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MARTHA A.

ACKELSBERG

tubiere/
* libre/

L’attualità della lotta delle donne


anarchiche nella rivoluzione spagnola
M A R TH A A. A C K E L S B E R G

Professoressa di Scienze
Politiche presso l’Università
dell’Indiana, negli USA, e
componente del W om en’s
Studies Program C om m ittee
dello Smith College, dove tiene
corsi di teoria politica, politica
urbana, militanza e teoria
femminista, Martha Ackelsberg
ha pubblicato articoli su
Mujeres Libres e sulle donne
nel movimento anarchico
spagnolo in riviste e giornali
(.Feminist Studies, Radicai
America, O ur Generation,
International Labour and
Working Class History e
Com m unal Societies ). I suoi
lavori fanno parte di numerose
antologie sulla militanza politica
delle donne negli Stati Uniti, sul
femminismo ebraico e sul
processo di cambiamento
delle strutture familiari.

Elaborazione grafica di
Mariella Bernardini
Collana
D onne e movim enti
Titolo dell’edizione originale:

“Free woman of Spain”


Anarchism and the Struggle for the Emancipation of Women
Indiana University Press, 1991

Traduzione di Arianna Fiore


dall’edizione spagnola: “Mujeres Libres. El anarquismo y
la lucha por la emancipación de las mujeres”
Virus editorial, septiembre de 1999
Martha A.Ackelsberg

intrierez
v libre/
L’attualità della lotta delle donne
anarchiche nella rivoluzione spagnola
In copertina:
elaborazione grafica
di Mariella Bernardini

Pubblicazione a cura dell’associazione


‘Umanità Nova’ - Reggio Emilia
Prima edizione italiana
Febbraio 2005

Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma,


per proposte di nuove pubblicazioni:

Autogestione
Casella Postale 17127 - 20170 Milano
Tel/fax 02 2551994
e-mail: zeroinc@tin.it

Il catalogo elettronico è disponibile al sito:


www.federazioneanarchica.org/zic/

4
Indice

Inno di Mujeres Libres di Lucía Sánchez Saornil 9


Prefazione all’edizione italiana di Arianna Fiore 11
Prefazione all’edizione spagnola di Martha A.Ackelsberg 13
Ringraziamenti 19
Abbreviazioni 25
Introduzione 27

Capitolo I
La rivoluzione anarchica e la liberazione delle donne 51
Dominio e subordinazione 54
Comunità ed uguaglianza 59
La sessualità e la subordinazione delle donne 65
Trasformazione rivoluzionaria: coerenza di mezzi e fini 76
L ’azione diretta 78
Preparazione 81

Capitolo II
La mobilitazione della comunità e l’organizzazione sindacale 89
Le donne e il movimento anarchico spagnolo
I precursori: regionalismo, collettivismo e azioni diprotesta 91
Anarchismo, anarco-sindacalismo e mobilitazione popolare 99
L’educazione come preparazione 118
Centri culturali e alfabetizzazione 119
L’educazione come empowerment 127

5
Capitolo III
Guerra civile e rivoluzione sociale 131
La Repubblica e il Fronte Popolare
Ribellione e rivoluzione 134
Le Milizie 137
Rivoluzione popolare e collettivizzazione 143
La collettivizzazione industriale 147
La collettivizzazione rurale 154
Consolidamento politico e controrivoluzione 162

Capitolo IV
La fondazione di Mujeres Libres 171
Il movimento anarco-sindacalista e la subordinazione delle donne 171
Organizzando le donne: i primi passi 178
Il decollo dell’organizzazione 186

Capitolo V
L ’educazione per Vempowerment 205
La preparazione come rivoluzione
Programmi educativi 210
Inserimento lavorativo e programmi di formazione professionale 216
Presa di coscienza e appoggio alla militanza femminile 223
Maternità 227
L’educazione dei figli 231
Sessualità 234
Programmi per rifugiati e servizi sociali 244

Capitolo VI
Separate e eguali? 249
Dilemmi della mobilitazione rivoluzionaria 249
Relazioni con le altre organizzazioni di donne 250
Il movimento libertario 256
Il segretariato femminile della FIJL 265
Il Plenum del movimento libertario, ottobre 1938 269

6
Conclusione
La comunità e Vempowerment delle donne 279
“I codardi non fanno la storia”: un lascito di empowerment 280
Differenza, diversità e comunità 287
La differenza di genere. Una politica differente? 288
Mujeres Libres e la politica della differenza 297
Dalla "differenza” alla “diversità” 301
Verso una nuova concezione della politica 304

Appendice A
Schema dell’organizzazione della CNT 311

Appendice B
Pubblicazioni di Mujeres Libres 313

Appendice C
Progetto per la creazione
di una fabbrica di matrimoni in serie 315

Appendice D
Intervista a Martha A.Ackelsberg:
cultura anarchica e critica femminista 317
a cura di Rebecca De Witt

Indice dei nomi 323

7
Alle compagne di Mujeres Libres, con solidarietà.
La lotta continua.

8
Inno di Mujeres Libres
Lucía Sánchez Saornil
Valenza, 1937

Puño en alto mujeres de Iberia Pugno levato donne iberiche


Hacia orizontes preñados de luz Verso orizzonti gravidi di luce
Por rutas ardientes, Per strade roventi,
los pies en la tierra con i piedi per terra
la frente en lo azul. e la fronte al cielo.

Afirmando promesas de vida Proclamando promesse di vita


Desafiamos la tradición Sfidiamo la tradizione
Modelemos la arcilla caliente Modelliamo la calda argilla
De un mundo que nace del dolor. Di un mondo che nasce dal dolore.

¡Qué el pasado se hunda en la nada! Che il passato sprofondi nel nulla!


¡Qué nos importa del ayer! Che ci importa di ciò che è stato!
Queremos escribir de nuevo Vogliamo riscrivere
La palabra MUJER. La parola DONNA.

Puño en alto mujeres del mundo Pugno levato donne del mondo
Hacia orizontes preñados de luz, Verso orizzonti gravidi di luce
por rutas ardientes adelante, Per strade roventi, avanti, avanti,
adelante, de cara a la luz. con lo sguardo rivolto alla luce.

9
Prefazione all’edizione italiana
di Arianna Fiore

Nel 1936 scoppia in Spagna una guerra civile tenibile, violenta


e destinata a durare per tre anni. Tre anni lunghi, non facili in cui
ogni persona si trova a dover fare i conti con la storia, a volte la
Storia con la “S” maiuscola, quella delle guerre, delle truppe mili­
tari, degli interventi internazionali, ma sempre più spesso, quoti­
dianamente, con la storia con la “s” minuscola, la intrahistoria una-
muniana, quella fatta dagli uomini senza voce.
Con Mujeres Libres Martha Ackelsberg riesce a dare di nuovo la
parola alle donne che nel 1936 si presero questo diritto con la forza,
lo conquistarono sul campo giorno per giorno. La storiografia rie­
sce finalmente a colmare una delle numerose lacune tuttora pre­
senti nelle analisi del conflitto spagnolo.
Perché anche se sono stati moltissimi i testi volti all’analisi di
uno o più aspetti del periodo si è comunque accentuata la tendenza
a non approfondire i movimenti delle persone più emarginate dal
vero e proprio contesto bellico, protagoniste però a pieno diritto
della rivoluzione sociale.
Mujeres Libres è infatti il nome di un gruppo di donne libertarie
dedito alla liberazione della donna dalla sua triplice forma di schia­
vitù, schiavitù dall’ignoranza, schiavitù in quanto donna e come
produttrice.
E se i vari tentativi pratici furono principalmente indirizzati al
primo di questi obiettivi (con scuole serali, di alfabetizzazione, pro­
fessionali, etc...) fu soprattutto il secondo ad incontrare maggiore
resistenza anche all’interno dello stesso movimento libertario spa­
gnolo, deciso sì ad una rivoluzione sociale in termini generali ma

11
poco pronto e propenso ad accettare uno sconvolgimento di ruoli
ormai fossilizzati da secoli di consuetudine all’interno delle loro
case.
Le difficoltà di allora si riproducono anche oggi: non sono nu­
merosi gli studi che trattano aspetti spinosi, irrisolti e comunque di
una grande attualità.
Martha Ackelsberg ha avuto il coraggio e la forza di vedere e
sostenere l’attualità della loro lotta, di portare avanti il coraggio
delle locas (le matte, come venivano chiamate in quei giorni di lotta
dai loro compagni libertari).
La terminologia ed il metodo d’analisi risultano di grande attua­
lità per il lettore con una qualche familiarità con il lessico femmi­
nista contemporaneo degli Stati Uniti d’America.
Alcune volte le scelte di traduzione sono state vincolate da una
dipendenza terminologica al movimento femminista statunitense, e
come nel caso di empowerment si è preferito evitare una traduzione
che avrebbe sacrificato purtroppo uno degli aspetti semantici del
termine.
E curioso notare con quanto successo sia stato applicato a un
movimento di emancipazione femminile libertario spagnolo della
prima metà del 1900 la terminologia nata con le prime battaglie
degli anni ’70 negli USA, anche perché sono le stesse Mujeres Li-
bres a rifiutare con ostinazione l’etichetta di femministe.
Infine vorrei sottolineare l’aspetto più vitale e creativo del testo
della Ackelsberg: l’oralità che l’autrice è riuscita a mantenere. Gra­
zie alla trascrizione di incontri, chiacchierate, confidenze che le
stesse Mujeres Libres le hanno rilasciato durante i suoi viaggi in
Spagna.
Intervallate da analisi critiche, storiche e sociali, ci sono infatti le
loro vite, i loro ricordi, in cui non accenna a spegnersi la forza e
l’entusiasmo di quegli anni di rivoluzione.
Le scelte di traduzione hanno voluto mantenere il più possibile la
spontaneità del dialogo, la voglia di recuperare appunto quella voce
che negli anni d’esilio in molti avevano cercato di soffocare.
L’emozione rivive nelle loro voci, e grazie alla Ackelsberg,
anche nelle pagine di questo libro.

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Prefazione all’edizione spagnola
di Martha A. Ackelsberg

La traduzione e la pubblicazione di questo libro provocano in


me allo stesso tempo gioia e tristezza. Sono felice che finalmente
sia accessibile alle donne di cui parla ma mi rattrista che purtroppo
tante di loro siano morte prima di avere avuto l’opportunità di ve­
dere questa edizione e di poterla leggere. Mi rimane la consola­
zione che almeno potrà essere a disposizione delle nuove genera­
zioni che vogliono scoprire e comprendere il loro passato e quello
dei loro compagni, amici e parenti.
Questo libro è stato scritto per un pubblico statunitense, la sua
struttura ed i suoi riferimenti non saranno, quindi, necessariamente
familiari ai lettori spagnoli. Ma nonostante questo, ho deciso di non
intervenire in modo significativo sul testo originario. Ad eccezione
di qualche correzione alle note e di un’aggiunta al Capitolo III sulle
donne nelle milizie, il testo che vi viene proposto è semplicemente
una traduzione dell’originale. Le ragioni che mi hanno spinta a que­
sta decisione sono due. Da una parte, dopo aver aspettato tanto
tempo per trovare un editore disposto a realizzare la traduzione, ho
preferito che il lavoro fosse concluso nel minor tempo possibile.
Perciò ho deciso di non aggiornare la presente edizione o di riscri­
vere il libro in un qualsiasi altro modo. Per questo, a parte le ecce­
zioni appena segnalate, non include nuovi studi portati a termine
dopo la pubblicazione dell’edizione in lingua inglese del 1991.
Dall’altra parte, riflettendo sul processo di traduzione, mi è sem­
brato che lasciare il testo nella sua forma originaria sarebbe potuto
essere utile per qualcosa di più: “tradurre” e presentare alcuni inte­
ressi, dibattiti e questioni ideologiche del femminismo statunitense

13
ai lettori di lingua spagnola. Così, mentre Free Women ofSpain ha
cercato di spiegare quello che era stato Mujeres Libres alle femmi­
niste degli Stati Uniti, Mujeres Libres, oltre a recuperare la storia di
questo straordinario gruppo di donne per i lettori di lingua spagnola
dei giorni d’oggi, può anche contribuire a spiegare loro alcuni
aspetti del femminismo statunitense.
Questo non vuol dire però che i lettori di questa edizione non
abbiano bisogno di una “traduzione” per comprendere la storia e
l’attività di Mujeres Libres. Come spiegherò nell’introduzione, gli
oltre sessant’anni che sono trascorsi dalla Guerra Civile spagnola
hanno creato un considerevole vuoto culturale. In parte questo
vuoto è un riflesso dell’impatto di quarantanni di repressione fran­
chista, che ha distorto o disdegnato completamente la storia di que­
gli anni. Per questo motivo, ad esempio, in molte occasioni mi sono
trovata a parlare in Spagna di fronte ad un pubblico universitario sul
lavoro che stavo sviluppando, e ho scoperto che erano in tanti a
non sapere nulla della rivoluzione sociale che aveva accompagnato
la Guerra Civile, e che non potevano quindi comprendere l’impor­
tanza degli avvenimenti di cui potevano aver sentito parlare dalle
loro famiglie.
Senza dubbio questo vuoto è anche un risultato degli enormi
cambiamenti sociali, economici e politici che hanno avuto luogo
in Spagna negli anni Trenta (ed anche negli anni Settanta, quando
iniziai la ricerca che diede come risultato questo libro.) Nei primi
anni di questo secolo - come viene analizzato nel Capitolo II - la
Spagna si trovava in un certo senso nelle sue prime fasi di indu­
strializzazione, ed era caratterizzata da quello che oggi viene chia­
mato “sviluppo diseguale”. Molte regioni del paese dipendevano
da un’economia di tipo agricolo scarsamente modernizzata; il li­
vello di analfabetismo era alto; le lotte che si svilupparono attorno
ai sindacati furono spesso feroci; e la politica, specialmente a li­
vello nazionale, era stata da sempre caratterizzata dall’autoritari­
smo. E si può aggiungere anche che la vita politica era spesso po­
larizzata, le organizzazioni di sinistra erano forti in alcune regioni
(soprattutto in Catalogna, a Valenza e a Madrid) e deboli in altre. E,
ancora più significativo per l’argomento che trattiamo, il movi­
mento libertario aveva una presenza culturale e politica imponente.
Perciò le donne che crearono Mujeres Libres, come illustrerò nei
Capitoli II e IV, e che parteciparono attivamente a questa organiz­

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zazione, non si stavano muovendo nel vuoto, ma erano fermamente
collegate ad un movimento libertario e ad un quadro sociale gene­
rale altamente politicizzato, che non esiste nella Spagna degli anni
Ottanta e Novanta. I conflitti ed i fraintendimenti fra le anziane
dell’organizzazione originaria di Mujeres Libres e le compagne at­
tive nelle organizzazioni contemporanee che assicurano di essere
loro eredi (stiamo parlando sia di Mujeres Libertarias che della
nuova Mujeres Libres) testimoniano 1’esistenza di alcune impor­
tanti lacune culturali e politiche, presenti all’interno della Spagna.
Effettivamente sotto certi aspetti le questioni che impegnano le
femministe statunitensi ed il contesto in cui si muovono possono ri­
sultare più familiari alle lettrici femministe spagnole di oggi dei
conflitti politici e culturali che sconvolsero la Spagna negli anni
Trenta. Uno degli intenti che mi propongo con questo libro è,
quindi, di fare in modo che le battaglie e la saggezza di questa pre­
cedente generazione di militanti siano accessibili in modi nuovi alle
generazioni più giovani.

Nonostante tutto, però, il quadro statunitense continua a essere


molto diverso da quello europeo. In primo luogo, come hanno sot­
tolineato molti studiosi, gli Stati Uniti sono privi di un’eredità so­
cialista di un certo rilievo, ed ancora meno di una anarchica/liberta-
ria. La loro traiettoria politica e culturale si è differenziata abbastanza
da quella di tutti gli stati europei. Le femministe statunitensi hanno
perciò meno vincoli, o meno radici, nei movimenti politici di sinistra
rispetto a molte femministe europee. Inoltre, incluso quando - negli
anni Settanta ed Ottanta - alcune femministe statunitensi cercarono
di recuperare/esplorare l’importanza di altri movimenti sociali/poli-
tici per il femminismo, questi sforzi furono rivolti esclusivamente al
socialismo marxista, invece che alle tendenze più anarchiche (o li­
bertarie, come si diceva in Spagna). Uno dei miei primi propositi
nello scrivere questo libro è stato mettere a disposizione delle let­
trici femministe statunitensi una rappresentazione teorica e pratica
anarchica/libertaria e di dare un ruolo di primo piano alla sua poten­
ziale importanza per le lotte contemporanee.
Un’altra importante differenza fra la realtà statunitense e quella
spagnola consiste nel multiculturalismo degli Stati Uniti. Anche se
i cittadini della Spagna si sono dovuti confrontare per generazioni
con la questione del regionalismo, le differenze politiche non ten­

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dono ad essere articolate in funzione della diversità etnica. La po­
polazione degli Stati Uniti è indubbiamente da sempre multietnica
e multirazziale. Anche se frequentemente la concezione che gli sta­
tunitensi hanno del loro paese come di un “crogiolo” ha occultato le
difficoltà reali per poter integrare veramente tutte le reali differenze,
negli ultimi decenni, per lo meno, le questioni che riguardavano la
multiculturalità sono state messe al primo posto in molti dibattiti e
discussioni, sia accademici che politici e formano la base collo­
quiale di questo libro. Ma nonostante questo, anche se alcuni ter­
mini potessero risultare poco familiari ai lettori di lingua spagnola,
spero che possano ugualmente essere istruttivi. Ci stiamo indiriz­
zando verso un’economia politica ogni giorno più globale, verso
un’Europa sempre più unita, e le questioni di come raggiungere
l’uguaglianza mantenendo la diversità - temi centrali negli impegni
teorici femministi degli Stati Uniti negli ultimi venticinque anni -
possono splendidamente guadagnare terreno nell’ambito europeo.
Forse la storia delle lotte di Mujeres Libres in relazione a questi
temi - raccontata da un punto di vista contemporaneo statunitense
- può contribuire a suggerire nuovi indirizzi per i loro discendenti
culturali e politici.

Oltre ai ringraziamenti che appaiono nella versione originale, ci


sono altre persone da ringraziare per i loro sforzi tesi alla pubbli­
cazione di questo libro in Spagna. Ana Delso e Federico Arcos,
ognuno per conto proprio, si sono messi in contatto con Manuel
Carlos Garcia, della Fondazione Anseimo Lorenzo di Madrid; con­
tatti che hanno reso possibile la pubblicazione di questo libro. Ma­
nuel Carlos è stato un lettore entusiasta ed un grande sostenitore di
questo progetto; il suo aiuto è stato incalcolabile. Verena Stolke,
una cara amica ed una collega stimolante da ancora prima che mi
accorgessi di quanto fossi immersa in questo progetto, dedicò
enormi energie per riuscire a far pubblicare questo libro in Spagna.
Non è una coincidenza, ne sono sicura, che sia stata lei a mettere in
contatto Patrie de San Pedro (e Virus Editorial) con me. Per questo,
e per tanti altri motivi, le sono profondamente grata. Karin Moyano
ha trascorso molte ore scartabellando nella mia biblioteca, tra i miei
appunti e le fotocopie, fino a trovare la versione originaria delle ci-

16
tazioni del libro. E Antonia Ruiz ha messo in questa traduzione
tutto quello che un autore può desiderare, accuratezza ed entusia­
smo. Senza l’aiuto di tutti loro questo volume non esisterebbe.
Infine non posso concludere questa breve nota senza ricordare
che molte persone ricordate in queste pagine sono morte negli anni
trascorsi da quando le ho conosciute. E con il passare del tempo il
numero continua a crescere. In questi momenti, quando manca
ormai poco perché il libro veda la luce, rimpiango soprattutto la
perdita di Pura Pérez Benavent Arcos e Soledad Estorach. En­
trambe mi hanno accolto nelle loro vite, hanno avuto fiducia in me,
hanno condiviso con me i loro ricordi e mi hanno aiutata a tradurre
gli avvenimenti del tempo in parole ed immagini che io potessi
comprendere. Sono loro profondamente grata per questi regali. De­
dico questo volume alla loro memoria.

Settembre 1999

17
Ringraziamenti

Molte persone e molti gruppi hanno contribuito alla creazione


di questo libro. Soprattutto, naturalmente, gli uomini e le donne dei
movimenti anarchici ed anarco-sindacalisti spagnoli e prime fra
tutte le donne di Mujeres Libres, che con grande generosità mi
hanno dedicato il loro tempo e le loro energie, mi hanno raccontato
le loro storie personali, oltre ad avermi accolto nelle loro vite. È
impossibile trovare le parole con cui ringraziarle; se il valore e l’in­
tegrità che hanno condiviso con me rimangono riflessi anche solo
in minima parte in questo volume, spero di iniziare, in certa mi­
sura, a pagare il mio debito. Jacinto Borras, Félix Carrasquer, Josep
Costa Font, Gastón Levai, Arturo Parerà, José Peirats ed Eduardo
Pons Prades hanno condiviso con me quanto sapevano sulle col­
lettività anarchiche e mi hanno facilitato i primi contatti con le
donne di Mujeres Libres. Matilde Escuder, Lola Iturbe, Igualdad
Ocaña, Concha Pérez e Cristina Piera a Barcellona, Federica Mont-
seny a Tolosa e Amada de Nó e Teresina Torrelles a Béziers hanno
trascorso ore parlando con me delle loro esperienze durante la
Guerra Civile e la Rivoluzione Sociale e degli anni precedenti e
successivi a queste. Infine, Pura Pérez Arcos, Azucena Fernández
Barba, Pepita Carpena, Mercedes Comaposada, Ana Delso, Sole­
dad Estorach, Sara Berenguer Guillén, Suceso Portales, Dolores
Prat ed Enriqueta Fernández Rovira mi hanno aperto le porte delle
loro case, spesso nei momenti più inopportuni, e sono state per me
una fonte di ispirazione con i loro racconti ed il loro coraggio.
In Spagna molte altre persone mi hanno dato il loro aiuto e sug­
gerimenti importanti. Mary Nash mi ha reso partecipe delle sue ri-

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cerche sulle donne nei movimenti operai spagnoli; il lavoro di Mary
Nash su Mujeres Libres è stato pioniere negli studi sulla storia delle
donne in Spagna. La sua generosa amicizia e la sua solidarietà sono
state molto importanti. Grazie a lei ho conosciuto Ana Cases e Ber­
nard Catllà, che mi hanno accolto nella loro casa a Gerona e hanno
reso possibile le mie ricerche su ¡Adelante!, una collettività di que­
sta città. Verena Stolke, Juan Martínez Alier e le loro figlie, Nuria
ed Isabel, mi hanno ricevuto nella loro famiglia, mi hanno offerto
un luogo dove rimanere durante i molti mesi in cui ho portato avanti
le mie ricerche a Barcellona e sono diventati per me compagni ed
amici molto cari. Rafael Pujol, Albert Pérez Barò, Nazario Gonzá­
lez, Enríe Fuster i Bonet, Ramón Sol e Mercedes Vilanova hanno
condiviso con me le loro ricerche, mi hanno presentato molte per­
sone e mi hanno aiutato a trovare i mezzi adeguati in diversi mo­
menti del lavoro.
Il mio debito è enorme anche da questa parte dell’Atlantico. José
Nieto, Clara Lida, Temma Kaplan, Edward Malefakis e Suzanne
Berger mi sono stati di grande aiuto nelle prime tappe del mio stu­
dio. E’ stato in uno dei primi articoli di Temma dove sono venuta a
conoscenza dell’esistenza di Mujeres Libres; le sono molto grata
per i suoi commenti e le sue critiche su diversi aspetti del mano­
scritto durante tutti questi anni. Mi sento specialmente fortunata
per aver avuto l’opportunità di conoscere Ahrne Thorne, che pur­
troppo non è più con noi. Era un uomo impegnato e dotato di una
grande vitalità. Possedeva una larga cerchia di amici e compagni, e
in questa mi diede il benvenuto. Grazie a lui sono riuscita a cono­
scere Ana Delso, Pura e Federico Arcos e Paul Avrich. Federico
conserva una straordinaria collezione privata di materiale sui mo­
vimenti anarchici ed anarcosindacalisti spagnoli. Lui e Pura, con
la più grande volontà ed entusiasmo, hanno messo a mia disposi­
zione la loro collezione e la loro casa e hanno dimostrato un enorme
interesse per la realizzazione di questo progetto. La loro attenta let­
tura del manoscritto, i loro commenti, gli sforzi di Pura per tradurre
sia le mie parole in castigliano che le attività e l’impegno di Muje­
res Libres in termini attuali, sono di un valore incalcolabile. Lisa
Berger e Carol Mazer mi hanno messa in contatto con Dolores Prat
e Concha Pérez.
Mi sento inoltre profondamente indebitata con documentaristi
di biblioteche ed archivi da entrambi i lati dell’Atlantico, per essere

20
riusciti a rendere piacevole la ricerca del materiale sommerso su
Mujeres Libres e sull’anarchismo spagnolo. Mi piacerebbe ringra­
ziare per il loro aiuto, in particolare, il personale dei dipartimenti di
Reference and Interlibrary Loan della Smith College Library, della
sezione Industriai Relations della Firestone Library, Princeton Uni­
versity; della divisione Rare Books and Manuscripts, New York
Public Library; della Labadie Collection, Università del Michigan,
della Hoover Institution Library, Stanford University; della Bi-
bliothèque de Documentation Internationale Contemporaine, Uni­
versità di Parigi, Nanterre; del Institut d’Études Politiques, Parigi;
della Casa de l’Ardiaca, Istituto di Storia della Città, Barcellona;
della Fondazione Figueras, Barcellona; della Biblioteca Arus, Bar­
cellona; della Biblioteca de Catalunya, Barcellona; del Ateneu En­
ciclopédie Popular/Centro de Documentación Histórico-Social,
Barcellona; del Ministero delle Finanze di Lérida; delFEmeroteca
Municipale di Madrid, dell’Archivio Storico Nazionale/Sezione
Guerra Civile di Salamanca e dell’Istituto Internazionale di Storia
Sociale di Amsterdam. Durante la maggior parte del periodo in cui
ho condotto la mia ricerca, gli archivi di Salamanca, che sono una
miniera di informazioni sul periodo della Guerra Civile, si trova­
vano sotto il controllo dell’Esercito spagnolo. Il cambio di governo
verificatosi negli ultimi anni ha migliorato enormemente le condi­
zioni di lavoro e lo stato degli archivi. Mi sento comunque in debito
con Paco e Miguel, “dell’antico regime”, i quali, malgrado le nostre
ovvie diversità, si sono mostrati sempre disposti a cercare cartelle,
pamphlet, giornali e a fare fotocopie. Le condizioni di lavoro
nell’Istituto di Storia Sociale erano incomparabilmente migliori.
Qui ho trascorso un certo numero di mesi all’inizio della mia ri­
cerca sull’anarchismo spagnolo e vi sono tornata anni dopo quando
si sono aperti al pubblico gli archivi della CNT e della FAI. Sono
molto riconoscente a Rudolf de Jong, antico direttore della sezione
spagnola, per i suoi continui consigli e per il suo appoggio, ed a
Thea Duijker, Mieke Ijzermans ed al signor G. M. Langedijk per
avermi aiutato a rendere più semplice il mio lavoro.
Vari gruppi ed organizzazioni mi hanno offerto un appoggio mo­
rale e finanziario in diverse tappe di questa impresa. Ho iniziato
questa ricerca essendo membro del Project on Women and Social
Change dello Smith College, un gruppo universitario di ricerca in­
terdisciplinare patrocinato dalla Fondazione Andrew W. Mellon.

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Fondi del progetto ed una borsa di studio della American Associa-
tion of University of Women mi hanno permesso di trascorrere in
un primo periodo un semestre in Spagna e, grazie a dei fondi di svi­
luppo universitario dello Smith College, di compiere successiva­
mente altri viaggi in Spagna, Francia e Canada. Nel quadro del Pro­
getto, i dibattiti ed i seminari ai quali ho partecipato con le mie
colleghe - soprattutto Susan C. Bourque, Donna Robinson Divine,
Sue J. M. Freeman, Miriam Dlater e Penny Gill - hanno influito in
modo cruciale sull’indirizzo che avrebbe poi intrapreso la mia ri­
cerca, soprattutto al principio. Le mie collaboratrici nella ricerca
Anne Balazs, Robin Stolk, Barat Ellman e Susan Jessop mi hanno
aiutata ad organizzare il materiale che avevo raccolto ed a revisio­
nare la bibliografia esistente sul tema della donna e dei movimenti
sociali rivoluzionari. L’aiuto di Reyes Lázaro nella sbobinatura dei
nastri, traducendo alcuni articoli miei, e facilitandomi la cono­
scenza di alcune persone in Spagna è stato inestimabile.
Ho cominciato a scrivere il libro mentre stavo lavorando come ri­
cercatrice al Bunting Institute del Radcliffe College, dove esiste
uno degli ambienti culturali più appassionanti e cooperativi che ho
mai conosciuto. I seminari, i dialoghi ed i dibattiti informali con i
compagni mi hanno infuso ispirazione e stimoli. Sono particolar­
mente grata ai membri del gruppo “madre-figlia”, in particolar
modo ad Ann Bookman, Caroline Bynum, Hope Davis, Bettina
Friedl, Gillian Hart, Deborah McDowell, Janice Randall, Blaire
Tate e Gretchen Wheelock. La mia amicizia con Katie Canon e con
Karen Brown, che è cominciata proprio in quel anno, ha costituito
una parte essenziale nel processo di scrittura.
Durante l’anno accademico 1987-88, mentre approfittavo di un
anno sabbatico presso lo Smith College, ho avuto l’opportunità di
studiare presso l’Institute for Research on Women and Gender della
Columbia University e sono stata membro del Women’s Studies
Theory Group del Hunter College. La mia associazione ad en­
trambe le istituzioni mi ha dato l’opportunità di sviluppare e di di­
scutere la forma in cui si stava realizzando la mia ricerca. Inoltre, i
miei colleghi del Center for European Studies, Harvard University,
mi hanno invitata con il passare degli anni a partecipare ad incon­
tri e seminari, facilitandomi un valido scambio di idee.
Per ultimo, nessun lavoro accademico - specialmente uno che
ha impiegato tanto tempo per realizzarsi - nasce dalla mente di una

22
sola persona. I colleghi del Dipartimento di Scienze Politiche dello
Smith College hanno avuto molta pazienza nei miei riguardi in que­
sti lunghi anni di gestazione di questo progetto; sono loro profon­
damente grata per il loro appoggio. Le studentesse dei miei corsi e
seminari sulla teoria femminista e la politica urbana dello Smith
College hanno contribuito allo sviluppo delle mie idee sulla comu­
nità e hanno mosso importanti sfide al sistema di pensiero che fa
parte di questo libro. Diversi membri dello Smith Women’s Stu-
dies Program Committee e del Five College Women’s Studies
Committee - in particolar modo Jean Grossholtz, Marilyn Schu-
ster, Vicky Spelman e Susan Van Dyne - sono state allo stesso
tempo colleghe ed amiche e mi hanno aiutata a collocare i miei
studi su Mujeres Libres nel quadro generale in cui si era sviluppata
questa organizzazione. Marina Kaplan ha corretto alcune mie tra­
duzioni. Kathy Addelson, Paul Avrich, Susan Bourque, Irene Dia­
mond, Donna Divine, George Esenwein, Kathy Ferguson, Philip
Green, Barbara Johnson, Juan Martínez Alier, Vicky Spelman, Ve­
rena Stolke, Will Watson, Iris Young e Nira Yuval-Davis, hanno
letto tutte le parti del manoscritto e mi hanno offerto validi com­
menti. Myrna Breitbart, Pura e Federico Arcos, Jane Slaughter e
Judith Plaskow hanno invece letto il manoscritto completo. Il valore
dei loro commenti e delle loro critiche è incalcolabile. Infine, Judith
Plaskow mi ha aiutata a mantenere sia il senso dello humor che
quello della proporzione.
Alex Goldenberg mi ha ceduto un angolo del suo salotto e mi ha
accolto nella sua vita negli anni in cui ho scritto il libro, gli sono
grata per entrambi i doni.

23
Abbreviazioni

AIT Asociación Internacional de Trabajadores Associazione Inter­


nazionale dei Lavoratori
AJA Asociación de Jóvenes Antifascistas Associazione dei Giovani
Antifascisti
AMA A sociación de M ujeres A ntifascistas A ssociazione delle
Donne Antifasciste
BOC Bloc Obrer i Camperol Unione Operaia e Contadina
CENU Consell de VEscola Nova Unificada Consiglio della Scuola
Nuova Unificata
CNT Confederación Nacional del Trabajo Confederazione Nazio­
nale del Lavoro
FAI Federación Anarquista Ibérica Federazione Anarchica Iberica
FUL Federación Ibérica de Juventudes Libertarias Federazione
Iberica della Gioventù Libertaria
JJLL Juventudes Libertarias, Gioventù Libertaria, un altro modo di
chiamare la FIJL
PCE Partido Comunista de España Partito Comunista Spagnolo
POUM Partido Obrero de Unificación Marxista Partito Operaio di
Unificazione Marxista
PSOE Partido Socialista Obrero Español Partito Socialista Operaio
Spagnolo
PSUC Partido Socialista Unificado de Cataluña Partito Socialista
Unificato della Catalogna
SIA Solidaridad Internacional Antifascista Solidarietà Internazio­
nale Antifascista
UGT Unión General de Trabajadores Unione Generale dei Lavoratori

25
AHN/SGC-S Archivo Histórico Nacional, Section Guerra Civil, Salamanca
Archivio Storico Nazionale, Sezione Guerra Civile, Salamanca
AMB Archivo Municipal, Barcelona Archivio Municipale, Barcellona
AMHL Archivo, Ministerio de Hacienda, Lérida Archivio, Ministero
delle Finanze, Lerida
IISG/CNT Internationaal Instituât voor Sociale Geschiedenis, Amster­
dam, Archivo CNT Istituto di Storia Sociale, Amsterdam,
Archivio CNT
IISG/EG Internationaal Instituât voor Sociale Geschiedenis, Amster­
dam , A rchivo Emma Goldman Istituto di Storia Sociale,
Amsterdam, Archivio Emma Goldman
IISG/FAI Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis, Amster­
dam, Archivo FAI-CP Istituto di Storia Sociale, Amsterdam,
Archivio FAI-CP
NYPL-EG New York Public Library, Rare Books and Manuscripts Divi­
sion, Emma Golman Papers Biblioteca Pubblica di New York,
Settore Libri Rari e Manoscritti,Fondo Emma Goldman
NYPL-RP New York Public Library, Rare Books and Manuscripts Divi­
sion, Rose Pesotta Papers Biblioteca Pubblica di New York,
Settore Libri Rari e Manoscritti, Fondo Rose Pesotta

26
Introduzione

Nel 1936 un gruppo di donne di Madrid e di Barcellona fonda­


rono Mujeres Libres, organizzazione dedicata a liberare le donne
dalla “schiavitù dell’ignoranza, schiavitù in quanto donne e schia­
vitù come lavoratrici”. Anche se durò meno di tre anni (le loro at­
tività vennero bruscamente interrotte dalla vittoria delle forze fran­
chiste nel febbraio del 1939), Mujeres Libres mobilitò più di 20.000
donne e sviluppò un vasto programma di attività, finalizzate a svi­
luppare Vempowerment1 individuale ed allo stesso tempo a co­
struire un senso di appartenenza comunitaria. Come il movimento
anarco-sindacalista spagnolo, di cui queste donne facevano parte,

1. La parola inglese “empowennent” deriva dal verbo “to empower" che in ita­
liano viene comunemente tradotto con “conferire poteri”, “mettere in grado di”. I
dizionari privilegiano ora Fimo ora l’altro aspetto. È comunque impossibile fare
una scelta di traduzione in italiano, perché un singolo termine limiterebbe la ric­
chezza semantica del concetto che la parola inglese ha assunto.
Il termine empowennent può essere sinteticamente inteso come “accrescere la
possibilità dei singoli e dei gruppi di controllare attivamente la propria vita”, tema
al centro del rapporto spesso conflittuale tra individuo / collettività e comunità. Le
azioni e gli interventi formativi centrati suH’empowerment mirano a rafforzare il
potere di decisione e di scelta dei singoli e a migliorarne le competenze e le cono­
scenze in un’ottica di carattere politico-emancipatorio.
L'empowennent consiste essenzialmente nella crescita costante, progressiva e
consapevole delle potenzialità degli esseri umani, accompagnata da una corri­
spondente crescita di autonomia ed assunzione di responsabilità. I programmi cen­
trati sull’empowennent tendono ad aumentare l’autostima del soggetto, e la sua ca­
pacità di leggere la realtà che lo circonda, individuando condizionamenti e
minacce, ma anche occasioni favorevoli e opportunità.
Considerato quindi nel suo globale senso psicologico, Vempowerment si con­
nota dunque sia come un prodotto che come un processo. Prodotto perché è l’esito
di un percorso evolutivo di chi ha vissuto esperienze di apprendimento nelle quali

27
Mujeres Libres riteneva che il pieno sviluppo dell’individualità
delle donne dipendesse dalla crescita di un forte sentimento di
unione con gli altri. Per questa ragione, e per molte altre, Mujeres
Libres rappresenta un’alternativa alla prospettiva individualista che
caratterizza i movimenti femministi principali, di quell’epoca e
della nostra.
La storia della mia scoperta di queste donne e delle loro attività
deve risalire a molti anni e a molti chilometri fa, a ricerche in ar­
chivi e a conversazioni con militanti; ma il fatto che arrivassi a
comprendere l’importanza delle loro aspirazioni e dei loro traguardi
è inseparabilmente legato ai nostri reciproci e progressivi sforzi di
comunicazione, nonostante le differenze di cultura, di età, di classe
e di ambiente politico che ci separavano. Molte di queste donne mi
aprirono le porte delle loro case e condivisero con me il racconto
delle loro vite, ed io ho cercato di mettermi nei loro panni e di con­
siderare sia le somiglianze che ci avvicinavano che le differenze
che, invece, ci rendevano distanti. Poiché mi ero già occupata delle
questioni dell’identità, della differenza, della comunità e àe\Yem­
powerment, che hanno alternativamente incoraggiato o indebolito i

ha evitato la condizione di “impotenza”, mentre ha conquistato invece una condi­


zione caratterizzata dalla fiducia in sé e dalla capacità di sperimentare. In questo
senso si può parlare di consolidamento di una certa struttura di personalità e di as­
similazione di certe caratteristiche personali. Come processo può essere inteso
come un percorso attraverso il quale la persona “impotente” o a rischio di impo­
tenza può riconquistare potere su di sé e controllo.
Il concetto di empowerment compare negli studi di politologia statunitensi tra
gli anni ’50 e ’60 in riferimento all’azione per i diritti civili e sciali delle minoranze
e ai movimenti per l’emancipazione delle donne. Negli anni ’70 entra a far parte
della letteratura socio-politica nella “moderna” teoria della democrazia e dei mo­
vimenti per i diritti civili, negli studi sullo sviluppo del cosiddetto Terzo mondo,
sui movimenti femminili e sulle minoranze. Dagli anni ’80 la parola viene adottata
anche nel linguaggio delle organizzazioni e del management.
In ambito sociale il processo di empowerment mette a fuoco gli squilibri tra
aree sociali e le differenze di genere mentre, in ambito politico-istituzionale è ca­
rattere fondante di una democrazia partecipativa in quanto consente ai cittadini di
ridefinire liberamente ogni dimensione della vita comune, l’organizzazione del
governo, della proprietà, del lavoro e delle relazioni interpersonali. In ambito or­
ganizzativo ha particolare rilevanza nella battaglia per far acquisire potere ai sog­
getti in condizioni svantaggiate. Proprio in quest’ambito ha interessato in modo
particolare le teorie e i modelli che propongono l’emancipazione femminile, l’au­
mento di potere delle donne nei vari ambiti d’azione sociale e politica. (NdT).

28
movimenti per i diritti civili, quelli pacifisti e quelli femministi del
mio paese, mi trovo ora nella condizione di apprezzare ancora più
profondamente la prospettiva che Mujeres Libres può proporre alle
femministe ed agli attivisti sociali di oggi. Questo libro deriva, in
parte, dal mio desiderio di fare in modo che la storia di questa or­
ganizzazione sia considerata in generale come più accessibile.
Nella prima parte dell’introduzione presenterò le donne che sa­
ranno le protagoniste della storia che si sviluppa nel resto del libro,
nella seconda esporrò invece i temi e le questioni che formano il
contesto teorico del volume.

La prima donna di Mujeres Libres che ho conosciuto è stata Su-


ceso Portales, che stava trascorrendo l’estate del 1979 a Móstoles,
città satellite della cintura di Madrid. Il cammino che mi condusse
a lei diventerà poi tipico nella sua tortuosità. Mentre stavo stu­
diando i processi della collettivizzazione rurale ed urbana nella Spa­
gna della Guerra Civile, ho avuto modo di frequentare, a Madrid e
a Barcellona, numerosi giovani anarchici. Tra di loro c’erano delle
giovani donne che avevano da poco formato un gruppo al quale
avevano dato il nome di Mujeres Libres. Sia a Madrid che a Bar­
cellona, le giovani con cui parlai mi dissero di aver provato in varie
occasioni ad incontrarsi con le anziane che avevano fatto parte
deH’originaria organizzazione di Mujeres Libres. Da quanto riuscii
a capire, gli incontri che realizzarono erano stati caratterizzati da di­
scussioni e da fraintendimenti. Quando finalmente riuscii a trovare
qualcuno che potesse darmi il nome e l’indirizzo di una di queste
anziane, Suceso Portales, l’informazione venne accompagnata da
un avvertimento: “Non ti piacerà - mi confidò -, è una reazionaria,
con idee molto strane”2. Nonostante l’avvertimento, Suceso, come
quasi tutte le donne di Mujeres Libres che ho incontrato, mi con­
quistò immediatamente. Era una donna molto vivace ed attiva, sui
sessantacinque anni e con i capelli bianchi. Sua nipote, che allora
aveva più o meno undici anni, entrava ed usciva in continuazione
dalla saletta in cui venni ricevuta, a volte si fermava ad ascoltare la
nostra conversazione e faceva delle domande, domande a cui Su­
ceso si preoccupava sempre di rispondere con molta attenzione, pa­
zienza e rispetto. Parlammo per ore delle sue esperienze nella CNT

2 Federica Debatin, intervista, Madrid, giugno 1979.

29
e nella f i j l 3, della sua convinzione della necessità di un’organiz­
zazione di donne autonoma ed indipendente che lavorasse all’in­
terno della cornice ideologica e politica del movimento libertario4,
della sua analisi degli obiettivi raggiunti, delle sconfitte di Mujeres
Libres e del femminismo contemporaneo.
Suceso si era affiliata a Mujeres Libres del Comitato Regionale
Centrale nel 1936 e diventò vicesegretaria nazionale dell’organiz­
zazione. Mi raccontò come Mujeres Libres si rivolgesse alle donne
della classe operaia, mi parlò dell’enfasi che dedicava all’educa­
zione e d\Yempowerment e dei rapporti che l’organizzazione aveva
con il movimento anarco-sindacalista. Ma quello che più mi affa­
scinò e allo stesso tempo mi lasciò perplessa e attratta fu il suo at­
teggiamento verso le femministe ed il femminismo, atteggiamento
in un certo senso speculare a quello che le giovani avevano a loro
volta nei confronti di Mujeres Libres. “Non siamo e non siamo mai
state “femministe” - insisteva -, in lotta contro gli uomini. Non vo­
levamo sostituire la gerarchia maschile con una gerarchia femmi­
nista. Era necessario lavorare e lottare insieme. Perché altrimenti
non ci sarebbe mai stata la rivoluzione sociale. Ma c’era bisogno di
un’organizzazione nostra per lottare solamente per noi stesse”.
Ero sorpresa dalla sua idea per cui “femminismo” significasse
opposizione agli uomini o desiderio di sostituire la gerarchia ma­
schile con quella femminile. Io, che sono il risultato del movimento
femminista statunitense degli anni Sessanta, ho sempre dato per
scontato che femminismo significasse opposizione a qualsiasi tipo
di gerarchia. Eppure stavo cominciando a capire qual era la fonte di
certe incomprensioni e di certi fraintendimenti che esistevano tra le

3. Confederation National del Trabajo, (Confederazione Nazionale del La­


voro) la confederazione dei sindacati anarco-sindacalisti, e Federation Ibèrica de
Juventudes Libertarias, (Federazione Iberica delle Gioventù Libertarie) chiamate
spesso semplicemente Juventudes. Quasi tutte le militanti di Mujeres Libres face­
vano parte di una o di entrambe le organizzazioni del movimento.
4. Utilizzo l’espressione movimento libertario per riferirmi alle complesse or­
ganizzazioni ed attività portate avanti dalle organizzazioni anarchiche ed anarco-
sindacaliste in Spagna. Sono principalmente la CNT, la FAI Federation Anar-
quista Ibèrica (Federazione Anarchica Iberica) e la FIJL, che si unirono nel
“Movimiento Libertario” solo durante la guerra. Ciò nonostante utilizzerò questa
espressione anche per riferirmi in modo sintetico alle organizzazioni anarchiche ed
anarco-sindacaliste e a quelle che a loro erano collegate. I particolari organizzativi
saranno esposti in modo più dettagliato nel Capitolo II.

30
giovani di Madrid, che si definivano femministe, e questa anziana,
per cui il femminismo era un anatema. Più tardi avrei scoperto che
queste differenze nella percezione di quello che poteva significare
il femminismo non erano esclusive di Suceso. Durante i tre anni di
esistenza formale di Mujeres Libres e fino ai nostri giorni, le donne
che ne facevano parte avevano consacrato le loro vite all’emanci­
pazione della donna senza mai però definirsi “femministe”.
Gran parte del fascino che provavo per Mujeres Libres proveniva
dal mio desiderio di comprendere questa distinzione ed il suo si­
gnificato. Che cosa voleva dire che queste donne non accettavano
la definizione di femministe? Iniziai presto a sospettare che, anche
se il contesto politico spagnolo degli anni Trenta era completamente
diverso da quello degli Stati Uniti degli anni Ottanta, potevano es­
serci delle somiglianze fra il rifiuto di Mujeres Libres nell’identifi­
carsi come femminista e l’incertezza di certe donne operaie e di co­
lore del mio paese nell’adottare l’etichetta di femminista. Avevamo
per caso trovato qui un insegnamento per le femministe di oggi che
tanto lottano contro l’affermazione per cui il femminismo è un mo­
vimento esclusivo delle donne bianche di classe media?
Ma c’erano ancora molte altre cose che attraevano la mia curio­
sità. Suceso si lamentava della chiusura mentale delle femministe
contemporanee, della mancanza di un quadro di orientamento ideo­
logico ed organizzativo: “Si sente molto la mancanza della forma­
zione libertaria. [Espressione spesso utilizzata nei circoli anar-
chici/libertari per fare riferimento al contesto ideologico.] Hanno
una visione molto meno ampia, molto più ristretta della nostra. Ad
esempio, non capiscono cosa voglia dire “azione diretta” o il ter­
mine organizzazione. Loro, per lo meno quelle di qui, di Madrid,
vogliono organizzarsi quasi senza organizzare, tutte si occupano di
ogni cosa. Ma così non si arriva da nessuna parte”5. Inoltre si con­
centrano troppo su temi come l’aborto, l’organizzazione familiare
e la sessualità; è vero che la sessualità della donna deve riguardare
solo lei, ma perché convertire questo in una questione politica? E
poi non smettevano mai di domandarsi “Come possono definirsi

5. Questa è una prospettiva condivisa da molti elementi del primo movimento


femminista degli Stati Uniti, che Joreen denominò “la tirannia della destruttura­
zione” in un articolo pubblicato, con lo stesso titolo, su The Second Wave, 2, n. 1,
(1970), pp. 20-25.

31
femministe se non fanno altro che girare piene di croci?”6.
A qualcuna di queste domande non ho mai trovato una risposta.
Mi lascia perplessa l’evidente disagio di Suceso e delle altre donne,
di rendere “politiche” le questioni “personali” sull’amore e la ses­
sualità, ad esempio. Il femminismo mi ha convinto che “il personale
è politico”, ma l’anarchismo non ha per caso le stesse rivendica­
zioni? Altre domande trovarono risposte molto più semplici ma allo
stesso tempo sorprendenti. Quando parlava delle “femministe che
portavano le croci”, ad esempio, si riferiva alle giovani che porta­
vano il simbolo della donna (?) per dichiarare il loro femminismo7.
Dopo Suceso venne la volta di Lola Iturbe, che era stata una
grande sostenitrice di Mujeres Libres, ma non era mai arrivata ad
esserne una militante. Con il suo compagno, Juanel (Juan Manuel
Molina, un ex-segretario generale della f a i ), aveva pubblicato a
Barcellona la rivista anarchica Tierra y Libertad. Lola mi raccontò
della sua infanzia, di come era cresciuta nella povertà, figlia di una
ragazza madre, nella Barcellona di inizio secolo. Era nata nel 1902
ed a nove anni aveva iniziato a lavorare come apprendista sarta e la
sua lunghissima giornata lavorativa veniva pagata con un salario
incredibilmente basso, cinquanta centesimi a settimana. Sua madre
gestiva una pensione frequentata da “uomini dell’organizzazione”.
Grazie a questi ospiti, Lola sentì parlare della CNT e trovò quell’in­
tegrazione sociale che da sempre le era stata negata. A quattordici
o quindici anni era già entrata a far parte dell’organizzazione8. Fu
Lola a dirmi in uno dei nostri incontri che Mercedes Comaposada,
una delle tre donne che avevano fondato Mujeres Libres, era ancora
viva e risiedeva a Parigi.
Ma prima di conoscere Mercedes doveva succedere ancora un
altro episodio degno di essere menzionato. Stavo intervistando
Eduardo Pons Prades, all’epoca giornalista del Diario de Barce­
lona, a proposito delle sue esperienze nell’industria collettivizzata
del legno in Catalogna. Mi mandò a Perpignan, appena superata la
frontiera francese, per intervistare Iacinto Borràs, un ex-militante
della CNT ed editore di un giornale che si era occupato delle col­

6. Suceso Portales, intervista, Móstoles (Madrid), 29 giugno 1979.


7. Ana Cases, comunicazione personale, 10 agosto 1981.
8. Lola Iturbe, interviste, Alella (Barcellona) 3 Agosto 1981, e Barcellona 4
agosto 1981.

32
lettività rurali in Catalogna. Durante i nostri incontri dissi a Borrás
che ero interessata a conoscere le donne che avevano partecipato
alla rivoluzione. All’inizio la sua risposta fu entusiasta, ma quando
gli chiesi nomi ed indirizzi, gli sembrò quasi impossibile pensare a
qualche donna che si trovasse ancora in condizioni abbastanza
buone o che fosse sufficientemente competente per parlare con me.
E questa fu una reazione che si era ormai trasformata in qualcosa di
familiare, un numero molto esiguo dei militanti con cui avevo par­
lato sembrava prendere sul serio le proprie compagne. Ma nono­
stante questo, insistetti per farmi dare il nome di almeno una donna
che potesse parlare con me. Ci pensò un po’ e poi chiamò sua figlia,
Eglantina. Questa prese in mano il telefono e dallo stesso momento
in cui la voce rispose all’altro lato della linea, seppi che Azucena
Fernández Barba era una persona che dovevo assolutamente cono­
scere. Durante quella telefonata il volto di Eglantina si illuminò.
Dopo aver raccolto dei fiori nel giardino - Azucena adorava i fiori,
mi disse -, mi trovai nella sua macchina in viaggio verso la casa di
Azucena, all’altro lato della città.
Azucena era nata a Cuba nel 1916, figlia di genitori spagnoli esi­
liati che rientrando in Spagna dall’esilio nel 1920 la portarono con
loro. Quando la vidi per la prima volta era seduta nel suo piccolo sa­
lotto, circondata da piante fiorite. Parlò con entusiasmo delle sue
esperienze negli anni che precedettero la guerra e della storia della
sua famiglia. Azucena ed i suoi sei fratelli e sorelle si erano “nutriti
di anarchia..., con il latte di nostra madre”. Suo nonno, Abelardo Saa­
vedra, era stato uno dei primi “operai con coscienza politica” che gi­
ravano per i paesi diffondendo l’Ideale anarchico. Venne incarcerato
numerose volte e fu mandato in esilio per aver commesso il delitto di
insegnare a leggere ai lavoratori stagionali dell’Andalusia. Per que­
sto motivo Azucena e molti dei suoi fratelli erano nati a Cuba.
Ho trascorso molte ore con lei, parlando di cosa avesse signifi­
cato crescere in una famiglia anarchica e di come vedeva la com­
plicata situazione della donna all’interno del movimento anarco-
sindacalista spagnolo9. Ma lei insisteva sempre che avrei dovuto
parlare assolutamente con sua sorella Enriqueta, la vera militante di
Mujeres Libres.

9. Azucena Fernández Barba, interviste, Perpignan, (Francia), 14 e 15 agosto


1981.

33
Ebbi ropportunità di conoscere Enriqueta Fernández Rovira so­
lamente sei mesi più tardi. A quel tempo avevo già scoperto che
bastava solo menzionare il suo nome per provocare la stessa rea­
zione in tutte le donne con cui parlavo. “Oh, Enriqueta!”, dicevano
con profonda emozione, drizzandosi sulle spalle e stringendo i
pugni, cercando di assomigliare ad un pugile che mostra i muscoli
(per quanto possa essere possibile in donne già tanto anziane e fra­
gili). E nonostante questa preparazione non ero completamente
pronta per il pacato potere della sua presenza.
Ho conosciuto Enriqueta in circostanze che difficilmente po­
trebbero essere definite favorevoli. Accadde in Francia durante le
vacanze di Natale e la sua casetta era messa a soqquadro dalla vi­
vacità dei suoi quattro nipotini. Trovammo tempo per parlare solo
quando questi andavano a dormire o a metà mattinata nel caos della
preparazione del pranzo e mentre ci interrompevano per chiederle
il permesso di giocare a questo o a quel gioco. E la sua frustrazione
per “le cattive maniere” di questi bambini pieni d’energia rappre­
sentava un intervallo agrodolce ai suoi racconti di quando lei stessa
veniva considerata “scandalosa” anche dai suoi stessi genitori anar­
chici quando, all’inizio degli anni Trenta, faceva delle gite in cam­
pagna o al mare con i suoi amici, maschi e femmine.
Anche Enriqueta era nata a Cuba, nel 1915, e si era trasferita in
Spagna con il resto della famiglia nel 1920. Nella loro casa era
usuale vedere militanti anarchici entrare ed uscire quotidianamente
e “l’ideale” era una componente normale della conversazione. Se­
condo molti punti di vista, i suoi genitori rappresentavano due delle
diverse tendenze all’interno dell’anarchismo che predominavano
nel movimento di quegli anni. Lei me lo spiegò così:

M io padre era un intellettuale, un anarchico, ma era p iù pacifista di


m ia madre. Si sentiva m ale anche solo al vedere una goccia di sangue.
Era rivoluzionario, ma pacifista. Credeva che la rivoluzione doveva p ro ­
dursi con la cultura e Veducazione. O diava le armi. Non voleva neppure
vederle... non era il suo stile. Era più tranquillo... M ia m adre era com ­
pletam ente diversa. Lei era più m ilitantel0.

10. Enriqueta Fernández Rovira, intervista, Castellnaudary (Francia), 29 di­


cembre 1981.

34
Enriqueta, Azucena ed i loro fratelli e sorelle impararono in fretta
che essere parte di una comunità significava essere disposte a pren­
dersi cura degli altri e a dedicare anima e corpo ad una causa co­
mune. Le idee che condividevano con altre persone - specialmente
con i gruppi di giovani di ispirazione anarchica in cui sia Enriqueta
che Azucena erano molto attive - stringevano i loro legami come
gruppo ma allo stesso tempo li allontanavano da chi non ne faceva
parte:

A quei tem pi eravam o le puttane, le pazze, perché guardavam o avanti.


R icordo la m orte di m io padre, che p e r m e f u m olto d o lorosa.... M ia
m adre m i disse: “P iccola, pap à non voleva fiori, m a sono io che voglio
p er lui un m azzo di rose. Portane anche solo una dozzina, p e r tuo padre. ”
A ndai dalla fioraia e questa m i disse: “Tuo padre è morto e tu vieni q u a ? ”
“Che cosa c ’entra il m io dolore con il fa tto che sono venuta qui? - le
dissi - Credi che non provo del dolore p e r la m orte di m io p a d re ? ” “M a
non dovresti esserci tu qui, piccola. Avrebbe dovuto venire Juan a cercare
i fio ri. E p o i non p orti il lutto. ” “N o - le risposi - il dolore lo p orto d en ­
tro, non lo indosso ” 11.

Per Enriqueta e la sua famiglia l’impegno nei valori anarchici


esisteva da sempre. La partecipazione dei bambini ai gruppi ed alle
attività organizzate dal movimento libertario approfondì l’impegno
e lo convertì in un punto importante delle loro vite. La comunità
dava loro la forza per affrontare sia le derisioni dei loro vicini che
lo scetticismo dei loro stessi genitori sull’opportunità di far andare
le ragazze in giro con i ragazzi. Le veniva permesso di trovare un
modo per potersi esprimere, per credere nei loro sogni e per far di­
ventare realtà quanto avevano imparato dai loro genitori ma che
loro molto presto avevano fatto proprio. Per il suo continuo impe­
gno nel movimento anarchico Enriqueta venne scelta dalla CNT per
un lavoro molto delicato, quello di operatrice nella centrale telefo­
nica di Barcellona durante la guerra. Continuò ad essere attiva nel
movimento libertario e nella CNT e con il passare del tempo entrò a
far parte di Mujeres Libres.
Fu sempre grazie ad Eglantina che riuscii a conoscere Sara Be-
renguer Guillén, che era stata segretaria della sezione propaganda di1

11. Idem.

35
Mujeres Libres in Catalogna. Eglantina mi venne a prendere a casa
di Azucena, a Peipignan, una mattina di dicembre e mi portò in una
splendida casetta nel paesino di Montady, vicino a Béziers, dove
Sara e il suo compagno Jesús Guillén erano andati a vivere. Sara è
una donna minuta che, nonostante i numerosi parenti ed amici che
la andavano a trovare durante le vacanze natalizie, trovò il tempo
per parlare con me delle sue esperienze. Quando tornai a visitarla
per la seconda volta qualche anno dopo, Sara mi ricevette nello
stesso modo, fu sempre molto ospitale. Passammo insieme delle
giornate molto intense, parlando quasi senza sosta di Mujeres Li­
bres ed intervistando molte donne che vivevano nella zona e che
erano state attive nella stessa organizzazione o in qualsiasi altro
gruppo del movimento libertario. Tra di loro incontrammo anche
Teresina Torrellas Graells, Conchita Guillén e Amada de Nò.
Anche se suo padre era militante della CNT, Sara prima della
guerra non aveva fatto parte di nessuna organizzazione del movi­
mento libertario. Iniziò a lavorare nella CNT solamente allo scoppio
della guerra, quando suo padre era partito per il fronte e lei aveva
sentito la necessità di fare qualcosa “per la rivoluzione”. Entrò a
far parte di Mujeres Libres verso la fine del 1937, anche se in un
primo momento si era opposta all’idea che dovesse esistere un’or­
ganizzazione a parte creata apposta per le donne:

N o n ero d ’accordo sul fa tto che si fo rm a sse un gruppo di sole donne.


Credevo che la lotta dovesse riguardare sia le donne che gli uomini. Tutti
lottiam o p e r una società m igliore ed allora perché fo rm a re u n ’organiz­
zazione a parte? Un giorno, mentre stavo con un gruppo delle Juventudes,
andam m o ad una conferenza che aveva organizzato M ujeres Libres nella
sede del FUL, dove avevano anche un ufficio. I ragazzi iniziarono a ri­
dere delle oratrici, cosa che m i rese furiosa. Quando la donna che stava
p arlando terminò, i ragazzi iniziarono a fa r e dom ande e a dire che non
aveva senso che le donne si organizzassero separatam ente, m a che co­
m unque non sarebbero arrivate da nessuna parte. Il tono dei loro com ­
m enti m i innervosì fo rs e ancora di più e m i schierai in difesa di M ujeres
Libres... Quando finii, m i nom inarono delegata del nostro quartiere p e r la
riunione della F ederazione Locale di M ujeres Libres di B a rcello n a12.

12. Sara Berenguer, intervista, Montady (Francia), 28 dicembre 1981.

36
Oltre alla sua militanza in Mujeres Libres nel periodo della
guerra, Sara partecipò al comitato rivoluzionario del suo quartiere,
Les Corts, e fu segretaria del Comitato Regionale dell’Industria,
dell’Edilizia, del Legno e della Decorazione della Catalogna. La­
vorò anche per la SIA (Solidarietà Internazionale Antifascista),
un’organizzazione internazionale anarchica di assistenza e soc­
corso. Fuggì in Francia quando i franchisti entrarono a Barcellona
nel gennaio del 1939 e lì ha vissuto in esilio tutti questi anni, par­
tecipando al movimento clandestino degli esiliati spagnoli. All’ini­
zio degli anni Sessanta, insieme a Suceso Portales, prese parte alla
pubblicazione del bollettino Mujeres Libres nell’esilio. Ha scritto
vari volumi di poesia e recentemente ha pubblicato le sue memorie
sugli anni della guerra13.
Ma non tutti quelli che partecipavano al movimento anarchico
avevano dei genitori anarchici. Pepita Carpena, ad esempio, era
nata a Barcellona verso la fine del 1919 da una famiglia di classe
proletaria che mostrava poco o nessun interesse per le organizza­
zioni operaie. Venne per la prima volta a contatto con “l’idea” nel
1933 grazie ad alcuni sindacalisti anarchici che assistevano alle riu­
nioni dei giovani nella speranza di mettersi in contatto con possibili
nuovi membri14.

I com pagni della CNT, p e r fare propaganda, dato che la gente non a n ­
dava ai sindacati perché era un ’epoca di clandestinità, andavano ai balli
e dicevano agli uomini, m ai alle ragazze: “D ove lavorate? Sapete che c ’è
un sinda ca to ? ” Q uesti com pagni, m em bri della CNT, dicevano anche: “Il
tal giorno c ’è u n ’assem b lea ”. E siccom e m i sono sem pre trovata m eglio
con gli uom ini che con le donne, andai con loro. E f u lì dove iniziai a ca ­
pire che cosa era la CNT 15.

II sindacato della Metallurgia, che la adottò quasi come una


mascotte, divenne la sua seconda casa. Quando i suoi genitori ini­

13. BERENGUER GUILLÉN, Sara: Elitre el sol y la tormenta. Treinta y dos


meses de guerra ( 1936-1939), Sueba, Barcellona, 1988.
14 Durante la dittatura di Primo de Rivera (1923-1930), la CNT venne dichia­
rata fuorilegge ed operò in clandestinità. Queste iniziative cominciarono in quel
periodo e continuarono nei primi anni della Repubblica, quando il sindacato aveva
smesso di essere illegale. Si veda il Capitolo II.
15. Pepita Carpena, intervista, Montpellier (Francia), 29 dicembre 1981.

37
ziarono a proibirle di assistere alle riunioni notturne, pregò suo
padre di andare con lei. Dopo aver conosciuto il tipo di persone
che erano e come trattavano sua figlia, non le disse più niente.
Anzi, al contrario, si vantava con i suoi amici di avere una figlia
che stava liberando il proletariato!
Attraverso la sua relazione con i lavoratori del sindacato della
Metallurgia, Pepita non tardò ad imparare molte cose sui sindacati e
sulPanarco-sindacalismo. La incoraggiarono ad organizzare le gio­
vani che lavoravano con lei come sarte e così fece. Quando il suo pa­
drone la licenziò con un pretesto qualunque, in realtà per le sue atti­
vità sindacali, i compagni del sindacato della Metallurgia corsero in
suo aiuto e fecero in modo che venisse riassunta. Continuò ad essere
attiva sia nella CNT che nelle Juventudes Libertarias all’inizio degli
anni Trenta e durante il primo anno di guerra. Quando nei primi
giorni del conflitto uccisero il suo compagno al fronte, il sindacato
della Metallurgia le pagò un salario affinché potesse continuare a
organizzare i lavoratori nello sforzo comune che richiedeva la
guerra. Si considera come una persona che ha da sempre sostenuto
l’uguaglianza tra uomo e donna e che forse proprio per questo ini­
zialmente si sentiva indifferente alla creazione di una organizza­
zione specificamente femminile. Ma dopo la sua esperienza nelle
Juventudes, non tardò a riconoscere che questa necessità esisteva
realmente e riuscì a diventare membro attivo del Comitato Regio­
nale Catalano di Mujeres Libres negli anni 1937 e 193816.
Pepita, più di ogni altra anziana compagna, ha cercato di comu­
nicare con le giovani nonostante le barriere del tempo, della classe
sociale e della geografia. E informata sul dibattito femminista con­
temporaneo, anche se spesso si trova in disaccordo riguardo ai ter­
mini con cui è formulato. È archivista e responsabile della succur­
sale di Marsiglia del CIRA (Centro Internazionale di Ricerche
sull’Anarchismo), la cui sede principale è a Ginevra. Pepita viaggia
spesso per la Spagna e per l’Europa tenendo conferenze sulla rivo­
luzione e sulle attività di Mujeres Libres. La sua franchezza e la
sua buona disposizione a dibattere temi che erano problematici e
controversi in Mujeres Libres hanno fatto di lei un’informatrice
preziosa ed un’amica speciale.

16. Pepita Carpena, interviste, Montpellier, 30 e 31 dicembre 1981 e Barcellona


3 e 4 maggio 1988.

38
Ho conosciuto Mercedes Comaposada a Parigi, nel gennaio del
1982, nell’appartamento pieno di libri dove aveva vissuto per qua­
rantatre anni. Il suo compagno, l’artista e scultore Baltasar Lobo, vi­
veva nella stanza accanto. Tutti me l’avevano descritta come una
donna bellissima ed allo stesso tempo fragile e delicata. Era, effet­
tivamente, una donna minuta, ma molto vitale e con una intelli­
genza e prontezza che non hanno risentito dello scorrere del tempo.
Le volte che siamo uscite a passeggiare, mi ha soipreso la rapidità
con cui sembrava che corresse per strada. A quasi novant’anni con­
servava quella presenza “distinta” che tanto la caratterizzava agli
occhi delle giovani che avevano partecipato alle sue lezioni orga­
nizzate all’interno di Mujeres Libres.
Mercedes era nata a Barcellona nel 1900, da un padre socialista
molto impegnato. Non aveva ancora compiuto vent’anni quando si
trasferì a Madrid per studiare e lì scoprì la CNT. Quando i compagni
della CNT la invitarono a dare alcune lezioni nei locali del sindacato
fu sconcertata dal modo in cui venivano trattate le donne che vi par­
tecipavano e poco dopo, insieme a Lucía Sánchez Saomil che aveva
avuto esperienze simili, si impegnò ad istruire e ad educare le donne,
ad incoraggiarle a sviluppare pienamente tutte le loro capacità. In
pochi anni i loro sogni divennero realtà con Mujeres Libres.
Mercedes insisteva che “mai ci considerammo “fondatrici”, solo
“iniziatrici”. A parte il fatto che il termine “iniziatrice” invece di
“fondatrice” implica un rifiuto del potere o dell’autorità personale,
Mercedes, chiaramente, si considera l’unica portavoce legittima di
Mujeres Libres. Da tanti anni lavora per l’organizzazione e la pub­
blicazione dei documenti dell’organizzazione e si mostra molto
scrupolosa nei confronti di chi vuole pubblicare o trattare l’argo­
mento prima che lei abbia completato il suo lavoro. Anche se ha ri­
fiutato tutti gli inviti che le hanno fatto per parlare di Mujeres Libres
durante eventi organizzati dal movimento anarchico e da quello
femminista (sembra la preoccupasse la possibilità che i suoi com­
menti potessero essere mal interpretati o estrapolati dal contesto),
ha anche criticato chi invece ha accettato di farlo, sostenendo che
fossero troppo giovani o che fossero entrate nell’organizzazione
troppo tardi per comprendere davvero a fondo il suo significato.
Certamente la sua posizione è complicata e di conseguenza anche
la nostra relazione è stata piuttosto problematica.
Ma nonostante questo è stato grazie a Mercedes che sono riu­

39
scita a conoscere Soledad Estorach, una delle pioniere del gruppo di
Barcellona, che sarebbe poi entrata a far parte di Mujeres Libres
nell’autunno del 1936. Quando la vidi per la prima volta, a Parigi,
nel gennaio del 1982, aveva sessantasei anni, anche se in realtà sem­
brava molto più giovane. Abbiamo trascorso molte ore nel suo ap­
partamento, parlando della sua giovinezza, della sua partecipazione
alla CNT ed a Mujeres Libres e della sua opinione sulla situazione
della donna nella società. Me l’avevano descritta come un concen­
trato d’energia, la migliore rappresentante di Mujeres Libres a Bar­
cellona. Tutto ciò che ho visto e che ho ascoltato dalle sue labbra ha
confermato questa opinione. Soledad era cresciuta in un piccolo
paese a circa duecento chilometri da Barcellona, anche se, come lei
stessa dice, “non ho vissuto la vita tradizionale di una contadina”.
Suo padre, che aveva trascorso molti anni fuori dalla Spagna e dava
lezione agli adulti, insegnò a Soledad a leggere e a scrivere, com­
petenze praticamente sconosciute alle ragazze della sua classe so­
ciale. Riuscì ad avere grazie a lui anche una formazione politica:
“Aveva idee molto avanzate; mio padre mi ha insegnato molto...,
soprattutto con il suo senso di giustizia.” La famiglia di sua madre
era molto diversa: “Erano proprietari terrieri e molto religiosi”.
Quando suo padre morì lei aveva undici anni e dovette mettersi
a lavorare. Un amico di suo padre, che lavorava come maestro nel
paese vicino, portò avanti la sua istruzione dandole delle lezioni
per qualche ora a settimana. La famiglia riuscì a vivere nel paese fin
quando lei compì quindici anni. In quel periodo tanto sua madre
quanto la famiglia materna le facevano ogni giorno più pressione
affinché si sposasse con un uomo che mantenesse sia lei che la sua
famiglia. Ma come diceva Soledad: “Io ero rimasta fedele a mio
padre, al suo mondo ed alle sue idee. Volevo viaggiare come lui,
imparare... Non volevo vivere la mia vita dentro le quattro mura di
una casa. Volevo viaggiare, conquistare il mondo. Convinsi mia
madre a lasciarmi andare a Barcellona, dove avrei potuto guada­
gnare il denaro sufficiente per mantenere la famiglia e per poter
continuare a studiare” 17.
Soledad se ne andò in primavera e dopo poco la raggiunsero sua
madre e sua sorella. Nei primi tempi lavorò nel negozio di uno zio,

17. Soledad Estorach, intervista, Parigi, 6 gennaio 1982; comunicazione per­


sonale, ottobre 1989.

40
ma quando la crisi economica l’obbligò a chiudere lei dovette cer­
carsi un altro lavoro. Entrò allora a servizio domestico in una casa,
ma lavorava moltissime ore (dalle cinque di mattina all’una di
notte!) e la paga era irrisoria. Cosicché, dopo poco tempo, iniziò a
lavorare in una fabbrica, nella speranza di guadagnare un po’ di più
ed avere più tempo per “crescere intellettualmente”. Alla fine del
1930 iniziò a frequentare una scuola serale e a conoscere i compa­
gni della CNT, che erano ancora costretti alla clandestinità.
Nel 1931, dopo la caduta della monarchia, iniziò a frequentare un
ateneo dove conobbe Abelardo Saavedra, il nonno di Enriqueta e di
Azucena, che la colpì profondamente per la forza delle sue idee.
“Era come un libro inesauribile per la gente giovane”, ricorda. Ini­
ziò a far parte del gruppo di giovani dell’ateneo ed in poco tempo
diventò un’attivista. Dopo pochi giorni dedicava già tutto il suo
tempo ai comizi, o ascoltandoli o preparandoli, entusiasta per il
sentimento di comunità che c’era e per l’emozione dell’azione col­
lettiva. Verso il 1934 iniziò a discutere con altre attiviste delle dif­
ficoltà che le donne vivevano all’interno della CNT e insieme for­
marono una specie di rete di mutuo soccorso, il Gruppo Culturale
Femminile, CNT. Quando, dopo la formazione di Mujeres Libres
avvenuta nel 1936 a Madrid, Mercedes andò a Barcellona, il gruppo
catalano accettò immediatamente di unirsi a loro.
Infine, devo parlare di un’altra anziana, Pura Pérez Arcos, che
vive con il suo compagno, Federico Arcos, a Windsor, Ontario.
Pura era nata a Valencia nel 1919 e quando aveva tre anni la sua fa­
miglia andò a vivere nel paese di Jàtiva. Il padre ed il nonno ave­
vano lavorato nei trasporti ed erano affiliati alla CNT e per Pura era
stato normale crescere sentendo “parlare molto dell’ingiustizia”.
Grazie alla sua insistenza, i genitori la mandarono alla scuola ele­
mentare con una cugina più grande che viveva con loro. Andò a
scuola, nutrendosi avidamente di tutto quello che le veniva inse­
gnato e riuscì a rimanerci fin oltre all’età in cui si presupponeva
che le bambine dovessero abbandonare gli studi, all’incirca verso
gli undici o dodici anni. La proclamazione della Repubblica del
1931 rappresentò per la sua vita una svolta decisiva e fortunata,
dato che il nuovo governo creò più scuole (anche scuole di educa­
zione secondaria) e quindi potè continuare ad approfondire la sua
istruzione. Purtroppo, quando nel 1933 il padre fu trasferito a Bar­
cellona, l’alto costo della vita nella città costrinse Pura a lasciare gli

41
studi e a mettersi a lavorare. Qualche mese dopo, la famiglia si sta­
bilì nel quartiere di El Clot, dove Pura potè riprendere gli studi fre­
quentando un corso serale nella Escola Natura, una scuola raziona­
lista. Lì conobbe dei giovani anarchici, iniziò a frequentare un
ateneo ed a partecipare al movimento libertario. Durante la guerra
e la rivoluzione tornò a Valencia e trascorse un periodo di tempo in
una collettività. Fu attiva anche in Mujeres Libres, lavorando a Bar­
cellona con Soledad Estorach e a Valencia con Suceso Portales.
Dopo la guerra, e dopo aver trascorso vari anni nel movimento
clandestino antifranchista, Federico si trasferì in Canada, riuscì a
trovare lavoro in una fabbrica di automobili e si stabilì a Windsor.
Pura rimase in Spagna ancora per qualche anno, soffrendo gli orrori
dei primi anni del franchismo. Raggiunse Federico nel 1959 e la­
vorò a Windsor come infermiera fino a quando, non molto tempo
fa, andò in pensione. Ora trascorre il suo tempo libero leggendo,
frequentando delle lezioni universitarie e dedicandosi alla compo­
sizione di quadri con i fiori secchi. Durante tutti questi anni ha con­
tinuato a tenersi in contatto con Sara Berenguer Guillén nel sud
della Francia e con Mercedes e Soledad a Parigi e sta collaborando
all’organizzazione ed all’edizione dei documenti di Mujeres Li­
bres. Il suo discernimento e il suo aiuto, specialmente nella tradu­
zione delle attività e delle aspirazioni di Mujeres Libres in un lin­
guaggio attuale, sono stati inestimabili.

Studiando la letteratura esistente su Mujeres Libres e l’anarchi­


smo spagnolo, parlando e mantenendo una corrispondenza con le
donne che ho conosciuto e cercando di comprendere la loro vita e
quello che avevano fatto, sono sorti tre punti di interesse intorno ai
quali ho sviluppato il mio libro: la comunità, Vempowerment e la
diversità. Mujeres Libres, come tutto il movimento libertario spa­
gnolo, era di orientamento collettivista e comunitario, aveva cioè
una concezione della società in cui l’autosviluppo di ogni membro
è collegato allo sviluppo di tutti18. Libertà ed uguaglianza, identità

18. Con ComuniSmo Libertario mi riferisco alla tradizione rappresentata dai la­
vori di Pierre-Joseph Proudhon, Michail Bakunin, Peter Kropotkin, Errico Mala-
testa, Emma Goldman ed altri ancora. Ho studiato per la prima volta l’evoluzione
di queste idee nella mia Tesi di Dottorato, “The Possibility of Anarchism. The
Theory and Practice of non-Authoritarian Organization”, Department of Politics,
Princeton University, 1976.

42
individuale e comunità erano intese come reciprocamente interdi­
pendenti, essendo ognuna condizione previa dell’altra. Pertanto, le
donne di Mujeres Libres capirono che l’acquisizione di coscienza e
Vempowerment erano processi sia individuali che collettivi. Cre­
devano con fermezza che Y empowerment avrebbe potuto realiz­
zarsi solamente all’interno di comunità e/o organizzazioni che ri­
conoscessero e valorizzassero la diversità e la specificità dei loro
membri.
Per quanto riguarda questa loro concezione delle relazioni tra in­
dividui e comunità, Mujeres Libres ed i libertari spagnoli si sareb­
bero trovati in grave disaccordo con le classiche formulazioni libe­
rali così comuni nella cultura statunitense contemporanea.
Condividevano con i socialisti l’opinione che l’identità individuale
e la comunità non erano discordanti, ma indissolubilmente unite. I
marxisti, gli anarchici, le femministe ed altri critici della società
hanno ribadito che i bisogni e la consapevolezza umana sono il pro­
dotto delle nostre relazioni sociali e, pertanto, parlare dell’individuo
al di fuori del contesto sociale non ha senso, o comunque ne ha
molto poco. Insistono, inoltre, che quanto noi chiamiamo “libertà”
è di per sé un prodotto sociale19.
Ma le più recenti ricerche e le teorie femministe storico-sociali
superano questa formulazione, sottolineando l’importanza delle reti
collettive/comunitarie per la formazione delle persone e per la crea­
zione di un contesto adeguato allo sviluppo della consapevolezza di
sé e delVempowerment20. Questa enfasi data alle reti di relazione e

19. Vedi COTT, Nancy: The Grounding of Modern Feminism, Yale University
Press, New Heaven, 1987; EINSTEIN, ZiTlah: The Radicai Future o f Liberal Fe­
minism, Longman, New York, 1981; e TAYLOR. Barbara: Ève and thè New Je-
rusalem, Pantheon, New York, 1983. Benjamin Barber segnala in The Death o f
Communal Liberty (Princeton University Press, Princeton, 1984), ad esempio, che
le comuni svizzere intendevano la libertà come una “autonomia in collabora­
zione”.
20. Tra i primi articoli che sono stati scritti su questo tema segnaliamo quelli di
KAPLAN, Temma: “Female Consciousness and Collective Action. The Case of
Barcelona, 1910-1918” Signs, 7, n. 3 (primavera 1982), pp. 545-66; KAPLAN:
“Class Consciousness and Community in Nineteenth Century Andalusia”, Politi­
cai Power and Social Theory, 2 (1981), pp. 21-57; HYMAN, Paula: “Immigrant
Women and Consumer Protest. The New York City Kosher Meat Boycott of
1902” American Jewish History, 70 (estate 1980), pp. 91-105; e THATCHER
ULRICH, Laurei: “A Friendly Neighbor. Social Dimensions of Daily Work in

43
all’ambito sociale sta dando origine a nuovi concetti sulla politica,
intesa come radicata non negli individui e nelle loro necessità ed in­
teressi, ma in quello che potremmo chiamare “sottocollettività so­
ciali”, con una conseguente attenzione alla loro costituzione, ai loro
limiti e alle dinamiche di potere al loro interno21. Per le ricercatrici
femministe contemporanee, questa messa a fuoco ha reso possibile
analizzare più profondamente i luoghi che occupano queste reti, la
comunità e le relazioni di gruppo nella vita delle donne, sia nel pas­
sato che nel presente22.
Gli anarchici spagnoli e le donne di Mujeres Libres hanno rico­
nosciuto con sicurezza l’importanza di queste connessioni e la co­
stituzione sociale dell’individuo come persona e, come le loro pre­
cedenti “sorelle” del movimento socialista utopico britannico
(anche se sembra che non avessero una conoscenza diretta della
loro esistenza e delle loro attività), cercarono di sviluppare forme ed
attività organizzative che potessero permettere alle persone di spe­
rimentare tutto questo. Come spiegherò nel Capitolo li, questa pro­
spettiva le portò a rivolgersi alla gente in una varietà di contesti,
come ad esempio nelle comunità rurali, nei quartieri cittadini e nei
posti di lavoro. Per le donne di Mujeres Libres, questa prospettiva

Northern Colonial New England”, Feminist Studies, 6, n. 2 (estate 1980), pp. 392-
405. Per studi più recenti che esplorino l’importanza per l’attivismo femminile
delle reti basate sulla comunità e sul luogo di lavoro si veda Women, Work and
Protest. A Century o f U.S. Women’s Labor History (ed. Ruth MILKMAN), Rou-
tledge and Kegan Paul, Boston, 1985; e Women and the Politics o f Empowerment
(ed. Ann BOOKMAN e Sandra MORGEN), Temple University Press, Phila­
delphia, 1988.
21. ANTHIAS, Floya e Nira YUVAL-DAVIS: “Contextualizing Feminism.
Gender, Ethnic and Class Divisions”, Feminist Review, n. 15, 1983; BARRETT,
Michelle e Maureen McKINTOSH: “Etnocentrism and Socialist-Feminist
Theory”, Feminist Review, n. 20, 1985; HOOKS. Bell: A in’t I a Woman. Black
Women and Feminism, South End Press, Boston, 1981.
22. Ho analizzato molte di queste pubblicazioni nel mio lavoro “Sisters or Ca-
marades? The Politics of Friends and Families”, in Families, Politics and Public
Policies (ed. Irene DIAMOND), Longman, New York, 1983, pp. 339-56; e con
Irene DIAMOND come coautrice in: “Gender and political Life. New Directions
in Political Science”, in: Analyzing Gender: Social Science Perspectives (ed. Beth
B. HESS e Myra MARX FERREE), Sage, Beverly Hills, 1988. Vedi anche
SMITH, Ruth L. e Deborah M. VALENZE: in “Mutuality and Marginality. Libe­
ral Moral Theory and Working-Class Women in Nineteenth-Century England”,
Signs, 13, n. 2 (inverno 1988), pp. 277-98.

44
comportó anche un’enfasi specifica sull’importanza dell’identità di
genere, sia rispetto alla costituzione di comunità sia rispetto alla
creazione delle condizioni necessarie all’autoconsapevolezza e
all’emancipazione.
Il secondo tema emerso nello studiare questo materiale riguarda
le problematiche legate al potere, al dominio ed all’empowerment.
Gli anarchici e gli anarco-sindacalisti spagnoli hanno sviluppato, e
hanno quindi cercato di agire seguendo queste coordinate, una con­
cezione della natura del potere e della gerarchia nella società che
differiva significativamente sia dalle strategie marxiste che da
quelle liberali e che si trova in sintonia con l’interesse di molte teo­
rizzazioni femministe contemporanee per l’interazione tra le ge­
rarchie di genere, razza e classe sociale. Anche se il campo del sa­
pere femminista su questo tema è enorme ed è in continua crescita,
i riferimenti teorici hanno mostrato una tendenza a ricadere nelle tre
famose categorie di femminismo liberale, femminismo socialista e
femminismo radicale. Queste categorie si differenziano nella loro
concezione della natura e delforigine della subordinazione della
donna nella società e nel rapporto tra le disuguaglianze di genere e
quelle basate invece sulle differenze di classe, quelle etnico-cultu-
rali, quelle religiose o di altro tipo.
Gli anarchici e le anarchiche condividono con i socialisti, con le
femministe socialiste e con le femministe radicali la convinzione
che i fattori implicati in un’adeguata comprensione delle disugua­
glianze sociali - e della disuguaglianza basata sul genere, in parti­
colare - superino la semplice discriminazione. Eppure gli anarchici
spagnoli si fecero portavoce di molte questioni che interessarono i
primi socialisti utopici, che si differenziano significativamente dai
marxisti (e dalle femministe socialiste e radicali contemporanee).
Invece di considerare i rapporti di classe o le divisioni tra i sessi
come la prima forma di subordinazione dalle quali dipendono tutte
le altre, gli anarchici vedono nella gerarchia, nell’autorità forma-
lizzata, un problema ugualmente cruciale. Ammettevano quindi
1’esistenza di vari tipi di subordinazione (ad esempio politica e ses­
suale, così come anche economica) in forma di relazioni più o meno
indipendenti, ognuna delle quali doveva essere affrontata da un mo­
vimento realmente rivoluzionario.
Nel suo studio sul movimento owenita britannico, Barbara Tay­
lor afferma che questi primi socialisti utopici svilupparono un’ana­

45
lisi della società e del dominio al suo interno, che considerava le
persone come esseri inscindibili dalla collettività. Inoltre, ricono­
scevano la necessità di trattare il genere e la classe come manife­
stazione di relazioni di potere. Eppure, come lei stessa sottolinea,
questa molteplice analisi dell’oppressione ebbe una vita molto
breve. Da lì a pochi anni, non ci sarebbe più stato posto per il “fem­
minismo” nella nozione socialista di solidarietà. Il “radicalismo
della parità dei sessi”, che era stato un aspetto importante del so­
cialismo utopico, andò perduto quando si sviluppò il socialismo
scientifico, secondo il quale il concetto di classe era la categoria
centrale dell’analisi. Nella “scissione” che ne derivò, il femminismo
perse la sua analisi delle classi sociali ed il socialismo perse la sua
dimensione femminista23. Anche se la forza dell’analisi marxista
deriva precisamente dalla sua insistenza nel vedere le relazioni eco­
nomiche come la radice di tutte le relazioni di dominio e di subor­
dinazione nella società, molte femministe critiche iniziarono presto
a denunciare che questo punto di vista così monolitico dell’oppres­
sione costituiva un limite teorico del marxismo. Nell’analisi socia­
lista marxista non c ’era posto per una concezione indipendente
della subordinazione della donna, subordinazione che si trovava in­
vece sia nelle società socialiste che in quelle capitaliste, indipen­
dentemente dalle “forme di produzione”. Ma “aggiungere le donne
e poi mescolare” in un modello analitico marxista avrebbe solo pro­
dotto confusione, in quanto avrebbe distrutto la forza che gli deri­
vava specificatamente dalla pretesa di radicare tutte le gerarchie
nei rapporti economici.
Insistendo sulla necessità di dover affrontare la gerarchia ed ab­
batterla indipendentemente dai rapporti economici, l’anarchismo
sembra, al contrario, offrire un modello analitico che potrebbe ri­
conoscere i molteplici rapporti di dominio e di subordinazione
senza dover presupporre che uno sia più o meno fondamentale
dell’altro. Proprio per aver riconosciuto questo carattere molteplice
dei rapporti di subordinazione, l’esperienza di Mujeres Libres può
essere di grande aiuto alle femministe contemporanee che lottano
per sviluppare una concezione della subordinazione delle donne e
del loro empowerment che consideri le differenze etniche, di classe
e culturali.

23. TAYLOR: Eve and the New Jerusalem, cit., passim.

46
Collocando l’identità individuale all’interno della comunità e ri­
conoscendo nelle strutture gerarchiche del potere (basate sul genere,
sulla religione o sulla classe sociale) un limite per lo sviluppo tanto
delle comunità quanto degli individui che ne fanno parte, Mujeres
Libres cercò di sviluppare delle strategie di empowerment che per­
mettessero alle donne ed agli uomini di prendere coscienza delle
proprie capacità. Le femministe ed i militanti democratici degli Stati
Uniti si confrontano, in primo luogo, su questioni che riguardano
tutti questi problemi: Che cosa significa empowerment? Come pos­
siamo “dare potere” a noi stesse ed agli altri senza creare nuove re­
lazioni di “potere su” gli altri? Le recenti analisi di Starhawk del po­
tere come “potere su”, “potere all’interno di” e “potere con”
rappresentano un esempio di queste ricerche femministe contempo­
ranee - e, concretamente, eco-femministe24 L’esperienza di Muje­
res Libres può contribuire notevolmente a questo dibattito.
Infine, anche la questione della diversità è collegata a questi
temi. Anche se gli anarchici spagnoli, uomini e donne, insistevano
molto sull’importanza della comunità e sull’interdipendenza tra co­
munità ed individualità, affermavano anche che la condivisione di
aspirazioni e desideri non doveva essere per forza basata su di una
totalità organica e che le comunità non solo potevano accogliere al
loro interno le diversità, ma potevano anche venirne rafforzate.
È sicuramente più facile aspirare a questa teorizzazione che ren­
derla concreta. La storia di Mujeres Libres è, per molti versi, la sto­
ria di un tentativo di costruzione di un movimento che includesse
almeno una serie di differenze, quelle basate sul genere. Le donne
di Mujeres Libres, lavorando nell’ambito del movimento anarco-
sindacalista spagnolo, sollecitarono i loro compagni, uomini e
donne, a ripensare cosa fosse la loro comunità, chi ne facesse parte,
a chi servisse e come funzionasse. Durante questo processo, indi­
rizzarono la teoria e la pratica anarchica verso nuove ed appassio­
nanti direzioni.
Questa dimensione della loro attività lancia importanti sfide ed
apre numerose possibilità per noi oggi. Non è una coincidenza che
mentre riconosciamo ogni giorno di più il potere delle relazioni so­
ciali nelle nostre vite, contemporaneamente le femministe ed i teo-

• 24. STARHAWK: Truth or Dare. Encounters with Power, Authority, and My­
stery’, Harper and Row, San Francisco, 1988, pp. 8-10.

