pensare
che un «Afghanistan agli afghani»4 possa avere in qualche modo un
destino diverso. Se dovesse capitare un probabile evento di questo
tipo, la comunità internazionale non dovrà stare a guardare e le
organizzazioni umanitarie dovranno dare il massimo nell'aiutare la
popolazione.
Al di là di questi catastrofici pensieri, andiamo verso la fine: la nuova
situazione dei talebani contro il governo crea ogni giorno nuove
vittime, indipendentemente dall'etnia e dal sesso. La situazione di
donne, uomini e bambini continua a non essere rispettata. Le
organizzazioni umanitarie continuano ad aiutare la popolazione e il
loro contributo continua a essere di fondamentale importanza. Negli
ultimi anni sono aumentati i rischi di rapimenti a danno di stranieri,
soprattutto nelle zone controllate dai talebani. Viaggiare in
Afghanistan è totalmente rischioso e le ambasciate non rilasciano
facilmente visti.
Per quanto riguarda i rifugiati, essi continuano a lasciare il paese,
135
seppur non raggiungendo i massimi livelli dei decenni precedenti:
oggi trovano accoglienza in paesi come Australia e Germania. Alcuni
riescono ad arrivare anche in Italia dopo un lunghissimo viaggio,
passando dal Pakistan e attraversando mezza Asia. Il Pakistan da un
anno a questa parte ha attuato delle nuove politiche di espulsione nei
confronti dei rifugiati afghani. La denuncia è partita da HRW: «il
Pakistan da luglio 2016 avrebbe messo in atto il più grande rientro
forzato in massa del mondo di rifugiati degli ultimi anni» 5 con abusi e
minacce per costringerli a lasciare il paese. A distanza di anni la
popolazione afghana si trova a dover affrontare le solite situazioni di
sempre.
Infine le donne. Essere donna in Afghanistan risulta ancora un
problema. Nonostante i cambiamenti dal punto di vista lavorativo e
istruttivo analizzati nel quinto capitolo, le donne afghane si trovano a
dover fare i conti con dei problemi di salute causati dalla carenza di
strutture ospedaliere: «l'organizzazione Save the Children ha
dichiarato che l'Afghanistan è il peggior posto al mondo dove partorire
seguito da Niger e Ciad»6. Oltre ai problemi legati al parto, le donne
devono affrontare quotidianamente problemi legati al fatto di essere
nate donne. Ma probabilmente in Afghanistan non si penserà mai in
modo diverso, nonostante i piccoli progressi compiuti.
A proposito di donne, mi viene in mente il passo di un romanzo:
136
montagne e che, a partire da quel preciso momento, non dovranno
combattere più7.
7 S.Shakib, Afghanistan. Dove Dio viene solo per piangere, Casale Monferrato,
Piemme, 2004, p. 97.
8 Ibidem.
137
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