47
rici democratici statunitensi stiano cercando di capire proprio ora
quello che vogliamo dire con comunità. All’interno del movimento
femminista, inteso nel suo senso più generale, sono state le donne
di colore quelle che per prime ed in modo più coerente si sono poste
il problema del ruolo che occupa la comunità nell’identità indivi­
duale ed hanno insistito sul fatto che qualsiasi prospettiva od aspi­
razione - e qualsiasi comunità - veramente femminista deve non
solo tollerare, ma addirittura sostenere e incoraggiare le diversità25.
Più recentemente, alcune femministe bianche hanno cominciato
a discutere seriamente sul significato e l’importanza della diversità
delle donne26. Ogni giorno sempre più donne bianche si stanno ren­
dendo conto che forse non esiste una cosa chiamata “la donna” e
che le nostre identità come donne individuali sono fondamental­
mente connesse ai gruppi etnici, religiosi e culturali che contribui­
scono ulteriormente alla nostra identità. È chiaro che molte donne
di colore, operaie, ebree o comunque appartenenti a gruppi subor­
dinati sono state più che consapevoli dell’importanza di queste dif­
ferenze, insufficientemente considerate nel più vasto “movimento
delle donne”27. Che significa allora tutto questo per le organizza­
zioni femministe e per la teoria femminista? Riconoscendo le dif-

25. LORDE, Audre: Sister Outsider, Crossing Press, Trumansburg, New York,
1984; LEWIS, Diane K.: “A Response to Inequality. Black Women, Racism, and
Sexism”, Signs, 3, n. 2 (invernó 1977), pp. 339-61; SIMONS, Margaret A.: “Ra­
cism and Feminism. A Schism in the Sisterhood”, Feminist Studies, 5, n. 2 (estate
1979), pp. 389-410; THORNTON DILL, Bonnie: “Race, Class and Gender. Pro­
spects for an All-Inclusive Sisterhood”, Feminist Studies, 9, n. 1 (primavera 1983),
pp. 131-50.
26. Uno dei primi studi sui rapporti tra razzismo e sessismo é di SMITH, Lil­
lian: Gli assassini del sogno, Mondadori, Milano, 1957. Vedi anche SPELMAN,
Elizabeth V.: Inessential Woman, Beacon Press, Boston, 1988; RICH, Adrianne:
“Disloyal to Civilization. Feminism, Racism, and Gynephobia”, in On Lies, Se­
crets, and Silence. Selected Prose 1966-1978, Norton, New York, 1979, pp. 275-
310; MARYNICK PALMER, Phyllis: “White Women/Black Women. The Dua­
lism of Female Identity and Experience in The United States”, Feminist Studies,
9, n. 1, (primavera 1983), pp. 151-70; BULKIN, Elly, Minnie BRUCE PRATT e
Barbara SMITH: Yours in Struggle, Long Haul Press, New York, 1984.
27. LUGONES, María C. e Elizabeth V. SPELMAN: “Have We Got a Theory
for You! Feminist Theory, Cultural Imperialism, and the Demand for “The
Woman’s Voice”’, Women’s Studies International Forum, 6, n. 6 (1983), pp. 573-
81; ACKELSBERG Martha: “Personal Identities and Collective Visions. Reflec­
tions on Being a Jew and a Feminist”, conferenza, Smith College, 8 marzo 1983.

48
ferenze di classe e quelle etniche fra le donne, dobbiamo abbando­
nare qualsiasi nozione di comunità?
Mujeres Libres si concentrò sulle differenze di genere tra donne
e uomini all’interno del movimento libertario piuttosto che sulle
differenze di classe o etniche tra le donne. Ma tuttavia le lotte che
portarono a termine per poter riconoscere e dare valore alle diffe­
renze, insistendo al tempo stesso sul concetto di uguaglianza, pos­
sono sicuramente insegnarci molto. Inoltre, sono convinta che una
parte della loro diffidenza nei confronti del femminismo derivasse
dal considerarsi donne della classe operaia e dal tenere presente le
differenze tra i bisogni e le esperienze delle donne della classe ope­
raia e quelle della classe media. Così, anche se le questioni a cui si
dedicarono erano inquadrate diversamente dalle nostre - riguarda­
vano prevalentemente le differenze di genere aH’intemo del movi­
mento operaio, più che le differenze di classe od etniche all’interno
di un movimento femminile -, le battaglie che portarono a termine,
le strategie che seguirono, i loro successi e le loro sconfitte pos­
sono essere molto utili per noi.
Nei primi anni del XX secolo e durante il periodo della Guerra
Civile spagnola (1936-1939), gli anarchici e gli anarco-sindacalisti
svilupparono in Spagna non solo un corpo di idee, ma anche una
rete di organizzazioni e di attività economiche, politiche e culturali
che costituirono la cornice in cui mettere alla prova i loro punti di
vista sulla comunità e sulla diversità, sull’oppressione e sullVra-
powerment. I libertari spagnoli si sforzarono di creare delle comu­
nità che rispettassero l’individualità dei loro membri, sottolineando
però allo stesso tempo che l’individualità poteva essere sviluppata
e sperimentata solamente aH’interno di una comunità. Le donne
che formarono Mujeres Libres erano tutte fortemente impegnate a
perseguire gli stessi obiettivi del movimento libertario ed erano
profondamente coinvolte nelle sue organizzazioni. Tutte si erano
nutrite ed erano cresciute in questa atmosfera. Molte dicevano di
loro stesse che avevano raggiunto una piena coscienza della loro
identità solamente attraverso le attività dei gruppi a cui partecipa­
vano, fossero essi sindacati, atenei, centri culturali, gruppi escur­
sionistici o altro. La comunità libertaria era stata essenziale per la
nuova consapevolezza di sé che si stavano formando.
Ma a parte questo, allo stesso tempo, sentivano che alle donne
^tava mancando qualcosa. Questa presa di coscienza fu dolorosa: il

49
sentimento di comunità che stavano vivendo in prima persona
all’interno del movimento anarco-sindacalista era così importante
per loro che temevano qualsiasi cosa avrebbe potuto minare la sua
unità ed integrità. Nonostante questo, tutte si trovarono d’accordo
nell’insistere che, tanto per lo sviluppo di loro stesse e delle altre
donne quanto per lo stesso movimento, fosse essenziale una orga­
nizzazione separata, dedicata all’emancipazione della donna. Que­
sta decisione non fu facile per nessuna di loro, ed il più delle volte
dovettero scontrarsi con l’opposizione dei loro compagni, sia uo­
mini che donne.
Il proposito che con questo libro mi prefiggo è di fare una cronaca
della lotta di queste donne, ed allo stesso tempo, di illuminare la no­
stra: riesaminare le tradizioni teoriche e militanti della Spagna che
diedero origine al movimento libertario, cercare di capire come e
perché queste donne fossero arrivate a credere che era necessaria
un’organizzazione autonoma di donne, esaminare come intesero la
relazione tra il loro progetto - e la loro autonomia - e le mete ultime
del movimento libertario e studiare come furono accolte dalle prin­
cipali organizzazioni tradizionali dello stesso movimento. Anche se
le lotte femministe e democratiche contemporanee per una società
più egualitaria differiscono in modo significativo dalla loro, anche
noi ci sforziamo di creare relazioni che possano nutrire senza soffo­
care e comunità che possano offrire validi contesti per il nostro im­
pegno. Nell’avvicinare le nostre vite alle loro, spero che potremo
non solo imparare dalla nostra storia ma anche riuscire a trovarvi
una fonte di forza.

50
Capitolo I
La rivoluzione anarchica
e la liberazione delle donne

Quando arrivò la Repubblica, molti assaltarono le carceri per libe­


rare i prigionieri, ed io ero una di queste persone. C ’era qualcuno che gri­
dava: “Abbasso la politica! Abbasso la Guardia Civile!” Insomma, ogni
tipo di "abbasso”. E dopo gridarono: “Viva l ’anarchia! ”, e pensai: “Ah!
Qui c ’è un anarchico. ” Questo fu il mio primo incontro con un anarchico
e non mi sembrava che fosse una persona terribile. Anzi, dal viso sem­
brava proprio una brava persona*.

Soledad Estorach

Quando la gente ci diceva: “Bambini, dove siete stati battezzati?” noi


rispondevamo: “Noi non siamo stati battezzati. ” “Che orrore! Che ra­
gazze! E pensare che sono delle creature così belle!” Perché eravamo
sei belle sorelle ed un fratello. “Queste ragazze crescono senza Dio, sono
come degli animali. ” “No, come gli animali sarete voi, che avete bisogno
di un padrone ”12.

E nriqueta Rovira

Ogni forma di dominio - quello esercitato dai governi, quello


delle istituzioni religiose o quello portato avanti attraverso le rela-

1. Soledad Estorach, intervista, Parigi, 6 gennaio 1982.


2. Enriqueta Rovira, intervista, Castellnaudary (Francia), 28 dicembre 1981.

51
zioni economiche - è per gli anarchici la fonte di ogni male sociale.
Anche se l’anarchismo condivide con molte tradizioni socialiste la
radicale critica del dominio economico e l’insistenza sulla necessità
di una fondamentale ristrutturazione economica della società se­
condo basi più egualitarie, si spinge comunque molto più in la del
socialismo marxista, e sviluppa una critica indipendente dello Stato,
della gerarchia e delle relazioni d’autorità in generale. Mentre i so­
cialisti sostengono che la radice di ogni dominio sia la divisione
del lavoro, gli anarchici ritengono invece che il potere abbia una sua
propria logica e che non potrà essere abolito prestando attenzione
alle sole relazioni economiche.
L’aspirazione dell’anarchismo è abolire la gerarchia e le relazioni
strutturate di dominio e di subordinazione all’interno della società.
Inoltre vuole creare una società basata sull’uguaglianza, sulla mu­
tualità e sulla reciprocità, in cui ogni persona venga apprezzata e ri­
spettata in quanto individuo. Questa visione della società si ricollega
a una teoria della trasformazione sociale che considera essenziale
che i mezzi siano coerenti ai fini, e che ritiene non sia possibile gui­
dare le persone verso una società futura, perché devono essere loro
stesse a crearla, prendendo poco a poco coscienza delle proprie ca­
pacità e della propria abilità. Tanto nella sua visione della società
ideale quanto nella sua teoria di come questa debba essere raggiunta,
l’anarchismo ha molto da offrire alle femministe contemporanee.
L’analisi anarchica delle relazioni di dominio fornisce un modello
utile per comprendere la situazione delle donne nella società e per
confrontare la condizione delle donne con quella di altri gruppi op­
pressi. Una teoria della trasformazione sociale che insiste nell’unità
dei mezzi e dei fini e nella forza degli oppressi, contrasta in modo sor­
prendente con molte delle teorie esistenti - e con la maggior parte dei
tentativi di messa in pratica - dei movimenti sociali rivoluzionai!

Inoltre, alcuni autori e militanti anarchici del secolo XIX, sia in


Spagna che in altri luoghi d’Europa e degli Stati Uniti, affronta­
rono approfonditamente il tema della subordinazione delle donne
nella società e insistettero con convinzione che la piena emancipa­
zione umana avrebbe avuto bisogno non solo dell’abolizione del
capitalismo e delle istituzioni politiche autoritarie, ma anche del
superamento della subordinazione culturale ed economica delle
donne sia alfinterno che all’esterno del focolare domestico. Già

52
nel 1872, ad esempio, un congresso anarchico celebrato in Spagna
dichiarava che le donne dovevano essere assolutamente uguali agli
uomini sia nell’ambiente familiare che nel luogo di lavoro.
Ma nonostante questo, né la teoria dell’anarchismo che si svi­
luppò in Spagna ed in altri paesi europei nel XIX secolo e nei primi
anni del XX, né la pratica deH’anarco-sindacalismo in Spagna fu­
rono paritarie nel senso integrale del termine3. Anche se molti au­
tori sembravano riconoscere l’importanza dell’emancipazione delle
donne per il progetto anarchico e la loro l’importanza all’interno del
movimento, pochi diedero veramente priorità a queste questioni.
Come accadde nei movimenti socialisti di tutta Europa, molti anar­
chici, nel migliore dei casi, affrontarono il tema della subordina­
zione delle donne come un qualcosa di secondario nei confronti
dell’emancipazione dei lavoratori, come un problema che avrebbe
dovuto essere risolto “il giorno dopo la rivoluzione”.
La fondazione di Mujeres Libres rappresentò un sforzo delle
donne all’interno del movimento anarco-sindacalista spagnolo in
due direzioni: da un lato sfidare il movimento stesso a mantenere la
promessa fatta alle donne, dall’altro rendere queste ultime in grado
di rivendicare il posto che spettava loro all’interno del movimento
e della società. Le fondatrici si sentivano frustrate per il fallimento
del movimento nell’incorporare adeguatamente le donne e nel dare
rilievo alle tematiche che le riguardavano, anche se erano convinte
però che il movimento fosse l’unico luogo in cui avrebbero potuto
raggiungere una reale liberazione.
Con questo libro mi piacerebbe fare luce sulle aspirazioni di
Mujeres Libres ed approfondire la loro rilevanza per le femministe
e gli attivisti sociali di oggi. Ma per fare questo dobbiamo prima di
ogni altra cosa situare Mujeres Libres - come d’altronde anche loro
stesse fecero - all’interno del contesto della teoria e della pratica
anarco-sindacalista. In questo capitolo prenderò in esame i lavori
degli autori anarchici spagnoli e di altri scrittori vicini alla tradizione
del “comuniSmo libertario” che hanno costituito la base teorica per
il movimento anarco-sindacalista spagnolo. Il mio obiettivo è di
mettere in rilievo il loro approccio all’analisi della subordinazione

3. L’anarco-sindacalismo fu una particolare creazione dei teorici e dei militanti


spagnoli, un insieme unico delle aspirazioni anarchiche con una strategia sinda­
calista rivoluzionaria. Vedi Cap. II.

53
delle donne, le loro critiche alla gerarchia e al dominio e la loro pro­
spettiva su come inserire pienamente questa attenzione alla subor­
dinazione delle donne all’interno di una teoria della trasformazione
sociale radicale. Ma desidero anche studiare le evidenti ambiguità di
queste analisi, la maniera in cui - nonostante la teoria anarchica con­
sideri fondamentale il fatto che le relazioni di dominio sono varie e
complesse - l’attenzione rivolta alla subordinazione delle donne era
ripetutamente relegata ad un secondo piano, sicuramente preceduta
dall’attenzione dedicata all’oppressione dei lavoratori maschi. Que­
sta contestualizzazione del programma e delle attività di Mujeres
Libres dovrebbe gettare le fondamenta per dimostrare come i loro
programmi si confrontassero con le debolezze dell’anarco-sindaca-
lismo dell’epoca e costituissero sia una critica che un ampliamento
della teoria e della pratica anarco-sindacalista spagnola.
Mi occuperò ora delle analisi anarco-sindacaliste spagnole del
dominio e della subordinazione, tese verso l’aspirazione ad una so­
cietà egualitaria ed al processo di empowerment relativo soprattutto
alla situazione femminile. L’approfondimento di queste questioni
ad un livello teorico può servire quindi come base e contrappunto
per un’analisi più storica delle radici di Mujeres Libres all’interno
del movimento anarco-sindacalista, compito che affronterò nel Ca­
pitolo II. Di fatto, per gli anarchici, la teoria e la pratica non si dif­
ferenziavano quasi in questo senso. Le posizioni teoriche che trat­
teremo in questo capitolo si svilupparono nel contesto di lotte
storiche e allo stesso tempo contribuirono al loro sviluppo. Le ana­
lizzerò separatamente solo per propositi analitici.

Dominio e subordinazione

Le aspirazioni anarchiche sono politicamente, socialmente ed


economicamente egualitarie. Politicamente e socialmente, una so­
cietà anarchica è una società senza governo, senza relazioni gerar­
chiche istituzionalizzate o modelli di autorità. Gli anarchici affer­
mano che le persone possono organizzarsi ed associarsi in base alla
necessità, che gli individui o i piccoli gruppi possono avviare
l’azione sociale e che la coordinazione politica centralizzata non
solo è dannosa, ma è anche inutile. Il diritto o l’autorità a dirigere o
dominare una situitzione non dovrebbe essere inerente a ruoli od

54
organismi ai quali alcune persone hanno un accesso privilegiato e
da cui altri vengono sistematicamente esclusi. E, per finire, gli anar­
chici sono impegnati anche in relazioni di non dominio verso l’am­
biente e verso le persone. Gli anarchici si sono concentrati non nella
conquista della natura, ma nello sviluppo, nei limiti del possibile, di
nuovi modi di vivere in armonia con questa4.
Praticamente tutti i maggiori pensatori occidentali danno per
scontato che l’ordine sociale ha bisogno di un leader, della gerar­
chia, e soprattutto, di autorità politica. Molti aggiungono che la vita
sociale, specialmente in una società complessa, non potrebbe esi­
stere senza strutture di potere e di autorità. “Società significa che
esistono delle nonne che regolano la condotta umana”, e le nonne
hanno bisogno, a loro volta, di autorità che con il loro potere le fac­
ciano rispettare5. Con una posizione leggermente diversa i teorici
del contratto sociale argomentano che l’autorità politica è necessa­
ria per creare un ordine sociale stabile, condizione previa per la
scelta morale. Tteorici del movimento sociale sostengono che è ne­
cessaria una persona forte (o più persone forti) per unire individui
diversi in un’unità coerente e per dare loro una guida. L’organizza­
zione, a sua volta, richiede che ci siano persone che impartiscono
ordini ed altri - sia nelle vesti di “bravi cittadini” che di “bravi ri­
voluzionari” - che siano preparati ad accettarli e a eseguirli6.

4. Pietro KROPOTKIN, Campi, fabbriche e officine, Antistato, Milano, 1975.


Vedi anche BREITBART, Myrna M..“Peter Kropotkin. Anarchist Goegrapher”,
in: Geography, Ideology and Social Concern (ed. David STODDART), Oxford
University Press, New York, 1982, pp. 134-153. Per una comparazione con le
analisi eco-femministe contemporanee vedi GRIFFIN, Susan: Women and Na­
ture. The Roaring Inside Her, Harper and Row, New York, 1978; CHRIST,
Carol: “Finitude, Death, and Reverence for Life”, in: Laughter o f Aphrodite. Re­
flections on a Journey to the Goddess, Harper and Row, San Francisco, 1987,
pp. 213-228; KING, Ynestra: “Feminism and the Revolt of Nature”, Heresies, 4,
n. 1 (1981), pp. 12-16.
5. DAHRENDORF, Ralf: “On the Origin of Social Inequality”, in: Philo­
sophy, Politics, and Society (ed. Peter LASLETT e W.G. RUNCIMAN), Basil
Blackwell, Oxford, 1962 (2° serie), p. 105.
6. WEBER, Max: “Politics as a Vocations”, in: From Max Weber. Essays in
Sociology (eds. Hans H. GERTH e C. WRIGHT MILLS), Oxford University
Press, New York, 1958; MICHELS, Robert: Political Parties (ed. e trad. Eden e
Cedar PAUL), Free Press, New York, 1962, soprattutto pp. 326, 344-66; e Vla­
dimir Ilic LENIN, Che fare, Editori Riuniti, Roma, 1986, soprattutto le parti II-
IV.

55
Gli anarchici, al contrario, sostengono che le gerarchie formali
non solo sono dannose, ma anche inutili e che esistono modi alter­
nativi e basati su di un principio più egualitario per organizzare la
vita sociale. E la cosa più importante è che, insieme ad alcuni so­
cialisti e, più di recente, ad alcune femministe, gli anarchici riten­
gono che la natura umana è una costruzione sociale, che il com­
portamento delle persone è più un prodotto delle istituzioni nelle
quali siamo cresciuti che il risultato di una natura inerente. Le strut­
ture di autorità formali e gerarchiche possono perfettamente creare
le condizioni che pretenderebbero in teoria di combattere: più che
evitare il disordine, i governi rappresentano quindi una delle sue
principali cause7. Le istituzioni gerarchiche fomentano relazioni
alienate e di sfruttamento fra chi ne fa parte, rendono incapaci le
persone e le allontanano quindi dalla loro stessa realtà. Le gerarchie
fanno sì che certe persone dipendano da altre, quindi le colpevoliz­
zano per la loro dipendenza e poi usano questa dipendenza per giu­
stificare l’esercizio dell’autorità8.
Molti anarchici spagnoli utilizzarono 1’esistenza della subordi­
nazione delle donne nella società come un esempio per dimostrare
il potere che le istituzioni sociali hanno di creare persone dipen­
denti. Anche se fra gli anarchici spagnoli esistevano molti punti di
vista sulla natura delle donne e sul ruolo che avrebbero poi avuto
nella futura società, la maggioranza degli autori anarchici sembrava
essere d’accordo sul fatto che le donne si trovavano, all’interno
della società spagnola, in una situazione di grave svantaggio e che
le disuguaglianze esistenti tra uomini e donne erano principalmente
un prodotto del condizionamento sociale e del potere maschile. Già

7. PUENTE Isaac: “Independencia econòmica, libertad y soberanía indivi­


duai”, Estudios, n. 121 (settembre 1933), pp. 22-23.
8. TÁRRIDA DEL MÁRMOL, Fernando: Problemas trascendentales, Bi­
blioteca de “La Revista Bianca”, Barcellona, 1930, pp. 118-21 ; MELLA, Ricardo:
“Breves apuntes sobre las pasiones humanas”, saggio premiato scritto originaria­
mente nel 1889, ripubblicato nel 1890 e nel 1903 e stampato nuovamente con il
nome di: Breves apuntes sobre las pasiones humanas, Tusquets, Barcellona, 1976,
pp. 20-21; e URALES, Federico (Juan Montseny): “Consideraciones morales
sobre el funcionamiento de una sociedad sin gobierno”, La Revista Blanca, 1, n. 4
(15 luglio 1923), n. 5 (1 agosto 1923), n. 6 (15 agosto 1923) e n. 7 ( I o settembre
1923). Per un punto di vista contemporaneo vedi Richard SENNETT, Gli usi del
disordine: identità personale e vita nella metropoli, Costa&Nolan, Genova, 1999.

56
nel 1903 José Prat sosteneva che “l’arretratezza attuale della donna
è un risultato dello stato d’abbandono in cui la si è voluta mantenere
e nel quale ancora oggi si trova. La natura non ha niente a che ve­
dere con questo. Se la donna è in una situazione di arretratezza è
perché da sempre l’uomo l’ha voluta mantenere in questa posizione
di inferiorità privandola di tutti i diritti che stava gradualmente con­
quistando invece per se stesso”9. Gregorio Maranón e Mariano Gai-
lardo, pur riconoscendo che vi erano significative differenze ses­
suali fra donne e uomini, sostenevano che le disuguaglianze di
genere esistenti nei gruppi sociali erano il risultato dell’aver negato
alle donne molte opportunità: “Questa decantata inferiorità è pura­
mente artificiale, l’inevitabile frutto di una civilizzazione che, edu­
cando separatamente e in modo diverso l’uomo e la donna, fa di
lei una schiava e del suo compagno un feroce tiranno” 101.
Gli anarchici spagnoli, così come anche le femministe contem­
poranee, sostenevano che l’esercizio istituzionalizzato del potere -
fosse esso economico, politico, religioso o sessuale - rende brutale
sia chi esercita il potere sia chi lo subisce. Da una parte, chi detiene
il potere tende solamente a sviluppare un desiderio sempre mag­
giore di conservarlo. I governi, ad esempio, possono affermare che
rappresentano un “interesse comune” o una “volontà generale”, ma
questa è una pretesa falsa e cerca di mascherare il ruolo dello Stato
che vuole preservare e mantenere il potere economico e politico di
poche persone sulla maggioranza1’.
Inoltre l’esercizio del potere di pochi nega ed impedisce l ’em-

9. A las mujeres, conferenza tenuta presso il “Centro Obrero” di Sabadell e


presso il “Centro Fraternal de Cultura” di Barcellona, 18 e 24 ottobre 1903, Bi­
blioteca Editorial Salud. Barcellona, 1923, 14-15.
10. GALLARDO, Mariano: “Tendencias del instinto sexual humano”, Estu­
dios, n. 136 (dicembre 1934). Vedi anche “Influencia de las instituciones sociales
sobre el carácter humano”, ibidem, n. 137 (gennaio 1935), p. 63; e MARAÑÓN,
Gregorio: “Sexo, trabajo y deporte” e “Maternidad y feminismo”, in: Tres en­
sayos sobre la vida sexual, 5o ed., Biblioteca Nueva, Madrid, 1929, soprattutto 43,
80, 87 ss. e 129 ss.
11. PUENTE, Isaac: El comunismo libertario. Sus posibilidades de realiza­
ción en España, Biblioteca de Estudios, Valencia, 1933, p. 9; BAKUNIN, Mi­
chael: “L ’internazionale e Carlo Marx”, in: BAKUNIN, Libertà, egualianza, ri­
voluzione. Michail Bakunin; scritti scelti, Antistato, Milano, 1976, p. 318; Errico
MALATESTA, L ’anarchia, Datanews, Roma, 2001 [pamphlet originale pubbli­
cato nel 1891], pp. 12-15.

57
powerment agli altri12. Le persone che si trovano ad occupare posti
di relativo dominio tendono a definire il carattere stesso di chi in­
vece si trova a loro subordinato. Attraverso una combinazione di
intimidazione fisica, dominio, dipendenza economica e limitazioni
psicologiche, le istituzioni e le pratiche sociali influiscono sul
modo in cui ognuno vede il mondo ed il posto che vi occupa13.
Gli anarchici sostengono che il trovarsi sempre relegato nella po­
sizione di soggetto passivo dell’azione e il non poter mai agire
volontariamente porti ad uno stato di dipendenza e di rassegna­
zione. Le persone alle quali vengono sempre impartiti degli ordini
e alle quali viene così impedito di pensare autonomamente, ini­
ziano presto a dubitare delle proprie capacità. Gli anarchici e le
femministe contemporanee14 ritengono che le persone che ven­
gono determinate dagli altri hanno grandi difficoltà ad autodeter-
minarsi, o ad avere coscienza di sé stesse e della loro esperienza,
e vivono una difficoltà ancora maggiore al momento di agire au­
tonomamente in opposizione alle norme, agli standard e alle
aspettative sociali15.
Gli anarchici, perciò, si oppongono alle strutture d’autorità per­
manenti in cui certe persone sembrano trovare la loro “vocazione”,

12. Una parte sostanziale di questa analisi è stata sviluppata in collaborazione


con Kathryn Pynne Parson Addelson y Shawn Pyne, in un articolo letto presso il
Philosophy Club del North Carolina State University a Raleigh, il 22 marzo 1978;
vedi ACKELSBERG, Martha e Kathryn ADDELSON: “Anarchism and Femmi-
nism”, in: Impure Thoughts. Essays on Philosophy, Femminism and Ethics (ed.
ADDELSON), Tempie University Press, Filadelfia, 1991.
13. CHAFE, William: Women and Equality, Oxford University Press, New
York, 1977; FERGUSON, Kathy E.: The Feminist Case against Bureaucrary,
Tempie University Press, Filadelfia, 1984, soprattutto Cap. 1, 2 e 5.
14. CHRIST Carol P.: Diving Deep and Surfacing. Women Writers on Spiritual
Quest, Beacon Press, Boston, 1980; PLASKOW, Judith: Sex, Sin, and Grace:
Women ’s Experience and thè Theologies o f Reinhold Niehuhr and Paul Tillich,
University Press of America, Washington, D.C., 1980, soprattutto cap. 1. Vedi
anche DUBOIS, W.E.B.: The Souls o f Black Folk, A.C. McClurg, Chicago, 1903,
soprattutto Cap. 2.
15. PRAT, José: Necesidad de la asociación, Ediciones El Libertario, Madrid,
s.d., p. 10; MELLA, Ricardo: Organización, agitación y revolución, Ediciones
Tierra y Libertad, Barcelona, 1936 (Cuadernos de Educación Social), p. 5;
PUENTE, Isaac: “Mi concepto del apoliticismo”, Solidaridad Obrera (8 gennaio
1936), p. 8; e URALES,‘Federico: “Consideraciones morales sobre el funciona­
miento de una sociedad sin gobierno”.

58
sostenendo che le relazioni d’autorità nella società dovrebbero es­
sere più fluide: “Tutti gli uomini sono liberi. Liberamente si lavora,
liberamente si scambia, liberamente si contratta.” 16.

Comunità ed uguaglianza
Molti teorici, senza dubbio, hanno sostenuto che nonostante i
loro effetti negativi, le strutture gerarchiche, il dominio e la subor­
dinazione (sia in campo politico che economico o sessuale) sono
necessarie per la vita sociale. Per rispondere a questo concetto, gli
anarchici propongono modi alternativi di organizzazione della so­
cietà che includono tanto la libertà quanto l’uguaglianza, nella con­
cezione più ampia del termine. Tali aspirazioni situano fermamente
gli individui nell’ambito della comunità e prestano attenzione alle
relazioni economiche, ai meccanismi per la coordinazione, alla ses­
sualità, alle relazioni fra entrambi i sessi ed ai sistemi progressivi
d’istruzione e di socializzazione che rendono possibile ad una so­
cietà di conservarsi nel tempo.
Come base dell’organizzazione, al posto della disuguaglianza,
gli anarchici propongono il mutualismo, la reciprocità ed il federa­
lismo. Al posto della gerarchia e del dominio, propongono invece
che tutti siano in grado di raggiungere un livello tale di emancipa­
zione che renda ogni individuo capace di sviluppare il proprio mas­
simo potenziale, ovviando così alla necessità della disuguaglianza
sociale, politica o sessuale. Metterò in rilievo gli aspetti della teo­
ria anarchica sulla rivoluzione che furono particolarmente impor­
tanti per Mujeres Libres e grazie ai quali comprenderemo meglio il
contributo di Mujeres Libres allo sviluppo della teoria e della pra­
tica del cambiamento sociale non autoritario: la natura sociale della
libertà, l’aspirazione ad una società egualitaria ed il processo di
presa di coscienza e di empowerment.
La libertà individuale era una premessa basilare della tradizione
anarchica spagnola. “La sovranità individuale” è un principio fon­
damentale nella maggior parte degli scritti anarchici; il libero svi­
luppo della potenzialità individuale di ogni persona è uno dei “di­

16. MELLA: “Breves apuntes sobre las pasiones humanas”, p. 34.

59
ritti” basilari con cui nascono tutti gli esseri umani17. Ciò nonostante,
gli anarchici spagnoli erano fermamente legati alla tradizione anar­
chica di orientamento comunalista. Per loro la libertà era fonda­
mentalmente un prodotto sociale: la maggiore espressione dell’in­
dividualità e della creatività può essere raggiunta solo all’interno
della comunità e attraverso questa. Come lasciò scritto Fiorentina
(pseudonimo di Carmen Conde) riferendosi alla relazione tra indi­
vidualità e comunità: “Io, e la mia verità; io e la mia fede [...] io, ed
io per voi, ma senza smettere mai di essere me stessa affinché voi
siate sempre voi stessi. Perché io non esisto senza che voi esistiate,
ma è indispensabile che io esista perché esistiate voi” 18. Facevano
continui riferimenti all’affermazione di Kropotkin che considera la
vita sociale regolata non da una lotta antagonista per la sopravvi­
venza, ma dal “mutuo soccorso”: “L’associazione è la base della
vita. Anzi, è meglio dire, senza l’associazione nessun tipo di vita è
possibile” 19. “Solamente in una società totalmente egualitaria,
sprovvista di gerarchie economiche e del privilegio politico e ses­
suale, tutti sarebbero liberi di svilupparsi al massimo e potrebbe na­
scere l’iniziativa individuale”20.

17. URALES, Federico: “Comunistas y comunismos”, La Revista Blanca, 1, n.


2(15 giugno 1923), p. 2 e p. 4; MONTSENY, Federica: “El espíritu gregario y el
individuo”, ibidem, 2 (1924), pp. 9-11, e “Influencias marxistas en el anarquismo”,
ibidem, 10 (1932), pp. 265-67; MELLA, Ricardo: “El socialismo anarquista”, Na­
tura, n. 17 e n. 18 (giugno 1904), ristampato con il titolo: Breves apuntes sobre las
pasiones humanas, pp. 53-54. Fra gli autori non spagnoli si veda P J.PROUDHON,
“Filosofia popolare. Programma”, in: La giustizia nella rivoluzine e nella chiesa,
Torino, UTET, 1968; e GOLDMAN, Emma: “Anarchism. What It Ready Stands
For”, in: Anarchism and Other Essays (ed. Richard DRINNON), Dover, New York,
1969, pp. 47-67, soprattutto pp. 55, 59 e 62.
18. FLORENTINA: “Lo que debe decir lo que tiene fe”, Mujeres Libres, n. 12.
19. PRAT, José: Necesidad de la asociación, pp. 1, 2 e 4; TÁRRIDA DEL
MÁRMOL: “Los siete enigmas del universo”. Problemas trascendentales, pp. 25-26.
20. MELLA: “El socialismo anarquista”, pp. 55-56; “Errico Malatesta on solida-
rity”, in: Anarchy, pp. 19-20; MALATESTA: “El individualismo en el anarquismo”,
“La anarquía” e “Nuestro programa”, in Errico MALATESTA, L ’anarchia, Datanews,
Roma, 2001; Errico MALATESTA, ti nostro programma, in Scritti. Pagine di lotta
quotidiana, voi. II, pagg. 221-236, Carrara, MAI, 1975 (a cura di. Vemon RICHARDS
“L’organizzazione” in Errico Malatesta. Vita e idee, Collana Porro, Catania, 1968).
Vedi anche ROTENSTREICH, Nathan: “Community as a Nomi”, in: Communal Life.
An International Perspective (eds. Yosef GORNI, Yaacov OVED e Idit PAZ), Yad Ta-
benkin, Efal, Israel, e Transaction Books, New Bruswich, N. J., 1987, pp. 21-27.

60
Quest’enfasi nell’individualità, nell’iniziativa individuale e nell’am­
bito comunitario, che ne costituisce la base, offrì agli anarchici spa­
gnoli un potenziale contesto per affrontare la questione della diffe­
renza di genere. Questa prospettiva fece nascere una coscienza, almeno
a livello teorico, della diversità umana, della varietà dei modi in cui le
persone possono contribuire al tutto sociale e dei benefici che la società
avrebbe avuto nell’incorporare gruppi diversi. Ma in relazione alle dif­
ferenze sessuali la realizzazione di questa aspirazione, sia nella teoria
che nella pratica, fu molto più limitata. Come ci hanno insegnato le
femministe e gli attivisti di diverse minoranze del nostro tempo, non è
sempre scontato il modo in cui si assicura il rispetto e l’uguaglianza in
comunità non omogenee. Molte strutture sociali apparentemente egua­
litarie hanno per esempio ignorato le diversità tra uomini e donne, o
hanno dato per scontato che fossero ini levanti per la politica, ripropo­
nendo così concretamente la subordinazione delle donne21.
I limiti delle aspirazioni anarchiche risultano chiari quando esa­
miniamo la loro interpretazione dei costituenti basilari dell’organiz­
zazione sociale. La maggior parte degli autori anarchici spagnoli
dava priorità alle relazioni economiche, sostenendo che il principio
basico dell’organizzazione sociale doveva essere più economico che
politico. Le relazioni economiche dovevano essere il meno gerar­
chiche possibile rispetto alla remunerazione ed alla struttura del la­
voro. Non si trovavano d’accordo su cosa costituisse propriamente
l’eguaglianza della remunerazione, e questo dipendeva dall’essere
anarchico collettivista (ad ognuno il prodotto integro del proprio la­
voro) o anarchico comunista (da ognuno secondo le proprie possi­
bilità, ad ognuno in base alle proprie necessità). Ciò nonostante, tutti
concordavano che una relativa eguaglianza di remunerazione fosse
essenziale per il funzionamento di una società giusta. E questo era
così perché le disuguaglianze economiche si convertivano facil­
mente in potere politico o sociale e, soprattutto, perché la maggior
parte del lavoro umano è cooperativo ed è praticamente impossibile
valutare l’apporto di un individuo ad un lavoro collettivo22.

21. Si veda, ad esempio, PATEMAN, Carole: Il contratto sessuale, Editori


Riuniti, Roma, 1997; e BRENNAN, Teresa e Carole PATEMAN: “Mere Auxi­
liaries to the Commonwealth. Women and the Origins of Liberalism”, Political
Studies, 27, n. 2 (1978), pp. 183-200.
22. PROUDHON, P. J.: Che cos’è la Proprietà? Ricerche sul principio del diritto

61
Dire che l’eguaglianza economica deve essere il fondamento di
una società basata sulla reciprocità e sulla mutualità è insufficiente
per definire come deve essere la struttura e l’organizzazione globale
di questa società. Per i comunisti libertari, la società si concepiva
meglio come una serie di associazioni volontarie che, pur ricono­
scendo l’autonomia individuale, avessero comunque assicurato la
coordinazione globale, essenziale per la libertà e per la giustizia.
L’ordine sociale doveva essere raggiunto più attraverso la coopera­
zione volontaria di unità decentrate e locali che attraverso strutture
politiche formali. Utilizzavano i treni, le poste ed altre forme di co­
municazione come esempi di reti costituite secondo un accordo vo­
lontario che funzionava efficacemente per dare un servizio alle per­
sone senza l’intervento di un’autorità superiore23.
Eppure, questa enfasi nelle strutture economiche, specialmente
in una società caratterizzata da una marcata divisione sessuale del
lavoro, fece nascere una serie di interrogativi in merito al ruolo
delle donne. In che modo avrebbero partecipato le donne? Questa
nuova società avrebbe sfidato e superato la divisione sessuale del
lavoro? E se invece avesse mantenuto questa divisione e si fosse
sforzata di raggiungere una specie di status “separato ma uguale”
per le donne? Questa supremazia delle strutture economiche come
fondamento dell’organizzazione sociale contraddiceva la convin­
zione degli anarchici che il dominio e la subordinazione avessero
molte facce e che le questioni economiche non fossero le uniche a
dover essere affrontate. Di fatto, come vedremo nel Capitolo II, i di­
battiti sulle istituzioni e sulle strutture centrali della nuova società
che si produssero nel periodo che precedette la Guerra civile crea-

e del governo. Prima memoria (1840), Zero in condotta, Milano, 2000; PRAT, José:
Necesidad de la asociación, pp. 6-7; TÁRRIDA DEL MÁRMOL: “Interpretación
matemática del interés”, Problemas trascendentales, pp. 106-107; e PUENTE Isaac:
El comunismo libertario, pp. 20-21. Si ispirarono tutti a Pietro Kropotkin. Si veda di
questo autore: “Anarchist Communism. Its Basisand Principles”, in: Kropotkin’s Re­
volutionary Pamphlets (ed. Roger N. BALDUWING), Vanguard Press, New York,
1927; e La conquista del pane, Edizioni della Rivista Anarchismo, Catania, 1978.
23. PROUDHON, P.J.: Del principio federativo, Terziaria, Milano, 2000;
PUENTE, Isaac: El comunismo libertario, soprattutto pp. 16-19; MELLA: “Breves
apuntes sobre las pasiones humanas”, p. 35; e WOODCOCK, George: Railways
and Society. For Workers’ Control, Freedom Press, Londra, 1942.

62
roño molti disaccordi, anche se raramente si soffermarono su cosa
queste decisioni avrebbero implicato per la posizione e la parteci­
pazione delle donne.
La maggior parte della discussione venne dedicata al tipo di or­
ganizzazione che avrebbe formato la base della nuova società.
Quelli che sarebbero stati denominati anarco-sindacalisti (e che,
verso il 1910, rappresentavano la posizione maggioritaria all’in­
terno della CNT) immaginavano una società con i sindacati come
base24. 1 sindacati si sarebbero coordinati a livello locale e per rami
attraverso federazioni a cui ogni sindacato o gruppo di sindacati
avrebbe inviato un delegato. Questa visione, tuttavia, offriva poche
opportunità a chi non era un lavoratore (bambini, disoccupati, an­
ziani, invalidi e madri non lavoratrici) di partecipare nel momento
di prendere delle decisioni.
Altri, denominati “anarchici” invece che anarco-sindacalisti, rite­
nevano invece che i sindacati rappresentassero una base troppo ri­
stretta per coordinare una società comunista libertaria. Soledad Gu­
stavo, Federico Urales e Federica Montseny, ad esempio, sostenevano
a proposito che i sindacati erano un prodotto del capitalismo e che
non aveva senso supporre che sarebbero stati la base dell’organizza­
zione e della coordinazione di un’economia trasformata: “Ci sono la­
voratori perché ci sono datori di lavoro. La classe operaia deve scom­
parire insieme al capitalismo, ed il sindacato insieme al salario”25.
Sia Soledad Gustavo che Federica Montseny rivolsero la loro atten­
zione verso un’altra tradizione con una lunga storia in Spagna, il mu­
nicipalismo: “Soprattutto nei paesi contadini, dove la soluzione sin­
dacalista non è possibile neanche come fase di transizione, mi riservo
il diritto di continuare la rivoluzione nel momento stesso in cui otter­
remo la proclamazione dei municipi liberi in tutta la Spagna, come
base della socializzazione della terra e di tutti gli utili del lavoro, messi
nelle mani dei lavoratori”26. È interessante segnalare che queste due

24. CORNELISSEN, Christian: El comunismo libertario y el régimen de tran­


sición, (versione spagnola di Eloy MUÑIZ), Biblioteca Orto, Valencia, 1936, pp.
29-30; PUENTE: El comunismo libertario, pp. 116-120.
25. GUSTAVO, Soledad: “El sindicalismo y la anarquía”, La Revista Blanca,
1, n. 3, ( I o luglio 1923), p. 2.
26. MONTSENY Federica: “Sindicalismo revolucionario y comunismo anar­
quista. Alrededor de un artículo de Pierre Besnard”, La Revista Blanca, 10, n. 2
(1932), pp. 330 e 332.

63
donne, che erano a favore di una base organizzativa più incentrata
sulla comunità, erano anche due fra le più aperte sostenitrici
dell’emancipazione femminile - anche se, per quello che sono riu­
scita a sapere, nessuna di loro collegò in modo esplicito il proprio in­
teresse verso l’emancipazione delle donne all’enfasi nella comunità
in opposizione al centro del lavoro Come vedremo nel Capitolo II,
le strategie organizzative incentrate sulla comunità ebbero spesso, al
momento di affrontare le questioni che riguardavano le donne e la
loro partecipazione, più successo di quelle che si basavano sul luogo
di lavoro.
Con il passare del tempo, la maggior parte dei teorici e dei mili­
tanti della CNT cercarono di combinare il concetto di municipalismo
con quello di sindacato, anche se i termini di questa combinazione
continuavano a favorire la soluzione sindacale. Isaac Puente, ad
esempio, sosteneva che il municipalismo, nel caso delle città, do­
vesse essere in realtà la federazione locale dei sindacati. Nelle aree
rurali, tutto quello che si fosse trovato all’interno dei confini della
città sarebbe stato proprietà comune; l’organo decisionale comuni­
tario sarebbe stato composto da “tutti quelli che lavoravano”. Gli
unici esenti da questo obbligo sarebbero stati i giovani, gli ammalati
e gli anziani27. Sicuramente, questa soluzione basava i diritti sociali
e politici sulla produttività economica, anche nel libero comune.
Come vedremo nel capitolo seguente, se si arrivò a raggiungere
una soluzione fra la questione della struttura organizzativa e le aspi­
razioni del movimento, fu più grazie alla pratica del movimento
anarco-sindacalista che grazie ai dibattiti teorici della stampa. È
importante segnalare in questo momento che il movimento spa­
gnolo si differenziava dalla maggior parte dei movimenti operai
europei del XIX secolo e primi anni del XX in merito al ruolo che as­
segnava alle attività ed alle organizzazioni non strettamente basate
sul sindacato. Le differenze tra il movimento spagnolo e gli altri
movimenti assunsero una particolare importanza nel contesto delle
discussioni in merito al “ruolo della donna”28.
E abbastanza significativo che né i contributi di Montseny né

27. PUENTE: El comunismo libertario, 29-30. Vedi anche “Ensayo pro­


gramático del comunismo libertario”, Estudios, n. 117 (maggio 1933), pp. 23-29.
28. Farò un confronto fra Fanarco-sindacalismo spagnolo ed altri movimenti
operai europei alla conclusione di questo libro.

64
quelli di Puentes al concetto di municipalismo menzionassero le
donne - o, nel caso, gli uomini disoccupati In quanto a questi ul­
timi, è sottinteso che dobbiamo presupporre che in una società ade­
guatamente organizzata non ci sarebbe posto per la disoccupazione;
eccetto per le persone che si rifiutano di lavorare, e questo rifiuto di
partecipare agli aspetti comuni giustificherebbe la perdita dei di­
ritti politici. Ma la posizione delle donne era molto meno chiara,
poiché questi autori non chiarivano se le donne dovessero lavorare
tanto quanto gli uomini (non facevano alcuna menzione delle di­
sposizioni riguardo all’attenzione ed all’educazione dei figli), se il
lavoro domestico delle donne sarebbe stato considerato come la­
voro (ma ci sarebbe stato allora un sindacato che avrebbe certificato
che le donne lavoravano all’interno dei propri focolari domestici?),
0 se semplicemente non immaginavano di riconoscere le donne ed
1bambini piccoli come cittadini a pieno diritto. Anche se sembrava
che Isaac Puente sottintendesse che tutte le donne sarebbero state
delle lavoratrici, Mella si rivolgeva alle donne come madri e come
figlie, invece che come lavoratrici: “Lavoratori tutti: il vostro do­
vere è di lanciarvi senza indugio nella lotta. Che con voi vengano le
donne, non meno schiave della brutalità borghese”29. Maranón so­
steneva che la maternità era incompatibile con il lavoro (dato che la
maternità era, o almeno doveva essere, se la si voleva portare avanti
nel migliore dei modi, un’occupazione completa della giornata).
Ammetteva però che il lavoro era importante per le donne che non
erano madri, che potevano essere considerate membri di una classe
speciale, e probabilmente atipica, di donne30.

La sessualità e la subordinazione delle donne


Di fatto, la mancanza d’accordo in questi temi evidenzia la di­
vergenza esistente tra gli autori anarchici non solo a proposito del
ruolo che le donne dovevano occupare all’interno delle organizza­
zioni operaie, ma anche sulla natura della subordinazione delle
donne e su cosa sarebbe stato necessario fare per superarla. Mary

29. MELLA: Organización, agitación y revolución, p. 19; “Breves apuntes”, p. 15.


30. MARAÑÓN: “Maternidad y feminismo”, in Tres ensayos sobre la vida
sexual, soprattutto pp. 123-125, 129, 140, 149.

65
Nash ha notato che durante lo svolgersi del secolo XIX e nei primi
anni del XX si svilupparono fra gli anarchici spagnoli due diverse
correnti di pensiero riguardo la natura delle relazioni uomo-
donna31. Una, che traeva ispirazione dagli scritti di Proudhon (e di
cui era rappresentante in Spagna Ricardo Mei la), considerava le
donne soprattutto come riproduttrici che contribuiscono alla società
attraverso il loro ruolo all’intemo del focolare domestico. Secondo
questo punto di vista, quello che mancava per il raggiungimento
dell’emancipazione delle donne era una rivalutazione del lavoro
domestico della donna; il suo lavoro al di fuori della casa doveva
essere considerato sempre secondario a quello degli uomini. La se­
conda corrente (simile alla prospettiva marxista), che trovava le sue
origini teoriche negli scritti di Bakunin (ed era rappresentata in
Spagna, almeno negli aspetti produttivistici, dai lavori di Isaac
Puente), riteneva che le donne fossero uguali agli uomini e che la
chiave della loro emancipazione fosse la loro totale incorporazione
al lavoro salariato in termini identici a quelli degli uomini. In que­
sta prospettiva le donne, per superare la subordinazione, avrebbero
dovuto unirsi alla forza lavoro e lottare nei sindacati per migliorare
la situazione di tutti i lavoratori32. La posizione ufficiale della CNT
seguiva questo ultimo punto di vista, anche se bisogna segnalare
che l’accettazione di un impegno teorico per l’uguaglianza delle
donne nel posto di lavoro non garantiva che la maggior parte dei
membri della CNT poi si comportasse coerentemente a questo im­
pegno. Come vedremo nel Capitolo II, poche volte il movimento
manteneva a questo proposito una coerenza fra teoria e pratica.
Ciò nonostante, c’era anche chi, all’interno del movimento li­
bertario, affermava che organizzare le donne nei sindacati, sempre
e quando questo fosse stato possibile, non sarebbe stato di per sé
sufficiente. Queste persone ritenevano che le cause della subordi­
nazione delle donne fossero più ampie e profonde del semplice
sfruttamento economico all’interno del posto di lavoro. Sostene­
vano infatti che la loro subordinazione fosse un fenomeno tanto

31. NASH: “Studio preliminare”, in: “Mujeres Libres” Donne libere. Spagna
1936-1939, La Fiaccola, Ragusa, 1991.
32. Si veda la dichiarazione del Congresso di Saragozza del movimento spagnolo
del 1870, citato in LORENZO, Anseimo: Il proletariato militante, Edizioni della
Rivista Anarchismo, Catania, 1978.

66
culturale quanto economico e che riflettesse una svalutazione delle
donne e delle loro attività mediata da istituzioni quali la famiglia e
la Chiesa. Così, in un articolo che rivela la sua comprensione del
processo di cambiamento rivoluzionario a proposito delle relazioni
fra uomini e donne, Javierre commentava gli articoli della Pravda
sulla quantità di “nuovi uomini sovietici” che avevano abbando­
nato donne incinte: “La politica da sola non rende gli uomini mo­
ralmente pronti per la vita in comune. [...] L’uomo non impara ad
essere uomo passando attraverso acque marxiste come nemmeno
passando attraverso acque cristiane”33. C’è da aggiungere che al­
cuni autori anarchici spagnoli riconoscevano come origine della
subordinazione della donna il suo ruolo riproduttivo ed il doppio
standard di moralità sessuale. Anche questo avrebbe dovuto cam­
biare - grazie all’adozione di una nuova morale sessuale ed all’uso
generalizzato del controllo delle nascite - nel momento in cui le
donne si fossero convertite in compagne integralmente uguali
all’interno di una società rivoluzionaria.
Ma anche questa più ampia concezione non era esente da ambi­
guità. Kyralina (Lola Iturbe, la giornalista che diventò una sosteni­
trice molto attiva in Mujeres Libres) insisteva molto sulla necessità
di un’analisi e di una pratica che tenessero in considerazione i fe­
nomeni culturali in generale. Ma nonostante questo, il suo articolo
“Il comuniSmo anarchico renderà libera la donna” rivela una con­
vinzione, comune all’interno della critica culturale anarchica dei
primi anni del secolo, secondo cui l’abolizione della proprietà pri­
vata avrebbe portato all’amore libero e all’emancipazione della
donna: “Solo il regime comunista libertario può dare una soluzione
magnifica ed umana al problema dell’emancipazione femminile.
Con la distruzione totale della proprietà privata, soccomberà anche
questa morale ipocrita di cui siamo succubi, saremo liberi con
l’unico limite di non nuocere alla libertà altrui. L’amore ed il ri­
spetto per il prossimo saranno l’unica morale accettabile. Godremo
dell’amore nella completa libertà dei nostri desideri, rispettando le
più diverse forme di convivenza amorosa e sessuale”34.

33. JAVIERRE: “Reflejos de la vida rusa en el régimen familiar”, Solidaridad


Obrera (13 ottobre 1935), p. 8; e MONTSENY, Federica: “La tragedia de la
emancipación femenina”, La Revista Blanca, 2 (1924), p. 19.
34. KYRALINA [Lola ITURBE]: “Temas femeninos. El comunismo anár-

67
Per molti autori e militanti anarchici, la riorganizzazione della
vita sessuale e familiare e la riorganizzazione del ruolo riservato alle
donne erano componenti essenziali di una prospettiva rivoluzionaria.
In questa preoccupazione per le relazioni “private” della famiglia e
per la sessualità, gli anarchici spagnoli avevano molte cose in co­
mune tanto con i socialisti utopici del secolo XIX quanto con le fem­
ministe contemporanee35. Ma esisteva più di un modo per applicare
un’analisi antiautoritaria alle relazioni sessuali e familiari. Quali sa­
rebbero state la struttura e la natura delle famiglie e le relazioni fa­
miliari nella nuova società anarchica? Come si sarebbe potuto com­
binare la partecipazione sociale della donna con il suo ruolo
familiare e riproduttivo? Si sarebbe preservata rautorità indiscutibile
del ruolo marito/padre nella famiglia, come sostenevano Proudhon
e i suoi sostenitori, o questa autorità avrebbe dovuto venire
anch’essa abolita e sostituita da relazioni volontarie egualitarie? Al­
cuni anarchici spagnoli sembravano trovarsi d’accordo con
Proudhon, altri difendevano l’ascetismo, si opponevano al consumo
di alcol e tabacco e sostenevano la monogamia o la castità sessuale.
Eppure, la maggior parte degli autori che nei primi anni del XX se­
colo affrontava questo tema difendeva l’uguaglianza dei generi e
l’amore libero. Quest’ultimo gruppo sosteneva con decisione che la
vera libertà consisteva nell’espressione e nel pieno sviluppo di tutte
le capacità umane, inclusa quella sessuale. Per loro, gli ideali pre­
dominanti di castità, monogamia e fedeltà erano un’eredità della re­
pressione cristiana e in una ideale società anarchica sarebbero stati
rimpiazzati dall’amore libero e dalle strutture familiari egualitarie.
Questa posizione guadagnò forza e legittimità durante gli anni
Venti e Trenta, in particolare quando iniziarono ad essere conosciuti
i lavori di Sigmund Freud, Havelock Ellis e di altri sessuologi.
Verso gli anni Trenta, gli anarchici spagnoli - quelli che scrivevano

quico libertará a la mujer”, Tierra y Libertad (supplemento), 2, n. 11 (giugno


1933), pp. 197-199.
35. A proposito dei gruppi britannici, si veda TAYLOR. Barbara: Eve and the
New Jerusalem; e SMITH, Ruth L. e Deborah M. VALENZE: “Mutuality and
Marginality”. Su Fourier e i suoi seguaci francesi, si veda The Utopian Vision o f
Charles Fourier. Selected Texts on Work, Love and Passionate Attraction (trad, ed
ed. Jonathan BEECHER e Richard BIENVENU), University of Missouri Press,
Columbia, 1983; e BEECHER, Jonathan: Charles Fourier. The Visionary and His
World, University of California Press, Berkeley.

68
su pubblicazioni di critica culturale come La Revista Bianca ed
Estudios36 - col legavano la psicologia freudiana, la retorica maltu­
siana e le dottrine sull’amore libero per sviluppare un quadro più
ampio dell’importanza della sessualità e dell’emancipazione ses­
suale nello sviluppo umano e pertanto nella rivoluzione sociale.
Durante gli anni Trenta, un gran numero di collaboratori di Estu­
dios sosteneva una nuova etica sessuale basata sul valore positivo
della sessualità e sull’opposizione al doppio standard di morale ses­
suale. Questi scrittori ridicolizzavano gli anarchici che difendevano
la castità e la repressione dell’impulso sessuale. Ritenevano che, al
contrario, l’astinenza forzata non solo portava al classico doppio
standard (sfociando quindi nella prostituzione e nell’oppressione
delle donne), ma anche a delle vite atrofizzate, e, nel peggiore dei
casi, ad un comportamento delittuoso. Affermavano, seguendo le
teorie di Freud, che la sessualità era una forza basilare della vita ed
una componente importante della salute psichica e sociale. Invece
di reprimere i desideri sessuali o di sfogarli nella prostituzione, con­
cludevano gli autori, le persone dovevano apprendere di più in me­
rito alla sessualità e praticare il controllo delle nascite37.
Il dottor Félix Marti Ibànez, “decano” degli scrittori anarchici
sulle questioni di salute psicosessuale, abbozzò una nuova pro­
spettiva sul ruolo che avrebbe dovuto occupare la sessualità nella
vita umana38. In primo luogo sottolineò l’importanza della sessua­
lità genitale - sia per l’uomo che per la donna - come componente
della crescita e dello sviluppo umano e delle coppie felici. I suoi ar­
ticoli rifiutavano la visione della Chiesa secondo cui il matrimonio

36. La Revista Bianca venne pubblicata dalla famiglia Montseny (Juan Mont-
seny [Federico Urales] e Soledad Gustavo) a Madrid dal 1898 al 1906 e dal 1923
fino alla fine del 1936 a Barcellona. Estudios venne pubblicata a Valencia negli
anni Venti e Trenta del XX secolo.
37. LLAURADÓ, A. G.: “Por el sensualismo”, Estudios, n. 134 (ottobre 1934);
HOYOS Y VINET, Antonio de: “De, en, por, sin, sobre la moral sexual”, Estu­
dios, n. 138 (febbraio 1935); GALLARDO, Mariano: “Experimentación sexual”,
Estudios, n. 146 (ottobre 1935); LLAURADÓ: “La marcha triunfal del sexo”,
Estudios, n. 119 (luglio 1933), pp. 19-20.
38. Martí Ibáñez scrisse regolarmente per Estudios trattando una gran varietà di
tematiche relative al sesso e alla sessualità. Nel 1936 e nel 1937, pubblicò rego­
larmente una colonna di domande e risposte, “Consultorio Psiquico-Sexual”, ri­
stampato poi sotto forma di libro con lo stesso titolo (ed. Ignacio VIDAL), Tu-
squets, Barcellona, 1976.

69
esisteva solamente per il perpetuarsi della specie e sostenevano in­
vece che il matrimonio doveva venire inteso come un modello di
vita volontariamente scelto da due persone. Tanto nell’ambito ma­
trimoniale quanto in quello non matrimoniale, il sesso implicava
non solo la procreazione, ma anche il piacere. Le relazioni sessuali
felici, matrimoniali o meno, richiedevano che i due componenti
della coppia rispettassero e valorizzassero la sessualità e che rico­
noscessero che l’unione sessuale e la soddisfazione potessero essere
fini a sé stesse, e non dovessero essere solo un mezzo per far venire
dei bambini al mondo. Quindi una coppia per essere felice doveva
assolutamente conoscere e saper praticare il controllo delle nascite.
I suoi articoli cercavano sia di articolare questa nuova visione del
ruolo della sessualità nella vita umana sia di mettere a disposizione
del proletariato le informazioni esistenti a proposito del controllo
delle nascite39.
Marti Ibànez credeva inoltre che fosse un dovere sviluppare una
nuova concezione della sessualità. Per troppo tempo, diceva, la ses­
sualità era stata confusa con la genitalità. Criticava la pratica della
castità forzata, sostenendo che negava importanti necessità umane.
Allo stesso tempo insisteva molto sul concetto che l’energia ses­
suale potesse essere canalizzata in modi diversi e che non era ne­
cessario che venisse espressa attraverso il contatto genitale: “Dob­
biamo prima di tutto convincerci che tutto quello che possiamo
includere nel significato del termine genitale - impulsi erotici, atto
sessuale, - è solo una minima parte di quanto invece esprimiamo
con il termine sessuale, e che la sessualità oltre a questo aspetto ne
ha molti altri (lavoro, ideali, creazione sociale ed artistica, ecc.).
La sessualità può esprimersi sia dal punto di vista erotico sia in
quello del lavoro nelle sue diverse modalità”40. Ma nonostante
tutto, affermava, se gli sforzi per dirigere in un modo nuovo l’ener­
gia sessuale non avessero avuto successo, nessuna giovane e nessun
giovane avrebbero dovuto esitare ad avere esperienze sessuali, pur-

39. MARTÍ IBÁÑEZ: “Nueva moral sexual”, Estudios, n. 134 (ottobre 1934), pp.
13-15. e “Erótica, matrimonio y sexualid”, ibidem, n. 136 (dicembre 1934), pp. 21-23.
40. MARTÍ IBÁÑEZ: “Carta a Buenos Aires, a don Rafael Hasan”, Estudios,
n. 144 (agosto 1935), p. 13. Confronta con LORDE, Audre: “Uses of the Erotic.
The Erotic as a Power”, in: Sister Outsider, Crossing Press, Trumansburg, New
York, 1984, pp. 55-57.

70
ché non pensassero che il sesso dovesse essere accompagnato
dall’amore o che necessitasse di una donna pronta a rinunciare al ri­
spetto per se stessa41.
Nonostante i loro appelli ad atteggiamenti nuovi e più liberi
verso la sessualità, quasi tutti questi autori identificano la “sessua­
lità normale” con l’eterosessualità. Questa identificazione, più im­
plicita che esplicita, nelle loro discussioni sulla sessualità, presup­
poneva e riaffermava l’attrazione “normale” o “naturale” tra
persone di diverso sesso. Nella sua serie “Eugenesia e morale ses­
suale” Martí Ibáñez si espresse in modo esplicito a proposito della
questione dell’omosessualità. In un articolo dedicato prevalente­
mente alla storia delle attitudini verso l’omosessualità, cercò di fare
una distinzione tra “inversione sessuale” (“omosessualità conge­
nita”) e “perversione sessuale” (quella praticata “volontariamente
per snobismo, curiosità o con fini utilitaristici”). Nonostante il suo
impegno nel cercare di delineare le due tipologie, l’articolo rico­
nosceva che spesso è difficile stabilire qual è la causa primaria. In­
fine, affermava che non c’era niente di immorale nell’omosessua­
lità e, pertanto, che il comportamento omosessuale non doveva
essere punito (come non si punirebbe un cleptomane che non può
evitare di rubare!). Allo stesso tempo però affermava chiaramente
che per lui l’omosessualità era una deviazione e che gli omoses­
suali erano “vittime” di una “inversione sessuale”42.
Molti autori riconoscevano l’impatto potenzialmente liberatore
per le donne dei nuovi atteggiamenti verso la sessualità. L’abban­
dono degli atteggiamenti tradizionali verso la castità (che da sem­
pre aveva riguardato molto più le donne degli uomini, apparente­
mente anche all’interno dei circoli anarchici) avrebbe lasciato la
donna libera di esplorare e di esprimere la propria sessualità. Più
specificatamente, molti autori - sia uomini che donne - avevano
compreso che l’attività riproduttrice della donna era la chiave della
sua subordinazione. Fin quando le donne sposate fossero state sog­

41. MARTÍ IBÁÑEZ: “Carta a una muchacha española sobre el problema


sexual”, Estudios, n. 138 (febbraio 1935), pp. 5-6.
42. MARTÍ IBÁÑEZ: “Consideraciones sobre el homosexualismo”, Estudios,
n. 145 (settembre 1935), pp. 3-5. Credenze simili sulla “naturalezza” dell’etero-
sessualità si trovano nell’opera di Marañón Tres ensayos e nei dibattiti sulla ses­
sualità pubblicati in Estudios.

71
gette ai desideri sessuali dei loro mariti (aspetto delle relazioni ma­
trimoniali che in quell’epoca raramente veniva messo in discus­
sione) e fin quando non ci sarebbe stato un modo per controllare la
fertilità, le donne sarebbero state condannate all’esaurimento emo­
tivo, fisico e psichico come conseguenza dei frequenti parti e delle
cure che richiedeva una famiglia numerosa. Gli svantaggi ricade­
vano in modo particolarmente drammatico sulle donne della classe
operaia. Il controllo della fertilità, dunque, poteva essere partico­
larmente liberatorio per le donne. Maria Lacerda de Moura, assidua
collaboratrice di Estudios per quanto riguarda i temi femminili e la
sessualità, criticava gli uomini anarchici che si opponevano alla
diffusione delle informazioni sul controllo delle nascite nella classe
operaia: “La donna è per loro solamente la matrice feconda ed ine­
sauribile, destinata a produrre i soldati borghesi, ossia i soldati rossi
della rivoluzione sociale.” Affermava invece che il controllo delle
nascite poteva essere un’arma fondamentale nella lotta per la libe­
razione delle donne43.
Come avevano già fatto le femministe ed i sostenitori del con­
trollo delle nascite negli Stati Uniti ed in diversi paesi europei, La­
cerda, Marañón ed altri anarchici spagnoli ritenevano che tanto le fa­
miglie quanto le donne della classe operaia soffrivano nell’avere più
figli di quanti la famiglia ne avrebbe potuti mantenere adeguata-
mente, e che l’emancipazione delle donne doveva implicare anche la
possibilità di poter scegliere se diventare madri o meno, quando di­
ventarlo e quante volte. Inoltre sostenevano che il controllo delle
nascite avrebbe avuto anche vantaggi per le donne come individui,
sollevandole, sposate o meno, dalla paura delle gravidanze e per­
mettendo loro di godere più liberamente delle relazioni sessuali44.
Alcuni teorici si spinsero ancora oltre questi argomenti, combi­
nando maltusianesimo, controllo delle nascite ed analisi delle classi
sociali per articolare poi un neomaltusianesimo anarchico. Il dottor
Juan Lazarte affermava che il significato e le conseguenze della

43. LACERDA, Maria: “El trabajo femenino”, Estudios, n. 111 (novembre


1932), citato in NASH, Mary: “El estudio del control de natalidad en España. Ejem­
plos de metodologías diferentes”, in: Las mujeres en la historia de España (Siglos
XVI-XX), Actas de la II Conferencia Investigadora Interdisciplinar, Madrid, Semi­
nario de Estudios de la Mujer, Università Autonoma di Madrid (1984), p. 252.
44. LAZARTE, Juan: “Significación cultural y ética de la limitación de naci­
mientos”, Estudios, n. 120 (agosto 1933) fino al n. 128 (aprile 1934).

72
gravidanza e del parto variavano a seconda della classe sociale.
Spesso le gravidanze potevano essere disastrose per la salute della
donna ed anche per la salute e la stabilità di una famiglia già biso­
gnosa di risorse economiche. E quanti più figli avesse avuto una
famiglia, tanto più alto sarebbe stato il tasso di mortalità infantile.
Riassumendo, come affermava Malthus, i poveri si sentivano par­
ticolarmente colpiti da una riproduzione illimitata. Ma avendo a
propria disposizione i mezzi di controllo delle nascite, gli operai
potevano sostituire la “continenza” (di cui Malthus non credeva ca­
paci i poveri) con il controllo delle nascite, che una classe operaia
cosciente avrebbe potuto usare come componente della sua strate­
gia verso la liberazione. Con famiglie meno numerose, i salari degli
operai avrebbero potuto garantire livelli di forza e di salute migliori.
La limitazione delle nascite avrebbe portato anche ad una forza la­
vorativa più ridotta, a meno disoccupazione e a più potere per gli
operai e persino alla fine delle guerre45.
Come ultima cosa, oltre a rendere possibile la separazione della
procreazione e del piacere nell’espressione della sessualità, questi
nuovi atteggiamenti verso la sessualità ebbero una grande influenza
su quello che gli anarchici intendevano per amore e per matrimo­
nio. Molti anarchici avevano affermato che il matrimonio mono­
gamico permanente costituiva una forma di dispotismo, che richie­
deva alle donne quasi una rinuncia completa di loro stesse, e che
l’amore libero (inteso da loro come il diritto di uomini e donne di
scegliere liberamente una relazione sessuale senza dover renderne
conto né alla Chiesa né allo Stato e di terminarla liberamente
quando ormai non era più mutuamente soddisfacente) era l’unica
manifestazione appropriata delle tendenze naturali tanto degli uo­
mini quanto delle donne. Alcuni autori credevano che, persino in
una società ideale, le differenze tra uomini e donne rispetto alla ses­
sualità sarebbero continuate ad esistere o che ne sarebbero sorte

45. LAZARTE. Juan: “Significación cultural y ética”, Estudios, n. 126 (feb­


braio 1934); ILURTENSIS, Diógenes: “Neomaltusianismo, maternidad conciente
y esterilización”, Estudios, n. 125 (numero speciale, gennaio 1934), pp. 12-14.
Per un avvicinamento più generale al neomaltusianesimo anarchico, vedi NASH,
Mary: “E1 neomaltusianismo anarquista y los conocimientos populares sobre el
control de natalidad en España”, in: Presencia y protagonismo. Aspectos de la hi­
storia de la mujer (ed. Mary NASH), Ediciones del Serbal, Barcellona, 1984, pp.
307-40; e “El estudio del control de natalidad en España”, soprattutto pp. 248-53.

73
altre nuove; altri credevano invece che le differenze esistenti erano
in generale un prodotto del condizionamento sociale. Ma tutti con­
cordavano che qualunque fosse stata la fonte di queste differenze,
tanto gli uomini quanto le donne avrebbero potuto vivere la loro
sessualità più pienamente ed in modo più soddisfacente in una so­
cietà che avesse concesso totale uguaglianza alle donne46.
Negli anni Venti e Trenta la critica alla castità ed al matrimonio
monogamico erano abbastanza comuni, e si pubblicarono numerosi
articoli che difendevano l’amore libero o “l’amore plurale”. Spin­
gendosi ancora più in là, negli argomenti in favore dell’amore li­
bero, molti autori anarchici sostenevano che la stessa monogamia
era un prodotto del desiderio di possesso, insito nella proprietà pri­
vata e nella subordinazione delle donne, che sarebbe scomparsa in
una futura società anarchica47. Amparo Poch y Gascón, che sarebbe
poi stata una delle fondatrici di Mujeres Libres, scrisse nel 1934 su
Estudios che, secondo le tradizionali nozioni in merito alla mono­
gamia, “la donna sarebbe appartenuta al signore che la Chiesa o il
giudice le avrebbero dato”. Ma, diceva, intesa appropriatamente, la
monogamia “non significa “per sempre”, ma fino a quando la vo­
lontà degli innamorati ed il loro sentimento lo avessero deciso, passo
dopo passo”. Inoltre se le donne e gli uomini avessero adottato que­
sti comportamenti, tutti sarebbero stati più liberi e più soddisfatti48.
María Lacerda de Moura si distanziava ancora di più dalle no­
zioni comunemente accettate di amore e matrimonio monogamico.
“L’amore è sempre stato in aperto contrasto con la monogamia”, di­
ceva. In una società veramente egualitaria in cui gli uomini e le
donne fossero rispettati allo stesso modo, la monogamia sarebbe so­
stituta dall’amore plurale, l’unica fonna di espressione sessuale in
grado di permettere alle persone (ed in particolar modo alle donne,
a cui è da sempre stata negata ogni autonomia sessuale) la crescita,

46. MONTSENY, Federica: “En defensa de Clara, II”, La Revista Blanca, 2, n.


47 ( I o maggio 1925), pp. 26-28; LEONARDO: “Matrimonio y adulterio”, Estu­
dios, n. 113 (gennaio 1933); TRENI, Hugo: “El amor y la nueva ética sexual en la
vida y en la literatura”, Estudios, n. 118 (giugno 1933); e MARAÑÓN: “Mater­
nidad y feminismo”.
47. GALLARDO, Mariano: “Tendencias del instinto sexual humano”; e
BRAND: “El problema del amor”, La Revista Blanca, 2 (1924), p. 23.
48. POCH Y GASCON, Amparo: “Nuevo concepto de pureza”, Estudios, n
128 (aprile 1934), p. 32.

74
l’espressione e la piena soddisfazione delle loro necessità sessuali.
Permettendo alle donne ed agli uomini di avere più di un amante
allo stesso tempo, sosteneva, l’amore plurale avrebbe eliminato la
maggior parte dei problemi di gelosia, avrebbe permesso alle donne
di essere veramente libere di scegliere il proprio compagno (o com­
pagni) e di mettere fine alla prostituzione ed allo sfruttamento ses­
suale delle donne (dato soprattutto che le donne nubili sessualmente
attive non sarebbero più state vulnerabili e stigmatizzate)49.
Ciò nonostante tanti autori non provavano il suo stesso entusia­
smo; al massimo riconoscevano che le dottrine dell’amore libero o
dell’amore plurale sarebbero state più complicate da applicare nella
pratica che da esprimere nella teoria. Molti scrittori, e soprattutto le
scrittrici donne, segnalarono presto che erano pochi gli anarchici
che mettevano veramente in pratica quanto predicavano quando si
trattava dell’uguaglianza delle donne. Soledad Gustavo notava che,
ad esempio, “l’uomo trova giusto che venga propagata la libertà
della donna, ma non trova altrettanto bello che lei la metta in pra­
tica. Alla fine dei conti, desidererà la donna del prossimo, ma chiu­
derà in casa la propria”5051.
Come risposta alle critiche sollevate da Clara, l’eroina sessual­
mente emancipata del suo romanzo La Victoria, Federica Montseny
affermava che il concetto della donna debole ed adoratrice, protetta
da un uomo forte, anche se poteva essere considerato attraente da
qualche uomo anarchico, difficilmente avrebbe potuto essere consi­
derato come un punto di vista anarchico. Poche donne sarebbero
state disposte a vivere, o a concepire, una libertà mutua illimitata,
“ma erano ancora meno gli uomini capaci di accettarla”'11.
Secondo Federica Montseny, il fatto che solamente poche donne
spagnole fossero moralmente preparate alla propria emancipazione,
schiavizzate come erano dai loro comportamenti e dalle credenze
tradizionali, rappresentava un problema ancora più grave della re­
sistenza maschile all’eguaglianza sessuale ed economica. Emma

49. LACERDA, María: “Amor y libertad”, Estudios, n. 132 (agosto 1934), pp.
18-19.
50. GUSTAVO, Soledad: “Hablemos de la mujer”, La Revista Blanca, 1, n. 9
( I o ottobre 1923), pp. 7-8.
51. MONTSENY, Federica: “En defensa de Clara, III”, La Revista Bianca, 2,
n. 48 (15 maggio 1925), pp. 23-25; vedi anche “En defensa de Clara, II”, p. 29; e
BRAND: “E1 problema del amor”, p. 23.

75
Goldman pensava che le donne avessero bisogno di un’emancipa­
zione interiore per conoscere il loro stesso valore, avere rispetto di
sé stesse e rifiutare di essere le schiave psichiche ed economiche dei
loro amanti maschi. Ma Goldman, notava con insoddisfazione
Montseny, non aveva lasciato una guida che indicasse come rag­
giungere questa liberazione52.
Nel caso delle relazioni familiari e sessuali, come nel campo eco­
nomico, l’ideale era l’uguaglianza nella diversità. Sia gli uomini
che le donne dovevano essere liberi di sviluppare ed esprimere la
propria sessualità alfinterno ed all’esterno di quello che ora po­
tremmo chiamare una “relazione sessuale impegnata”. Entrambi
dovevano essere liberi di iniziare, e terminare, relazioni sessuali
senza far ricadere su di sé la condanna della società e l’ostracismo.
Anche le famiglie dovevano essere istituzioni egualitarie, dove
l’autorità indiscutibile del padre doveva essere sostituita dalla reci­
procità e dal mutuo rispetto.
Questi sono, dunque, i componenti più importanti della visione
sociale anarchica: una società in cui le persone sono rispettate ugual­
mente e mutuamente, nel campo sessuale, economico e politico; una
società organizzata attorno ai contributi delle persone allo sviluppo
della vita e della comunità, dove non esistono relazioni di dominio
e subordinazione e dove le decisioni devono essere prese da tutti ed
essere accettabili per tutti. Ma come fare per ottenere questa società?
Come creare “i nuovi uomini e le nuove donne anarchiche”?

Trasformazione rivoluzionaria: coerenza di mezzi e fini


Riconoscere l’origine sociale delle relazioni di dominio e subor­
dinazione non vuol dire, indubbiamente, cambiarle. Le complessità
della prospettiva anarchica del cambiamento rivoluzionario si ma­
nifestano chiaramente quando esaminiamo i tentativi degli anarchici

52. MONTSENY: “La tragedia de la emancipación femenina”, pp. 20-21. Vedi


GOLDMAN: “La tragedia dell’emancipazione femminile”, in Anarchìa, femmini­
smo e altri saggi, La Salamandra, Milano, 1976. Due recenti biografie di Emma
Goldman sottolineano la sua.confusione e le sue frustrazioni. Vedi WEXLER, Alice:
Emma Goldman. An Intimate Life, Pantheon, New York, 1984; e FALK, Candace:
Love, Anarchy and Emma Goldman, Holt, Rinehart and Wiston, New York, 1984.

76
spagnoli di superare la subordinazione complessiva in generale e la
subordinazione delle donne in particolare. In che modo persone
egoiste e senza capacità - e gli anarchici erano i primi ad ammettere
che le persone che vivevano nelle società capitaliste non erano as­
solutamente immuni dall’egoismo che queste organizzazioni sociali
ed economiche fomentavano - avrebbero potuto scoprire le proprie
capacità e prestare attenzione alle necessità degli altri? E come sa­
rebbero arrivate ad ottenere l’emancipazione interiore che avrebbe
permesso loro di riconoscere il proprio valore e di esigere in gene­
rale il riconoscimento della società? Come avrebbero sviluppato un
senso di giustizia adeguato per vivere in una società egualitaria? Ed
in che modo questa società avrebbe generato un continuo impegno
nei suoi valori? Più specificamente, se la subordinazione delle donne
è un prodotto delle istituzioni sociali, e se le istituzioni sociali in
primo luogo impediscono Vempowerment a chi cerca di rovesciarle,
come si possono cambiare queste istituzioni?
Una delle caratteristiche che definiscono la tradizione anarchica
di orientamento comunalista è l’insistenza nel fatto che i mezzi de­
vono essere coerenti ai fini. Se la meta della lotta rivoluzionaria è la
società egualitaria non gerarchica, questa deve essere creata attra­
verso le attività di un movimento non gerarchico. Se così non fosse,
chi vi prende parte non avrebbe mai la capacità di agire indipen­
dentemente, e chi guida il movimento avrebbe in mano le redini
della società post-rivoluzionaria. Detto da una persona che prese
parte all’esperienza della Guerra civile, “alla libertà ci si arriva solo
seguendo cammini libertari”53. Come aveva scritto Kropotkin a
proposito del dilemma dei socialisti parlamentari, “credete di con­
quistare lo Stato, ma alla fine sarà lo Stato a conquistare voi”54.
Ma se le pratiche esistenti tolgono alle persone la capacità di
agire, come possono queste stesse persone sviluppare capacità?
L’impegno anarchico per un processo egualitario non gerarchico
sembra richiedere alle persone un riconoscimento delle proprie ca­

53. V.R.: “Por caminos autoritarios no se consigue la libertad”, Acracia, 2, n.


250 (13 maggio 1937). Secondo Federico Arcos (comunicazione personale, 25
luglio 1989), V.R. era con molta probabilità Vicente Rodríguez García (Viroga).
54. Pietro Kropotkin, citato in ABAD DE SANTILLÁN, Diego: En torno a
nuestros objetivos libertarios, Edición de la Sección de Propaganda del Comité de
Defensa Confederai del Centro, Madrid, s.d., p. 18.

77
pacità per potere partecipare. Portare a termine con successo la ri­
voluzione anarchica sembra quindi dipendere dall’ottenere previa­
mente quello che è probabilmente la meta più complessa dello
stesso movimento rivoluzionario: Y empowerment popolare.
La soluzione di questo paradosso si trova nella concezione anar­
chica del processo rivoluzionario. Si attende che le persone si pre­
parino alla rivoluzione (e a vivere in una società comunitaria) par­
tecipando ad attività e pratiche che sono di per sé egualitarie e
formative, e che pertanto hanno un potere di trasformazione. Non
può esistere, all’interno del processo di cambiamento sociale, la
gerarchia strutturata. Il modo per creare una nuova società è quello
di creare una nuova realtà.

L ’azione diretta

La maniera migliore per comprendere il concetto anarchico spa­


gnolo dell’empowerment ed il processo di presa di coscienza è esa­
minare il suo impegno nel decentramento e “nell’azione diretta”. Il
decentramento si riferiva al fatto che la rivoluzione doveva essere,
come prima priorità, un fenomeno locale che crescesse dal punto di
vista delle realtà concrete della vita quotidiana delle persone. Un
movimento rivoluzionario si sviluppa a partire dalla lotta delle per­
sone per superare la loro subordinazione e deve rivolgersi alla par­
ticolare specificità delle loro situazioni. Così, come vedremo, una
delle nuove ed importanti istituzioni che crearono gli anarchici spa­
gnoli fu l’ateneo libertario (un centro culturale autogestito) che, du­
rante gli anni che precedettero la guerra, funzionava come scuola,
centro ricreativo e luogo di ritrovo per i giovani della classe operaia.
Con queste parole Enriqueta Rovira descrisse uno di questi gruppi:

Stavamo in un gruppo chiamato Sol y Vida, con compagni e compagne.


Organizzavamo spettacoli teatrali, facevamo ginnastica, andavamo al
mare ed in montagna... Era allo stesso tempo un gruppo culturale e ri­
creativo... Ogni avvenimento era sempre seguito da una specie di dibat­
tito. In questo modo si stimolava la nostra curiosità verso le nuove idee e
si creava un sentimento di unione con i compagni. È vero che andavamo
anche alle conferenze del- sindacato, o ad altre iniziative di questo ge­
nere, ma le relazioni all’interno del nostro gruppo erano più strette, le

78
spiegazioni più esaurienti. E fu lì dove noi ci formammo, ideologicamente
e profondamente55.

Azione diretta voleva dire che l’obiettivo di ognuna di queste atti­


vità era offrire alle persone una via per entrare in contatto con le loro
forze e le loro capacità, e recuperare il potere di determinazione di sé
e di definizione delle proprie vite. Doveva distinguersi da un’attività
più convenzionalmente politica anche in un sistema democratico56.
Invece di cercare di portare a termine il cambiamento formando
gruppi di pressione politica, gli anarchici facevano leva sull’impor­
tanza di imparare a pensare e ad agire secondo la propria volontà,
raggnippandosi in organizzazioni dove la propria esperienza, la pro­
pria percezione e la propria attività avrebbero potuto guidare e portare
al cambiamento57. La conoscenza non precede l’esperienza, ma da
essa scaturisce: “Si inizia decidendo di agire e solo attraverso l’azione
si impara. Impareremo a vivere il ComuniSmo Libertario solamente
vivendolo”58. Le persone imparano ad essere libere solo esercitando
la libertà: “Non ci troveremo all’improvviso con uomini fatti a misura
del futuro. Senza l’esercizio continuo e crescente delle loro capacità,
non saranno uomini liberi. La rivoluzione esterna e la rivoluzione in­
terna, per essere fruttuose, hanno bisogno l’una dell’altra e devono
essere contemporanee per avere successo”59.
Le attività di azione diretta che sorsero dalle necessità e dalle
esperienze quotidiane rappresentavano modi diversi di come le per­
sone potevano assumere il controllo delle proprie vite. Come hanno
appreso le femministe grazie ai gruppi di auto-coscienza o nell’or­
ganizzazione della comunità, la partecipazione a tali attività ha ef­
fetti tanto esteriori quanto interiori, cosa che permette alle persone di

55. Enriqueta Rovira, intervista, Castellnaudary (Francia) 28 dicembre 1981.


56. ACKELSBERG, Martha e Kathryn PYNE ADDELSON: “Anarchist Alter­
natives to Competition”, in: Competition. A Feminist Taboo? (eds. Valerie MINER
e Helen E. LONGINO), Feminist Press, New York, 1987, soprattutto pp. 227-31.
57. Per formulazioni contemporanee, vedi CHAFE: Women and Equality, FOX
PIVEN, Frances e Richard A. CLOWARD: I movimenti dei poveri: i loro successi,
i loro fallimenti, Feltrinelli, Milano, 1980; e EVANS, Sara M. e HARRY C.
BOYTE: Free Spaces. The Sources o f Democratic Change in America, Harper and
Row, New York, 1986.
58. PUENTE, Isaac: El comuniSmo libertario, p. 15.
59. MELLA: Organización, agitación y revolución, pp. 31-32.

79
sviluppare un senso di competenza e di fiducia in se stesse ed allo
stesso tempo di cambiare la propria situazione. Un impegno di que­
sto genere rendeva le persone più forti ed in grado di agire nuova­
mente insieme. Soledad descriveva così gli effetti che la partecipa­
zione attiva al movimento ebbe nella sua vita e in quella dei suoi
amici: “Fu una vita incredibile, la vita di una giovane militante. Una
vita dedicata a lottare, a conoscere, a rinnovare la società, caratte­
rizzata da una sorta di effervescenza. Era una gioventù molto bella,
c’era molta unione fra i compagni. Io partecipavo sempre a tutte le
proteste e a tutte le azioni. Vivevamo con molto sacrificio materiale.
Gli uomini ed i ragazzi guadagnavano molto di più di quello che
guadagnavamo noi, ma noi non provavamo nessun risentimento. A
volte penso che vivevamo solo d’aria”60. Il sentimento di acquisi­
zione di capacità è molto chiaro anche nei ricordi di Enriqueta: “Per
quelPamore che sentivamo per i compagni e quella speranza così
grande, avremmo litigato anche con la Santissima Madonna!”61.
Oltretutto l’azione diretta non rendeva più formati e capaci sola­
mente quelli che vi prendevano parte, aveva degli effetti anche sugli
altri, grazie a quello che gli anarchici chiamavano “propaganda at­
traverso il fatto”. Spesso questa espressione voleva dire tirare
bombe, tentativi di assassinio e cose simili. Ma oltre a questo aveva
anche un altro significato; si riferiva ad una sorta di azione esem­
plare che attirava proseliti grazie al potere di esempio positivo che
aveva. Esempi attuali di propaganda attraverso il fatto sono i gruppi
di acquisto, gli asili cooperativi, le imprese gestite collettivamente,
gli sweat equity housing programs (programmi di residenze sociali
dove i futuri proprietari partecipano contribuendo con il loro la­
voro e non con i loro soldi), i collettivi di auto-aiuto per le donne in
tema di salute, le case occupate e gli accampamenti antinucleari
delle donne. Anche se queste attività conferiscono empowerment a
quanti vi prendono parte, riescono anche a dimostrare alle altre per­
sone che possono esistere, e difatti esistono, forme non gerarchiche
di organizzazione che possono funzionare con efficacia.
Ovviamente se queste azioni devono avere i desiderati effetti di
empowerment, devono essere autoprodotte, e non progettate e di­

60. Soledad Estorach, intervista, 4 e 6 gennaio 1982; comunicazione perso­


nale, ottobre 1989.
61. Enriqueta Rovira, intervista, Castellnaudary, 28 dicembre 1981.

80
rette dall’alto. Da qui deriva l’impegno anarchico in una strategia di
“organizzazione spontanea”, federazioni non coercitive di gruppi
locali. L’obiettivo era di raggiungere l’ordine senza la coercizione,
attraverso quello che potremmo chiamare una “rete federativa”, che
riunisse i rappresentanti dei gruppi locali (sindacati, associazioni
di quartiere, cooperative di consumatori ed altri). Il punto cruciale
era che né i gruppi individuali né il corpo coordinatore avrebbero
potuto reclamare il diritto di parlare o di agire per gli altri. Ideal­
mente, ci sarebbero stati più luoghi di dibattito che organizzazioni
direttive. L’organizzazione spontanea avrebbe dimostrato nella pra­
tica che quelli che avevano sofferto l’oppressione erano ancora ca­
paci di pensare ed agire razionalmente, di arrivare a conoscere la
natura dei propri bisogni e di sviluppare un modo per soddisfarli62.

Preparazione

Infine, cosa molto importante, l’azione diretta poteva avere luogo


solo in un contesto di “preparazione”. Detto con parole di Federica
Montseny “non si improvvisa una rivoluzione”63. Anche se tutte le
persone avevano dentro di sé un senso di uguaglianza e di giustizia ba­
sato sulla partecipazione alle relazioni sociali, questo senso quasi istin­
tivo era però insufficiente per riuscire a portare avanti l’azione rivolu­
zionaria. La preparazione era necessaria tanto per indicare alle persone
la natura comune della loro situazione e come questa si inquadrava
all’interno di una comunità, quanto per riconoscere le possibilità
dell’azione collettiva. Senza detta preparazione la “rivoluzione”
avrebbe portato solamente ad una nuova istituzione dell’autorità, cam­
biandone solo la forma. Di fatto, molti anarchici, nei loro scritti po­
steriori alla Rivoluzione Russa, indicarono la Russia come un esempio
negativo di come la gerarchia si imponesse nuovamente e senza dif­
ficoltà in assenza di una sufficiente preparazione64.

62. MELLA: “Breves apuntes sobre las pasiones humanas”, soprattutto pp. 35-
36; PROUDHON: Sistema delle contraddizioni economiche: filosofia della mise­
ria, Edizioni della Rivista Anarchismo, 1975.
63. Federica Montseny, intervista, Tolosa, (Francia), Io febbraio 1979.
64. NETTLAU, Max: “La actividad libertaria tras la revolución”, La Revista
Bianca, 10 (15 maggio 1932); MELLA, Ricardo: Organización, agitación y re­
volución, pp. 10-11.

81
Per quanto possa anche sembrare paradossale, le persone devono
essere preparate per agire spontaneamente per il loro stesso benefi­
cio. Come Marx, anche gli anarchici erano convinti che la migliore
preparazione, la migliore tecnica per quello che noi indichiamo
come presa di coscienza, fosse l’azione. “Il capitalismo è ferito a
morte, ma la sua agonia si prolungherà fino a quando noi saremo
capaci di sostituirlo a nostro vantaggio. E non riusciremo a fare
questo con frasi altisonanti, ma dimostrando la nostra capacità or­
ganizzativa e costruttiva”65. Le persone avrebbero quindi svilup­
pato una coscienza critica e rivoluzionaria grazie ad una riflessione
sulla realtà concreta della loro vita, riflessione che sarebbe nata in
molte occasioni dalle attività proprie e da quelle degli altri66.
Prestare attenzione alla situazione ed alle particolari necessità delle
donne, alle attività di Mujeres Libres, può aiutare a spiegare la natura
molteplice di questa concezione del processo di presa di coscienza ed
a sottolineare la sua importanza per molti dibattiti contemporanei.
Ho segnalato precedentemente che gli anarchici spagnoli sostene­
vano che una cornice adeguata alla preparazione fosse la partecipa­
zione alle organizzazioni operaie e soprattutto ai sindacati. Nono­
stante questo, seguendo le teorie di Bakunin ed andando contro quelle
di Marx, erano fermamente convinti che gli operai delle industrie cit­
tadine non fossero i soli in grado di acquisire una coscienza rivolu­
zionaria. I contadini ed i membri urbani della piccola borghesia, così
come i lavoratori delle fabbriche, potevano sviluppare una coscienza
dall’oppressione cui erano soggetti ed aderire quindi ad un movi­
mento rivoluzionario67. Molte donne, in particolare, criticavano l’en­
fasi del movimento per il proletariato maschile industriale urbano.
Emma Goldman, che appoggiò in modo molto attivo sia la Rivolu­

65. NOIA RUIZ, Higinio: La revolución española. Hacia una sociedad de tra­
bajadores libres. Ediciones Estudios, Valencia, s.d., p. 62.
66. KROPOTKIN. P. A.: “Must We Occupy Ourselves with an Examination of
the Ideal of a Future System?”, in: Selected Writings on Anarchism and Revolution
(ed. Martin A. MILLER), MIT Press, Cambridge, 1970, pp. 94-95; a cura di Sam DOL-
GOFF: Libertà, egualianza, rivoluzione. Michail Bakunin, scritti scelti, Antistato, 1976.
67. RECLUS, Eliseo: A mio fratello contadino, Stab. Tipografico Italiano, Fra­
scati, 1905 [pubblicato originariamente nel 1873]; NOIA RUIZ, Higinio: Labor con­
structiva en el campo, Ediciones JJbrestudio, Valencia, s.d.; e BERNERI, Camillo:
“Los anarquistas y la pequeña propriedad agraria”, La Revista Blanca, dal 10 (no­
vembre 1932) all’l l (maggio 1933).

82
zione Spagnola che Mujeres Libres, ad esempio, aveva già affermato
che “gli anarchici concordano nel fatto che oggi il male peggiore è
quello economico”, ma “sostengono che la estirpazione del male può
essere portata a termine solo prendendo in considerazione ogni fase
della vita, sia individuale che collettiva, tanto interiore come este­
riore”68. Era ovvio per le donne, ma anche per gli uomini, che il
luogo di lavoro non fosse l’unico ambito dove si realizzano relazioni
di dominio, e non fosse nemmeno, quindi, l’unico ambito possibile
per la presa di coscienza e per Yempowennent. Un movimento inte­
gralmente articolato deve trasformare tutte le istituzioni gerarchiche,
inclusi il governo, le istituzioni religiose e - cosa forse più significa­
tiva per le donne - la sessualità e la vita familiare.
La preparazione, pertanto, poteva e doveva avere luogo in una va­
rietà di ambiti sociali, oltre che sul terreno economico. Tanto Enri­
queta quanto Azucena riferiscono che si nutrirono delle idee anar­
chiche, più o meno coscientemente, “con il latte di nostra madre”:

N ostra m adre ci insegnava l ’anarchia, senza im posizione, com e il re­


ligioso ha insegnato le idee religiose ai suoi figli. Senza sforzo, con natu­
ralezza! O con i suoi gesti, o con le sue m aniere di esprimersi, dicendo
sem pre che loro desideravano ardentem ente ed anelavano l ’anarchia. Lo
abbiam o im parato com e si im para a m angiare o a cucire69-

Per quelli che si integrarono al movimento libertario in tappe più


avanzate della loro vita il processo di apprendimento fu ovviamente
diverso. Pepita Carpena, ad esempio, fu iniziata all’idea da orga­
nizzatori sindacali che frequentavano le riunioni sociali dei giovani
con la speranza di trovarvi nuovi membri per la causa. Soledad
Estorach, che parteciperà molto attivamente sia alla CNT che a
Mujeres Libres nella città di Barcellona, ottenne in un primo tempo
la maggior parte delle informazioni sui “comunisti libertari” leg­
gendo giornali e riviste.
Gli anarchici già da tempo avevano ammesso l’interdipendenza
delle pratiche educative, strettamente definite, e la partecipazione
alle istituzioni esistenti, dove l’approvazione ed il rifiuto sociale da­

68. GOLDMAN, Emma: “L’anarchia cosa vuole veramente”, in: Anarchia,


femminismo e altri saggi, La Salamandra, Milano, 1976.
69. Enriqueta Rovira, intervista, Castellanudary, 29 dicembre 1981.

83
vano luogo a continui meccanismi di controllo sociale70. La nozione
di Proudhon di “giustizia imminente” - cioè lo sviluppo di una con­
cezione di giustizia attraverso le nostre relazioni con le altre per­
sone - fu adottata integralmente da alcuni autori anarchici spagnoli.
Mella affermava che l’unico metro regolatore idoneo della società
fosse il senso di giustizia, che le persone imparano prendendo parte
ad istituzioni che riconoscono e danno la giusta considerazione al
loro valore e a quello degli altri. Il sentimento collettivo che si svi­
luppa a partire da questo tipo di partecipazione verrebbe tradotto in
un senso di giustizia più potente e permanente di qualsiasi altro im­
posto dalla Chiesa o dallo Stato71. “Praticare la giustizia - insisteva
Proudhon - è obbedire all’istinto sociale.” E grazie ai modelli di in­
terazione degli uni con gli altri che apprendiamo e sperimentiamo sia
quello che noi e che gli altri siamo, sia cosa è la giustizia. Pertanto,
il sistema educativo più efficace è la stessa società72.
Un altro fondamentale fattore che opera nello sviluppo del senso
di giustizia è l’opinione pubblica, a cui Mella si riferiva con i termini
“coazione morale”. Il nostro senso morale si sviluppa a partire dallo
“scambio di influenze reciproche” che, anche se può inizialmente
provenire dall’esterno di noi stessi, con il tempo viene accettato
come un senso di giustizia e si converte nella base della nostra pro­
pria autoregolazione. Una società egualitaria ben ordinata e lasciata
alle sue propri intenzioni genererà persone con un senso di giustizia
idoneo, e chiunque sembrasse sprovvisto di un tale senso sarà neu­
tralizzato dalle opinioni degli altri. Con il passare del tempo, queste
opinioni avranno un effetto educativo; l’opinione pubblica sarà in­
teriorizzata come coscienza73.
La meta degli anarchici era, dunque, quella di eliminare le isti­
tuzioni - la Chiesa, lo Stato, i giudici, i tribunali - che, nel farsi re-

70. TAYLOR, Michael: Community, Anarchy and Liberty, Cambridge Univer­


sity Press, Cambridge, 1982, soprattutto pp. 123-29; vedi anche RAWLS, John:
Teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano, 1982.
71. MELLA: “Breves apuntes”, pp. 24-26; e “La coacción moral”, pp. 62, 64.
Anche PROUDHON: De la justice, in: Oeuvres Complètes, 12, pp. 363-64.
72. PROUDHON: Che cos’è la Proprietà? Ricerche sul principio del diritto e del
governo. Prima memoria (1840), Zero in condotta, Milano, 2000; e De la justice, in:
Oeuvres Complètes, 11, pp. 334-43.
73. MELLA: “La coacción moral”, pp. 66,67. Confronta con BARRY, Brian: La
teoria liberale della giustizia, Giuffré, Milano, 1994 in “A Theory o f Justice” by
John Rawls, Clarendon Press, Oxford, 1973, pp. 137-138.

84
sponsabili del controllo su di sé e sugli altri, impedivano lo svi­
luppo di detto senso morale. Una volta che queste autorità fossero
state eliminate, la reciprocità si sarebbe convertita in norma
d’azione; vivere semplicemente nella comunità - partecipare alle
attività, nel quadro di un sistema educativo aperto, nella proprietà e
nell’uso comune dei beni - sarebbe stato sufficiente per fomentare
e salvaguardare lo sviluppo del senso di giustizia dell’individuo
che è a sua volta necessario per sostenere la comunità.
Le complessità di questa posizione si rilevano molto chiaramente
quando osserviamo in modo concreto gli sforzi per affrontare la su­
bordinazione e Vempowerment delle donne. Sia chi insisteva nella
strategia sindacale sia chi invece sosteneva che la subordinazione
delle donne avesse alla base componenti culturali più ampie, erano
tutti d’accordo nel riconoscere che le donne non erano apprezzate
e che venivano mantenute in una posizione culturalmente ed eco­
nomicamente inferiore. Tutti loro concordavano anche che mezzi e
fini erano intimamente relazionati. Ma come sarebbe stato possibile
mettere in pratica questi principi e queste idee? Come potevano le
donne spagnole di inizio secolo, che si consideravano dipendenti
dai loro uomini (e che venivano viste dagli altri in questa maniera),
iniziare a comportarsi in modo da sviluppare la percezione della
propria competenza e delle proprie capacità?
Queste questioni sono, evidentemente, cruciali per qualsiasi fu­
turo movimento rivoluzionario, dato che il valore delle proprie ca­
pacità e delle proprie forze è precisamente quello che gli oppressori
cercano di negare agli oppressi. Ma trovarsi d’accordo sull’impor­
tanza di questa prospettiva non garantiva poi unanimità su quello
che avrebbe voluto in realtà dire nella pratica. Di fatto, la questione
di come affrontare la subordinazione delle donne della classe lavo­
ratrice all’interno della società spagnola non si risolse mai in modo
effettivo all’interno del movimento anarco-sindacalista. Mujeres
Libres venne creata proprio per il disaccordo che c’era fra i militanti
libertari su come ottenere questo empowerment.
Questi temi sono stati esposti molto chiaramente nelle interviste
che ho realizzato nel 1981. Si era riunito un gruppo di vecchi militanti
e stavano commemorando i loro anni nella CNT e nella FIJL. Dopo un
piccolo dibattito sul ruolo che la FIJL e gli atenei ebbero negli anni
Venti e Trenta per fare in modo che i giovani fossero più ricettivi
verso le nuove idee, la conversazione andò a toccare il tema della li­

85
berazione delle donne. Si formarono due posizioni diverse che ven­
nero difese con molto ardore. Una fu esposta da un uomo che si con­
siderava un serio sostenitore dell’emancipazione delle donne e che
aveva ben chiaro il fatto che anche gli uomini anarchici tendevano a
dare per scontato che le loro compagne fossero subordinate a loro.
Sosteneva che proprio per la subordinazione culturale della donna, gli
uomini anarchici avevano la responsabilità di prendere l’iniziativa
per cambiare questi modelli. Il fatto che le donne realizzassero la­
vori salariati non poteva bastare: “Molti compagni non vogliono per­
mettere alle compagne di assistere alle riunioni. La donna che lavora
fuori e che lavora anche in casa è molto impegnata. Non ha il tempo
di uscire come gli uomini”. Dopo tanti anni di socializzazione, le
donne erano ormai troppo disposte ad accettare i ruoli tradizionali.
Gli uomini, che possiedono la percezione e il senso delle loro capa­
cità, diceva, dovevano prendere l’iniziativa e spronare le proprie
compagne a combattere per una maggiore autonomia.
L’altra posizione venne difesa da una donna che aveva militato
nelle Juventudes degli anni Trenta, la cui vita era cambiata in modo
decisivo grazie alla sua partecipazione a questa organizzazione.
Anche lei era molto impegnata nella liberazione delle donne, ma si
opponeva radicalmente alla posizione del suo compagno che do­
vessero essere gli uomini a dover prendere l’iniziativa. Affermava
che si stava sbagliando dando troppa importanza a quello che le
femministe contemporanee chiamano “la politica delle faccende
domestiche”74. Il problema basilare, sosteneva, non era determi­
nare chi dovesse lavare i piatti o chi dovesse pulire la casa, ma che
la donna potesse andare dove voleva e dire quello che voleva. Le ra­
dici della subordinazione della donna stanno nell’ignoranza. Disse
che “ogni donna che pensa un po’ a sé sviluppa delle armi. Quello
che a me importa è che la donna possa aprire la bocca. Non chi
deve lavare i piatti”. Mentre il suo interlocutore affermava che la re­
sponsabilità totale della donna nella pulizia della casa e nel portare
avanti la famiglia le avrebbe impedito di partecipare pienamente
alle attività della comunità, questa donna rispondeva invece che “le
loro riunioni nemmeno mi interessano. Andare alle riunioni è uno

74. MAINARDI, Pat: “The Politics of Housework”, in: Sisterhood Is Power­


ful. An Anthology o f Writings from the Women’s Liberation Movement (ed. Robin
MORGAN), Vintage Books, New York, 1970, pp. 447-54.

86
sport. Quello che importa è lavorare. E leggere”7'1.
Presto ci rendemmo conto che il punto di disaccordo tra di loro
non stava nella priorità del lavoro, della lettura o della cura della
casa, ma si trattava di una questione di iniziativa. Se lui continuava
ad insistere che, dato il peso della subordinazione culturale che le
donne dovevano sopportare, l’iniziativa sarebbe dovuta venire dagli
uomini, lei affermava che “un compagno non deve mai dire ad una
donna: “Liberati, ed io ti aiuto.” La donna deve liberarsi da sola.
L’iniziativa deve venire da lei stessa. Deve essere una cosa che
viene solo da lei”.
L’attualità di questo scontro di opinioni non deve sorprenderci
più di tanto. Vi presero parte persone che, anche se ovviamente non
erano cresciute con il movimento femminista contemporaneo, ne
erano state però influenzate. Ciò nonostante, le questioni che si af­
frontarono ed il modo in cui vennero discusse rieccheggiavano i
dibattiti che erano apparsi sulla stampa durante i primi anni del se­
colo. Nel 1903, José Prat aveva incoraggiato le donne a prendere in
mano le redini della loro emancipazione. Alcuni anni dopo, Fede­
rica Montseny aveva sostenuto che un modo in cui le donne avreb­
bero potuto lottare contro il doppio standard sessuale era prenden­
dosi sul serio, affrontando e punendo chi le aveva sedotte ed
abbandonate, invece di ritirarsi codardamente con vergogna. E So-
ledad Gustavo, facendosi portavoce delle rivendicazioni di Emma
Goldman a proposito dell’emancipazione interiore, aveva soste­
nuto che se doveva esistere un nuovo ordine di uguaglianza ses­
suale, la donna doveva “dimostrare con i fatti quello che pensa e
che è capace di concepire ideali, di dettare principi, di realizzare
degli obiettivi”7576,
Le questioni che stavano affrontando erano per l’appunto 1’em­
powerment e il superamento della subordinazione, ossia, come ot­
tenere tutto questo coerentemente con l’impegno di riconoscere
tanto l’impatto del condizionamento culturale quanto il potenziale
di autonomia di ogni persona. Ciò nonostante, il problema deìYim­
portanza della subordinazione della donna e del ruolo che avrebbe

75. Discussione avvenuta presso il Centre Lleidatà, Barcellona, 6 agosto 1981.


76. PRAT: A las mujeres, pp. 28-29; MONTSENY: “El ocaso del donjuani­
smo”, La Revista Bianca, 2, n. 46 (15 aprile 1925), pp. 9-11 ; GUSTAVO: “Ha­
blemos de la mujer”, p. 9.

87
avuto nel progetto anarchico non era completamente risolto, né
negli scritti teorici degli anarchici spagnoli né, come vedremo,
nell’attività del movimento. Il dibattito continuò all’interno del mo­
vimento per tutti gli anni Trenta e portò alla fine alla fondazione di
Mujeres Libres.

88
Capitolo II
La mobilitazione della comunità
e l’organizzazione sindacale
Le donne e il movimento anarchico spagnolo

Gli anni che vanno dal 1868 al 1936 servirono in preparazione


alla rivoluzione sociale che scoppiò in seguito alla ribellione dei
generali contro la Repubblica Spagnola nel luglio 1936. Le lotte
che si condussero durante questi anni cambiarono il volto della so­
cietà e della politica spagnola, così come la coscienza e la perce­
zione di sé che avevano le migliaia di persone che vi avevano preso
parte. Come hanno fatto notare gli stessi anarchici spagnoli, le ri­
voluzioni non nascono dal nulla, hanno bisogno di una base ampia
e forte. Organizzativamente, questa base fu creata durante i set­
tantanni che ebbero come data di inizio il 1868, anno in cui l’anar­
chia venne ufficialmente introdotta in Spagna.
Vari studi sull’anarchia e sull’anarco-sindacalismo spagnolo af­
fermano che l’unione della tendenza “collettivista” e di quella “co-
munalista” (“riformista” e “rivoluzionaria”), che negli anni 1910-
1919 diede origine all’anarco-sindacalismo, segna il grande
traguardo creativo del movimento e il suo unico e più importante
contributo alla storia dell’anarchia social-rivoluzionaria1. Ma no-1

1. CUADRAT, Xavier: Socialismo y anarquismo en Cataluña. Los orígenes de


la CNT, Ediciones de la Revista de Trabajo, Madrid, 1976; BOOCKIN, Murray:
The Spanish Anarchist: The Heroic Years, 1868-1936, Free Life, New York, 1977;
GOMEZ CASAS, Juan: Storia dell’anarcosindacalismo spagnolo, Jaca Book,
Milano, 1975. Joaquín Romero Maura in “La Rosa de Fuego”. Republicanos y
anarquistas. La política de los obreros barceloneses entre el desastre colonial y
la Semana Trágica, 1899-1909, Grijalbo, Barcellona, 1974, si concentra nel primo
decennio, ma analizza le basi della creazione deH’anarco-sindacalismo.

89
nostante questo, anche se la risoluzione delle tensioni tra queste
due prospettive apparentemente contraddittorie fu certamente una
conquista importante all’intemo del movimento libertario, mi pia­
cerebbe dedicare più attenzione al fatto che si riconobbe che una or­
ganizzazione rivoluzionaria efficace non dovesse coinvolgere solo
i lavoratori sindacalizzati nei loro luoghi di lavoro. In un paese con
un’economia ed una società così poliedriche come quelle della Spa­
gna della fine del secolo xix e dell’inizio del xx, un movimento
teso al cambiamento della società doveva tendere un ponte tra le
differenze che separavano i lavoratori industriali da quelli rurali,
tra i sindacati e le organizzazioni non sindacali, tra gli uomini e le
donne, ed abbracciare le diverse aree delle esperienze quotidiane
delle persone. Fu questo riconoscimento - ancora di più dell’impe­
gno strategico che fu capace di creare - a determinare il successo
del movimento libertario spagnolo. Approfondire questa questione
ci aiuterà a capire sia il ruolo delle donne all’interno del movimento
sia la fondazione di Mujeres Libres come organizzazione a parte.
Quando scoppiò la Guerra civile, i militanti anarchici avevano
creato una vasta e completa rete di programmi e di organizzazioni
strutturata in un unico modo per rispondere ai peculiari bisogni di
gruppi, molto diversi tra loro, all’interno della classe operaia spa­
gnola. Nel febbraio del 1936 la CNT contava approssimativamente
850.000 affiliati organizzati in sindacati non gerarchizzati, federati
secondo industria e regione. [Vedi Appendice A] La sua straordi­
naria combinazione di obiettivi rivoluzionari e tattiche in un certo
senso “riformiste” le permise di dare spazio a molti affiliati mante­
nendo sempre un carattere fortemente rivoluzionario. D’altra parte
il movimento non si limitava all’organizzazione sindacale nel senso
stretto del termine. Durante questo periodo appoggiò e sviluppò
programmi educativi per adulti e per ragazzi, che includevano una
rete di atenei e di centri culturali, un’organizzazione giovanile na­
zionale di base ampia e giornali e riviste che mettevano a disposi­
zione di numerose persone in tutto il paese le critiche anarchiche in
riferimento a temi culturali, politici e sociali.
La varietà di detti programmi ed organizzazioni permise al movi­
mento di rivolgersi a gruppi eterogenei di persone e di farlo proprio
partendo dalle loro rispettive esperienze: dai lavoratori salariati di
fabbrica delle città ai braccianti giornalieri della campagna, ai disoc­
cupati, alle casalinghe, alle lavoratrici del servizio domestico e perfino

90
ai bambini. Anche se ora è per me praticamente impossibile inclu­
dere qui una storia dettagliata del movimento durante questo periodo,
mi piacerebbe però tracciare a grandi linee lo sviluppo delle diverse
fonti della militanza. L’obiettivo è analizzare in particolare come il
movimento anarchico spagnolo gettò le basi di quello che oggi chia­
meremmo comunità, oltre che dell’organizzazione dei luoghi di la­
voro, ed esaminare inoltre le conseguenze che questa strategia orga­
nizzativa a base ampia ebbe per le donne e i lavoratori marginali.

I precursori: regionalismo, collettivismo e azioni di protesta


Nel suo studio sullo sviluppo del movimento anarchico dell’An­
dalusia rurale, Temma Kaplan afferma che l’efficacia del movi­
mento dipendeva dal suo successo nel coinvolgere nelle azioni di
protesta intere comunità di persone (incluse le donne), piuttosto che
solamente i lavoratori salariati. La strategia comunitaria permet­
teva al movimento di poter fare affidamento su quelle persone le cui
vite non erano necessariamente definite nell’ambito del lavoro sa­
lariato: “I sindacati potevano migliorare le condizioni dei loro
membri ma non modificavano in modo significativo le vite delle
persone che non ne facevano parte”2. In un recente studio sullo svi­
luppo dell’ideologia anarchica in Spagna, George Esenwein si mo­
stra contrario all’affermazione secondo cui gli anarchici collettivi­
sti (quelli che difendevano una visione dell’anarchia basata sul
sindacalismo) fossero insensibili alle necessità ed agli interessi di
chi non prendeva parte alla produzione. Al contrario, sostiene che
i collettivisti si preoccuparono delle necessità dei non lavoratori
con varie proposte per la ripartizione della ricchezza. Anche se con­
cordo con Kaplan che la prospettiva comunitaria offriva una base
più ampia per la mobilitazione popolare di quella basata sul sinda­
calismo, il mio proposito è ora di sottolineare l’importanza delle
strategie organizzative che si spingevano più in là del luogo di la­
voro, che effettivamente costituiva un campo d’azione molto ri­
stretto. Esenwein sembra infatti ammettere questo punto, tanto nella
sua argomentazione sulla “vita associativa anarchica” quanto nella

2. KAPLAN, Temma: Ancirchists o f Andalusia, Princeton University Press,


Princeton, 1977, pp. 164-65 e 161-62.

91
sua analisi su come superare queste divisioni mediante quello che
venne chiamato “anarchia senza aggettivi”3.
I modelli di lavoro, di comunità e di protesta variavano, è chiaro,
a seconda delle condizioni locali, soprattutto se paragoniamo l’An­
dalusia rurale alle zone industriali della Catalogna, dove l’anarco-
sindacalismo aveva radici consolidate. Ciò nonostante, nelle aree
urbane il movimento includeva anche elementi che non appartene­
vano al sindacato, oltre a chi invece ne faceva parte. Per compren­
dere il successo del comuniSmo libertario in Spagna, è importante
esaminare le tradizioni del localismo e dell’azione collettiva/comu-
nitaria che costituirono una cornice per lo sviluppo del movimento.
L’attaccamento al paese ed alla regione era stato per generazioni
uno dei caratteri essenziali della politica spagnola. Il regionalismo
diventò ancora più importante con l’introduzione del socialismo
utopico negli anni 1830-1840 e dell’agitazione repubblicana-fede-
ralista nel decennio compreso fra il 1860 e il 1870.1 sentimenti lo­
cali e regionali erano sostenuti da significative differenze econo­
miche, che talora ne erano la radice stessa. La suddivisione e la
proprietà della terra variavano in modo sostanziale da una regione
all’altra e contribuivano al senso di scollegamento tra le varie
zone4. Nelle regioni più meridionali dell’Andalusia e dell’Estre-
madura, ad esempio, la forma predominante di proprietà della terra
era il latifondo, lavorato da braccianti che costituivano il proleta­
riato rurale spagnolo. Al contrario, in Galizia, il sistema era costi­
tuito da piccoli poderi, con proprietà che in molti casi non arriva­
vano ad un ettaro di terreno. Solo in Catalogna e nelle province
basche di Alava e della Navarra predominavano le proprietà di
media estensione (da dieci a cento ettari), cosa che comportava un
aumento significativo dei guadagni nell’agricoltura5.

3. ESENWEIN, George: Anarchist Ideology and the Working-Class Movement


in Spain, 1868-1898, University of California Press, Berkeley, 1989, pp. 107-108,
128-133 ed il Cap. 8.
4. Vedi MALEFAKIS, Edward: Agrarian Reform and Peasant Revolution in
Spain, Yale University Press, New Haven, 1970, soprattutto pp. 3-15;
MARTINEZ ALIER: Labourers and Landowners in Southern Spain, Allen and
Unwin, Londra, 1971 ; BRENAN, Gerald: Storia della Spagna. Le origini sociali
e le politiche della guerra civile, Einaudi, Torino, 1975.
5. HARRISON, Joseph: An Economie History o f Modem Spain, Holmes and
Meier, New York, 1978, p. 5. Vedi anche FUSI, Juan Pablo: “El movimiento obrero

92
Verso la fine del XVIII secolo, la maggior parte della Spagna ru­
rale era dominata da grandi proprietà in mano a civili o a ecclesia­
stici, e questo aveva dato origine ad una popolazione rurale drasti­
camente divisa in due classi, “un’oligarchia di grandi proprietari e
la grande massa di contadini spagnoli impoveriti”6. La concentra­
zione della ricchezza agraria e la devastazione della povertà rurale
in Andalusia erano tragicamente rappresentate. Ad esempio, le pro­
prietà della nobiltà rappresentavano il 72% della ricchezza nel
“regno di Siviglia”. Sei vecchie famiglie nobiliari possedevano ap­
prossimativamente il 90% di tutte le proprietà rurali della provincia.
In tutta l’Andalusia due casate di signori possedevano proprietà
equivalenti al 48,85% del totale del latifondo della regione. 11 si­
stema di proprietà era feudale fino al punto che non esistevano in­
centivi per fare in modo che i proprietari (molti dei quali erano as­
senteisti) incrementassero l’estensione delle terre coltivate o
migliorassero le tecniche di produzione7.
Le guerre napoleoniche e la perdita dei mercati coloniali delle
Americhe ebbero conseguenze disastrose per questo sistema, e una
piccola borghesia commerciale ed industriale cominciò a fare pres­
sioni ogni giorno più forti affinché si adottassero riforme che per­
mettessero lo sviluppo agrario. Quando nel 1835 i liberali arriva­
rono al potere, istituirono una serie di riforme agrarie per riscuotere
denaro per il governo ed incrementare la produttività economica del
paese vendendo la terra a chi poteva essere più attivo nella sua ge­
stione. La legislazione del 1837 alienò le proprietà della Chiesa e dei
consigli municipali, mettendole in vendita nel libero mercato. Abolì
anche il maggiorasco, rendendo così accessibili sul mercato le pro­
prietà della nobiltà.
In Andalusia ed in Estremadura i risultati delle riforme furono,
nel migliore dei casi, contraddittori. Con l’alienazione ecclesia­
stica il regime si conquistò l’inimicizia della Chiesa e, invece che
migliorare, peggiorò la situazione di molti contadini e di molti pic-

en España, 1876-1914”, Revista de Occidente, n. 131 (febbraio 1974), p. 207.


6. FONTANA, Joseph: “Formación del mercado nacional y toma de concien­
cia de la burguesía”, in Cambio econòmico y actitudes políticas en la España del
siglo XIX, Ariel, Esplugues de Llobregat, 1973, p. 33.
7. BERNAL, Antonio Miguel: La lucha por la tierra en la crisis del antiguo ré­
gimen, Taurus, Madrid, 1979, pp. 302-306,312-13 (cartina 18); FONTANA: “For­
mación del mercado nacional”, soprattutto pp. 24-37,41-53.

93
coli proprietari8. Inoltre le alienazioni non riuscirono assoluta-
mente a trasformare la campagna come i riformatori avrebbero de­
siderato. I lavoratori agricoli, nella grande maggioranza senza
terra, non avevano denaro sufficiente per comprare gli appezza­
menti di terra, che furono comprati quindi dalle stesse persone che
li avevano posseduti precedentemente con diritti signorili o dai
“nuovi nobili”, uomini che si erano fatti una fortuna con il com­
mercio e che vennero ricompensati dal nuovo regime con dei titoli.
In realtà, le riforme trasformarono i signori in capitalisti, incre­
mentarono la concentrazione delle terre e provocarono l’espul­
sione dei contadini dalle terre che avevano tradizionalmente colti­
vato, con la conseguente proletarizzazione della popolazione
costretta ad abbandonare le campagne. Anche se cambiarono le
strutture formali di proprietà della terra, i modelli reali di proprietà
non subirono quasi nessuna modifica. La rivoluzione liberale riu­
scì solo a ottenere nell’agricoltura lo stabilizzarsi di nuove disu­
guaglianze sociali9.
Anche nel resto del paese gli effetti delle riforme furono simili.
In Aragona, secondo Susan Harding, le riforme consolidarono il
controllo della politica locale nelle mani dei cacicchi. “ostruendo lo
sviluppo dell’agricoltura capitalista intensiva nelle zone rurali” e
limitando la capacità del governo nazionale di sovvenzionare la
modernizzazione dell’agricoltura101. Anche Susan Tax Freeman ha
analizzato alcune peculiarità del popolo castigliano, scelto come
tema di studio. Anche se inizialmente le riforme concentrarono la
proprietà nelle mani di pochi, il fatto che si liberassero i contadini
dal carico che presupponevano le decime e le primizie, permise
loro di accumulare risorse, ed alla fine di poter comprare loro stessi
delle terre. Ciò nonostante, la relativa uguaglianza che caratterizzò
questa regione fu inusuale nel resto della Spagna11.

8. FONTANA, Joseph: La revolución liberal. Política y hacienda en 1833-


1845, Istituto di Studi Fiscali, Ministero delle Finanze, Madrid, s.d., p. 336.
9. BERNAL: “Persistencia de la problemática agraria andaluza durante la Se­
gunda República”, in: La propriedad de la tierra y las luchas agrarias andaluzas,
Ariel, Barcellona, 1974, p. 142.
10. FRIEND HARDING, Susan: Remaking Ibieca. Rural Life in Aragon under
Franco, University of North Carolina Press, Chapel Hill, 1984, pp. 53-55.
11. TAX FREEMAN, Susan: Neighbors. The Social Contract in a Castilian
Hamlet, University of Chicago Press, Chicago, 1970, p. 17.

94
Lo sviluppo economico diseguale aggravò le tensioni sulla ridi­
stribuzione della terra. L’economia spagnola continuò ad essere ba­
silarmente agraria fino a molto dopo la Guerra civile, anche se esi­
stevano alcuni nuclei di industrializzazione12. Verso la fine del
secolo, in Catalogna c’erano numerosi operai tessili, di cui oltre il
40% era costituito da donne13. L’altra importante zona industriale
erano le Asturie, il centro delle miniere di carbone. La finanza era
prevalentemente a Madrid ed in Biscaglia, e, nelle grandi città della
maggior parte delle province del centro e del nord, esisteva una pic­
cola classe media composta da commercianti, maestri, avvocati,
medici e funzionari.
Le differenze di classe erano estreme, e probabilmente al sud
toccavano le punte più alte di drammaticità. Nella parte meridionale
dell’Andalusia, ad esempio, gran parte dei lavoratori viveva in ag­
glomerati urbani di quindici o ventimila abitanti. L’immensa mag­
gioranza non possedeva terre: gli uomini lavoravano a giornata o a
settimana nei campi delle vicinanze, quando c’era lavoro, per sti­
pendi da miseria, e la maggior parte delle donne prestava servizio
come domestica privata. La loro dieta alimentare era a mala pena
sufficiente, e la maggior parte delle calorie proveniva dal pane e
dall’olio. Il lavoratore medio era gravemente denutrito14. Molti riu­
scivano a non patire la fame dedicandosi alla caccia di frodo, rac­
cogliendo legna o facendo la carbonella e vendendo poi questi pro­
dotti sul mercato. La situazione peggiorò con le riforme che si
attuarono verso la metà del secolo, che negarono ai contadini l’uso
delle terre comunali in un momento in cui molte delle istituzioni di
beneficenza vincolate alla Chiesa non esistevano più15.

12. FUSI, Juan Pablo: “El movimiento obrero”, p. 206; HARRISON: An Eco­
nomic History o f Modem Spain, p. 69.
13. FUSI: “El movimiento obrero”, p. 213. Vedi anche SOTO CARMORA,
Alvaro: “Cuantificación de la mano de obra femenina (1860-1930)”, in La mujer
en la historia de España (Siglos XVI-XX), Seminario de Estudios de la Mujer,
Università Autonoma, Madrid [1984], pp. 279-98.
14. BERNAL: La lucha por la tierra, pp. 390-93, 414-15.
15. RÍOS, Fernando de los: “The Agrarian Problem in Spain”, Intamational
Labour Review, 11, n. 6 (giugno 1925), pp. 840, 844-45; MINTZ, Jerome M.: The
Anarchists o f Casas Viejas, University of Chicago Press, Chicago, 1984, soprat­
tutto pp. 33-63; e BERNAL: “Burguesía agraria y proletariado campesino en An­
dalucía durante la crisis de 1868”, in: La propiedad de la tierra, pp. 107-36.

95
Nelle aree industriali le condizioni di vita e di lavoro erano ap­
pena migliori. Verso la metà del secolo, ad esempio, a Barcellona,
approssimativamente la metà del salario medio di un operaio indu­
striale veniva spesa nel cibo e la metà di questa somma in pane;
nella sua dieta la carne era quasi completamente assente. Nell’in­
dustria tessile catalana, secondo un documento del 1892, un operaio
medio lavorava tra le dodici e le quindici ore diarie in una stanza
male ventilata, poco illuminata e calda. Facendo un’approssima­
zione possiamo dire che tra il 40 ed il 45% dei lavoratori erano uo­
mini, una percentuale uguale era costituita dalle donne, ed il re­
stante 10-20% erano bambini, molti dei quali avevano iniziato a
lavorare sin dall’età di sei o sette anni. L’aspettativa media di vita di
un operaio era all’incirca la metà di quella di un uomo della “classe
facoltosa” 16. Con il cambiamento verso tecniche industriali più mo­
derne, le tensioni di classe diventarono ogni giorno più forti, non
più mediate dalle tradizionali forme paternalistiche locali17.
Esistevano anche forti divisioni di genere. In tutte le aree indu­
striali, tranne nelle più avanzate ed anche in queste in misura abba­
stanza considerevole, gli uomini e le donne conducevano vite quasi
completamente separate. La maggior parte delle donne dipendeva
economicamente dagli uomini (fossero essi i loro padri o i loro ma­
riti), le loro vite erano circoscritte all’ambito domestico, anche se
bisogna dire che questa identificazione con l’ambiente domestico
non voleva dire che non svolgessero un lavoro. Le donne della cam­
pagna erano responsabili dell’orto, anche se non veniva considerato
un lavoro. Nelle zone industriali, sempre più donne nubili della
classe operaia lavoravano per un salario come domestiche o nell’in­
dustria tessile, alcune in fabbrica, la maggior parte nelle loro case;
naturalmente, pagate con stipendi estremamente bassi18. Il circolo

16. CERDA, Ildefonso: “Monografía estadística de la clase obrera de Barce­


lona en 1856”, in: Teoría general de la urbanización, Istituto di Studi Fiscali, Ma­
drid, 1968, voi. II, p. 657, citato in FONTANA: “Nacimiento del proletariado in­
dustrial y primeras etapas del movimiento obrero”, in: Cambio económico y
actitudes políticas, p. 85.
17. Vedi, ad esempio, TERRADAS SABORIT, Ignasi: Les colonies indu­
striáis. Un estudi entom del cas de TAmetlla de Merola, Laia, Barcellona, 1979.
18. CAPEL MARTÍNEZ, Rosa María: El trabajo y la educación de la mujer en
España (1900-1930), Ministero di Cultura, Direzione Generale della Gioventù e
della Promozione Socio-culturale, Madrid, s.d., soprattutto pp. 61-75, 224-34;

96
sociale della maggior paite delle donne era costituito da altre donne:
membri della famiglia, vicine, compagne di lavoro o donne che in­
contravano al mercato. Gli uomini, viceversa, tendevano a muo­
versi in un mondo prevalentemente maschile, in fabbrica, nelle riu­
nioni del sindacato e nei bar.
L’analfabetismo rendeva più gravi sia le divisioni di classe che
quelle di genere. Soprattutto nelle aree rurali esisteva un numero
molto basso di scuole. Le autorità oligarchiche temevano i poten­
ziali effetti radicali dell’istruzione e consideravano “ogni sforzo di
diffondere la cultura come un qualcosa di demoniaco”. Nel 1860,
ad esempio, 1’84% della popolazione della provincia di Siviglia, il
79% di quella di Cadice e 1’83% di quella di Huelva era analfa­
beta19. Anche quando c’erano le scuole, poche famiglie povere riu­
scivano a mandarci i loro figli, e se un figlio vi andava, solitamente
era maschio. Nel 1878, solo il 9,6% delle donne spagnole sapeva
leggere, e nel 1900, l’analfabetismo femminile arrivava addirittura
al 71%20. L’analfabetismo era un’ulteriore difficoltà aggiunta a
quelle che provavano le donne di tutte le classi nel controllo del
concepimento e nella cura dei figli21.
È evidente che una buona organizzazione doveva rispondere a
questa diversità economica, culturale e politica. Le prospettive
anarchiche - l’impegno nell’azione diretta e nell’organizzazione
spontanea ed il riconoscimento del fatto che l’organizzazione do­
veva scaturire dalle necessità delle persone e avrebbe dovuto af­
frontare i loro problemi - erano appropriate soprattutto per questo

vedi anche NASH, Mary: Mujer, familia y trabajo en España, 1875-1936, An-
trophos, Editorial del Hombre, Barcellona, 1983, pp. 315-62; BALCELLS, Al­
bert: “La mujer obrera en la industria catalana durante el primer cuarto del siglo
XX”, in Trabajo industrial y organización obrera en la Cataluña contemporá­
nea, 1900-1936, Laia, Barcellona, 1974, pp. 7-121.
19. BERNAL: La lucha por la tierra, pp. 394-95.
20. Per il 1878 vedi LAFFITTE, María, Contessa di Campo Alange: La mujer
en España. Cien años de su historia 1860-1960, Aguilar, Madrid, 1964, p. 26. Per
gli anni successivi, CAPEL MARTÍNEZ, Rosa María: “La mujer en el reinado de
Alfonso XIII. Fuentes, metodología y conclusiones de un estudio histórico”, in:
Nuevas perspectivas sobre la mujer, Seminario de Estudios de la Mujer, Univer­
sità Autonoma, Madrid, 1982, p. 182.
21. BOSCH MARÍN, Juan: El niño español en el siglo XX, Gráficas González,
Madrid, 1974, pp. 43-50; NELKEN, Margarita: La condición social de la mujer en
España. Su estado actual, su posible desarrollo, Minerva, Barcellona, s.d., p. 119.

97
compito. Ma gli organizzatori anarchici potevano anche prendere
ispirazione dalle tradizioni collettiviste, che in Spagna si erano rea­
lizzate per molto tempo con successo.
Il collettivismo agrario è caratterizzato dalla convinzione che
(usando le parole di Joaquín Costa, un eminente studioso in questo
campo) “la proprietà individuale non può legittimamente cadere se
non sui beni che siano il prodotto del lavoro individuale: la terra è
opera esclusiva della Natura, e per questo non è suscettibile di nes­
suna appropriazione”22. Tracce di queste convinzioni e delle tradi­
zioni intellettuali e religiose che le sostengono si trovano in Spagna
già da molto presto, sin dal XVI secolo. Nei tre secoli successivi, la
campagna spagnola fu lo scenario di periodici sollevamenti di di­
versa intensità e grado di organizzazione che esigevano che si tro­
vasse una soluzione alla povertà e si distribuisse la terra. Verso la
metà del XIX secolo, in seguito ai disordini provocati dalle aliena­
zioni, crebbero sia il fenomeno del banditismo che quello delle ri­
volte popolari, che assunsero un tono più specificatamente poli­
tico23. Anche se alcuni studiosi hanno sottovalutato queste rivolte
definendole “spontanee”, “millenariste” e “prepolitiche”24, Bernal
sostiene che rappresentassero la lotta-contadina verso cambiamenti
che si verificarono grazie alle riforme della metà del secolo e che
questa resistenza, che inizialmente prese la forma di una mera di­
sputa per quello che loro percepivano come un’“usurpazione” di
terre comunali, con il tempo si trasformò in azione diretta grazie
all’occupazione di terre che consideravano gli appartenessero di
diritto. Secondo questo autore, il 1857 è un anno fondamentale,

22. COSTA, Joaquín: “Colectivismo agrario”, in: Oligarquía y caciquismo,


colectivismo agrario, y otros escritos (ed. RAFAEL PÉREZ DE LA DEHESA),
Alianza, Madrid, 1969 [pubblicato originariamente nel 1898], p. 50; DÍAZ DEL
MORAL, Juan: Historia de las agitaciones campesinas andaluzas-Córdoba, Re­
vista de Derecho Privado, Madrid, 1929, ripubblicato da Alianza, Madrid, 1967,
pp. 39-40.
23. FONTANA: “Nacimiento del proletariado industrial”, pp. 60-62; BER-
NALDO DE QUIRÓS Y PÉREZ, Costancio: El espartaquismo agrario andaluz,
Reus, Madrid, 1919, e “La expansión libertaria”, Archivos de psiquiatría y crimi­
nología, 5, (1906), pp. 432-38; y BERNALDO DE QUIRÓS Y PÉREZ, Costan­
cio e Luis ARDILA: “El bandolerismo en Andalucía”, in: El bandolerismo en
España y en México, Jurídica Mexicana, Messico, 1959.
24. Soprattutto HOBSBAWM, E.J.: I banditi: il banditismo sociale nell’etcì
moderna, Einaudi, Torino, 2002.

98
l’anno in cui si mossero i primi passi verso l’acquisizione di una co­
scienza operaia25.
La crisi agraria dei decenni del 1850 e 1860 devastò la campa­
gna, grazie alla fame ed alla disoccupazione dell’invemo e della
primavera del 1868. Questa, a sua volta, divenne lo scenario della
rivoluzione borghese contro la monarchia di Isabella II. I contadini
ed i braccianti giornalieri si unirono all’entusiasmo repubblicano,
cercando di trasformare il processo in una rivoluzione sociale, oltre
che politica, e chiesero la distribuzione della terra. I consigli muni­
cipali rivoluzionari, però, non appoggiarono queste esigenze e la
rivoluzione sociale venne soppressa. Quando l’emissario di Baku-
nin, Giuseppe Fanelli, arrivò in Spagna nel 1868 portando con sé il
messaggio anarchico, trovò tra gli artigiani e i braccianti dell’An-
dalusia un terreno fertile per le sue idee.

Anarchismo, anarco-sindacalismo
e mobilitazione popolare

Gli anarchici iniziarono ad organizzarsi formalmente con l’ar­


rivo di Fanelli, nell’ottobre del 1868. Durante l’ultimo quarto del
XIX secolo ed il primo del xx, l’anarchismo spagnolo crebbe fino a
costituire un movimento di massa popolare, praticamente l’unico di
questo tipo nel mondo.
La visita di Fanelli coincise con l’agitazione nata durante la ri­
voluzione di settembre del 1868 e dalla delusione che ne ebbero i
lavoratori delle terre del sud per il fallimento delle Corti Costituenti
nella ridistribuzione della terra nel 1869. La storia dell’arrivo di
Fanelli e la sua prima visita iniziale in giro per la Spagna è affasci­
nante, e non tardò molto a entrare a far parte del folklore del movi­
mento26. Fanelli andò in Spagna come rappresentante di una se­

25. BERNAL: La lucha por la tierra, pp. 442-44. Si veda una valutazione si­
mile del modello di organizzazione anarchica in Andalusia di Kaplan in Anarchi­
sts o f Andalusia, soprattutto Cap. 8.
26. LORENZO, Anseimo: Il proletariato militante, Edizioni della Rivista
Anarchismo, Catania, 1978; TERMES, Joaquín: “La Primera Internacional en
España (1864-1881)”, in: Federalismo, anarcosindicalismo y catalanismo, Ana­
grama, Barcellona, 1976, p. 13; e NETTLAU, Max: Miguel Bakunin, la Interna­
cional y la Alianza en España (1868-1873) (ed. Clara E. Lida), Iberama, New
York, 1971, soprattutto Caps. 1 e 2.

99
zione bakuninista all’interno dell’Associazione Intemazionale dei
Lavoratori; il “socialismo” che introdusse nel 1868 in Spagna era
quello che sarebbe poi stato conosciuto con il nome di anarchismo
collettivista. Il socialismo marxista venne introdotto in Spagna solo
due anni dopo e non ebbe mai così tanta forza, almeno non tra i la­
voratori di Barcellona e dell’Andalusia27.
In Andalusia le idee che portò Fanelli riuscirono a dare un lin­
guaggio e delle immagini che trasformarono finalmente il desiderio
di terra dei braccianti in una visione politica più completa. A Bar­
cellona e a Madrid si riunì con membri delle corporazioni degli ar­
tigiani e degli operai, incipienti organizzazioni operaie. Il fallimento
della rivoluzione del 1868 aveva spronato questi gruppi a rendersi
indipendenti dal repubblicanesimo e ad adottare una posizione an­
tipolitica più esplicita28. Nel giugno del 1870 si formò la Federa­
zione Regionale Spagnola dell’Associazione Internazionale dei La­
voratori, evento che segnò l’inizio formale del movimento
anarchico in Spagna.
Rafael Farga Pellicer espose in maniera semplice l’obiettivo
dell’associazione: “Vogliamo che finisca l’impero del capitale,
dello Stato e della Chiesa, per costruire sulle sue rovine l’Anarchia,
la libera federazione delle associazioni operaie libere”29. Nel suo
congresso si impegnò in una strategia di resistenza basata sul sin­
dacato (ossia, utilizzando lo sciopero come arma contro i padroni),
sulla solidarietà intersindacale, sul federalismo e sul rifiuto
dell’azione politica. Adottò quello che poi sarebbe stato conosciuto
come “anarco-collettivismo”, che preconizza la caduta dello Stato
per mano dei lavoratori organizzati con la forza delle armi.30

27. Vedi TERMES: Federalismo, anarcosindicalismo y catalanismo, pp. 12-13;


FUSE “El movimiento obrero en España”; ed ESENWEIN: Anarchist Ideology.
28. TERMES: Federalismo, anarcosindicalismo y catalanismo, pp. 7-9; HEN­
NESSEY, C.A.M.: The Federal Republic in Spain, Clarendonn Press, Oxford,
1962; ESENWEIN: Anarchist Ideology.
29. Citato in Clara E. Lida: Anarquismo y revolución en la España del siglo
XIX, Siglo XXI, Madrid, 1972, p. 150.
30. TERMES: Federalismo, pp. 17-23; ROMERO MAURA, Joaquín: “The Spa­
nish Case”, Government and Opposition, 5, n. 4 (Autunno 1970), pp. 462-64; RO­
MERO MAURA: “Les origines de l’anarcho-syndicalisme en Catalogne: 1900-
1909”, in: Anarchici ed Anarchia nel mondo contemporáneo, Fondazione Luigi
Einaudi, Torino, 1971, pp. 110-12; LAMBERET, Renée: “Les travailleurs espagnols
et leur conception de l’anarchie de 1868 au debut de XXe siècle””, ibidem, pp. 78-94.

100
Ma la diversità della società spagnola rimase riflessa nella man­
canza di unità all’interno della stessa organizzazione: le nuove po­
litiche vennero interpretate in modo diverso dai diversi gruppi e
nelle diverse regioni del paese. Gli operai catalani, ad esempio,
erano di gran lunga il gruppo regionale più numeroso e l’unico or­
ganizzato di operai industriali. Anche se rimasero esplicitamente
fedeli alle mete rivoluzionarie, la maggior parte tendeva nella pra­
tica ad essere riformista (si occupavano di tematiche di interesse
quotidiano per gli operai) e concentrava i propri sforzi per organiz­
zare il sindacato e per organizzarsi al suo interno. Nell’Andalusia
rurale gli operai qualificati erano perlopiù anarco-sindacalisti per­
ché, come indica Kaplan, il programma collettivista “prometteva
economie guadagnate con il lavoro collettivo, ma tutto quello che
veniva prodotto era proprietà del sindacato”. Tra gli operai non qua­
lificati e i disoccupati, la preferenza era rivolta verso il “comuniSmo
libertario”, che differiva dall’anarchismo collettivista nel suo orien­
tamento più comunitario. “Non solo esisteva la proprietà collettiva
di tutti i mezzi di produzione, ma anche la proprietà comune di
quanto veniva prodotto. Ogni persona, operaio o casalinga, sana o
malata, giovane o vecchia, avrebbe preso da un deposito comune
quanto di cui avrebbe avuto bisogno”31.
Queste diverse prospettive diedero origine a importanti diffe­
renze nella strategia. Gli anarchici collettivisti sostenevano che il
movimento dovesse essere basato sui sindacati, che, data la struttura
dell’economia spagnola, erano pesantemente di tipo urbano e ma­
schile. Invece i comunisti libertari, che si ispiravano alla tradizione
del municipalismo, insistevano sulle tattiche di azione diretta e con­
sideravano come “membri potenziali tutta la comunità dei poveri,
inclusi gli artigiani autonomi, i contadini locatari ed i piccoli pro­
prietari della terra, i proletari urbani e rurali, le casalinghe, i bam­
bini ed i disoccupati”32.
Verso il 1888, il movimento spagnolo si era impegnato formal­
mente nel comuniSmo libertario. Le conseguenze di questa deci­

31. KAPLAN: Anarchists o f Andalusia, p. 140.


32. Ibidem, pp. 135-36; vedi anche Clara LIDA: “Agrariam Anarchism in An­
dalusia”, International Review o f Social History, 14 (1969), terza parte, soprattutto
pp. 334-37. George Esenwein sostiene che queste differenze vengano esagerate,
in: Anarchist Ideology, pp. 107-108.

101
sione tattica furono contraddittorie. Da una parte Temma Kaplan
sostiene che questo permise al movimento di unificare l’organiz­
zazione sindacale e l’appoggio della comunità e gettò le basi di
quello che più tardi sarebbe stato conosciuto come la più eccezio­
nale creazione spagnola, “l’anarco-sindacalismo”:

Dando più enfasi ai centri operai, alle cooperative, alle associazioni


di mutuo soccorso ed alle associazioni femminili, il collettivismo ed il
comuniSmo riuscirono a superare il localismo del primo e la deliberata
dissociazione del secondo. [...] Lo sciopero generale, in realtà una
mobilitazione di tutta la comunità, avrebbe tratto beneficio dal peso
numerico [...] permettendo ai militanti sindacalisti ed alle persone
ugualmente militanti della comunità di marciare insieme contro il siste­
ma d ’oppressione33.

George Esenwein afferma invece che la strategia dell’azione di­


retta, della “propaganda attraverso il fatto” - principio fondamen­
tale dei comunisti libertari - spesso risultava pregiudicante per una
vita associativa più ordinata34.
Tanto le differenze filosofiche quanto tutto quello che queste pre­
supponevano strategicamente continuarono a costituire nei decenni
che seguirono un tema di dibattito. Nel frattempo molte di queste
idee vennero diffuse nelle zone rurali in una combinazione di “pro­
paganda attraverso il fatto” e lavoro dei militanti anarchici consacrati
alla causa, noti come operai con coscienza politica. Tra questi mae­
stri ambulanti troviamo Abelardo Saavedra, il nonno di Enriqueta e
Azucena. Nato a Cadice nel 1864, da genitori assolutamente con­
servatori, venne “iniziato all’ideale” all’università. Azucena parlava
con orgoglio del lavoro che suo nonno aveva fatto nelle campagne:

Si dedicò alla propagazione d e ll’ideale. Voleva fom en ta re la rivolu­


zione non con il fucile, m a con la cultura. Si consacrò al m ondo dei con­
tadini andalusi, insegnandogli l ’alfabeto. N e ll’alfabetizzare il popolo,
direm m o oggi - quello che sta facendo Fidel Castro [sic] - . Il nonno era

33. KAPLAN: Anarchists o f Andalusia, pp. 166-167; vedi anche il suo arti­
colo “Class Consciousness and Community in Nineteenth-Century Andalusia”,
Politicai Power and Social Theory, 2 (1981), pp. 21-57.
34. ESENWEIN, George: Anarchist Ideology, pp. 110-16.

102
così, si dedicò a questo. M a intendiamoci, non c ’era nem m eno un Cristo
che gli andasse incontro in questo lavoro. E trascorse tre giorni in car­
cere perché era andato ad un corteo e aveva riunito tutti i contadini e li
aveva iniziati.

Erano tempi duri e gli anarchici, essendo un facile capro espia­


torio, venivano puniti al minimo pretesto:

Q uando si sposò il re [Alfonso XIII, 1906] tirarono una bom ba e q u e­


sta bom ba, dopo essere stata tirata, [sc a ten ò ] la repressione. 1 m iei
genitori dovettero fuggire, se ne dovettero andare, ed em igrarono in
A m erica [ C uba/ 35.

Le attività di questi operai con coscienza politica, con l’attivismo


e gli scioperi, contribuirono a generare un clima di aspettativa e di
entusiasmo nella campagna andalusa. La repressione del governo
obbligò il movimento ed i lavoratori che avevano scioperato ad en­
trare nella clandestinità fino alla I Guerra Mondiale. Ma gli anar­
chici erano riusciti a dimostrare l’efficacia di una strategia basata
sulle relazioni comunitarie e federative - sviluppando centri operai,
atenei - e che sottolineava i vincoli tra lavoro e comunità, lavoratori
e poveri, uomini e donne36.

Se la confrontiamo con altri movimenti operai dell’Europa occi­


dentale, l’attività sindacale industriale spagnola fu tarda, debole e
contraddistinta da uno sviluppo lento37. L’attività sindacale presente
in Catalogna era di carattere piuttosto riformista, cercava di miglio­
rare i salari e di ridurre la giornata lavorativa. Ma nonostante tutto
ciò, quando la tattica sindacale dello sciopero generale rivoluziona­
rio arrivò in Spagna verso la fine del secolo dalla Erancia, il sinda­
calismo riformista iniziò a coesistere con la tattica dello sciopero
generale. Secondo un modello simile a quello che si verificò in An­
dalusia, gli scioperi generali catalani coinvolsero molte persone, in­

35. Azucena Fernández Barba, intervista, Perpignan, (Francia), Io gennaio 1982.


36. KAPLAN: Anarchists o f Andalusia, pp. 202-205. Vedi anche DÍAZ DEL
MORRAL: Historia de las agitaciones; e PÉREZ DÍAZ, Víctor: “Teoría y conflic­
tos sociales”, Revista de Occidente, n. 131 (febbraio 1974), soprattutto pp. 252-56.
37. FUSI: “El movimiento obrero en España”; ROMERO MAURA: La Rosa de
Fuego, soprattutto Caps. 1 e 2.

103
eluso anche un numero significativo di donne, oltre agli operai sin­
dacalizzati delle industrie. Ma in Catalogna, ed in certa misura anche
a Madrid ed a Valencia, c’erano ogni giorno sempre più donne ope­
raie note per la loro militanza, specialmente nelle fabbriche di siga­
rette e nell’industria tessile38. In quest’ultima, ad esempio, che alla
fine del secolo era un’industria in rapida espansione, in molti co­
muni catalani le donne rappresentavano tra l’80% ed il 90% della
forza lavoro. Grazie alla rapida crescita dell’industria, all’impor­
tanza del lavoro femminile ed alla scarsa anche se crescente ade­
sione delle donne al sindacato, si svilupparono più o meno simulta­
neamente due diversi tipi di attivismo, quello che aveva come base
il sindacato e quello che come base aveva invece la comunità39.
Studi recenti hanno negato la tendenza a credere che le donne spa­
gnole fossero meno ricettive degli uomini per quanto riguarda l’ade­
sione al sindacato. Anche se la Spagna possedeva una percentuale
molto bassa di forza lavoro femminile, in comparazione ad altri paesi
europei, ed anche se tanto gli uomini quanto le donne spagnole par­
tecipavano ed aderivano agli scioperi in proporzione minore dei loro
compagni e compagne dell’Europa occidentale, le operaie dell’indu­
stria tessile che svolgevano il loro lavoro nelle fabbriche aderivano ai
sindacati e partecipavano agli scioperi in proporzione quasi uguale a
quella degli uomini. Occasionalmente, i direttori delle fabbriche riu­
scivano ad utilizzare le donne (che non facevano parte del sindacato)
come crumiri in tempi di conflitti di lavoro, ma ci sono poche prove
che dimostrano che questa fosse una pratica ordinaria40.
Le condizioni di lavoro degli operai industriali della Spagna di
fine secolo erano pessime, specialmente per le donne del ramo
dell’industria tessile. Una relazione del 1914 condotta da un corpo di
ispettori del lavoro dimostra che praticamente tutte le fabbriche che
impiegavano le donne ed i bambini agivano in modo illegale, erano

38. LAFFITTE: La mujer en España, pp. 144-145. Ellen Gates Starr, con Jane
Addams cofondatrice della Hull House di Chicago, fu sorpresa dalla militanza
delle operaie delle fabbriche di tabacco di Siviglia nei suoi viaggi in Spagna nel
1888. Vedi l’EGS ai suoi genitori, 2 maggio 1888, Ellen Gates Starr papers,
Sophia Smith Collection, Smith College, cassa 7, fascicolo 2.
39. BALCELLS: “La mujer obrera”, pp. 6-22.
40. FUSI: “El movimiento obrero”, p. 204; CAPEL MARTÍNEZ: El trabajo y
la educación, pp. 42-43 e 211-30; SOTO CARMONA: “Cuantificación de la
mano de obra femenina”, pp. 280-81 ; e BALCELLS: “La mujer obrera”, p. 45.

104
“officine sporche, senza ventilazione né illuminazione, installate nei
reparti più malsani dell’edificio, senza altra nonna che il capriccio o
l’egoismo del padrone”41. Una legge del 1902 aveva ridotto la gior­
nata lavorativa delle operaie di questo settore a dieci ore, ma la rela­
zione riconosceva che molte donne erano ancora obbligate a lavo­
rare per sedici ore continue e a volte anche di più. E tutte percepivano
dei salari che potevano essere qualificati come “salari da fame”,
spesso inferiori alla metà di quanto venivano pagati i lavoratori ma­
schi dello stesso settore per un lavoro uguale o più complesso42.
Nonostante il numero crescente di operaie e la deplorabile situa­
zione in cui si trovavano, situazione nota a tutti, né gli anarchici né
i socialisti furono coerenti al momento di affrontare i loro problemi
e di difendere l’uguaglianza delle donne alfinterno dei sindacati.
Esattamente come gli anarchici, anche i socialisti utopici spagnoli
della metà del XIX secolo si comportarono in modo ambiguo nei
confronti dell’uguaglianza e della partecipazione delle donne. Al­
cuni sostenevano che il posto della donna fosse la casa, educando i
figli e custodendo la tranquillità domestica. Altri rifiutavano il do­
minio degli uomini sulle donne anche alfinterno della casa ed af­
fermavano che l’uguaglianza delle donne avrebbe dovuto essere
conquistata sul luogo di lavoro e fra le mura domestiche. Con il
passare del tempo all’interno della teoria e della pratica socialista
spagnola l’interesse per le operaie venne relegato ad un secondo,
quando non terzo, piano. I socialisti arrivarono perfino a dichiarare
in un congresso del partito, nel 1881-1882, che il lavoro femminile
avrebbe dovuto essere proibito43. Nonostante questo, a partire dal
1886, il Partito Socialista Operaio Spagnolo, (PSOE) dichiarò for-

41. Riassunto in: GONZÁLEZ CASTRO, José: El trabajo de la mujer en la in­


dustria. Condiciones en que se efectúa y su consecuencias en el porvenir de la
raza. Medidas de protección necesaria, Istituto di riforme Sociali, Seconda Se­
zione, Imprenta de la sucesora de M. Minuesa de los Ríos, Madrid, 1914, p. 8.
42. GONZÁLEZ CASTRO, pp. 11, 12, 27; vedi anche GARCÍA NINET, José
Ignacio: “Elementos para el estudio de la evolución histórica del Derecho Español
del trabajo. Regulación de la jornada de trabajo desde 1855 a 1931, II parte”, Re­
vista de Trabajo, n. 52 (4o trimestre 1975), pp. 30-32; e PAULÍS, Juan: Las obre­
ras de la aguja, Ibérica, Barcellona, 1913, soprattutto pp. 19-25.
43. BIZCARRONDO, Marta: “Los orígenes del feminismo socialista en
España”, in: La mujer en la historia de España (siglos XVI-XX), pp. 136-38;
ELORZA, Antonio: “Femenismo y socialismo en España (1840-1860)”, Tiempo
de historia (febbraio 1975), pp. 46-63.

105
malmente il suo impegno per l’uguaglianza delle donne - per lo
meno in teoria, sostenendo che tanto l’emancipazione delle donne
quanto l’emancipazione della classe operaia sentivano la necessità
della partecipazione delle donne alla forza lavoro in termini di
uguaglianza con gli uomini e della partecipazione delle donne ai
sindacati socialisti.
L’attività indipendente delle socialiste spagnole fu relativamente
sterile. Già nel 1903, alcune persone denunciarono il dominio ma­
schile e misero in discussione la divisione sessista del lavoro, fra le
mura domestiche e nel luogo di lavoro. Tra il 1902 e il 1906 si for­
marono a Madrid e a Bilbao alcuni gruppi di donne socialiste, ma
quelle che auspicavano un’organizzazione delle donne secondo
specifiche linee di genere non furono mai che una piccola mino­
ranza all’interno del movimento. Un gruppo di donne socialiste,
fondato nel marzo del 1906 a Madrid, si incorporò al PSOE nel 1908
con 75 membri, e nel 1910 arrivavano ad essere 183. Ma, nono­
stante tutto, queste donne rappresentavano una percentuale molto
bassa del totale degli iscritti ai sindacati socialisti del PSOE (75
membri su 25.000 nella Casa del Popolo di Madrid nel 1908, e 36
membri su 2.900 del PSOE di Madrid nel 1910)44.
Perfino la posizione relativamente moderata di Virginia Gonzá­
lez - sosteneva che il principale ruolo della donna fosse quello di
“compagna” dell’uomo e propagatrice del socialismo alla nuova
generazione di bambini socialisti - raramente riceveva un’atten­
zione degna di rispetto all’intemo dei circoli socialisti. La maggior
parte dei socialisti, inclusi quelli interessati al tema dell’oppres­
sione delle operaie, vedeva la soluzione esclusivamente in termini
sindacali. In generale, i socialisti tardarono molto ad affrontare la
questione femminile e, in termini relativi, fallirono nel tentativo di
far affiliare militanti donne al sindacato o al partito45.
Margarita Nelken, una delle socialiste spagnole che sarebbe ar­
rivata ad essere deputata alle Cortes, adottò una posizione un po’
più militante, affermando che lo sfruttamento delle operaie era dan­

44. BIZCARRONDO: “Los orígenes”, pp. 139, 144 e 146; SCANLON, Ge-
raldine: La polémica feminista en la España contemporánea (1868-1974) (trad.
Rafael Mazarrosa), Siglo XXI, Madrid, 1976, p. 234.
45. ALBORNOZ, Aurora de: “Virginia González, mujer de acción”, Tiempo
de historia, n. 32 (luglio 1977), pp. 26-29; NASH, Mary: Mujer y movimiento
obrero en España, 1931-1939, Fontamara, Barcellona, 1981, cap. 4.

106
noso per tutti i lavoratori. “A parità di lavoro, parità di salario è
tanto una massima femminista quanto anche un principio di difesa
per il lavoro maschile”, diceva. Spronò il partito affinché iniziasse
massicci programmi di istmzione, programmi di miglioramento dei
salari e delle condizioni di lavoro delle donne e le organizzasse nei
sindacati cosicché, insieme agli uomini, potessero lavorare per la
trasformazione sociale che tutti desideravano46. Partecipò a molte
conferenze, all’interno ed all’esterno del PSOE, sviluppando in
realtà una sua propria versione del femminismo socialista. Ma
anche se i socialisti arrivarono ad appoggiare il suffragio femminile,
non prestarono mai l’attenzione che lei reputava necessaria per su­
perare altri aspetti della subordinazione delle donne. Non adotta­
rono né l’uguaglianza del salario, né il congedo per la maternità, né
un miglioramento delle condizioni di lavoro delle donne come mete
centrali del movimento, e non prestarono mai una seria attenzione
all’organizzazione sindacale delle operaie. Infine, né Nelken né tan­
tomeno i socialisti riuscirono a ottenere una “maggior partecipa­
zione delle donne come componente necessaria della lotta della si­
nistra per la sopravvivenza”47.
Gli anarchici furono in un certo senso più attenti alle particolari ne­
cessità delle donne lavoratrici, e questo probabilmente perché le donne
lavoravano fuori casa soprattutto in quelle aree in cui i sindacati anar­
chici erano più forti. Nel suo congresso del 1881, ad esempio, la Fe­
derazione Regionale Spagnola della AIT dichiarò che la donna “può
esercitare gli stessi diritti e adempiere agli stessi doveri dell’uomo”48.
I congressi anarchici fecero numerosi appelli per far iscrivere le donne

46. NELKEN: La condición social de la mujer en España, pp. 61-62 (nota), 99


e 119.
47. KERN, Robert: “Margarita Nelken. Women and the Crisis of the Spanish
Politics”, in: European Women on the Left. Socialism, Feminism, and the Pro­
blems Faced by Political Women, 1880 to the Present (ed. Jane SLAUGHTER e
Robert KERN), Greenwood Press, Westport, Conn., 1981, p. 159. George A. Col­
lier affronta il tema del fallimento dei socialisti di Huelva nel cercare di incorpo­
rare le donne e le conseguenze che ci furono per loro durante la repressione post­
bellica in “Socialists of rural Andalusia, 1930-1950. The unacknowledged
Revolutionaries”, manoscritto inedito, Stanford University, 1984, soprattutto pp.
51-52. Questo tema è affrontato indirettamente nel libro di Collier Socialists o f
rural Andalusia. Unacknowledged Revolutionaries o f the Second Repubblic,
Stanford University Press, Stanford, 1987, cap. 9.
48. Citato in CAPEL MARTÍNEZ: El trabajo y la educación, p. 228.

107
operaie al sindacato e per ottenere parità di salario per parità di la­
voro. Ciò nonostante, come abbiamo visto, c’erano anche degli anar­
chici che vedevano le donne più come “ausiliarie” della rivoluzione
che come rivoluzionarie attive. E anche se verso la fine del XIX secolo
le donne si affiliarono attivamente ai sindacati e avrebbero addirittura
potuto arrivare ad essere la maggioranza in alcuni sindacati del settore
tessile, pochissime volte occuparono incarichi dirigenziali. Teresa Cla-
ramunt, una delle più famose oratrici ed organizzatrici anarchiche di
quel periodo, si lamentava in un articolo pubblicato nel 1891 del fatto
che gli uomini si impegnassero a dirigere sindacati prevalentemente
femminili49. Il risultato del suo appello alle donne di farsi carico dei
loro sindacati fu la formazione nel 1891 dell’Associazione delle La­
voratrici di Barcellona. Sembra, senza alcun dubbio, che il gruppo
non ebbe molto successo nel momento di risolvere la problematica
situazione, dato che durante lo sciopero della Costancia nel 1913 gli
uomini continuarono a rappresentare le donne.
Mentre sul versante sindacale si procedeva con l’affiliazione
delle donne, l’attivismo nei quartieri e nelle comunità ricevette sti­
moli con l’introduzione in Catalogna, nel 1899-1900, dello scio­
pero generale rivoluzionario. Nel maggio e nel dicembre del 1901,
lavoratori ed elementi della comunità arrivarono a paralizzare Bar­
cellona per brevi periodi. Ma il primo e vero successo dello scio­
pero generale industriale in Spagna lo si ottenne nel febbraio del
1902, quando uno sciopero generale in appoggio agli operai me­
tallurgici mobilitò migliaia di lavoratori e praticamente paralizzò
tutta la produzione di Barcellona per una settimana. È il caso di se­
gnalare che allo sciopero parteciparono anche molte donne, alcune
come scioperanti ed altre come partecipanti alle manifestazioni or­
ganizzate dagli abitanti delle periferie. Questo determinò un mo­
dello di attivismo femminile eterogeneo che si sarebbe ripetuto poi
nei successivi quindici anni di agitazione operaia a Barcellona, a
Madrid, a Valencia ed in altre zone. Teresa Claramunt ebbe un ruolo
rilevante nello sciopero del 1902 sia per la sua attività di propa­
gandista che come leader delle manifestanti50.

49. El liberal (Madrid) (30 aprile 1891), citato in BIZCARRONDO: “Los orí­
genes”, p. 143.
50. A proposito degli scioperi del 1901, vedi ROMERO MAURA: “La Rosa de

108
Negli anni successivi, il movimento anarchico della Catalogna
sviluppò una strategia che offriva una soluzione al dilemma che
contrapponeva sindacalismo e comunalismo, riformismo e rivolu­
zione: l’anarco-sindacalismo. Questo riusciva infatti a combinare
insieme prospettive rivoluzionarie (anarchiche) con obiettivi a
lungo termine e strategie un po’ più riformiste (sindacaliste) con
obiettivi a breve termine. La nuova sintesi iniziò ad articolarsi già
nel 1907 con la fondazione della Federazione di Barcellona di So­
lidaridad Obrera, seguita nel 1908 dalla Federazione Catalana di
Solidaridad Obrera. In queste organizzazioni i lavoratori univano le
loro forze ad una “direttiva rivoluzionaria, con la condizione che
continuasse ad essere riformista nella sua pratica”, ossia, che non
dimenticasse gli interessi degli operai in relazione al lavoro quoti­
diano. Infine, nell’ottobre del 1910, venne creata la CNT. La sua
struttura organizzativa ed ideologica riusciva a combinare insieme
il sindacalismo rivoluzionario e il comunismo libertario, cosa che
rese possibile nei successivi trent’anni la formazione di una forte
base rivoluzionaria per il movimento51.
Contemporaneamente, la nuova sintesi trascurò ampiamente
l’aspetto dell’attivismo popolare più comunalista, che prevedeva
l’azione diretta e la partecipazione femminile e che si era manife­
stato in tutto questo periodo, soprattutto durante la Settimana Tra­
gica di Barcellona, dal 26 luglio al Io agosto del 1909. Cristina
Piera, che al momento dei fatti aveva dodici anni e lavorava come
apprendista in una fabbrica tessile, descrisse così lo sciopero:

Eravam o a Badalona quando dissero: “O ggi è fe s ta ! ” Io ne fu i co n ­


tenta; p en sa vo : “Un g iorno di f e s t a ! .. . ” E d in iziaro n o a sp a ra re...
Quella rivoluzione avvenne perché m andavano m olti soldati a M elilla,
dove c ’era la guerra, ed allora il popolo si sollevò ed iniziò ad abbatte-

Fuego”, pp. 206-11 ; a proposito dello sciopero di Barcellona del 1902, vedi B AL-
CELLS: “La mujer obrera”, p. 48; vedi anche ITURBE, Lola: La mujer en la lucha
social y en la Guerra Civil de España, Editores Mexicanos Unidos, México, D.F.,
1974, pp. 52-56; ROMERO MAURA: “La Rosa de Fuego”, p. 215; e KAPLAN,
Temma: “Female Consciousness and Collective Action. The Case of Barcelona,
1910-1918”, Signs, 7, n. 3 (1982), pp. 545-67.
51. ROMERO MAURA: “Les origines”, p. 1158; “La Rosa de Fuego”, pp.
498 e ss.; LORENZO, César: Les anarchistes espagnols et le pouvoir, 1868-1969,
Les éditions du Seuil, Parigi, 1969, pp. 45-52.

109
re il ponte, il ponte di Badalonci, chiam ato Botifarreta. Lo occuparono
e iniziarono a sm ontare i binari affinché il treno non passasse e non
potessero quindi p iù passare i soldati. La sparatoria durò p e r tutta la
settim ana, che è rim asta p o i nota con il nom e di Settim ana Tragica52.

Lola Iturbe sottolineò l’importanza del comportamento delle


donne durante la Settimana Tragica: “Nel 1909, la grande Settimana
Tragica... Ebbene, lì le donne ebbero un ruolo fondamentale. Nel
fatto della tranvia, degli incendi, delle manifestazioni, delle donne
che si fermarono sulle rotaie del treno per impedire alle truppe di an­
dare in Marocco”53. Joan Connelly Ullmann nel suo approfondito
studio sugli avvenimenti della Settimana Tragica include continui ri­
ferimenti a donne concrete che assunsero ruoli da leader ed in ge­
nerale a donne (e a bambini) che spronarono all’attivismo nei loro
ambiti di appartenenza54.
Quello che risulta specialmente interessante qui è l’attività anti­
bellica sviluppata dalla comunità. Una delle forze che scatenarono lo
sciopero generale fu la natura sindacale: la chiusura di una fabbrica
tessile aveva provocato dei licenziamenti in massa. Lo sciopero, a
sua volta, offrì la giusta cornice ad una considerevole violenza anti­
clericale. Ma nei ricordi di molti uomini e donne che presero parte ai
cortei ed alle manifestazioni la cosa fondamentale fu lo sforzo per
scongiurare l’arruolamento nelle file dei riservisti.
È proprio l’insieme di questi motivi nel ricordo e nell’azione
quello che costituì la forza particolare delle manifestazioni: c’erano
degli aspetti che attraevano, in modo concreto, una varietà di per­
sone, ognuna delle quali poteva trovare il suo posto a seconda delle
proprie condizioni di vita, cosa che costituisce un esempio di azione
diretta. Nonostante la lezione che si può ricavare da tutto questo -
l’unione dei lavoratori stipendiati, dei disoccupati e delle donne che
si consideravano ancorate al terreno domestico - non venne imme­
diatamente riflessa nella politica del crescente movimento anarco-
sindacalista.
La CNT venne fondata a Barcellona esattamente un anno dopo

52. Cristina Piera, intervista, Santa Colonia, (Barcellona), 6 agosto 1981.


53. Lola Iturbe, intervista, Barcellona, 4 agosto 1981.
54. CONNELLY ULLMAN, Joan: The Tragic Week, Harvard University Press,
Cambridge, 1968, soprattutto pp. 215, 227, 232, 236, 241-44, 281, 292-293.

110
questi avvenimenti. Il suo programma prestava attenzione tanto ai
problemi sindacali “classici” - il salario minimo, la diminuzione
delle ore di lavoro (aspirazione alla giornata di otto ore), riscri­
zione al sindacato e l’eliminazione del lavoro a cottimo - come
anche ad obiettivi di maggior interesse per la comunità, e pertanto,
più rivoluzionari, come l’abolizione del lavoro infantile (di bambini
di entrambi i sessi minori di quattordici anni), la lotta per affitti più
bassi e per l’eliminazione del deposito della caparra, la nascita di
scuole razionaliste per i lavoratori (scuole notturne per quelli che la­
voravano e diurne per i bambini), il superamento della subordina­
zione delle donna, la creazione di una base di operai rivoluzionari
e lo sviluppo di strategie per lo sciopero generale. Bisogna ricordare
che queste proposte non venivano fatte solo in favore dei lavoratori
delle industrie, ma anche di quelli delle campagne55.
Con questo programma, la CNT mise in chiaro un nuovo modo di
concepire l’organizzazione rivoluzionaria. Per essere fruttuosa
avrebbe dovuto spingersi oltre i confini del luogo di lavoro. Impe­
gnandosi nella creazione e nella sovvenzione di scuole per lavora­
tori, nel suo appoggio al controllo degli affitti (incluso anche il pro­
getto di realizzare uno sciopero generale in appoggio alle esigenze
degli inquilini) e la considerazione della subordinazione della
donna all’interno delle case e nel luogo di lavoro, sembrava rico­
noscere che i problemi e gli interessi dei lavoratori fossero abba­
stanza più ampi del loro “lavoro”. Inoltre offrì una cornice in cui i
gruppi rurali agrari avrebbero potuto federarsi con gli operai delle
industrie urbane. E dichiarò espressamente che il “sindacalismo”
era un mezzo e non un fine.
Ma nonostante questo, i progetti che nacquero durante il suo
primo congresso si basarono su di una organizzazione operaia più
tradizionale e non presero completamente in considerazione tutto
quello che era derivato dalla mobilitazione della comunità, che un
anno prima si era dimostrata in modo evidente. Così, ad esempio, il
congresso dichiarò: “Noi consideriamo che quello che deve costi­
tuire precisamente la redenzione morale della donna - oggi asser­
vita alla tutela del marito - è il lavoro, che deve elevare la sua con-

55. Congreso de constitución de la Confederación Nacional del Trabajo (CNT)


(ed. José PEIRATS), Cuadernos Anagrama, Barcellona, 1976; si veda anche Con­
gresos anarcosindicalistas en España 1870-1936, CNT, Tolosa, s.d., pp. 35-40.

111
dizione di indipendenza”56. In un’impostazione poco comune che
articolava la relazione tra lo sfruttamento della donna e lo sfrutta­
mento dei lavoratori in generale, il congresso sosteneva:

D o b b iam o co nsiderare che la dim in u zio n e delle ore d i lavoro di


m olti di noi è dovuta indirettam ente al penoso lavoro delle donne nelle
fabbriche, tanti di noi perm ettono che le nostre com pagne si alzino dal
letto prim a delle cinque del m attino m entre noi rim aniam o a riposare.
E quando la donna fin isc e di versare il suo sangue n e ll’arco di dodici
ore, p e r m antenere i vizi di uno sfruttatore, torna a casa e invece di
riposare si trova con un nuovo borghese - com pagno - che con la più
grande tranquillità aspetta che lei inizi a fa r e le fa ccen d e di casa.

Il programma d’azione del congresso tuttavia non prestò la ben­


ché minima attenzione alla questione della subordinazione della
donna al proprio marito nel contesto familiare57.
11 congresso della fondazione della CNT rappresentò quindi per
alcuni aspetti della strategia un accordo tra i comunisti libertari ed
i sindacalisti, ma non riflesse ancora un riconoscimento del fatto
che la solidarietà e l’azione della classe operaia potevano irrobu­
stirsi e diventare più forti con le attività di chi non era definito o
concepito come lavoratore. Sebbene la più ampia espressione di
questa prospettiva non si sviluppò fino al periodo della Guerra ci­
vile, le attività delle donne negli anni che trascorsero da una data
all’altra e negli scioperi di sussistenza del 1918-1919 costituirono
numerosi esempi dell’azione collettiva delle donne e, di conse­
guenza, dei limiti della strategia strettamente sindacale.
Le donne continuarono a partecipare alle proteste negli anni di
repressione che vennero dopo la Settimana Tragica. Molte operaie
del tessile in questi anni si affiliarono ai sindacati e parteciparono
attivamente agli scioperi. Di fatto, gli anni tra il 1910 ed il 1920
comportarono in Catalogna il “lancio” reale dell’adesione ai sin­
dacati delle operaie dell’industria tessile e della loro partecipazione
a diversi scioperi58. Dal 1905 al 1909, le relazioni ufficiali regi­
stravano 7.370 uomini e 1.051 donne scioperanti a Barcellona, (le

56. Congreso de constitución de la Confederación Nacional del Trabajo, p. 65.


57. Congreso de constitución, p. 90.
58. CAPEL MARTÍNEZ: El trabajo y la educación, pp. 208-209.

112
donne rappresentano il 28% della forza lavoro ma solamente il
12,4% degli aderenti allo sciopero); queste stesse relazioni regi­
stravano 61.918 donne e 72.954 uomini scioperanti nel periodo tra
il 1909 e il 1914. Ma nel 1913 le donne superarono gli uomini come
numero di scioperanti (56.788 contro 23.286). A Sabadell nel 1910
la partecipazione e la leadership delle donne fu cruciale per lo scio­
pero generale degli operai del settore tessile, come per quello di
Reus dell’estate del 1915 e per lo sciopero degli operai del tessile di
Barcellona dell’agosto del 19 1659.
Lo sciopero generale dei lavoratori del tessile del 1913 (noto
con il nome della Costancia), in cui fondamentale fu la partecipa­
zione delle donne anarchiche, fu esemplare per molti aspetti. Le
relazioni degli avvenimenti fanno riferimento alle operaie che “si
comportavano come dei leader, ed erano relativamente conosciute
dalla massa”. Anche se le riunioni che trattavano temi inerenti allo
sciopero erano presiedute da uomini, “in molte occasioni interven­
gono donne come leader di gruppi più o meno costituiti.” Ci fu un
momento in cui la guida maschile del sindacato propose il ritorno
al lavoro con la condizione della promessa della giornata lavorati­
va di dieci ore, ma le donne rifiutarono questa proposta, volevano
insistentemente aspettare la pubblicazione ufficiale della nuova
legge. Come disse una donna in una riunione convocata per dibat­
tere la strategia da seguire: “Se gli uomini si fanno prendere dalla
codardia, che si ritirino, saranno le donne a portare avanti lo scio­
pero”60.
La partecipazione delle donne rese possibile che lo sciopero
uscisse considerevolmente dai confini del luogo di lavoro. Le ma­
nifestazioni attraversarono i quartieri operai e sfociarono in alcune
piazze del centro di Barcellona mantenendo quindi le rivendicazioni
e le fasi dello sciopero costantemente sotto l’occhio pubblico. Mi­
gliaia di donne si unirono a queste manifestazioni e molte di loro
non facevano nemmeno paite del sindacato. Temma Kaplan afferma
che questo sciopero fu un esempio del potere delle reti femminili di
erodere i supposti limiti esistenti tra luogo di lavoro e comunità e di
usare i molteplici ruoli ricoperti dalle donne come risorse di forza

59. B ALCELLS: “La mujer obrera”, p. 46; CAPEL MARTÍNEZ: El trabajo y


la educación, pp. 234-35, 245.
60. Citato in BALCELLS: “La mujer obrera”, p. 47.

113
per la comunità. Le donne parteciparono ad attività simili a Madrid,
a Valencia ed anche in Biscaglia61.
La partecipazione attiva ai sindacati e perfino agli scioperi non
portò necessariamente al riconoscimento formale delle donne. Al­
cune di loro, un numero molto esiguo, svolsero ruoli di responsa­
bilità all’interno dei sindacati, ma la maggior parte partecipò, tutt’al
più, alle attività dei sindacati a livello di fabbrica. Nei primi anni
Venti, i sindacati del tessile, che erano imponenti per il numero e so­
prattutto per l’affiliazione prevalentemente femminile, erano diretti
e rappresentati nei congressi da uomini62.
Effettivamente, la grande maggioranza delle donne non faceva
parte del sindacato, anche perché la maggior parte di loro non lavo­
rava nelle fabbriche, e né gli anarchici né i socialisti dedicarono
troppi sforzi per organizzare quelle che lavoravano per la fabbrica
dalla loro casa o presso il servizio domestico. Le condizioni di la­
voro di queste donne erano spesso ancora più deplorevoli di quelle
delle operaie tessili. Il lavoro a cottimo sfuggiva ad ogni forma di le­
gislazione e di tutela del lavoratore, in quanto il focolare domestico
era un luogo sacro e sarebbe stato impossibile far eseguire qualsiasi
legge destinata a regolare queste pratiche. Quelle che realizzavano il
loro lavoro da casa, gli dedicavano spesso dodici, quattordici o se­
dici ore diarie, e ricevevano una paga media (cui venivano sottratte
le spese per gli aghi, il filo ed il trasporto per andare a prendere le
consegne e riconsegnarle) di 1,80 pesetas al giorno63.
Las obreras de las agujas, di Juan Paulis, pubblicato nel 1913, ri­
volgeva un appello per la creazione di un sindacato nazionale di
operaie dell’ago che includeva sia chi lavorava nelle fabbriche che
chi invece svolgeva il lavoro all’intemo delle proprie case, e poter
così lottare insieme per la regolamentazione degli orari, dei salari e
delle condizioni di lavoro. Anche se molte donne che ho intervistato
(tutte avevano lavorato in questo settore) citarono questo libro come
uno dei più influenti dell’epoca, sembra che ebbe relativamente poca
influenza sulle pratiche delle organizzazioni sindacali esistenti. La
CNT e la UGT non considerarono le donne che lavoravano in casa

61. KAPLAN: “Female Consciousness and Collective Action”, soprattutto pp.


557-59; BIZCARRONDO: “Los orígenes”, pp. 142-53.
62. Lola Iturbe, intervista, Barcellona, 4 agosto 1981; BALCELLS: “La mujer
obrera”, p. 49; e CAPEL MARTÍNEZ: El trabajo y la educación, p. 234-42.
63. CASTRO GONZÁLEZ: El trabajo de la mujer en la industria, pp. 20-21.

114
perché era troppo difficile organizzarle; ma sembra che i sindacati
cattolici ebbero abbastanza successo nei loro appelli rivolti a queste
operaie. Nonostante questo, però, le loro aspirazioni ad una armonia
fra le classi ed il loro obiettivo di risvegliare “l’amore delle operaie
per il loro lavoro, l’amore verso loro stesse, e l’amore delle signore
verso di loro” non era assolutamente compatibile con il sindacalismo
anarchico o quello socialista64.
I legami fra le operaie dell’industria tessile e le donne della co­
munità si intensificarono nel 1918 durante lo scontro chiamato
“guerra delle donne di Barcellona”. Contrariamente agli scioperi
generali prima ricordati, che erano cominciati nei centri di lavoro e
da lì si erano propagati alle comunità operaie, la guerra delle donne
del 1918 iniziò e fu realizzata con fini comunitari dalle donne dei
diversi quartieri. Le donne scesero per le strade di Barcellona verso
l’inizio del 1918 in reazione all’aumento del costo della vita pro­
vocato dalla Io Guerra Mondiale, assalirono un camion di carbone
e pretesero il controllo dei prezzi di questo prodotto. Col trascorrere
delle settimane, le manifestanti passarono alle aree dell’industria
tessile, e invitarono le operaie allo sciopero. Requisirono viveri nei
negozi di alimentari e nei mattatoi municipali, manifestarono nei
mercati ed occuparono le piazze pubbliche, come già avevano fatto
nel 1913, per confrontarsi con le autorità politiche ed esigere giu­
stizia. Gli scioperi che erano cominciati per il problema del costo
della vita, con il passare del tempo allargarono i loro obiettivi per
includere il miglioramento delle condizioni di lavoro delle operaie,
la riduzione degli affitti, la riassunzione degli operai delle ferrovie,
l’aumento delle alternative di lavoro e dell’istruzione delle donne,
un appello affinché finisse la guerra e si tornasse agli interessi dei
tempi di pace, si mettesse fine alla gerarchia all’interno dei sinda­
cati e della famiglia, e perché terminasse l’appoggio della Chiesa al
lavoro a cottimo, che contribuiva, secondo le donne, allo sfrutta­
mento delle operaie. In totale le manifestazioni durarono sei setti­
mane, e gli impresari ed i funzionari del governo si sentirono mi­

64. ECHARRI, María de: Conferencia a las señoras de Pamplona, 1912, citato
in CAPEL MARTÍNEZ: El trabajo y la educación, p. 223; vedi anche pp. 217-22,
258-62. Sul sindacalismo cattolico, vedi BASAURI, Mercedes: “El feminismo
cristiano en España (1900-1930)”, Tiempo de Historia, n. 57 (agosto 1979), pp. 22-
23; e “La mujer social. Benefíciencia y caridad en la crisis de Restauración”, ibi­
dem, n. 59 (ottobre 1979), pp. 28-43.

115
nacciati davanti alla forza ed alla tenacia delle donne ed al radica­
lismo delle loro esigenze65.
La c n t considerò le azioni delle donne con ambivalenza. Seb­
bene avesse proclamato un giorno di sciopero generale nel novem­
bre del 1916 per protestare contro l’aumento del costo della vita, la
c n t raramente metteva in relazione i temi del lavoro con lo status

della subordinazione della donna, sia nel posto di lavoro che nella
comunità. La c n t si era molto indebolita grazie ad uno sciopero
generale lungo e non fruttuoso realizzato a Barcellona nell’agosto
del 1917 e alla repressione che ne era seguita. Così, anche per que­
sto, furono in generale le donne non organizzate ad iniziare e man­
tenere gli scioperi di sostentamento del gennaio 1918.
Pochi uomini della c n t riconobbero ed applaudirono le azioni
di queste donne. Alcuni si sentirono minacciati dall’indipendenza
che avevano dimostrato: “L’ora della giustizia è suonata con la
grandezza eroica delle donne. O sappiamo approfittarne, o diamo i
nostri testicoli in pasto ai cani”66. Sicuramente quelli che capirono
e riconobbero la loro importanza erano una minoranza. Quando la
Federazione Regionale Catalana della c n t celebrò negli ultimi
giorni del luglio 1918 il suo congresso, non era presente nemmeno
una donna delegata. Aderiva ad un sindacato solo una piccola parte
delle industrie e dei centri di lavoro in cui la presenza femminile era
predominante, e quelli che erano sindacalizzati, come La Costancia,
avevano degli uomini come rappresentanti67. Solo uno dei princi­
pali oratori di quel congresso menzionò il ruolo che ricoprirono le
donne negli scioperi del gennaio 1918. Enric Rueda, delegato dei
costruttori di lampade di Barcellona, dichiarò: “[la donna] ha di­
mostrato pienamente la sua capacità di intervenire nelle lotte so­
ciali. [...] Le nostre compagne, dopo il mese d’agosto, quando noi
eravamo perseguitati, intimiditi dalla brutalità del regime borghese,

65. KAPLAN: “Female Consciousness and Collective Action”, soprattutto pp.


560-64; GOLDEN, Lester: “Les dones com avantguarda. El rebombori del pa del
gener, 1918”, L ’aveng, n. 44 (dicembre 1981), pp. 45-52; e ACKELSBERG,
Martha e Myrna B. BREITBART: “Terrains of Protest. Striking City Women”,
Our Generation, 19, n. 1 (autunno 1987), pp. 151-75.
66. Sindacalista di Badalona, citato in GOLDEN: “Les dones com avant­
guarda”, p. 50.
67. BALCELLS: “La mujer obrera”, p. 49.

116
hanno saputo scendere in strada ed esigere quello che non vole­
vano assolutamente concedere loro: il pane per sé e per le loro fa­
miglie. Oggi ci spronano a difendere la libertà, ci danno il coraggio
per proseguire nelle nostre lotte68.”
Anche se l’organizzazione approvò delle decisioni che difende­
vano la partecipazione delle donne ai sindacati, gli accordi furono
rivolti quasi esclusivamente all’incorporazione delle donne nei sin­
dacati già esistenti, non considerando le molte donne che lavora­
vano nelle officine tessili non aderenti ai sindacati, quelle che la­
voravano nelle loro case e (nonostante un impeto organizzativo
posteriore) quelle che lavoravano come donne di servizio.
L’attività di sciopero continuò negli anni successivi. Nel 1919, ad
esempio, i lavoratori tessili di Ripoll iniziarono uno sciopero per la
giornata di otto ore che durò nove settimane. Siccome la città di­
pendeva quasi completamente dalle fabbriche, i patimenti e le pri­
vazioni furono generali. Dolores Prat, che a quel tempo aveva quat­
tordici anni, ricorda la povertà, la fame e le mense dei poveri. I
crumiri la rendevano collerica. Lei iniziò la sua militanza proprio in
questo periodo. Quando alcuni mesi dopo lo sciopero, suo padre le
suggerì che forse era arrivato il momento in cui avrebbe dovuto ini­
ziare a mantenersi da sola, rifiutò tanto la prospettiva di diventare
maestra (“ero stufa delle suore della scuola”) quanto l’offerta di un
banco di frutta e verdura sul mercato (“a che fine, se sarei finita a
distribuire la merce fra i lavoratori affamati?”) Decise quindi di di­
ventare operaia, “per poter andare in fabbrica a protestare”69. Non
tardò molto ad aderire alla c n t e a diventare membro del comitato
della fabbrica dove lavorava. Durante la guerra fu segretaria della
Sezione Industriale del sindacato del settore tessile di Ripoll.
Gli sforzi della c n t per far aderire più donne al sindacato e gli
altri lavoratori in condizioni disagevoli continuarono per tutti gli
anni Venti, e furono ostacolati, come tutti gli sforzi organizzatori,
dalla repressione che l’attività sindacale subì sotto la dittatura di
Primo de Ri vera (1923-1929). Quando, nel 1931, venne dichiarata
la Repubblica, si potevano ormai riscontare fra i membri ed i mili­
tanti della c n t anche le donne. Ma, per tutti i motivi già menzionati

68. Comicios históricos de la CNT. Memoria del Congreso celebrado en Barce­


lona los días 28, 29 y 30 de junio y 1 de julio de 1918, CNT, Tolosa, 1957, pp. 83-84.
69. Dolores Prat, intervista, Tolosa, 28 aprile 1988.

117
(e soprattutto perché la c n t continuava a concentrarsi nello sforzo
di far aderire al sindacato gli operai industriali non occupandosi
della situazione specifica delle donne), la partecipazione all’atti­
vità sindacale o anche alle mobilitazioni di massa della comunità
era solamente una parte della “preparazione” delle donne. Ci ri­
mane da approfondire il tema delle scuole, degli atenei e delle isti­
tuzioni culturali che si svilupparono nei primi trentanni del XX se­
colo che furono particolarmente importanti per le donne.

L’educazione come preparazione


Anche se consideravano che la partecipazione ai movimenti di
resistenza fosse per i lavoratori un apprendistato importante, gli
anarchici spagnoli riconoscevano però la necessità di un’istruzione
più “formale”, in quanto la loro aspirazione era che le persone
prendessero in mano le redini delle loro vite. Dati gli alti livelli di
analfabetismo esistenti verso la fine del secolo, è evidente che un
movimento impegnato a rendere indipendente la classe operaia at­
traverso l’azione diretta e l’auto-organizzazione doveva dedicare
almeno una parte delle sue energie e dei suoi mezzi all’alfabetizza­
zione di bambini e adulti. In effetti uno dei punti di forza del movi­
mento anarchico fu la creazione di una rete di scuole, di giornali e
di centri culturali che affrontavano questa questione, e rappresentò
uno dei traguardi che suscitò l’orgoglio chi si era sforzato di crearli.
Insegnare alle persone a leggere e a scrivere voleva dire renderle
libere socialmente e culturalmente; era una vera azione rivoluzio­
naria. Ed è proprio per questa ragione che i maestri ambulanti come
Abelardo Saavedra furono perseguitati e messi in carcere nelle re­
gioni dell’Andalusia e dell’Estremadura verso la fine del secolo
scorso. Questa concezione dell’importanza dell’istruzione fece sì
che gli anarchici spagnoli (e più tardi anche Mujeres Libres) si im­
pegnassero in un imponente programma per la “culturalizzazione”
degli operai rurali e di quelli urbani. E nonostante molti di questi
programmi fossero portati a termine nei sindacati e diretti inizial­
mente dai loro affiliati, furono in realtà frequentati da una popola­
zione abbastanza più numerosa.
Le istituzioni educative che si appoggiavano sull’aiuto anarchico
presentarono in questo periodo una grande varietà di modelli, anche

118
se bisogna dire che erano tutte animate dalle stesse aspirazioni. Alla
base c’era il desiderio di incrementare l’alfabetizzazione fra gli ope­
rai e di ampliare la loro base culturale. In pratica questo voleva dire
che le scuole, i centri culturali e le riviste cercavano di comunicare
ai loro studenti e lettori un sentimento di entusiasmo verso il mondo
e un messaggio che diceva che il mondo si trovava lì per essere
esplorato e non per essere esclusivamente il teatro della loro quoti­
diana oppressione. Si spronavano le persone ad interrogarsi su
quanto li circondava, a valutare le proprie esperienze e le proprie
percezioni e ad imparare l’uno dall’altro e dai loro maestri. Questi
programmi volevano anche comunicare un insieme di valori morali
diversi, sostituire la rassegnazione e l’accettazione della subordi­
nazione che si insegnavano nelle scuole patrocinate dalla Chiesa
con un impegno nello sviluppo personale di ognuno, in un’atmo­
sfera di reciproco aiuto e cooperazione. Le scuole, gli atenei, i gior­
nali e le riviste incoraggiavano la gente “a pensare con la propria
testa e a sviluppare il proprio senso di responsabilità, quello di con­
vivenza e quello di critica”70.

Centri culturali e alfabetizzazione


All’inizio del secolo gli indici di analfabetismo variavano con­
siderevolmente in base alle diverse regioni della Spagna, ma la per­
centuale delle donne analfabete era dieci o venti punti - e a volte
perfino trenta - maggiore di quella degli uomini, in tutto il paese.
Nel 1930 era ormai più facile accedere all’istruzione e gli indici di
analfabetismo maschile e femminile scesero molto, ma ancora così
esistevano picchi massimi di circa il 50% tra gli uomini e più del
60% tra le donne nelle province del sud, mentre i picchi minimi
oscillavano tra un 25% e un 30% tra le donne e un 20% a 25% tra
gli uomini nelle province basche71.
In realtà l’istruzione ufficiale “statale” non riusciva a far fronte a
questo deficit. Già verso la metà del XIX secolo i repubblicani, i so-

70. PONS PRADES, Eduardo: Un soldado de la República. Memorias de la


guerra Civil española, 1936-1939, G. del Toro, Madrid, 1974, p. 23.
71. CAPEL MARTÍNEZ: El trabajo y la educación, pp. 370, 374-75. Si veda
anche “La mujer en el reinado de Alfonso XIII”, p. 182.

119
cialisti e gli anarchici avevano fatto alcune pressioni sul governo af­
finché creasse delle scuole laiche, ma in generale le loro lotte non
ebbero alcun risultato, almeno fino alle riforme all’istruzione che la
Repubblica fece nel 1931. Le scuole dirette dalla Chiesa esigevano,
prima di ogni altra cosa, la disciplina e la memorizzazione meccanica
delle lezioni. Nel 1873 e nel 1874, durante gli anni Ottanta e all’ini­
zio degli anni Novanta, si fecero dei grandi sforzi per modificare le
relazioni tra Chiesa e Stato, per fare in modo che la Chiesa non con­
trollasse le materie che dovevano essere insegnate agli alunni. Una
delle più importanti richieste che fecero i manifestanti durante la Set­
timana Tragica fu, ad esempio, la creazione di scuole laiche non con­
fessionali. Ma siccome gran parte dell’istruzione secondaria era nelle
mani della Chiesa, anche quando le scuole non erano ufficialmente
dirette dal clero, i maestri formati dalla Chiesa tendevano a ripro­
durne la funzione e la struttura. Azucena Fernànez Barba riassumeva
il problema con queste parole: “Nella scuola statale vi entravi con il
rosario in una mano e la bandiera nell’altra”72.
Clara Lida afferma che gli sforzi per articolare e mettere in pra­
tica una filosofia educativa alternativa - un insegnamento integrale
- trovano le loro origini nei tentativi delle scuole repubblicane e
fourieriste degli anni compresi fra il 1840 e il 1860 e in quelli delle
scuole anarchiche e libero-pensatrici del ventennio compreso tra il
1870 e il 1890. Poche fra queste scuole erano accessibili ai figli
degli operai, e anche se si disponeva di qualche aiuto economico
per il mantenimento dei figli, era fatto assolutamente raro che una
famiglia potesse prescindere dalle entrate, per scarse che fossero,
con cui il bambino lavoratore contribuiva all’economia familiare.
Inoltre queste scuole laiche dovevano scontrarsi quotidianamente in
una battaglia - solitamente persa - con lo Stato per avere lo stesso
diritto di esistere73.
In risposta all’inaccessibilità dell’istruzione laica, gli anarchici
fondarono delle “scuole razionaliste”. Anche se generalmente que­
ste scuole vengono associate al nome di Francisco Ferrer i Guar­

72. Azucena Fernández Barba, intervista, Perpignan, 15 agosto 1981.


73. LIDA, Clara: “Educación anarquista en la España del ochocientos”, Revi­
sta de Occidente, n. 197 (aprile 1971), pp. 33-47, soprattutto pp. 40-42; AVRICH,
Paul: The Modem School Movement. Anarchism and Education in thè United Sta­
tes, Princeton University Press, Princeton, 1980, p. 7.

120
dia, in realtà provenivano direttamente dalle lotte per un insegna­
mento di tipo integrale. Nato a Barcellona nel 1859 Ferrer tra­
scorse sedici anni in esilio a Parigi, dove entrò in contatto con le
idee educative di Paul Robin, di Tolstoi, di Jean Grave e di altri
teorici. Ritornò in Spagna nel 1901 per fondare a Barcellona la
Scuola Moderna. Il suo obiettivo era quello di “formare una scuola
per F emancipazione, che si proponga di sradicare dalla mente tutto
quello che divide gli uomini, i falsi concetti di proprietà, di patria
e di famiglia, e poter così raggiungere la libertà ed il benessere
che tutti desiderano e che nessuno realizza completamente”74.
D’accordo con i principi anarchici e la teoria educativa più avan­
zata dell’epoca, Ferrer portò avanti l’impegno di formare una
scuola che riconoscesse nell’istruzione un atto politico. Se si desi­
dera formare dei bambini per farli vivere in una società libera, lo
stesso sistema educativo deve stimolare la libertà di sviluppare sé
stessi e di esplorare il mondo. La scienza e la ragione erano concetti
chiave nelle scuole e i bambini venivano spronati a dirigere auto­
nomamente la loro formazione. Anche grazie alla sua concezione
dei principi libertari, Ferrer aveva una grande fiducia nei principi
della coeducazione (una pratica quasi sconosciuta nella Spagna
dell’epoca) e dell’istruzione interclassista, e tutto ciò rappresentava
una cornice per imparare a vivere nella diversità75. Data la rigidità
del sistema spagnolo esistente e la sfiducia che gli anarchici nutri­
vano verso lo Stato e la Chiesa, non stupisce il tentativo degli spa­
gnoli di creare “scuole alternative”, praticamente delle istituzioni
che, fedeli al credo anarchico nell’azione diretta e nella propaganda
attraverso il fatto, non solo istruissero gli studenti ma servissero
anche come modelli per una filosofia ed una pratica educativa
molto diverse.

74. Da una lettera di Francisco Ferrer i Guardia a José Prat, citata in AVRICH:
The Modem School Movement, p. 6.
75. FERRER I GUARDIA: La Scuola Moderna, M&B, Milano, 1996; COSTA
MUSTE’, Pedro: “La escuela y la educación en los medios anarquistas de Cata­
luña, 1909-1939”, Convivium, n. 44-45 (1975), riprodotto come prologo dell’edi­
zione di Tusquets de La Escuela Moderna; SOLA, Pére: Las escuelas racionalistas
en Cataluña (1909-1936), Tusquets, Barcellona, 1978, pp. 22-25; e CARRA-
SQUER, Félix: Una experiencia de educación autogestionada. Escuela Eliseo
Reclus, Calle Vallespir, 184. Barcelona. Años 1935-36, Félix Carrasquer, Barcel­
lona, 1981, soprattutto Cap. 1 e 2.

121
La Scuola Moderna di Ferrer aprì le sue porte nel settembre del
1901 e durò, nonostante le frequenti chiusure dovute alla censura
statale, fino alla fine del 1906, quando venne chiusa definitiva­
mente. Cristina Piera, che frequentò questa scuola quando aveva
nove anni, descrisse così la confusione esistente: “La polizia ve­
niva a chiudere la scuola, e allora ... non potevamo andarci. Io an­
davo alla Scuola Moderna, lì imparai abbastanza, ma siccome la
chiudevano sempre, ne riuscii a tirare fuori ben poco”76. La scuola
si manteneva grazie a dei contributi dati dai genitori, che erano pro­
porzionati secondo le possibilità di ogni famiglia. Le classi erano
miste sia per genere che per status socio-economico. Tutti gli stu­
denti, senza nessuna differenza di sesso e condizione economica,
studiavano un programma “scientifico” che prevedeva l’educazione
sessuale, i lavori manuali e l’arte. Ferrer, cosciente della carenza
di libri di testo adeguati, cominciò nel 1902 a pubblicarseli da solo.
1 libri furono molto richiesti e si utilizzarono nelle scuole raziona-
liste e negli atenei di tutto il paese. Inoltre lo stesso edificio della
scuola era molto di più di un semplice luogo dove potevano andare
i bambini durante il giorno; serviva da biblioteca e come centro so­
ciale per adolescenti ed adulti; offriva lezioni, conferenze e gite per
persone di ogni età desiderose di imparare.
Anche se il nome di Ferrer è senza dubbio quello che è stato
maggiormente associato al movimento delle scuole razionaliste,
queste sicuramente precedettero la Scuola Moderna, dato che verso
i primi anni del xx secolo se ne potevamo trovare a centinaia sparse
per tutto il paese77. Igualdad Ocaña, suo padre e quattro fratelli fu­
rono i fondatori e i maestri di una di queste scuole, aperta a Bar­
cellona nel biennio 1934-1935. Forse la sua descrizione di cosa
voleva dire insegnare ai bambini in un ambiente aperto e libero può
dare una piccola idea del senso di “modernità” del “movimento
della Scuola Moderna”:

Nella scuola cercavamo di capire ogni bambino. Ci basavamo sulle

76. Cristina Piera, intervista, Santa Coloma, 6 agosto 1981.


77. SOLA’: Las escuelas racionalistas, pp. 203-14; TOMASI, Tina: Ideologie li­
bertarie e formazione umana. La Nuova Italia, Firenze, 1973, soprattutto pp. 179-86;
e TI ANO FERRER, Alejandro: Educación libertaria y revolución social en España
1936-1939, Universidad Nacional de Educación a Distancia, Madrid, 1987, Cap. 2.

122
reazioni che avevam o visto essere nocive p e r il bambino. A d esempio,
raccontavam o una favola, e in questo racconto veniva riflesso lui stesso,
le possibilità di fa re m ale a sé o ad altri. Piangevano e ridevano. Non
dovevam o sgridarli. A volte [qualcuno parla] di autorità, m a che auto­
rità possono avere se non sanno parlargli con affetto, con sentimento.
[...] Puoi fa re di quella creatura una persona attiva, lavoratrice, che
trova sé stessa, perché hai analizzato il suo carattere ed hai visto cosa
gli piace di più. [...] Insegnavam o la meccanica, la musica, le arti... A ve­
vamo le costruzioni p er vedere quale bambino, usandole e montandole,
svegliava il desiderio o un ’inclinazione positiva verso la m eccanica78.

Non deve sorprendere che, dato il tipo di attenzione che dedica­


vano ai loro alunni, i maestri delle scuole razionaliste fossero ap­
prezzati tanto dai loro alunni quanto dagli altri membri della co­
munità. Rappresentavano degli esempi ineccepibili, esattamente
come gli operai con coscienza politica o i maestri ambulanti (come
Abelardo Saavedra) per gli operai rurali dell’Andalusia del XIX
secolo. Sara Berenguer Guillén, che studiò con Félix Carrasquer
nella Scuola Eliseo Reclus, Pura Pérez Arcos, che studiò con il ce­
lebre Juan Puig Elias nella Scuola Natura, ed altre persone che ho
avuto l’occasione di intervistare ricordavano nitidamente i loro
maestri, che stimavano molto. Igualdad Ocana afferma che gli stu­
denti con cui si incontra ora, sebbene siano passati quarantanni,
parlano ancora della loro esperienza nella scuola che dirigeva la
sua famiglia. E Ana Cases scoprì, durante alcune ricerche che stava
realizzando nel 1981, che molti di quelli che avevano studiato con
Josep Torres, conosciuto come Sol de la Vida, ad Arbeca, un pic­
colo paese vicino a Lérida, conservavano ancora i quaderni che
avevano utilizzato negli anni Venti79.
Molti giovani che militarono nel movimento anarco-sindacalista
avevano frequentato una o più di queste scuole, ma la frequenza
non era limitata ai soli simpatizzanti anarchici o anarco-sindacali-
sti. Offrendo un’alternativa alle strutture estremamente rigide e ai
metodi di apprendimento mnemonico del sistema scolare domi­
nante, le scuole attraevano anche molti ragazzi della classe medio­
alta progressista.

78. Igualdad Ocana, intervista, Barcellona, 14 febbraio 1979.


79. Ana Cases, comunicazione personale, agosto 1981.

123
A parte le scuole razionaliste, che possedevano una struttura in
un certo senso formale, il movimento anarchico e anarco-sindaca-
lista creò e finanziò un gran numero di atenei. Le federazioni locali
della CNT fondarono molti dei centri educativi e culturali di quar­
tiere; quasi tutti i quartieri operai di Barcellona ne ebbero uno du­
rante i primi anni della Repubblica. Le centinaia di atenei che sor­
sero in tutto il paese significarono per chi non era mai andato a
scuola un’opportunità per imparare a leggere e a scrivere. La mag­
gior parte organizzava lezioni diurne per i bambini e notturne, so­
litamente dalle sette alle nove di sera, per le persone adulte che an­
davano a lezione dopo il lavoro. Nelle parole di una persona che
assistette alle lezioni, “la scuola aveva un altro sistema di studio. Il
maestro ti faceva leggere un libro, ad esempio, e dovevi spiegare le
conclusioni che tu ne avevi tratto, e poteva capitare che neanche
avevi capito il significato di quel libro e dicevi quello che ti era
sembrato. Ma magari un’altra persona gli aveva dato un’altra in­
terpretazione, e quindi ne discutevamo. E così ci facevano pren­
dere appunti di quello che l’altro spiegava, o di quello che spiegavi
tu. Era un sistema di apprendimento molto superiore a quello delle
altre scuole. Io credo che se avessi avuto l’opportunità di frequen­
tare più a lungo quella scuola, avrei imparato molto”80.
Oltre alla grande importanza come luogo dove si apprendevano
abilità e tecniche basilari, l’ateneo adempiva ad importanti funzioni
sociali. Gli atenei erano luoghi di riunioni molto popolari tra la
gente giovane, specialmente in quei tempi in cui non si potevano
spendere nemmeno dieci centesimi per andare al cinema81. Sic­
come, almeno formalmente, erano indipendenti dai sindacati, molti
riuscirono a restare aperti durante i periodi di repressione politica,
quando i sindacati erano obbligati a chiudere le loro porte e passare
alla clandestinità. Quindi servivano anche come importanti centri di
comunicazione.
Ed inoltre praticamente tutti gli atenei organizzavano attività tea­
trali, ricreative e, specialmente per chi viveva nei quartieri operai,
delle gite fuori città. Oltre a offrire opportunità per fare esercizio fì­
sico e respirare aria pura, queste gite erano pensate per offrire be­
nefici morali ed intellettuali: dare ai giovani l’opportunità di ve­

80. Valero Chiné, intervista, Fraga (Huesca), 11 maggio 1979.


81. Arturo Pareda, intervista, Barcellona, 5 luglio 1979.

124
dere con i loro occhi i fiumi, le colline e le montagne che avevano
studiato in classe; superare la ristrettezza di vedute che produce la
vita nei centri urbani sovrappopolati; e fornire l’occasione di speri­
mentare “l’influenza della natura sullo spirito umano”. Vivere a
contatto con la natura, spiegava un autore, “[farà] sentire ai giovani
la libertà, affinché vogliano viverla e difenderla”82.
Come organizzazioni basate sulla comunità, gli atenei offrivano
opportunità di preparazione importanti soprattutto alle donne della
classe operaia, che avevano a loro disposizione molti meno spazi
degli uomini per tali esperienze. Le donne che poi avrebbero militato
nella CNT e/o in Mujeres Libres dichiararono quasi unanimemente
che le loro esperienze negli atenei, nelle scuole e nelle attività cul­
turali erano state cruciali nel processo di formazione. Impararono a
leggere, e altra cosa di grande valore, a sviluppare delle relazioni
piene di senso e valore con ragazzi della loro stessa età - esperienza
che era stata loro vietata dalla separazione quasi totale dei sessi che
aveva luogo nella società spagnola Grazie agli atenei molti gio­
vani provarono questo cambio di mentalità che era un passo cru­
ciale verso la loro trasformazione in militanti del movimento.

A l piano sopra il sindacato tessile c ’era la scuola. Con le m ie sorelle


ed una n ostra am ica non p o te va m o anda rci nella m a ttin a ta p e rc h é
lavoravam o. D opo la lezione - guarda che ti dico questo particolare
p erché è m olto im portante -, noi quattro fa c eva m o le pulizie della scu o ­
la p e r risparm iare questo com pito al Sindacato. P er noi era uno sforzo.
D opo si fa c ev a n o le riunioni del gruppo Sol y Vida. Con il gruppo le
relazioni erano più strette e le spiegazioni p iù com plete. E il gruppo il
po sto dove ci siam o form ate, ideologicam ente ed approfonditam ente.
O rm ai non era più solam ente una questione sindacale, ma c ’entravano
anche le idee83.

Oltre alle scuole ed ai centri culturali, il movimento anarco-sin-


dacalista sosteneva un’enorme serie di giornali, riviste ed associa­
zioni che sfidavano le norme convenzionali e presentavano pro-

82. PADRENY, Juan: Necesidad del excursionismo y su influencia libertaria


en los individuos y los pueblos, Ateneo Libertario del Clot, Sol y Vida, Sezione
Escursionismo, Barcellona, 1934, p. 32.
83. Enriqueta Fernández Rovira, intervista, Castellnaudary, 28 dicembre 1981.

125
spettive alternative ad un pubblico più ampio. I giornali del movi­
mento, Solidaridad Obrera, CNT e Tierra y Libertad , riuscivano a
combinare il commento politico e un’ampia critica culturale. Quasi
tutti i numeri inserivano un articolo che trattava qualche aspetto
dell’istruzione e, per vari anni prima della guerra e anche durante
questa, uscirono molti articoli dedicati in primo luogo alle donne.
Tierra y Libertad, ad esempio, pubblicava ogni settimana una pa­
gina della donna, dove molte donne che avrebbero in seguito mili­
tato in Mujeres Libres pubblicarono le loro idee sulla sessualità,
sul lavoro e sulle relazioni uomo-donna, e grazie alla quale ebbero
l’opportunità di comunicare con la comunità anarco-sindacalista.
Riviste come La Revista Bianca (Barcellona), Natura (Barcellona),
Estudios (Valencia) e Tiempos Nuevos affrontavano una grande va­
rietà di temi, dalla politica collettivista al controllo delle nascite, al
nudismo ed al vegetarianismo.
Specialmente per le persone che vivevano in luoghi relativa­
mente lontani dalle attività organizzate dagli anarchici o dagli
anarco-sindacalisti, la stampa si convertiva in un’importante fonte
di informazione e in un mezzo per entrare in contatto con la comu­
nità anarchica. Soledad Estorach, ad esempio, che arrivò a Barcel­
lona a quindici anni, sola ed isolata nel suo interesse che lei chia­
mava “comunismo”, leggeva La Revista Bianca e grazie a queste
letture iniziò a frequentare un ateneo.

Leggevo periodici e riviste cercando di trovare dei “comunisti”. La


prima persona che andai a trovare fu la madre di Federica Montseny,
Soledad Gustavo, perché era una donna, è chiaro. Non sapevo come
fare per mettermi in contatto con questa gente, e pensai che chi scrive
sul “comunismo” deve, in qualche modo, vivere in modo diverso. Avevo
letto La Revista Bianca, e questa donna, Soledad Gustavo, scriveva per
questa pubblicazione. Andai all’indirizzo indicato sul giornale e chiesi
di lei. Mi presentarono immediatamente, forse credevano che fossi una
compagna. Mi ricevette senza capirmi. Non ricordo cosa le chiesi, pro­
babilmente come avrei potuto fare per conoscere della gente. Mi disse:
“Tutto quello che devi fare è trovare un ateneo nel tuo quartiere”. E
più o meno con queste parole mi invitò cui andarmene dal suo ufficio.
Andai all’ateneo. Il primo uomo che incontrai lì fu Abelardo Saavedra,
il nonno di Enriqueta, e poi a mano a mano gli altri. In quei tempi era
già molto anziano, ma mi innamorai immediatamente di lui. Mi fece

126
vedere la biblioteca, e rim asi affascinata da tutti questi libri. Pensai che
tutto lo scibile del m ondo fo ss e da quel m om ento a m ia disposizione84.

L’educazione come e m p o w e rm e n t

Nonostante tutte le magnifiche opportunità che gli atenei offri­


vano ai giovani e alle persone adulte per imparare a leggere e ad ac­
quisire una “cultura”, il suo effetto più importante e duraturo fu
probabilmente la creazione di una comunità, una comunità di per­
sone che credevano di poter cambiare il mondo. La rete di amici e
compagni costituì per chi vi prese parte un’importante fonte di ap­
poggio sia morale che materiale per tutti gli anni di lotta del movi­
mento e durante la Guerra civile. Uomini e donne che da giovani
avevano fatto parte di questi gruppi facevano riferimento a questa
esperienza con parole ed espressioni simili a quelle che potremmo
usare per descrivere un amore perduto. Anche chi era diventato più
cinico e/o si era allontanato dal movimento, con il passare degli
anni, parlava di queste esperienze quasi con riverenza. Senza dub­
bio, con il passare del tempo, i loro ricordi si erano arricchiti con i
colori del romanticismo, ma l’esperienza di aver partecipato a que­
sti gruppi - gruppi in cui le persone cercavano di interagire come
speravano di poter fare un giorno nel “paradiso anarchico” per la
cui creazione si stava lottando - ovviamente aveva lasciato loro un
segno molto profondo.
Per qualche ragazza, in particolare, l’esperienza di uguaglianza
fra uomini e donne fu molto stimolante. Spinse molte di loro ad in­
sistere sul tema dell’uguaglianza all’intemo del movimento. Come
diceva Enriqueta, gli atenei furono sia uno stimolo che un modello
per quello che più tardi sarebbe stato Mujeres Libres:

H o sem pre creduto che le d o nne d o vessero em anciparsi. Che la


nostra lotta era, ed è ancora, qualcosa di più di una sem plice lotta co n ­
tro il capitalism o...Parlavam o spesso di questo (n e ll’ateneo), e ripete­
vamo sem pre che la lotta non si doveva fare solam ente a ll’interno delle
fa b b rich e, p e r le strade o negli atenei; doveva arrivare nelle nostre
case. A volte i ragazzi ridevano e ci prendevano in giro quando parla-

84. Soledad Estorach, intervista, Parigi, 6 gennaio 1982.

127
vaino di questo. D icevano che era la lotta di tutti, e che dovevam o lotta­
re tutti insieme. M a io rispondevo loro che non era così, che non era
solo questo. A vevam o bisogno di fa re sentire le nostre voci, volevamo
essere quelle che siam o e quello che siamo. N on stavam o cercando di
p rendere loro nulla, avevam o bisogno di arrivare al nostro sviluppo ed
esigere i nostri diritti.

Considerando che i gruppi che si formavano negli atenei erano


prevalentemente per i giovani, era anche un’opportunità per loro
di agire in modo indipendente dai loro genitori, esperienza quasi
inaudita per la Spagna dell’epoca. Perfino le famiglie anarchiche
avevano qualche difficoltà a concedere e comprendere la libertà
che le loro figlie reclamavano: “Tutte le settimane dovevamo chie­
dere il permesso per andare a fare delle gite. Non credere che sic­
come i nostri genitori erano libertari potevamo andare dove vole­
vamo! Niente di tutto questo! Ogni settimana dovevamo chiedere il
permesso. E se la risposta alla domanda “Dove andate?” era qual­
cosa come “a fare una scampagnata”, mamma mia, cosa non suc­
cedeva in casa! ... No, assolutamente no, ci controllavano molto,
anche su quello che facevamo all’interno dell’ateneo”. Azucena ed
Enriqueta trovarono dei modi per eludere la sorveglianza dei geni­
tori. Molte volte indossavano la gonna sopra i bermuda, andavano
in bicicletta fino alla periferia della città, dove gli adulti non pote­
vano più vederle, e allora si toglievano la gonna e si univano al
resto della compagnia nella gita in campagna o sulla spiaggia85.
La lotta continua. Che ironia osservare come, mentre mi raccon­
tava queste cose, Enriqueta portava avanti un affettuoso combatti­
mento con la sua nipotina di dodici anni che stava trascorrendo con
lei le vacanze di Natale. Questa battaglia ricordava e le faceva rivi­
vere le tensioni che lei stessa aveva vissuto durante la sua gioventù:
“A volte - rifletteva - sono qui seduta li guardo e penso: “che cosa
ho fatto?” Ma per essere sinceri, non si comportano bene: credo
che ora i bambini vengono cresciuti con troppa permissività”86.
Infine, le esperienze negli atenei furono di fondamentale impor­
tanza per le donne di Mujeres Libres in un modo un po’ più com­
plesso. Come molte di loro ebbero occasione di dichiarare, perfino

85. Azucena Fernández Barba, intervista, Perpignan, (Francia), Io gennaio 1982.


86. Enriqueta Fernández Rovira, intervista, 29 dicembre 1981.

128
in queste organizzazioni persisteva lo stesso ambiente maschilista,
se non nel pensiero o nelle opinioni, almeno nei fatti. Mercedes Co-
maposada, per esempio, una delle fondatrici di Mujeres Libres, di­
chiarò quanto segue a proposito della sua prima lezione patrocinata
da uno dei sindacati della CNT di Madrid:

Nel 1933 andai con Orobón Fernández, ad una riunione di uno di que­
sti sindacati. Cercavano di aiutare in qualche m odo i lavoratori nella loro
preparazione e m i chiesero se potevo assistere a quelle lezioni. C ’era
anche Lucía [Sánchez Saom il]. Volevano che tenessi una lezione, poiché
non avevano insegnanti. M a p e r il comportamento di qualche com pagno
questo sembrava impossibile. Non prendevano sul serio le donne. C ’è un
detto che dice: “Le donne, in cucina e a fa re la calzetta. ” No, fu im possi­
bile; in quel posto le donne non osavano quasi aprire la bocca87.

Mercedes e Lucia risposero a questa esperienza impostando i


primi discorsi che portarono poi alla fondazione di Mujeres Libres.
D’altro canto, altre affermavano che era difficile fare in modo
che le ragazze si concentrassero per imparare a leggere o si appli­
cassero nelle letture che stavano portando avanti negli atenei. Con­
cludevano dicendo che era necessario sviluppare programmi e le­
zioni per sole donne e ragazze in cui loro si trovassero separate dai
ragazzi, in cui dovevano essere spronate a sviluppare il loro proprio
potenziale e dove venissero aiutate a riconoscere le loro forze, a
parte quella di essere madri.
Riassumendo, le istituzioni del movimento dedicate alla “prepa­
razione” furono un’esperienza molto positiva, ma allo stesso tempo
anche negativa, per le fondatrici di Mujeres Libres. L’aspetto posi­
tivo riguarda la partecipazione ai sindacati, agli atenei, alle scuole
ed alle organizzazioni per giovani che offrì loro delle opportunità
per apprendere, per formarsi e per stabilire e impostare importanti
reti d’appoggio. Le istituzioni culturali ed educative che Mujeres
Libres patrocinò erano chiaramente basate su questi modelli.
L’aspetto negativo invece riguarda il fatto che l’esperienza negli
atenei e nelle scuole fece loro capire che dovevano essere loro
stesse a formare dei gruppi per fare in modo che le donne diven­
tassero finalmente dei membri completamente uguali all’interno

87. Mercedes Comaposada, intervista, Parigi, 5 gennaio 1982.

129
della comunità libertaria. Mercedes riassumeva così le sue rifles­
sioni:

Avevamo un milione di persone contro. Tutte le maggiori rivoluzio­


narie, Alessandra Kollontai, Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, avevano
cercato di fa re qualcosa con le donne; ma tutte scoprirono che
all’interno di un partito, di un’organizzazione [rivoluzionaria] già esi­
stente, sarebbe stato sempre impossibile... Ricordo di aver letto, a que­
sto proposito, un dialogo tra Lenin e Clara Zetkin in cui lui le diceva:
“Sì, tutto quello che dici sull’emancipazione delle donne va molto bene.
Un obiettivo molto buono, ma che non va bene per questo momento. ”
Gli interessi di un partito hanno sempre priorità su quelli delle donne88.

88. Intervista, Parigi, 3 gennaio 1982.

130
Capitolo III
Guerra civile e rivoluzione sociale
La Repubblica e il Fronte Popolare

Già all’inizio degli anni Trenta le profonde diversità che divide­


vano la società spagnola - diversità politiche, economiche, sociali,
religiose e di genere - avevano trovato la loro espressione politica
in modi diversi, nei movimenti regionalisti, nei sindacati, nelle as­
sociazioni padronali o nelle organizzazioni vicine al mondo della
Chiesa. Quando scoppiò la Guerra Civile, nel luglio del 1936, la
CNT e la UGT potevano annoverare ciascuna fra 850.000 ed
1.000.000 di membri, tutti ferventi sostenitori dell’organizzazione
sulla base del lavoro e, nel caso degli anarco-sindacalisti, della
stessa comunità come mezzo per accedere ad una società più egua­
litaria. L’esistenza di queste organizzazioni, grazie alla loro impo­
nente partecipazione e al livello dei loro interventi, costituiva una
minaccia per l’autorità tradizionale degli imprenditori e dei pro­
prietari, così come per l’Esercito e per la Chiesa.
Dopo molti anni di Monarchia “costituzionale” autoritaria, e
dopo la Dittatura di Primo de Ri vera (1923-1929), nel 1931 la Spa­
gna divenne una Repubblica. Ma questa Repubblica, nata quasi per
caso, era totalmente sprovvista di una seria base sociale; la sua na­
scita era dovuta solamente all’abdicazione del re Alfonso xm, in se­
guito alla schiacciante vittoria dei candidati repubblicani alle ele­
zioni municipali. Dal 1931 al 1933, la Spagna venne governata da
una coalizione poco stabile di repubblicani di centro e di centro-si­
nistra che desiderava indebolire il potere della Chiesa, dell’Eser­
cito e dei numerosi proprietari terrieri, ma che esitava, turbata da
mille perplessità, ad intraprendere una politica coerente, per paura
di inasprire troppo le reazioni di questi gruppi e di provocare quindi

131
un colpo di Stato. Venne approvata una serie di riforme moderate,
tra le quali un programma di riforma agraria per l’Andalusia e per
l’Estremadura (che, nonostante tutto, servì più come indagine so­
ciale che per una reale ridistribuzione della terra). Venne resa più
accessibile un’istruzione più laica e fu ridotto il numero dei militari.
Ma i lavoratori delle fabbriche e gli operai agricoli, che continua­
vano a vivere in una miseria pressoché totale, erano ogni giorno
più umiliati da questo status quo, mentre i tradizionali detentori del
potere (i militari, la Chiesa e i proprietari terrieri) si opponevano
fermamente alle restrizioni che venivano loro imposte. Dal 1933
al 1935 un nuovo governo, questa volta di centro-destra, prese in
mano le redini del governo. Ma oltre ad annullare molte riforme
che avevano colpito le forze tradizionali e a reprimere ulteriormente
le attività rivoluzionarie di sinistra, questo nuovo governo non riu­
scì ad assicurare la pace sociale1.
Le elezioni del febbraio 1936 portarono questa volta al potere
un governo del Fronte Popolare che prevedeva nel suo programma
la liberazione dei prigionieri politici e che intendeva favorire l’in­
staurazione di un sistema sociale più paritario. Ma la coalizione che
formava il Fronte Popolare era molto debole. La lista dei candidati
rifletteva la nascita troppo frettolosa della coalizione e il suo pro­
gramma elettorale non riusciva ad essere nemmeno una mediazione
fra i diversi punti di vista, ma una mera “accettazione dei pro­
grammi repubblicani da parte dei partiti operai”12. Il punto di unione
fra i diversi gruppi era di carattere negativo: il desiderio di scon­
figgere la coalizione di centro-destra. Ma la vittoria della sinistra di­

1. JACKSON, Gabriel: La Repubblica spagnola e la guerra civile (1931-


1939), Net, Milano, 2003; BEN-AMI, Shlomo: The Origins o f the Second Repu­
blic in Spain, Oxford University Press, Oxford, 1978; ROBINSON, Richard A.
H.: The Origins o f Franco’s Spain. The Right, the Republic and Revolution,
1931-1936, The University of Pittsburgh Press, Pittsburgh, 1970; PRESTON,
Paul: The Coming o f the Spanish Civil War. Reform, Reaction and Revolution in
the Second Republic 1931-1936, Barnes and Noble Books, New York, 1978,
Caps. 3-7; FONTANA, Josep: “La Segunda República. Una esperanza frustrada”,
in: La II República. Una esperanza frustrada (Atti della Conferenza sulla Re­
pubblica Spagnola dell’aprile del 1986, che ebbe luogo a Valencia), Alfons el
Magnànim, Institució Valenciana d’Estudis i Investigació, Valencia, 1987, pp. 9-
22; e TUÑÓN DE LARA, Manuel: “¿Crisis de la Segunda República?”, ibidem,
pp. 23-36.
2. BROUÉ, Pierre y Émile TÉMIME: La Rivoluzione e la Guerra di Spagna,

132
pendeva dall’appoggio dell’elettorato operaio più rivoluzionario,
che si sentiva unito nel ricordo delle lotte condotte insieme durante
il sollevamento delle Asturie del 19343.
Le elezioni rivelarono e mascherarono allo stesso tempo le
profonde divisioni del paese. I partiti di sinistra, grazie alla loro
unione, erano riusciti a vincere per un soffio quelli di destra. I par­
titi del centro subirono una notevole sconfitta. La Spagna era una
volta di più, polarizzata tra la destra e la sinistra, ma il funziona­
mento del sistema elettorale diede come risultato una grande mag­
gioranza di centro-sinistra alle Corti.
Le conseguenze di questa situazione furono immediatamente
evidenti. Anche se la coalizione del Fronte Popolare aveva vinto le
elezioni, né i socialisti né gli anarchici avrebbero accettato degli
incarichi in un governo che, dal loro punto di vista, continuava ad
essere “borghese”. Il nuovo governo repubblicano cercò di portare
avanti il suo programma di riforme liberali; fra queste, la riforma
agraria ed il recupero delle politiche regionali, la riforma dell’Eser­
cito, quella dell’istruzione e la secolarizzazione della società già
sostenute dal governo repubblicano-socialista del 1931-1933. Nel
frattempo, gli operai e i contadini iniziarono a condurre autonoma­
mente dei cambiamenti più rivoluzionari, espropriando le proprietà
dei latifondisti in Estremadura e in Andalusia e portando avanti un
programma di scioperi nelle zone industriali urbane. Gli omicidi,
che si contarono in entrambi gli schieramenti, contribuirono a
creare un’atmosfera di crescente malessere, sociale e politico4.
Così, quando i generali Franco, Mola, Queipo de Llano e Goded
diedero origine ad un tentativo di colpo di Stato tra il 17 ed il 18 lu-

Mondadori, Milano, 1980, pp. 75-78. Vedi anche JACKSON, Gabriel: “The Spanish
Popular Front, 1934-37”, Journal o f Contemporary History, 5 (1970), pp. 21,28; e
PAYNE, Stanley: The Spanish Revolution, New York, 1970.
3. Per ulteriori informazioni a proposito di queste lotte, si veda SHUBERT,
Adrian: The Road to Revolution in Spaiti. The Coal Miners o f Asturias, 1860-1934,
University of Illinois Press, Urbana, 1987; BRENAN, Gerald: The Spanish Laby-
rinth, pp. 284-95; e PEIRATS, José: La CNTnella Rivoluzione spagnola, 4 voli., Ed.
Antistato, Milano, 1970.
4. FRASER, Ronald: Blood o f Spaiti. An Orai History ofthe Spanish Civil War,
Pantheon, New York, 1979, pp. 83-104 e 513-74; BOOKCHIN: The Spanish Anar-
chists, caps. 9 e 10. Per informazioni sulla riforma agraria si veda MALEFAKIS,
Edward: Agrariam Refortn and Peasant Revolution in Spaine MALEFAKIS: “E1
problema agrario y la República”, in: La li República, pp. 37-48.

133
glio del 1936, poche persone ne rimasero veramente sorprese; i vin­
coli che mantenevano unita la società erano ormai troppo fragili.

Ribellione e rivoluzione
Già da tempo le organizzazioni operaie stavano aspettando un
colpo di stato. Molte persone con cui ho parlato, uomini e donne,
hanno raccontato che nelle settimane che precedettero il solleva­
mento dormivano nei locali dei sindacati per poter essere pronte
nel caso in cui si fosse verificata la chiamata alle armi. Senza dub­
bio chi non era preparato era il governo. Tanto il governo nazio­
nale quanto quello catalano avevano risposto negativamente all’ap­
pello della CNT e della UGT di armare i lavoratori, temendo che
avrebbero potuto usare le armi contro la Repubblica Spagnola in­
vece che per difenderla contro il golpe militare. Ma nonostante que­
sto, quando i quattro generali si sollevarono (il 17 luglio in Ma­
rocco ed il 18 luglio nella Penisola), la risposta del popolo fu rapida
e contundente, soprattutto nelle zone dove fra gli operai era stata
forte la presenza del sindacato come la Catalogna, Madrid e le
Asturie. Uomini e donne, ragazzi e ragazze, assaltarono le caserme
per impossessarsi dei fucili e delle munizioni che il governo si era
rifiutato di consegnargli. Il popolo prese le strade con le armi che
riuscì a trovare e si confrontò con l’esercito dei ribelli.
Nelle settimane e nei mesi che seguirono i militanti anarchici e
socialisti poterono contare molto sull’esperienza che si erano fatti
nei sindacati, nelle riunioni di quartiere e nei centri educativi e cul­
turali per mobilitare milioni di persone e assumere il controllo di
ampi settori dell’economia e della società. Soprattutto nelle zone
dove gli anarchici erano più forti, come la Catalogna, gli operai
presero sotto il loro controllo le fabbriche e i luoghi di lavoro. Nelle
zone rurali le organizzazioni operaie espropriarono i latifondi, i pic­
coli proprietari misero in comune le loro terre e il bestiame ed i
municipi istituirono nuovi sistemi di coltivazione collettiva. In poco
tempo milioni di persone vivevano e lavoravano in collettività (ru­
rali e urbano-industriali) d’ispirazione anarchica e socialista, met­
tevano in commercio i loro prodotti grazie alle cooperative e rico­
struivano le loro relazioni interpersonali.
I ricordi di chi partecipò a questi avvenimenti ci possono forse

134
offrire un’idea migliore dell’entusiasmo che si respirava in quei
giorni. Per la prima volta i lavoratori, in numero massiccio, sentirono
che avevano il controllo del mondo, che stavano prendendo parte
ad un processo che lo stava trasformando in un modo assoluto. Così
lo ricorda Pepita Caipena, che allora aveva solo quindici anni:

In Spagna si sono fatte delle cose enormi. E ’ un ’esperienza che per es­
sere capita fino infondo deve essere vissuta. Io vedevo come i compagni
creavano le collettività, organizzavano la socializzazione, erano respon­
sabili senz.a avere in cambio nessun beneficio personale, facevano tutto
solo perché il popolo avesse quello di cui aveva bisogno. [...] Quello che
voglio dire è che io a quattordici e quindici anni ho vissuto un ’esperienza
che rimarrà per sempre impressa nella mia mente... In quel periodo gli
ideali divennero realtà... Anche se avessi dovuto dare in cambio la vita
non avrei voluto vivere senza aver vissuto quella esperienza5.

Migliaia di persone presero parte agli avvenimenti che ebbero


luogo in quei primi giorni. All’alba del 19 luglio Enrique Cassanes
e i suoi amici della FIJL andarono all’assalto dell’arsenale di San
Andrés con altri militanti anarchici per cercare armi con cui soffo­
care la ribellione. Sua madre Cristina Piera si svegliò quella mattina
con il suono delle sirene e seguì la folla fino alle caserme. (Le or­
ganizzazioni sindacali avevano fatto suonare l’allarme per avvisare
che il sollevamento era iniziato e per invitare tutta la popolazione
allo sciopero generale). La sua storia può fungere da modello, come
esempio delle moltissime persone che sebbene non militassero in
nessun movimento si trovarono coinvolte nell’entusiasmo gene­
rale: “Quando quella mattina mi svegliai stavano già cercando di
entrare nella caserma. [...] Anch’io ci andai; quando arrivai ormai
stavano già tutti entrando; presi una pistola e due caricatori, quello
che riuscii a trovare. C’era una polveriera; la gente prendeva le
armi, ed io presi tutto quello che mi capitò fra le mani”6.
Soledad Estorach e quattro o cinque membri di un gruppo di donne
di Barcellona si erano riunite durante la notte del 18 luglio in una
stanza lasciata loro dal sindacato della Costruzione, in strada Merca-
ders, dietro alla via Layetana, nel centro di Barcellona. Marianet

5. Pepita Carpena, intervista, Montpellier, 30 dicembre 1981.


6. Cristina Piera, intervista, Badalona, 6 agosto 1981.

135
(Mariano Vàsquez) ed il resto “dell’alto comando” della CNT ave­
vano partecipato all’assalto della caserma di Atarazanas, ai piedi delle
Ramblas.

Quando, alle cinque di mattina, ci lasciarono lì, sole, iniziarono a


suonare le sirene. C ’era gente in tutta Plaza de Macià, in ogni parte del
quartiere, e tutti andarono a prendere le armi —perché la Generalitat
fino a quel momento continuava a rifiutarsi di armare la gente
Anch’io per un bel p o ’ di tempo mi unii alla folla.

Quella mattina, ancora sul presto, tornò al sindacato con le altre


compagne.

Si sentivano gli spari da ogni parte. Avevo tanta paura. Non sapeva­
mo cosa stava succedendo e nemmeno quello che avremmo potuto fare.
Pensavamo che se fosse accaduto il peggio, ed i compagni non fossero
riusciti ad avere la meglio nel porto di Atarazanas, avremmo potuto
costruire un rifugio. Andammo alla casa Cambò, una delle più belle
costruzioni di Barcellona, sulla via Layetana. Avevamo con noi una
piccola pistola e molti bastoni. [...]
N ell’altro lato della strada erano in corso dei lavori, e quindi lì vici­
no c ’erano molti attrezzi. Con questi costruimmo delle barricate e poi
ne portammo degli altri all’interno dell’edificio per fortificarlo. Il porti­
naio fu molto buono con noi, ci lasciò entrare ma ci disse di non spor­
care l ’ascensore, altrimenti avrebbe perso il lavoro.
Portammo tutto fino in cima passando per le scale, ed innalzammo
delle barricate e delle fortificazioni. E quando i compagni tornarono,
naturalmente vittoriosi, e videro quanto era bello questo palazzo, lo
scelsero come Sede della CNT-FAI1.

Poi iniziò a parlare delle ore e dei giorni che seguirono, e del ruolo
che ebbero le donne nella repressione del sollevamento: “La cosa più
importante che fecero le donne - a parte, sia chiaro, tutti i gesti eroici
che intrapresero insieme agli altri - fu quella di salire sui tetti dei pa­
lazzi e con megafoni di cartone cercare di convincere i soldati a met­
tersi dalla nostra parte, a togliersi le divise e a unirsi al popolo.”
Enriqueta Rovira, che in quel periodo aveva vent’anni, si tro-

7. Soledad Estorach, intervista, Parigi, 4 gennaio 1982.

136
vava in vacanza con degli amici a Blanes, sulla Costa Brava. Alcuni
compagni del Comitato di Barcellona chiesero al Comitato di Bla­
nes di avvisarli di tutto quello che stava accadendo, ed Enriqueta
salì sul primo treno diretto verso la capitale.

Jl fuoco dell’azione ebbe luogo nel centro di Barcellona. Io non


avevo mai toccato una pistola in tutta la mia vita, e nemmeno un fucile
giocattolo, perché mia madre era contraria a questi tipi di giochi. Uscii
con i compagni per fare il possibile, ma venni fermata perché dissero
che quella non era una cosa per noi [donne]. Dissero: “Lascia quella
pistola, non la sai usare, nella tua vita non ne hai mai toccata una e ora
ci sono molti compagni che non ne hanno. ” E alla fine noi famiglie, noi
dei quartieri, ci mettemmo a costruire le barricate. Le donne che non
potevano intervenire, controllavano che non mancasse nulla ai compa­
gni... Tutti facevano qualcosa8.

Le Milizie
Ma nonostante questo alcune donne impugnarono le armi, ed ar­
rivarono ad integrarsi alle milizie popolari. Concha Pérez, ad esem­
pio, figlia di un militante anarchico, cominciò la sua militanza a
quattordici anni, quando iniziò a far parte di un gruppo anarchico e
a partecipare all’Ateneo Libertario Faros, nel centro della città.
Dopo poco tempo collaborò all’organizzazione di un gruppo delle
Juventudes e poco dopo lei e altri compagni iniziarono ad interes­
sarsi del loro quartiere, Les Corts, dove fondarono un gruppo/ate-
neo, a cui diedero il nome Humanidad. In seguito organizzarono
anche un gruppo della FAI, Inquietud, in cui rimasero Félix Carra-
squer e la sua compagna Matilde Escuder, e crearono una scuola ra­
zionalista, chiamata Eliseo Reclus.
Anche se questi anni furono per Concha pieni di attività, in cui ci
fu anche un periodo di carcere per la sua partecipazione al solleva­
mento del gennaio e del dicembre del 1934, le settimane ed i mesi
che precedettero il sollevamento militare del luglio ‘36 ebbero però
un grado di coinvolgimento totalmente diverso. Già da un mese
prima della rivolta tutti stavano all’erta: “Ormai si sapeva quasi con
certezza che ci sarebbe stato un colpo di Stato, e tutti lo stavamo

8. Enriqueta Rovira, intervista, Castellnaudary, 29 dicembre 1981.

137
aspettando.” Nell’ultima settimana la tensione divenne sempre più
pesante e la vita sempre più intensa: “Ci trovavamo riuniti ogni
notte, riuniti nell’azione, fino a quando ci avvisarono che per strada
c’erano stati degli spari”. Il momento di intervenire non tardò ad ar­
rivare: “Ci dissero allora di andare a requisire tutti i materassi e per
questo dovemmo dormire sul pavimento della sala.” Ma dove sa­
rebbe stato possibile trovare un grande numero di materassi? Nei
bordelli! Una volta avuti i materassi tornarono ai loro gruppi e li si­
stemarono sul suolo. Rimasero all’erta per un paio di giorni, in que­
sto modo, dormendo a turno sul suolo, e, anche questo a turno, con­
frontandosi a fuoco con i franco tiratori.

Un giorno ci arrivò la notizia che a P edralhes c ’erano state delle


sp a ra to rie p e r la stra d a . P ren d em m o un ca m io n che a veva m o , lo
coprim m o di m aterassi e con le quattro arm i che avevamo, e la piccola
pistola che portai con me, andam m o ad assaltare la caserma. Figurati!
Q uando a rrivam m o lì ci rendem m o conto che erano g ià a cco rsi
anche i com pagni di Sants. Riem pim m o il cam ion di armi, fa c em m o due
viaggi, e le distribuim m o p e r tutto il quartiere. [...] Liberam m o p o i i
prigionieri del carcere [M odelo].

Dopo alcuni giorni di combattimento per le strade di Barcellona,


tornarono a Pedralbes, “e lì ci fu una riunione per andare al fronte”9.
La storia di Concha esemplifica il commento di Mary Nash a pro­
posito del “profilo tipico della miliziana [...] una donna giovane con
vincoli politici, familiari e affettivi con i suoi compagni di milizia.
Agirono spinte dalla loro coscienza politica sociale” 10. Il fattore
chiave che differenziava le milizie da un esercito tradizionale era
questa coscienza politico-sociale. Come notò H. E. Kaminski, “la
milizia [...] è un’armata politica che è cosciente di fare la guerra ci­
vile non per dei valori astratti, né per conquistare dei territori, e tanto
meno per delle colonie, [...] ma per resistenza personale di ognuno.”

9. Cocha Pérez, intervista, Barcellona, 3 maggio 1988.


10 NASH, Mary: “Las Mujeres en la Guerra Civil”, testo introduttivo del ca­
talogo della esposizione Las Mujeres en la Guerra Civil. Salamanca, 1989, Mini-
sterio de Cultura, Dirección General de Bellas Artes y Archivos, Madrid, 1989, p.
27. Vedi anche NASH: Defying Male Civilization. Women in thè Spanish Civil
War, Arden Press Ine., Denver, Colorado, 1995. (Women and Modem Revolution
Series, eds. Jane SLAUGHTER e Richard STITES).

138
Il loro proposito era quello di “difendere la Rivoluzione” 11.
Anche se Concha fu poi una delle relativamente poche donne
che realmente lottarono al fronte, molti altri - uomini e donne - ri­
sposero alla chiamata iniziale in difesa della Repubblica e, più con­
cretamente, della Rivoluzione, e formarono le milizie. Kaminski le
ricorda così:

La prima cosa che colpisce uno straniero appena arrivato in Catalo­


gna è la milizia. La si vede dappertutto, con le loro uniformi variopinte
e le loro insegne multicolori. Con i ritratti dei miliziani e delle miliziane
si potrebbero fare i libri illustrati più pittoreschi12.

Dopo aver passato vari giorni a Pedralbes Concha partì per il


fronte d’Aragona con il suo gruppo di Les Corts, in cui c’era anche
il suo compagno. Anche durante i primi giorni di combattimento
veramente poche donne arrivarono a prendere in mano le armi, e
molte di quelle che si trovavano al fronte lavoravano principalmente
come “personale d’appoggio”, e si occupavano dei “lavori conside­
rati femminili come la cucina, il bucato e la sartoria” 13. Ma, nono­
stante questo, per lo meno alcune miliziane - Concha Pérez, Rosa­
rio Sánchez, Casilda Méndez, Pepita Vásquez Núñez, fra le altre -
si comportarono “come uomini”. Al fronte, dove venne assegnata
alla Colonna Hilario Zamora, Concha venne mandata ad Azaida e
partecipò al primo (disastroso) attacco a Belchite. Ci racconta che
“non mi separavo mai dal gruppo [...] Fra di noi c’era un rispetto
enorme... Aiutavamo gli uomini in tutto quello che non riuscivano a
fare, gli davamo una mano. E oltre a questo eravamo delle miliziane,
facevamo le guardie...” Prima dell’attacco a Belchite Concha fece
parte di una pattuglia di riconoscimento, “camminando per non so
quanti chilometri. Indossavo delle espadrillas e durante il cammino
rimasi scalza” 14.

11. KAMINSKI, H.E.: Quelli di Barcellona, Il Saggiatore, Milano, 1966.


12. KAMINSKI: op. cit.
13. KAMINSKI: op. cit. Si veda anche NASH: Defying Male Civilization, pp.
108-9.
14. Concha Pérez, intervista, Barcellona, 3 maggio 1988. Si veda inoltre MARÍN,
Dolors: “Conxa Pérez, algo más que una miliciana”, in: STROBL, Ingrid: Partisanos.
La mujer en la resistencia armada contra elfascismo y la ocupación alemana (1936-
1945), Virus, Barcellona, 1996 (Colección Memoria), pp. 354-56. Si veda anche

139
Concha rimase al fronte d’Aragona per vari mesi, fino a quando
arrivò la notizia della militarizzazione delle milizie. In quel mo­
mento decise di andarsene, e nel novembre del 1936 tornò a Bar­
cellona. Ma dopo aver provato l’intensità del fronte la vita civile le
sembrò vuota: “Qui [a Barcellona] non trovavo nulla che facesse
per me, mi demoralizzai un po’”. Così, quando trovò dei compagni
che si trovavano in permesso e che stavano andando a Huesca, de­
cise di tornare al fronte con loro, e questa volta si unì al gruppo ita­
liano Carlo Rosselli delle Brigate Internazionali. I viveri erano
estremamente scarsi e le condizioni di vita miserabili. “Prendemmo
tutti la scabbia perché le condizioni di vita erano pessime. Non ci
cambiavamo mai la biancheria. Vivevamo sulla paglia. Ci dovettero
mandare nella retroguardia. Solo allora mi resi conto che a Barcel­
lona avrei potuto collaborare in modo migliore”. Tornò quindi a
Barcellona, trovò lavoro in una fabbrica di materiale bellico e di­
venne membro del comitato dell’industria, fino alla fine della
guerra.
Anche se Concha ed altre donne lottarono gomito a gomito con
gli uomini - alcune di loro si fermarono al fronte fino a molto
tempo dopo la militarizzazione -, è evidente che le miliziane non fu­
rono mai completamente accettate dalla maggioranza degli ele­
menti sociali, perfino all’interno dei circoli rivoluzionari15. Inizia­
rono a circolare dei manifesti e del materiale stampato con foto di
donne, soprattutto durante le prime settimane di guerra, ma la realtà
della donna soldato era difficile da accettare. Mary Nash sostiene
che anche se, di fatto, “era una donna in armi, non era però inco­
raggiata ad impugnarle come soldato; in realtà la miliziana non fu
un esempio rappresentativo della resistenza femminile durante la
Guerra civile” che, nella maggior parte dei casi, si concentrava nelle
attività della retroguardia16. L’immagine della miliziana aveva il
proposito di stimolare la mobilitazione popolare, ma dopo l’entu­
siasmo dei primi giorni e delle prime settimane di rivoluzione, per-

JIMÉNEZ DE ABERASTURI, Luis María: Casilda, miliciana. Historia de un sen­


timiento, Txertoa, San Sebastián, 1985; e MASSOTIMUNTANER, J.: “Diari de la
miliciana”, in El desembarcament de Bayo a Mallorca, agost-setembre de 1936, Pu-
blicacions de 1’Abadía de Montserrat, Barcellona, 1987.
15. Si veda, soprattutto, NASH: “Las mujeres en la Guerra Civil”, pp. 25-27.
16. Si veda NASH: Defying Male Civilization, p. 101.

140
fino la maggior parte delle organizzazioni femminili sembravano
sostenere questo slogan: “Gli uomini al fronte, le donne al lavoro”.
Perché ebbe luogo questa retrocessione dell’entusiasmo per la
partecipazione delle donne che aveva caratterizzato i primi giorni?
Mary Nash ritiene che, salvo veramente poche eccezioni, il popolo
in generale e le organizzazioni rivoluzionarie non fossero prepa­
rate a questo rovesciamento così straordinario dei ruoli tradizio­
nali. Quando fu chiaro che si trattava di una guerra e che bisognava
combattere, quasi nessuna organizzazione era pronta a sostenere
che le donne avrebbero dovuto partecipare alla lotta nello stesso
modo degli uomini. Nella retroguardia, lì sì gli aiuti delle donne
erano ben accetti, ma non si poteva dire lo stesso del fronte di bat­
taglia17.
Di fatti, quasi fin dall’inizio, ci furono dei tentativi per far allon­
tanare le donne dal fronte. Questi tentativi si intensificarono quando
la ribellione si trasformò in una guerra su grande scala, e non è sba­
gliato affermare che la militarizzazione venne accompagnata da
una campagna di discredito verso le miliziane. Secondo Mary
Nash: “Iniziò subito un movimento di discredito verso la figura
della miliziana, e l’atteggiamento iniziale di entusiasmo popolare
assunse poi un tono più critico, a volte anche derisorio che, sor­
prendentemente, non venne mai apertamente contestato dalle or­
ganizzazioni femminili” 18. In alcuni ambienti, e sulla maggior parte
della stampa, le miliziane vennero accusate di essere andate al
fronte con l’unico proposito di prostituirsi e di aver messo in gioco
la salute ed il morale degli uomini19. Qualche organizzazione fem­
minile, e soprattutto la stampa comunista, si impegnò a sviluppare
una posizione secondo cui il lavoro delle donne non era il fronte,

17. Persino Mika Etchebéhère, che occupò un posto di comando nell’esercito


della Repubblica durante la maggior parte della guerra, ha riconosciuto che le
donne al fronte erano chiaramente [considerate] delle anomalie e che anche lei
stessa doveva sembrare “superforte” e non mostrare nemmeno un briciolo di de­
bolezza. Vedi STROBL: Partisanos, pp. 47-48; Rosario Sánchez (un’altra mili­
ziana, che militava con i socialisti) disse di aver vissuto una situazione molto si­
mile, p. 72. Si vedano anche le memorie di ETCHEBÉHÈRE: La mia guerra in
Spagna, Bompiani, Milano, 1976, versione spagnola: Mi guerra de España, Plaza
y Janés, Barcellona, 1987.
18. NASH: “Las mujeres en la Guerra Civil”, p. 27; si veda anche Defying
Male Civilization, pp. 109-12.
19. NASH: Defying Male Civilization, pp. 112-16.

141
ma le retroguardie20. Nel migliore dei casi questi argomenti erano
ispirati ai tradizionali stereotipi legati al genere, che sostenevano la
vecchia teoria secondo cui le donne erano meno adatte all’azione
militare e avrebbero servito meglio la causa occupando i posti la­
sciati vacanti dagli uomini andati in guerra.
Di fatto, come vedremo più avanti (Capitolo V) la risposta di
Mujeres Libres fu piuttosto ambigua. E’ certo che né sulla rivista né
su nessun altro scritto delle militanti l’organizzazione si oppose di­
rettamente al ritiro delle donne dal fronte. Ma la rivista pubblicò re­
golarmente articoli che segnalavano la partecipazione delle donne
tanto nelle battaglie dei primi giorni quanto nelle milizie ai fronti di
battaglia. Come esempio, Mujeres Libres n. 13, riportava un articolo
su “La Capitana de Somosierra”, in cui si racconta la storia di Pepita
Vàsquez Nunez, una miliziana che fin dall’inizio era stata al fronte21.
L’aspetto particolarmente interessante è il tono di scusa di molti
di questi articoli, come se fossero state coscienti del fatto che la
partecipazione delle donne alle azioni di guerra fosse vista, nel mi­
gliore dei casi, con scetticismo. Così, ad esempio, un articolo ap­
parso su Mujeres Libres nell’ottobre del 1936 affermava che:

Non è colpa nostra se per il momento non è possibile né ridurre né


contenere un ’aggressione organizzata per il nostro sterminio ed armata
di cannoni, mitragliatrici, bombe e fucili, con la tenerezza femminile ed
i ragionamenti umanitari. Lottiamo per la vita e non è colpa nostra se,
in questa lotta, dobbiamo avere a che fare con la morte22.

20. Si veda, ad esempio, Comité Local: “A les dones de Catalunya. ¡Organitzem


els Grups de Reraguarda!”, Treball( 12 settembre 1936), citato in NASH: Defying
Male Civilization, p. 204.
21. “La capitana de Somosierra”, Mujeres Libres, n. 13 (autunno 1938). Si veda
anche “Nuestro sentido humano”, Mujeres Libres, n. 5, Giorno 65 della Rivolu­
zione (ottobre 1936): “destacamos el brazo fuerte de la mujer que enarbola un
fusil”. O la copertina del n. 7, VIIIo mese della Rivoluzione, che proclamava: “Con
el trabajo y las armas defenderemos las mujeres la libertad del pueblo.” In modo si­
mile, “La lucha en Barcelona”, Mujeres Libres, n. 10, IIo anno della Rivoluzione,
riportava con entusiasmo le prodezze de “las camaradas Concha y Pal mira, la com-
pañerita Pilar Negrete...” che combatterono a Barcellona nei primi giorni di guerra.
22. “Nuestro sentido humano”, Mujeres Libres, n. 5, giorno 65 della Rivolu­
zione; vedi anche “Las mujeres en los primeros días de lucha”, Mujeres Libres, n.
10, IIo anno della Rivoluzione; e “Mujer de Iberia”, Mujeres Libres, n. 12 (maggio
1938).

142
Così, anche se alcune donne rimasero al fronte, la maggioranza
di loro scelse o fu obbligata a scegliere di tornare alla vita civile e
di continuare le proprie attività nella retroguardia. Anche qui c’era
molto da fare. E, come vedremo, Mujeres Libres avrebbe dedicato
gran parte dei suoi sforzi ad appoggiare la militanza rivoluzionaria
in questo campo.

Rivoluzione popolare e collettivizzazione


Le prime impetuose giornate furono seguite da una imponente ri­
voluzione popolare, tanto nelle zone rurali quanto in quelle indu­
striali ed urbane. Una volta repressa la ribellione in alcune delle città
principali e dopo che vennero stabiliti i fronti di battaglia, fu evidente
per tutti che ci sarebbe stata una guerra civile. Il vuoto politico che si
produsse in questa situazione richiese ed allo stesso tempo rese pos­
sibile la sperimentazione sociale in grande scala. In qualche modo
bisognava ristabilire l’ordine sociale e mantenere l’economia, anche
sotto un nuovo sistema di amministrazione (che era necessario per­
ché, per lo meno in alcune zone, i proprietari delle terre e gli indu­
striali erano fuggiti dalle regioni controllate dalla Repubblica).
Gli operai industriali della Catalogna risposero alla ribellione
prendendo il controllo delle fabbriche ed avviandole verso diversi
modelli di “controllo operaio”. In molte aree rurali i contadini as­
sunsero la direzione delle terre dei proprietari assenteisti e i piccoli
proprietari misero in comune le loro terre ed i loro animali per
creare cooperative e collettività agricole. I comuni di tutta la Spagna
repubblicana istituirono nuovi sistemi di gestione delle opere pub­
bliche, dei trasporti, della distribuzione degli alimenti e dei viveri.
E, per un periodo, la milizia sostituì l’esercito, le “pattuglie” locali
sostituirono la polizia ed i tribunali popolari presero il posto del si­
stema di giustizia penale23.

23. ORWELL, George: Omaggio alla Catalogna, Mondadori, Milano, 2003,


soprattutto Cap. 3-6. Lo studio più completo e recente sulla collettivizzazione è
quello di BERNECKER, Walter L.: Colectividades y revolución socicd. El anar­
quismo en la Guerra Civil Española, 1936-1939, Critica, Barcellona, 1982; vedi
anche BOSCH, Aurora: Colectivistas (1936-1939), Almudin, Valencia, 1980; e
BOSCH: “Las colectivizaciones. Estado de la cuestión y aspectos regionales”, in:
La II República, pp. 147-68.

143
Ma non tutta la collettivizzazione avvenne volontariamente, né le
collettivizzazioni si stabilirono omogeneamente su tutto il territorio
della Spagna repubblicana; predominarono prevalentemente nelle
zone industriali della Catalogna e di Valencia e nelle aree rurali
dell’Aragona e di Valencia, ed in misura minore nelle zone rurali
della Castiglia e della Catalogna. Non è nemmeno vero che tutte le
collettivizzazioni ebbero un orientamento di tipo anarchico. Anche
i socialisti collettivizzarono in alcune zone, soprattutto nella re­
gione centrale, e nella Catalogna molte fattorie vennero collettiviz­
zate dalla Unió de Rebassaires. L’iniziativa nasceva solitamente a
livello locale, anche se in molti casi venne intensificata dalla pres­
sione delle colonne anarchiche stabilite nelle vicinanze.
Gli anni di partecipazione alle lotte sindacali e l’attenzione che
da sempre avevano rivolto ai problemi di coordinazione, misero in
allerta i militanti delle città sulla necessità di cooperare con i com­
pagni delle industrie e della campagna. Una necessità immediata
era quella di trovare generi alimentari. Come spiegava José Peirats,
uno storico anarchico, che era un ragazzo quando scoppiò la guerra:

Ci rendem m o conto che se fosse venuto m eno il cibo il popolo si sa­


rebbe potuto schierare contro il movim ento. Cercam m o allora di razio­
nare quello che c ’era. P er razionarlo dovem m o concentrare i prodotti di
tutti i piccoli negozi. P rendem m o dei fu rg o n c in i e li caricam m o di stoffe,
di articoli da cucina, di articoli dom estici ed andam m o in cam pagna. A n ­
davam o là e cam biavam o questi prodotti con i generi alim entari24.

La descrizione di Soledad Estorach, che prese parte in prima per­


sona a questo genere di iniziativa, rivela un altro aspetto del fer­
vore rivoluzionario:

Espropriam m o i grandi cinema e li facem m o diventare delle m ense p o ­


polari. D a dove tiravam o fu o ri il cibo? D a qualsiasi posto dove fosse p o s­
sibile trovarne! A ndavam o nei negozi del quartiere e lo chiedevamo. Quei
poveri com m ercianti dovevano darci tutto quello che avevano. C hiara­
m ente non gli faceva m olto piacere. Q ualcuno di loro si lamentava, diceva
che lo stavam o m andando in rovina. M a non potevam o fa r e n ie n t’altro,

24. José Peirats, intervista, Montady, 22 gennaio 1979. Confronta con KRO­
POTKIN: La conquista del pane.

144
erano i primi giorni della rivoluzione, dovevamo trovare il cibo per la
gente. E poi, dopo aver fatto questo, andavamo ai grandi mercati con il
camion e lì prendevamo i generi alimentari25.

Si potevano vedere segni di trasformazione sociale in ogni luogo.


Venivano espropriati edifici pubblici e privati e vi venivano poi
esposte bandiere della UGT e della CNT. Vennero installate delle
mense popolari nei cinema. I taxi ed i tranvai vennero dipinti con le
sigle della CNT e della UGT. Secondo George Orwell, che visitò
Barcellona per la prima volta nel dicembre 1936, “apparentemente,
era una città dove le classi facoltose avevano smesso di esistere”26.
Le energie creative trovarono una via di sfogo per ogni tipo di
gusti. I militanti capirono che finalmente era arrivato il momento in
cui avrebbero potuto realizzare gli ideali che per anni avevano solo
sognato. Soledad, ad esempio, era sempre stata attratta dai libri.
Non aveva mai dimenticato il suo proposito di farsi una cultura e di
“vedere il mondo” anche se il precario salario che riceveva come
operaia tessile bastava appena per mantenere sé stessa e la propria
famiglia Non tardò molto ad unirsi ai compagni delle Juventudes ed
iniziarono a far diventare reale e concreto questo sogno: “Ini­
ziammo con TUniversità Popolare. Espropriammo un bellissimo
convento francese. Chiedemmo libri a tutte le biblioteche delle vi­
cinanze. Io di fronte a tanti libri ero estasiata. Ma i compagni, che
erano più preparati di me, scelsero quelli più appropriati. Io invece
li avrei presi tutti”27.
La rivoluzione trasformò profondamente l’istruzione. In Cata­
logna il 27 luglio fu creato il CENU (Consell de l’Escola Nova Uni-
ficada). I suoi obiettivi erano decisamente radicali: estendere l’istru­
zione gratuita a tutti, da quella elementare a quella superiore,
inclusa “l’Università Operaia” e l’Università Autonoma di Barcel­
lona. Le sue finalità erano influenzate soprattutto dalla teoria edu­
cativa anarchica, e gli educatori anarchici avevano un ruolo di
primo piano nella sua organizzazione e nel suo funzionamento.
Juan Puig Elias, per esempio, presidente della sezione culturale
della CNT e direttore della Escola Nova, ricoprì la carica di presi-

25. Soledad Estorach, intervista, Parigi, 4 gennaio 1982.


26. ORWELL: Omaggio alla Catalogna, Mondadori, Milano, 2003.
27. Soledad Estorach, intervista, Parigi, 6 gennaio 1982.

145
dente del comitato esecutivo del CENU. Il testo del decreto che pro­
mulgava la sua creazione può dare un’idea della natura del pro­
getto: “E arrivato il momento di un nuovo tipo di scuola, ispirato ai
principi razionalisti del lavoro e della fratellanza umana [...] che
crei una vita scolastica ispirata ad un sentimento di solidarietà uni­
versale ed in armonia con tutte le inquietudini della società umana
ed alla base della soppressione di ogni tipo di privilegio”28.
Emma Goldman, invitata in Spagna dalla CNT durante la rivolu­
zione, rimase letteralmente conquistata da quello che vide, soprat­
tutto in quel primo periodo. Ancora prima di andare per la prima
volta in Spagna, nel settembre del 1936, scrivendo ad alcuni amici
disse che l’aspetto più importante della rivoluzione era quello co­
struttivo: “Per la prima volta i nostri compagni non stanno solo lot­
tando contro il nemico comune, ma stanno costruendo. Stanno
esprimendo in termini concreti il pensiero del nostro grande mae­
stro Bakunin, ossia che lo spirito di distruzione è allo stesso tempo
lo spirito della costruzione”29. Quando arrivò a Barcellona non ne
rimase delusa. Scrisse a Rudolf e Milly Rocker quanto segue: “Ek>
già visitato tutte le fabbriche che sono sotto il controllo della CNT e
che sono autogestite dagli stessi operai, la ferrovia, i trasporti, rim ­
pianto della distribuzione del gas e del combustibile, le piste
dell’aviazione ed alcune fabbriche tessili. E’ sorprendente vedere
come tutto funziona al meglio. Quello che mi è rimasto più im­
presso sono stati i contadini di un paese collettivizzato. Non avrei
mai creduto che sarebbe stato possibile trovare tante menti illumi­
nate fra dei contadini”30.
Il sentimento di stare costruendo un qualcosa, o la sicurezza di
stare realizzando un progetto possibile, che accompagnavano la
partecipazione a queste attività, non avrebbero abbandonato per
molti anni le persone che ne avevano preso parte. Come ricorda
Enriqueta Rovira: “Provavamo qualcosa di veramente speciale e
prezioso. Provavamo un sentimento... Come lo potrei definire? Di
potenza. Non nel senso di dominio, ma nel senso che tutto stava

28. “Decret: Creació del Conseil de l’Escola Nova Unificada”, 27 luglio 1936,
riprodotto in PEIRATS, José: La CNT nella rivoluzione spagnola, Ed. Antistato,
Milano, 1970, Tomo I.
29. Emma Goldman a un amico, 9 settembre 1936, NYPL-EG.
30. Goldman a Rudolfe Milly, Io ottobre 1936; vedi anche Goldman a Stella
[Ballantine], 19 settembre 1936, NYPL-EG.

146
sotto il nostro controllo. Di possibilità. Un sentimento che ci fa­
ceva sentire che finalmente stavamo facendo qualcosa insieme”31.

La collettivizzazione industriale

I lavoratori assunsero il controllo della maggior parte dell’eco­


nomia industriale, specialmente in Catalogna anche perché già da
prima della guerra esistevano strutture di organizzazione operaia.
Ciò nonostante, allo stesso tempo, queste strutture definirono e cir­
coscrissero le persone che avrebbero partecipato più attivamente
alla presa del controllo.
A Barcellona e nella sua periferia le organizzazioni sindacali col­
lettivizzarono quasi tutta la produzione, dalle botteghe dei barbieri
alle fabbriche tessili, dalle centrali elettriche alle panetterie, dal le­
gname dei boschi alla vendita al minuto dei mobili. Si formarono dei
comitati di fabbrica per dirigere la produzione e per coordinarsi con
le altre unità della stessa industria. Le organizzazioni sindacali coor­
dinarono sia la produzione che la distribuzione dei prodotti manu­
fatti, e queste attività implicavano numerose industrie e diverse re­
gioni. In qualcuna di queste attività lavorative - quella del legno,
quella dei parrucchieri e delle panetterie, ad esempio, - la riorganiz­
zazione significò non soltanto un cambiamento nella direzione ma
anche la chiusura dei negozi piccoli e sprovvisti degli attrezzi ade­
guati, la costruzione di centri di lavoro più grandi e lo sviluppo di
tecniche di produzione più efficaci. I sindacati dell’Industria e della
Costruzione, del Legno e della Decorazione, ad esempio, coordina­
rono tutta la produzione e la distribuzione dei prodotti finiti, dall’ab­
battimento del legname nei boschi fino ai magazzini di mobili; co­
struirono un centro ricreativo con piscina in calle Tapiolas, al
numero 10, a Barcellona, vicino ad uno di questi nuovi centri di la­
voro, ed occuparono una chiesa che si trovava nelle vicinanze, in
cui allestirono un asilo e una scuola per i figli degli operai32. In Ca­
talogna, un comitato formato dalla CNT e dalla UGT assunse il con-

31. Enriqueta Rovira, intervista, Castellnaudary, 29 dicembre 1981.


32. Eduardo Pons Prades mi ha accompata alla calle Tapiolas, numero 10, a
Barcellona, e mi ha fatto vedere cosa è rimasto dell’officina e del centro ricreativo.
Si possono trovare informazioni sui sindacati della costruzione in AHN/SGC-S,

147
trollo operativo di tutte le centrali elettriche, il Comitato Centrale di
Controllo Operaio del Gas e dell’Elettricità, che riorganizzò le rela­
zioni di produzione ed i salari, coordinò la distribuzione e lo scam­
bio di fonti di energia con le altre parti del paese e cercò perfino di
comprare il carbone dalla Germania (nascondendo chiaramente
l’identità degli acquirenti)33.
Nella maggior parte delle industrie collettivizzate erano le assem­
blee generali dei lavoratori a decidere la politica da seguire, e le de­
legazioni elette dirigevano quotidianamente le questioni del giorno.
Nelle collettività industriali molti dei compiti ricadevano sulle dele­
gazioni di fabbrica. Prima della guerra erano esistite molte delega­
zioni di lavoratori in ogni industria dove era presente il sindacato.
L’aver partecipato a queste delegazioni fece sì che molti operai co­
noscessero bene le fabbriche in cui lavoravano e avessero sviluppato
un senso della loro propria competenza34. Queste delegazioni si adat­
tarono spontaneamente e facilmente alla situazione rivoluzionaria,
coordinando ed organizzando la produzione e - con parole di Dolo­
res Prat, che aveva fatto parte della delegazione di fabbrica nel suo
posto di lavoro a Ripoll - “facendo attenzione che tutti lavorassero,
che non ci fossero ingiustizie e che tutti i lavoratori fossero contenti.”
Le delegazioni di fabbrica costituivano un altro livello dell’organiz­
zazione. Erano composte dai rappresentanti dei sindacati e gestivano
più o meno la fabbrica collettivizzata35.

P.S. Barcellona: 1411,1419, 628, 174, 855, 889 e 1323; vedi Memoria del primer
Congreso regional de sindicatos de la Industria de la Edificación, Madera y De­
coración de Cataluña, celebrado en Barcelona, los días 26, 27 y 28 de junio de
1937 (CNT-AIT, s.p. s.d.), AMB A.M. Entid. 259-4.8; Memoria del primer Con­
greso de sindicatos de la Industria de la Edificación, Madera y Decoración, CNT
Valencia, 1937; Memoria del primer Pleno de Comarcales de la Industria de la
Edificación, Madera y Decoración de Cataluña, celebrado los días 5, 6 y 7 de
marzo de 1938 en Barcelona, AHN/SGC-S, Sección propaganda, n. 242. Sono
molto grata a Rafael Pujol per avermi fatto avere le copie degli atti dei comitati lo­
cali, Fascicolo 108, documenti 882 e 883.
33. Si possono trovare gli atti di queste riunioni in AHN/SGC-S, P. S. Barcel­
lona: 182: 29 settembre 1936 (salario unificato); 20 ottobre 1936 (disciplina ope­
raia); 23-30 ottobre 1936 (tentativi di comprare carbone dalla Germania).
34. Uno dei libri di atti del Sindacato Unico della Metallurgia, Barcellona,
CNT, Sezione Caldaisti del rame, ad esempio, inizia con un informe di una riu­
nione che ebbe luogo il 26 settembre 1931 e continua fino al dicembre 1936.
AHN/SGC-S, P.S. Barcellona: 1428.
35. Dolores Prat, intervista, Tolosa, 28 aprile 1988.

148
Durante i primi giorni di rivoluzione, ad esempio, il consiglio
coordinatore del sindacato tessile di Badalona chiese alle delega­
zioni di fabbrica di assumerne il controllo e chiese loro di compilare
con precisione un registro indicando le entrate, la produzione della
rendita, ecc. Dopo una settimana un altro comunicato sollecitò i
membri a creare una delegazione di controllo operaio in tutte le
fabbriche36. Queste delegazioni, elette da un’assemblea generale
di lavoratori e costituite dai rappresentanti di ogni sezione, furono
le unità di base del “controllo operaio”. Le delegazioni ammini­
stravano i registri, assegnavano gli incarichi all’interno della fab­
brica e controllavano la coordinazione con le altre imprese ed all’in­
terno dello stesso ramo delle industrie. Grazie al loro aiuto il
sindacato coordinava la produzione di tutta l’industria tessile37.
Strutture e procedimenti analoghi esistevano anche nelle altre in­
dustrie. Ma nonostante quest’organizzazione, Alberto Pérez Barò,
che lavorò per la Generalitat come osservatore del buon svolgi­
mento delle collettivizzazioni, criticava il reale funzionamento di
queste delegazioni. Secondo lui troppi militanti della CNT confon­
devano il controllo operaio con il controllo sindacale, e tendevano
a negare o a rifiutare ogni conflitto di interesse che sarebbe potuto
sorgere - a quale fabbrica assegnare determinati obiettivi di pro­
duzione o la regolamentazione della competenza fra le fabbriche e
le condizioni di lavoro, ad esempio38.
Complessivamente queste strutture furono straordinariamente
efficaci, non solo per mantenere la produzione ma anche per in­
staurare dei cambiamenti nelle politiche di produzione e di gestione
del personale. Gli operai tessili che fabbricavano tessuti e uniformi
per le milizie, ad esempio, svilupparono nuove tecniche che per­
misero di sostituire nell’elaborazione delle tele il cotone, diffìcile da

36. “Copia del texto que corno manifiesto lanzó a los trabajadores la Junta Cen­
tral del Sindicato de Industria Fabril y Textil de Badalona y su radio el dia 22 de
julio de 1936, aplastado el movimiento de las fuerzas armadas producido el dia 19
en Barcelona” e “Comunicado”, La Giunta del Sindacato di Fabbrica e Tessile di
Badalona e della sua Radio, Badalona, 29 luglio 1936, entrambi i documenti della
collezione di Josep Costa.
37. Costa, interviste, 12 e 19 febbraio 1988.
38. Pérez-Baró, intervista, Barcellona, 14 luglio 1979. A proposito del con­
trollo operaio dei tranvia, vedi TRAUBER, Walter: “Les tramways de Barcelona
collectivisés pendant la révolution espagnole (1936-1939)”, Bulletin d ’Information
F.I.E.H.S., n. 2 (marzo 1977), pp. 8-54.

149
reperire, con una fibra di canapa. Nella gestione del personale uno
dei cambiamenti portati avanti nell’industria tessile collettivizzata
fu l’abolizione del lavoro a cottimo e l’incorporazione in fabbrica
delle donne che fino ad allora avevano lavorato in casa. Inoltre, per
lo meno in alcune zone, le delegazioni operaie riuscirono a mettere
in pratica delle idee fondamentali per il “diritto al lavoro”. Dolores
Prat, che ricoprì l’incarico di segretaria generale della sezione di
fabbrica del sindacato tessile della CNT di Ripoll, sostiene che,
quando, dopo il maggio 1937, in seguito alla diminuzione degli or­
dini dall’estero si dovettero diminuire le ore di produzione, venne
adottata una settimana lavorativa di tre giorni, dividendo il lavoro
che c’era fra tutto il personale della fabbrica - evitando così la di­
soccupazione - e continuarono a pagare a tutti un salario base39.
In molti settori, specialmente in quello metallurgico e nell’indu­
stria chimica, molte donne andarono a ricoprire i nuovi posti di la­
voro. Molti sindacati collaborarono con Mujeres Libres nell’in­
staurazione di programmi di formazione tecnica per le nuove
lavoratrici. A Barcellona e a Madrid erano le donne ad occuparsi
del funzionamento del sistema dei trasporti pubblici. Numerose ri­
viste del sindacato della CNT dedicarono interi articoli alle temati­
che femminili, occupandosi soprattutto dell’integrazione delle
donne nella forza lavoro e diedero un giudizio positivo ai contributi
che le donne stavano apportando alla produzione nelle fabbriche
ed ai loro ruoli aH’interno del sindacato40.
Ma nonostante tutto non sarebbe comunque corretto affermare
che le donne all’interno di queste collettività industriali raggiun­
sero realmente un livello di uguaglianza con gli uomini. Nell’ana-
lizzare uno qualunque dei possibili criteri di valutazione - a parità
di lavoro parità di salario, uguaglianza di partecipazione alle attività
di gestione operaia o la divisione sessuale del lavoro -, si può os­
servare che le collettività furono abbastanza insoddisfacenti in me­
rito alla questione dell’uguaglianza.
Per quanto riguarda i salari, ad esempio, la CNT era chiaramente

39. Prat, intervista, Tolosa, 28 aprile 1988.


40. Ad esempio, Sidero-metalurgia, il giornale del sindacato della CNT di Bar­
cellona di questa industria, ed Espectáculo, una rivista pubblicata dal Sindacato
degli Spettacoli della CNT di Barcellona, pubblicarono frequentemente articoli a
proposito di questi argomenti.

150
convinta della teoria dell’uguaglianza. Anche se l’organizzazione
aveva per molto tempo difeso la teoria dello stipendio unico, ossia,
di uno stipendio uguale per tutto il personale di una stessa fabbrica
o industria, le fabbriche raramente raggiunsero questo obiettivo. Le
delegazioni di fabbrica della maggior parte delle industrie manten­
nero o reintrodussero differenze salariali per i diversi “livelli” di la­
voro, con uno sforzo diretto a conservare la cooperazione di diret­
tori, supervisori e personale tecnico, anche se cercarono di
uguagliare i salari fra diverse “ex aziende” di una stessa industria
collettivizzata41. Una storia che mi è stata raccontata diverse volte ri­
guarda i lavoratori del teatro dell’Opera di Barcellona. Sembra che
un gruppo di loro avesse proposto che tutti i lavoratori, dalle ma­
schere e gli attrezzisti ai cantanti, percepissero lo stesso stipendio. I
cantanti approvarono questo progetto, sempre che le maschere e gli
attrezzisti si fossero alternati con loro nel l’interpretare i ruoli prota­
gonisti dei cantanti. La proposta venne quindi subito abbandonata.
Le differenze tra i salari degli uomini e delle donne continua­
rono. Secondo Pepita Camicer, che durante la guerra lavorò a Igua­
lada in una fabbrica tessile collettivizzata, la grande maggioranza
dei lavoratori della sua fabbrica erano donne ed esistevano tre livelli
di salario. I più alti erano per i responsabili, che erano tutti uomini:
il direttore, i vari capomastro, e gli elettricisti. Il secondo livello sa­
lariale veniva corrisposto alle impiegate regolari, le “madri di fa­
miglia”: le maestre e le orditrici. Il terzo livello spettava alle ap-
prendiste42. Anche se le donne rappresentavano la maggioranza
degli impiegati nell’industria tessile, continuarono però ad occu­
pare i posti peggio remunerati. I salari bassi erano giustificati dal
fatto che il lavoro delle donne non era né tanto pesante né tanto dif­
ficile quanto quello degli uomini. E l’affermazione che il lavoro

41. Gli atti del Comité Central de Control Obrero de Gas y Electricidad della
Catalogna, ad esempio, riflettono i frequenti dibattiti che si produssero sulla pari­
ficazione dei salari in questa industria. “Reunión del Pieno del Comité Central de
Control Obrero, celebrada a las 11.15 horas, del dia 29 de Septiembre de 1936...”,
AHN/SGC-S, P.S. Barcellona: 182. Si veda anche AHN/SGC-S, P.S. Barcellona:
626 (a proposito del tessile); e TRAUBER: “Les tramways de Barcelona”, p. 29.
Si vedano anche le interviste a Federica Montseny, a Tolosa, il 1° febbraio 1979;
a José Peirats, a Montady, il 22 e 23 gennaio 1979; a Josep Costa Font, a Barcel­
lona, il 12 febbraio 1979, e a Magi Mirabent, a Barcellona, l’8 febbraio 1979.
42. Pepita Camicer, intervista, Parigi, 7 gennaio 1982.

151
“maschile” era effettivamente “pesante” giustificava anche l’esclu­
sione delle donne dai posti meglio pagati.
La situazione cambiava in qualche misura nelle aree dove nel
periodo prebellico c’era stata una certa attività organizzata dalle
donne. Teresina Graells ricorda che all’inizio degli anni Trenta un
gruppo di donne iniziò a riunirsi nel sindacato del ramo tessile della
CNT di Terrassa, e che questo gruppo riuscì a fare in modo che il
sindacato, ancora prima della guerra, inserisse nel suo programma
di rivendicazioni anche l’uguaglianza salariale ed il congedo per
maternità. Ma a parte questo, era davvero poco frequente che si ve­
rificasse questa situazione43.
Anche le strutture di partecipazione e di leadership furono in­
soddisfacenti per quanto riguarda le aspirazioni egualitarie. La CNT
aspirava ad una società anarco-sindacalista strutturata principal­
mente attorno alle organizzazioni sindacali. Anche se ufficialmente
in queste organizzazioni la partecipazione e la leadership erano
aperte a tutti, nella pratica i lavoratori uomini partecipavano molto
più regolarmente alle delegazioni di fabbrica e tendevano quindi a
monopolizzare i posti di comando44.
Ci fu qualche eccezione, soprattutto nelle industrie dove la pre­
senza femminile era maggioritaria. Secondo Pepita Carnicer la
maggioranza dei membri della delegazione della fabbrica tessile
dove lavorava erano donne, tra cui vi era anche sua madre. Teresina
Grells fu membro militante e leader dell’organizzazione femminile
del sindacato tessile di Terrassa e Dolores Prat ricoprì il ruolo di
segretaria generale del suo sindacato a Ripoll. Ma sembra che le
loro esperienze non fossero una normale e comune consuetudine.
Anche se uomini e donne lavoravano insieme in una fabbrica le
donne continuavano a venire escluse dai posti di leadership.
Inoltre il punto di vista sindacalista dell’organizzazione sociale
escludeva necessariamente le persone che non facevano parte del
sindacato dalla partecipazione attiva nel momento di prendere delle

43. Teresina Graells, intervista, Montady, 29 30 aprile 1988.


44. A proposito di questo argomento è molto interessante il lavoro di Mercedes
Vilanova su di un’industria siderurgica collettivizzata di Barcellona; si sono tro­
vati d’accordo, almeno in parte, alle sue scoperte, alcuni militanti anarchici, come,
ad esempio, Pons Prades (intervista, Barcellona, agosto 1981), Andrés Capdevila
(intervista, Perpignan, luglio 1979), Igualdad Ocaña (intervista, Barcellona, feb­
braio 1979) e Pepita Carpena (intervista, Montpellier, dicembre 1981).

152
decisioni. In teoria la “federazione locale dei sindacati” (che inclu­
deva i rappresentanti di tutte le industrie e di tutte le fabbriche di
una data località) doveva trattare le questioni generali che erano
d’interesse per tutta la comunità, ma non esisteva in queste riunioni
una rappresentazione specifica dei lavoratori che non facevano
parte del sindacato, o a parte qualche eccezione, delle organizza­
zioni anarchiche che erano rimaste al di fuori del sindacato, come
gli atenei. Così, tanto la determinazione di quali fossero le que­
stioni di interesse per la comunità quanto le decisioni che dove­
vano prendersi per questa ricadevano sui membri del sindacato.
Dati i livelli relativamente bassi di partecipazione femminile ai
posti di responsabilità all’interno dei sindacati, il dominio sinda­
cale nelle decisioni su questioni economiche e sociali perpetuava il
meccanismo secondo cui le problematiche che erano più impor­
tanti per le donne non venivano considerate come prioritarie. Le
organizzazioni del movimento, di predominio maschile, continua­
vano ad analizzare la situazione delle donne partendo da quello che
oggi chiameremmo divisione fra il pubblico ed il privato. Se per
caso veniva posto il problema della loro emancipazione, pensavano
che bisognava occuparsi solo della loro emancipazione nell’ambito
professionale. Non riuscivano a capire che i ruoli domestici riser­
vati alle donne si scontravano con la loro partecipazione “pubblica”
(ad esempio all’interno del sindacato).
Di fatto, l’abolizione del lavoro a cottimo e l’incorporazione
delle donne nelle fabbriche tessili - quest’ultima considerata dagli
uomini che riuscirono ad ottenerla come uno dei traguardi più im­
portanti della collettivizzazione, perché si rendeva possibile l’in­
corporazione delle donne alla forza lavoro, e per questo potevano
essere ritenute “uguali” agli uomini - rivelano i problemi di un’ana­
lisi che non presta la dovuta attenzione alla complessità della vita
delle donne. Anche se gli uomini che insistettero per realizzare que­
sta incorporazione erano davvero convinti che avrebbe aiutato le
donne, quelle che la vissero non sempre ne furono d’accordo. Il la­
voro a cottimo dava alle donne l’opportunità di decidere a che ritmo
lavorare e quante ore dedicare al lavoro. E, cosa ancora più impor­
tante, permetteva loro di occuparsi dei figli ed allo stesso tempo
della famiglia. L’orario ed il salario migliorarono considerevol­
mente partecipando alla vita di fabbrica, ma per molte donne ade­
guarsi alla nuova disciplina ebbe un prezzo molto alto, e se a que­

153
sto aggiungiamo la mancanza di strutture che avrebbero dovuto ac­
cogliere i loro bambini, dovette sembrare loro ancora più difficile
trovare un equilibrio fra questi molteplici ruoli45.
Il “doppio ruolo” continuava ad esistere, c’erano donne che la­
voravano nella fabbrica e che quando arrivavano a casa dovevano
preparare il pranzo, pulire, prendersi cura dei figli od occuparsi del
padre e dei fratelli. Anche se molte persone si rendevano conto
dell’eccessivo carico di lavoro delle donne quasi nessuno capiva
che sarebbe stato possibile cambiare questa situazione46. Ma allo
stesso tempo, nonostante tutto, le vite di molte di loro cambiarono
notevolmente in seguito alle nuove straordinarie opportunità di par­
tecipazione che le vennero offerte con l’accesso a una maggiore
varietà di attività economiche. Inoltre lo sviluppo di Mujeres Li-
bres assicurò alle donne 1’esistenza di altre opportunità volte a
estendere la loro partecipazione oltre alla limitata sfera economica.

La collettivizzazione rurale

Nelle zone rurali si produssero dei cambiamenti ancora più


profondi. In molti piccoli paesi, soprattutto nella regione arago­
nese, gli anarchici crearono delle collettività municipali a cui poteva
partecipare chiunque lavorasse la terra. Nelle località più grandi i
contadini espropriarono e collettivizzarono le terre dei grandi pro­
prietari, ma permisero loro di coltivarle ancora, assicurandosi però
che gli antichi braccianti e mezzadri si fossero comunque conver­
titi in membri attivi della collettività. In altre zone il processo di
collettivizzazione ebbe caratteristiche diverse: mentre qualche con­
tadino e qualche mezzadro si era integrato alle collettività, altri ne
erano rimasti al di fuori come “individualisti” e partecipavano so­

45. Sia Albert Pérez-Baró che Andrés Capdevila mi hanno raccontato che ci
sono stati molti problemi per far entrare le donne in un sistema di “disciplina”;
erano restie a lavorare sotto il nuovo sistema. Ma nessuno dei due ha pensato che
la resistenza delle donne potesse dipendere da qualcosa che non fosse altro che pi­
grizia o testardaggine.
46. Si veda, ad esempio, la lettera di un’operaia al sindacato tessile di Reus, in
cui dice di sentirsi obbligata a dimettersi dal suo posto nel sindacato e come dele­
gata del comitato di fabbrica a causa del suo matrimonio ormai prossimo.
AHN/SGC-S, P.S. Barcellona: 857.

154
lamente in alcuni casi alle cooperative di produttori e consumatori.
Soledad Estorach viaggiò nei primi mesi di guerra con alcuni
rappresentanti della CNT, della FAI e della FIJL attraverso l’Aragona,
la Catalogna e parte della regione valenziana. Descrisse così il ruolo
dei questi militanti nel processo della collettivizzazione:

Q uando arrivavam o in un pa ese la prim a cosa che fa c ev a m o era


andare al C om itato P rovvisorio e convocare u n ’assem blea generale
p e r tutto il paese. Spiegavam o con grande entusiasm o quale doveva
essere il nostro paradiso. Poi era la volta di un dibattito ed alla m anie­
ra dei contadini, dom andavano, discutevano, ecc . .. I l giorno dopo ini­
ziavano a d espropriare la terra, a fo rm a re dei gruppi di lavoro...
Noi li aiutavam o a fo rm a re un sindacato, a creare questi gruppi di la­
voro... A volte non c ’era nessuno nel paese che sapesse leggere e scrivere,
e questo ci portava via m olto più tempo. Ci accertavam o anche che n o ­
m inassero un delegato che assistesse alla prossim a riunione territoriale o
regionale. E, nel frattem po, andavam o anche a lavorare nei campi, p er
fa rg li vedere che eravam o gente norm ale e non estranei che non sa p e­
vano nem m eno quello che stavano portando loro. Ci ricevevano sem pre a
braccia aperte. P er loro dire Barcellona era com e dire Dio... La gente ci
chiedeva: “A Barcellona fa te tutti c o sì? ” E se gli rispondevam o d i sì era
fatta, non avevano bisogno di nessuna parola di p iù 41.

In una collettività di Lérida chiamata “¡Addante!” furono espro­


priate alcune fattorie relativamente grandi ed i braccianti ed i mez­
zadri che vi avevano lavorato diventarono membri della collettiviz­
zazione. Nella zona di Lérida la terra era abbastanza suddivisa,
molte persone possedevano delle piccole fattorie ed erano in pochi
a possedere invece molta terra. Anche se le terre espropriate non
erano in realtà le proprietà più grandi, il totale rappresentava alla
fine un’estensione di dimensioni notevoli4748. Nonostante questo so­

47. Estorach, interviste, Parigi, 4 e 6 gennaio 1982.


48. Il materiale sulla collettività di Lérida è basato sui documenti del
AHN/SGC-S, soprattutto Sindacato Unico dei Contadini, Collettività, AIT, CNT,
Libros de Actas, dal 15 ottobre 1936 al 2 novembre 1937, P. S. Lérida: 3; e ad altri
documenti della stessa collettività, P.S. Lérida: 3 ,5 ,1 4 e 57. L’informazione sulla
distribuzione delle proprietà agricole proviene tanto dalle interviste quanto dal
Reparto Rùstica, Lérida, AMHL, 35, n. 2, p. 433.

155
lamente pochi membri della collettività avevano fatto parte della
CNT prima della guerra. Sembra che sia stata una iniziativa della
CNT a rendere possibile nell’ottobre del 1936 la nascita della collet­
tivizzazione49.
In Aragona, dove il modello di proprietà delle terre era diverso,
anche il processo di collettivizzazione avvenne in modo differente.
In questa regione c’erano molti piccoli proprietari che formarono
delle collettivizzazioni mettendo in comune la terra che possede­
vano e che da sempre avevano lavorato. Queste collettivizzazioni si
comportarono in due modi diversi con i grandi proprietari delle
terre a loro vicine: o li obbligarono a far parte delle collettivizza­
zioni o gli permisero di lavorare per conto proprio una quantità di
terra, che un tempo era stata loro proprietà, sufficiente per poter vi­
vere con le loro famiglie, “alleggerendoli” del resto. In alcuni com­
prensori dell’Aragona la maggior parte dei membri delle colletti­
vizzazioni non aveva mai posseduto della terra prima della guerra.
Una lista delle persone che entrarono a far parte delle collettivizza­
zioni nel comune di Gelsa, ad esempio, ci illustra che la maggior
parte dei suoi partecipanti erano dei mezzadri che avevano o pochi
o nessun terreno di proprietà50. Evidentemente il processo ed i ri­
sultati della collettivizzazione cambiavano da un paese all’altro, ed
erano influenzati dalla vicinanza delle unità delle milizie della CNT.
Anche se le testimonianze su quante forze vennero impiegate per la
creazione delle collettivizzazioni variano, anche molti militanti
anarchici riconoscevano che il passaggio delle milizie della CNT in
una zona aiutava a creare un “clima” favorevole alla collettivizza­
zione51. Susan Harding ha sottolineato le ambiguità:

La collettivizzazione anarchica che avvenne durante la guerra fu

49. Interviste, Lérida, maggio 1979. Vedi anche Juan Doménech a Juan Garcia
Oliver, maggio 1938, IISG/CNT: 35.
50 AHN/SGC-S, P.S. Aragona: 113.
51. Ad esempio, Arturo e Luzdivina Parera, interviste, Sitges, 22 e 23 luglio
1979; vedi anche FRASER: Blood o f Spaia, soprattutto pp. SAI-12. Per conoscere
altri punti di vista, vedi CARRASQUER, Félix: Las colectividades de Aragón.
Un vivir autogestionado, promesa de futuro, Laia, Barcellona, 1986, soprattutto
pp. 27-28; e LEV AL, Gaston: Espagne libertaire 36-39. L ’oeuvre constructive de
la Révolution espagnole, Editions du Cercle, Éditions de la Tête de Feuilles, Pa­
rigi, 1971.

156
un ’esperienza intensa e senza dubbio contraddittoria. Nella maggior
parte dei paesi aragonesi esisteva un nucleo di persone favorevole alla ri­
voluzione anarchica, e molti abitanti dei paesi limitrofi si unirono con
entusiasmo alle collettivizzazioni. [...] Ma bisogna anche ricordare che
molti contadini parteciparono però alle collettivizzazioni controvoglia,
e, per tutti, il clima di coercizione nato dalle esecuzioni e dalle minacce di
esecuzioni rese impossibile una reale opposizione52.

Nella regione valenziana, fatta qualche eccezione per le città con


una lunga militanza nella CNT, la situazione fu molto simile a quella
della Catalogna. Nelle settimane che seguirono la minaccia della ri­
bellione (a Valencia le truppe delle caserme erano rimaste fedeli
alla Repubblica), la UGT e la CNT fecero dei tentativi per colletti­
vizzare i latifondi e le terre abbandonate dai proprietari che ave­
vano appoggiato il sollevamento dei generali. Ma i latifondi erano
pochi e solo una minima parte della terra coltivata apparteneva a chi
non era rimasto leale alla Repubblica. Ma a parte tutto, per inizia­
tiva della CNT, i contadini di molti paesi assunsero il controllo della
terra che lavoravano e cercarono di formare delle collettivizzazioni.
Analogamente a quanto era successo in Aragona e nella regione
centrale, la CNT organizzò delle federazioni regionali per assistere
individualmente ogni singola collettivizzazione nelle proprie ne­
cessità di produzione e di coordinamento, ma anche le federazioni
avevano i loro limiti. Secondo Aurora Bosch i leader e i militanti
della CNT che sapevano veramente cosa volesse dire collettivizzare
erano davvero troppo pochi. Molte collettivizzazioni non erano
altro che delle cooperative di produttori e consumatori53. Tra le col­
lettivizzazioni che funzionarono efficacemente c’era El Porvenir a
Tabernes de Valldigna, dove Pura Pérez Arcos avrebbe vissuto
negli ultimi mesi di guerra.
Comunque, in ogni modo, a prescindere da quale fosse stato il
modo in cui la collettivizzazione era iniziata, il lavoro veniva nor­
malmente svolto in gruppo ed in modo cooperativo. Nelle colletti­
vizzazioni più piccole tutti i lavoratori si riunivano quotidianamente

52. FRIEND HARDING, Susan: Remaking Ibieca, p. 72. Sulla costituzione


della collettività di Ibieca, si vedano pp. 61-64.
53. BOSCH: “Las colectivizaciones. Estado de la cuestión y aspectos regiona­
les”, in: La II República, pp. 147-68.

157
per discutere quale lavoro doveva essere fatto con più urgenza e
per accordarsi sulla ripartizione dei lavori. Nelle collettività più
grandi invece, i rappresentanti di ogni gruppo di lavoro si riuni­
vano ad intervalli regolari. Le assemblee generali delle collettiviz­
zazioni si tenevano settimanalmente, ogni quindici giorni oppure
con scadenza mensile e trattavano ogni tipo di problema, dall’ora­
rio e dai salari alla distribuzione degli alimentari e del vestiario54.
I traguardi di queste collettivizzazioni furono molto importanti. In
molte zone si mantenne, e persino aumentò, la produzione agricola,
spesso grazie all’introduzione di nuovi sistemi di coltivazione e di
fertilizzazione. A Valencia la UGT e la CNT formarono il CLUEA (Con­
siglio Levantino Unificato di Esportazione di Agrumi), che colletti­
vizzò l’industria dell’esportazione degli agrumi. Anche se la sua pos­
sibilità di operare fu molto limitata a causa delle esigenze di guerra,
della mancanza di esperienza dei lavoratori che lo dirigevano e della
chiusura dei mercati stranieri, coordinò sia la produzione che l’espor­
tazione dell’industria agricola, che era la fonte maggiore di profitto
del paese. In altre parti i collettivisti costruirono dei pollai, delle stalle
ed altri servizi per l’allevamento degli animali della comunità. Le fe­
derazioni delle collettivizzazioni coordinarono la costruzione di
strade, scuole, ponti, canali e canali d’irrigazione. Alcune di queste
costruzioni si conservano ancora e rappresentano il contributo dura­
turo delle collettivizzazioni all’infrastruttura della Spagna rurale55.
Chi partecipò alle collettivizzazioni fece anche in modo di predi­
sporre il trasporto di quello che avanzava nella produzione delle col­
lettivizzazioni più ricche verso quelle che soffrivano di scarsità di
prodotti, e questo avveniva direttamente tra un paese e l’altro, o gra­
zie a dei meccanismi creati dalle delegazioni regionali. La ridistribu­
zione che si riuscì a portare a termine non fu totale: i trasporti e le co­
municazioni in molti casi erano insufficienti, e l’impegno nel

54. Si veda, ad esempio, Actas, Sindacato, Agricolo, Collettivo di Alcañiz, 4 di­


cembre 1936, 4 settembre 1937, AHN/SGC-S, P.S. Aragona: 136.
55. BREITBART, Myrna Margulies: “The Theory and Practice of Anarchist
Decentralism in Spain, 1936-39”, tesi dottorale, Department of Geography, Clark
University, 1977; e Problèmes de la construction et du logement dans la révolu-
tion espagnole, 1936-39 (ed. e trad. Bernard CATLLA), Saillagouse, s.l., Francia,
1976. Gonzalo Mata ed Antonio Alcázar mi hanno fatto vedere durante un’inter­
vista (16 agosto 1981) alcuni canali costruiti dai collettivi della CNT di Vilanova
i la Geltrù.

158
processo di ridistribuzione non si poteva proprio definire unanime.
Ma come diceva Félix Carrasquer prendere coscienza di quello che
stava succedendo era un processo continuo:

C ’era, senza dubbio, chi non voleva condividere e chi diceva che
ogni collettivizzazione si doveva arrangiare per conto proprio. Ma, nor­
malmente, durante le assemblee si convincevano del contrario. Cerca­
vamo di parlargli in modo che fosse facile capirlo. Domandavamo loro:
“Ti sembrava giusto che il cacicco lasciasse morire di fame la gente
quando non c ’era lavoro per tutti?” E rispondevano: “Beh, è chiaro
che non mi sembrava giusto. ” Alla fine cambiavano idea. Non bisogna
dimenticare che c ’erano trecentomila persone che partecipavano alle
collettivizzazioni e che solo dieci mila di loro avevano fatto parte della
CNT. Avevamo molte cose da insegnare56.

Il problema non era semplice. A parte le zone dove c’era già stata
in precedenza un’esperienza di comuniSmo libertario, la collettiviz­
zazione rappresentava un cambiamento notevole nel modo di orga­
nizzare la vita ed, evidentemente, molti contadini avevano delle dif­
ficoltà ad adattarsi al nuovo sistema. Solidaridad Obrera, Nuevo
Aragón, Acracia, Castilla Libre ed altri giornali diretti dalla CNT pub­
blicavano articoli sul funzionamento delle collettivizzazioni e face­
vano appelli al piccolo borghese rurale affinché non avesse paura
della rivoluzione e ai contadini affinché non rimanessero legati alle
antiche maniere di fare le cose, per quanto familiari gli fossero57.
In generale, ed era anche prevedibile, le collettivizzazioni agri­
cole ottennero in misura maggiore rispetto alle collettivizzazioni
industriali l’obiettivo anarchico dell’uguaglianza, per lo meno ri­
spetto ai salari. Sembra che ci fossero fondamentalmente due si­
stemi di pagamento dei salari. Il primo era quello di pagare a tutti i
membri della collettivizzazione una quantità fissa al giorno. L’altro

56. Félix Carrasquer, intervista, Barcellona, 16 febbraio 1979. Vedi anche DE


JONG, Rudolf: “El anarquismo en España”, in: El movimiento libertario español.
Pasado, presente, futuro, Cuadernos de Ruedo Ibérico, (n. speciale 1974), pp. 14-
15; e BOSCH: Colectivistas, p. xlvii.
57. Si veda, ad esempio, “En Motril, en vez de dinero existen bonos de ración”,
Solidaridad Obrera (27 settembre 1936), p. 3; “Los pequeños burgueses no deben
alarmarse”, ibidem (29 agosto 1936), p. 1.

159
era quello chiamato salario familiare, che proporzionava la quantità
del salario alle dimensioni della famiglia per potersi così avvici­
nare all’obiettivo del comunismo libertario “ad ognuno secondo le
proprie necessità”.
Alcune collettivizzazioni pagavano a tutti i lavoratori lo stesso sa­
lario, senza tenere in considerazione il tipo di lavoro svolto. Ad
esempio, quelle di Monzón e di Miramel, in Aragona, pagavano lo
stesso salario sia agli uomini che alle donne. Ma la maggioranza sta­
bilì delle differenze abbastanza importanti tra i salari delle donne e
quelli degli uomini58. Perfino i sistemi di salario familiare include­
vano questa valutazione discriminatoria del lavoro. ¡Adelante!, a Lé­
rida, e El Porvenir, a Valencia, pagavano salari al “capofamiglia”
stabiliti secondo il numero, il sesso e l’età dei membri della famiglia.
A El Porvenir il “capofamiglia” riceveva quattro pesetas al giorno
per sé stesso, una peseta e cinquanta centesimi per la sua compagna,
settantacinque centesimi per ogni figlio con più di dieci anni e cin­
quanta centesimi per ogni figlio più piccolo di questa età59. Alcune
collettivizzazioni dell’Aragona portarono avanti una combinazione
di questi due sistemi. A Fraga, ad esempio, le donne che lavoravano
fuori casa nei lavori tradizionalmente femminili di selezione ed im­
ballaggio dei fichi ricevevano per il loro lavoro la stessa paga gior­
naliera degli uomini. Durante i mesi in cui “si occupavano sempli­
cemente della casa o dell’orto di famiglia” non venivano pagate.
Voleva dire che il salario familiare pagato al marito o al padre riflet­
teva il loro contributo alla collettività in modo indiretto60.
Inoltre sembra essere prevalsa la tradizionale divisione sessuale
del lavoro. Gli atti della collettivizzazione di Lérida, ad esempio, il-

58. A proposito di Monzón e di Miramel, interviste a Matilde Escuder e a Félix


Carrasquer, Barcellona, 16 febbraio 1979. Per una visione generale della questione
dei salari nelle collettività della Catalogna, si veda “L’Enquesta de la Conselleria
sobre la collectivizació de la terra”, Butlleti del Departament d ’Agricultura, 1, n.
3 (dicembre 1936), pp. 21-30; e 2, n. 4 (gennaio 1937), pp. 75-78.
59. L ’informazione sui salari a Lérida proviene da “Certificáis de Treball”,
AHN/SGC-S, P.S. Lérida: 5. Su Tabemes de Valldigna, Valencia, si veda “Co­
lectividad productora El Porvenir, de Tabernes de Valldigna”, (UGT-CNT),
CLUEA, n. 4 (luglio 1937), pp. 11-13, riprodotto in BOSCH: Colectivistas, p. 29.
60. Su Fragua, Valero Chiné, intervista, Fraga, 11 maggio 1979. Sembra che un
piano simile sia stato portato a termine ad Alcañiz. Si veda Actas, Sindacato Agri­
colo Collettivo di Alcañiz (21 novembre 1937), AHN/SGC-S, P.S. Aragona: 136.

160
Dall’Archivio Sara Berenguer
Rivista Mujeres Libres n. 5,
1936 - Sessantacinquesimo
giorno della rivoluzione

Archivio Antonia Fontanillas


Rivista Mujeres Libres n. 6,
1936 - ventunesima settimana
della rivoluzione

Rivista Mujeres Libres n. 7,


1937 - “Con il lavoro e le
armi, noi donne difenderemo
la libertà del popolo ”
Rivista Mujeres Libres n. 8,
Grazie fratelli

mujerer ¡vares
cruzada contra et-
desde for

deludas
en esta
gran
meda

Retro n. 8
Crociata contro l ’analfabetismo

N'úm. 8
Agosto 1936, verso il fronte
Milizieine al fronte

Rosita Lavina, si esercita al tiro


Mentre si sbucciano le patate al fronte si condivide il pane e la lotta

Senza pregiudizi, insieme al fronte


Due anni di lotta”: mostra di Mujeres Libres sulle sue attività
Manifesto dell’Archivio Marina Aguayo
Milizieine anarchiche
*

Iprim i giorni della rivoluzione sociale nelle strade d ’Alcala


Rivista Mujeres Libres n. 9,
L'unità dei lavoratori
sarà la vittoria

Rivista Mujeres Libres n. 6,


19 luglio, due anni dall ’inizio
della rivoluzione
Rivista Mujeres Libres n. 11,
1938

Rivista Mujeres Libres n, 12,


1938
Rivista Mujeres Libres n. 13,
1938
Copertina della rivista “Estudios ” —“Il prezzo del nostro sacrificio sarà il benessere del
mondo” - che Mercedes Comaposada aveva scelto come copertina di un libro
lustrano un’accettazione generale della proposta secondo cui le
norme che riguardavano il lavoro femminile dovessero continuare
ad essere diverse da quelle per il lavoro maschile61.1 dati esistenti
sulle altre collettivizzazioni rivelano risultati simili. In ogni luogo
i lavori domestici ricadevano automaticamente sulle donne. E, ec­
cezion fatta per le collettivizzazioni molto piccole o quelle molto
povere, le donne lavoravano fuori casa solamente in circostanze
speciali, come ad esempio durante il raccolto, quando era richiesta
la maggior manodopera possibile62.
Infine sembra che sia prevalsa la tradizionale divisione sessuale
del lavoro anche nella natura e nel grado di partecipazione alla dire­
zione e alle decisioni all’interno delle collettivizzazioni. Tanto gli
atti di ¡Adelante! quanto le interviste agli uomini anarchici delle altre
collettivizzazioni, rivelano che la presenza della donne nel momento
di prendere delle decisioni per la comunità fu abbastanza limitata.
Dato che non si apprezzava la donna, questi dati non dovrebbero es­
sere considerati indicativi dei livelli di partecipazione femminile.
Ciò nonostante alcune donne dichiararono anche che frequentemente
erano le stesse donne a rimanere in silenzio durante le riunioni, atti­
tudine che attribuivano al fatto che la maggioranza di loro non aveva
quasi l’abitudine di parlare in pubblico. Come vedremo questa sarà
un’altra problematica affrontata da Mujeres Libres.
È possibile, anzi è quasi certo, che le donne lavorassero molto e
che ricevessero per i loro sforzi un riconoscimento minimo o nullo.
Secondo Soledad Estorach ci furono molte collettivizzazioni in
Aragona in cui i primi rappresentanti delle delegazioni del paese fu­
rono delle donne. Perché? Perché gli uomini trascorrevano periodi
molto lunghi fuori casa per seguire l’allevamento. Chi si occupava
veramente giorno per giorno dei problemi del paese erano le donne.
Indubbiamente tutte le fonti indicano questo ruolo da leader delle
donne in questi paesi più come un’eccezione al modello generale
che una norma, una consuetudine.

61. Libro de Actas, entrate del 20 dicembre 1936 e 18 luglio 1937.


62. Per le norme di una collettività di Binéfar, Realizaciones revolucionarias y
estructuras colectivistas de la Comarcal de Monzón (Huesca), Confederación Na­
cional del Trabajo de España, Regional de Aragón, Rioja y Navarra, Cultura y
Acción, 1977, p. 85. Susan C. Bourque e Kay B. Warren parlano di modelli simili
di divisione del lavoro secondo linee di genere in Wornen o f thè Andes, University
of Michigan Press, Ann Arbor, 1981, pp. 114-26.
Ma nonostante tutto, le collettivizzazioni raggiunsero dei grandi
obiettivi. Le donne parteciparono attivamente ad alcune colletti­
vizzazioni rurali e a volte ricoprirono anche posti di responsabilità.
I livelli di libertà personale crebbero straordinariamente. In molte
zone il matrimonio formale sparì, anche se la famiglia tradizionale
continuò a costituire la norma63. Le donne lavoratrici iniziarono
però a muoversi autonomamente.

Consolidamento politico e controrivoluzione


Nessuno studio sulla rivoluzione sociale sarebbe completo se non
prendesse in considerazione il contesto politico in cui ebbe luogo, sia
nazionale che intemazionale, e l’impatto che i cambiamenti ebbero,
all’interno di questo contesto, sul percorso della stessa rivoluzione.
Ho già precedentemente detto che la ribellione significò il collasso
effettivo del potere governativo ufficiale. Nelle principali roccaforti
della Repubblica, le organizzazioni operaie vittoriose assunsero ra­
pidamente la responsabilità dell’istituzione dell’ordine pubblico.
Nella maggior parte delle città le istituzioni formali di governo ven­
nero sostituite dalle Delegazioni delle Milizie Antifasciste, che erano
composte dai rappresentanti dei diversi partiti e dalle organizzazioni
operaie attive nella comunità. Il risultato di questa situazione fu il
tentativo di riflettere nelle istituzioni politiche l’unità di proposito e
di lotta che si era verificata nelle strade.
Ma nonostante tutto, la trasformazione politica non fu totale.
Anche se queste delegazioni assunsero la direzione formale della
vita della comunità a livello locale, le istituzioni precedenti non
sempre furono completamente distrutte. In Catalogna, ad esempio,
la Generalitat continuò a funzionare come governo formale della re­
gione, mentre le forze popolari organizzarono la Delegazione Cen­
trale delle Milizie Antifasciste della Catalogna, con rappresentanti
del partito socialista, di quello comunista e di quello repubblicano
regionalista, e delle principali organizzazioni operaie, la UGT e la
CNT, in numero approssimativamente proporzionale alla popola­

63. Vedi PONS PRADES, Eduardo: Un soldado de la República. Memorias de


la guerra civil española, G. del Toro, Madrid, 1974, pp. 93 e ss.; e AHN/SGC-S,
P.S. Barcellona: 1392 e 626.

162
zione che le sosteneva.64 In Aragona si formò il Consiglio d’Ara-
gona, e a Valencia, la Delegazione Esecutiva Popolare. In Aragona,
senza dubbio, contrariamente a quanto avvenne in Catalogna o a
Valencia, non esisteva una struttura di governo formale. La delega­
zione rivoluzionaria governò la regione durante tutta la Guerra ci­
vile. Ciò nonostante, questo breve periodo di “duplice potere” servì
alla fine per consolidare ulteriormente il potere nelle mani del go­
verno65.
Questi cambiamenti politici vennero molto influenzati dal conte­
sto intemazionale in cui si sviluppò la Guerra civile spagnola. La
guerra iniziò nell’estate del 1936, quando Hitler era al potere in
Germania, e finì nella primavera del 1939, poco prima dell’inva­
sione della Polonia da parte della Germania, evento che diede inizio
alla II Guerra Mondiale. I paesi considerati come naturali alleati
della Repubblica spagnola, l’Inghilterra, la Francia (che aveva un
governo di Fronte Popolare) e gli Stati Uniti, adottarono una politica
di “neutralità” per il timore di offendere Hitler e Mussolini e di ap­
poggiare il governo “rosso” spagnolo. Non solo non vollero ven­
dere armi alla Repubblica, ma proibirono anche il commercio di
ogni tipo di materiale che potesse avere un valore strategico. Questa
politica venne applicata in modo straordinariamente incoerente: il
governo “nazionalista” di Franco riuscì nonostante l’embargo a
comprare petrolio e benzina dalle compagnie petrolifere statunitensi.
Ma anche se nell’agosto del 1936 Hitler e Mussolini avevano fir­
mato il “Patto di Non Intervento”, fu subito evidente che non ave­
vano nessuna intenzione di rispettare quelle disposizioni. Negli anni
che seguirono fornirono le armi ai ribelli, il materiale di guerra, le
truppe e appoggio aereo in grande scala, basti ricordare il bombar­
damento aereo della Luftwaffe sulla città basca di Guernica. La Re­
pubblica era effettivamente isolata ed abbandonata. Nei primi giorni
dell’ottobre del 1936 se non fosse stato per l’appoggio dell’Unione
Sovietica e del Messico, quasi sicuramente sarebbe caduta nelle

64. GARCÌA OLIVER, Juan: El eco de los pcisos, Ruedo Ibèrico, Barcellona,
1978, p. 171; ABAD DE SANTILLÀN, Diego: ¿Por qué perdimos la guerra?,
Plaza y Janés, Barcellona, 1977 (El Arca de Papel), pp. 88, 124-125; e LORENZO,
César: Les anarchistes espagnols et le pouvoir, 1868-1969, pp. 102-10.
65. Emma Goldman comunicò le sue paure ed i suoi timori a proposito di que­
sta situazione a molti amici e compagni. Vedi EG a My dear Mark [Mrachny], 3
ottobre 1936, NYPL-EG.

163
mani degli insorti prima della fine di quello stesso anno66.
Ma anche se l’appoggio sovietico fu cruciale per far proseguire
la resistenza, influì anche sul corso della rivoluzione sociale e della
stessa guerra. Stalin appoggiò con decisione la strategia del Fronte
Popolare nel tentativo di costruire un’alleanza con l’Occidente ca­
pitalista contro il fascismo. Aveva quindi l’interesse di minimiz­
zare (se non reprimere) l’aspetto rivoluzionario della Guerra civile
spagnola e di presentarla all’Occidente come una semplice guerra
in cui si scontravano la democrazia ed il fascismo.
Man mano che la guerra andava avanti e l’appoggio dell’Unione
Sovietica diventava ogni giorno più essenziale per la sopravvivenza
della Repubblica, l’influenza del Partito Comunista spagnolo (che
quando era scoppiata la guerra non aveva più di tremila iscritti)
nella politica repubblicana divenne sempre più forte. La politica
del Fronte Popolare incentrata nel suo impegno di vincere la guerra
e di difendere la repubblica democratica, cambiò con il tempo per
arrivare a dominare le alleanze rivoluzionarie operaie. Il PCE e il
PSUC diventarono i rappresentanti della piccola borghesia e dei
piccoli proprietari rurali in opposizione alle organizzazioni operaie
rivoluzionarie. Presto adottarono una politica esplicitamente con­
trorivoluzionaria, opponendosi alle milizie ed alle collettivizzazioni
e sostenendo la protezione della proprietà privata67. Le organizza­
zioni del movimento libertario lottarono per opporsi a queste scelte
politiche ma la pressione fu decisamente molto intensa. Già nel set­
tembre 1936 la CNT faceva notare l’importanza dell’unità antifa­
scista. In un discorso radiofonico tenuto a Madrid, ad esempio, Fe­
derica Montseny dichiarava: “Ora non siamo né socialisti, né
anarchici, né repubblicani, siamo tutti antifascisti, perché sappiamo
tutti che cosa rappresenta il fascismo”68. Verso la fine di quello

66. BOLLOTEN, Burnett: The Spanish Revolution, University of North Caro­


lina Press, Chapel Hill, 1979; BROUÉ, Pierre ed Émile TÉMINE: The Revolution
and the Civil War in Spain; e LITTLE, Douglas: Malevolent Neutrality. The Uni­
ted States, Great Britain, and the Origins o f the Spanish Civil War, Cornell Uni­
versity Press, Ithaca, 1985.
67. Per ulteriori informazioni vedi ACKELSBERG, Martha: “Women and the
Politics of the Spanish Popular Front. Political Mobilization or Social Revolution?”,
International Labor and Working-Class History, n. 30 (autunno 1986), pp. 1-12.
68. “Federica Montseny habla en Madrid ante el micrófono de Unión Radio”,
Solidaridad Obrera (2 setiembre 1936), p. 7.

164
stesso mese tre membri della CNT entrarono a far parte del Consi­
glio della Generalitat di Catalogna, che annoverava già rappresen­
tanti di tutte le organizzazioni operaie e dei partiti politici. Alcuni
giorni dopo il Comitato Centrale delle Milizie Antifasciste venne
sciolto. Appartenere ad un corpo politico era evidentemente un
chiaro abbandono dei principi anarchici tradizionali. Solidaridad
Obrera giustificava questa misura basandosi sulle necessità della
guerra: “In una guerra deve esistere una direzione. Deve essere
creata una delegazione che sia l’unica responsabile delle misure di
carattere militare che si intendono intraprendere. Accanto ai tec­
nici militari deve coesistere una delegazione che faccia in modo
che tutti i lavoratori occupino il loro posto”69.
Per tutto il mese di ottobre, Solidaridad Obrera pubblicò reiterati
appelli alla creazione di un consiglio di difesa nazionale che unisse
tutte le forze antifasciste in un organismo non governativo. Soste­
neva che una politica partitica non fosse adeguata al compito a cui
dovevano far fronte70. Ma gli appelli non trovarono nessun eco su
Largo Caballero, il dirigente socialista che ricopriva allora il ruolo
di presidente del governo. Infine, di fronte all’alternativa di entrare
a far parte del governo o di perdere la possibilità di trovare delle
armi ed il coordinamento della lotta, la CNT cedette.
Quattro rappresentanti della CNT e della FAI accettarono il 2 no­
vembre incarichi ministeriali all’interno del governo di Largo Ca­
ballero, in cambio di una promessa di armi per la Catalogna e con
la speranza di poter preservare gli obiettivi raggiunti della rivolu­
zione. Emma Goldman condivideva con la maggioranza degli anar­
chici non spagnoli la preoccupazione per le conseguenze di questa
decisione. Scrisse in proposito a Rudolf Rocker che aver compiuto
questo passo “lungi da poter aiutare, [ha portato] un danno incredi­
bile ai nostri compagni e al loro lavoro”71. Di fatto, come temeva
Emma Goldman, gli anarchici iniziarono quasi immediatamente a

69. “Es necesario que los trabajadores cooperen en la obra de los camaradas
que ocupan los puestos de responsabilidad”, Solidaridad Obrera (30 settembre
1936), p. 1; articoli relativi a questa tematica apparirono nei giorni 29 settembre e
2 ottobre.
70. “Importantísimo manifiesto de la CNT”, Solidaridad Obrera ( I o ottobre
1936).
71. Goldman a Rudolf, Barcellona, 3 novembre 1936, NYPL-EG.

165
perdere terreno, mentre le forze controrivoluzionarie ottenevano
sempre più controllo sulla politica di governo, sia a livello locale
che nazionale. Il 24 ottobre 1936 la Generalität promulgò un De­
creto di Collettivizzazioni e Controllo Operaio, formalmente dise­
gnato per “normalizzare” le collettivizzazioni, che limitava il po­
tere delle delegazioni del controllo operaio. In novembre i
rappresentanti delle industrie collettivizzate del Gas e dell’Elettri­
cità si lamentavano del fatto che la Generalität avesse proibito al
Comitato Centrale del Controllo Operaio di ritirare i fondi senza
previa autorizzazione della Generalität72. Nel dicembre 1936, le
milizie erano già state militarizzate; si stabilirono subito dei rigidi
controlli sulle collettivizzazioni industriali ed agricole, limitando
il controllo operaio. Come ricorda Emma Goldman gli anarchici si
videro incastrati nel dilemma di cercare di imporre la propria vo­
lontà (come in una dittatura) o di partecipare ad un governo, op­
zioni entrambe riprovevoli. Considerarono la partecipazione il
male minore73.
Da lì a pochi mesi gli interessi politici prevalsero sugli obiettivi
rivoluzionari e l’alleanza politica tolse di mezzo l’alleanza rivolu­
zionaria. A Barcellona le forze comuniste presero l’iniziativa con­
tro gli anarchici ed il POUM, periodo che sarebbe stato poi noto
come “le giornate del maggio” del 1937, attaccando la centrale te­
lefonica che era sotto il controllo della CNT e arrestando (e facendo
letteralmente “sparire”) i dirigenti del POUM. I ministri della CNT
lanciarono per radio un appello ai loro affiliati a lasciare le armi, per
non dare al governo e ai comunisti una giustificazione per un ulte­
riore inasprimento della violenza. Ma questa fu, nel migliore dei
casi, un’azione di contenimento momentaneo; non avevano il po­
tere di cambiare la direzione politica. Alcuni giorni più tardi, in
quella stessa settimana, i quattro ministri presentarono le dimis­
sioni, in segno di protesta rispetto a quanto era successo.
Il governo adottò allora un ruolo ogni giorno più controrivolu­
zionario. Impose delle restrizioni a molte collettivizzazioni indu­

72. Actas, Comité Central de Control Obrer, Gas i Electricitat, 18-19 novem­
bre e 5 dicembre 1936, AHN/SGC-S, P.S. Barcellona: 182
73. Goldman a Senia Rechine, Londra, 23 febbraio 1937; Goldman ad un com­
pagno, Barcellona, 7 dicembre 1936, NYPL-EG; Goldman a Rose Pesotta, 1° feb­
braio 1938, NYPL-RP, Special Corrispondence, Box 10.

166
striali, limitando il controllo operaio in nome della produzione di
guerra. In agosto, alcune truppe sotto il controllo comunista dirette
da Enrique Lister marciarono verso l’Aragona con il proposito di
rovesciare le collettivizzazioni e restituire la terra ai proprietari “ori­
ginali”. Il governò non tardò ad adottare una politica esplicita se­
condo cui “prima la guerra, poi la rivoluzione”74. Anche se molte
collettivizzazioni continuarono a funzionare fino a quando vennero
invase dalle truppe franchiste alla fine della guerra, gli avvenimenti
del maggio 1937 segnarono la fine reale del periodo espansivo della
rivoluzione sociale. Quel sentimento per cui “il mondo stava nelle
nostre mani” era arrivato alla fine.
Gli storici e le persone che parteciparono a questo periodo sto­
rico continuano a discutere sulla validità delle posizioni antagoni­
ste di anarchici e comunisti durante la guerra e la rivoluzione. Molti
fra quelli che sostengono le forze rivoluzionarie hanno suggerito
che la politica del PCE sulla militarizzazione e sulla centralizza­
zione - considerare la guerra principale e prioritaria - indebolì l’en­
tusiasmo degli operai per la lotta e fece sentire loro che non rima­
nevano più molte cose per cui lottare. Goldman descrisse quello
che venne denominato come “tradimento” comunista con termini
molto duri: “So solo che devo gridare contro questa banda assassina
diretta da Mosca che non sta solo cercando di spremere fino l’ul­
tima goccia di vita della rivoluzione e della CNT-FAI, ma che ha de­
liberatamente sabotato, e continua a farlo, il fronte antifascista. Non
conosco un esempio migliore di tradimento. Giuda tradì solo Cristo,
i comunisti hanno tradito un popolo intero”75.
Altri hanno criticato la politica collaborazionista della CNT e so­
stengono che qualsiasi sforzo per portare a termine una guerra ri­
voluzionaria con metodi convenzionali sarebbe stato condannato
alla sconfitta. Gli anarchici e gli altri miliziani avrebbero dovuto
intraprendere una guerra di guerriglia piuttosto che accettare la po­

74 Per un’informazione più approfondita a proposito di questi cambiamenti si


veda BORKENAU, Franz: The Spanish Cockpit, University of Michigan Press,
Ann Ambor, 1963, soprattutto Cap. 2; ORWELL, George: Omaggio alla Catalo­
gna, Caps. 5,7-12; CHOMSKY, Noam: “Obiettività e cultura liberale”, in Innovi
mandarini: gli intellettuali e il potere in America, Einaudi, Torino, 1977, soprat­
tutto pp. 72-158; e BOLLOTEN: The Spanish Revolution.
75. Goldman a Ethel Mannin, 18 novembre 1937, NYPL-EG.

167
litica di militarizzazione del PCE76. In molta corrispondenza pri­
vata Emma Goldman si trovava d’accordo con queste critiche alla
CNT, anche se pubblicamente preferì difendere le azioni definen­
dole le migliori tra le varie opzioni “riprovevoli”. Frequentemente
infatti si rivolse pubblicamente ai suoi compagni dell’Europa e
degli Stati Uniti cercando di ammorbidire le critiche nei confronti
della politica della CNT77. Un dato interessante è che Mariano Và-
squez e Pedro Herrera, rispettivamente segretari della CNT e della
FAI, le scrissero nel gennaio del 1938 per chiederle di attenuare le
sue critiche verso il comportamento del Partito Comunista e del go­
verno: “Parlare continuamente all’estero dei cattivi comportamenti
e delle azioni dei comunisti e del governo Negrfn ci fa circondare da
un’atmosfera di indifferenza [...] verso i nostri problemi. [...] Il pro­
letariato mondiale si domanderà: “Perché dobbiamo aiutare la Spa­
gna antifascista se il suo governo appoggia queste persecuzioni [...]
peggiori di quelle di qualsiasi altro governo borghese?”78.
Infine, le persone che approvano la posizione del PCE sosten­
gono che le forze che assediavano la Repubblica erano così potenti
che le posizioni del POUM, della CNT e dei socialisti di sinistra sulla
rivoluzione e sulla guerra fossero quantomeno stravaganti: era ne­
cessario dedicare tutti gli sforzi alla guerra per poter avere almeno
una speranza di sconfiggere le forze ribelli79. Alla fine della guerra,

76. FRASER: Blood o f Spain, pp. 321-47; RICHARDS, Vernon: Insegnamenti


della Rivoluzione spagnola, 1936-1939 , Vallera, Pistoia, 1974; GARCÍA OLI­
VER: El eco de los pasos, Cap. 3; e “Actas del pleno nacional de regionales, CNT,
septiembre 1937”, pp. 21 e ss., IISG/CNT, Plico 48A.
77. Goldman alia Dutch Pacifist, Wim Jong, 10 febbraio 1937, NYPL-EG;
Goldman a Mollitchka [Mollie Steimer], 19 gennaio 1937, IISG/EG, n. 20094;
discorso della Goldman al Congresso Straordinario di Parigi dell’AIT, dicembre
1937, NYPL-RP, Special Correspondence, Box 10; e Goldman a Max Nettlau, 9
maggio 1937, Labadie Collection, University of Michigan (Federico Arcos, che è
la persona che ha donato questo materiale alla Labadie Collection, me ne ha fatto
avere una copia).
78. Mariano R. Vàsquez, per il Comité Nacional della CNT, e Pedro Herrera,
per il Comité Peninsular della FAI, a Emma Goldman, 11 gennaio 1938, IISG/EG,
19187. Sono molto riconoscente ad Alice Wexler per aver richiamato la mia at­
tenzione su queste lettere. Vedi WEXLER: Emma Goldman in Exile, Beacon
Press, Boston, 1989, soprattutto Cap. 9.
79. THOMAS, Hugh: Storia della guerra civile spagnola, Einaudi, Torino,
1963. JACKSON, Gabriel: The Spanish Republic and the Civil War, 1931-39;

168
infatti, Vàsquez scrisse a Emma Goldman che se la CNT aveva com­
messo un errore era stato quello di essere stata “troppo rivoluzio­
naria”. “Se il 19 luglio invece di dedicarci alle collettivizzazioni ed
alla Rivoluzione ci fossimo concentrati su di una Repubblica bor­
ghese il capitalismo internazionale non si sarebbe spaventato ed
avrebbe deciso di appoggiare la Repubblica. [...] Non dovevamo
assolutamente fare la Rivoluzione prima di aver vinto la guerra”80.
Ma nonostante tutto non è ancora chiaro il fatto che sia stata la po­
litica controrivoluzionaria del PCE e del governo a segnare la defi­
nitiva differenza nel risultato della guerra. Di fatto, nessuna delle
argomentazioni precedenti dà sufficiente valore al quadro intema­
zionale in cui si sviluppò. Franco e i ribelli potevano contare sull’ap­
poggio diretto di Hitler e di Mussolini e su quello indiretto degli
Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia, che negarono il loro
intervento alla Repubblica e che distoglievano invece lo sguardo
quando le loro società commerciali vendevano prodotti di valore
strategico ai ribelli. Da parte della Repubblica l’aiuto dell’Unione
Sovietica fu senza dubbio cruciale; ma, lasciando da parte il prezzo
che i repubblicani pagarono in cambio di questo - economicamente
e strategicamente parlando, non avrebbe mai potuto compensare gli
aiuti che a piene mani arrivavano al campo degli insorti. Per molti
aspetti la Guerra civile spagnola fu decisa realmente dal contesto
intemazionale, anche se fu il popolo spagnolo a soffrire fisicamente
ed emozionalmente la violenza della lotta e gli anni di repressione
che ne seguirono81.

Riassumendo, la rivoluzione e la guerra offrirono alle donne ed

MALEFAKIS, Edward: “Revolution and Counterrevolution”, conferenza-dibat­


tito, conferenza “ 1936-1986 From the Civil War to Contemporary Spain, Per­
spective on History and Society”, Center for European Studies, Harvard Univer­
sity, 14-16 novembre 1986.
80. Vásquez a Goldman, Parigi, 21 febbraio 1939; 5 marzo 1939, IISG, Rocker
Archives, file 107.
81. A proposito del periodo franchista vedi STEIN, Louis: Beyond Death and
Exile. Spanish Republicans in France, Harvard University Press, Cambridge,
1979; FALCON, Lidia: Los hijos de los vencidos, 1939-1949, Pomaire, Barcel­
lona, 1979; O ’NEILL, Carlota: Trapped in Spain (trad. Leandro Garza), Solidarity
Books, Toronto, 1978; e TUSELL, Javier: Los hijos de la sangre. La España dè
1936 desde 1986, EspasaCalpe. Madrid, 1986.

169
agli uomini nuove e straordinarie opportunità di partecipazione alla
vita sociale e la possibilità di acquisire una più grande consapevo­
lezza delle proprie capacità e della possibilità di un cambiamento
sociale. Ma ciò nonostante, gli effetti a lungo termine della guerra
misero a dura prova molti di questi traguardi. Oltre alla carenza di
generi alimentari e di materie prime e gli sconvolgimenti sociali ed
economici causati dal conflitto, la continua “guerra civile all’in­
terno della guerra civile” pose dei limiti alla rivoluzione sociale.
Nei primi mesi di guerra soprattutto, molte organizzazioni e
molti individui aspirarono alla creazione di una società veramente
rivoluzionaria ed egualitaria. Questi obiettivi spronarono in gene­
rale le attività delle organizzazioni del movimento anarchico ed
anche di Mujeres Libres. Ma la situazione bellica limitò in modo
importante quello che sarebbero state capaci di ottenere. Nei capi­
toli che seguono, analizzerò come si sviluppò Mujeres Libres a par­
tire da questa cornice rivoluzionaria e come, a sua volta, la in­
fluenzò e come da questa venne influenzata.

170
Capitolo IV
La fondazione di Mujeres Libres

Nella Spagna antifascista l’attività rivoluzionaria raggiunse il


suo apogeo durante i primi mesi della Guerra civile, germoglian­
do nel terreno che nei settantanni precedenti era stato preparato
dal movimento anarchico e socialista. Mujeres Libres nacque da
questa preparazione e dalle trasformazioni sociali della Repub­
blica. Anche se la federazione nazionale si formò ufficialmente
solamente nel 1937, la rivista fece la prima comparsa nel maggio
del 1936. La pubblicazione della rivista venne preceduta da più
di due anni di organizzazione attiva fra le donne anarchiche, spe­
cialmente a Madrid, a Barcellona e nelle loro periferie. Le fon­
datrici di Mujeres Libres erano tutte militanti del movimento
anarco-sindacalista. Erano però convinte che le organizzazioni
del movimento fossero inadeguate ad affrontare i problemi spe­
cifici con cui le donne dovevano confrontarsi, sia all’interno
dello stesso movimento sia in generale nella società. Questo
Capitolo fa una panoramica delle loro esperienze all’interno del
movimento, degli sforzi organizzativi preliminari e della forma­
zione di un’organizzazione che avrebbe lottato esplicitamente
per l’emancipazione della donna.

Il movimento anarco-sindacalista
e la subordinazione delle donne

Tutti i compagni, tanto radicali nei caffè, nei sindacati e perfino nei
gruppi [FAI], sono soliti lasciare fu o r i dalla p orta di casa il ruolo di

171
amanti della liberazione femminile e si comportano con la propria com­
pagna, una volta dentro casa, come dei volgari “mariti”1.

Nonostante i forti vincoli e il sentimento di comunità che le donne


militanti svilupparono grazie alla loro partecipazione ai sindacati,
agli atenei ed ai gruppi giovanili, perfino le più militanti dichiara­
rono che i loro amici uomini non sempre le trattavano con rispetto. Le
esperienze cambiavano ma il messaggio rimaneva lo stesso, nono­
stante il loro impegno per l’uguaglianza, i ragazzi /uomini non trat­
tavano le ragazze/donne come loro simili. “È vero che abbiamo lot­
tato tutti insieme - ricordava Enriqueta di aver detto ai suoi compagni
maschi delle Juventudes e dell’ateneo -, ma siete sempre voi ad avere
l’ultima parola; e siamo sempre noi che alla fine dobbiamo sotto­
metterci. Ormai non si tratta più solamente di una lotta esterna, è una
lotta da condurre anche in casa. Siamo poco più che delle schiave”1 2.
Le donne che militarono nei sindacati della CNT o che presero
parte agli atenei o ai gruppi della FUL costituivano sempre una mi­
noranza. I loro sforzi per far incorporare altre donne nel nucleo cen­
trale degli attivisti non sembrarono dare nessun risultato, forse per
il sessismo degli uomini, forse per la timidezza delle donne o per
una combinazione di entrambe le cose. Alcuni di questi racconti ci
possono aiutare a ricostruire l’ambiente dell’epoca.
I genitori di Azucena Fernández Barba, nipote di Abelardo Saa­
vedra, erano profondamente impegnati nel movimento e lei, le sue
sorelle e suo fratello collaborarono alla fondazione dell’Ateneo Sol
y Vida di Barcellona, ma, come racconta parlando della sua espe­
rienza, “all’interno delle loro case, [gli uomini] ignoravano com­
pletamente la lotta delle donne”.

È la stessa cosa, per usare un ’analogia, di un uomo ossessionato dal


gioco delle carte. Esce a giocare a carte, e non gli importa di quello che

1. KIRALINA [Lola Iturbe]: “La educación social de la mujer”, Tierra y Li­


bertad, 1, n. 9 (15 ottobre 1935), p. 4.
2. Enriqueta Rovira, intervista, Castellnaudary, 28 dicembre 1981. Per avere
una visione contemporanea, si veda EVANS, Sara: Personal Politics. The Roots
o f Women’s Liberation in the Civil Rights Movement and the New Left, Knopf,
New York, 1979; e KAYTRIMBERGER, Ellen: “Women in the Old and the New
Left. The Evolution of a Politics of Personal Life”, Feminist Studies, 5 (autunno
1979), pp. 432-50.

172
succede dentro casa. Lo stesso con noi, solo che non si trattava delle
carte, ma delle idee. Gli uomini lottavano, organizzavano gli scioperi...
ma in casa era peggio che non fa r niente. Penso che avremmo dovuto
dare un esempio con le nostre vite, avremmo dovuto vivere in modo di­
verso in accordo con quanto dicevamo e con quanto volevamo. Ma no,
[per loro] la lotta doveva essere condotta fuori. In casa, [i nostri desideri]
erano puramente utopici3.

Pepita Carpena, che da molto tempo era attiva nelle Juventudes


di Barcellona, mi raccontò una delle sue esperienze con un compa­
gno delle Juventudes che può essere rappresentativa di tutte le sto­
rie che ho ascoltato:

Ho un aneddoto... Quello che mi ha salvato è stato avere un carattere


abbastanza espansivo, vero?, e non mi vergogno di rispondere a nessuno.
Una volta arriva uno, un compagno delle Juventudes, e mi dice: “Guarda,
tu che dici di essere tanto liberata - affinché ti renda conto della menta­
lità degli uomini - tu che ti credi tanto liberata, tu non sei liberata, perché
io adesso, se ti chiedo di darmi un bacio, so che non me lo dai”.
Io rimasi a guardarlo pensando a come poter fare per uscire da quella
situazione. Ed allora gli dissi: “Ascolta, quando voglio andare a letto con
un ragazzo, sono io che lo devo scegliere. Io non vado con chiunque. Tu
non mi interessi come uomo. Come uomo, almeno per adesso, per te non
sento nulla. Perché vuoi che per sentirmi “liberata” come tu dici, venga
a letto con te? Questa non è una liberazione. Per me, questo è fare
l ’amore così, tanto per fare qualcosa. No - gli dissi -, l ’amore è una cosa
che deve essere come il mangiare; se ne hai voglia, mangi, e se hai voglia
di andare a letto con uno, beh, allora... Io, oltretutto, guarda, ti dirò una
cosa che ti potrà anche dare un p o ’ di fastidio - e questo lo feci di pro­
posito -, hai una bocca che non mi attrae... e non mi piace fare l ’amore
senza baciare sulla bocca. ”
Rimase pietrificato! Feci questo con una doppia intenzione, perché vo­
levo anche dimostrargli che non è così che si educano le compagne. In
Spagna la lotta delle compagne nei confronti degli uomini del loro stesso
ambiente politico è stata così. E non ti dico come era con gli altri uomini,
per carità!4.

3. Azucena Fernàndez Barba, intervista, Perpignan, Francia, 27 dicembre 1981.


4. Pepita Carpena, intervista, Montpellier, Francia, 30 dicembre 1981.

173
La convinzione che l’interesse per l’uguaglianza tra l’uomo e la
donna non si riflettesse nelle relazioni personali ed intime era dif­
fusa fra le donne con cui ho avuto l’opportunità di parlare. Ma
quello che le preoccupava maggiormente era che molti uomini sem­
bravano non prenderle sul serio nemmeno nell’ambito pubblico­
politico. Pura Pérez Arcos, ad esempio, che aveva frequentato la
scuola razionalista diretta da Puig Elias nel quartiere del Clot, a
Barcellona, e che aveva fatto parte delle Juventudes di questa città,
spiegò che quando le ragazze andavano alle riunioni delle Juven­
tudes, spesso i ragazzi ridevano di loro ancor prima che parlassero.
Pura conobbe Soledad Estorach a Barcellona e le parlò della sua
esperienza. A Soledad Estorach sembrò esagerato e volle vederlo
con i suoi occhi. E risero in faccia pure a lei5.
Questi comportamenti ed atteggiamenti riflettevano alcuni dei
diversi punti di vista che si erano sviluppati col passare degli anni
nel movimento anarchico spagnolo sul ruolo che la donna avrebbe
dovuto occupare all’interno della società ed all’interno del movi­
mento rivoluzionario. Come abbiamo visto, queste opinioni oscil­
lavano da un’accettazione proudhoniana dello status secondario
delle donne, all’enfasi bakuniniana per cui le donne dovevano es­
sere uguali agli uomini e trattate come tali in tutte le istituzioni so­
ciali. Anche se quest’ultima posizione venne adottata dal movi­
mento anarchico spagnolo fin dal 1872, l’effettivo contributo delle
donne alla lotta sociale raramente era riconosciuto e la CNT si mo­
strò, nel migliore dei casi, negligente nell’impegno di organizzare
le operaie. La situazione era decisamente peggiore all’interno della
casa. Praticamente tutte le persone che ho intervistato si sono la­
mentate del fatto che, indipendentemente da quanto militanti fos­
sero stati per strada, anche gli anarchici più impegnati ambivano
ad essere i “padroni” delle loro case; lamentela di cui si fecero por­
tavoce in questo periodo molti articoli pubblicati nei giornali e nelle
riviste del movimento.
Sembra che l’opinione per cui il ruolo adeguato della donna
fosse quello di madre e sposa fosse condivisa anche da qualche
anarchica. Matilde Piller, ad esempio, in un articolo pubblicato su
Estudios nel 1934, affermava che l’emancipazione della donna era
incompatibile con il suo ruolo di madre: “Non si può essere una

5. Pura Pérez Arcos, intervista, Windsor, Ontario, 19 dicembre 1984.

174
buona madre - nel senso stretto della parola - ed allo stesso tempo
una buona avvocata o una buona chimica. Forse è possibile essere
contemporaneamente intellettuale e donna, ma madre, no”6. Questo
punto di vista era sicuramente condiviso dagli uomini. Nel 1935, ad
esempio, in un articolo in cui veniva denunciata la mancanza di in­
teresse delle donne verso la propria emancipazione (ed in cui si di­
fendeva il movimento dalle proteste delle donne che lo accusavano
di non fare il necessario per affrontare la subordinazione femmi­
nile), Montuenga affermava che “la donna si troverà sempre dalla
parte bella della vita, ed è quello che deve essere nella realtà: una
compagna adorabile, che giorno per giorno ci consola e ci rende
più forti, e una madre affettuosa per i nostri figli”7.
Ma l’opinione ufficiale della CNT era che le donne erano uguali
agli uomini e che da uguali dovevano essere trattate sia all’interno
delle mura domestiche che nel movimento. Il Congresso di Sara­
gozza del maggio del 1936 formulò chiaramente la posizione egua­
litaria. Nel “Consiglio sul “Concetto confederale del comuniSmo
libertario””, che è fino a quel momento la spiegazione più detta­
gliata della visione costruttiva della CNT, troviamo affermato
quanto segue: “Siccome la prima misura della rivoluzione liberta­
ria consiste nell’assicurare l’indipendenza economica a tutti gli es­
seri umani, senza alcuna distinzione di sesso, l’interdipendenza
creata, per ragioni di inferiorità economica, dal regime capitalista
tra l’uomo e la donna sparirà con esso. Si intende, pertanto, che i
due sessi saranno uguali, tanto nei diritti quanto nei doveri”8.
Senza dubbio, accettare l’opinione secondo cui le donne erano
sfruttate economicamente e la loro subordinazione doveva essere
uno dei punti centrali dell’attenzione di un movimento anarchico ri­
voluzionario non voleva dire che si trovassero tutti d’accordo sulla
natura dello sfruttamento o su quale fosse il metodo migliore per
superarlo. Molti sostenevano che le donne dovevano contribuire alla
propria emancipazione appoggiando i rivoluzionari di sesso ma-

6. PILLER, Matilde: “¿Adónde va la mujer?”, Estudios, n. 133 (settembre


1934), pp. 18-19. Mary Berta espose un argomento simile in “La verdadera
madre”, Estudios, n. 121 (settembre 1933), pp. 40-41.
7. MONTUENGA: “Consideraciones sobre la mujer”, Solidarìdad obrera (4
settembre 1935), p. 4.
8. CNT: El congreso confederai de Zaragoza. 1936, Zero, Madrid, 1978 (Bi­
blioteca Promoción del Pueblo), p. 237.

175
schile. Altri, che probabilmente rappresentavano la maggioranza
all’interno del movimento, negavano che le donne fossero oppresse
tanto da avere bisogno di una particolare attenzione. Federica Mont-
seny riconosceva che “l’emancipazione della donna [era un] mas­
simo problema dei tempi presenti.” Ma affermava che l’oppressione
della donna era una manifestazione di fattori culturali (inclusa la sua
bassa autostima) che non sarebbero stati risolti con una lotta orga­
nizzativa9. Facendosi portavoce delle tesi sostenute da Emma Gold­
man, insisteva nella natura interna della lotta, ossia, solo quando le
donne avessero avuto rispetto per se stesse, avrebbero potuto effet­
tivamente esigere un analogo rispetto da parte degli uomini. Con­
cordava con altri autori anarchici, sia uomini che donne, che l’obiet­
tivo non era essere uguali agli uomini all’interno del sistema
esistente, ma una ristrutturazione della società che avrebbe liberato
tutti. “Femminismo? Mai! Umanesimo, sempre!” 101.
Il femminismo rappresentava, effettivamente, un’altra prospet­
tiva di come le donne avrebbero potuto raggiungere meglio l’ugua­
glianza. Anche se il femminismo tardò abbastanza a mettere le sue
radici in Spagna (la prima organizzazione femminista indipendente,
l’Associazione Nazionale delle Donne Spagnole, venne fondata nel
1918 ed ebbe un impatto minimo o nullo sulle donne della classe
operaia)1*, le analisi femministe della subordinazione delle donne e
le strategie per l’emancipazione attrassero molte critiche da parte
degli anarchici. Federica Montseny fu probabilmente, fra gli anar­
chici spagnoli, la più diretta nelle sue critiche rivolte al femmini­

9. MONTSENY, Federica: “La mujer: problema del hombre”, La Revista


Bianca (febbraio-giugno 1927); si veda anche NASH, Mary: “Dos intelectuales
anarquistas frente al problema de la mujer. Federica Montseny y Lucía Sánchez
Saornil”, in: Convivium, Università di Barcellona, Barcellona, 1975, pp. 74-86.
10. MONTSENY, Federica: “Feminismo y humanismo”, La Revista Bianca,
2, n. 33 ( I o ottobre 1924); si veda anche “Las mujeres y las elecciones inglesas”, La
Revista Blanca, 1, n. 18 (15 febbraio 1924). Per una diversa interpretazione del
pensiero della Montseny, si veda FREDERICKS, Shirley: “Feminism. The Essen-
tial Ingredient in Federica Montseny’s Anarchist Thought”, in: European Women
on thè Left (ed. SLAUGHTER y KERN), pp. 125-45, soprattutto pp. 127-35.
11. Vedi SCANLON, Geraldine: La polémica feminista en la España contem­
poránea (1868-1974), pp. 195-209; e GONZÁLEZ<CALBET, María Teresa: “El
surgimiento del movimiento feminista, 1900-1939”, in: El feminismo en España.
Dos siglos de historia (ed. Pilar FOLGUERA), Pablo Iglesias, Madrid, 1988, pp.
51-56.

176
smo. Sosteneva che il femminismo difendeva l’uguaglianza delle
donne ma non affrontava le istituzioni esistenti: “Femminismo, pa­
rola applicabile solamente alle donne ricche, perché le povere non
sono mai state femministe; né tantomeno si permetterebbe loro di
esserlo!” 12. I privilegi sono ingiusti, e “se sono ingiusti approfit­
tandone come uomini, lo sarebbero anche in quanto donne” 13.
Inoltre le femministe spagnole sostenevano (come le femministe
di altri paesi) che le donne fossero più pacifiche degli uomini e che
se fosse data loro l’opportunità avrebbero governato in un modo
più giusto. Ma Montseny ed altri anarchici spagnoli criticarono de­
cisamente questa posizione: “né la crudeltà né la dolcezza sono pa­
trimonio di un sesso specifico. Sono la forza dell’autorità ed il pre­
dominio ciò che insuperbisce ed irrita l’uomo. E le stesse cause
produrrebbero identici effetti [nelle donne]” 14. Le donne non erano
per natura più amanti della pace degli uomini, nello stesso modo in
cui gli uomini non erano per natura più aggressivi delle donne. En­
trambi i temperamenti erano un prodotto del condizionamento so­
ciale. L’unico modo per mettere fine al dominio degli uomini sulle
donne era affrontandolo come parte della lotta più generale per met­
tere fine a tutte le forme di dominio. Il femminismo come strategia
per l’emancipazione della donna aveva un approccio molto ri­
stretto; la lotta fra sessi non poteva essere separata dalla lotta di
classe o dal progetto anarchico nel suo insieme.
Una piccola minoranza all’interno del movimento affermava, in­
vece, che le donne si trovavano ad affrontare forme di subordina­
zione soprattutto sessuali che richiedevano un’attenzione speciale.
Molte fra queste persone (sia uomini che donne) ritenevano che la
lotta per superare questa subordinazione aveva iniziato ad essere
affrontata all’intemo della CNT, della FAI, delle Juventudes, degli
atenei e delle altre organizzazioni del movimento, e che era neces­
sario continuasse in questi stessi ambiti. Chi condivideva questa

12. MONTSENY: “La falta de idealidad en el feminismo”, La Revista Blanca,


1, n. 13(1° dicembre 1923), p. 3.
13. MONTSENY, Federica: “Feminismo y humanismo”, La Revista Blanca, 2,
n. 33 ( I o ottobre 1924).
14. MONTSENY: “La falta de idealidad en el feminismo”, p. 4; si veda anche
GOLDMAN, Emma: “Il suffragio femminile”, e “La tragedia dell’emancipa­
zione femminile”, in: Anarchia, femminismo e altri saggi, La Fiaccola, Ragusa,
1996.

177
opinione riteneva che, considerato l’impegno del movimento
nell’azione diretta e nell’ordine spontaneo, le stesse organizzazioni
in cui si vivevano questi dilemmi fossero anche i luoghi adatti dove
portare le lotte alle loro conclusioni logiche. Così, Igualdad Ocana,
che era cosciente del modo in cui i contributi delle donne erano
stati sottovalutati dalle organizzazioni del movimento, sosteneva
che “se uomini e donne non sono di comune accordo, non potranno
mai ottenere che la società vada per il giusto cammino del supera­
mento. Il lavoro deve essere portato avanti all’unisono. Dobbiamo
lottare per essere rispettate e per poter lottare in tutti i campi al lato
dell’uomo” 15. Si opponevano al fatto che esistessero organizza­
zioni separate per donne che avessero come obiettivo affrontare tali
problemi, e supportavano la loro posizione con la tesi anarchica
dell’unità dei mezzi e dei fini.
Quelli che si opponevano alle organizzazioni autonome delle
donne aggiungevano che l’anarchismo era incompatibile non solo
con forme gerarchiche d’organizzazione, ma anche con qualsiasi
organizzazione indipendente che avrebbe potuto minare l’unità del
movimento. Dato che la meta del movimento anarchico era la crea­
zione di una società egualitaria in cui gli uomini e le donne si sa­
rebbero relazionati da uguali, la lotta per il suo raggiungimento
aveva bisogno della partecipazione congiunta di uomini e donne
come compagni uguali. Temevano che una organizzazione dedi­
cata specificatamente a mettere fine alla subordinazione delle
donne avrebbe sottolineato più le differenze fra i sessi che le loro si­
militudini e avrebbe reso più difficile il raggiungimento di un obiet­
tivo rivoluzionario egualitario.

Organizzando le donne: i primi passi

Lentamente, le donne di diversi ambiti del movimento inizia­


rono a discutere il tema della specifica subordinazione che subi­
vano al suo interno e a muovere i primi passi per organizzarsi con
lo scopo di superarla. In alcuni paesi industriali della Catalogna già
negli ultimi anni della Dittatura iniziarono a formarsi dei gruppi di
donne. A Terrassa, ad esempio, un gruppo di operaie, tutte membri
del sindacato tessile della CNT in clandestinità (durante la Dittatura

15. Igualdad Ocaña, intervista, Hospitalet, (Barcellona), 14 febbraio 1979.

178
di Primo de Rivera la CNT era stata dichiarato illegale), iniziarono
a riunirsi nel 1928 presso il Centro Culturale e Cooperativo della
FAI. Il loro proposito era di abituarsi a parlare in pubblico e impa­
rare a discutere fra di loro i temi (lavoro, salari...) che avrebbero
voluto sollevare durante le assemblee del sindacato. Il risultato di
queste riunioni, ricorda Teresina Torrelles, membro del gruppo, fu
che già nel 1931 il sindacato incorporò fra le sue petizioni il diritto
della donna ad un salario uguale a quello dell’uomo per il mede­
simo lavoro e otto settimane remunerate come congedo per la ma­
ternità. Anche se questo gruppo poteva appena fare affidamento sui
mezzi necessari per “preparare” integralmente le donne, contribuì
in modo decisivo allo sviluppo ideologico delle lavoratrici. Quando
nel 1936 iniziarono la guerra e la rivoluzione, le donne di Terrassa
erano pronte ad agire: nei primi giorni di combattimento organiz­
zarono una clinica ed una scuola per infermiere16.
A Barcellona, verso la fine del 1934, dopo il fallito tentativo
della rivoluzione d’ottobre, si formò un gruppo denominato Gruppo
Culturale Femminile, CN T17. Questa organizzazione fece confluire
donne che facevano parte dei sindacati della CNT ed aveva come
obiettivo fomentare fra di loro un senso di solidarietà e permettere
loro di svolgere ruoli più attivi tanto all’interno del sindacato
quanto del movimento. Lucía Sánchez Saornil, scrittrice e poetessa,
e Mercedes Comaposada, avvocata, intrapresero a Madrid un’ini­
ziativa simile. Lucia era stata attiva nei circoli libertari di Barcel­
lona e voleva costruire un’organizzazione dedicata all’istruzione
delle donne. Lo propose a diversi sindacati, ma sembra che questi
non dimostrarono il benché minimo interesse. Così lasciò Barcel­
lona ed andò a Madrid, dove conobbe Mercedes Comaposada18.

16. Teresina Torrelles, intervista, Montady, 29 aprile 1988.


17. La CNT e la UGT avevano tentato un sollevamento congiunto nell’ottobre
del 1934 come protesta contro la politica reazionaria del governo. Nella maggior
parte delle regioni la rivolta fallì soprattutto a causa della mancanza di comunica­
zione e di cooperazione. Indubbiamente nelle comunità minerarie delle Asturie i
minatori della UGT e della CNT avevano coordinato le loro attività e, di fatto,
presero vari paesi e città prima di venire schiacciati dalle truppe arabe che il go­
verno aveva richiamato. La rivoluzione d’ottobre diventò negli anni successivi un
modello per l’unità del proletariato e un appello all’organizzazione della classe
operaia. Vedi SHUBERT, Adrian: The Road to Revolution in Spain.
18. Intervista a Pura Pérez Arcos, Windsor, 16 dicembre 1984, e Mercedes Co­
maposada, Parigi, gennaio 1982 e aprile 1988.

179
Mercedes aveva iniziato ad occuparsi di politica di sinistra fin da
molto giovane. Suo padre era emigrato a Barcellona dall’Aragona
rurale quando era ancora un adolescente per fuggire dalla povertà
più estrema, imparare un mestiere e trovare un lavoro. Divenne cal­
zolaio, ma fu soprattutto un “lavoratore culturale”. Imparò da solo
il francese e il tedesco e fu il corrispondente spagnolo de L ’Huma-
nité. Mercedes ricordava che si alzava alle quattro o alle cinque di
mattina per studiare, e che prendeva in giro i figli perché dormi­
vano molte ore. C’era sempre movimento in casa, gente che en­
trava e che usciva: “La mia povera mamma era una vittima. Non sa­
peva mai chi sarebbe venuto e quando.”
Le sue attività, e il suo esempio, lasciarono una traccia profonda
in Mercedes: “Mio padre, che era socialista, mi inculcò un forte
senso di umanità. Andai ad una scuola media, che per quei tempi
era una cosa davvero eccezionale. Avevo un maestro meraviglioso.
Un giorno il maestro mi prese da parte e mi disse: ‘Un giorno forse
sentirai dire che tuo padre è in carcere, e se questo dovesse succe­
dere, voglio che tu sappia che non è perché sia un ladro, ma perché
si preoccupa davvero per gli operai’”.
Mercedes a dodici anni sapeva già battere a macchina ed iniziò
a lavorare presso un’impresa cinematografica, dove imparò a mon­
tare i film. “Tutte le persone erano della CNT, e così lo diventai
anch’io. La mia prima tessera sindacale fu quella del cinema.”
Negli anni 1916 e 1917 studiò a Madrid. Sembra che fu in questo
momento quando iniziò a prendere coscienza della difficile situa­
zione delle donne e dei lavoratori. “Vissi per un periodo a Madrid,
dove la condizione delle donne era pessima, molto peggiore rispetto
a quella catalana. Mi colpì molto la CNT. Era così diretta, così sen­
sata. Inoltre lavoravano con un proletariato che era - se mi per­
mette l’espressione, non lo dico in senso dispregiativo - meno pre­
parato di quello della UGT. Fu così che mi affiliai.”
Nel 1933, mentre studiava Diritto a Madrid, Orobón Fernández
la invitò a tenere delle lezioni per gli operai. In questa riunione, a
cui assistette anche Lucía Sánchez Saornil, Mercedes si trovò fac­
cia a faccia con quel pregiudizio negativo con cui anche i militanti
della CNT vedevano le donne. Sia lei che Lucia si sentirono fru­
strate ed inorridite19.

19. Si veda il Capitolo II.

180
U scimm o fuori, Lucía ed io. Ci m ettem m o subito d ’accordo. Per a l­
cuni m esi ci incontram m o nel Parco del Retiro, ci sedevam o su una p a n ­
china, parlavam o, passeggiavam o un p o ’... Allora, nel 1935, iniziam m o
a m andare in giro delle lettere. Lucia lavorava p e r il sindacato dei fe r r o ­
vieri e aveva accesso alle liste di tutti i “gruppi di donne ” di affiliazione
anarco-sindacalista (sia quelle che lavoravano all ’interno del sindacato
che quelle che invece lavoravano al di fuori). Scrivem m o a tutti i gruppi
della lista e a tutti quelli che conoscevam o. D om andavam o quali argo­
m enti gli sem bravano im portanti, su quali avrebbero voluto avere p iù
inform azioni... E, soprattutto, il m otivo di m aggior soddisfazione p e r noi
fu ro n o le risposte. Erano entusiaste; ci arrivarono lettere da ogni luogo,
dalle Asturie, dai P aesi Baschi, dall ’A ndalusia... e ne arrivavano ogni
giorno di p iù 20.

Queste due donne, con Amparo Poch y Gascón, furono le fon­


datrici di Mujeres Libres e le editrici della sua rivista. Anche se
provenivano da mondi diversi ed ognuna aveva un proprio stile per­
sonale, erano tutte molto impegnate nel movimento e nell’istru­
zione delle donne. Inoltre erano tre persone istruite - caratteristica
che le distingueva dalla stragrande maggioranza delle loro “sorelle”
- e cercarono di condividere i frutti della loro istruzione con le altre
donne. Ancora oggi a ottantotto anni Mercedes si dimostra sempre
preoccupata di istruire e di comunicare il valore della cultura, la
grande gamma di conoscenze e le possibilità a cui possono avere
accesso le donne.
In quanto a Lucía Sánchez Saornil (che sparì in un modo al­
quanto misterioso dopo la guerra), è ricordata praticamente da tutti
come una grande agitatrice. Era una donna piccola, ma di presenza
imponente quando si prestava come oratrice, che ricordava - nel
fisico e nella personalità - Louise Michel, l’eroina della Comune di
Parigi. Era anche molto timida. Lucia possedeva una rara abilità
come oratrice e come organizzatrice. Era sempre lei a riassumere i
dibattiti durante le riunioni, e ispirava una vera autorità, senza pe­
raltro essere autoritaria.
La terza del gruppo era il medico Amparo Poch y Gascón. Mer­
cedes ricorda che mentre lei e Lucia si trovavano politicamente

20. Mercedes Comaposada, interviste, Parigi, 3 e 5 gennaio 1982 e 22 aprile


1988.

181
sempre d’accordo, con Amparo non era così. Era stata treintista
(sostenitrice di una componente riformista della CNT che nel 1932
si separò dalla corrente dominante. I due gruppi tornarono a con­
fluire giusto prima della guerra)21. Ma era una donna dotata di
un’energia enorme e di una straordinaria capacità di lavoro. Infatti,
Soledad Estorach si doleva del fatto che purtroppo non era mai riu­
scita a conoscere bene Amparo e che quasi non ne ricordava il
volto, dato che le poche volte che l’aveva vista, questa era sempre
immersa nel lavoro22. Come medico, ed essendo impegnata nel
compito di abbattere le barriere della vergogna e dell’ignoranza che
circondavano la sessualità e che per molto tempo avevano fatto re­
stare la donna in una posizione subordinata, aveva scritto numerosi
articoli ed opuscoli educativi che invitavano le donne ad una mag­
giore libertà sessuale e che sfidavano la monogamia ed il doppio
standard sessuale. Sembra che abbia anche condotto una vita coe­
rente ai suoi principi. Una delle sue colleghe ricordò con un sorriso
che oltre ad avere una grande capacità nel lavoro, Amparo aveva
anche una tremenda capacità per l’amore. Aveva avuto molti
amanti (a volte, si diceva, più di uno alla volta) e rideva di chi so­
steneva di essere sessualmente monogamo: “Non vi annoiate - do­
mandava Amparo - di mangiare sempre con la stessa persona?”.
Lucia e Mercedes svolsero un ruolo fondamentale nella fonda­
zione di Mujeres Libres a Madrid. Amparo si unì a loro nel consi­
glio editoriale di Mujeres Libres e poi fu attiva a Barcellona come
direttrice dell’istituto di educazione e formazione di Mujeres Li­
bres, il Casal de la Dona Treballadora. Tutte furono spronate
all’azione dalle loro precedenti esperienze nelle organizzazioni del
movimento libertario che erano dominate dagli uomini. Ma le basi
dell’organizzazione furono gettate anche da donne di tutto il paese,
molte delle quali non erano coscienti dell’esistenza delle loro com­
pagne.
A Barcellona, ad esempio, anche Soledad Estorach, che faceva
parte sia dell’ateneo sia della CNT, era convinta che le organizza­

21. BRADEMAS, John: Anarcosindicalismo y revolución, Ariel, Barcellona,


1974, soprattutto Caps. 5-7; GÓMEZ CASAS, Juan: Historia de la FAI, Zero,
Madrid, 1977; GÓMEZ CASAS: Storia dell'anarcosindacalismo spagnolo, Jaca
Book, Milano, 1975; e BOOKCHIN, Murray: The Spanish Anarchists. The Heroic
Years, soprattutto pp. 241-51.
22. Soledad Estorach, conversazione, Parigi, 27 aprile 1988.

182
zioni del movimento fossero inadeguate a incorporare le operaie in
termini di uguaglianza con gli uomini.

P er lo m eno in Catalogna, la posizione predom inante era che dovevano


partecipare sia gli uomini che le donne. M a il problem a era che gli uomini
non sapevano come fa re p e r integrare le donne com e militanti. Gli uomini
e anche m olte donne continuavano a considerarle come di secondo ordine.
P er la maggioranza degli uomini, credo, la situazione ideale era quella di
avere una compagna che non si opponesse alle sue idee ma che nella vita
privata fo ss e più o m eno com e le altre. Volevano essere m ilitanti venti-
quattro ore su ventiquattro, e con queste condizioni era impossibile che ci
fo sse uguaglianza. Gli uomini erano così im pegnati che le donne rimasero
indietro quasi p e r necessità. P er esem pio quando incarceravano gli uo­
mini, le donne dovevano occuparsi dei figli, lavorare p e r portare avanti la
famiglia, andarli a trovare in prigione... In questo le compagne erano molto
brave, m a p e r noi non poteva bastare. Questa non era m ilitanza23.

TI primo gruppo di donne di affiliazione anarchica iniziò a for­


marsi a Barcellona verso la fine del 1934 a partire dall’esperienza
della militanza che Soledad ed altre militanti avevano avuto in
gruppi misti. Lei lo ricorda così:

Quello che succedeva era che le donne venivano una prim a volta, magari
si affiliavano anche, ma dopo non le vedevamo più. Così molte com pagne
arrivarono alla conclusione che sarebbe stata una buona idea form are un
gruppo a parte p er queste donne. A Barcellona, il m ovim ento era am pio e
potente, e c ’erano molte donne nei sindacati di qualche ramo, soprattutto in
quello tessile e in quello della confezione. M a anche in questo sindacato
era raro che qualche donna parlasse. Iniziavam o a preoccuparci p er la
quantità di donne che stavamo perdendo. Verso la fin e del 1934 un piccolo
gruppo di noi iniziò a considerare queste questioni. N el 1935facem m o un
appello a tutte le donne del m ovim ento libertario. Non riuscimmo a con­
vincere le militanti più anziane, che occupavano un posto d ’onore fra gli uo­
mini, così decidemm o di concentrarci soprattutto sulle com pagne più g io­
vani. Chiamam m o il nostro gruppo Gruppo Culturale Femminile, CNT24.

23. Estorach, intervista, Parigi, 6 gennaio 1982.


24. Estorach, intervista, Parigi, 4 gennaio 1982. Per ulteriori informazioni su
Federica Montseny e Libertad Rodenas, si veda ITURBE, Lola: La mujer en la

183
In Catalogna la risposta all’appello fu simile a quella ricevuta da
Mercedes e Lucia a Madrid, entusiasmo da un lato ed ambivalenza
dall’altro, tanto da parte degli uomini quanto delle donne. Molti dei
membri delle organizzazioni libertarie temevano lo sviluppo di un
gruppo “separatista”. Altri obiettavano invece che le donne corre­
vano il rischio di cadere nel “femminismo”, ossia di concentrare
tutta la loro attenzione sull’accesso all’istruzione e ai lavori pro­
fessionali. Effettivamente, queste questioni avevano rappresentato
per molto tempo la preoccupazione e l’interesse delle femministe
della classe media, in Spagna ed in altri paesi, ma erano state con­
siderate irrilevanti dagli anarchici rispetto agli interessi degli ope­
rai, sia uomini che donne, e quindi rifiutate perché avrebbero raffor­
zato delle strutture che loro si ripromettevano di abolire.
L’accusa di “femminismo” confuse molte di queste anarchiche.
Come spiegava Soledad:

La m aggior parte di noi non aveva m ai sentito parlare di “fe m m in i­


s m o ”. lo non sapevo che nel m ondo si erano fo rm a ti gruppi di donne
che lottavano p e r i nostri diritti. N el nostro gruppo solo una o due p e r­
sone avevano sentito p a rla re del fem m in ism o , p erch é erano state in
Francia. M a io non im m aginavo neanche che esistesse una cosa del
genere. N oi non abbiam o im portato niente da nessuna parte. Se nem ­
m eno sapevam o che esisteva!

Sapendo che i loro obiettivi non erano “femministi”, nel senso


dispregiativo del termine, non prestarono attenzione a queste cri­
tiche e si misero a lavorare nel miglior modo possibile. Verso l’ini­
zio del 1936 organizzarono un incontro nel teatro Olimpia, nel
centro di Barcellona, per promuovere le loro iniziative e per offrire
l’opportunità a nuove donne di unirsi al gruppo. Anche se la
stampa anarchica non diede molto risalto all’incontro, la sala era
strapiena. Questa riunione gettò le fondamenta per un’organizza­
zione regionale che avrebbe incluso le varie associazioni dei di­
versi quartieri di Barcellona e organizzazioni delle città e dei paesi
delle vicinanze.
Solo poco dopo, sempre quello stesso anno, i gruppi di Barcel-

lucha social y en la Guerra Civil de España, Editores Mexicanos Unidos, México,


D.F., 1974, pp. 64-71.

184
Iona e di Madrid seppero della loro reciproca esistenza. Mercedes
Comaposada ricordava che era stata Lola Iturbe che per prima le
parlò dell’esistenza di un gruppo a Barcellona. Ma la persona che le
mise veramente in contatto fu un giovane, chiamato Martinez, il
compagno di Conchita Liano (che più tardi sarebbe diventata la se­
gretaria del comitato regionale della Catalogna di Mujeres Libres).
Martinez disse a Mercedes che doveva assolutamente andare a Bar­
cellona per conoscere “quelle donne”. Nel mese di settembre o
forse in quello di ottobre, Mercedes andò dunque a Barcellona e
prese parte ad una riunione regionale del Gruppo Culturale Fem­
minile per parlare del lavoro di Mujeres Libres. I gruppi di Barcel­
lona e Madrid avevano iniziato la loro attività perseguendo obiettivi
diversi. Quello di Barcellona voleva spronare le donne affiliate alla
CNT ad una militanza maggiore, mentre Mujeres Libres di Madrid
voleva, secondo Mercedes, “formare delle donne che avrebbero po­
tuto assaporare la vita in tutta la sua pienezza. Donne con una co­
scienza sociale, sì, ma anche donne che avrebbero potuto apprez­
zare l’arte e la bellezza”25. Ciò nonostante le donne catalane non
tardarono a riconoscere le loro affinità con Mujeres Libres ed in
quella stessa riunione decisero di affiliarsi e di cambiare il loro
nome con quello di Associazione Mujeres Libres. Ebbe inizio così
quella che sarebbe diventata una federazione nazionale.
Nei primi mesi di guerra, i gruppi si dedicarono a compiti coor­
dinati di presa di coscienza ed azione diretta. Crearono reti di donne
anarchiche che cercarono di soddisfare le necessità di mutuo soc­
corso all’interno dei sindacati o negli altri contesti del movimento.
Si riunivano, analizzavano le relazioni di comportamento maschi­
lista dei loro compagni uomini e studiavano delle strategie per poter
affrontare il problema.
A parte queste forme di mutuo soccorso, l’attività più concreta
che in questo periodo portò avanti il gruppo di Barcellona fu la
creazione di asili “volanti”. Nel loro sforzo per incorporare le donne
alle attività sindacali, in molte occasioni riscontravano che queste,
per dover accudire i loro figli, non potevano né rimanere fino a tardi
al lavoro né uscire di notte per partecipare alle riunioni sindacali.
Decisero quindi di affrontare questo problema offrendo alle donne
interessate a diventare delegate sindacali un servizio di asilo. Mem­

25. Mercedes Comaposada, intervista, Parigi, 22 aprile 1988.

185
bri del gruppo andavano a casa delle donne per accudire i loro figli
mentre nel frattempo le madri prendevano parte alle riunioni.
Certamente, come dice Soledad con un luccichio furbesco negli
occhi, il progetto non era stato fatto esclusivamente per offrire un
servizio: “Quando arrivavamo a casa, iniziavamo a fare un po’ di
propaganda. Parlavamo loro del comuniSmo libertario e di altre
cose. Le povere, andavano alle riunioni, e poi, quando arrivavano a
casa, non sapevano che le stava aspettando un’altra lezione! A
volte, a quell’ora, erano già rientrati i mariti, e anche loro prende­
vano parte alla discussione”26.
Quando iniziò la rivoluzione, nel luglio 1936, il Gruppo Culturale
Femminile di Barcellona e Mujeres Libres di Madrid si riunivano
ormai da tempo. Avevano costituito una rete di donne militanti anar­
chiche e avevano iniziato ad intraprendere il loro cammino di eman­
cipazione. Erano ben preparate a prendere parte agli avvenimenti
rivoluzionari del luglio e a riorganizzare la loro formazione e quella
delle altre donne in vista del progetto della costruzione di una nuova
società.

II decollo dell’organizzazione

Mentre in Catalogna e a Madrid si riunivano i diversi gruppi,


molte di queste donne portavano avanti altri compiti organizzativi
attraverso le pagine della stampa anarchica. Tierra y Libertad, Soli­
daridad Obrera ed Estudios, in special modo, pubblicarono nume­
rosi articoli sulla “questione femminile”. Mercedes Comaposada,
Amparo Poch y Gascón e Lucía Sánchez Saomil vi collaborarono
con regolarità.
I dibattiti raggiunsero l’apice verso la fine del 1935, quando Ma­
riano R. Vázquez, segretario della CNT, pubblicò due articoli su So­
lidaridad Obrera a proposito del molo delle donne nel movimento
anarco-sindacalista. Lucía Sánchez Saomil rispose con una serie di
cinque articoli intitolata “La questione femminile nei nostri mezzi”,
seguita da “Riassunto al margine della questione femminile. Per il
compagno M. R. Vázquez”, in cui sviluppò quelle che sarebbero state
le basi di Mujeres Libres - tanto della rivista quanto dell’organizza­
zione -. Questo confronto di opinioni, che gettò le basi al dibattito

26. Soledad Estorach, intervista, Parigi, 4 gennaio 1982.

186
sviluppatosi sulla stampa e nel movimento anarchico all’epoca in cui
venne fondata Mujeres Libres, merita di essere trattato molto detta­
gliatamente27.
Nel suo primo articolo, Vázquez si mostrava comprensivo verso i
problemi che le donne dovevano fronteggiare all’interno del movi­
mento anarchico. Cominciava affermando che le donne erano ele­
menti attivi nella storia, anche se spesso erano state dimenticate e i
loro contributi disdegnati. Nella Spagna contemporanea le donne
erano di fatto le schiave degli schiavi; gli uomini credevano che fosse
un loro diritto dominare le donne. Si domandava quindi perché le
donne permettessero tutto questo. Dopo un ragionamento deduceva
che ciò era dovuto alla dipendenza economica dagli uomini. Per su­
perarla, sosteneva, sarebbe stato necessario che le donne si unissero
agli uomini nella trasformazione della società. Lottando per creare
una società nuova che avrebbe garantito l’indipendenza economica a
tutti, le donne si sarebbero liberate anche della tirannia maschile.
Lucia iniziò la sua risposta affermando che la maggior parte
degli anarco-sindacalisti sembrava essere molto poco interessata a
stimolare la completa partecipazione delle donne. Esistevano molti
contesti in cui queste potevano organizzarsi: le fabbriche, le scuole,
gli atenei, la casa. 11 fatto che un numero così basso di donne fosse
stato inglobato all’interno del movimento indicava la mancanza di
interesse da parte degli uomini. La vera propaganda sulla questione
femminile doveva essere fatta tra gli uomini, non tra le donne: “Bi­
sogna informarli che prima di riformare la società è necessario
riformare le loro case!”28. Inoltre gli anarco-sindacalisti che ave­
vano cercato di organizzare le donne lo avevano fatto secondo il
punto di vista del movimento, non delle donne29. Se bisognava in­

27. VÁZQUEZ, Mariano R.: “Mujer: factor revolucionario”, Solidaridad


Obrera (18 settembre 1935); “Avance. Por la elevación de la mujer”, Solidaridad
Obrera (10 ottobre 1935), in risposta ai primi tre articoli di Sánchez Saornil. “La
cuestión femenina en nuestros medios”, pubblicato in cinque parti, (26 settembre e
2, 9, 15 e 30 ottobre 1935); “Resúmen al màrgen”, (8 novembre). Gli articoli della
Sánchez Saornil vennero ristampati in un’importante antologia di NASH. Mary:
Mujeres Libres. Donne libere. Spagna 1936-1939.
28. SÁNCHEZ SAORNIL: “La Cuestión femenina en nuestros medios”, Soli­
daridad Obrera (26 settembre 1935).
29. Si veda BENJUMEA GARCÍA, Miguel: “La mujer ante la revolución”, So­
lidaridad Obrera (6 ottobre 1935); o PETER: “Una proposición a la mujer”, ibidem
(10 ottobre 1935).

187
tegrare le donne nel movimento, ci si doveva rivolgere a loro e trat­
tarle come compagne uguali e capaci.
Gli articoli successivi sviluppavano il tema che oggi chiamiamo
della “donna come persona” e affrontavano la subordinazione eco­
nomica delle donne. Lucia condannava la concezione secondo cui il
ruolo adeguato della donna fosse quello di sposa e di madre. Insi­
steva nel dire che le donne ricevevano salari più bassi (e quindi che
stavano svalutando il salario di tutti i lavoratori) perché gli uomini,
compresi quelli della CNT, le trattavano come esseri inferiori3031.So­
steneva, inoltre che le donne erano state ridotte a “nascere, partorire,
morire”. “Il concetto di madre [sta] assorbendo quello di donna, la
funzione, sta annullando l’individuo. Per un anarchico, prima del
lavoratore viene l’uomo, e prima della madre deve esserci la donna.
Perché per un anarchico prima di tutto ed al di sopra di tutto c’è Vin­
dividuo”31.
L’ultimo articolo della serie affrontava la questione sessuale e
riprendeva i “dongiovanni” anarchici che sembravano interpretare
l’incremento della libertà sessuale come una licenza per poter do­
minare le donne32. Se si dovevano comunicare ai giovani - e sicu­
ramente era così - le idee anarchiche sulla sessualità e sull’amore li­
bero, questo compito lo dovevano svolgere persone che ne avevano
capito a fondo l’importanza e che non approfittavano dell’occa­
sione per aumentare le proprie possibilità di conquista sessuale.
Nel frattempo, il 10 di ottobre, Vázquez rispose ai primi tre arti­
coli di Lucia nel suo “Avanzamento. Per l’elevazione della donna”.
Anche se condivideva con lei che troppi uomini erano dei veri e
propri tiranni all’interno delle mura domestiche, riteneva però che
le donne erano comunque colpevoli perché non reclamavano i pro­
pri diritti. Inoltre anche se poteva essere certo del fatto che gli uo­
mini non trattassero le donne come esseri con gli stessi loro diritti,
era “molto umano”, diceva, voler rimanere ancorati ai privilegi.

30. Sorprendentemente Solidaridad Obrera pubblicò alcuni giorni dopo un ar­


ticolo che faceva luce su questo punto, “Crònica del día. El trabajo de la mujer”,
Solidaridad Obrera (25 ottobre 1935), p. 6.
31. SÁNCHEZ SAORNIL: “La Cuestión femenina en nuestros medios, IV”,
Solidaridad Obrera (15 ottobre 1935).
32. L’articolo della Sánchez Saomil ispirò quello di COBOS, Maria Luisa: “A
la mujer, no; a vosotros, proletarios”, Solidaridad Obrera (8 ottobre 1935), p. 3.

188
Non ci si poteva aspettare che gli uomini rinunciassero volontaria­
mente ai propri privilegi, come non ci si poteva aspettare che la
borghesia cedesse volontariamente il suo potere al proletariato33.
Come da sempre sostenevano gli anarchici, “l’emancipazione dei
lavoratori deve venire da loro stessi. [Così] da oggi possiamo lan­
ciare il grido unanime: L’emancipazione della donna deve venire
dalla stessa donna”34. Per incentivare questo obiettivo proponeva
che Solidaridad Obrera prendesse esempio dalla stampa borghese
e dedicasse settimanalmente una pagina alla donna.
La risposta di Lucia fu molto dura. Attaccò gli anarchici che
sembravano non avere pazienza con le donne. Non bastava dire che
“la rivoluzione [si trova] dietro ogni angolo [...] è troppo tardi per
intraprendere questo cammino [l’emancipazione della donna]”.
Aspettare la rivoluzione può andare bene, ma “meglio ancora se la
si va cercando, forgiandola ogni istante nelle menti e nei cuori”.
“Preparare” le donne alla rivoluzione sociale fa parte della rivolu­
zione. Il recupero delle donne doveva essere una questione princi­
pale, e non secondaria, per chi voleva realizzare la rivoluzione so­
ciale. Ma le proteste più crude erano tutte riservate all’analogia che
Vázquez aveva fatto fra la borghesia ed il proletariato. In primo
luogo, sosteneva che non bastava dire che fosse “molto umano” il
fatto che l’uomo desiderasse conservare i propri privilegi - soprat­
tutto se si domandava alle donne il loro appoggio -. In secondo
luogo questi non erano uomini qualunque, erano, almeno così si
presupponeva, anarchici, e lottavano per l’uguaglianza e l’aboli­
zione delle gerarchie. “Sarà “molto umano” che l’uomo desideri
conservare la sua egemonia, ma non è anarchico.” Ma oltretutto
l’analogia era falsa; gli interessi della borghesia e quelli del prole­

33. Si veda anche ÁLVAREZ JUNCO, José: La ideologia politica del anar­
quismo español 1868-1910, Siglo XXI, Madrid 1976, p. 302; e KAHOS: “Muje­
res, ¡emancipaos!”, Acracia (26 novembre 1937), p. 4.
34. VAZQUEZ, Mariano R.: “Avance. Por la elevación de la mujer”, Solida­
ridad Obrera (10 ottobre 1935). Affermazioni simili apparvero periodicamente
su varie pubblicazioni anarchiche. Si veda, come esempio, “Femeninas”, Obrero
Balear, Organo de la Federación Socialista Balear (30 ottobre 1931); Confedera­
ción Regional del Trabajo de Baleares Y Portavoz de la CNT (30 ottobre 1931); ed
una serie di articoli in Cultura Obrera, Òrgano de la Confederación Regional del
Trabajo de Baleares y Portavoz de la CNT (7 gennaio e 14 febbraio 1935). Sono
molto riconoscente a Neus per avermi fatto avere le copie di questi documenti.

189
tariato erano fondamentalmente contrari, ma quelli degli uomini e
delle donne no. “Essendo [l’uomo e la donna] diversi, le loro qua­
lità si completano a vicenda e formano un tutto armonico. Non ci
sarà armonia nella vita futura se tutti questi elementi non entre­
ranno proporzionalmente nella sua costituzione”.
Riassumendo, in gioco non c’era solo l’emancipazione della
donna, ma la creazione di una società futura tanto per gli uomini
quanto per le donne. Con questo obiettivo, sia gli uni che le altre do­
vevano partecipare ad un livello di uguaglianza. Le donne avevano
cominciato a reclamare i loro pieni diritti e come persone; era ormai
arrivato il momento per gli uomini di riconoscere questa lotta e di
unirsi alle donne sul loro stesso livello.
Infine rifiutò il suggerimento di Vázquez di dedicare settima­
nalmente una pagina di Solidaridad Obrera al tema della donna, e
per la prima volta dichiarò, nero su bianco, il progetto di quello che
sarebbe poi diventato Mujeres Libres: “Non raccolgo il tuo sugge­
rimento per la pagina femminile di Solidaridad Obrera, anche se lo
ritengo molto interessante, perché le mie ambizioni si spingono più
lontano: ho il progetto di creare un organo indipendente, che serva
esclusivamente ai fini che mi sono proposta”35.
Negli anni che seguirono, il suo sogno, che ovviamente servì
come progetto originale delle attività di Mujeres Libres, venne re­
cepito sensibilmente da chi ebbe l’opportunità di leggerlo. La serie
di articoli e di lettere che lei e Mercedes avevano inviato alle mili­
tanti di tutto il paese avevano dato origine ad un generale sostegno.
In aprile, avevano già inviato un avviso della prima apparizione di
Mujeres Libres alla stampa anarchica, ai sindacati, agli atenei ed ai
gruppi delle Juventudes di tutta la Spagna, ed avevano iniziato il
processo di organizzazione dei sostenitori del progetto con una rete
di corrispondenti e distributori della rivista. Le lettere che ricevet­
tero sia dagli uomini che dalle donne denotarono un grande entu­
siasmo. Molti dicevano che stavano aspettando quel momento da
quando Lucia aveva annunciato il suo piano nell’autunno prece­
dente sulle pagine di Solidaridad Obrera36. Il primo numero di

35. SÁNCHEZ SAORNIL: “Resumen al margen de la cuestión femenina”, So­


lidaridad Obrera (8 novembre 1935).
36. Esistono lettere del collettivo editoriale di Mujeres Libres a possibili distri­
butori e di ammiratori della rivista al consiglio editoriale presso il AHN/SGC-S,

190
Mujeres Libres, pubblicato il 20 maggio 1936, si esaurì quasi im­
mediatamente; il secondo numero uscì il 15 giugno. In tutto ven­
nero pubblicati quattordici numeri, anche se l’ultimo era in via di
stampa proprio quando il fronte di battaglia arrivò a Barcellona e
purtroppo non se ne conserva nessuna copia37.
Come spiegavano le editrici ai collaboratori ed ai possibili so­
stenitori, la rivista sarebbe uscita con scadenza mensile, sarebbe
stata rivolta alle donne della classe operaia - la cui istruzione era
stata oggetto di negligenza da parte del movimento - ed avrebbe
avuto come meta “sensibilizzare la coscienza femminile alle idee li­
bertarie”38. Intendevano la missione della rivista in termini politici
e culturali. Significativamente, cosa che non mancavano di sottoli­
neare in tutti gli scritti della corrispondenza, la rivista non si sa­
rebbe identificata come anarchica, “per la diffidenza che avrebbe
potuto risvegliare in generale nelle donne [...] si incaricherà di ini­
ziarle poco a poco ai problemi sociali cercando allo stesso tempo di
elevare il loro livello culturale”39. Ciò nonostante, Lucia ricordava
costantemente ai destinatari delle sue lettere che anche se non si
sarebbe menzionata la parola anarchia, qualsiasi persona intelli­
gente avrebbe riconosciuto facilmente leggendo la rivista “in ogni
suo contenuto un orientamento libertario”40.

P.S. Madrid: 432. Ringrazio molto Mary Nash per avenni facilitato la localizza­
zione di questi documenti.
37. Il primo numero apparve verso la fine del maggio ‘36. Secondo una relazione
preparata da Mercedes Comaposada, vennero pubblicati quattro numeri prima della
guerra (due dei quali erano sotto forma di bollettino). Il secondo numero uscì nel giu­
gno. Il quarto, almeno da quanto sembra, era in via di pubblicazione quando il 19 di
luglio scoppiò la guerra, ma non si riuscì a pubblicare. Il secondo numero che si con­
serva (ufficialmente, il numero cinque), datato il Giorno 65° della Rivoluzione, ap­
parve nell’ottobre del 1936. Sono riconoscente a Pura Pérez Arcos per avermi fatto
avere questa lista, “Revista Mujeres Libres” preparata da Mercedes Comaposada.
38. Lettera delle editrici di Mujeres Libres ad Emma Goldman, Madrid, 17 aprile
1936, AHN/SGC-S, P.S. Madrid: 432. Goldman riferisce di aver ricevuto questa
lettera in una nota ad un compagno, del 24 aprile. Questa lettera viene riprodotta in
Vision on Fire. Emma Goldman on thè Spanish Revolution (ed. David PORTER),
Commonground Press, New Paltz, New York, 1983, p. 254.
39. Da una lettera di Maria Luisa Cobos, 20 aprie 1936, AHN/SGC-S, P.S. Ma­
drid: 432.
40. Lucía Sánchez Saomil a Federica Montseny, Madrid, 24 maggio 1936; anche
Mujeres Libres al compagno Hernández Domenech (La Unión), Madrid, 27 maggio
1936.

191
Alcuni aspetti di questa corrispondenza meritano di essere men­
zionati, soprattutto perché sollevavano delle questioni che negli
anni futuri avrebbero accompagnato la rivista e l’organizzazione. In
primo luogo, sembra che le editrici avessero avuto fiducia nelle reti
già esistenti del movimento libertario per pubblicizzare la prossima
apparizione della rivista. Quasi tutte le persone che si rivolsero a
loro dissero che erano venute a conoscenza della rivista grazie alla
stampa anarchica ed attraverso gli opuscoli distribuiti presso le sedi
dei sindacati, negli atenei o nelle riunioni delle Juventudes. Molte
di queste lettere erano scritte da uomini, soprattutto dai membri dei
gruppi delle Juventudes, che facevano degli ordini importanti per i
loro quartieri.
Ciò nonostante, anche se dipendevano dalle organizzazioni del
movimento per arrivare al pubblico, le editrici non perdevano oc­
casione di ripetere la loro indipendenza da queste organizzazioni,
sia finanziariamente che sotto ogni altro aspetto, e che stavano por­
tando avanti questo progetto da sole, con le loro sole forze. Così, ad
esempio, Lucia ringraziava Maria Luisa Cobos per aver offerto il
suo aiuto soprattutto nella vendita e nella distribuzione, “perché
non riceve sovvenzioni né aiuti economici da nessuno e ci propo­
niamo di pubblicarla con le nostre sole forze”41. In molte occasioni,
le lamentele assumevano un tono più urgente. Lucia cominciava
una lettera rivolta ai compagni delle Juventudes di Soria, scusan­
dosi per il ritardo della sua risposta all’offerta di aiuto e segnalando
che “potete immaginare quanto stiamo lavorando per organizzare
tutto questo da sole senza l’aiuto di nessuno”42.
Non deve sorprendere che la maggior parte delle richieste di aiuti
materiali fossero dirette agli uomini e alle organizzazioni del mo­
vimento. Naturalmente, nella Spagna di quel tempo, erano gli unici
che potevano disporre di mezzi finanziari (per quanto scarsi fos­
sero). Uomini e donne si offrirono volontariamente di distribuire
la rivista utilizzando qualsiasi mezzo fosse a loro disposizione. Ad
esempio, Lucia chiese a Diego Abad de Santillàn (noto scrittore e

41 Lettera di Lucía Sánchez SaorniI alla Compagna Maria Luisa Cobos, 20


aprile 1936, AHN/SGC-S, P.S. Madrid: 432.
42 Mujeres Libres al compagno Celedonio Arribas (Soria), Madrid, 14 maggio
1936; ed il Comitato Editoriale al Compagno Morales Guzmán (Granada), 7 mag­
gio 1936.

192
teorico anarchico, membro del comitato regionale della CNT e del
consiglio editoriale della rivista anarchica Tiempos Nuevos) di uti­
lizzare i suoi contatti con questa pubblicazione per diffondere la
distribuzione di Mujeres Libres a Barcellona43.
Dimostrarono la loro gratitudine a uomini e donne, ai sindacati e
ai gruppi delle Juventudes di tutto il paese per le loro offerte
d’aiuto. Alcune lettere, però, esprimevano anche la frustrazione
delle editrici per la mancanza di interesse dimostrata dai principali
giornali anarchici, soprattutto da parte di Solidaridad Obrera. Que­
sto modello di condotta (appoggio dai gruppi locali ma non dalle
organizzazioni maggiori) avrebbe afflitto Mujeres Libres per tutto
il periodo della sua esistenza. Il 28 maggio 1936 Lucia scrisse una
lettera molto severa al direttore di Solidaridad Obrera, lamentan­
dosi che non avevano prestato nessuna attenzione all’uscita del nu­
mero inaugurale di Mujeres Libres. Anche se le sue editrici ave­
vano inviato annunci pagati per pubblicizzare la comparsa della
rivista, così come anche copie della rivista nella speranza di rice­
vere una rassegna, o per lo meno una menzione nel giornale, que­
sta influente testata del movimento anarco-sindacalista non prestò
loro la benché minima attenzione.

Non si trattava di sconosciute: siam o com pagne che m ettiam o le nostre


p o che o m olte conoscenze al servizio d e ll’organizzazione e d e ll’ideale, e
riteniam o che questo atteggiam ento non si possa definire solidale. P er
cameratismo, p er cordialità dovuta fr a compagni, dato che lavoriam o p er
la causa com une e non p e r interessi specifici di qualcuno, la cosa m i­
gliore, la più indicata, se credevate che il nostro lavoro non era degno di
essere apprezzato sarebbe stata parlarci chiaram ente, ma non questo a s­
surdo silenzio'44

Per altri aspetti, indubbiamente, questi primi mesi furono un pe­


riodo di grande entusiasmo e soddisfazione. Mujeres Libres riceveva
lettere da ogni angolo del paese scritte da donne entusiaste della ri­
vista, anche se magari erano appena capaci di leggere e di scrivere.

43. Lucía Sánchez Saomil al compagno Diego Abad de Santillàn (Barcellona)


Madrid, 6 maggio 1936.
44. Lucía Sánchez Saomil, per il Comitato Editoriale, al compagno Direttore di
Solidaridad Obrera (Barcellona) Madrid, 28 maggio 1936.

193
Molte di queste lettere lasciavano trapelare una mancanza di fami­
liarità con il linguaggio scritto. Numerose commettevano errori di
ortografia e non avevano quasi idea della sintassi. Questo ci fa capire
che almeno Mujeres Libres stava arrivando alle persone a cui voleva
dirigersi; ovviamente non alle donne spagnole più istruite.
Risulta chiaro grazie a questa corrispondenza che una delle mete
di Mujeres Libres era che le donne, e gli uomini, arrivassero a co­
noscere quanto le donne stavano facendo e quanto avrebbero potuto
fare all’interno della cornice più grande delle concezioni anarchi­
che sulla natura del cambio sociale. Così, ad esempio, Lucia chie­
deva a Josefa de Tena, che aveva accettato di occuparsi della cronaca
della città di Mérida, di inviare informazioni sullo sciopero che le
donne stavano facendo in quella zona. Questa informazione doveva
includere notizie sugli antecedenti, sulle rivendicazioni e sull’im­
patto dello sciopero, così come anche, se fosse stato possibile, delle
fotografie (“una foto dell’interno della fabbrica o dell’officina, una
di un gruppo di compagne e un’altra se fosse stato possibile di loro
in assemblea”)45. Sempre per lo stesso motivo, in una lettera a María
Luisa Cobos in cui spiegava a sommi capi quello che desideravano
lei facesse come corrispondente di Mujeres Libres a Jerez de la
Frontera, Lucía dice:

Ci interessa creare una corrente di m utua com prensione fr a le donne


della città e della cam pagna fa c en d o conoscere reciprocam ente alle une
e alle altre il luogo in cui vivono. Tu potresti mandarci, a questo p ro p o ­
sito, un reportage che com prendesse i seguenti punti: i com piti agricoli
p iù im portanti nel territorio, i lavori che richiede e le epoche d e ll’anno in
cui ogni lavoro deve essere effettuato e, soprattutto e m olto dettagliata-
mente, che ruolo hanno le donne in ognuno di questi compiti.

Anche a lei chiede fotografie che accompagnino il testo dell’arti­


colo46.
Infine bisogna ricordare che molti dei mittenti delle lettere erano
uomini - fra di loro alcune personalità del movimento anarchico
come Eduardo Morrales de Guzmán e Mariano Gallardo, assidui

45. Dal Comitato Editoriale alla compagna Josefa de Tena (Mérida) Madrid, 25
maggio 1936; e la risposta di De Tena, 3 giugno 1936.
46. Lucia Sanchez Saornil alla compagna Maria Luisa Cobos, 20 aprile 1936.

194
collaboratori di Estudios e sinceri sostenitori dell’emancipazione
della donna - che si offrirono volontari non per distribuire la rivista
ma per collaborare con alcuni articoli. A tutti loro, le editrici ri­
spondevano ringraziando per l’appoggio, ma ricordando che il loro
proposito era stato quello di fare una rivista scritta e prodotta inte­
ramente dalle donne. A Morales Guzmán, ad esempio, Lucia scrisse:

Com e vedi abbiam o ricevuto il tuo lavoro che ti restituiam o p e r aver


a ccettato com e norm a che la rivista venga fa tta esclusivam ente dalle
donne. C onsideriam o che l ’orientam ento della donna è una cosa esclusi­
vam ente nostra, delle donne. P or m olto che potete fare, - e riconosco che
tu sei uno di quelli che ci m ette p iù volontà -, non riuscite a trovare p re ­
cisam ente il tono esatto41.

Molti di questi temi ed argomenti si riflessero negli avvenimenti


del primo numero della rivista, che uscì nel maggio del 1936. L’edi­
toriale di presentazione della nuova rivista affermava che il suo
proposito era “indirizzare l’azione sociale della donna, dandole una
nuova prospettiva, evitando che la sua sensibilità e la sua intelli­
genza vengano contaminate dagli errori maschili. E per errori ma­
schili intendiamo tutti gli attuali concetti di relazione e convivenza,
errori maschili perché rifiutiamo con decisione ogni tipo di re­
sponsabilità per lo svolgersi della storia passata, in cui la donna
non è mai stata attrice, ma solo una testimone obbligata ed inerme”.
Ma tuttavia le editrici, più che incolpare qualcuno del passato, ri­
petevano con insistenza che la cosa più importante era concentrarsi
sul futuro. D ’altronde non avevano nemmeno intenzione di “di­
chiarare una guerra” fra i due sessi. “No, no. Compenetrazione di
interessi, condivisione delle preoccupazioni, desiderio di concordia
nella ricerca di un futuro comune.”
Questo punto di vista, ripetevano però, non si poteva considerare
“femminismo”, che sarebbe stato solamente la reazione speculare
alla discriminazione di genere, a cui da sempre si opponevano, por­
tata avanti dagli uomini. Al contrario la loro meta era un “umane­
simo integrale”, che si sarebbe raggiunto grazie ad un delicato equi­
librio tra gli elementi maschili e gli elementi femminili della47

47. Lucia Sànchez Saornil, per le editrici, al compagno Morales Guman [sic]
(Granada), Madrid, 14 giugno 1936.

195
società. Non ci deve stupire che il tentativo di formalizzare quali
fossero questi elementi “maschili” e “femminili” fosse poi presente
negli stessi termini stereotipati e confusi in cui sono cadute molte
analisi femministe statunitensi dei nostri giorni. Sostenevano sem­
pre, ad esempio, che “l’eccesso di coraggio, di rudezza, di inflessi­
bilità, tutte caratteristiche maschili, hanno dato origine a questo
senso feroce per cui alcuni si alimentano della miseria e della fame
degli altri. [...] L’assenza della donna nella Storia ha dato origine
alla mancanza di comprensione, di ponderazione e di affettività che
sono le sue virtù, e con il cui contrappeso il mondo avrebbe tro­
vato la stabilità che invece non ha”. Nonostante i termini del dibat­
tito fossero espressi con un linguaggio meno raffinato, l’afferma­
zione secondo cui il comportamento delle donne differiva da quello
degli uomini e che entrambe le prospettive erano necessarie per
l’equilibrio del mondo è stata recentemente ripresa da alcune ricer­
catrici, fra cui Carol Gilligan; e costituisce anche uno dei punti prin­
cipali dei gruppi di femministe pacifiste e di alcune teoriche della
scuola del “pensiero materno”48.
Gli ultimi paragrafi dell’articolo confermavano le dichiarazioni
delle editrici sull’orientamento decisamente libertario voluto dalla ri­
vista. Le editrici affermavano che Mujeres Libres voleva che la voce
delle donne fosse finalmente ascoltata, e “cercherà di evitare che la
donna, ieri sottomessa alla tirannia della religione, cada, aprendo lo
sguardo verso la pienezza della vita, sotto un altro tipo di tirannia,
non meno raffinata e forse ancora più brutale, quella della politica”.
Questa analisi è forse il punto focale della concezione anarchica del
cambio sociale; sostiene, ad esempio, che la politica come ogni altra
forma di potere corrompe, e offre come alternativa la strategia
dell’azione diretta: “Mujeres Libres cerca l’infinita retta dell’azione
diretta e libera delle moltitudini e degli individui. Bisogna costruire
una vita nuova con dei procedimenti nuovi”49.

48 Si veda, ad esempio, GILLIGAN, Carol: Con voce di donna, Feltrinelli,


Milano, 1991; e RUDDICK, Sara: Il pensiero materno, Red, Como, 1993. Per
una revisione critica di questa bibliografia, si veda ACKELSBERG, Martha e
Irene DIAMOND: “Gender and Political Life. New Directions in Politicai
Science”, in: Analyzing Gender. A Handbook o f Social Science Resarch (ed.
Myra MARX FERREE e Beth B. HESS), Sage, Beverly Hills, 1987, pp. 5 IS­
IS.
49. Mujeres Libres, maggio 1936.

196
Gli articoli della rivista si occupavano delle dichiarate intenzioni
delle editrici. Il primo numero proponeva articoli che offrivano un
insieme di commenti politici e culturali, consigli per l’educazione
dei bambini, la salute e la moda. Tutti si rivolgevano in modo sot­
tinteso ad un pubblico di donne di classe lavoratrice con coscienza
di classe e con la consapevolezza degli svantaggi sociali ed econo­
mici che stavano subendo. Davano inoltre per scontato che le let­
trici fossero interessate a conoscere un modo sia per agire nel pro­
prio contesto sia per cambiarlo. Riassumendo, l’orientamento della
rivista non era quello di fomentare la rassegnazione alle differenze
di classe ma nemmeno quello di negarle. Qualunque tema avessero
trattato, gli articoli proponevano possibili vie di cambiamento su
due livelli, quello individuale e quello della comunità.
Alcuni articoli erano dedicati esplicitamente alla politica: una
lettera di Emma Goldman che descriveva l’apertura e l’interesse
dei lavoratori gallesi verso le idee anarchiche, una critica del falli­
mento sia della Lega delle Nazioni che delle organizzazioni operaie
intemazionali nell’assunzione di una linea d’azione effettiva contro
l’invasione italiana in Abissinia, ed un’analisi della legge come ne­
mica della natura fluida della vita e come specificatamente respon­
sabile dell’oppressione delle donne (analisi che potrebbe essere de­
nominata “puramente anarchica” per il suo tono ed il suo contenuto,
ma che non nomina mai questa parola).
La rivista includeva inoltre una serie di articoli dedicati alle te­
matiche culturali: un dibattito sulle teorie educative di Pestalozzi e
sulla loro utilità per l’istruzione dei bambini della classe operaia,
una recensione di “Tempi Moderni”, di Charlie Chaplin, realizzata
da Mercedes Compaposada in cui veniva sottolineato il tema anti­
capitalista; un saggio che lodava il valore dello sport e dell’eserci­
zio fisico per la salute e la vitalità; un articolo di Lucía Sánchez
Saornil sulla vita dei contadini in Castiglia (articolo destinato pre­
valentemente alle lettrici delle città per illustrare loro la vita nelle
aree rurali).
Infine c’erano degli articoli che ci saremmo aspettati di trovare in
qualsiasi rivista dedicata ad un pubblico femminile, che però non
nascondevano un punto di vista critico/politico. “Casa”, di Luisa
Pérez, parlava della necessità dell’igiene aH’intemo delle case:
l’importanza di avere una stanza da bagno e rimpianto del gas
(all’epoca ritenuti dei lussi superflui per le case degli operai), la

197
necessità di trattare adeguatamente la spazzatura e l’avvertimento
che le sputacchiere erano un focolare di malattie. Un articolo di
Amparo Poch descriveva le cure da prestare ai neonati, alternando
informazioni su quanto doveva dormire il bebé e come doveva es­
sere lavato e curato a discussioni sull’importanza dell’amore e delle
attenzioni per il suo corretto sviluppo e per la sua crescita50. La ri­
vista aveva persino un articolo dedicato alla moda: “l’estetica nel
vestire”. Diceva che le donne della classe media e della classe alta
sembravano essere più libere di scegliere vestiti pratici, mentre le
operaie, che non se lo potevano permettere, dovevano rimanere fe­
deli ai vestiti tradizionali, che costavano di più e che non erano né
comodi né piacevoli.
La cosa più straordinaria del contenuto della rivista era il tenta­
tivo di rivolgersi alle lettrici nel posto “dove si trovavano” ed anche
di utilizzare tutte le opportunità alla sua portata per una presa di
coscienza politica e culturale. Una donna non attiva nel movimento
anarco-sindacalista, e con poca coscienza di classe, avrebbe potuto
trovare facilmente questa rivista ed iniziare a leggerla come una
qualsiasi altra pubblicazione rivolta ad un pubblico femminile. Ma
era diversa dalla maggior parte delle riviste: riteneva la donna im­
portante come persona e, con la sua esperienza, potenziale attrice
nella storia e allo stesso tempo affrontava i suoi problemi più con­
tingenti, il suo essere madre e moglie. Le editrici riuscirono a darle
un’impostazione allo stesso tempo educativa e rispettosa nei con­
fronti delle lettrici. Non aveva quella tendenza a “colpevolizzare la
vittima”, tanto comune negli articoli delle maggiori pubblicazioni
anarchiche, che si lamentavano della mancanza di partecipazione
delle donne all’interno del movimento, e non aveva nemmeno nulla
della condiscendenza tipica delle riviste femminili della classe
media, ed anche delle riviste femministe della classe media, quando
affrontavano questioni relative alle donne della classe operaia51.
Infine, Mujeres Libres venne bene accolta da molte singole per­
sone e da molti gruppi del movimento. Nei mesi successivi, Acracia
(la rivista della CNT di Lérida) ed il Boletin de Información, CNT-FAI,

50. Questo articolo avrebbe fatto parte del suo foglietto Niño, Mujeres Libres,
Barcellona [1937],
51. Un esempio di questo tipo di rivista in un’epoca precedente è La mujer. Pe­
riódico Científico, Artístico y Literario, pubblicato a Barcellona nel 1882.

198
riprodussero degli editoriali di Mujeres Libres, fecero dei riferimenti
concreti agli articoli ed invitarono i loro lettori a leggere e ad ap­
poggiare in vari modi la rivista. Nei mesi di maggio e giugno, le edi­
trici ricevettero numerose lettere di incoraggiamento di uomini e
donne anarchici, che le ringraziavano per aver affrontato questioni
importanti e si complimentavano con loro della qualità degli arti­
coli. Molte di queste lettere allegavano dei contributi per alcune sot­
toscrizioni o come forme di finanziamento52. Così, anche se la pub­
blicazione non venne ricevuta con tutto l’entusiasmo e gli aiuti
finanziari che le editrici avrebbero sperato da parte delle altre orga­
nizzazioni del movimento, non si risolse tutto in un buco nelfacqua.
Mujeres Libres trovò davanti a sé un pubblico entusiasta.

Dopo il luglio 1936 lo sviluppo della rivista e quello dell’orga­


nizzazione cambiarono inaspettatamente. La Guerra civile ed i mesi
di crescente agitazione che la precedettero offrirono alle donne
nuove e numerose opportunità e allo stesso tempo imposero dei li­
miti a quello che sarebbero state capaci di realizzare. Lo sviluppo
stesso di Mujeres Libres non potè fare a meno di trovarsi coinvolto
in questi avvenimenti.
Come evento più immediato, le donne maggiormente impegnate
in Mujeres Libres di Madrid e nel Gruppo Culturale Femminile di
Barcellona scesero per strada con i loro compagni maschi per fer­
mare la ribellione. Fornivano i viveri ai miliziani, misero in fun­
zionamento delle mense popolari ed iniziarono ad organizzare la
vita nelle retrovie. Dopo questa prima fase i gruppi di donne ini­
ziarono a riorganizzare e a dirigere in altro modo le proprie atti­
vità. Soledad Estorach, Pepita Carpena ed alcune altre donne viag­
giarono per la Catalogna e VAragona per cooperare alla formazione
di cooperative rurali. Molte andarono insieme ai rappresentanti
della CNT e della FAI nelle zone vicine ai fronti di battaglia e con
megafoni improvvisati invitavano i contadini ed i braccianti agri­
coli a “mettersi dalla loro parte”. Altre organizzarono convogli ali­
mentari e provviste da inviare a Madrid. Si formarono gruppi di
Mujeres Libres in ogni parte della Spagna repubblicana. Con lo
scopo concreto di sviluppare Vempowerment delle donne per su­

52. Ad esempio, AHN/SGC-S, P.S. Madrid: 432.

199
perare la loro triplice schiavitù, “schiavitù dall’ignoranza, schia­
vitù come donna e schiavitù come produttrice”53, organizzarono
dei programmi di alfabetizzazione e, grazie alla partecipazione dei
sindacati, anche alcuni corsi tecnici.
La rivista non riuscì ad uscire immune dai cambiamenti provo­
cati dalla guerra e dalla rivoluzione, il tono ed il contenuto cam­
biarono immediatamente. Mercedes Comaposada descriveva la tra­
sformazione in un articolo pubblicato su Tierra y Libertad nel
maggio del 1937: “Quella serena rivista di “orientamento e docu­
mentazione sociale” non è scomparsa; si è trasformata in un gior­
nale più vibrante che, coerentemente alla situazione attuale, fa una
critica costruttiva e dà un orientamento per il presente e per il fu­
turo”54. Il numero cinque (“Giorno 65 della Rivoluzione”), pubbli­
cato nell’ottobre del 1936 in risposta alla nuova realtà, rifletteva
questa trasformazione. La rivista includeva ancora articoli di inte­
resse esclusivamente femminile, anche se molti di questi erano ora
orientati verso i tempi di guerra che si stavano vivendo: uno rivol­
geva una critica ai partiti politici per aver organizzato delle parate
di bambini in uniforme, un altro criticava le code per i beni razio­
nati, altri ancora raccontavano la vita delle miliziane al fronte e
delle donne che lavoravano nelle fabbriche. C’erano inoltre arti­
coli dedicati alla presa di coscienza politica: un rapporto dei primi
giorni di lotta a Barcellona, delle espropriazioni degli edifici, della
formazione di una collettività a Terrassa ed una varietà di articoli
che spiegavano la posizione del movimento anarco-sindacalista nei
confronti “della rivoluzione e della guerra”.
Le redattrici accettarono il cambiamento del contesto e quello
che questo avrebbe significato per la rivista. “Anche se avremmo
preferito per il nostro lavoro la tranquillità dei giorni sereni, mette­
remo il nostro più concreto impegno nel cercare di adattare il nostro
tono e la nostra espressione al ritmo accelerato che ha in questo
momento la vita.” Prima era stato necessario andare a cercare le
donne nelle loro case e convincerle che bisognava partecipare alla
vita sociale, ma ora la guerra aveva reso tutto esplicito. Le donne
avevano partecipato; avevano risposto all’appello. “Ma questa ri­

53. “Estatuto de la Agrupación de Mujeres Libres”, articolo 1.


54. COMAPOSADA, Mercedes: “Origen y actividades de la Agrupación
“Mujeres Libres””, Tierra y Libertad, n. 11 (27 marzo 1937), p. 8.

200
sposta è solamente istintiva, non è cosciente, ed il nostro dovere,
che accettiamo con molta responsabilità, è quello di trasformare in
coscienza questo istinto.” E in un modo probabilmente abbastanza
drammatico, le redattrici identificarono i loro obiettivi con quelli
del movimento anarco-sindacalista:

Essere antifascista non è abbastanza; si è antifascisti p erché in realtà


si è m olto di più: p erch é a questa afferm azione dobbiam o opporne
un ’altra che si riassume con tre lettere: C N T (Confederación Nacional del
Trabajo), che vuol dire organizzazione razionale della vita sulla base del
lavoro, d e ll’uguaglianza e della giustizia sociale. Se non fo sse p e r questo,
essere antifascista, p e r noi, non avrebbe alcun significato55.

Persino in questo primo periodo è possibile trovare alcune note­


voli diversità nel tono e nel punto di vista di Mujeres Libres se la
confrontiamo con altre riviste dell’epoca rivolte ad un pubblico
femminile. Nel numero di ottobre del 1936, Mujeres, la rivista del
Partito Comunista Spagnolo (PCE), si identificava in “Donne contro
la guerra ed il fascismo”, una precedente organizzazione del fronte
popolare per sole donne. Opponendosi alle aspirazioni rivoluzio­
narie di Mujeres Libres, Mujeres dichiarava che la principale re­
sponsabilità delle donne di Madrid era quella di sostituire gli uo­
mini nei posti di lavoro affinché potessero andare a combattere e di
“imparare ad usare le armi in caso fosse necessario”'’6. Un articolo
di Dolores Ibárruri, La Pasionaria, sosteneva che “la vittoria
avrebbe semplificato il lavoro a tutti: uomini e donne”. Ma il tema
principale del suo articolo era che il lavoro delle donne doveva es­
sere inteso come un contributo allo sforzo della guerra. “Le donne
stanno facendo il loro dovere; hanno il sacro dovere di pretendere
un posto in fabbrica, in officina, nelle ferrovie, nei trasporti pub­
blici, nei negozi. Possono e devono lavorare”57.
In accordo con la strategia del Fronte Popolare sostenuta dal PCE,

55. “Henos aquí otra vez...”, Mujeres Libres, n. 5 (ottobre 1936).


56. “Mujeres de Madrid. Preparaos a vencer”, Mujeres Libres, n. 12 (29 otto­
bre 1936), p. 3; si veda anche MORCILLO GÓMEZ, Aurora: “Feminismo y lucha
política durante la II República y la Guerra Civil”, in: El feminismo en España
(ed. Pilar FOLGUERA), pp. 75-76.
57. IBÁRRURI, Dolores: “¡Vivan las mujeres heroicas del pueblo!”, Mujeres
(octubre 1936), p. 4.

201
quasi tutti gli articoli di Mujeres si occupavano di come vincere la
guerra. L’unico articolo che non era direttamente collegato alla
guerra o alla difesa di Madrid si intitolava: “Preparare la nuova ge­
nerazione. Quello che è stata la maternità e quello che deve essere”.
Questo articolo si prefiggeva di far vincere alle donne la paura che
provavano verso gli ospedali, si occupava dei cambiamenti che si
erano verificati in seguito alla nuova gestione laica di queste istitu­
zioni e incoraggiava le donne a ricorrere agli ospedali invece di
partorire in casa.
Companya, rivista diretta alle donne pubblicata dal PSUC, nel
marzo del 1937 affrontava più esplicitamente la subordinazione
delle donne in quanto donne, e sosteneva che “l’obra d ’emancipa-
ció femenina correspón a la dona” fil lavoro di emancipazione fem­
minile spetta alla donna]. Ma la sua formulazione del processo di
emancipazione e la sua prospettiva della questione dei ruoli asse­
gnati alle donne continuavano a conferire grande importanza alla
partecipazione delle donne allo sforzo bellico58.
Nell’autunno del ‘36, solo pochi mesi dopo lo scoppio della
guerra e dopo l’inizio della rivoluzione sociale che l’aveva seguita,
Mujeres Libres aveva già iniziato ad essere un’organizzazione in­
dipendente, con mete e programmi che la differenziavano dalle altre
organizzazioni di donne dei vari partiti della sinistra e, in qualche
aspetto, dal resto delle organizzazioni del movimento anarco-sin-
dacalista. Anche se le fondatrici della rivista vedevano che in linea
di massima i loro programmi e la loro strategia erano coerenti con
le teorie e gli obiettivi del movimento anarchico, credevano che,
lasciato alle sue sole forze il movimento sarebbe stato incapace di
mobilitare efficacemente le donne per la rivoluzione sociale e la ri-
costruzione di una nuova società.
Era necessaria un’organizzazione gestita dalle donne e rivolta alle
donne, una organizzazione consacrata al superamento della subor­
dinazione femminile in tutte le sue sfaccettature, in casa, sul luogo
di lavoro o anche all’interno dello stesso movimento anarco-sinda-
calista. I programmi che svilupparono, prefigurati negli articoli di
Lucía Sánchez Saornil apparsi su Solidaridad Obrera nell’ottobre
del 1935, dovevano essere creati e messi in pratica dalle donne, per

58. Companya, 1, n. 1 (11 marzo 1937). Si veda anche il mio “Women and the
Politics on the Spanish Popular Front”.

202
le donne. Questi programmi includevano lezioni per sradicare
l’ignoranza e l’analfabetismo, corsi di formazione industriale e com­
merciale, e gruppi organizzati apposta per sviluppare Vempower­
ment delle donne attraverso una maggiore coscienza di sé, bisognava
infondere loro le conoscenze e la fiducia necessarie per partecipare
a pieno diritto alla società rivoluzionaria come cittadine. Questi pro­
grammi dovevano essere organizzati in modo federativo e non ge­
rarchico, e dovevano essere un esempio delle capacità delle donne di
agire autonomamente con l’obiettivo di contribuire alla trasforma­
zione sociale.

203
Capitolo V
L’educazione per Vem p o w erm en t
La preparazione come rivoluzione

La necessità di confrontarsi tanto con la rivoluzione quanto


con la guerra portò Mujeres Libres a sviluppare una serie di pro­
grammi con due obiettivi separati ma collegati: la capacitación,
ossia la “preparazione” delle donne all’impegno rivoluzionario, e
la captación, ossia l’incorporazione attiva al movimento liberta­
rio. Questo doppio orientamento è chiaramente espresso nella
dichiarazione di principi di Mujeres Libres:

(a) Creare una fo rza fem m inile cosciente e responsabile che agisca
com e avanguardia del progresso; (b) [il suo obiettivo è] organizzare
scuole, istituti, cicli di conferenze, corsi speciali, ecc., con il fin e di dare
capacità alla donna e di em anciparla dalla sua triplice fo rm a di schiavitù
a cui è stata e a cui continua a d essere sottomessa, schiavitù d a ll’igno­
ranza, schiavitù in quanto donna e schiavitù com e p rodu ttrice1.

Capacitación è un termine difficilmente traducibile. Lo pos­


siamo definire in qualche modo come una combinazione di svi­
luppo della consapevolezza e di empowerment (nel senso di svi­
luppo delle proprie capacità e della fiducia in esse). Rappresentava
l’impegno di Mujeres Libres per far superare alle donne la loro su­
bordinazione e per fare sì che riconoscessero le loro potenzialità

1. “Estatutos de la Agrupación de Mujeres Libres”, 4 pp., Alfáfar (Valencia),


s.d., AHN/SGC-S, P.S., Madrid: 432, Fascicolo 3270; anche Federazione Nazio­
nale “Mujeres Libres”, Comitato Nazionale: “A todos los Comités Regionales y
Provinciales de la Federación Nacional Mujeres Libres”, Barcellona (12 luglio
1938), p. 1, IISG/FAI: 48.c.1.a.

205
ed agissero in conseguenza. La capacitación fu il modo con cui
Mujeres Libres fece suo il concetto di preparazione in relazione
alla specifica situazione delle donne spagnole. Si comprende me­
glio se lo riferiamo al contenuto delle attività dell’organizzazione,
attività che furono ideate per combattere l’analfabetismo femmi­
nile, per preparare le donne alla loro effettiva ed attiva partecipa­
zione alla forza lavoro, per dare loro le informazioni necessarie sul
loro essere donne (ad esempio, sulla maternità, sulla cura dei figli
e sulla sessualità) e, infine, per permettere loro di acquisire co­
scienza di sé come consapevoli attrici nella storia.
La captación, il coinvolgimento delle donne, obiettivo che as­
sunse un’importanza maggiore quando la controrivoluzione diventò
sempre più forte, si riferiva al contesto organizzativo ed ideologico
della capacitación. Ho già detto precedentemente che una delle prin­
cipali preoccupazioni delle fondatrici di Mujeres Libres fu l’esiguo
numero di donne attive nel movimento, e si impegnarono quindi a
stimolare la militanza femminile aU’intemo della CNT e della FAI. In­
crementare la partecipazione delle donne alle organizzazioni del mo­
vimento era per loro importante perché vedevano nel movimento li­
bertario la migliore speranza di un cambiamento in favore delle
donne ed anche degli uomini. Man mano che la Guerra civile andava
avanti, l’interesse di Mujeres Libres per il coinvolgimento delle
donne divenne non solo un impegno verso una maggiore partecipa­
zione femminile aH’intemo della CNT, ma anche una sorta di com­
petizione con la Associazione Femminile delle Donne Antifasciste
(e con il partito comunista e quello socialista) per la lealtà delle
donne che da poco avevano iniziato ad essere mobilitate.
Mujeres Libres rifiutava tanto il femminismo (inteso come op­
posizione agli uomini e come impegno per ottenere l’uguaglianza
delle donne all’interno del sistema di privilegi esistente)2 quanto
la relegazione delle donne ad una posizione secondaria all’interno
del movimento libertario:

Conoscevam o il precedente delle organizzazioni fem m in iste e la loro


vicinanza ai partiti politici. Raccolte queste esperienze non potevam o com ­
portarci né com e le une né tanto m eno com e gli altri. Non potevam o sepa­

2. “Mujeres Libres tiene una personalidad”, Mujeres Libres, n. 8; e FEDERN,


Etta: Mujeres de las Revoluciones, Mujeres Libres, Barcellona f 1938], p. 58.

206
rare il problem a fem m inile dal problem a sociale, né potevam o disinteres­
sarcene p e r convertire la donna in un sem plice strum ento di una qualsiasi
organizzazione, anche se fo sse stata la nostra, l ’organizzazione libertaria.
L ’intenzione delle ideai rici era più grande, m olto più grande: volevano
servire una dottrina, non im partito; volevano dare alla donna la capacità
di fa r e di sé stessa un individuo capace di contribuire alla costruzione
della fu tu ra società, un individuo che im parasse a determ inarsi da solo,
non a seguire ciecamente le indicazioni di una O rg a n izza zio n e.

Nella pratica, indubbiamente, come suggerisce il tono implici­


tamente difensivo della precedente citazione, questi obiettivi si
trovavano a volte in uno stato di tensione. Per esempio, tanto la
CNT quanto la FAI (il cui appoggio morale ed economico era fon­
damentale per Mujeres Libres) erano molto più interessate al coin­
volgimento delle donne che alla capacitación. Entrambe le orga­
nizzazioni si sarebbero trovate più che disposte ad appoggiare
l’impegno di Mujeres Libres di organizzare le donne all’interno
dei sindacati, ma non mostravano invece molto entusiasmo
nell’appoggiarle nei più generali programmi di capacitación. Que­
ste organizzazioni non accettarono mai che la capacitación fosse
una meta indipendente che richiedeva una autonomia organizza­
tiva. Ma nonostante tutto Mujeres Libres considerava che il coin­
volgimento delle donne senza la capacitación non avrebbe avuto
nessun senso, perché le donne non erano ancora preparate ad en­
trare ad uno stesso livello di uguaglianza e parità all’interno del
movimento.

L’anarchismo fornì le basi fondamentali per l’analisi e per i pro­


grammi di Mujeres Libres. Il suo ultimo fine era una società egua­
litaria non gerarchica in cui le persone si rispettassero fra di loro e
fossero rispettate dagli altri. Eppure, data la relativa negligenza con
cui erano state trattate le donne e le questioni femminili all’interno
del movimento anarco-sindacalista, l’interesse principale di Muje­
res Libres fu quello di affrontare quegli aspetti del sistema sociale
di disuguaglianze e gerarchie che colpivano in modo specifico le3

3. “Anexo al informe que la federación Mujeres Libres eleva a los comités su­
periores del movimiento libertario y al pleno del mismo”, p. 2, Federazione “Muje­
res Libres”, Comitato Nazionale, Barcellona, ottobre 1938, IISG/CNT: 40.C.4.

207
donne. Trattare la subordinazione delle donne come parte del si­
stema gerarchico dominante situava fermamente il loro progetto
all’interno del contesto anarchico, mentre il concentrarsi sulle spe­
cifiche conseguenze di queste disuguaglianze per le donne diffe­
renziava Mujeres Libres dalla corrente dominante del movimento
libertario dell’epoca.
L’autonomia organizzativa era un punto cruciale di questa vi­
sione. Mujeres Libres sosteneva che le donne avevano bisogno di
un’organizzazione separata, non perché non ci si potesse fidare
degli uomini e nemmeno perché gli uomini non fossero profonda­
mente impegnati nell’emancipazione delle donne, ma perché, alla
fine dei conti, le donne avrebbero potuto arrivare a considerarsi
competenti e capaci di partecipare alla pari all’interno del movi­
mento libertario solo attraverso azioni guidate da loro stesse. Come
aveva scritto Lucía Sánchez Saornil nel 1935: “E quindi è per que­
sto che io credo che non sia lui [l’uomo] la persona chiamata a sta­
bilire le funzioni delle donne all’interno della società, per quanto
importanti ritenga che siano. Il pensiero anarchico, ripeto, prevede
che la donna agisca nell’uso della sua libertà, senza alcuna forma di
tutela né di coercizione; lei si rivolgerà verso quello che la sua na­
tura e l’indole delle sue facoltà le detteranno”4.
Questo Capitolo vuole analizzare la natura ed il funzionamento
dei programmi di capacitación di Mujeres Libres, e soprattutto gli
sforzi che fece per cercare di adattare i principi anarchici di prepa­
razione alla particolare situazione delle donne spagnole. Per capire
questi programmi, è fondamentale l’analisi che Mujeres Libres fa
della diversità delle donne, della natura e dell’origine della loro su­
bordinazione all’uomo nella società spagnola e dei contributi che le
donne potevano apportare alla rivoluzione ed alla costruzione di
una nuova società. Anche se raramente queste opinioni vennero
espresse in modo esplicito, si possono dedurre molte cose dagli
scritti e dai programmi dell’organizzazione.
Mujeres Libres concentrò la sua attenzione sulle relazioni tra la
subordinazione economica, quella culturale e quella sessuale. Nei
loro scritti possiamo infatti trovare un’analisi della subordinazione

4. Resumen al margen de la cuestión femenina”, Solidaridad Obrera (2 no­


vembre 1935). Vedi anche GOLDMAN, Emma: “La situación social de la mujer”,
Mujeres Libres, n. 6.

208
delle donne che riassumerebbe in linea di massima questo: le donne
che si dedicavano solamente al lavoro in casa erano economica­
mente (e quindi anche sessualmente) dipendenti dagli uomini. Que­
sta dipendenza contribuiva alle loro carenze educative, ed allo stesso
tempo ne veniva ulteriormente rafforzata, carenze che a loro volta
contribuivano ad una sottovalutazione sociale delle donne e in ge­
nerale ad una mancanza di amor proprio. La situazione cambiava
leggermente per le donne che lavoravano e che venivano pagate con
uno stipendio, sia che si trattasse di un lavoro svolto aH’intemo delle
loro case che, invece, nelle fabbriche. I loro bassi salari venivano
“giustificati” perché le donne erano considerate lavoratrici di se­
condo livello, ossia che non mantenevano la famiglia. I bassi salari,
a loro volta, contribuivano allo status di subordinazione delle donne
ed alla loro mancanza di autostima. Come ultima cosa, la subordi­
nazione economica e la relativa arretratezza culturale facevano sì
che le donne si trovassero in una situazione di vulnerabilità per lo
sfruttamento sessuale, all’interno ed al di fuori del matrimonio5.
Coerente alle analisi anarchiche delle relazioni di dominio e di
subordinazione, Mujeres Libres non attribuì mai la subordinazione
delle donne ad un unico fattore. L’istruzione sarebbe stata fonda-
mentale per superare la subordinazione culturale delle donne, ma
non sarebbe stata di per sé sufficiente a rendere le donne piena­
mente partecipi nell’economia o nella società. Anche il lavoro sa­
rebbe stato essenziale, ma anche questo, da solo, non avrebbe po­
tuto permettere loro di superare lo sfruttamento culturale e sessuale.
Quindi i programmi di empowerment avrebbero dovuto concen­
trarsi sul superamento di ognuno degli aspetti della schiavitù delle
donne e delle loro interazioni. Le attività dovevano quindi rivol­
gersi allo stesso tempo su vari fronti.
Nel caso specifico la posizione di Mujeres Libres in merito a
quanto o a cosa avrebbero dovuto apportare le donne alla rivoluzione
o alla nuova società era ambigua. Mentre molte attività e la propa­
ganda erano rivolte al superamento della subordinazione che impe­
diva alle donne di occupare i loro posti a fianco degli uomini nella

5. “E1 problema sexual y la revolución”, Mujeres Libres, n° 9, e “Liberatorios


de prostitución”, Mujeres Libres, n° 5. Si veda ARANGUREN, José Luis: “La
mujer, de 1923 a 1963”, Revista de Occidente (secondo periodo), n° 8-9 (novem­
bre-dicembre 1963), pp. 231-43.

209
creazione di una nuova società, alcuni scritti rimarcavano esplicita­
mente che le donne erano diverse dagli uomini e che era importante
incorporare le donne, con tutte le loro diversità, al processo rivolu­
zionario. Un editoriale che celebrava la fondazione della Federazione
Nazionale di Mujeres Libres, nell’agosto del 1937, affermava:

N e ll’identificare le sue aspirazioni in quelle della CNT e della FAI, ha


saputo raccogliere quanto più genuinam ente spagnolo e p iù autentica­
m ente rivoluzionario, p e r arricchirlo in p iù delle loro “caratteristiche
p ro p rie ”, delle loro caratteristiche fem m inili. [...] M ujeres L ibres vuole
che nella nuova società convergano i due lati della questione - quello
m aschile e quello fem m in ile - p e r stabilire l ’equilibrio necessario. [...]
N on ci può essere una società giusta dove il m aschile ed il fe m m in ile non
entrino in uguali proporzioni6.

Qui l’autrice sembra propendere per l’incorporazione della pro­


spettiva specifica che le donne apportano alla vita sociale e politica,
prefigurando il recente appello di Carol Gilligan che invita ad ascol­
tare la “voce diversa” delle donne. Ma non era chiaro in cosa do­
vesse consistere questa prospettiva. La questione di quali siano le
caratteristiche femminili e che cosa debbano offrire le donne alla
società, motivo di dibattito e discussione tra le femministe con­
temporanee7, venne affrontata anche dai membri di Mujeres Li­
bres. Come vedremo in molti programmi di Mujeres Libres era evi­
dente l’ambiguità sulla natura della donna.

Programmi educativi

L’istruzione rappresentò il centro dell’attenzione dei programmi


di capacitación di Mujeres Libres ed occupò il posto principale
all’interno dei dibattiti sui loro obiettivi. L’istruzione era essenziale

6. “Un accintecimiento histórico”, Mujeres Libres, n° 11.


7. Si veda, ad esempio, GILLIGAN, Carol: Con voce di donna, Feltrinelli, Mi­
lano, 1991; e RUDDICK, Sara: Il pensiero materno, Red, Como, 1993, Voice,
and Mind (eds. Mary FIELD BELENKY et al.), Basic Books, New York, 1986; e
per avere delle prospettive critiche, DIETZ, Mary G.: “Citizenship with a Feminist
Face”, Political Theory, 13, n° 1 (1985), pp. 19-37; e ACKELSBERG, Martha e
Irene DIAMOND: “Gender and Politicai Life”.

210
per liberare il potenziale delle donne e per permettere loro di con­
vertirsi in membri integralmente partecipi del movimento e della
nuova società: “La cultura per la cultura? La cultura in astratto?
No. Capacitación della donna con un fine immediato, urgente: aiu­
tare in modo positivo a vincere la guerra. Rendere capace la donna
di liberarsi dalla sua triplice schiavitù: schiavitù dall’ignoranza,
schiavitù in quanto donna e schiavitù come produttrice. Prepararla
[capacitarla] per un ordine sociale più giusto8.
I programmi educativi costituirono una delle prime attività di
Mujeres Libres e furono abbastanza differenziati fra di loro. Il li­
vello basico fu in generale una crociata contro l’analfabetismo. La
vergogna che provavano di fronte alla loro “arretratezza culturale”
impediva a molte donne di partecipare attivamente alla lotta per un
cambiamento rivoluzionario. L’alfabetizzazione sarebbe stata
quindi uno strumento per sviluppare la fiducia in sé stesse e avrebbe
portato ad una maggiore partecipazione9.
Oltre alle lezioni di alfabetizzazione basilare, i diversi istituti
delle città e dei paesi offrivano dei corsi di orientamento più tecnici
e dei programmi di “formazione sociale” - e con queste parole si ri­
ferivano ad un orientamento al mondo sociale e politico -. Nell’au­
tunno del 1936, Mujeres Libres di Barcellona offriva corsi intensivi
di cultura generale, di storia sociale, di economia e di diritto nella
sua sede in piazza di Catalogna. Alla fine di quell’anno, la Agru­
pación aveva un Istituto Mujeres Libres in calle Cortes; alcuni mesi
più tardi, il Casal de la Dona Treballadora apriva le sue porte.
Nell’ottobre del 1937, il Casal de la Dona Treballadora annunciava
corsi suddivisi in questo modo:

8.Istituto Mujeres Libres: Actividades de la F. N. Mujeres Libres, Mujeres Li­


bres, Barcellona, (1938). Si veda anche “Realizaciones de Mujeres Libres. Orga­
nización, Cultura, Trabajo, Maternidad”, Tierra y Libertad (30 luglio 1938); e
ESTORACH, Soledad: “Caracteres de nuestra lucha”, Tierra y libertad (3 dicem­
bre 1938)
9. Si veda Tannuncio “Mujeres Libres”, Tierra y Libertad, n° 47 (10 dicembre
1938), p. 3. Per la campagna d’alfabetizzazione in un senso più generale, si veda
“Salvemos a las mujeres de la dictadura de la mediocridad. Labor cultural y con­
structiva para ganar la guerra y hacer la Revolución”, Ruta, 2, n° 29 (30 aprle
1937), p. 8; anche “Realizaciones de “Mujeres Libres”. La Mujer ante el presente
y futuro social”, Siderometalurgia (Rivista del sindacato dell’industria siderome-
tallurgica di Barcellona), 5 (novembre 1937), p. 9.

211
LEZIONI ELEMENTARI (per le persone analfabete e diviso in tre livelli):
leggere, scrivere, nozioni di aritmetica, geografia, grammatica, fenomeni
naturali.
LEZIONI COMPLEMENTARI ALL’INSEGNAMENTO ELEMENTARE: Storia uni­
versale, francese, inglese, russo, m eccanografia, stenografìa.
LEZIONI COMPLEMENTARI PROFESSIONALI: Per infermiere, per pueri­
cultrici (con le rispettive ore di pratica negli ospedali e nei luoghi appo­
siti), studi tecnici (meccanica, elettrotecnica, commercio), taglio e cucito,
nozioni di agricoltura e avicoltura, con le relative lezioni pratiche.
FORMAZIONE SOCIALE: Corsi di organizzazione sindacale, sociologia,
nozioni di economia. Conferenze settimanali per l ’ampliamento della cul­
tura generale101.

A prescindere dal livello del corso, il materiale prevedeva una


nuova concezione dell’essere donna. I corsi di “formazione sociale”
erano una materia obbligatoria per le future militanti. Come nuovi
membri dell’organizzazione, Pepita Carpena, Conchita Guillén ed
Amada de Nó studiarono negli anni 1937 e 1938 con Mercedes Co-
maposada. L’obiettivo del corso era far assumere alle donne la re­
sponsabilità delle proprie vite: “Il compagno e la compagna devono
essere liberi ed uguali nella stessa maniera, ossia, al primo posto ci
devono essere l’indipendenza, la personalità e si deve fare in modo
che la compagna arrivi alla propria emancipazione senza la guida
del compagno. La donna deve prendere l’iniziativa e arrivare all’in­
dipendenza11.
Mujeres Libres offriva anche corsi di formazione professionale
per insegnanti di scuola elementare con l’obiettivo di preparare una
nuova generazione di maestri che educassero i bambini e le bam­
bine per la nuova società. Infine, c’erano corsi e programmi
sull’agricoltura e sull’avicoltura. Mujeres Libres organizzò delle
fattorie-scuole per donne che erano arrivate in città dalle aree rurali
per lavorare come domestiche. Il proposito era di insegnare delle at­
tività che avrebbero permesso loro di partecipare più attivamente
alle fattorie collettivizzate dei loro paesi di origine.
Nelle grandi città, Mujeres Libres organizzò attività sia a livello
10. Come si annunciava in Mujeres Libres, n° 11 (1937).
11. Pepita Carpena, interviste, Montpellier, 30 dicembre 1981, e Barcellona, 3
maggio 1988; Conchita Guillén ed Amada de Nó, interviste, Montady, 29 e 30
aprile 1988.

212
di quartiere sia a livello comunale. I centri dei quartieri offrivano le­
zioni serali per permettere alle donne lavoratrici di parteciparvi.
Nei quartieri e nei paesi, l’offerta più comune erano le lezioni di al­
fabetizzazione basica, inoltre erano attivi dei corsi di educazione
elementare, di meccanica, lezioni dove si insegnava come pren­
dersi cura dei bambini, come fare assistenza medica e di infermeria.
Questi corsi permettevano alle donne, che arrivavano a conseguire
il titolo, di insegnare in nuove scuole o di lavorare nelle cliniche e
negli ospedali, sia al fronte che nei loro quartieri. Mentre la guerra
creava ogni giorno sempre più rifugiati, nelle zone dove arrivavano
si formarono gruppi di Mujeres Libres che organizzarono ampli
programmi educativi rivolti alle necessità di adulti e bambini12.
Gli obiettivi dei programmi educativi di Mujeres Libres anda­
vano bel oltre la mera trasmissione di abilità. Nel luglio del 1937,
la Generalität aveva creato VInstitut d ’Adaptació Professional de la
Dona, con la partecipazione della UGT e della CNT. Creato quando
la Generalität aveva preso il controllo della Escuela de Adaptación
Profesional de la Mujer (scuola in comune fra Mujeres Libres e la
CNT di Barcellona), VInstitut si proponeva di conferire alle donne la
formazione necessaria per entrare nella forza lavoro e sostituirsi
così agli uomini che erano andati al fronte13. Sembra che questa
scuola derivasse dalla Escola Professional per la Dona, creata nel
1883 per dare una formazione tecnica alle ragazze della classe ope­
raia che iniziavano a lavorare nell’industria tessile. Il suo pro­
gramma si estese in modo importante dopo il luglio 1936, quando
la Generalität ampliò l’offerta di corsi14.

12. DELSO DE MIGUEL, Ana: “Demarche évocatrice” in: Trois cents hommes
et moi, Montreal, Éditions de la pleine lune, 1989, pp. 48-55 (esiste una versione in
castigliano: Trecientos hombres y yo. Estampa de una revolución, Fondazione An­
seimo Lorenzo, Madrid, 1998); interviste.
13. “Reglament per a 1’Aplicado del decret del 10 de Juliol del 1937 que Crea
l’Institut d’Adaptació Professional de la Dona”, IISG/CNT: 001.A.3.
14. “Informes. Instituto de Adaptación Profesional de la Mujer”, IISG/CNT:
001.A.3.; Federación Local de Sindicatos Unicos: “Acerca del Instituto de Adap­
tación Profesional”, Boletín de Información, CNT-FA1, n° 393 (24 settembre 1937);
Generalitat de Catalunya: Escola professional per a la dona - Reglament, Casa
d’A. F. Macià, Barcellona, 1937; e Generalitat de Catalunya, Department de Cul­
tura: Les noves institucions juridiques i culturáis pera la dona (Setmana d’Activi-
tats Femenines, febbraio 1937), Gráficas Olivade, Vilanova (Barcellona), 1937.

213
Ma Mujeres Libres era convinta che questo nuovo istituto offrisse
solamente una risposta parziale alle necessità delle donne: “Questi
Istituti non possono raggiungere degli obiettivi senza un previo la­
voro di preparazione nel senso non solo di facilitare le conoscenze
concrete più indispensabili, ma di formazione spirituale e sociale15.
Gli obiettivi di Mujeres Libres erano più ampli. Come spiegava So-
ledad Estorach, “le scuole di formazione professionale (dirette dalla
Generalitat) aprivano le loro porte alle donne e offrivano loro una for­
mazione tecnica che avrebbe permesso loro di occupare i lavori degli
uomini. Ma noi (nel Casal) univamo la formazione tecnica ad una
specie di preparazione sociale. Potrei dire che si trattava di una scuola
di militanti” 16. Mujeres Libres, non era, comunque, l’unica organiz­
zazione che cercava di utilizzare i programmi tecnici con fini politici
più ampli. Di fatto, come vedremo nel Capitolo VI, una delle loro la­
mentele verso la Escuela de Adaptación Profesional de la Mujer era
che venisse usata da altre organizzazioni con fini propagandistici.
Questi programmi di servizi educativi diretti arrivarono a molte
migliaia di donne; nel dicembre del 1938, fra le seicento e le otto­
cento donne frequentavano quotidianamente le lezioni del Casal
de la Dona di Barcellona17. Inoltre i programmi di stampa e di
propaganda di Mujeres Libres diffondevano ancora più ampia­
mente il loro messaggio, allegando alla rivista libri ed opuscoli in
merito a temi diversi, dalla cura dei bambini alle biografie delle
rivoluzionarie (vedi Appendice B). Dopo pochi mesi dallo scop­
pio della rivoluzione, Mujeres Libres di Barcellona montò un
chiosco nelle Ramblas affinché queste pubblicazioni fossero anco­
ra più reperibili per le potenziali lettrici18. Organizzò anche delle
esposizioni che illustravano le attività e gli obiettivi raggiunti
dalle donne nel periodo rivoluzionario.
Infine, Mujeres Libres organizzò a livello regionale e nazionale

15. “Realizaciones de ‘Mujeres Libres’”, Tierra y Libertad (30 luglio 1938).


16. Intervista, Parigi, 4 gennaio 1982. Si veda anche ESTORACH, Soledad:
“Escucha, compañera”, Acracia (6 febbraio 1937).
17. Lucía Sánchez Saornil, per il Comitato Nazionale di Mujeres Libres, ai co­
mitati nazionale e peninsulare della CNT, della FAI e della FUL ( 13 dicembre 1938)
e a Juan Negrin, presidente del Consiglio dei Ministri (21 dicembre 1938),
IISG/FAI: 48. C. La.
18. Amada de Nó fu per alcuni mesi la responsabile di questo chiosco. Intervi­
sta, Montady, 30 aprile 1988.

214
dei comitati per la diffusione della cultura e della propaganda, tanto
di persona quanto attraverso materiale scritto. Un gruppo di Barcel­
lona emetteva regolarmente programmi radiofonici. Altre viaggia­
vano per la campagna catalana per parlare direttamente alle donne
che non leggevano e non ascoltavano la radio. Pepita Carpena, ad
esempio, dopo aver terminato il corso con Mercedes Comaposada,
si dedicò a partecipare regolarmente a queste gite propagandistiche
come membro del Comitato Regionale della Catalogna di Mujeres
Libres, essendo responsabile della cultura e della propaganda. A li­
vello locale alcune associazioni riuscirono a creare delle bibliote­
che ambulanti19. Nel novembre del 1938 un bilancio preventivo di
questo comitato mostrava che sette dei suoi dodici membri occupa­
vano dei posti relativi alla cultura ed alla propaganda20. Il modello
era simile in tutto il resto del paese.
E evidente che il lavoro era soddisfacente e stimolante. La descri­
zione di Pepita Carpena delle esperienze che fece durante queste tra­
sferte per la campagna riescono a dare un’idea di questo entusiasmo:

Facevam o delle riunioni p e r spiegare loro che non esiste un ruolo d e­


fin itivo p e r la donna, che la donna non deve perdere la sua indipendenza,
che può essere m adre e com pagna allo stesso tempo. Le ragazze si avvi­
cinavano a noi e dicevano: “Che interessante! N essuno ci aveva m ai detto
delle cose così, m a le sentivam o dentro di noi, solo che non sa p e v a m o ...”
Le idee che richiam avano m aggiorm ente l ’attenzione? Beh, quando p a r­
lavam o del potere che gli uom ini avevano sulle donne. Si fo rm a v a un
grande subbuglio quando dicevam o: “Non possiam o perm ettere che gli
uom ini si credano superiori alle donne e che abbiano questo p o te r e ”.
Io credo che la donna spagnola stesse aspettando con ansia questo ri­
sveglio21.

19. “Acta de la Segunda Sesión de la Conferencia Nacional de “Mujeres Li­


bres” Celebrada en Valencia el Día 21 de agosto 1937” e “Acta de la Tercera Se­
sión de la Conferencia Nacional de Mujeres Libres Celebrada en Valencia en 21
de agosto a las C u a tro de la Tarde”, pp. 6 -8 , AH N /SG C -S, P.S. Madrid: 432.
20. Questa lista di nomi includeva anche Sara Berenguer (Barcellona), Propa­
ganda; Ángela Colomé (Badalona), Pepita Margallo (Mataré), Angelina Cortez
(Guixols) e Pepita Carpena (Barcellona), Cultura; e María Luisa Cobos (Barcel­
lona) e Águeda Abad (Barcellona), Propagandiste ed Organizzatrici. “Presupuesto
de los gastos mensuales del Comité Regional “Mujeres Libres” de Cataluña”, Bar­
cellona (3 novembre 1938), IISG/CNT: 40.C.4.
21. Pepita Carpena, intervista, 30 dicembre 1981.

215
Queste riunioni erano importanti per molti aspetti sia per chi le
teneva che per chi vi prendeva parte. Sara Berenguer Guillén, Con-
chita Guillén ed Amada de Nó, ad esempio, fecero la loro prima
apparizione pubblica come oratrici di Mujeres Libres invitando le
donne a studiare e a prepararsi. L’esaltazione ed il sentimento di
arrivare ad ottenere qualcosa di concreto era così palpabile che si
sentiva ancora cinquant’anni più tardi, quando mi stavano spie­
gando queste attività.
Il lavoro culturale era importantissimo, perché se Mujeres Li­
bres si proponeva di creare “una forza [rivoluzionaria] cosciente e
responsabile”, questa forza doveva essere educata. I programmi si
sviluppavano simultaneamente su diversi livelli. Anche quando le
donne andavano a scuola per sviluppare le loro abilità e la fiducia
in loro stesse, partecipavano ad attività organizzative che davano
per scontato che loro avessero già queste abilità e questa fiducia.
Quasi tutte le militanti del movimento libertario erano autodidatte,
e Mujeres Libres doveva mettere in pratica la teoria anarchica
dell’azione diretta e “imparare attraverso l’azione”. Il raggiungi­
mento degli obiettivi che si era preposta è un’eloquente testimo­
nianza delle possibilità di questo modello educativo.

Inserimento lavorativo e
programmi di formazione professionale
Strettamente collegati ai programmi di cultura e a quelli di istru­
zione generale, si programmarono delle attività e dei progetti ideati
per facilitare l’incorporamento delle donne alla forza lavoro come
lavoratrici qualificate e con un salario dignitoso, cosa che presup­
poneva formare le donne affinché svolgessero dei lavori che si
erano da sempre considerati prerogative maschili. I programmi di
apprendimento, che erano il nucleo di questa componente del piano
d’azione di Mujeres Libres, si elaboravano in generale di comune
accordo con le federazioni locali dei sindacati. Le relazioni erano,
senza dubbio, difficili, e riflettevano tutti i gradi di disaccordo esi­
stenti per la subordinazione delle donne e per la comprensione delle
differenze fra i sessi.

Le sezioni di lavoro erano probabilm ente le attività più importanti. Ini­

216
ziam m o a lavorare in questo cam po im m ediatamente, perché era essen­
ziale che la donna uscisse di casa. Con il passare del tem po si fo rm a ro n o
dei gruppi di M ujeres Libres in quasi tutte le fabbriche. Forse m olti di
questi gruppi si occupavano di aspetti che avevano veram ente p oco a che
fa re con l ’em ancipazione fem m inile, m a offrivano alle donne l ’opportu­
nità d i parlare dei problem i della fabbrica. D ovevam o fa re attenzione a
non invadere il terreno delle altre organizzazioni, soprattutto quello dei
sindacati, e di non fom en ta re l ’antagonism o fr a gli uom ini e le donne22.

Anche se la collaborazione dei sindacati a questi programmi era


dovuta principalmente al desiderio di poter occupare i posti di la­
voro che rimanevano vacanti quando gli uomini andavano al fronte,
l’impegno di Mujeres Libres nella partecipazione delle donne era
dovuto anche alla convinzione che un salario dignitoso, in condi­
zioni di lavoro ragionevoli, era tanto un diritto della donna quanto
dell’uomo, in tempo di guerra o in tempo di pace. “Non si parli ora
dell’incorporazione della donna al lavoro come di una grazia o di
una necessità. Il lavoro è un diritto da lei conquistato nei giorni in
cui la lotta è stata più cruenta”23.

Le chiavi d e ll’autosviluppo della donna erano l ’istruzione ed il lavoro.


Volevamo aprire il m ondo alle donne, perm ettere loro di svilupparsi com e
desideravano.
La p rim a cosa era fa rle uscire di casa. E vero che anche le donne che
lavoravano non erano com pletam ente indipendenti econom icam ente, ma
questo, in ogni modo, sarebbe stato im possibile data la situazione della
classe opercda a quei tempi. M a il fa tto che le donne uscissero p e r andare
a lavorare segnò un punto di diversità; perm ise loro di sviluppare un
senso sociale. A nche i m ariti sentivano un certo rispetto p e r le loro donne
lavoratrici. Così ci sem brava im portante che le donne uscissero di casa,
anche se non sarebbero state com pletam ente indipendenti econom ica­
m ente.24.

Mujeres Libres affrontò le questioni della donna e del lavoro in


modi diversi anche se sempre collegati fra di loro. Alcuni articoli

22. Soledad Estorach, intervista, 4 gennaio 1982.


23. “Realizaciones de ‘Mujeres Libres”’, Tierra y Libertad (30 luglio 1938), p. 4.
24. Mercedes Comaposada, intervista, Parigi, 5 gennaio 1982.

217
della rivista analizzavano la storia del lavoro e della partecipazione
della donna alla forza lavoro; i programmi organizzativi si occu­
pavano delle specifiche necessità delle donne in tempo di guerra e
durante la situazione rivoluzionaria.
La maggior parte degli scritti teorici di Mujeres Libres conside­
rava il lavoro nel suo contesto storico. Il lavoro veniva tradizional­
mente concepito, scriveva Mercedes Comaposada, come un castigo
o una necessità o come una combinazione delle due cose. Le per­
sone lavoravano per poter sopravvivere, ma con l’arrivo del capi­
talismo, gli aspetti punitivi del lavoro si accentuarono. Il capitali­
smo (e la gestione scientifica) per arrivare al progresso industriale
“si dimenticarono dell’uomo”. Il cambiamento rivoluzionario
avrebbe dovuto affrontare il danno spirituale e quello fisico cau­
sato dal lavoro monotono e ripetitivo.25.
Numerosi articoli analizzavano come l’ideologia di quelle che
ora vengono denominate “sfere separate” e l’aspettativa che il posto
della donna fosse la casa colpissero in modo diverso le donne della
campagna e quelle della città, quelle della classe operaia e quelle
della classe media. Con l’industrializzazione, ad esempio, molte
lavoratrici della campagna emigrarono nelle città nella speranza di
vivere grazie ad un lavoro come domestiche o come operaie di fab­
brica. “Ma questo rimaneva solo una speranza: la schiavitù esisteva
di fatto in modo enorme.” Le donne della classe media si vedevano
a loro volta colpite dall’industrializzazione e dall’incremento delle
aspettative che arrivarono dopo la Prima Guerra Mondiale. Molte
accettarono lavori negli uffici e nei negozi, ma per loro la promessa
della “ricchezza a cui sarebbero giunte grazie al lavoro” era in
molte occasioni più un sogno che una realtà26.
Anche se Mujeres Libres si mostrava critica verso le condizioni
di lavoro degli uomini e delle donne nell’economia primitiva, feu­
dale e capitalista, le autrici esponevano la loro versione di cosa
avrebbe significato il lavoro e come sarebbe stato vissuto nella
nuova società. In primo luogo, il lavoro era una parte necessaria ed
imprescindibile della vita. Gli esseri umani avevano la capacità di
usare la tecnologia per alleviare il carico di lavoro, strutturare la
produzione per mettere le macchine al servizio delle persone ed

25. “El trabajo” e “El accidente espiritual”, Mujeres Libres, n° 6.


26. “La mujer como productora”, Mujeres Libres, n° 11.

218
eliminare lo sfruttamento della minoranza sulla maggioranza27. Il
lavoro sarebbe stato l’espressione della capacità e della creatività
umane, ed un requisito previo per la libertà: “Il lavoro è creazione
o non è nulla: la creazione è superamento progressivo e l’oggetto
del superamento è la libertà”28. La concezione del lavoro come
parte di una vita soddisfacente era importante soprattutto per le
donne, che fino ad allora erano state giudicate non adatte al lavoro
produttivo. Mujeres Libres riteneva che il lavoro contribuissse
tanto al progresso sociale quanto a quello generale e, più concre­
tamente, all’emancipazione delle donne, e che avrebbe permesso
loro di essere e di sentirsi membri produttivi della società29.
Un secondo aspetto di questo punto di vista era che le donne do­
vevano essere trattate da eguali nelle questioni lavorative, con
uguale accessibilità al lavoro ed uguale salario per il lavoro che
svolgevano. Mercedes Comaposada arrivò ad affermare che tutte le
differenze salariali, incluse quelle esistenti tra lavoro manuale e la­
voro tecnico, dovevano essere eliminate immediatamente30. Dato
che lo sfruttamento della donna era radicato nella sua dipendenza
economica, lo si sarebbe potuto superare solo una volta raggiunta
l’indipendenza o, perlomeno, avrebbe dovuto essere dipendente
nella stessa misura dell’uomo. “A uguale lavoro uguale salario” era
dunque una necessità immediata. Durante un dibattito della Riu­
nione Plenaria del Movimento Libertario nell’ottobre del 1938,
Mujeres Libres sfidò apertamente la CNT per fare in modo che “se
l’Organizzazione non vuole consentire che le donne che esercitano
un’uguale funzione ricevano a giornata lo stesso stipendio degli
uomini, almeno che lo dica chiaramente”31.
Ma se le donne dovevano partecipare come lavoratrici, dove­
vano prepararsi. Il significato di questa prospettiva cambiò a se­

27. GRANGEL, Pilar: “El trabajo intelectual y manual de la mujer”, Mujeres


Libres, n° 12; si veda anche “Mujeres con carga”, Mujeres Libres, n° 10, e “Cam­
pesina”, Mujeres Libres, n° 8.
28. “trabajo. Redoblemos el esfuerzo”, Mujeres Libres, n° 6 (dicembre 1936).
29. “El trabajo”, Mujeres Libres, n° 13.
30. COMAPOSADA, Mercedes: “Nivelación de salarios”, Tierra y Libertad
(27 febbraio 1937), citato in NASH: “Mujeres Libres”, pp. 150-152.
31. “Actas del Pleno Nacional de regionales del Movimiento Libertario”, Bar­
cellona (ottobre 1938), p. 160,11SG/CNT: 92.A.3. Si veda anche “¿Hasta cuándo?”,
Mujeres Libres, n° 10.

219
conda delle circostanze. Nei primi mesi di lotta, l’organizzazione
spronò le donne a partecipare come potevano, sostenendo che la
mancanza di preparazione non doveva impedire alle donne di la­
vorare32. Ma nonostante questo, col procedere della guerra, mentre
i fronti avanzavano e diminuivano gli ordini dall’estero, il lavoro
iniziò a scarseggiare. Mujeres Libres, allora, anche se continuò a
sostenere l’incorporazione della donna alla forza lavoro, insistette
ancora di più sull’importanza dell’istruzione. “Mujeres Libres non
fa promesse demagogiche né falsi appelli. Mujeres Libres non vi
assicura una collocazione immediata. Mujeres Libres vi offre la
possibilità di diventare capaci di servire efficacemente la nostra
lotta”33. Ed ancora, negli ultimi momenti della guerra, Mujeres Li­
bres continuò ad affermare che il lavoro era un diritto della donna,
diritto che esercitò con enorme entusiasmo e volontà incorporan­
dosi alla forza lavoro durante i primi giorni della rivoluzione. “La
donna ha riposto tutta la sua fede nella rivoluzione. Speriamo che
gli atavici egoismi non la defraudino”34.
Anche se la maggior parte degli articoli sosteneva che il lavoro
fosse un diritto della donna, alcuni suggerivano che l’incorpora­
zione di questa al lavoro dovesse essere solo temporanea, una ne­
cessità bellica. Ma anche questi articoli ritenevano però che le
donne dovessero imparare a pensare e ad agire collettivamente: “La
donna deve produrre per la collettività, [...] e non può tornare alla
produzione egoistica, domestica e familiare”35. Un altro articolo
criticava le donne che vedevano la loro incorporazione al lavoro
salariato come un trionfo personale ed individuale: “Un gran nu­
mero di donne non ha capito la gravità della situazione attuale. Non
si tratta di rivendicazioni individuali, si tratta della difesa collettiva
di un popolo. Prendendo in mano degli strumenti di lavoro nessuno
deve pensare di stare risolvendo una situazione personale, ma deve
capire che quegli strumenti nella retroguardia equivalgono ad un
fucile al fronte”36.

32. “Hay sitio para todas”, Mujeres Libres, n° 7.


33. “Mujeres de España”, Mujeres Libres, n° 12. Si veda anche GRANGEL,
Pilar: “El trabajo intelectual y manual de la mujer” e “La mujer y la técnica”, nello
stesso numero.
34. “El trabajo”, Mujeres Libres, n° 13.
35. “La mujer como productora”, Mujeres Libres, n° 11.
36. “La incorporación de las mujeres al trabajo”, Mujeres Libres, n° 12.

220
L’ambiguità di queste opinioni era col legata alla concezione che
Mujeres Libres aveva della “differenza” delle donne. Alcuni scritti
sottolineano le qualità specificatamente femminili delle donne -
“la donna ha saputo apportare al grossolano ambiente della guerra
la delicata dolcezza della sua psicologia femminile” - o mettevano
in rilievo la varietà dei modi in cui le donne potevano contribuire
allo sforzo bellico: “Alcune lottano al fronte, ed altre fanno la guar­
dia a quelli che combattono. Nelle retrovie, lavorano incessante­
mente ed incrementano la cultura che fino ad ora era mancata al
movimento femminile. La donna sta riscattando sé stessa”37. Altre
volte Mujeres Libres sembrava meno preoccupata di definire quello
che era specificatamente “femminile” e si occupava invece di su­
perare gli ostacoli che impedivano la piena incorporazione della
donna alla forza lavoro. Anche se i programmi di capacitación di
Mujeres Libres sembravano dare per scontato il fatto che la donna
avrebbe lavorato - per mantenere sé stessa, la sua famiglia e per lo
sforzo bellico -, alcuni articoli della rivista continuavano ad essere
rivolti alla donna principalmente come madre o “persona su cui
poter fare appoggio”. E evidente che la questione di quale fosse la
“natura” femminile e che cosa ci si potesse aspettare dalla donna
non era assolutamente risolta.
Gli apprendimenti tecnici ed altri programmi collegati al mondo
lavorativo che Mujeres Libres sviluppò riflettevano tanto le esi­
genze della situazione bellica quanto le ambiguità che circonda­
vano la subordinazione delle donne sul luogo di lavoro. La maggior
parte di questi programmi consisteva in corsi di tecniche e di me­
stieri, ma erano accompagnati da lezioni di “formazione sociale” di­
rette ad altri aspetti della subordinazione.
Iniziando a livello locale e continuando ad espandersi in un se­
condo tempo alle unità regionali e nazionali, Mujeres Libres orga­
nizzò sezioni di lavoro, con responsabilità in uffici e fabbriche spe­
cifiche, che cooperarono con i rispettivi sindacati della CNT. Ad
esempio, nel luglio del 1937, Mujeres Libres di Madrid dirigeva
una scuola di meccanica, delle lezioni di cucito, dei programmi di
formazione per domestiche e per impiegate, un’officina per ope­
raie tessili e alcune scuole guida e di metallurgia. Mujeres Libres di
Barcellona aveva sezioni di lavoro nel trasporto, nella metallurgia

37. “Las mujeres en los primeros días de lucha”, Mujeres Ubres, n° 10.

221
(formazione per lavorare nelle industrie di guerra), nei servizi pub­
blici, in quelli tessili, nel lavoro domestico, nella sanità, nel com­
mercio e negli uffici.
La maggior parte dei sindacati locali parteciparono con entusia­
smo e slancio a questi programmi. Pura Pérez Arcos, ad esempio,
che a Barcellona fece un corso di trasporti e fece parte del primo
gruppo di donne che ottenne il permesso di guidare i tram, descrisse
il sindacato dei trasporti come “fantastico”: “Prendevano appren-
diste di meccanica e di guida e ci insegnavano davvero quello che
dovevamo fare. Se aveste potuto vedere le facce della gente...
[quando le donne iniziarono a guidare i tranvia] credo che i com­
pagni dei Trasporti, che si comportarono molto bene con noi e ci
aiutarono tanto, erano realmente felici di insegnarci tutto questo”38.
Mujeres Libres formava anche le donne al lavoro nelle aree ru­
rali, soprattutto creando centri sperimentali di agricoltura e di avi­
coltura. Offriva così alle donne le conoscenze necessarie per parte­
cipare alla produzione agricola. Si crearono centri sperimentali a
Barcellona, in Aragona e a Valenza, a cui presero parte anche donne
di molti paesi delle vicinanze.39.
Le sezioni di lavoro spronavano le donne a partecipare ogni
giorno più attivamente ai propri centri di lavoro, tanto nell’am­
biente rurale quanto in quello urbano. Frequentemente si recavano
nelle fabbriche a fare delle visite educative

Alcune di noi andavano in piccoli gruppi di fabbrica in fabbrica, fer­


mavamo la produzione per quindici o venti minuti, a volte fino ad un ’ora,
e parlavamo con la gente, davamo delle lezioni. Lo facevamo, sicura­
mente, con il permesso del comitato di fabbrica: il sindacato ci appog­
giava. Questo lo abbiamo fatto a Barcellona, nelle fabbriche di guerra,
nelle fabbriche tessili, nei trasporti, nelle centrali elettriche, nella metal­
lurgia, nell’industria del legno ed anche in alcuni paesi. Alcuni giorni ar­
rivavamo a visitare fino a cinquanta posti diversi/40.

38. Pura Pérez Arcos, intervista, Windsor, 16 dicembre 1984; e comunicazione


personale, 5 giugno 1989.
39. Come ricordava GIMÉNEZ, María: “Una colectividad. Amposta”, Mujeres
Libres, n° 11; si veda anche, nello stesso numero, PÉREZ, Maria: “Utiel revolu­
cionario”; ancora GIMÉNEZ, María: “Aragón revolucionario”, n° 10, e “Campe­
sina”, n° 13.
40. Soledad Estorach, intervista, 4 gennaio 1982.

222
Il proposito delle visite era duplice, rappresentava l’impegno
dell’organizzazione sia alla capacitación sia al coinvolgimento del
maggior numero possibile di donne. Ossia, avevano come obiet­
tivo quello di parlare alle donne delle loro responsabilità nel lavoro
(formazione sociale) ed anche di spronarle a fare parte di Mujeres
Libres o dei sindacati. Un altro obiettivo era riuscire a far avere a
Mujeres Libres delle rappresentanti in tutte le fabbriche ed in tutti
i comitati sindacali41.
Come ultima cosa, le sezioni di lavoro si interessavano anche
della cura dei bambini. Se le donne dovevano fare parte della forza
lavoro, dovevano venire liberate dalla responsabilità della cura dei
figli durante le ore di lavoro. Questa responsabilità doveva ricadere
sulla comunità in generale. Durante il suo primo congresso Muje­
res Libres appoggiò la creazione di asili all’interno delle fabbriche
e delle officine, con luoghi appositi dove le donne avrebbero potuto
allattare i loro bambini, e si impegnò sia a creare questo tipo di cen­
tri sia a pubblicizzarli, così che i vari gruppi in tutto il paese aves­
sero dei modelli per crearne a loro volta altri42.

Presa di coscienza e appoggio alla militanza femminile


Grazie a questi programmi educativi Mujeres Libres cercò di far
prendere coscienza rispetto alla militanza della donna. Quasi tutti i
numeri della rivista contenevano per lo meno un articolo sulla
donna come militante sociopolitica o sui traguardi di donne ecce­
zionali della Spagna contemporanea o di altri contesti geografici e
storici43. Nel loro tentativo di arrivare alle donne non affiliate ed
agli uomini anarchici, Mujeres Libres pubblicava colonne anche

41. Comitato Nazionale di Mujeres Libres: “Circular a los Comités regionales”


(10 maggio 1938), frammento in IISG/FAI; 59; citato anche in “Informe que esta fe­
deración eleva a los comités nacionales del movimiento libertario y a los delega­
dos al pleno del mismo”; 6, IISG/CNT: 40.C.4. Per un appello diretto alle donne si
veda “La mujer en el Sindicato”, Acracia, (19 novembre 1937), p. 2.
42. “Actas” (21 agosto 1937), p. 6; e CUADRADO, Áurea: “Adaptación pro­
fesional de la mujer”, Mujeres Libres, n° 11.
43. Quelli di Etta Fedem vennero in seguito pubblicati come Mujeres de las re­
voluciones', quelli di Kiralina (Lola Iturbe( vennero pubblicati su La mujer en la
lucha social.

223
su altre pubblicazioni anarchiche, come Aeratici, Ruta, CNT e Tierra
y Libertad, in cui trattava la partecipazione delle donne alla lotta ri­
voluzionaria. Una serie di opuscoli e di pamphlet, ed alcune espo­
sizioni d’arte a Madrid e a Barcellona evidenziano i traguardi e le
attività delle donne.
Inoltre Mujeres Libres appoggiò attivamente la partecipazione
delle donne agli aspetti militari della lotta. La rivista pubblicò arti­
coli sulle miliziane al fronte e sulle poche donne che occupavano
posti militari d’importanza. Perlomeno qualcuna fra queste donne
soldato dimostrò di apprezzare questo appoggio. Amada de Nò ri­
cordava che, stando nell’ufficio della Sede di Barcellona, arrivò un
“soldato molto simpatico”, e domandò se fosse quello l’ufficio di
Mujeres Libres. Quando gli rispose di sì, il soldato disse che ne vo­
leva fare parte. All’inizio, Amada pensò che si trattasse di uno
scherzo o di qualcuno che la voleva stuzzicare. Poi invece si rese
conto che non si trattava di un uomo, ma di una donna, Mika Et-
chebéhère, una delle poche donne che occupavano realmente un
posto di comando all’intemo dell’esercito repubblicano44. Muje­
res Libres di Madrid creò un campo da tiro dove le donne si eser­
citavano, “pronte a difendere la capitale”, e Mujeres Libres della
Catalogna formò una sezione di “sport di guerra” che aveva come
obiettivo la “preparazione premilitare delle donne, affinché, nel
caso in cui le circostanze lo avessero richiesto, avrebbero potuto
intervenire efficacemente perfino nel campo di battaglia”45.
Mujeres Libres insisteva che la militanza delle donne non do­
vesse essere vista come un’anomalia. Le donne facevano parte della
sfera pubblica: “E’ un errore grande e generalizzato credere che le
attività intellettuali e spirituali ammazzino il carattere femminile e
materno della donna. Piuttosto, è vero il contrario. L’occupazione
che ha come basi gli ideali della vita dà più tenerezza, più amore,

44. Amada de Nó, intervista, Montady, 30 aprile 1988. Mujeres Libres pub­
blicò un articolo breve sulla settantesima Brigata, accompagnato da una foto di
Mika Etchebéhère, Capitano della 14° Divisione, nel n° 10. Si veda anche ET-
CHEBÉHERE, Mika: La mia guerra in Spagna, Bompiani, Milano, 1977.
45. A proposito delle donne al fronte, si veda “La capitana de Somosierra”,
Mujeres Libres, n° 13. Le esercitazioni di tiro per le donne a Madrid sono rac­
colte in Actividades de la F.N. Mujeres Libres, 2; e la sezione sullo “sport di
guerra” della Catalogna in “Actividades de Mujeres Libres”, Mujeres Libres n°
12.
224
più sensibilità e generosità alla donna piuttosto che la volgare
preoccupazione per i problemi materiali”46.
Alcuni autori affermavano che la militanza femminile possedeva
un carattere molto diverso da quella dell’uomo. Federica Montseny,
nel suo unico contributo a Mujeres Libres, dichiarava che le donne
risaltavano per “lo sforzo collettivo di un sesso, sacrificandosi, lot­
tando come lottano in Spagna le operaie delle fabbriche di muni­
zioni, sfidando la morte per molte ore al giorno...”, più che per atti
individuali di eroismo. Il concreto contributo della donna alla lotta,
secondo Montseny, era la sua “rassegnazione eroica” ai cambia­
menti della guerra e della rivoluzione47.
Ma nonostante questo non tutte scrivevano seguendo la stessa
linea. Era comune anche il tipo di affermazione fatta da Aurea Cua­
drado, sempre nello stesso numero della rivista, in cui sosteneva
che le donne fossero capaci dello stesso autodominio e sviluppo
personale degli uomini. Affermava che le donne pitagoriche
dell’antica Grecia “occuparono i posti principali nelle aule, nella
Legislatura, nell’intimità e nella vita pubblica”. Le donne spagnole
non dovevano accontentarsi di meno, a parte un’importante ecce­
zione: “Se la norma delle antiche pitagoriche fu il superamento,
creando un’aristocrazia a cui gli schiavi non avevano accesso, il
superamento della donna contemporanea deve basarsi sulla spe­
ranza di far germinare uno spirito nobile che faccia sprofondare
nell’abisso dell’oblio la schiavitù.” Questa insistenza sulla necessità
dello sviluppo spirituale, sommata alla preparazione culturale, co­
stituiva una parte importante del messaggio di Mujeres Libres, mes­
saggio che diventava manifesto negli scritti di Mercedes Comapo-
sada e di Lucía Sánchez Saomil48.

46. FEDERN, Etta: Mujeres de las Revoluciones, p. 5; anche SÁNCHEZ


SAORNIL, Lucía: “El día de la mujer, conmemorado por el Comité de Mujeres
contra la Guerra y el Fascio”, in: Horas de revolución, Mujeres Libres, Barcellona,
[1937], p. 52.
47. MONTSENY, Federica: “Acción de la mujer en la paz y en la guerra. El pro­
greso es la obra de todos”, Mujeres Libres, n° 13.
48. CUADRADO, Áurea: “Superación”, Mujeres Libres, n° 13; COMAPO­
SADA, Mercedes: Esquemas, Mujeres Libres, Barcellona, s.d.; e Comitato Nazio­
nale Mujeres Libres: Cómo organizar una agrupación Mujeres Libres, Mujeres Li­
bres, Barcellona, s.d. Gli ultimi due sono stati inseriti nell’antologia di NASH, Mary:
“Mujeres Libres” España, 1936-1939, Tusquets, Barcellona, 1976,pp. 115-18,75-85.

225
Infine Mujeres Libres cercò di immaginare come sarebbe stata in
concreto la vita per donne pienamente coscienti ed emancipate. La
situazione delle donne era diversa da quella degli uomini, perché
anche se uomini e donne dovevano partecipare insieme alla lotta
per superare le relazioni di dominio che erano state loro imposte
dall’esterno (principalmente dal capitalismo), le donne dovevano
portare avanti un’ulteriore lotta per la loro “libertà interiore”, per
l’accettazione di loro stesse. E in questo dovevano lottare da sole e,
spesso, contro l’opposizione dei loro compagni uomini o dei mem­
bri della loro famiglia. Ciò nonostante, una volta che fossero riu­
scite ad appartenere a loro stesse, “diventerete autonomamente per­
sone con libero arbitrio ed uguaglianza di diritti sociali, donne
libere in una società libera che costruirete insieme all’uomo come
delle vere compagne. Quando la donna riuscirà ad essere veramente
una donna libera la vita sarà mille volte più bella”4950.
Non si parlerà mai abbastanza dell’importanza di questo punto
di vista. Era infatti uno degli aspetti in cui Mujeres Libres si diffe­
renziava maggiormente dalle altre organizzazioni femminili nella
Spagna dell’epoca. Molte delle pubblicazioni dell’organizzazione
invitavano le donne ad educare sé stesse e a fare parte della forza la­
voro per contribuire allo sforzo bellico e rivoluzionario, prospettiva
che era condivisa da organizzazioni come l ’AMA e l’organizzazione
delle donne del POUM. Mujeres e Companya, ad esempio, riviste
pubblicate durante la guerra da gruppi vicini al PSUC, spesso esorta­
vano le donne a rimpiazzare il lavoro degli uomini che andavano al
fronte, ma questi appelli non facevano parte di una più ampia cam­
pagna per l’empowerment o per l’autosviluppo delle donne. Ad
esempio nel primo numero di Companya, un articolo della Pasio­
naria segnalava: “Tenim una deu inesgotable de reserves humanes;
pero hem de preparar-les, organitzar-les, capacitar-les per a la
guerra’00. Mujeres Libres era l’unica associazione che insisteva nel
tema dell’emancipazione delle donne come fine in sé stesso. Di
fatto, come vedremo, l’opinione che l’emancipazione della donna
fosse una meta che doveva essere considerata per il suo valore, se­
parata dalla situazione rivoluzionaria, fece arrivare l’organizzazione

49. ILSE: “La doble lucha de la mujer”, Mujeres Libres, n° 7; si veda anche “La
mujer y el problema de la libertad”, Acracia (15 giugno 1937).
50. LA PASIONARIA: “Crit a les dones. Endavant!”, Companya, 1 (1936).

226
ad uno scontro non solo con altre le organizzazioni femminili ma
anche con molti compagni del movimento libertario.

Maternità
Molti articoli della rivista si opponevano all’identificazione delle
donne con la maternità e ritenevano che le donne avessero un’iden­
tità ed una funzione sociale indipendente dal loro (potenziale) sta­
tus di madri. Ma, nonostante questo, i programmi dell’organizza­
zione erano basati sul presupposto che per molte donne spagnole, se
non per la maggioranza, la maternità fosse una realtà. Come spie­
gava Mercedes Comaposada:

Una cosa che volevamo fosse ben chiara era che la donna è un indivi­
duo, che ha valore indipendentemente dall’essere o meno madre. Ma no­
nostante questo, allo stesso tempo, volevamo essere sicure che ci fosse
un posto per le madri. [...] Quello che volevamo, almeno, erano delle
madri coscienti. La gente doveva poter scegliere se voler avere figli, come
e quando, e sapere come crescerli. [...] E non c ’era motivo per cui avreb­
bero dovuto essere figli propri, dovevamo farci carico dei figli degli altri,
degli orfani, ad esempi51.

In tutte le pubblicazioni di Mujeres Libres era evidente l’impe­


gno verso la “donna come persona”, non solamente come madre.
Condividendo la preoccupazione di Sánchez Saornil secondo cui
“il concetto di madre sta assorbendo quello di donna; la funzione
sta annullando l’individuo”52, le autrici di Mujeres Libres ripete­
vano che svilupparsi come persona doveva essere una priorità per
la donna. Sicuramente, affermava Pilar Grangel, le donne dove­
vano partorire dei figli per creare una nuova generazione, ma non
potevano farlo da sole, avevano bisogno dell’aiuto degli uomini e
soprattutto anche della fiducia in sé stesse e dell’intelligenza che

51. Mercedes Comaposada, intervista, Parigi, 5 gennaio 1982. A proposito


della maternità cosciente nell’ambito statunitense si veda GORDON, Linda:
Woman’s Body Woman’s Righi. A Social History o f Birth Control in America,
Penguin, New York, 1974.
52. SÁNCHEZ SAORNIL, Lucía: “La cuestión femenina en nuestros medios,
IV”, Solidaridad Obrera (15 ottobre 1935), p. 2.

227
avrebbero potuto aiutare loro ed i loro figli ad orientarsi nel
mondo. Mettevano la riproduzione al terzo posto nella scala delle
responsabilità della donna, dopo il lavoro e lo sviluppo della
coscienza sociale53. Come proclamava la rivista in una delle sue
copertine: “Non è una madre migliore quella che più stringe il
figlio al proprio seno, ma quella che aiuta a costruire per lui un
mondo nuovo”54.
Vicina a questa prospettiva vi era anche l’insistenza di Mujeres
Libres sul concetto che la maternità non fosse qualcosa che “suc­
cede in modo naturale” - a parte il fatto biologico di partorire -. La
maggior parte della socializzazione della donna - socializzazione
che la orientava a diventare una “donnina” e a dedicare tutta la sua
attenzione ad essere attraente per gli uomini - era, di fatto, contra­
ria alla buona cura dei figli. Per essere madre doveva imparare a
prestare la dovuta attenzione alle necessità del figlio. Non si po­
teva essere una donnina ed una madre allo stesso tempo. L’altro
aspetto di questa dichiarazione era che le donne dovevano imparare
ad essere madri (allo stesso modo in cui gli uomini dovevano im­
parare ad essere padri), dovevano imparare come nutrire e come
curare i loro figli, come rendere più facile il loro sviluppo affinché
diventassero da adulti persone forti e indipendenti55.
Nonostante desse priorità al fatto che le donne non erano “nate
per mettere al mondo”, Mujeres Libres espose apertamente tutta
una gamma di opinioni sulla natura del sentimento materno della
donna. Amparo Poch y Gascón dedicò il suo libro Niño “a tutte le
donne che amano i loro figli o i figli degli altri; ossia, a tutte le
donne del Mondo”56. Etta Fedem nel suo Mujeres de las revolu­
ciones si riferiva frequentemente ai sentimenti materni delle rivo­
luzionarie di cui raccontò la vita, nonostante la maggior parte di
queste donne non avesse avuto figli propri57.
I programmi di Mujeres Libres per educare le donne su come
crescere i bambini presero la forma di materiale scritto e di attività

53. GRÁNGEL, Pilar: “En vez de críticas, soluciones”, Mujeres Libres, n° 13.
54. Mujeres Libres, n° 12, copertina.
55. FEDERN, Etta: “Maternidad y matemalidad”, Mujeres Libres, n° 12; e “Ma­
ternidad”, Mujeres Libres, n° 13.
56. POCH Y GASCÓN, Amparo: Niño, Mujeres Libres, Barcellona, s.d. [1937].
57. A proposito di Alexandra Kollontai, p. 45, ed invece su Angelica Balaba-
noff, p. 37, in: Mujeres de las revoluciones.

228
pratiche. Molti numeri della rivista contenevano articoli sulla pue­
ricultura scritti da Amparo Poch o da Fiorentina (Carmen Conde).
Sempre per an*ivare al maggior numero possibile di donne, Poch y
Gascón collaborava anche con numerosi giornali anarchici di di­
stribuzione generale. Mentre dava delle informazioni mediche e sa­
nitarie, un riassunto delle tappe dello sviluppo infantile e un com­
mento su cosa ci si può aspettare da un bambino di diverse età,
Poch y Gascón espose quello che era, di fatto, il concetto anarchico
su come allevare un figlio. Riteneva, ad esempio, che i genitori do­
vessero lasciare i propri figli liberi di svilupparsi a loro modo: “La
repressione [di abitudini come quella di succhiare il pollice] deve
avere un limite se non vuoi che la personalità dell’uomo del futuro
si perda in assoluto. [...] Sii attenta che l’animo e la mente del bam­
bino conservino il proprio colore, mantengano la loro forma origi­
nale. Lascia che si disegni la strada valorosa ed unica della sua li­
bera volontà, vergine di ogni coazione”58.
I tentativi di Mujeres Libres di affrontare le necessità sanitarie
delle donne e di educarle ad una maternità responsabile andavano
oltre le sole parole. Nei primi giorni della rivoluzione, ad esem­
pio, Teresina Torrelles e altre militanti di Mujeres Libres di Ter-
rassa crearono una scuola per infermiere ed una clinica medica
per le urgenze dei feriti in guerra. Lavorarono con il dottore Juan
Paulis, autore di Las obreras de la aguja, medico dotato di una
grande coscienza sociale che era stato per molto tempo membro
della CNT. Teresina e le altre donne diventarono in quei primi
giorni “apprendiste istantanee”. Rifornirono la clinica delle len­
zuola e dei materassi delle loro case e con donazioni e requisizio­
ni della giunta municipale.
In poco tempo crearono in quello stesso posto la prima clinica
per la maternità, anche grazie all’aiuto del dottor Paulis. Nono­
stante la mancanza di esperienza nel settore sanitario (ma proba­
bilmente grazie alla lunga esperienza come organizzatrice e mili­
tante della CNT e del gruppo di donne di Terrassa), Teresina
venne nominata amministratrice. Dei primi giorni ricorda questo:

lo arrivavo la mattina, andavo in sala operatoria, e mi occupavo di


questo, di quello, organizzavo tutto. Ero l ’amministratrice di tutto. E se

58. POCH Y GASCÓN, Amparo: Nino, Mujeres Libres, Barcellona, s.d. [1937].

229
non c ’era alcol, andavo in farmacia, con i soldi che avevo compravo
l ’alcol, perché non c ’era nulla, non avevamo nemmeno l ’etere per disin­
fettare.

Il lavoro era difficile, il sistema non entusiasmava tutti:

Le infermiere e le ostetriche mangiavano per prime, poi alle parto­


rienti lasciavano quello che restava. Io questo non lo potevo permettere.
Afferravo la pentola con il carrellino e mi mettevo a servire il cibo alle
partorienti. E quello che avanzava lo portavo in cucina e dicevo: “Que­
sto è per voi. ”
Venne Paulis, e inventò per i bambini questi pantaloni o pagliaccetti
con i bottoni perché diceva che le spille erano pericolose.
Ricordo che quando venivano i genitori a chiedermi qualcosa gli di­
cevo: “Perfavore, qui siamo tutti uguali. ” Quante volte mi hanno detto:
“Qui si che si sta facendo la rivoluzione! ” Mi sentivo così soddisfatta!
Perché io curavo l ’amministrazione, e non avevo nessuna cultura, nes­
suna preparazione. Ma avevo un senso morale, e quello che sentivo lo
mettevo a disposizione. Questo è quanto posso dire di aver fatto durante
la rivoluzione. Per il resto, ho fatto quello che facevano tutti gli altri59..

A Barcellona Mujeres Libres aprì un ospedale ostetrico guidato


da Àurea Cuadrado, la Casa di Maternità, che offriva attenzione
medica durante il parto e il postparto e lezioni di maternità co­
sciente, che includevano temi come la salute della madre e del fi­
glio, il controllo delle nascite, la sessualità e l’eugenetica. Come
parte del programma educativo (insieme alla rivista dell’organiz­
zazione) realizzò una grande campagna di allattamento per con­
vincere le donne della superiorità del latte materno in confronto al
latte di mucca. Il numero 7 di Mujeres Libres, infatti, informò che
non avrebbe permesso alle donne di lasciare l’ospedale senza aver
allattato i propri figli60. Il proposito di Cuadrado era di permettere
alle donne di superare l’ignoranza e i pregiudizi della “società del
passato”, ed iniziarle allo sviluppo dell’“equilibrio emozionale che
deve essere fondamentale nel comportamento delle madri intelli­
genti”. Sperava che una volta in possesso di maggiori informazioni

59. Teresina Torrelles, intervista, Montady, 29 aprile 1988.


60. “Puericultura”, Mujeres Libres, n° 13

230
sul loro coipo e sulla sessualità, le donne avrebbero preso in mano
la guida di altri aspetti della loro vita, avrebbero “sviluppato la pro­
pria capacità di amore materno, elevato la morale e fatto nascere in
se stesse un senso di solidarietà”61.
Il dottor Paulis, che aveva diretto la clinica e la scuola di infer­
meria di Terrassa, si stabilì in seguito a Barcellona e, nel febbraio del
1938, collaborò con Mujeres Libres e con i sindacati della sanità per
la creazione dell’Istituto di Puericultura e Maternità Louise Michel.
L’istituto offriva attenzione medica alle madri ed ai loro figli, con­
sulenza sulla maternità ed aiuti finanziari, programmi di formazione
per puericultrici ed un asilo (per i figli delle operaie, soprattutto
quelle del ramo tessile). Questo centro era diviso in due unità, una
per i bambini fra i tre ed i ventiquattro mesi ed un’altra per i bambini
dai due ai cinque anni, di una biblioteca e beneficiava di un pro­
gramma di controlli medici per gli alunni delle scuole razionaliste62.
Anche se il programma sviluppato a Barcellona fu senza dubbio
quello più completo, Mujeres Libres lavorò con i sindacati della sa­
nità anche in altre città e paesi per prestare attenzione alle necessità
sanitarie delle donne. I programmi di formazione nelle infermerie
furono probabilmente gli esempi più comuni di questo tipo di coo­
perazione. Considerando che nel periodo precedente la guerra l'in­
fermeria era stata un monopolio della Chiesa, in questo campo la
formazione si rivelò particolarmente necessaria. Non deve quindi
soiprendere che un considerevole numero di donne che ho intervi­
stato avessero lavorato per un periodo della guerra come infermiere.

L’educazione dei figli

Alle donne era stata imposta l’importante responsabilità dell’edu­


cazione dei figli. Questa responsabilità, affermava Mujeres Libres,

61. CUADRADO, Áurea: “Nuestra labor en la casa de maternidad de Barce­


lona”, Mujeres Libres, n° 7.
62. “Notas informativas”, Istituto di Puericoltura e Maternità, Barcellona, 3
aprile 1938. Si veda anche “Manifiesto de los compañeros responsables técnicos,
sindicales y administrativos del Instituto de Puericultura y Maternología, Hospi­
tal del Pueblo y Hospital de Sangre de Pueblo Nuevo, a Todos los Militantes y Afi­
liados que pertenecen a los sindicatos de la Confederación Nacional del Trabajo de
Barcelona”, 3 maggio 1938 (entrambi in IISG/CNT: 40.C ).

231
esigeva che le donne educassero prima loro stesse, per poter quindi
crescere i loro figli nel modo adeguato. Ma richiedeva anche che le
donne lottassero per far avere ai loro figli la migliore educazione
possibile.
L’atteggiamento di Mujeres Libres verso i bambini si rifletteva
tanto nei documenti scritti quanto attraverso le immagini. Numero
dopo numero, la rivista inseriva immagini di bambini, che gioca­
vano, che esploravano il mondo, che lavoravano; allegri e tristi; a
scuola o fuori. Le didascalie e gli articoli che accompagnavano que­
ste immagini sottolineavano le caratteristiche dei bambini che co­
stituivano le basi di quasi tutti i programmi di Mujeres Libres nel
campo educativo. I bambini erano per loro natura entusiasti e aperti;
assorbivano continuamente le informazioni del mondo che li cir­
condava; gli adulti, e soprattutto i maestri, dovevano evitare con
ogni mezzo di impedire o limitare questo entusiasmo giovanile. I
bambini erano la speranza del futuro; bisognava evitare che si ver­
gognassero di sé stessi o del proprio corpo; si doveva fare in modo
di lasciarli aperti a tutti i punti di vista63. Non bisognava mai uti­
lizzare i bambini a scopo propagandistico: vedere i bambini mar­
ciare per strada in uniforme - compresi i bambini delle organizza­
zioni operaie - era una cosa abominevole. “I bambini non possono
né devono essere cattolici, socialisti, comunisti, libertari. I bambini
devono essere quello che sono: bambini”64. Infine, la curiosità e la
voglia di scoprire del bambino dovevano essere stimolate il più
possibile. Invece di castigare un bambino per aver rotto un oggetto
prezioso, gli adulti avrebbero dovuto mettere le cose di valore in un
posto che i bambini non avrebbero potuto raggiungere65.
La filosofia di Mujeres Libres in questione di educazione si ispi­
rava alla teoria e alla pratica anarchica ed era coerente ai suoi punti
di vista sull’infanzia. L’educazione doveva essere concepita come
un processo di sviluppo e di esplorazione più che come una repres­
sione degli istinti del bambino o come un’imposizione di obbe­
dienza e disciplina. I bambini imparavano più facilmente quando si
sentivano bene con loro stessi, con gli altri e con il mondo, e pote­

63. Ad esempio, “Niños”, Mujeres Libres, n° 5; e FLORENTINA: “Niños”,


Mujeres Libres, n° 9 e 11.
64. “Niños, niños, niños”, Mujeres Libres, n° 5, Giorno 65° della Rivoluzione
(ottobre 1936).
65. FEDERN, Etta: “La crueldad y la ira del niño”, Mujeres Libres, n° 11.

232
vano facilmente imparare dagli altri e da quanto li circondava. Inol­
tre questo tipo di educazione avrebbe occupato i bambini in tutti i
campi possibili (approfittando infatti di tutti i suoi sensi), invitan­
doli a sviluppare e ad apprezzare le proprie capacità e a cooperare
con gli altri. L’educazione quindi doveva essere attiva, non doveva
essere competitiva e bisognava dirigerla il meno possibile, ossia,
doveva essere basata sulla naturale curiosità dei bambini66.
Rispettare i bambini ed educarli bene era di vitale importanza per
il processo di cambiamento sociale rivoluzionario. L’ignoranza ren­
deva le persone vulnerabili soprattutto all’oppressione ed alla soffe­
renza. É, cosa più importante, l’educazione preparava le persone
alla vita sociale. Le scuole autoritarie (o le famiglie), basate sulla
paura, formavano delle persone pronte ad essere sottomesse ad un
governo autoritario. Si aveva bisogno di scuole diverse che prepa­
rassero le persone a vivere in una società senza dominio67.
Bisognava anche formare i maestri a preparare i bambini ad un
mondo più egualitario. Dovevano pensare a se stessi come a degli
artisti, capaci di far nascere la scintilla della creatività negli altri:
“Che nessuno senza fantasia, senza intuito, senza ispirazione si
creda un maestro!”68. E questi nuovi maestri dovevano imparare i
nuovi principi educativi:

1) La pedagogia deve essere considerata un ’arte; deve basarsi su di


un ’ispirazione intima e creatrice.
2) L ’ispirazione pedagogica insegnerei al maestro a scoprire in ogni

66. FLORENTINA: “Niños”, Mujeres Libres, n° 8, 9, 10, 11 e 12; “Educar es


equilibrar”, Mujeres Libres, n° 7; e FEDERN: “Mi ideal de una escuela”, Tiem­
pos Nuevos (luglio-agosto 1937), n° 7-8.
67. Sull’importanza della “corrispondenza” tra le istituzioni educative e le re­
lazioni dell’autorità nella società, si veda ECKSTEIN, Harry: División and Cohe­
sión in Democracy, Princeton University Press, Princeton, 1966, cap. 7; PATE-
MAN, Carole: Participation and Democratic Theory, Cambridge University
Press, Cambridge, 1970, cap. 2; THOMPSON, Dennis F.: The Democratic Citi­
zen, Cambridge University Press, Cambridge, 1970; RAWLS, John: A Theory
ofJustice, cap. 5 e 8; e WALZER, Michael: Sfere di giustizia, Feltrinelli, Mi­
lano, 1987.
68. FLORENTINA: “Niños”, Mujeres Libres, n° 8; anche “Infancia sin
escula”, Mujeres Libres, n° 12; GRANGEL, Pilar: “Pedagogía”, Mujeres Libres,
n° 10; FEDERN: “Eliminar el miedo”, Mujeres Libres, n° 9; “De poco servirán
todos los sacrificios”, Mujeres Libres, n° 13.

233
bambino e in ogni momento la viva verità che ogni bambino e ogni mo­
mento impongono.
3) Non esiste una dottrina razionalista così eccellente ed infallibile che
possa venire imposta come ragione suprema nelle menti infantili.
4) Il maestro dotato di ispirazione non amerà i bambini in astratto ma
amerà ogni singolo bambino. Comprenderà ogni bambino, ed appren­
derà da ogni bambino, saprà insegnare ad ogni bambino.
5) Il bravo maestro misurerà la sensibilità di ogni bambino, farà fare
più matematica a chi risulti più congeniale e musica a chi in vece potesse
risultare difficile.
6) Si eviterà la meschina competenza, i premi e i castighi davanti a
tutti.
7) Nelle scuole, pochi bambini. Quando superano i dieci il lavoro pe­
dagogico diventa sterile69.

Sessualità
Ho già detto nel Capitolo I che gli anarchici spagnoli avevano
dedicato una considerevole attenzione alla liberazione sessuale,
tanto delle donne quanto degli uomini. Difendevano una maggiore
informazione sul sesso e sulla sessualità, una maggiore libertà ses­
suale, e l’abolizione del matrimonio civile e religioso in favore
dell’“amore libero”, inteso come una relazione volontariamente
contratta che poteva essere conclusa secondo la volontà di entrambi
i partner. Una piccola percentuale di militanti anarchici aveva cer­
cato già nel periodo prerivoluzionario di vivere secondo questi prin­
cipi. Ma lo scoppio della Guerra civile e l’inizio della rivoluzione
sociale fecero in modo che molte persone si trovassero a vivere in
accordo con le nuove norme sessuali. La rivoluzione rese possibile
la messa in pratica di nuove politiche sul terreno sessuale, soprat­
tutto in Catalogna. Ad esempio vari decreti della Generalität lega­
lizzarono l’aborto “per ragioni terapeutiche, eugenetiche o etiche”,
semplificarono le pratiche del divorzio e resero più accessibile
l’informazione ed i mezzi di controllo delle nascite.
Sarebbe logico aspettarsi che Mujeres Libres avesse dedicato
una considerevole attenzione nei suoi scritti e nei suoi programmi

69. Riassunto in “Enseñanza nueva”, Mujeres Libres, n° 6.

234
alla liberazione sessuale della donna. Molte donne che avrebbero
poi militato nell’organizzazione avevano scritto (negli anni prece­
denti alla guerra) in favore di una maggiore libertà sessuale. Ad
esempio, fra il 1932 ed il 1935, Amparo Poch y Gascón scrisse una
serie di articoli ed un opuscolo educativo sulla sessualità femminile,
sottolineando l’importanza dell’espressione sessuale per le donne e
per gli uomini, criticando la monogamia ed il doppio standard ses­
suale e sostenendo l’importanza di un’educazione alla fisiologia,
al piacere sessuale, al funzionamento sessuale ed alla contracce­
zione. Molti dei loro argomenti erano paragonabili a quelli dei
primi autori anarchici, soprattutto quando sostenevano che la ses­
sualità era un aspetto importante dell’identità e dello sviluppo
umano. Secondo Poch, le convenzioni sociali ed i mariti insensibili
negavano alle donne il diritto naturale di soddisfare le proprie ne­
cessità e i propri desideri fisici. Le donne dovevano poter accedere
alle informazioni necessarie su loro stesse, sui loro corpi e sulla
loro sessualità in modo da potersi sviluppare pienamente come per­
sone. Inoltre, dato che l’espressione sessuale era un aspetto impor­
tante della vita delle donne, e non solo un semplice modo per sod­
disfare il piacere maschile e per procreare, le donne avevano anche
bisogno di informazioni e accesso alla contraccezione, e non di
esortazioni all’astinenza sessuale70.
Ma indubbiamente non sono molti gli scritti esplicitamente “prò
sesso” che si possono trovare su Mujeres Libres. Nemmeno l’edu­
cazione sessuale trovò molto spazio nei loro programmi o sulle pa­
gine della rivista. Anche se alcuni articoli sostenevano l’abolizione
del doppio standard sessuale, nessuno trattava però esplicitamente
la sessualità femminile e la liberazione sessuale. La maggior parte
degli articoli che trattavano la sessualità si riferivano alla prostitu­
zione, ne analizzavano le cause e suggerivano soluzioni per elimi­
narla. Ciò nonostante, la visione della sessualità come parte impor­
tante della persona e l’espressione sessuale come aspetto normale e
necessario della vita umana trovò eco in qualche descrizione di Etta
Federn in Mujeres de las revoluciones. Ad esempio, illustrando le

70. POCH Y GASCÓN: La vida sexual de la mujer, Cuadernos de Cultura,


Valencia, 1932, soprattutto pp. 22, 26 e 31; “La autoridad en el amor y en la so­
ciedad”, Solidaridad Obrera (27 settembre 1935), p. 1; e “La convivencia, antí­
doto del amor”, Solidaridad Obrera (19 dicembre 1936), p. 8.

235
opinioni di Alexandra Kollontai sull’amore libero, affermò che
Kollontai “lottava contro la menzogna, così generalizzata, che la
soddisfazione sessuale senza amore sia sintomo di perversione mo­
rale, specialmente per una donna. [...] La doppia morale che regna,
anche fra i rivoluzionari, rispetto alla sessualità femminile e a quella
maschile è stata oggetto di una lotta veemente ed agguerrita”71.
I saggi sulla questione sessuale di Mujeres Libres erano gene­
ralmente meno agguerriti; “l’amore libero” non venne assoluta-
mente mai menzionato nelle sue pagine. Ma nonostante questo la
rivista pubblicò alcuni articoli esplicitamente critici sul matrimo­
nio, criticava soprattutto quanto veniva chiamato “nozze alla li­
bertaria”, una specie di cerimonia di matrimonio che si realizzava
all’interno dei sindacati e delle organizzazioni rivoluzionarie.
Varie collaboratrici di Mujeres Libres trovavano questa pratica
assurda. Il numero sette della rivista pubblicò un “Progetto per la
creazione di una fabbrica di nozze in serie” (si veda l’Appendice
C), in cui veniva elegantemente ridicolizzata la pratica delle orga­
nizzazioni sindacali di formalizzare i matrimoni72. Come segreta­
ria del Sindacato delle Costruzioni, del Legno e della Decorazione
di Barcellona, Sara Berenguer Guillén procurò in varie occasioni
questi documenti. Ma ricordava soprattutto il caso curioso di una
coppia che tornò alcuni mesi dopo le proprie “nozze” per chiedere
il divorzio. Lei rispose loro che siccome non erano legalmente spo­
sati, non avevano nemmeno bisogno di divorziare; che si divides­
sero semplicemente e che ognuno andasse per la propria strada.
Ma la coppia insistette, e quindi alla fine Sara redasse un docu­
mento di divorzio che, controvoglia, i membri del sindacato fir­
marono come testimoni.73.
Lucía Sánchez Saornil fu decisamente meno delicata nel suo
articolo “La cerimonia matrimoniale o la codardia dello spirito”,
che venne pubblicato su Horas de revolución. Affermava che
queste pratiche fossero assurde ed ipocrite: “Se abbiamo afferma­
to per anni che per l’unione di due esseri basta il libero consenso
di entrambi e che un certificato matrimoniale non è altro che un

71. FEDERN: Mujeres de las revoluciones, p. 44.


72. Si veda anche “Ante que te cases, mira lo que haces”, Mujeres Libres, n° 7.
73. Sara Berenguer Guillén, intervista, Montady, 29 aprile 1988; si veda anche
RODRIGO, Antonina: “Nuestras mujeres en la Guerra Civil”, Vindicación fem i­
nista, n° 3 ( I o settembre 1976), p. 37.

236
contratto di vendita, che spiegazioni diamo allora a queste assur­
de cerimonie che hanno luogo negli organi sindacali?” Prosegui­
va dicendo che questa pratica era doppiamente censurabile per­
ché la maggior parte di queste cerimonie imitava semplicemente i
riti religiosi e perché, come i matrimoni civili e quelli religiosi,
rappresentavano un improprio intervento del pubblico in quello
che dovrebbero essere relazioni private fra le persone74.
La maggior parte delle attenzioni che Mujeres Libres dedicò
alle tematiche sessuali si concentravano sulla relazione tra lo
sfruttamento economico e politico e la subordinazione delle
donne, essendo la prostituzione un chiaro esempio di questa rela­
zione. Mujeres Libres e le altre organizzazioni del movimento
libertario intrapresero ampie campagne contro la prostituzione,
che era per loro l’emblema delle relazioni umane sotto il capitali-
smo75.Ma mentre, in generale, le organizzazioni del movimento
si impegnarono a far entrare nel sindacato le prostitute o a invita­
re le donne a non esercitare la professione (o gli uomini a non
frequentarle), Mujeres Libres fece più attenzione a quelle che
credeva fossero le cause della prostituzione, soprattutto lo sfrutta­
mento economico e politico delle donne.
Il primo numero della rivista pubblicato dopo l’inizio della
Guerra civile dichiarava che l’eliminazione della prostituzione, “la
più grande delle schiavitù”, doveva essere la priorità di Mujeres
Libres. La prostituzione “non è il loro problema [delle prostitute],
ma il nostro, di tutte le donne e di tutti gli uomini”. Etichettare al­
cune donne come “disoneste” permetteva ad altre donne di essere
definite “oneste”. Inoltre, dato che la prostituzione era il risultato
dello sfruttamento economico delle donne, non sarebbe stato suffi­
ciente proibirne la pratica. Al contrario, si sarebbe dovuto formare
tecnicamente le donne affinché potessero guadagnarsi da vivere in
altri modi. Mujeres Libres annunciò quindi la sua intenzione di
creare una rete di liberatori dalla prostituzione, che avrebbero of-

74. “La ceremonia matrimoniai o la cobardía del espíritu”, in: Horas de revo­
lución, pp. 24-26, citazione di p. 25; si veda anche “Con la libertad sexual los
hombres y las mujeres dejarían de ser esclavos incluso de la moral más roja”,
Acracia, (19 agosto 1936).
75. FROIDEVAUX, Michel: “Les avatars de Tanarchisme. La révolution et la
guerre civile en Catalogne (1936-1939), vues au travers de la presse anarchiste”,
2 vols., testo dattilografato, 1ISH, 212.

237
ferto: “ 1) visita e trattamento medico-psichiatrico, 2) cure psicolo­
giche ed etiche per far crescere nelle alunne il senso di responsabi­
lità, 3) orientamento e capacitación professionale, 4) aiuto morale
e materiale in qualsiasi momento fosse servito loro, anche dopo es­
sersi rese indipendenti dai liberatori”76.
La CNT e la stampa anarchica applaudirono il progetto, anche se
in realtà erano più inclini a vedere le prostitute come delle vittime
che dovevano essere riscattate. C’erano senza dubbio aH’interno
del movimento alcuni gruppi che ritenevano che la prostituzione
non potesse essere eliminata; nel migliore dei casi, si sarebbe potuto
proteggere le prostitute dallo sfruttamento per mezzo della sinda-
calizzazione. Nei primi giorni di rivoluzione, si cercò di organizzare
le prostitute in un “sindacato dell’amore”. Molti di questi tentativi
furono effimeri e dopo pochi mesi vennero pubblicati alcuni articoli
sulla stampa anarchica che ridicolizzavano l’idea di sindacalizzare
le prostitute, e si fecero degli appelli agli uomini affinché smettes­
sero di frequentarle77. Nell’insieme, sembra che il movimento anar­
chico fu abbastanza negligente su questo punto: tanto gli articoli di
M ujeres Libres quanto le interviste ai militanti misero in rilievo che
era meno probabile che gli uomini anarchici agissero secondo la
loro ideologia su questa questione piuttosto che su molte altre78.
Come organizzazione fatta per e dalle donne, Mujeres Libres di­
resse i propri progetti alle donne, specialmente a quelle più vulne­
rabili allo sfruttamento economico e sessuale, che riteneva essere la
radice della prostituzione. Anche se la situazione bellica impedì
che il progetto dei liberatori dalla prostituzione fosse portato a ter­
mine, Mujeres Libres cercò di convincere le prostitute ad abban­
donare il loro lavoro e ad unirsi al movimento. Pepita Carpena ri­
corda una prostituta che rispose all’appello, fece parte di Mujeres
Libres, andò a scuola e, alla fine, riuscì a far parte del gruppo di
oratrici e lavoratrici culturali in cui stava anche Pepita79.
Nonostante le difficoltà del momento, M ujeres Libres riteneva
che qualsiasi programma per eliminare la prostituzione dovesse af­

76. “Liberatorios de prostitución”, Mujeres Libres, n° 5.


77. Ad esempio, “Nota local”, Acracia ( 14 luglio 1937); “Saboteando la revo­
lución”, Acracia ( I o gennaio 1937); e “Mujeres Libres”, Ruta (21 gennaio 1937).
78. Ad esempio, NAHUEL, Nita: “Los que deshonran al anarquismo”, Muje­
res Libres, n° 7.
79. Pepita Carpena, intervista, Barcellona, 3 maggio 1988.

238
frontare anche lo sfruttamento economico, che ne era la causa. Il
numero nove di Mujeres Libres, ad esempio, segnalava che la pro­
stituzione era peggiorata e indicava il duplice motivo di questo au­
mento. Da una palle molte giovani che avevano lavorato come do­
mestiche, quando i loro datori di lavoro erano fuggiti dalle zone
repubblicane, erano state buttate in mezzo alla strada. Dall’altra, i
ragazzi avevano più denaro per pagare le prostitute. Le donne si
erano convertite in “ciechi giocattoli di un processo storico”. In que­
sto contesto, la sola rivoluzione, senza un’attenzione concreta al
“problema sessuale”, non sarebbe stata sufficiente: “Insistiamo che
l’unico cammino per risolvere il problema sessuale è l’uguaglianza
politica ed economica, fattori per una capacitación femminile che
fornisca alla donna un senso del dovere e della responsabilità. Qual­
siasi istituzione per la capacitación della donna è, più che un libera­
torio', una prevenzione della prostituzione”80.
Inoltre non bisognava identificare le prostitute solamente con le
donne che vendevano i loro colpi per le strade o nei bordelli. Muje­
res Libres sosteneva, come aveva detto Emma Goldman alcuni anni
prima, che tutte le donne che dipendevano dai loro uomini erano in
un certo senso delle prostitute. “La donna che vive in dipendenza
economica riceve una paga, anche se è dal suo legittimo marito.
[...] Tutta la propaganda, tutte le azioni in favore della famiglia, di
questo fittizio calore domestico, mantengono la donna nella sua po­
sizione di sempre: allontanata dalla produzione e senza alcun di­
ritto.” Solo la totale uguaglianza economica tra uomini e donne,
l’accesso della donna al lavoro salariato produttivo in uguali con­
dizioni dell’uomo, avrebbe potuto affrontare ed eliminare le vere
cause della prostituzione81.
Mujeres Libres offriva delle informazioni sulla sessualità ed in­
vitava le donne ad approfittare dei programmi educativi e dei ser­
vizi che erano a loro disposizione presso gli ospedali. Numerosi ar­
ticoli della rivista si riferivano con orgoglio ai traguardi di Federica
Montseny nel Ministero della Sanità e Pubblica Assistenza o a

80. “E1 problema sexual y la revolución”, Mujeres Libres, n° 9. Si veda anche


POCH: La vida sexual de la mujer, p. 25; e SÀNCHEZ SAORNIL, “La cuestión fe-
menina en nuestros medios, V”, Solidaridad Obrera (30 ottobre 1935), p. 2.
81. “Acciones contra la prostitución”, Mujeres Libres, n° 11 : Si confronti con
GOLDMAN: “Il traffico delle donne” e “Il matrimonio e Famore”, entrambi in:
Anarchia, femminismo e altri saggi.

239
quelli di Áurea Cuadrado come direttrice della Casa della Maternità
di Barcellona. I programmi menzionati davano delle informazioni
sull’eugenetica, sulla contraccezione e sull’eutanasia, oltre ad infor­
mazioni basilari sulla sessualità e sulla procreazione82. Mujeres Li­
bres era anche molto orgogliosa della legalizzazione dell’aborto in
Catalogna (per decreto della Generalität) e, in seguito a questo,
dell’aumento delle diverse opzioni di contraccezione a disposizione
delle donne83.
Se facciamo un confronto con i programmi di alfabetizzazione,
di lavoro, di maternità e di educazione, quelli relativi alla sessualità
(e in particolare alla libertà sessuale) sembrano abbastanza limitati,
tanto nel campo dell’azione quanto in quello dei risultati. Nono­
stante i dibattiti all’interno del movimento anarchico sull’impor­
tanza della liberazione sessuale per la piena emancipazione umana,
Mujeres Libres non prestò quasi attenzione a questo tema, non con­
siderandolo uno dei suoi obiettivi. Come possiamo spiegare la re­
lativamente bassa varietà dei loro programmi in questa area?
In primo luogo, dobbiamo considerare la differenza fra il mate­
riale scritto e le attività quotidiane. Insieme ad altre organizzazioni
del movimento, Mujeres Libres patrocinò frequentemente dibattiti
e sessioni educative sulla sessualità e sulla contraccezione. Julia
Mirabé commenta che i medici che facevano parte della FUL e di
Mujeres Libres “si aggiustavano per farci avere dei meccanismi in
argento [ovviamente una specie di spirale]. Ogni sei mesi, anda­
vamo, estraevano il meccanismo, lo facevano bollire, ci visitavano
e lo inserivano nuovamente, ed in questo modo noi non rimane­
vamo incinte”84. Le pratiche sessuali fra le militanti di Mujeres Li-

82. Si veda “Nuestra labor en la casa de maternidad de Barcelona”, Mujeres Li­


bres, n° 7; “La enorme labor del Ministerio de Sanidad y Asistencia Social”, Muje­
res Libres, n° 8; “Nuevas conquistas para Asistencia Social”, Mujeres Libres, n° 10.
83. Lola Iturbe, in particolare, in un’intervista realizzata il 4 agosto 1981, si
fermò molto sull’importanza di questa riforma e nel numero di donne che ne
avrebbero beneficiato. Vari articoli nella colonna “La mujer en la lucha”, Tierra y
Libertad, si riferivano all’accessibilità all’aborto (si veda, ad esempio, 3 luglio
1937); ma non se ne fa menzione in Mujeres Libres. Si veda anche NASH: “El
neomaltusianismo anarquista y los conocimientos populares sobre el control de la
natalidad en España”.
84. Julia Mirabé de Vallejo, intervistata in: CUENCA, Isabella: “La mujer en
el movimiento libertario de España durante la Segunda República (1931-1939)”,
tesi dottorale, Università de Toulouse Le Mirail, Institut d ’Etudes Hispaniques et

240
bres, come tra le militanti del movimento in generale, erano consi­
derevolmente più libere di quelle che permetteva la cultura spa­
gnola tradizionale. Per alcune, formare parte della cultura rivolu­
zionaria voleva dire sentirsi libera di “unirsi” ai propri compagni
senza passare per la chiesa o per il tribunale. Per altre, le nuove abi­
tudini offrivano una via d’uscita al matrimonio convenzionale. Sara
Berenguer Guillén, ad esempio, ricorda che quasi alla vigilia della
rivoluzione, un maestro aveva chiesto la sua mano a suo padre. Sara
ammirava la sua cultura, ma non era innamorata di lui. Se non fosse
stato per la rivoluzione, era quasi sicura che avrebbe dovuto spo­
sarlo. Ma non lo fece. Più tardi conobbe e si unì liberamente al gio­
vane che sarebbe poi diventato il suo compagno della vita, Jesus
Guillén. Storie simili di apertura sessuale, sperimentazione o, per­
lomeno, rilassamento dei rigidi standard di comportamento esi­
stenti, erano comuni tra le militanti.
Il relativo silenzio di Mujeres Libres su questa questione riflette
tanto fattori interni dell’organizzazione quanto la dinamica di un
ambito culturale più ampio. Gli appelli degli anarchici spagnoli in
favore di una maggiore apertura sessuale erano sempre accompa­
gnati da un certo puritanesimo. Come disse una militante “siamo
sempre state molto puritane, a volte ancora peggio dei cristiani.
L’amore libero, ad esempio. Le compagne non avevano quasi mai
più di un compagno alla volta, il resto era solo teoria”85. Sembra
che la maggior parte degli uomini interpretasse l’amore libero come
libertà per loro, ma non per le loro compagne. Le donne che cerca­
rono di prendere sul serio l’amore libero, avendo più di un amante
allo stesso tempo o lasciando il proprio amante quando ormai la re­
lazione sembrava insoddisfacente, si dovevano confrontare spesso
con l’ostracismo sociale, perfino fra i compagni ed amici del mo­
vimento. È possibile che gli uomini parlassero dell’amore libero,
ma la maggior parte di loro derideva e denigrava le donne che lo
praticavano86.

Hispano-Americaines, 1986. Ringrazio Sara Berenguer Guillén per avermi pre­


stato la sua copia di questa tesi.
85. La vena puritana era evidente anche in alcuni articoli di Mujeres Libres. Si
veda, ad esempio, FEDERN: “Maternidad y Matemalidad”, Mujeres Libres, n° 12;
“Fiestecitas que no deben propagarse”, Mujeres Libres, n° 13; e “Valencia. Car­
teleras permanentes”, Mujeres Libres, n° 8.
86. Enriqueta Rovira, ad esempio, venne condannata all’ostracismo da molti

241
Questo puritanesimo è certamente evidente anche nei miei re­
centi colloqui con molte donne di Mujeres Libres, ed anche con gli
uomini anarchici. Un numero sorprendentemente grande di loro
mostrò un senso di malessere di fronte a quanto pensavano fosse
una frivolezza del moderno movimento femminista, con l’abusato
interesse per “la libertà sessuale, il lesbismo, l’amore e l’aborto”.
Tanto Suceso Portales quanto Pepita Carpena dissero che Mujeres
Libres non si dedicò molto alle preferenze sessuali o all’omoses­
sualità, nonostante Lucía Sánchez Saornil fosse lesbica, aspetto
della sua vita che non si preoccupava di nascondere alle altre per­
sone del movimento. Tutti avrebbero dovuto poter amare chi vole­
vano, dicevano, ma la propria sessualità non era una questione “po­
litica”, una questione in merito alla quale il movimento avrebbe
dovuto pronunciarsi.87.
Mujeres Libres cercò di educare le donne in merito alla sessua­
lità e al piacere sessuale formando delle infermiere e delle ostetri­
che ed offrendo corsi che offrissero alle donne informazioni sui
loro corpi. Sicuramente i loro programmi si limitavano chiaramente
ai comportamenti sul tipo di sessualità dominante. Dato il conti­
nuo predominio maschile, è possibile che Mujeres Libres abbia du­
bitato nel propendere per una maggiore libertà sessuale per le
donne, temendo che gli uomini avrebbero potuto usare il nuovo
clima ideologico per approfittare di loro. In generale molte donne
dissero che la sessualità (eccezion fatta per la prostituzione, la por­
nografia o il diritto all’aborto) era una questione “privata”, che le
donne avrebbero dovuto considerare all’interno delle loro relazioni,
non un tema che dovesse occupare un posto centrale nelle atten­
zioni del movimento. “E che cosa c’è da dire su questo? - rispose
una donna ad una mia domanda a proposito della sessualità -. Que­
sta è una questione privata.” Mujeres Libres si proponeva di far ar­
rivare le donne all’empowerment necessario affinché potessero
muoversi da sole nell’ambito delle loro relazioni (e non relazioni).

dei suoi compagni del movimento per aver concluso la relazione con il suo com­
pagno dopo la guerra. Sara Berenguer Guillén, Pepita Carpena ed Azucena
Fernández Barba hanno riferito di aver notato simili comportamenti.
87. Suceso Portales, intervista, Móstoles, 29 giugno 1979; Pepita Carpena, in­
tervista, Barcellona 3 maggio 1988. Altre persone che ho intervistato, anche se
non hanno mai utilizzato la parola “lesbica”, hanno spesso parlato della compagna
di Lucia, Mary.

242
La situazione bellica limitò maggiormente gli obiettivi di Muje-
res Libres in questo campo. Molto probabilmente, i liberatori dalla
prostituzione non potevano essere annoverati tra le priorità di una
organizzazione che aveva una carenza di militanti, di finanziamenti
e di locali. Dato che la maggior parte dei finanziamenti di Mujeres
Libres proveniva dalle organizzazioni del movimento, senza il loro
aiuto sarebbe riuscita a fare ben poco. E forse più importante è la
confusione creata dalla guerra. Masse di rifugiati arrivavano co­
stantemente alle grandi città dalle aree occupate dalle truppe fran­
chiste. Ogni giorno di più, le scarse risorse di Mujeres Libres veni­
vano dedicate all’educazione basica e ai ricoveri per donne e
bambini che erano rimasti senza casa. La costante affluenza di per­
sone (incluse donne giovani) rese ancora più difficile lo sviluppo ed
il mantenimento degli sforzi coordinati a lunga scadenza contro la
prostituzione.
Mujeres Libres forse ha moderato il suo radicalismo sulle que­
stioni sessuali ammettendo le difficoltà che la situazione bellica
stava creando. Anche se c’erano degli articoli nei primi numeri di
Mujeres Libres che criticavano la pratica dei “matrimoni alla liber­
taria”, dopo i primi mesi di guerra non ne venne pubblicato più nes­
suno. La reazione di una donna a proposito di questo problema ci
può essere utile per capire meglio:

Qualcuna di noi non vedeva di buon occhio i “matrimoni” che si cele­


bravano in quel periodo nei sindacati. Ma se ora penso a tutte quelle cose,
le vedo in maniera diversa. Si trattava, dopo tutto, di giovani che ave­
vano appena finito di unirsi, di ragazzi che andavano al fronte, forse per
non tornare più. Come si possono criticare quelle giovani che volevano
almeno un riconoscimento formale di quell’unione, un pezzo di carta fir­
mato prima che il loro compagno partisse per il fronte ?88.

Infine, è possibile che Mujeres Libres avesse limitato l’espres­


sione del suo radicalismo sessuale per non allontanare le donne che
voleva facessero parte dell’associazione. Anche se i programmi di
alfabetizzazione, di formazione professionale, di puericultura e di
maternità potevano benissimo essere considerati radicali in quel con­
testo storico, potevano comunque venire spiegati come delle neces-

88. Soledad Estorach, intervista, Parigi, 4 gennaio 1982.

243
sità di guerra e per la costruzione di una nuova società. Nessuno di
loro sfidava direttamente l’autorità maschile aH’intemo delle quat­
tro mura domestiche, anche se, naturalmente, ognuno di questi pro­
grammi di empowerment femminile rappresentava una sfida a
quell’autorità. Ognuno di questi programmi contribuiva allo sforzo
sociale generale nel momento stesso in cui emancipava le donne.
Dall’altra parte, i programmi di presa di coscienza femminile sulla
sessualità erano sembrati più minacciosi, soprattutto alle donne ope­
raie. Non sarebbero stati tanto facilmente giustificabili come contri­
buto alla società nel suo insieme. Quindi è possibile che l’iniziale
impegno di Mujeres Libres di non agire secondo una posizione
esplicitamente anarchica trovi la sua più chiara espressione nei limiti
dei suoi programmi sulla sessualità.

Programmi per rifugiati e servizi sociali


Come ultima cosa, Mujeres Libres consacrò i propri sforzi ai ser­
vizi di soccorso che tradizionalmente in tempo di guerra erano con­
dotti dalle donne e dalle organizzazioni femminili. Questi pro­
grammi si suddividevano in due categorie principali: 1) programmi
per i rifugiati, che offrivano asilo, scuole ed altri servizi al crescente
numero di persone adulte, anziani e bambini che rimanevano senza
casa man mano che avanzavano i fronti di battaglia, e 2) assistenza
ai combattenti, incluse visite ai soldati al fronte e negli ospedali,
fare loro il bucato, rammendargli i vestiti, ecc.
Il lavoro con i rifugiati era oggetto di un considerevole orgoglio
da parte di Mujeres Libres. Nelle città principali i rifugiati erano ac­
colti dalle organizzazioni maggiori, come la SIA (Solidarietà Inter­
nazionale Antifascista, una sorta di Croce Rossa anarchica). Indub­
biamente molti non andarono però nelle grandi città, e preferirono
stare in città piccole o nei paesi. In questi casi Mujeres Libres colla-
borava con la SIA occupandosi delle persone rifugiate (adulti e bam­
bini) e dei feriti89.
Man mano che il conflitto avanzava, gli articoli di Mujeres Li­
bres che descrivevano le attività dei diversi gruppi di paese men-

89. Si veda, ad esempio, la lettera di Felisa de Castro, segretaria di Mujeres Li­


bres di Barcellona alla SIA, 9 giugno 1938, IISG/CNT: 64.C.4.

244
zionavano sempre più spesso il lavoro con i rifugiati e chiedevano
alle donne di accoglierli. Data la carenza di generi alimentari e di
altri articoli di prima necessità, è facile immaginare che gli abitanti
di queste località non fossero molto disposti ad accogliere delle
nuove persone, soprattutto quelli che avevano con sé molte bocche
da sfamare e poche mani che potessero dare un aiuto nel lavoro.
Un parte importante di questo progetto è costituita dalle scuole per
i rifugiati. Ana Delso, ad esempio, ricorda che una volta che lei e le
sue sorelle trovarono una sistemazione a Vilanova i la Geltru, nel
novembre del 1936, spese quasi tutto il suo tempo nella creazione
di una scuola e in un secondo momento a dare delle lezioni a qua­
ranta bambini rifugiati90. Il numero 11 di Mujeres Libres ricordava
che la 127° Brigata della 28° Divisione (quello che rimase delle
milizie anarco-sindacaliste), con l’aiuto di Mujeres Libres, aveva
creato un asilo per settanta bambini rifugiati.
Fece parte del programma di Mujeres Libres anche il lavoro di
assistenza tradizionalmente realizzato dalle donne. Quasi tutti i
gruppi dedicavano vari membri, se non un’intera sezione, al lavoro
di solidarietà, assistendo i combattenti e i soldati feriti. A Barcel­
lona, un aspetto di questo tipo di lavoro fu la creazione e la gestione
di una “casa del soldato”: il sindacato dei trasporti dava il locale,
Marianet (segretario nazionale della CNT), i letti e, per quanto ri­
guarda il resto del materiale, si arrangiavano a comprare o a chie­
dere in prestito quello di cui avevano bisogno. Conchita Guillén ri­
corda che i tre discorsi che pronunciò come membro del comitato di
propaganda, verso la fine del 1938, invitavano le donne a farsi forti
nella retroguardia per poter dare forza agli uomini che erano al
fronte.91.
Evidentemente, Mujeres Libres non fu l’unica organizzazione a
realizzare lavori assistenziali: l ’AMA ed altri gruppi di donne fe­
cero del lavoro assistenziale la loro ragione d’essere. Mujeres Li­
bres mobilitò gruppi di donne per delle visite periodiche ai fronti di
guerra, per portare agli uomini dei vestiti puliti, del cibo caldo e -
forse la cosa più importante - un po’ di compagnia. Dato che molti
membri di Mujeres Libres militavano in almeno una delle altre or­
ganizzazioni anarchiche, a volte viaggiavano sotto un altro patro-

90. DELSO, Ana: Trois cents hommes et moi, soprattutto pp. 42-56.
91. Conchita Guillén, intervista, Montady, 30 aprile 1988.

245
ciñió. Amada de Nó, che era la rappresentante di quartiere del co­
mitato locale di Mujeres Libres a Barcellona, ricorda di essere an­
data al fronte in una missione patrocinata dalla SIA insieme a Lucia
Sánchez Saornil (allora segretaria generale di questa organizza­
zione), Soledad Estorach, Libertad Rodenas e Conchita Liaño.
Anche se facevano tutte parte di Mujeres Libres, non viaggiavano
come membri di questa organizzazione, ma della CNT92.
Come prevedibile, i propositi di Mujeres Libres inviando delle
donne al fronte non sempre coincidevano con le aspettative dei sol­
dati. Il lavoro educativo tanto fra le donne quanto fra gli uomini
era costante. Come rappresentante della SIA, Sara Berenguer Guil-
lén, ad esempio, ebbe molto a che fare con i miliziani e manteneva
una corrispondenza con molti soldati per cercare di farli stare su di
morale. Spesso dovette rifiutare delle proposte di matrimonio di
giovani che fraintendevano le sue lettere, pensando che fossero una
prova evidente di un interesse romantico.
Ma nonostante questo, Sara, Pepita Carpena e Conchita Guillén
parlarono in modo entusiasta dei loro viaggi al fronte. Sara descri­
veva così uno di questi viaggi, organizzato dalla SIA: “C ’era un
gruppo di ragazze che lavorava in una fabbrica che [...] voleva fare
qualcosa per i soldati. ‘Perché non diamo tutte qualcosa - dissero -,
venticinque pesetas, o qualcosa del genere, compriamo dei viveri
tramite la SIA e li portiamo al fronte?’” Siccome Sara in quel pe­
riodo lavorava per la SIA, partecipò al viaggio come delegata del
Consiglio Nazionale di quella organizzazione. “Affittammo due au­
tobus dove salirono le ragazze della fabbrica e ci mettemmo il ma­
teriale. Ci accompagnavano due militanti della CNT: Expósito, un
maestro razionalista, e Saturnino Aransáez.” Uno degli autobus si
fermò durante il cammino, vicino ad un accampamento militare.
Convinti da Sara della necessità di rimettersi in marcia il più presto
possibile (i viveri erano per la 26° Divisione, ed era molto probabile
che molto presto i soldati avrebbero cambiato la loro postazione), i
meccanici lavorarono fino a notte inoltrata e ripararono l’asse. Le ra­
gazze risalirono sull’autobus ed all’alba arrivarono all’accampa­
mento della 26° Divisione.

Le ragazze, siccome non avevano dormito, erano a pezzi, ed andarono

92. Amada Victoria de Nó Gaiindo, intervista, Montady, 30 aprile 1988.

246
in m ensa dove si addorm entarono sui tavoli. Q uando entrarono i soldati
e le videro, iniziarono a cercare di avere un approccio con loro. N el fr a t­
tempo, Saturnino, Expósito ed io eravam o andati a cercare i com andanti
della com pagnia p e r organizzare il program m a del giorno. Q uando ri­
tornammo, sentim m o le ragazze gridare e piangere. Q uando i soldati ci
videro si ferm arono stupiti. D om andam m o loro che cosa era successo e ce
lo spiegarono. Io dissi alle ragazze: “G uardate, non sapevano co safare,
ma fo rse non è solo colpa loro. Forse, prim a di noi è stato qui un altro
gruppo di donne, chissà da dove venivano e con quali propositi, e p ro b a ­
bilm ente i soldati si sono im m aginati che tutte le donne sono uguali. A l­
lora, spieghiam ogli perché siam o qui. ” E così fecero, fo rm a n d o con i so l­
dati dei gruppetti di due o tre persone, e tutto andò a fin ire in m odo
stupendo9394

Come militanti di Mujeres Libres non volevano solamente visi­


tare e confortare i soldati, ma volevano educarli. Mujeres Libres
cercava di essere sempre chiara spiegando che interpretava questo
lavoro di solidarietà solamente all’interno di un contesto politico
più grande. Come disse Lucía Sánchez Saornil, nel luglio del 1938,
riferendosi all’obiettivo di Mujeres Libres di creare “una forza fem­
minile cosciente e responsabile”: “Questa forza femminile che vo­
gliamo creare e che stiamo creando ha, indubbiamente, un senso
ed un destino politico molto più grande di cucire giacchette ai mi­
litari o distribuire conforto ai malati [...] Queste sono attività im­
mediate e circostanziali [...] La nostra organizzazione ha altri ulte­
riori obiettivi, che costituiscono i suoi principi e che sono quelli
che in ogni momento devono ispirare e sostenere le sue azioni94.
Come risulta evidente da molte conversazioni che ho avuto con
alcune delle giovani “neofìte” di Mujeres Libres, anche se questo
lavoro di solidarietà a volte prendeva una vita propria, le mete ul­
time non venivano mai perse di vista. Giovani come Conchita Guil-
lén o Sara Berenguer, che avevano solo sedici anni quando scoppiò
la guerra e che negli anni precedenti non avevano avuto molti con­
tatti con gli ideali e le attività anarchiche (si descrivevano come

93. Sara Berenguer Guillén, intervista, Capestang, Francia, 30 aprile 1988; co­
municazione personale, agosto 1989.
94. Federazione Nazionale di Mujeres Libres, Comitato Nazionale: “A todos
los Comités Regionales y Provinciales de la Federación Nacional Mujeres Li­
bres”.

247
“novizie, che non sapevano niente di niente”), si videro negli ultimi
mesi del conflitto completamente immerse in Mujeres Libres. La
loro interpretazione delle questioni generali a proposito della ca­
pacitación e la loro insistenza sul fatto che Mujeres Libres rendesse
le donne capaci di “rispettare sé stesse ed essere rispettate” emer­
gono chiaramente in tutte le loro conversazioni.

248
Capitolo VI
SEPARATE E UGUALI?

Dilemmi della mobilitazione rivoluzionaria


Dato il duplice impegno di Mujeres Libres nell’educazione e
nella militanza sarebbe normale aspettarsi dalla CNT e dalla FAI, i
suoi “fratelli” del movimento libertario, una calda accoglienza a
braccia aperte. Mujeres Libres aveva molto in comune con queste
organizzazioni; quasi tutte le sue militanti facevano parte anche di
almeno una di queste. I programmi di apprendimento tecnico e di
formazione sociale di Mujeres Libres preparavano la donna ad as­
sumere un ruolo attivo nella produzione e nelle attività della CNT.
L’orientamento anarchico dei programmi educativi e culturali di
Mujeres Libres riguardava molti degli obiettivi della FAI (e della
FIJL).
Eppure queste organizzazioni libertarie non considerarono mai
Mujeres Libres come una compagna pienamente uguale a loro.
Inoltre anche le relazioni di Mujeres Libres con i gruppi di donne
non libertarie erano tese a causa del potere economico e politico
del Partito Comunista e delle organizzazioni a questo affini. Lo stu­
dio delle relazioni che Mujeres Libres ebbe con i gruppi di donne al
di fuori del movimento libertario e con altre organizzazioni che in­
vece ne facevano parte, ci può aiutare a capire la natura del pro­
getto di Mujeres Libres e lo status di “separate e uguali” che cer­
cava di raggiungere all’interno della comunità libertaria.

249
Relazioni con le altre organizzazioni di donne
Le relazioni di Mujeres Libres con le organizzazioni femminili
non libertarie erano il risultato del suo atteggiamento verso il fem­
minismo e del suo ruolo all’interno del movimento libertario. Come
ho già detto in precedenza, Mujeres Libres rifiutava l’ideologia e
l’organizzazione politica del femminismo esistente. Riteneva che la
subordinazione della donna non sarebbe stata superata con una lotta
limitata al diritto di voto, o anche al salario uguale a quello
dell’uomo sul luogo di lavoro, ma solamente grazie ad un movi­
mento che avesse obiettivi esplicitamente sociali ed educativi. Se­
condo Mujeres Libres, l’organizzazione politica, intesa come un’or­
ganizzazione priva della dimensione socio-educativa e di classe,
avrebbe solamente perpetuato la subordinazione della donna della
classe operaia1.
Uno degli scopi con cui Mujeres Libres fu fondata era dunque
quello di rivolgersi alle necessità delle donne che le organizzazioni
del movimento avevano trascurato. Sicuramente man mano che
procedeva la guerra civile all’interno della stessa guerra civile, le at­
tività di Mujeres Libres assunsero una dimensione ed un proposito
ancora più grandi: volevano competere con le organizzazioni so­
cialiste per la lealtà delle operaie spagnole. Mujeres Libres, in una
spiegazione retrospettiva a proposito delle sue attività, si giustifi­
cava in questo modo con il movimento libertario:

In Spagna, dopo l ’avvento della Repubblica, si era stabilita fr a i p a r­


titi politici una vera e propria lotta p e r attrarre nuovi militanti. Fu allo­
ra, vedendo il p ericolo che i fa tti stavano assum endo sia p e r la tenden­
za libertaria che p e r la stessa società, che un gruppo di com pagne ebbe
l ’idea di creare un organo di stam pa, diretto e guidato dalle nostre
donne, che co m in c ia sse a lavo ra re n ei se tto ri fe m m in ili d el nostro
paese, introducendo in questi, con tatto e ponderazione, una spontanea
inclinazione verso le tendenze libertarie. Q uesto organo fu la Rivista
'‘m u j e r e s l ib r e s ” che apparve nel m aggio d e l’ 361
2.

1. “La personnalité de “Feinmes Libres””, Mujeres Libres. Bulletin d’Infor-


mation, IISG/FAI: 48. c.l.a.: anche “Anexo al informe que la Federación Mujeres
Libres eleva a los comités superiores del movimiento libertario”.
2. “Anexo al informe”, p. 1. Si veda anche “Algunas consideraciones del Co-
mité Nacional de Mujeres Libres al de la CNT sobre la importancia politica de

250
Evidentemente qualche gruppo libertario di donne, come quello
di Terrassa e quello di Barcellona, esistevano ancora prima della
pubblicazione della rivista. Nel 1935 Mercedes e Lucia avevano
mandato delle lettere a molti di questi gruppi proprio per iniziare a
formare una rete. Ma siccome dipendevano esplicitamente dal mo­
vimento libertario, potevano non essere adatte a quel più ampio sce­
nario che Mujeres Libres cercava di delineare in questi documenti.
Di fatto, non è sicuro che la competizione con le organizzazioni
socialiste fosse dall’inizio un obiettivo principale. Ciò nonostante,
una volta che i diversi partiti di sinistra ebbero formato organizza­
zioni di donne, la ricerca di sottoscrizioni da parte di Mujeres Libres
diventò ancora più grande, soprattutto in competizione con l’AMA
(Associazione delle Donne Antifasciste).
Nel periodo prebellico, anche se uno degli obiettivi teorici era il
superamento della subordinazione delle donne, la maggior parte dei
partiti e delle organizzazioni di sinistra avevano optato per una pro­
spettiva marxista tradizionale in cui la subordinazione della donna
era secondaria rispetto alle divisioni di una società classista. Quindi,
la maniera più efficace per superare questa subordinazione era or­
ganizzare le donne in organizzazioni operaie che avrebbero lottato
insieme per mettere fine all’oppressione di classe. In generale ne­
gavano quello che Mary Nash ha denominato “la specificità dell’op­
pressione della donna”, e sostenevano che “il cammino dell’eman­
cipazione della donna si sarebbe realizzato esclusivamente a partire
dalla sua integrazione nella lotta di classe”3. Molte di queste orga­
nizzazioni svilupparono “sezioni femminili” per riuscire a convin­
cere le donne a partecipare attivamente alle loro iniziative.
Le organizzazioni socialiste di sinistra e quelle dissidenti si dif­
ferenziavano leggermente nel loro orientamento. Sostenevano la ne­
cessità dell’uguaglianza tra uomini e donne nel luogo di lavoro e
al l’interno della casa ed appoggiavano attivamente i programmi di
preparazione culturale. Ma nonostante tutto la loro strategia era po­
liticamente simile a quella del PSOE, del PCE e del PSUC: tanto il BOC
quanto il POUM crearono delle “sezioni femminili” che avevano

aquella organización”, s.d., contenuto nel documento del Comitato Nazionale della
CNT ai delegati dell’organizzazione, Barcellona (20 gennaio 1938), p. 1,
IISG/CNT: 45.B.17.
3. NASH: Mujer y movimiento obrero, p. 176.

251
l’obiettivo specifico di incorporare le donne nelle proprie file4.
Con la guerra la strategia dei partiti marxisti cambiò. Crearono
delle organizzazioni di donne, fra cui la Dona a la Reraguarda e
l’Associazione delle Donne Antifasciste (AMA), e pubblicarono
delle riviste di orientamento specificatamente femminile, come
Mujeres e Companya. Queste erano prevalentemente dedicate non
tanto al superamento della subordinazione della donna, quanto alla
sua mobilitazione per contribuire allo sforzo bellico. Queste orga­
nizzazioni socialiste e comuniste si differenziavano in modo im­
portante da Mujeres Libres proprio nell’ignorare le specificità della
subordinazione femminile.
Soprattutto l’AMA si presentava come un’organizzazione non par­
titica, interessata ad incorporare le donne nella lotta contro il fasci­
smo. I suoi obiettivi formali erano: 1) contribuire alla lotta contro il
fascismo ed in favore della pace, 2) difendere la cultura ed il diritto
della donna all’istruzione per vincere la sua schiavitù dell’ignoranza,
3) difendere i diritti civili e la giustizia ugualitaria, 4) rendere final­
mente la donna partecipe della vita sociale e politica del paese5. No­
nostante avesse inizialmente professato degli interessi verso la su­
bordinazione culturale, le attività belliche misero velocemente in
secondo piano questi obiettivi specificamente di genere.
Era proprio in questo che Mujeres Libres si trovava in disac­
cordo con l’AMA. Mujeres Libres era profondamente impegnata
nella lotta rivoluzionaria: non solo per vincere la guerra, ma anche
per il raggiungimento di una trasformazione sociale. L’AMA lasciò
al margine questa lotta, minimizzando sia la specifica subordina­
zione delle donne sia le questioni relative ad una trasformazione
sociale di carattere generale. Si concentrò, al contrario, nel mobili­
tare le donne per il lavoro. Secondo Mujeres Libres gli effetti poli­
tici di questa mobilitazione presuntamente non ideologica erano
chiari: avrebbero rafforzato il dominio ideologico del gruppo che di
fatto era il detentore del potere politico, il Partito Comunista.

4. Si veda La mujer ante la revolución, Pubblicazioni del segretariato femmi­


nile del POUM, Barcellona, 1937; NASH: M ujery movimiento obrero; ACKEL-
SBERG: “Women and thè Politics of thè Spanish Popular Front. Politicai Mobi-
lization or Social Revolution?”, p. 5; RODRIGO: “Nuestras mujeres en la Guerra
Civil”, pp. 39-40.
5. ELIAS, Emilia: ¿Por qué luchamos?, citato in NASH: Mujer y movimiento
obrero, p. 244.

252
La preoccupazione di Mujeres Libres per le conseguenze politi­
che del presunto non partitismo dell’AMA improntò le relazioni con
questa organizzazione. Queste conseguenze erano più evidenti sul
terreno sindacale. Più e più volte, in circolari ed in lettere alla CNT,
Mujeres Libres insistette sul pericolo che avrebbe rappresentato
una “vittoria della battaglia” dell’AMA nei centri di lavoro. Siccome
gli operai uomini erano andati al fronte (la maggioranza dei quali,
almeno a Barcellona, erano stati membri della CNT), venivano man
mano rimpiazzati dalle donne. Ma queste donne avrebbero deciso
di aderire alla CNT facendo così proseguire nei luoghi di lavoro la
tradizione anarco-sindacalista? O sarebbero state donne “apoliti­
che”, formate nei programmi della Generalität, che unendosi quindi
alla forza lavoro come operaie non sindacalizzate avrebbero mi­
nato, o annullato, gli obiettivi raggiunti nel corso di generazioni
dall’organizzazione della CNT?6.
Riassumendo, Mujeres Libres interpretò il lavoro non partitico
dell’AMA come al contrario un lavoro profondamente politico e lo
considerò una minaccia rivolta ai sindacati. Mujeres Libres conce­
piva i propri programmi di apprendimento e di capacitación come
uno sforzo in competizione con l ’AMA proprio nei centri di lavoro:
“La principale preoccupazione di Mujeres Libres è di conservare la
forza sindacale su cui si appoggia il nostro movimento libertario7.”
L’obiettivo era di sviluppare una coscienza sociale rivoluzionaria
che avrebbe permesso alle donne di partecipare alla lotta sindacale
nel posto di lavoro e di opporsi all’influenza ideologica del partito
comunista nei programmi di formazione tecnica.
Ciò nonostante, questa rivalità con l’AMA per l’adesione delle
donne delle fabbriche rappresentava solamente una piccola parte
dell’attenzione che Mujeres Libres prestava allo sviluppo di una
forza femminile orientata alla trasformazione sociale rivoluzionaria
in tutte le sue dimensioni. L’altro punto in cui si riscontrava questa
rivalità era la risposta di Mujeres Libres agli appelli dell’AMA per

6. Mujeres Libres: “Algunas consideraciones del Comité Nacional”; “Informe


que esta federación eleva a los comités nacionales del movimiento libertario y a los
delegados al pleno del mismo”, Barcellona (settembre 1938), pp. 1,8, IISG/CNT:
40.C.4; Federazione Nazionale Mujeres Libres, Comitato Nazionale, Circolare n.,
Barcellona (12 luglio 1938), ÜSG/FAI: 48.C.l.a.; Emma Goldman a Mariano Váz­
quez (7 ottobre 1938), IISG/CNT: 63.C.2.
7. “Informe que esta federación eleva”, p. 6.

253
‘T unità” di tutte le donne e di tutte le organizzazioni femminili (in­
cluse quelle repubblicane, socialiste e comuniste, oltre che a Muje-
res Libres) sotto la protezione dell’AMA.
Coerente alla posizione del movimento libertario, Mujeres Libres
si oppose decisamente a tutti gli appelli per “l’unità femminile”, che
avrebbe negato le importanti differenze politiche ed ideologiche dei
distinti gruppi. Riteneva fondamentale la necessità di mantenere una
presenza femminile libertaria indipendente all’interno di una coali­
zione vera, in cui ogni gruppo conservasse la propria identità e la
propria autonomia. Detta coalizione si sarebbe rafforzata più con una
varietà di prospettive che con il tentativo di presentare un fronte co­
mune unificato e volontariamente non rivoluzionario. Fin dall’ini­
zio, Mujeres Libres espresse una grande sfiducia nei motivi e nelle in­
tenzioni dell’a m a e delle altre organizzazioni favorevoli “all’unità”,
sottolineando il quadro politico ed ideologico in cui questi appelli
per l’unità venivano realizzati. Ad esempio, rispondendo ad un invito
per assistere ad un congresso di “Unió de Dones de Catalunya”, nel
novembre del 1937, Mujeres Libres criticò la dichiarazione degli
obiettivi del congresso. Riproduco qui parte di quella risposta per
rendere un’idea del tono e dell’intensità:

1° Per contribuire all’Unità Antifascista:


Risposta: Terminare le persecuzioni contro le organizzazioni an­
tifasciste non rappresentate al governo ...
2° Per lavorare per l ’unità di salario con l ’uomo:
Risposta: Pensiamo che il problema delle famiglie non si risolve
con l ’uguaglianz.a di salario ...
5° Per salvare la Patria dall’invasione fascista:
dalle due invasioni: quella che si combatte ai fronti e quella che
invece opera nella retroguardia ...
6° Per emancipare la donna insegnandole nuovi mestieri:
Per MUJERES LIBRES questo è un obiettivo che stiamo cer­
cando di realizzare da molto tempo ed è inutile dedicargli l ’atten­
zione di un Congresso.8

Molte critiche che Mujeres Libres fece circolare furono proba­


bilmente destinate a dare informazioni su questo tema ai propri8

8. Testo riprodotto in ibidem, pp. 2-3.

254
gruppi ed ai sindacati della CNT, oltre che all’AMA. Dopo essere
stata rifiutata dai comitati nazionali e regionali di Mujeres Libres,
l’AMA iniziò a chiedere a singoli gruppi di partecipare alle sue con­
ferenze ed attività. Una circolare del comitato nazionale di Muje­
res Libres, datata 23 maggio 1938 metteva in guardia i gruppi lo­
cali perché non si facessero coinvolgere dalla propaganda
dell’AMA9.
Mujeres Libres sosteneva che la vera unità doveva prima di tutto
riconoscere la diversità101. Come scriveva Lucía Sánchez Saornil in
risposta ad un invito dell’AMA: “Mujeres Libres ha detto e ripetuto
che non le interessa l’unità femminile, perché non rappresenta
nulla. La sua voce ha più volte invocato l’unità politica e sindacale,
l’unica unità efficace ed utile alla nostra causa;... Dato che esistono
delle differenze tra le distinte politiche e le strategie, la fusione delle
tendenze non è realizzabile, perché è incompatibile con la varietà
umana” 11. Era importante che ogni organizzazione conservasse “in­
tegralmente il proprio carattere e la propria personalità” e conti­
nuasse il proprio lavoro per fomentare lo sforzo bellico, la rivolu­
zione e l’emancipazione femminile. “Gli interessi della donna”,
sosteneva Mujeres Libres, non erano né “definiti così chiaramente
né così universalmente ammessi da poter formare la base di una
sola organizzazione”. La vera unità antifascista avrebbe richiesto
non solo una fusione, ma anche il riconoscimento della diversità di
opinioni politiche e la disposizione ad accettare l’autonomia di pro­
spettiva e di azione di tutti i gruppi della coalizione. Mujeres Libres
non era disposta a sacrificare i suoi principi di azione diretta e di or­
dine spontaneo in cambio di una vaga e controrivoluzionaria no­
zione di “unità femminile”.

9. Ibidem, p. 7. Nonostante questo, lettere ed articoli usciti su Acracia, diario


anarchico di Lérida, invitavano le donne a partecipare alla AMA. CUNSIGNE,
Anna: “Lletres de dona”, Acracia (2 dicembre 1937), p. 1; e UNA DE ELLAS:
“Las mujeres de retaguardia por los luchadores del frente”, ibidem (3 dicembre
1937), p. 4.
10. Comitato Regionale di Mujeres Libres: “Circular núm. 1 de Información”
(7 marzo 1938), IISG/CNT: 40.C.4.
11. SÁNCHEZ SAORNIL: “Actitud clara y consecuente de Mujeres Libres.
En respuesta a Dolores Ibárruri”, Solidaridad Obrera ( 11 agosto 1938), riprodotto
in NASH: “Mujeres Libres”, pp. 109-12.

255
II movimento libertario
Questa insistenza sull’autonomia e sulla diversità dei gruppi
femminili era parallela alle rivendicazioni di Mujeres Libres di au­
tonomia organizzativa e di riconoscimento della diversità all’in­
terno del contesto libertario in generale. Mujeres Libres era prepa­
rata a confrontarsi con i gruppi di donne che avevano aderito ad
altre organizzazioni, ma non era pronta alla resistenza che invece si
trovò ad affrontare proprio all’interno dello stesso movimento li­
bertario. Anche se era cosciente del sessismo degli uomini nelle or­
ganizzazioni del movimento e del fallimento di queste organizza­
zioni nel tentativo di rivolgersi alle donne e nell’affrontare
adeguatamente le questioni femminili, il programma di Mujeres
Libres era di lavorare a stretto contatto con la CNT e con la FAI, a li­
vello locale, regionale e nazionale. Sperava di essere ricevuta bene
dalla “famiglia” libertaria. A livello locale queste aspettative si rea­
lizzarono parzialmente, ma a livello nazionale Mujeres Libres subì
una delusione profonda. Può anche darsi che una parte di questa
delusione derivasse di fatto dalla confusione che nacque dalle sue
pressioni per far parte del movimento mantenendo però la propria
autonomia. Fino alla sua nascita come federazione nazionale,
nell’agosto 1937, Mujeres Libres era costituita da una serie di
gruppi più o meno indipendenti. Mercedes Comaposada ricordava
che in diverse occasioni, durante il primo semestre del 1937, lei e
Lucia erano andate a Valencia (sede del governo nazionale e dei
comitati nazionali delle organizzazioni libertarie) per chiedere un
riconoscimento ed un appoggio ufficiale per Mujeres Libres.

D opo aver riunito ogni tipo di pam phlet e di docum ento che avevam o
realizzato, dom andai a M arianet: “P erché non ci riconoscete com e or­
ganizzazione?" E lui rispose: “ Come possiam o riconoscervi com e orga­
nizzazione? Sappiam o quello che fate, e lo state fa c en d o bene, m a fin o a
quando non vi presenterete con un ’organizzazione, ossia, con dei com itati
regionali, un com itato nazionale, delle persone disposte ad occupare dei
ruoli di responsabilità, ecc., non possiam o fa r e n u lla ”12.

Questa ed altre simili conversazioni furono uno stimolo per con-

12. Mercedes Comaposada, intervista, Parigi, 5 gennaio 1982.

256
vocare nell’agosto del 1937 una prima conferenza nazionale, che
riunì i rappresentanti di novanta gruppi locali e costituì Mujeres Li-
bres come organizzazione nazionale.
La conferenza stabilì una struttura federale con comitati provin­
ciali, regionali e con quello nazionale, una forma di organizzazione
progettata per offrire la massima flessibilità. Non era un caso che
quella forma organizzativa fosse basata sul modello della CNT e
della FAI, con cui i membri di Mujeres Libres avevano particolare
confidenza. Inoltre la conferenza seguì “procedimenti federali co­
munemente accettati” in quanto erano stati sviluppati per anni dalla
CNT e dalla FAI. Ad esempio, invece di nominare individui concreti
per compiti specifici, la conferenza nominò delle delegazioni (per
località), e le delegazioni, a loro volta, designarono alcuni individui
che avrebbero partecipato al comitato in questione13. Queste prati­
che situarono senza alcuna ombra di dubbio l’organizzazione all’in­
terno della comunità libertaria.
Mujeres Libres si identificò ideologicamente sia con i fini che
con i metodi della CNT e della FAI; ma allo stesso tempo mantenne
gelosamente la propria autonomia. Ad esempio, le sue fondatrici
scelsero come nome “Mujeres Libres” invece di “Mujeres Liberta-
rias” perché volevano fosse chiaro che ideologicamente erano affini
al movimento libertario, ma non ne rappresentavano un’organizza­
zione ausiliaria14. La tensione divenne nuovamente forte durante il
dibattito su quale tipo di simbolo avrebbe dovuto avere la tessera di
Mujeres Libres. Dopo qualche discussione fra le compagne sulla
loro predilezione per il rosso ed il nero (i colori della CNT e della
FAI), si giunse ad un accordo: la tessera avrebbe avuto questi due
colori, ma non le sigle CNT- f a i . Dato che “siamo un’organizza­
zione affine, ma non dipendente da loro”. Allo stesso modo, la ban­
diera ufficiale sarebbe stata azzurra (colore “dell’ottimismo”) con
lettere bianche, ma con una frangia rosso-nera15.
La complessità degli obiettivi di Mujeres Libres rispetto all’au­
tonomia e all’appartenenza al movimento libertario era evidente.
In una prima riunione, l’assemblea decise di invitare i comitati cor­

13. Federazione Nazionale Mujeres Libres: “Actas de la conferencia nacional


celebrada en Valencia (21-23 agosto 1937)”, AHN/SGC-S, P.S. Madrid: 432.
14. Mercedes Comaposada, intervista, Parigi, 1 e 3 gennaio 1982.
15. “Actas de la conferencia nacional”, p. 9.

257
rispondenti della CNT e della FAI affinché inviassero dei delegati
alle riunioni dei comitati regionali e di quello nazionale di Mujeres
Libres - senza diritto di voto - e decise anche di richiedere che
Mujeres Libres potesse inviare delle delegate, nella stessa qualità,
alle riunioni dei comitati della CNT e della FAI. La conferenza decise
di non richiedere che le rappresentanti di Mujeres Libres avessero
diritto di voto durante le riunioni di quelle organizzazioni perché a)
già esercitavano influenza in queste attraverso la loro affiliazione ai
sindacati (nel caso della CNT) e grazie alla loro partecipazione ai
gruppi anarchici (nel caso della FAI e della FIJL), e b) non volevano
correre il rischio di sentirsi obbligate dalle decisioni prese da quelle
organizzazioni con cui avrebbero potuto anche non trovarsi d’ac­
cordo. La conferenza immaginò la seguente situazione: “Mettiamo
ad esempio che la CNT - in questo caso il suo Comitato Superiore,
al quale faremmo parte - decidesse, contro la nostra opinione, che
la nostra organizzazione ha perso la sua ragione di esistere e la mag­
gioranza è favorevole al suo scioglimento. Quale sarebbe allora la
nostra posizione?” 16. Alla fine dei conti, Mujeres Libres voleva es­
sere ammessa ai congressi ed alle deliberazioni che vi avrebbero
avuto luogo ma non voleva perdere però la sua indipendenza.
Nei diciotto mesi che seguirono, mentre ripeteva che costituiva
“parte integrale del movimento libertario”, Mujeres Libres non
mancava però di riaffermare in ogni occasione la propria autono­
mia. In una dichiarazione, aggiunse:

M ujeres Libres avrebbe potuto trasform arsi in un 'appendice del m o ­


vim ento sindacale com e preparazione fem m in ile in vista d e ll’incorpora­
m ento della donna al lavoro, facendola diventare il ricettacolo della fo rza
sindacale. ... A vrebbe potuto convertirsi in un annesso o nella Sezione
F em m inile della FAI, m a non fe c e nem m eno questo.
Essendo le sue sostenitrici anarchiche, non potevam o am m ettere che
all 'interno della specifica organizzazione ci fo ssero individui senza una
form azione, e nemmeno, com e anarchiche, potevam o convertire questi in­
dividui in ciechi strum enti senza contravvenire ai nostri propri p rin cip i17.

Nonostante la frustrazione con le organizzazioni del movimento,

16. Ibidem, (21 agosto 1937).


17. “Anexo al informe”, p. 3.

258
Mujeres Libres continuò a comunicare le sue aspettative di aiuti e
a sperare di venire accettata. Invitò la FAI e la CNT a inviare rap­
presentanti ai suoi congressi nella speranza di dimostrare la sua ap­
partenenza alla comunità libertaria e di guadagnare così legittimità
al suo interno18.
La lotta per il pieno riconoscimento come organizzazione fu in­
cessante. Le rappresentanti di Mujeres Libres si unirono in molte
occasioni a quelle della CNT e della FAI nei giri di propaganda per
le zone rurali, sottolineando così in modo simbolico i fini e i pro­
positi comuni. Mujeres Libres chiese inoltre incessantemente che in
occasione di manifestazioni pubbliche del movimento libertario
un’oratrice della sua organizzazione si trovasse sul palco insieme a
quelli della CNT, della FAI e della FIJL. Gli annunci sulla stampa di
queste manifestazioni pubbliche dimostrano che ebbero abbastanza
successo. Durante la preparazione degli atti in commemorazione
del primo anniversario della morte di Durruti, ad esempio, il comi­
tato nazionale della CNT mandò delle circolari a tutti i comitati re­
gionali in cui le istruzioni dicevano che in ogni atto avrebbero do­
vuto esserci cinque oratori, un’oratrice di Mujeres Libres, uno della
SIA, uno della FIJL, uno della CNT ed un altro della FAI19.
Ma nonostante questo, non sono riuscita a trovare altre circolari
del comitato nazionale che ripresentassero i termini della circolare
menzionata né nessun documento di queste organizzazioni che
menzionasse Mujeres Libres o la SIA insieme alla FAI o alla CNT
come organizzazioni a loro equivalenti. Inoltre Sara Berenguer
Guillén mi disse che quando venne annunciato il progetto per la
commemorazione del secondo anniversario non ci fu nessuna ora-
trice di Mujeres Libres nella relazione degli oratori. Ricorda Sara
che Soledad Estorach si recò infuriata al comitato regionale della
Catalogna per fare avere una parte negli atti anche alle rappresen­
tanti di Mujeres Libres. Riuscì a convincere il comitato, e questo
voleva dire cercare delle donne che potessero andare nei paesi e
nelle città della Catalogna per partecipare alle manifestazioni. Sara
ed Amada de Nò si trovarono fra le giovani che rappresentarono

18 Mujeres Libres, Valencia, al Comitato Peninsulare della FAI (17 agosto


1937), IISG/FAI: 48.C.U.
19. Lettera di J. Doménech, segretario del Comitato regionale della Catalogna
della CNT ( 11 novembre 1937), trasmettendo la Circolare n° 11 del Comitato Na­
zionale della CNT, Valencia (6 novembre 1937), IISG/CNT: 48.B.1.

259
Mujeres Libres in molte di queste riunioni. Sara doveva andare ad
Hospitalet e Granollers, anche se nel primo posto non riuscì a par­
lare perché la strada era stata disastrata dalle bombe fasciste e bi­
sognò cancellare la manifestazione. Amada andò a Gerona. Per te­
nere sotto controllo l’agitazione, imparò a memoria un articolo che
Soledad aveva scritto per un giornale e lo ripetè lungo il cam­
mino20.
In questa cornice così complessa e spesso confusa, Mujeres Li­
bres riuscì ad avere dei riconoscimenti da almeno qualche organiz­
zazione del movimento. Sembra che la maggior parte della stampa
anarchica l’appoggiò e in alcune occasioni si dimostrò perfino en­
tusiasta del lavoro e dei traguardi raggiunti da Mujeres Libres.
Acrada, il giornale anarchico di Lérida, faceva regolarmente dei ri­
ferimenti al lavoro di Mujeres Libres, spesso in termini di elogio21.
Tierra y Libertad, Solidaridad Obrera, Tiempos Naevos ed altre
pubblicazioni si riferirono frequentemente al lavoro ed alle attività
di Mujeres Libres.
A livello locale, Mujeres Libres ricevette aiuti concreti da parte
dei sindacati della CNT. Molti di questi parteciparono attivamente ai
programmi di apprendimento e furono favorevoli a far entrare nelle
fabbriche collettivizzate i gruppi delle oratrici di Mujeres Libres, a
volte addirittura sospendendo la catena di montaggio. Ci furono
anche dei casi di appoggio diretto. Quando il compagno di Pepita
Carpena venne ucciso al fronte, il sindacato della metallurgia, a cui
era stato affiliato e con cui lei aveva avuto a che fare fin da quando
era molto giovane, pagò un salario a Pepita per renderle possibile
continuare a lavorare con Mujeres Libres. Anche alcuni sindacati
locali e molti soldati al fronte inviavano dei contributi a Mujeres Li­
bres22. In alcune comunità sembra che Mujeres Libres riuscisse ad
avere il riconoscimento desiderato: essere inclusa come organizza­
zione all’interno del movimento libertario. Gli atti delle riunioni
della federazione locale degli atenei libertari di Madrid tra il luglio
del 1937 e l’aprile del 1938, ad esempio, riportano la presenza di

20. Amada de Nó, intervista, Montady, 30 aprile 1988.


21. “Una publicación interesante, Mujeres Libres”, Acracia (27 luglio 1937), p.
1; “Dia tras dia. Trasformación social sin decretos”, ibidem (4 settembre 1937), p.
1; “Mujeres Libres”, ibidem (23 novembre 1937), p. 4.
22. Mercedes Comaposada, intervista, Parigi, 7 gennaio 1982. Esistono delle
lettere in AHN/SGC-S, P.S. Madrid: 432.

260
Mujeres Libres, del g ru p p o locale della FAI, della federazione locale
della CNT e della federazione locale della FUL2 3 .
Mujeres Libres inviò costantemente petizioni di aiuto finanziario
o comunque concreto alla CNT ed alla FAI sia a livello regionale che
nazionale. Faceva appello a queste organizzazioni per essere con­
siderata “un ulteriore membro della famiglia libertaria” con neces­
sità di appoggio finanziario, per poter portare a termine lavori che
erano diretti fondamentalmente a tutte le organizzazioni libertarie.
Mujeres Libres chiese aiuti economici e spazi per i suoi congressi
regionali (che ebbero luogo a Barcellona, uno nel febbraio del
1938, l’altro nell’ottobre dello stesso anno), per pubblicazioni e la­
vori di propaganda, per mantenere i suoi uffici e per pagare i salari
dei membri del comitato regionale. Sembra che tanto la FAI quanto
la CNT, soprattutto in Catalogna, fossero abbastanza disposte a farle
avere dei locali per riunirsi, del cibo e degli aiuti per queste confe­
renze. Inoltre, tra il luglio e l’ottobre del 1938, tanto il Comitato
Regionale della Catalogna della FAI quanto il Comitato Nazionale
della CNT offrirono sovvenzioni modeste ma regolari a Mujeres Li­
bres, grazie alle quali venne stampato il numero tredici della rivi­
sta24. Anche se spesso le sovvenzioni economiche erano inferiori
alla cifra che Mujeres Libres aveva richiesto, non succedeva quasi
mai che l’organizzazione dovesse rimanere a mani vuote25. Nono­
stante una piccola parte della corrispondenza tra le organizzazioni
suggerisca che Mujeres Libres venisse trattata come membro

23. Si vedano gli atti dell’organizzazione degli atenei libertari di Madrid (29 lu­
glio 1937, 19 agosto 1937, 16 settembre 1937, 19 febbraio 1938,14 aprile 1938).
La circolare n° 7 della Commissione di propaganda Anarchica e Confederale, Ma­
drid (29 gennaio 1938) includeva anche Mujeres Libres nel suo campo d’azione.
Entrambi i documenti in AHN/SGC-S, P.S. Madrid: 1712.
24. “Informe que esta Federación eleva”, pp. 8-9.
25. Sezione di Propaganda, Comitato Regionale del Levante, Mujeres Libres,
al Comitato Peninsulare della FAI (3 gennaio 1938) e risposta, IISG/FAI: 48.C.1.C.;
Comitato Regionale della Catalogna, Mujeres Libres al Comitato Regionale della
Catalogna, CNT (2 e 26 febbraio e 6 ottobre 1938) e risposte, IISG/CNT: 40.C.4.;
Seziona Nazionale di Propaganda, Mujeres Libres al Comitato Peninsulare, FAI
(marzo 1938), IISG/FAI: 48.C.l.a.; e lo scambio di corrispondenza tra Lucía Sán­
chez Saomil, per il Comitato Nazionale di Mujeres Libres, e Germinai de Sousa,
per il Comitato Peninsulare della FAI (22 novembre 1938), IISG/FAI: 48.C.l.a. Si
trovano copie della corrispondenza tra il Comitato Regionale della Catalogna di
Mujeres Libres ed il Comitato Regionale della Catalogna della CNT in
AHN/SGC-S, P.S. Barcellona: 1049.

261
uguale della famiglia libertaria, era certamente trattata come un
membro, anche se come una sorella piccola e forse immatura.
Mujeres Libres si sentì frustrata proprio per non venire conside­
rata con rispetto e serietà dai membri di queste organizzazioni.
C’erano abbastanza casi di compagni che si riferivano a Mujeres
Libres in modo sessualmente degradante o con disprezzo, chia­
mandole, ad esempio, “Mujeres Liebres” (“donne lepri”, termine
ovviamente insultante con cui volevano dire che saltavano da un
letto all’altro come conigli. Questa etichetta che si riferiva alle mi­
litanti femministe come pervertite sessuali non era esclusiva della
Spagna)26. Mujeres Libres fece numerosi appelli ai comitati regio­
nali e nazionali della CNT e della FAI per frenare l’ostilità dei loro
gruppi locali, e chiese un appoggio diretto27.
Mujeres Libres cercò anche il sostegno delle organizzazioni re­
gionali e nazionali del movimento libertario. Ad esempio nel 1937,
chiese al Comitato Nazionale della CNT che i sindacati permettes­
sero alle donne di disporre di tempo extra per prendere parte alle
sessioni di formazione tecnica delle officine e delle fabbriche. Ma
la CNT non rispose positivamente. Quindi, il governo approfittò di
questo vuoto per organizzare i propri programmi, e l ’AMA ed i sin­
dacati socialisti ne approfittarono a loro volta. Mujeres Libres
chiese in seguito che le donne identificate come potenziali militanti
dell’organizzazione potessero, alcune volte a settimana, e conser­
vando il salario integro, disporre di un’ora e mezza libera, per poter
assistere a corsi di “cultura generale e preparazione sociale”. So­
stenevano che questa modifica sarebbe stata negli interessi del mo­
vimento, così come anche in quelli delle donne, ed avrebbe contri­
buito ad arrestare gli effetti dei programmi governativi, guidati dai
comunisti28. Sempre in quel periodo, il segretario della UGT di Bar­
cellona spingeva i suoi sindacati ad essere più disposti verso le ope­
26. Si veda HEWITT, Nancy e Jacqueline HALL: presentazioni di “Disorderly
Women. Gender Politics and Theory”, Berkshire Conference, Wellesley College,
giugno 1987; e MARMO MULLANEY, Marie: Revolutionary Women. Gender
and thè Socialist Revolutionary Role, Praeger, New York, 1983, pp. 53-96.
27. Ad esempio, Lucía Sánchez Saomil, per il Comitato Nazionale di Mujeres
Libres, al Comitato Peninsulare della FAI, Valencia (6 ottobre 1937), IISG/FAI:
48.C.l.a.; e Comitato Regionale di Mujeres Libres al Comitato Regionale della
CNT (2 agosto 1938), IISG/CNT: 40.C.4.
28. Federazione Nazionale Mujeres Libres: “Algunas consideraciones del Co­
mité Nacional de Mujeres Libres al de la CNT”, soprattutto p. 3.

262
raie formate nell’istituto patrocinato dalla Generalitat2930.La preoc­
cupazione di Mujeres Libres che altre organizzazioni stessero ap­
profittando meglio dei programmi d’apprendimento tecnico sembra
avesse delle basi concrete.
Mujeres Libres chiese in molte occasioni aiuti economici sia a li­
vello regionale che nazionale. Degna di essere menzionata è la let­
tera del marzo 1937 diretta al Comitato Peninsulare della FAI in
cui Mujeres Libres si identificava come “Agrupación Mujeres Li­
bres, FAI” . La lettera spiegava dettagliatamente alcuni dei suoi
obiettivi e delle sue attività, sosteneva che era formata all’incirca da
cinquecento membri e che si trovava in una situazione finanziaria
disperata. Il Comitato Regionale della Catalogna rispose a questa ri­
chiesta di Mujeres Libres di 8.000 pesatas con un aiuto di sole cin-
quecento30. Tre mesi più tardi, Mercedes Comaposada, in nome
del Segretariato di Propaganda di Mujeres Libres, si rivolse nuo­
vamente al Comitato Peninsulare della FAI segnalando che le orga­
nizzazioni di patrocinio comunista (che stavano ricevendo impor­
tanti aiuti economici tanto dal partito quanto dal governo) stavano
“facendo dei progressi tra le donne della UGT ed anche tra quelle
della CNT” . In una dichiarazione che rivela l’opinione di Comapo­
sada su come Mujeres Libres venisse percepita all’interno del mo­
vimento libertario, concludeva: “In opposizione a questo nacque
Mujeres Libres, con l’obiettivo di offrire strumenti [capacitar] alle
donne e non, come hanno frainteso alcuni compagni, con dei pro­
positi separatisti né tanto meno con intenzioni di privilegi femmi­
nisti”31.
Mujeres Libres confrontò spesso la sua posizione alfinterno del
movimento libertario con quella della AMA nell’ambito comunista.
Una circolare segnalava che oltre ad offrire importanti aiuti finan­
ziari, un sindacato del trasporto della UGT aveva perfino regalato
una macchina alla Sezione di Propaganda dell’AMA. “Facendo un
confronto fra questo gesto e la nostra impotenza economica, ci ven­
nero le lacrime agli occhi dalla rabbia. Avremmo fatto così tante

29. UGT, Federazione Locale di Bareellona, Segretario dell’Organizzazione


della Federazione Locale UGT: “Al Sindicato...”, Barcellona (16 marzo 1938),
AHN/SGC-S, P.S. Barcellona: 628.
30. Lettera di Mujeres Libres ( 12 marzo 1937); risposta (20 marzo), IISG/FAI:
48.C.l.a.
31. Mercedes Comaposada, Barcellona (giugno 1937), IISG/FAI: 48.C.l.a.

263
cose con anche solo la metà di quello che avevano offerto a loro! E
con tutto quello che spendevano nei manifesti di propaganda!”32.
Emma Goldman durante una delle sue visite a Barcellona so­
stenne la loro causa. Siccome Mujeres Libres aveva rifiutato di con­
fluire nell’AMA, scrisse a Mariano Vázquez:

M ujeres Libres non riceve nessun tipo di aiuto, m entre le com uniste
non solo ricevono aiuti ma stanno riscuotendo denaro anche dall ’estero
dalle donne delle fa b b rich e ... M ujeres Libres si trova sem pre in secondo
p ia n o ....
D evi sapere che orm ai sono anni che lotto p er V em ancipazione della
donna ed è naturale che m i interessi al m ovim ento di M ujeres Libres, e
sono m olto sorpresa che la nostra organizzazione della CNT e della FAI e
perfino le JJLL abbiano fatto così poco p e r loro e dim ostrino così poco in­
teresse. Non credi, caro compagno, che è anche negli interessi della CNT
e della FAI aiutare M ujeres Libres facendo tutto il possibile ‘f i 3.

Vázquez rispose tenendosi sulla difensiva, dicendo che la CNT


era “tanto interessata a Mujeres Libres quanto lo sei tu”, e che il mo­
vimento libertario aveva offerto ogni tipo di aiuto possibile a Muje­
res Libres, anche se, dato che non aveva l’appoggio di un’organiz­
zazione internazionale forte, la sua capacità finanziaria era
abbastanza inferiore a quella dei comunisti. “Devo quindi rifiutare
totalmente l’affermazione che fai quando dici che la CNT non ha fatto
tutto quello che poteva per Mujeres Libres. ... E chiaro che la CNT
non ha potuto dare i milioni che invece altre organizzazioni e partiti
danno alle loro organizzazioni femministe. E non lo abbiamo fatto
perché noi quei soldi non li abbiamo”34. 1 mezzi della CNT erano in­
feriori a quelli del partito comunista; ma nonostante questo, come
vedremo, le considerazioni economiche non erano l’unico fattore ad
avere peso su queste decisioni. Sembra infatti che la questione
dell’autonomia di Mujeres Libres abbia avuto molta importanza.

32. Sezione di Propaganda, Comitato Regionale del Levante, Mujeres Libres,


al Comitato Peninsulare (31 gennaio 1938), e risposta del Comitato Peninsulare
( I o febbraio 1938), IISG/FAI: 48. C.l.c.; anche Lucía Sánchez Saomil al Comitato
Peninsulare, FAI (10 marzo 1938).
33. Goldman a Vázquez (7 ottobre 1938), IISG/CNT: 63.C.2.
34. Vázquez alla Goldman (11 ottobre 1938), IISG/CNT: 63.C.2.

264
Il segretariato femm inile della FIJL

Il problema dell’autonomia e dell’appartenenza di Mujeres Li-


bres al movimento libertario era evidente anche nelle relazioni di
Mujeres Libres con la FIJL. Quando la FIJL creò verso la fine del
1937 una Sezione Femminile, Mujeres Libres si trovò in diretta
competizione con questa organizzazione. Pepita Carpena, che per
molto tempo aveva fatto parte della FIJL e della CNT, e che in un
primo tempo non volle far parte di Mujeres Libres perché pensava
che non ci fosse bisogno di separare nella lotta gli uomini e le
donne, descrisse così la sua reazione:

M i nom inarono delegata delle Juventudes Libertarias nella F edera­


zione Locale e fu così che si sviluppò la m ia m ilitanza nelle J u ven tu d es....
Le Juventudes, p e r cercare d i fe rm a re il lavoro che fa ceva n o i comunisti,
non trovarono nessun altro m odo che fo rm a re un segretariato fem m inile.
Io non ero d ’accordo sulla divisione tra donne e uom ini e quando m e la
proposero rifiutai im m ediatamente. Pensavo che tutti i libertari, uom ini e
donne, dovessero lottare p e r Vem ancipazione totale dell ’individuo. Venni
nom inata contro la m ia volontà Segretaria Locale di B arcellona di detto
segretariato, ma com e potrete ben capire, lo rifiutai. A partire da quel
m om ento diventai una m ilitante di M ujeres L ibres35.

Il segretariato doveva cercare di controbilanciare gli sforzi


dell’Associazione dei Giovani Antifascisti, della Associació de la
Dona Jove e dell’Unione delle ragazze, tutte di matrice comunista,
sul terreno della propaganda e del lavoro politico tra i giovani e do­
veva offrire programmi di propaganda e formazione per le donne
giovani36.
Pepita pensava che la creazione di una sezione speciale per le
donne aH’interno della FIJL significasse l’abbandono del principio

35. Pepita Carpena, intervista, Barcellona, 3 maggio 1988. Per una versione un po’
diversa di questa narrazione, si veda CARPENA, Pepita: “Spain 1936 Free Women.
A Feminist, Proletarian and Anarchist Movement”, in: Women o f the Mediterranean
(ed. Monique GADANT, trad. A. M. Berrett), Zed Books, Londra, 1986, p. 51.
36. FIJL, Comitato Nazionale, Segretariato Femminile, Circolare n° 1, Valencia
(4 novembre 1937); FIJL, Segretariato Femminile, Circolare n° 1 (19 aprile 1938), en­
trambe in IISG/FAI: 48. C.I.d. Si veda anche “La juventud actual y la emancipación
juvenil femenina”, Ac rada (11 gennaio 1937)

265
anarchico per cui la lotta la si doveva fare tutti insieme. La consi­
derava inoltre come una negazione del lavoro che Mujeres Libres
stava già portando avanti. Perché creare un dipartimento speciale
per la donna nella f ijl - si domandava - se già esisteva un gruppo
libertario dedicato a educare e a preparare le donne di tutte le età?
Il punto di vista di Pepita era condiviso da altre persone, sia
all’interno che all’esterno di Mujeres Libres. Nei mesi che segui­
rono la decisione della sua creazione, il Segretariato Femminile ri­
lasciò tutta una serie di dichiarazioni a proposito di queste questioni
- spiegando i suoi obiettivi ed insistendo che non voleva negare
l’importanza di Mujeres Libres e trovarsi in competizione con lei -
. Ma nonostante tutto, dato che i suoi propositi erano definiti quasi
negli stessi termini di quelli di Mujeres Libres - la capacitación e
l’educazione delle giovani - e dato che le attività che si proponeva
di portare avanti - scuole, programmi di apprendimento, riviste,
gruppi di dibattito - erano quasi identiche, i suoi argomenti furono
difficili da sostenere.
Nella sua Circolare numero 3 del novembre del 1937 ad esem­
pio, la FIJL dichiarava che “non esiste una dualità di funzioni, n é ci
possono essere competizioni organiche tra “Mujeres Libres” e le
Juventudes Libertarias”. Mujeres Libres, affermava il documento,
era valida come organizzazione, ma era diretta alle necessità della
donna adulta. I Segretariati Femminili, invece, si dirigevano alle
donne più giovani, combattendo la loro marginalizzazione e assi­
curando che ci sarebbero state donne nell’organizzazione per so­
stituire gli uomini che erano costantemente chiamati al fronte. Il
linguaggio era quasi lo stesso di quello usato da Mujeres Libres, in
quanto l’unica differenza era che, secondo la FIJL, Mujeres Libres
era rivolta alle donne adulte ed il Segretariato Femminile alle donne
giovani37. Ma dato che le militanti di Mujeres Libres erano preva­
lentemente giovani (quando scoppiò la rivoluzione Pepita, Sole-
dad, Sara, Conchita e molte delle loro amiche avevano tra i quindici

37. FIJL, Comitato Nazionale, Segretariato Femminile, Circolare n° 3, Valen­


cia (25 novembre 1937), due pagine dattilografate, IISG/FAI: 48.C.l.d. Si veda
anche “Dictamen Que Presenta a Ponencia a la Consideración del Congreso, Sobre
el 4° Punto del Orden del Dia Apartado tercero” (del li Congresso Nazionale della
FIJL, febbraio 1938), una pagina dattilografata, AHN/SGC-S, P.S. Barcellona:
903; e Carmen Gómez, dalla Segretaria Femminile della FIJL, al Comitato Pe­
ninsulare della FAI (22 marzo 1938), IISG/FAI: 48.C.U.

266
ed i vent’anni), molti membri di Mujeres Libres pensavano che i
Segretariati Femminili avrebbero semplicemente fatto una replica
del loro lavoro ed avrebbero esaurito gli scarsi mezzi del movi­
mento.
Il Segretariato era a conoscenza di questo sentimento e sembra
che dedicò la stessa energia a discutere come dovessero essere le
sue relazioni con Mujeres Libres di quella che dedicò nel trattare
con l ’AJA e con altre organizzazioni di giovani di affiliazione co­
munista. Le relazioni con Mujeres Libres furono, nel migliore dei
casi, tese. I Segretariati si riferivano frequentemente a Mujeres Li­
bres come a un’organizzazione “giovane” o “immatura” che aveva
poco successo nell’organizzare le donne - anche se riconoscevano
comunque che la “debolezza” di Mujeres Libres poteva forse di­
pendere dalla sua precaria situazione economica -. Ed erano anche
coscienti dell’opposizione di Mujeres Libres all’esistenza dei Se­
gretariati: “La sua posizione nei confronti dei nostri Segretariati è di
opposizione. Credono di dover essere loro l’unica realtà per la
donna in campo libertario. E di dover essere loro a destinare le mi­
litanti che avanzano alle altre organizzazioni sorelle”38.
Sicuramente bisogna dire che Mujeres Libres non si riconosceva
nel ruolo di “destinare le militanti che avanzano” ad altre organiz­
zazioni. Si riconosceva invece nel preparare le donne a partecipare
a qualsiasi organizzazione del movimento libertario. Quello che ri­
velano questi passaggi ed altri documenti è un forte senso di riva­
lità39. Mujeres Libres pensava che la creazione del Segretariato
Femminile fosse di troppo. Questo invece, da parte sua, voleva che
Mujeres Libres si convertisse in un’organizzazione “dipendente”
dal movimento libertario: “La realtà è che tutti noi orienteremmo il
suo lavoro, avremmo la responsabilità del suo sviluppo e delle sue
attività; facilitazione di mezzi economici...”40.

38. “Del movimiento de Mujeres Libres”, AHN/ASC-S, P.S. Barcellona: 903.


39. Carmen Gómez, del Comitato Peninsulare, Segreteria Femminile, FIJL, al
Comitato regionale, Barcellona (23 luglio 1938), AHN/SGC-B, P.S. Barcellona:
903. Si veda anche “Conversación con la compañera Suceso Portales sic, Segre­
taria del Sottocomitato Nazionale di Mujeres Libres il giorno 16 dicembre 1938”,
due pagine dattilografate, IISG/FAI: 48.C.l.d.
40. “Formas y actividades a Desarrollar por la Secretaría Femenina, Poniendo
en Práctica Diversos Procedimientos a Nuestro Alcance”, tre pagine dattilografate,
p. 2, AHN/SGC-S, P.S. Barcellona: 903.

267
Nell’ottobre del 1938, il Segretariato Femminile preparò un do­
cumento sulle sue attività per presentarlo al Plenum Nazionale della
FIJL. In questa riunione ripetè le proprie dichiarazioni precedenti
secondo cui Mujeres Libres si stava comportando indebitamente,
cercando di incorporare nei propri programmi tanto le donne gio­
vani quanto quelle adulte, e propose al Plenum di portare di fronte
al prossimo congresso del movimento libertario una risoluzione se­
condo cui Mujeres Libres avrebbe dovuto essere un’organizzazione
dedicata solamente alle donne adulte. Inoltre il documento rilevava
che il Comitato peninsulare aveva avuto considerevoli difficoltà
per cercare di convincere qualche suo comitato regionale della ne­
cessità di un Segretariato Femminile. Sembra che sia la Federa­
zione Locale di Barcellona sia il Comitato Regionale della Catalo­
gna avessero rifiutato la proposta di creare un segretariato di questo
tipo sostenendo che “i lavori che segnalavamo li stava portando
avanti Mujeres Libres, e capivano che non era il caso di mettersi in
rivalità con loro”41.
Ma nonostante tutto questo è facile intuire che l’importanza del
documento sta nel rivelare la frustrazione del Segretariato per la
sua posizione aH’interno della FIJL. Nonostante all’inizio avesse
dichiarato che Mujeres Libres era stata, in generale, inefficace nel
momento di raggiungere i propri obiettivi (e che i Segretariati Fem­
minili potevano occuparsi più efficacemente di questo lavoro), il
documento mostra chiaramente un sentimento di frustrazione per
quel poco che i segretariati erano riusciti ad ottenere nei mesi tra­
scorsi. Si riferiva ad una serie di problemi, fra cui quello secondo
cui la posizione del Segretariato all’interno della FIJL limitava gra­
vemente la sua libertà di azione. Era ora, ripeteva, che si produ­
cesse un nuovo tipo di impegno o un nuovo orientamento: “O rico­
nosciamo “le caratteristiche speciali della donna” e creiamo
pertanto un organismo con una sufficiente indipendenza d’azione;
o, al contrario, neghiamo 1’esistenza delle caratteristiche speciali e

41. FIJL, Comitato Peninsulare, Segreteria Femminile: “Informe que presenta


la Secretaría Femenina del Comité Peninsular sobre el sexto punto del orden del
día del próximo pleno nacional de regionales de la FIJL que ha de celebrarse en
Barcelona”, Barcellona (Io ottobre 1938); si veda anche “Exposición del problema
de las relaciones de las secretarías femeninas de la FUL con Mujeres Libres, que
presenta a estudio de las regionales la Secretaría Femenina Peninsular”, Barcellona
(2-9 settembre 1938), AHN/SGC-S, P.S. Barcellona: 140.

268
non ci occupiamo più di questo problema, sciogliendo allora i Se­
gretariati Femminili”42.
Così, nonostante la rivalità organizzativa con Mujeres Libres,
sembra che le donne che partecipavano ai Segretariati Femminili
avessero avuto esperienze che confermavano l’insistenza di Muje­
res Libres nell’importanza dell’autonomia. I Segretariati Femmi­
nili assunsero degli obiettivi molto simili a quelli di Mujeres Li­
bres ma cercarono di raggiungerli dall’interno della FUL. Le
lamentele del Segretariato sul trattamento a cui era sottoposto da
parte di altri organi del suo stesso movimento, la mancanza di ap­
poggio e la necessità di una maggiore indipendenza sembrano giu­
stificare la posizione di Mujeres Libres di fronte al movimento in
generale. Ma nonostante questo, i Segretariati Femminili non of­
frirono mai un appoggio pubblico alle richieste di Mujeres Libres.

Il Plenum del movimento libertario, ottobre 1938

Dopo molti mesi di avvicinamento informale alle organizzazioni


concrete e ai leader del movimento in cerca di appoggio morale e fi­
nanziario, Mujeres Libres chiese formalmente il riconoscimento
organico durante la riunione congiunta della CNT-f a i - f ijl che si ce­
lebrò nell’ottobre del 1938, il Plenum Nazionale dei Regionali del
Movimento Libertario. Questo Plenum, che ebbe luogo a Barcel­
lona e durò due settimane, fu la prima conferenza nazionale che
riunì i rappresentanti dei tre rami del movimento.
Mujeres Libres non aveva ricevuto un invito formale a prendervi
parte. Nel passato, e con una certa frequenza, i membri di Mujeres
Libres avevano partecipato alle riunioni delle organizzazioni del
movimento come membri di quelle stesse organizzazioni, ma, con
alcune minime eccezioni senza molta importanza, non vi avevano
mai preso parte come rappresentanti di Mujeres Libres. Questa
volta però Mujeres Libres voleva assistervi come organizzazione.
Si riunì un gruppo di quindici donne che si presentarono al Plenum
domandando di venire accreditate come delegazione di Mujeres Li-

42. “Informe que presenta”, p. 6. Si veda anche “Dictamen Que Presenta la


Ponencia a la Consideración y Aprobación del Congreso“ e “Formas y Activida­
des a Desarrollar”.

269
bres e che la loro organizzazione venisse formalmente riconosciuta
come quarto ramo costituente del movimento libertario.
Pura Pérez Arcos andò da Valencia a Barcellona come delegata
di Mujeres Libres:

Partim m o dal porto di A licante il pom eriggio d el 7 ottobre su una p ic ­


cola barca inglese. N el gruppo c ’era gente di M adrid, di Valencia e di d i­
versi p osti d e ll’Andalusia. La nostra piccola delegazione di M ujeres L i­
bres era anim ata dalle grandi speranze e aspettative che avevam o riposto
nel Plenum. ... Viaggiare in quei giorni era m olto pericoloso, lo sa p e­
vam o bene tutti. I p orti erano sottoposti ogni notte ai bom bardam enti ed
eravam o viaggiatrici clandestine su di una barca britannica che doveva
navigare m olto vicina alle barche da guerra franchiste. Era previsto che
arrivassim o la m attina successiva ma m an m ano che ci avvicinavam o al
porto, sentivam o com e i fra n ch isti lo stessero bom bardando. Il capitano
si diresse allora verso nord e fa cem m o un giro alternativo che durò p e r
tutto quel giorno e p e r tutta la notte, arrivando a Barcellona, stanche ed
affamate, la m attina del giorno 9.
Eravam o entusiaste e disposte a lottare nel Plenum p er M ujeres Libres.
M a non ci perm isero nem m eno di entrare nel locale della riunione/43.

Il comitato di accreditamento dei delegati, che era composto dai


segretari delle tre organizzazioni, portò al Plenum la questione della
partecipazione di Mujeres Libres, per decidere in merito. Casual­
mente, oltre alla delegazione di Mujeres Libres, c’era anche un’altra
persona che chiedeva il permesso di partecipare alle riunioni, si
trattava di Emma Goldman, rappresentante ufficiale della CNT a
Londra. L’assemblea decise velocemente dato il suo “carattere spe­
ciale” di permettere a lei di assistere come osservatrice. Ma la que­
stione della delegazione di Mujeres Libres non si risolse tanto fa­
cilmente. Dopo una lunga discussione, l’assemblea decise che
“Mujeres Libres assista solo nel momento in cui si parla diretta-
mente di lei”. Quindi, mentre alcune delegate di Mujeres Libres
poterono assistere a tutte le riunioni come delegate di altre orga­
nizzazioni, la delegazione di detta organizzazione potè essere pre­

43 Pura Pérez Arcos, intervista, Windsor, 16 dicembre 1984, e New York, 10


settembre 1989; PÉREZ ARCOS, Pura; “Evocación de un viaje”, manoscritto ine­
dito, 1985.

270
sente solamente alla diciottesima ed alla diciannovesima sessione
del Plenum (25 e 26 ottobre 1938), partecipando alla discussione
del quinto punto dell’ordine del giorno: “Maniera per incrementare
gli organismi ausiliari del Movimento Libertario”44.
Mujeres Libres aveva cercato nei mesi precedenti di preparare il
terreno per assistere al Plenum e farvi la sua proposta. In gennaio cir­
colò un documento titolato “Alcune considerazioni del Comitato Na­
zionale di Mujeres Libres a quello della CNT sull’importanza politica
di codesta organizzazione”. Nel settembre aveva inviato un docu­
mento di nove pagine al comitato nazionale e a quello peninsulare
dove faceva un riassunto della sua storia e dei suoi traguardi, sottoli­
neando il suo lavoro di aggregazione rispetto a quello dell’AMA.
Nella sua presentazione di fronte al Plenum, Mujeres Libres di­
scusse gli svantaggi concreti a cui dovevano far fronte le donne
spagnole, la necessità di porre un contrappeso alle forze “politiche”
(cioè il partito comunista e l ’AMA) e l’importanza dell’esistenza di
un’organizzazione libertaria autonoma che fosse rivolta a queste
necessità. Le sue dichiarazioni sottolineavano sempre il carattere e
gli impegni anarchici di Mujeres Libres e la necessità della sua au­
tonomia all’interno del movimento.

L ’unica m aniera di essere utili ad entram bi gli aspetti d el nostro


movim ento, quello sindacale e quello specifico anarchico, era di m ante­
nere l ’autonom ia della nascente organizzazione. Questa autonom ia ci
avrebbe perm esso di m antenere il settore fem m inile nel puro terreno
della form azione [capacitación] ideologica e professionale, esercitan­
do, allo stesso tempo, la donna n e ll’apprendim ento della propria d eter­
m inazione, facendola abituare allo studio dei problem i p olitici affron­
tandoli e cercando soluzioni proprie, da un punto di vista fem m inile,
senza dim enticare l ’insiem e sociale.
Solo . . . l a sua indipendenza di questa fo rza fem m in ile crea la p o ssi­
bilità di essere utilizzata in senso ideologico o sindacale. ...
Ecco p erché “M ujeres L ib re s” ha preteso e continua a pretendere di
essere un m ovim ento politicam ente autonom o conservando la fa c o ltà di

44. “Actas del Pieno Nacional de Regionales del Movimiento Libertario, CNT-
FAI-FIJL (celebrado en Barcelona durante los dias 16 y sucesivos del mes de oc-
tubre de 1938)”, Barcellona, 1938, 226 pagine dattilografate, IISG/CNT: 92.A.3.;
si veda anche PEIRATS, José: La CNT nella Rivoluzione spagnola, 4 voli., Ed.
Antistato, Milano, 1970.

271
determ inare sé stesso, dato che il suo Statuto e la sua D ichiarazione di
Principi garantiscono la sua essenza libertaria45.

1 delegati, comunque, non capirono l’insistenza di Mujeres Li-


bres nell’appartenenza e nell’autonomia. E la situazione non orga­
nica in cui si trovò Mujeres Libres non rese più facile il compito di
spiegarlo. Ufficialmente, Mujeres Libres stava assistendo alla riu­
nione unicamente come “ausiliaria” del movimento.
Questa situazione fece sì che il compito di Mujeres Libres fosse
particolarmente difficile e offrì molte opportunità a chi si opponeva
a dare a Mujeres Libres lo status di organizzazione uguale ed auto­
noma. Mujeres Libres presentò argomenti forti e convincenti in ap­
poggio alle proprie affermazioni, ma vennero efficacemente neu­
tralizzati nel corso del dibattito. L’assemblea non arrivò a trattare
direttamente la richiesta di Mujeres Libres perché c’era chi soste­
neva che la questione sullo status di Mujeres Libres non facesse
parte dell’ordine del giorno e che, date le norme dell’organizza­
zione (secondo cui i delegati potevano votare solamente secondo
previe istruzioni dei corpi che li avevano eletti), l’assemblea non
avesse il potere di prendere una decisione. Alla fine l’assemblea
votò di rifiutare la proposta di Mujeres Libres, accordandosi invece
su di una proposta alternativa che era costituita da due parti: 1) dato
che i delegati non avevano istruzioni dalle loro organizzazioni, do­
veva redigersi una proposta che sarebbe stata diretta a tutti i comi­
tati regionali e nazionali affinché se ne discutesse a livello locale; e
2) dato che Mujeres Libres aveva bisogno sia di aiuti morali che
materiali, i sindacati dovevano spronare i loro membri femminili ad
affiliarsi a Mujeres Libres e impegnarsi loro stessi ad appoggiare
economicamente Mujeres Libres, nei limiti del possibile. Nono­
stante Mujeres Libres lamentasse che questa proposta non avrebbe
risolto nulla, venne approvata all’unanimità46. Mujeres Libres rias­
sunse quindi in due pagine i suoi argomenti, e vi incluse una ri­
chiesta formale dove chiedeva di venire accettata come quarto ramo
del movimento libertario e questo documento venne inviato ai co­
mitati regionali e nazionali poco dopo la conclusione del Plenum47.

45. “Anexo al informe”.


46. “Actas del Pieno Nacional de Regionales”, pp. 162-63.
47. “Dictamen que la Federación Nacional Mujeres Libres elabora a petición

272
Ma forse a causa del rapido precipitare della situazione bellica, non
si celebrò più nessun tipo di Plenum e questa mozione non arrivò
mai ad essere approvata. Mary Nash, riferendosi al Plenum, consi­
dera che “questa richiesta formale venne rifiutata, sostenendo che
un’organizzazione specificatamente femminile sarebbe un ele­
mento di disunione e di disuguaglianza all’interno del movimento
libertario”48. Tuttavia, a parte le manovre durante l’assemblea, la ri­
chiesta di Mujeres Libres non venne mai formalmente rifiutata.
Un’analisi del dibattito che si sviluppò durante il Plenum e dei
documenti che Mujeres Libres mise in circolazione prima e dopo
questo, rivela la posizione di Mujeres Libres all’interno del movi­
mento, tanto organizzativamente quanto ideologicamente. Orga­
nizzativamente, Mujeres Libres considerava la sua situazione ana­
loga a quella dell’AMA in altri movimenti politici e a quella della
FIJL all’interno del movimento libertario. Mujeres Libres mise in
evidenza l’appoggio che la FIJL riceveva dalla CNT e dalla FAI, no­
nostante fosse un’organizzazione dedicata esclusivamente ai gio­
vani, e sostenne la tesi secondo cui a Mujeres Libres dovevano es­
sere destinati un appoggio ed un riconoscimento simili per il suo
lavoro di mobilitazione delle donne. Ideologicamente, Mujeres Li­
bres riteneva che i libertari dovessero riconoscere che le specifiche
necessità delle donne avevano bisogno di un’attenzione ideologica
e organizzativa specifica.
L’analogia con le Juventudes non favoriva Mujeres Libres, in
parte perché lo status della FIJL era altrettanto ambiguo. In un mo­
mento del dibattito, ad esempio, alcuni delegati sostennero che,
dato che la FIJL era solo un’organizzazione ausiliare, Mujeres Li­
bres doveva appartenere alla stessa categoria. I rappresentanti della
FIJL si opposero a questa caratterizzazione, dicendo che la FIJL era
invece stata invitata al congresso. Successivamente, comunque,
altri dissero che anche se la FIJL era presente come risultato di un
fatto compiuto, non c’era ragione per “ripetere lo stesso errore” con
Mujeres Libres49.

del Pleno de Conjunto Libertario, para su discusión por la base de las tres organi­
zaciones, FAI, CNT, FIJL”, due pagine senza data, IISG/CNT: 40.C.4.
48. NASH: “Mujeres Libres” Donne libere. Spagna 1936-1939.
49. “Actas del Pleno Nacional de Regionales”, p. 158; anche GARCÍA OLI-
VER, Juan: El eco de los pasos, p. 128.

273
Alla fine, la FIJL e Mujeres Libres vennero trattate in modi molto
diversi. La FIJL era stata invitata come organizzazione, il suo segre­
tario formava parte del comitato di credenziali ed i suoi delegati par­
teciparono con diritto di parola e di voto a tutti i dibattiti del Ple­
num. Inoltre il Plenum approvò la proposta di dare con regolarità
alla FIJL un importante appoggio finanziario. Ma anche mentre si
stava discutendo questa proposta i rappresentanti della FIJL si irrita­
rono per quello che consideravano un riconoscimento insufficiente
della loro autonomia e dei loro traguardi come organizzazione. No­
nostante tutto, la FIJL riuscì a riaffermare la propria definizione della
sua missione e dei suoi obiettivi e ricevette un appoggio generale, sia
economico che morale, per le sue attività e per il suo status come or­
ganizzazione costituente del Movimento Libertario50.
Non successe lo stesso con Mujeres Libres. Una dopo l’altra, le
delegazioni dissero che anche se erano disposte a proporzionare un
appoggio morale e materiale a Mujeres Libres, non erano però di­
sposte a concederle uno status come quarto ramo del movimento.
Vennero esposti una serie di argomentazioni: 1) che l’anarchismo
(ed il sindacalismo) non ammetteva una differenza di genere e,
quindi, che un’organizzazione rivolta solamente alle donne non po­
teva essere veramente libertaria; 2) che Mujeres Libres stava
creando confusione perché stava realizzando un lavoro che doveva
essere portato avanti dai sindacati; e 3) che Mujeres Libres non do­
veva esistere come organizzazione autonoma, ma come facente
parte dei sindacati e degli atenei.
Mujeres Libres cercò di rispondere a tutte queste obiezioni. Nel
suo discorso di presentazione al Plenum trattò la questione dell’au­
tonomia, mettendo in rilievo la singolare situazione delle donne
spagnole, la necessità di un’organizzazione che raffrontasse e il
palese insuccesso della CNT, della FAI e della FIJL nel risolvere que­
sta necessità. Le oratrici di Mujeres Libres espressero la loro rabbia
di fronte alla costante richiesta di giustificazione e di prova del loro
valore e del loro impegno. Sostennero che l’organizzazione lavo­

50. “Actas”, pp. 210-13; “Dictamen que emite la ponencia nombrada para el
estudio del cuarto punto del orden del día: “Forma de ayudar a las JJLL.”’\ due pa­
gine dattilografate, Barcellona (27 ottobre 1938); e CNT-AIT, Comitato Nazio­
nale: “Circular N° 35: A los Comités Locales y Comarcales”, tre pagine dattilo­
grafate, Barcellona (11 novembre 1938), entrambe in IISG/CNT; 92.A.3.

274
rava tanto all’interno quanto all’esterno del sindacato e che il lavoro
di capacitación e di coinvolgimento delle donne richiedeva un av­
vicinamento più grande e soprattutto poliedrico, e che nessuna or­
ganizzazione esistente era preparata per farlo. Inoltre, Mujeres Li­
bres rappresentava le donne ed i loro interessi sul luogo di lavoro:
ad esempio, lottando per la parità di salario a parità di lavoro, obiet­
tivo che i sindacati non avevano difeso con sufficiente vigore. Le
oratrici ripeterono che Mujeres Libres non era un’organizzazione
separatista e che si era opposta alla creazione di sindacati di donne
perché le donne dovevano unirsi agli uomini nelle organizzazioni
sindacali esistenti. Infine, affermavano che l’anarchismo ed il sin­
dacalismo non erano un terreno esclusivo degli uomini, e che come
compagne avevano il diritto e la responsabilità di propagare le idee
e la pratica libertaria: “Non può essere usato contro la nostra auto­
determinazione il fatto che l’Anarchismo non ammette differenze di
sesso, perché allora bisognerebbe affermare che, fino ad ora, le no­
stre Organizzazioni Libertarie non sono state tali, perché in queste,
non importa se per necessità o per volontà, c’è stato posto sola­
mente per gli uomini”51.
Il mio parere, che è poi stato confermato dalle interviste alle par­
tecipanti, è che qui la chiave fosse la questione dell’autonomia. Il
fatto che si trattasse di un’organizzazione di donne non bastava per
negarne il riconoscimento. Dopo tutto, la f ij l era un’organizza­
zione di sola gente giovane. I Segretariati Femminili vennero creati
con un campo d’azione ancora più ristretto: le donne giovani. Muje­
res Libres si differenziava effettivamente dalla f ij l per questa insi­
stenza nell’autonomia. Rivendicava il diritto di definire le proprie
priorità, avrebbe organizzato i propri programmi non solo per coin­
volgere più donne, ma anche per educarle e offrire loro occasioni di
empowerment. E questa richiesta di definire i propri fini e le proprie
priorità sembra essere quello che le altre organizzazioni del movi­
mento non potevano accettare.
Nonostante la frustrazione per la decisione (o, per dirlo più ap­
propriatamente, la non decisione) del Plenum rispetto al suo status
come organizzazione, Mujeres Libres prese in parola i delegati sulla
questione dell’appoggio morale ed economico. Nelle settimane se­
guenti, Mujeres Libres scrisse ai comitati regionali e nazionali della

51. “Dictamen que la Federación Nacional Mujeres Libres elabora”, p. 1.

275
CNT e della f a i ricordando loro le risoluzioni approvate durante il
Plenum e chiedendo aiuti finanziari, sollecitudine che, a quanto
pare, ebbe un qualche successo"’2.
Però è anche chiaro che ancora dopo il Plenum, Mujeres Libres
dovette subire una mancanza di appoggio sia morale che finanzia­
rio. Nel dicembre del 1938, ad esempio, il Ministero delle Finanze
cercò di sgomberare Mujeres Libres dall’edificio del Paseo Pi y
Margall di Barcellona, che ospitava il Casal de la Dona Treballa-
dora, e di consegnare l’edificio alla Banca di Spagna. Dopo nume­
rosi tentativi di far revocare la decisione, Mujeres Libres accettò
di trasferirsi a condizione che il Ministero però trovasse loro un
altro edificio appropriato. Ma il Ministero non rispose, inviando la
polizia ad effettuare lo sfratto. Mujeres Libres chiese aiuto alla FAI,
alla CNT ed alla FIJL di Barcellona. La FAI rispose all’appello orga­
nizzando riunioni speciali tra le rappresentanti di Mujeres Libres e
quelli della Banca di Spagna e chiamando Federica Montseny af­
finché intervenisse presso il Ministero delle Finanze, cosa che av­
venne. I rappresentanti della FAI appoggiarono la decisione di
Mujeres Libres di rimanere nell’edificio e di opporre resistenza pas­
siva allo sfratto fino a quando si fosse trovato un edificio appro­
priato in sostituzione di quello che avevano usato fino ad allora5253.
Ma Mujeres Libres ricevette poco appoggio dalla CNT e trovò il
modo di esprimere il proprio disgusto per questo comportamento,
definendolo “abbastanza timido e poco incline ad appoggiare una
posizione ferma a nostro favore”. “È un peccato - diceva Lucia
Sànchez Saornil in una lettera al Comitato Nazionale della CNT -
che i compagni abbiano sempre avuto così poco tempo per cono­
scere il meritevole lavoro di Mujeres Libres e la conseguenza di

52. Federazione Nazionale, Mujeres Libres, al Comitato Peninsulare, FAI (12


novembre 1938) e risposta, IISG/FAI: 48.C.l.a.; Comitato Regionale della Cata­
logna, Mujeres Libres al Comitato Regionale, CNT, (3 novembre 1938) e risposta
(7 novembre 1938), IISG/CNT: 40.C.4.: e Comitato peninsulare, FAI: “Circular
N° 51 : A los Comités Regionales de la FAI”, tre pagine dattilografate, Barcellona
(25 novembre 1938), IISG/FAI: 29.E.1.
53. Germinai de Sousa, per il Comitato peninsulare, FAI, al Comitato Nazio­
nale, Mujeres Libres (20 dicembre 1938), IISG/FAI: 48.C.l.a.; e Mujeres Libres:
“Informe sobre los incidentes surgidos con motivo de la imposición del Ministe­
rio de Hacienda para que cediéramos el edificio del “Casal de la Dona Treballa-
dora” al Banco de España”, Barcellona (20 dicembre 1938), AHN/SGC-S, P.S.
Barcellona: 1049.

276
questo è il poco interesse che suscita la nostra richiesta di aiuto”54.
Mujeres Libres era ancora molto lontana dall’essere pienamente
accettata dalle altre organizzazioni libertarie.
Ma nonostante tutto c’erano stati dei notevoli progressi. Con-
chita Guillén ricordò un particolare commuovente che può gettare
un po’ di luce sulle relazioni tra Mujeres Libres e le altre organiz­
zazioni negli ultimi giorni di guerra.

Lo stesso giorno in cui evacuam m o B arcellona il 24 gennaio 1939,


m entre ¡fascisti erano orm ai alle porte, fu m m o chiam ate a d una riunione
del m ovim ento Libertario: FAI, CNT, JJLL e M ujeres Libres. Insiem e a Ja-
cinta Escudero, segretaria della F ederazione Locale di Barcellona, a ssi­
stem m o alla riunione. Era una riunione m olto im portante p erché ci tro­
vavam o in un m om ento cruciale, p o ich é orm ai potevam o solam ente
resistere o abbandonare tutto. N oi ci m ettem m o a disposizione del m o vi­
mento. Il m ovim ento ci disse che era m olto riconoscente m a che sarebbe
stato un sacrificio inutile dato che non avevano alcuna fo rza e che d o ve­
vamo scappare tutti il più presto possibile55

La prima volta che Mujeres Libres venne convocata, come or­


ganizzazione, ad una riunione del Movimento Libertario sarebbe
stata, quindi, anche l’ultima. Eppure Conchita ricordava chiara­
mente l’avvenimento per il quale avevano tanto combattuto: per
una volta era stato concesso loro lo status di pieni membri del mo­
vimento.

54. Lucía Sánchez Saornil al Comitato peninsulare della FAI (21 dicembre
1938) ed al Comitato nazionale della CNT, Barcellona (20 dicembre 1938), tre pa­
gine dattiloscritte, IISG/FAI: 48.C.l.a.
55. Conchita Guillén, intervista, Montady, 29 aprile 1988.

277
CONCLUSIONE
La comunità e Vem p o w erm en t delle donne

Si parlerà ancora p e r m olto tem po delle esperienze che abbiam o vis­


suto. M a la cosa p iù importante, nonostante tutto, non è stato aver fatto
questa rivoluzione, m a aver continuato a fa rla in altri posti, ognuno e
ognuna nel proprio particolare posto, o in m olti posti allo stesso tempo,
che è p o i quello che ho fa tto io, senza troppo clam ore *.
Ana Delso

Poiché i loro particolari bisogni erano stati ignorati dalla società


e dai loro stessi compagni libertari, le donne di Mujeres Libres si
impegnarono specificamente a creare una società che riconoscesse
e desse valore alla diversità. L'empowerment sarebbe giunto lot­
tando per il sogno anarchico di coordinamento senza gerarchia, di
diversità senza disuguaglianza e di individualità all’interno della
collettività.
Per quanto breve sia stata la rivoluzione in cui Mujeres Libres
ebbe un ruolo così importante, l’esperienza di averne fatto parte
ebbe un impatto forte e durevole nella vita delle militanti dell’or­
ganizzazione. Donne che nei giorni della rivoluzione avevano quin­
dici, vent’anni e poco più, dichiararono decenni dopo che
quell’esperienza aveva cambiato le loro vite in modo radicale.
L’energia, l’entusiasmo ed il sentimento di empowerment perso­
nale e collettivo che avevano sperimentato si trasformarono in stan­
dard di quello che la vita poteva essere e di quello che le persone

1. Lettera di Ana Delso all’autrice, pubblicata in DELSO: T rescientos h o m ­


bres y yo.

279
potevano ottenere se avessero lottato tutte insieme con impegno e
speranza. L’aspetto più gratificante di questo lavoro è stato il con­
tatto con le persone, con le donne e gli uomini che hanno conser­
vato questo sogno lungo gli anni dell’esilio e/o gli anni di oppres­
sione. Sicuramente una delle ragioni per cui riuscirono a fare tutto
questo è stato perché per loro la rivoluzione non fu semplicemente
un sogno o una speranza, ma rappresentò realmente un cambia­
mento nelle loro vite quotidiane2.
Desidero ora analizzare il significato delle attività di Mujeres Li-
bres rispetto ad alcune delle tematiche centrali con cui si confron­
tano oggi le femministe e gli attivisti sociali - la questione dell’m -
powerment, l’incorporamento della diversità ed il significato e la
natura della partecipazione politica e sociale -. Le donne di Muje­
res Libres affrontarono la diversità fra gli uomini e le donne all’in­
terno del movimento operaio. Le femministe ed i sostenitori della
democrazia partecipativa contemporanei si stanno sforzando di
creare una società in grado di affrontare le differenze di classe, di
appartenenza etnica, di orientamento sessuale, di età e di capacità
fisica, così come anche di genere. L’esperienza di Mujeres Libres
ha ancora molte cose da insegnarci su\Y empowerment e sulla presa
di coscienza, sulla relazione tra gli individui e le comunità e sul si­
gnificato della differenza.

“I codardi non fanno la storia”:


un lascito di e m p o w e rm e n t
Vivi in un paese dove le donne sono state relegate a una vita oscura, in­
significante, considerate poco più che oggetti, dedite esclusivam ente al la­
voro casalingo, alla cura della fam iglia? Sicuram ente hai pensato q ual­
che volta con disgusto a tutto questo, e quando hai visto la libertà che
avevano i tuoi fratelli, gli uom ini di casa tua, hai provato un p o ’ di pena
p e r essere donna. [...]
D unque contro tutto quello che ti ha fa tto soffrire, contro tutto questo
si scaglia M ujeres Libres. Vogliamo che tu abbia la stessa libertà dei tuoi

2. ACKELSBERG, Martha A.: “Revolution and Community. Politicization,


Depoliticization, and Perceptions of Change in Civil War Spain”, in: Women Li-
ving Change (eds. Susan C. BOURQUE e Donna R. DIVINE), Tempie University
Press, Filadelfia, 1985, pp. 85-115.

280
fra telli [ ...] che la tua voce venga ascoltata con lo stesso rispetto con cui
viene ascoltata quella di tuo padre. Vogliam o che tu abbia quella vita in­
dipendente che un giorno hai desiderato. [...]
Ora, tieni in considerazione che ogni cosa ha bisogno di un grande
sforzo; che le cose non si ottengono d a ll’oggi al domani, e p e r arrivare
a raggiungerle, hai bisogno d e ll’aiuto di altre com pagne. H ai bisogno
che le altre si interessino delle stesse cose a cui ti interessi tu, hai biso­
gno di appoggiarti a loro, e che loro si appoggino su di te. In p o che
parole, hai bisogno di lavorare in com unità3.

Tanto le femministe quanto i comunalisti hanno riconosciuto che


è difficile che gli individui isolati si sentano forti e potenti. Come
scriveva Marge Piercy: “Ci rendiamo forti / le une con le altre. Fino
a quando saremo forti tutte insieme, / una donna forte è una donna
fortemente impaurita”4. Sviluppando un sentimento di unione con
gli altri è normale che gli individui subordinati superino il senti­
mento di impotenza che può inibire il cambiamento sociale.
Profondamente ancorata com’era alla tradizione anarchica di
orientamento comunalista, Mujeres Libres sostenne che il processo
di empowerment individuale fosse fondamentalmente un processo
collettivo. Come le femministe contemporanee, Mujeres Libres ri­
conosceva che le persone non esistono come singoli individui isolati
socialmente. Vivono in famiglie e comunità ed il sentimento di sé
deriva dalle relazioni che mantengono con gli altri membri di queste
comunità. Le comunità veramente egualitarie rispettano la diversità
e l’individualità dei propri membri, e solamente quando lavoriamo
e viviamo in comunità di questo tipo possiamo arrivare ad essere
pienamente coscienti del nostro potere e delle nostre capacità.
Mujeres Libres venne fondata perché solo un numero molto
basso di donne aveva avuto un’esperienza di empowerment all’in­
terno delle esistenti organizzazioni dei movimenti anarchici ed
anarco-sindacalisti spagnoli. Il suo proposito era di trasformarsi in
una “comunità di empowermenf per le donne operaie e, allo stesso
tempo, in un ambito organizzativo per Vempowerment delle donne
all’interno del movimento libertario.
3. Comitato nazionale, Mujeres Libres: “Còrno organizar una agrupación Muje­
res Libres”, Mujeres Libres, Barcellona, [1938].
4. PIERCY, Marge: “For Strong Women”, in: The Moon is Always Female,
Knopf, New York, 1980, p. 57.

281
L’organizzazione contribuì chiaramente alYempowerment di
molte delle sue militanti, sia quelle che in precedenza avevano avuto
pochi contatti con il movimento anarchico ed anarco-sindacalista,
che quelle che invece vi avevano militato. Tutte avevano comun­
que provato la paura - e l’orgoglio - di fare “da sé” che voleva dire
essere militante di un gruppo di donne che dipendeva solamente da
sé stesso. Il sentimento di comunità che svilupparono e condivisero
con le altre compagne in tutti quegli anni le trasformò profonda­
mente. Avendo vissuto quell’epoca e avendo disegnato ed organiz­
zato nuovi scenari di vita sociale, arrivarono a conoscere una gamma
più ampia delle proprie capacità. La comunità delle altre donne con
cui condividevano queste attività divenne una fonte primaria di con­
ferma della loro nuova coscienza di sé. La continua relazione con gli
altri libertari spagnoli e con le donne di Mujeres Libres, dopo la
guerra, aiutò a mantenere vivo non solo il ricordo delle attività in co­
mune, ma anche la realtà delle loro trasformazioni sociali.
Il grande impatto di queste esperienze cambiava molto da una
persona all’altra e a seconda dei contesti sociali e politici in cui si
trovavano o che crearono per loro stesse5. L’empowerment che
ognuna di queste donne sperimentò sulla propria pelle è collegato
non solo a quello che personalmente aveva ottenuto, ma, più signi­
ficativamente, alla comunità dei militanti, uomini e donne, con cui
viveva e lavorava - sia negli anni della rivoluzione che in quelli
che seguirono di esilio e di repressione -. Questa scoperta non do­
vrebbe stupirci. Le teoriche femministe contemporanee hanno dato
crescente rilevanza all’importanza delle relazioni tra donne. Alcune
hanno sostenuto che le reti di donne costituiscono per le donne
stesse un importante appoggio all’interno delle famiglie, nel luogo
di lavoro e nelle comunità, e permettono loro di partecipare a quello
che comunemente è noto con il nome di “azione politica”6. Altre si
sono concentrate soprattutto su come la posizione che le donne oc­
cupano all’interno delle reti di amici, della famiglia e dei colleghi e
le loro particolari relazioni con le istituzioni sociali definiscano la

5. ACKELSBERG, Martha A.: “Mujeres Libres. The Preservation of Memory


under thè politics of Repression in Spain”, in: International Yearbook ofO ral Hi-
story and life Stories, Voi I (Memory and Totalitarism) (soprattutto ed. Luisa PAS­
SERINI), Oxford University press, Oxford, 1992, pp. 125-43.
6 Si vedano, ad esempio, i saggi di Women and Politics o f Empowerment (eds.
Ann BOOKMAN e Sandra MORGEN).

282
visione che le donne hanno di se stesse nel mondo, fino a consen­
tirgli di sviluppare orientamenti psicologici, modelli di ragiona­
mento morale e criteri per l’azione che differiscono significativa­
mente dalle norme (di orientamento maschile) stabilite7.
L’attenzione prestata al contesto, caratteristica che definisce
quello che potremmo chiamare una “concezione femminista del
mondo”8, era un elemento importante anche nell’anarchismo spa­
gnolo. Molti programmi di Mujeres Libres avevano una forte com­
ponente di “sviluppo della consapevolezza”, che permetteva alle
partecipanti di situare le loro esperienze in un contesto sociale e di
costruire la solidarietà con gli altri avendo come base prospettive
condivise. Come nei primi gruppi di presa di coscienza del primo
movimento femminista contemporaneo degli Stati Uniti, le realiz­
zazioni che una donna sperimentava le davano forza perché erano
avvalorate dalle esperienze delle altre.
I gruppi di presa di coscienza non sono, chiaramente, gli unici
contesti in cui si produce un cambiamento di coscienza. Come non
mancava di ripetere Marx, la coscienza cambia nella lotta e grazie
alla lotta. Tradizionalmente, i marxisti sostengono che la coscienza
veramente rivoluzionaria - cioè, basata sulle classi - nasca dal con­
flitto nel luogo di lavoro, quando i lavoratori arrivano a capire che
fanno parte della lotta comune contro la borghesia. Gli anarchici
spagnoli criticarono la monocausalità economica di questa analisi

7. GILLIGAN, Carol: Con voce di donna, Feltrinelli, Milano, 1991; e RUD-


D1CK, Sara: Il pensiero materno, Red, Como, 1993; e Maternal Thinking.
Toward a Politics o f Peace, Beacon Press, Boston, 1989; FREEMAN, Sue J. M.:
“Women’s Moral Dilemmas. In Pursuit of Integrity”, in: Women Living Change
(eds. BOURQUE e DIVINE), pp. 217-54; BRINTON LYKES, M.: “Gender and
Individualistic vs. Collectivist Bases for Notions about the S elf’, Journal o f Per­
sonality, 53, n° 2 (giugno 1985), pp. 358-83.
8. ARDENER, Shirley: “Introduction”, in: Perceiving Women, Wiley, New
York, 1975; BOURQUE, Susan C. e Donna R. DIVINE: “Introduction. Women
and Social Change”, in: Women Living Change, pp. 1-21; DIAMOND, Irene e
Lee QUINBY: “American Feminism and the Language of Control”, in: Feminism
and Foucault. Reflections and Resistence (eds. Irene DIAMOND e Lee
QUINBY), Northeasteem University press, Boston, 1988, pp. 193-206; HASRT-
SOCK, Nancy: Money, Sex, and Power, Longman, New York, 1983, soprattutto
cap. 10; SETEL, Drorah T.: “Feminist Insights and the Question of Method”, in:
Feminist Perspective on Biblical Scholarship (ed. Adela YARBO COLLINS),
Scholars Press, Chico, California, 1985, pp. 35-42; DIETZ, Mary G.: “Context Is
All. Feminism and theories of Citizenship”, Dedalus (autunno 1987), pp. 1-24.

283
ma allo stesso tempo conservarono l’enfasi nella lotta e nell’attività
come generatori primari di coscienza radicale. Gli scioperi dell’An­
dalusia rurale e della Barcellona industriale (trattati nel Capitolo II)
dimostrarono che la coscienza dell’oppressione può derivare da una
varietà di esperienze in diversi ambiti e che le reti comunitarie pos­
sono essere tanto importanti nel cambiamento di coscienza quanto le
lotte di fabbrica. Anche gli atenei e le scuole razionaliste offrirono
contesti appropriati per far sperimentare alle persone nuovi sogni
culturali, nuove concezioni di sé e nuove relazioni con il mondo.
Gli anarchici spagnoli riconoscevano, e Mujeres Libres prese
ispirazione da questo riconoscimento, che la radicalizzazione nasce
dall’azione. Le persone sviluppano nuove concezioni di sé rom­
pendo i modelli tradizionali, assumendo altri ruoli e muovendosi in
aree che prima erano loro vietate. Quando chi attraversa i limiti di
quello che si considera un comportamento adeguato lo fa nella cor­
nice di un gruppo che lo appoggia, può acquisire capacità e forza ed
arrivare a domandarsi la convenienza di questi limiti. Le donne che
partecipavano agli scioperi generali e alla “guerra delle donne” di
Barcellona dei primi decenni del secolo, ad esempio, non hanno
necessariamente abbandonato i loro quartieri per protestare contro
l’alto costo dei generi alimentari perché stavano sfidando le con­
cezioni convenzionali del “luogo che occupa la donna”. Tuttavia, il
muoversi al di fuori dei loro quartieri, verso aree più pubbliche aprì
loro nuove prospettive e offrì la base per lo sviluppo di una co­
scienza critica. Le donne che durante la Guerra civile spagnola la­
vorarono nelle fabbriche non lo fecero perché stavano sfidando la
divisione sessuale del lavoro, ma perché avevano bisogno delle en­
trate per mantenere la famiglia mentre i loro mariti, i loro fratelli o
i loro padri erano in guerra e perché comunque questi lavori dove­
vano essere portati avanti. Ma il lavoro nelle fabbriche - e il trovarsi
a contatto con altre donne che si trovavano in circostanze simili -
ebbe effetti di radicalizzazione. Le donne che prendono parte alle
lotte comunitarie nei propri quartieri solitamente ripercorrono un si­
mile processo. Anche se è possibile che si uniscano alle proteste
per quello che credono essere un loro dovere in quanto donne,
ossia, quello di proteggere le proprie famiglie, partecipare
all’azione può però essere di per sé politicizzante.9

9. ACKELSBERG, Martha e Myrna BREITBART: “Terrains of Protest.

284
Lo sviluppo di una “coscienza critica” è un processo attivo che
presuppone tanto la “partecipazione alla lotta sociale quanto il pro­
getto di cambiamento. Il confronto collettivo con le strutture d’au­
torità e/o la creazione di una nuova realtà politico-sociale negli in­
terstizi delle relazioni di potere esistenti genera coscienze
trasformate e conferisce energie per l’azione continuata (la resi­
stenza)” 10. Vorrei sottolineare ancora l’importanza del confronto
collettivo. Sembra che la radicalizzazione abbia bisogno dell’esi­
stenza - o per lo meno aumenti grazie ad essa - di una comunità di
altre persone con le quali si possa condividere l’esperienza e che poi
permetta di avvalorare il nuovo sentimento di sé (anche se, sicura­
mente, non tutte le esperienze di comunità sono radicalizzanti in
un senso progressista)1[. È questa la comunità che Mujeres Libres
offrì ai suoi membri ed è questo sentimento di comunità tra le fem­
ministe contemporanee (ed anche quelle della “prima ondata”) ciò
che è stato cruciale per il cambiamento della coscienza femminista.
La presa di coscienza e Vempowerment attraverso le esperienze
condivise non sono l’unica similitudine tra il femminismo contem­
poraneo e Mujeres Libres. Il riconoscimento dell’importanza della
comunità implica anche ribadire che possiamo pensare a dei modi
per superare le relazioni di oppressione solamente tenendo in con­
siderazione le relazioni familiari, lavorative e di altro tipo in cui

Striking City Women”, Our Generation, 19, n° 1 (autunno/invemo 1988), soprat-


tutto pp. 165-75; LAWSON, Ronald, Stephen E. BARTON e Jenna WEISSMAN
JOSELIT: “From Kitchen to Storefront. Women in the Tenant Movement”, in:
New Space fo r Women (eds. Gerda R. WEKERLE, Rebecca PETERSON e David
MORLEY), Westwiew Press, Boulder, Colorado, 1980, pp. 255-71; HYMAN,
Paula: “Immigrant Women and Consumer Protest. The New York City Kosher
Meat Boycott of 1902”, American Jewish History, 70 (estate 1980), pp. 91-105;
LUTTRELL, Wendy: “The Edison School Struggle”, in: Women and the Politics
o f Empowerment (eds. BOOKMAN e MORGEN), pp. 136-156; e MORGEN, San­
dra: “It’s the Whole Power of the City against Us”, ibidem, pp. 97-115; CA-
STELLS, Manuel: The City and the Grassroots. A Cross-Cultural Theory’o f Urban
Social Movements, University of California Press, Berkeley, 1983.
10. ACKELSBERG e BREITBART: “Terrains of Protest”, p. 172.
11. Si veda, ad esempio, DWORKIN, Andrea: Right Wing Women, Coward,
McCann and Geoghegan, New York, 1982; MCCOURT, Kathleen: Working-
Class Women and Grassroots Politics, Indiana University Press, Bloomington,
1977; GINSBURG, Faye: Contested Lives. The Abortion Debate in a American
Community, University of California Press, Berkeley, 1989.

285
tutti siamo immersi. La teoria e la pratica femministe hanno co­
minciato a chiarire che il cemento sociale che mantiene unite molte
società non è una struttura formale d’autorità, ma sono dei modelli
di relazioni umane che affondano in bisogni comuni. Le comunità
- inclusi i movimenti politici - arrivano al successo non grazie a
linee gerarchiche di comando, ma a gruppi di persone che costrui­
scono le relazioni quotidiane che le sostentano12.1 gruppi di affinità
della FAI, gli atenei, i gruppi in cui era strutturata Mujeres Libres
erano, in misura maggiore o minore, collettivi egualitari in cui tutti
potevano sentirsi parte della comunità. Le relazioni interpersonali
su cui queste strutture erano basate, e che promuovevano, sosten­
tavano a loro volta il gruppo e i suoi membri. L’enfasi che la teoria
femminista dedica al l’importanza delle relazioni di mutuo soccorso
è sorprendentemente simile all’insistenza degli anarchici spagnoli
nel fatto che la società ideale è basata e regolata su relazioni di mu­
tualità e di reciprocità e non di gerarchia e di dominio.
Ma le donne di Mujeres Libres erano anche coscienti della natura
ambigua delle comunità. Concretamente, le comunità che ignorano
o negano le differenze possono perpetuare le relazioni di gerarchia e
di dominio nonostante un sottinteso impegno nell’uguaglianza. Le
critiche di Mujeres Libres alle organizzazioni anarchiche per il loro
fallimento al momento di affrontare adeguatamente la specificità
delle donne assomiglia alle critiche che le donne operaie e delle mi­
noranze etniche hanno mosso ai movimenti femministi statunitensi.
Le reti possono essere cruciali per la creazione ed il mantenimento
delle comunità, ma se le comunità devono davvero essere egualita­
rie e trasformatrici, queste reti devono allora includere i membri pre­
cedentemente dominati, così come anche quelli precedentemente do­
minatori, membri della minoranza e della maggioranza.
Infine, un altro aspetto dell’attenzione prestata da anarchici e
femministe alla comunità come ambito per Vempoxverment è l’in­

12. KAPLAN, Temma: “Class Consciousness and Community in Nineteenth-


Century Andalusia”, Political Power and Social Theory, 2 (1981), pp. 21-57;
anche STACK, Carol: All Our Kin. Strategies for Survival in a Black Community,
Harper and Row, New York, 1974; e REINHARZ, Shulamit: “Women as Com­
petent Community Builders. The Other Side of the Coin”, in: Social and Psycho­
logical Problems o f Women. Prevention and Crisis Intervention (eds. Annette U.
RICKEL, Meg GERRARD ed Ira ISCOE), Hemisphere, Washington, D.C., 1984,
p p .19-43.

286
terrelazione tra la comunità e l’individualità. Come ebbe occasione
di dire Martin Buber, una persona ha bisogno di “sentire che la sua
casa è come una stanza di una struttura globale più grande in cui si
sente a suo agio, sentire che gli altri abitanti di quella struttura con
cui vive e lavora stanno tutti riconoscendo e confermando la sua
esistenza individuale” 13. Per Buber, l’essenza della vera comunità
era il rafforzamento dell’io che si produce grazie all’appartenenza
attiva ad una comunità di eguali. Gli anarchici spagnoli erano fer­
mamente convinti che l’individualità e la comunità si rafforzassero
mutuamente. Mujeres Libres lavorò su quest’idea. L’esperienza
de\Y empowerment tanto personale quanto collettivo, basata su una
rete di appoggio e di impegno condivisi, era un aspetto cruciale
della trasformazione rivoluzionaria. L'empowerment di cui fecero
esperienza aveva bisogno, a sua volta, di una comunità che rispet­
tasse e avvalorasse le differenze fra i suoi membri.

Differenza, diversità e comunità


Anche se Mujeres Libres intendeva 1'empowerment come un
processo comunitario, ammetteva però che non tutte le comunità
aiutavano a raggiungerlo. Ad esempio, le società strutturate ge­
rarchicamente secondo linee di classe, razza e genere, facilita­
vano Vempowerment ad alcuni, mentre lo impedivano ad altri.
Così, un secondo lascito di Mujeres Libres fu il suo sforzo, attra­
verso l’attenzione al genere, di creare una comunità che incorpo­
rasse integralmente tutti i suoi membri, rispettando in questo caso
tanto le similitudini quanto le differenze delle donne rispetto agli
uomini.
Mujeres Libres chiedeva che l’appello al riconoscimento ed al ri­
spetto della diversità includesse sia le donne che gli uomini. Insi­
stette che il movimento anarchico e la nuova società che stavano
cercando di creare trattassero le donne nello stesso modo degli uo­
mini, ed allo stesso tempo, rispettassero le differenze tra donne e
uomini. Le donne di Mujeres Libres non sempre si trovarono d’ac­
cordo su quali fossero queste differenze e quali ne fossero le origini.
Ma tutte ritenevano che le donne avrebbero dovuto essere accettate

13. BUBER, Martin: Sentieri in Utopia, Edizioni di Comunità, Milano, 1981.

287
nella loro particolarità: essere trattate in un modo che ammettesse la
loro differente situazione nella vita, senza presupporre necessaria­
mente che dovesse rimanere così per sempre. Inoltre ritenevano che
si dovesse permettere alle donne, incoraggiandole, di contribuire al
movimento ed alla nuova società con la loro particolare prospettiva.
Le loro esperienze assomigliano significativamente a quelle delle
femministe contemporanee e offrono suggerimenti per alcune delle
questioni più urgenti che riguardano le femministe di oggi: 1) Come
ammettere le differenze tra le persone (differenze tra uomini e
donne, differenze di classe, etniche e culturali) senza impedire la
possibilità di cambiamento?; 2) una volta che queste differenze fos­
sero state riconosciute ed espresse, che differenza avrebbero do­
vuto implicare? Come avrebbero dovute essere incorporate orga­
nizzativamente? Che cosa potrebbe significare per noi creare una
società che riconosca gruppi diversi di persone con necessità di­
verse senza considerare i punti di vista e le caratteristiche di alcuni
come la norma per tutti?

La differenza di genere. Una politica differente?


Quello che generalmente si intende per questioni politiche legit­
time e quello che generalmente ci si aspetta da una forma di com­
portamento politico incidono in modo importante su quello che in­
tendiamo per politica, per militanza politica o protesta e sulla
creazione di tattiche e programmi politici. Nel terreno della politica,
l’affermazione che le donne sono fondamentalmente diverse dagli
uomini è stata usata tanto per giustificare la relativa marginalizza-
zione delle donne dal potere politico e sociale quanto per colpevo­
lizzarle di questo14. Sindacati e partiti politici hanno organizzato i
loro programmi secondo criteri maschili, hanno disatteso temi che
concernono direttamente le donne (tali come congedi per mater­
nità, uguaglianza di salario a parità di lavoro, cura dei bambini) e
hanno dedicato poca attenzione al cercare di mobilitare le donne

14. BEAVOUIR, Simone de: Il secondo sesso, Milano, 1961. Sulla non conce­
zione delle donne come esseri “politici”, si veda BOURQUE, Susan C. e Jean
GROSSHOLTZ: “Politics as Unnatural Practice. Political Science Looks at
Women’s Participation”, Politics and Society, 4, n° 2 (1974), pp. 225-66; ELSH-

288
all’interno delle proprie file. Inoltre, tendevano a ignorare, ridico­
lizzare e negare l’importanza politica delle azioni di protesta che
hanno portato a termine le donne, per il proprio beneficio o per
quello degli altri. Come conseguenza le donne raramente si consi­
derano, o sono considerate dagli altri, come animali politici capaci
di partecipare ad un’azione congiunta per affrontare temi di inte­
resse comune15.
L’esperienza delle donne nei movimenti anarchico ed anarco-
sindacalista spagnoli illustra alcuni dei modi in cui queste conce­
zioni della differenza limitavano la militanza femminile all’interno
del movimento. La crescente bibliografia sulle donne nei movi­
menti di protesta sociale, specialmente nelle organizzazioni socia­
liste, evidenzia che le frustrazioni delle anarchiche spagnole non
erano certamente uniche.
In Europa occidentale e negli Stati Uniti, i partiti politici ed i sin­
dacati sono stati le strutture normative dominanti di partecipazione
sociale e politica. Con molte poche eccezioni, questi due tipi di or­
ganizzazione hanno interessato in schiacciante prevalenza gli uo­
mini. Prive del diritto di voto nel secolo XIX e fino agli inizi del
XX, le donne furono ignorate dai partiti politici, ad eccezione di
quando veniva fatta loro pressione per la questione del suffragio16.
Anche se durante i primi anni di questo secolo le donne fecero sem­
pre più parte della forza lavoro industriale, raramente i sindacati le
incoiporarono attivamente come membri delle loro organizzazioni

TAIN, Jean B.: “Moral Woman and Inmoral Man. A Consideration of a Public-Pri­
vate Split and Its Ramification”, Politics and Society, 4, n° 4 ( 1974), pp. 453-73; ed
il mio “Communities, Resistance, and Women’s Activism. Some Implications for
a Democratic Policy”, in: Women and the Politics o f Empowerment (eds. BOOK­
MAN Y MORGEN), soprattutto p. 301.
15. Si veda, ad esempio, Women and The Politics o f Empowerment, in particolare
i saggi di Sacks, Morgen, Costello, Zavella e Susser; The Women’s Movements o f the
United States and Western Europe. Consciousness, Political Opportunity, and Pu­
blic Policy, (eds. Mary FAINSOD KATZENSTEIN e Carol MCCLURG MUEL­
LER), Temple University Press, Filadelfia, 1987; Women in Culture and Politics
(eds. Judith FRIEDLANDER, Blanche WIESE COOK, Alice KESSLER-HARRIS
e Carroll SMITH-ROSENBERG), Indiana University Press, Bloomington, 1986;
Women United, Women Divided. Cross-Cultural Perspectives on Female Solida­
rity (eds. Patricia CAPLAN e Janet M. BUJRA), Tavistock. Londra, 1978.
16. 11 suffragio alle donne venne concesso in Inghilterra nel 1918, negli Stati
Uniti nel 1920, nel 1931 in Spagna e nel 1944 in Francia.

289
o assunsero le istanze delle donne come rivendicazioni prioritarie
nelle negoziazioni con i padroni. L’ideologia dominante concepiva
il lavoro come responsabilità maschile e trattava le donne che rea­
lizzavano un lavoro salariato come delle anomalie. Ad eccezione
dei sindacati ispirati all’azione diretta (come i Wobblies negli Stati
Uniti, oltre alla CNT in Spagna), sembra che in generale le donne
fossero sparite dalla coscienza tanto del partito quanto del sinda­
cato17. In Spagna, ad esempio, durante i primi anni del secolo, solo
la Chiesa Cattolica e le organizzazioni a lei affini presero la difficile
situazione della donna sufficientemente sul serio da farsi portatrici
di un impulso organizzativo sostanziale.
Il socialismo ed il femminismo apparvero in Europa occidentale
quasi simultaneamente in risposta a fenomeni economici e culturali
collegati fra loro - le promesse di libertà e cittadinanza universale
della Rivoluzione Francese e le promesse di abbondanza e crescita
economica della Rivoluzione Industriale -. Tanto il socialismo quanto
il femminismo sottolinearono le contraddizioni di queste rivoluzioni
e dei regimi politici democratici che avevano lottato per stabilirsi in
tutto il secolo XIX. I socialisti condannarono la protezione della pro­
prietà privata da parte delle costituzioni democratiche e la burla che
questo implicava per qualsiasi processo di suffragio universale. Le
femministe, dal loro canto, analizzarono le contraddizioni tra la teo­
ria e la pratica: “La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Citta­
dino non escluse le donne dalla sfera sociale e politica; fece qualcosa
di molto peggiore: ne decretò la loro assenza” 18. In questo contesto,
femministe e socialisti avrebbero potuto allearsi e lottare insieme
contro le nozioni limitate di cittadinanza che, non riconoscendo le

17. Sulla IWW, si veda CAMERON, Ardis: “Bread and Roses Revisited.
Women’s Culture and Working-Class Activism in the Lawrence Strike of 1912”, in:
Women, Work and Protest. A Century’ o f U.S. Women’s Labor History (ed. Ruth
MILKMAN), Routledge and Kegan Paul, Boston, 1985, pp. 42-61.
18. FRAISSE, Geneviève: “Natural Law and the Origins of Nineteenth-Century
Feminist Thought in France”, in: Women in Culture and Politics (eds. FRIEDLAN-
DER et ah), p. 322. Si veda anche LANDES, Joan: Women and Public Sphere in the
Age o f the French Revolution, Cornell University Press, Ithaca, 1989; PICQ,
Françoise: “’’Bourgeois Feminism” in France. A Theory Developed by Socialist
Women before World War I”, in: Women in Culture and Politics (ed. FRIEDLAN-
DER et ah), soprattutto pp. 332-35; e SOWER WINE, Charles: Sisters or Citizens?
Women and Socialism in France since 1876, Cambridge University Press, Cam­
bridge, 1982, pp. 1-2.

290
differenze (di classe e di genere), mascheravano e perpetuavano le re­
lazioni di dominio e di subordinazione.
Ed in effetti le femministe ed i socialisti europei fecero causa co­
mune in molte occasioni. Ma come disse Barbara Taylor in Ève and
thè New Jerusalem, “il radicalismo per l’uguaglianza sessuale” che
caratterizzò il socialismo utopico britannico all’inizio del XIX se­
colo si perse con lo sviluppo del socialismo scientifico, che consi­
derava la divisione di classe come la categoria centrale dell’analisi.
“Il femminismo organizzato era inteso sempre più non come una
componente essenziale della lotta socialista, ma come una forza de-
viante e separatrice senza nessuna relazione inerente alla tradizione
socialista” 19. Il socialismo perse la sua componente femminista; il
femminismo dominante perse il suo interesse per le classi e per la
“collettività”, dando così vita al femminismo individualista liberale
che ne è oggi la variante principale, per lo meno negli Stati Uniti20.
L’esperienza britannica non fu unica; in Francia, in Italia, negli Stati
Uniti e perfino nell’URSS, così come in Spagna, i gruppi di opposi­
zione di sinistra non furono colpiti meno dei partiti principali dalle
duplici critiche basate sulle classi e sul genere e dalle concezioni
polarizzate delle differenze tra donne e uomini. Le donne dei movi­
menti socialisti europei si videro continuamente forzate a scegliere
tra il socialismo (visto come lealtà alla classe operaia) ed il femmi­
nismo (lealtà alle donne al di sopra delle divisioni di classe).
Le donne socialiste di tutta Europa si opposero a questa polariz­
zazione e cercarono di creare un femminismo socialista che rico­
noscesse la specificità delle donne all’interno della classe operaia.
Invitarono i movimenti socialisti ad accettare le donne con le loro
differenze di genere. Ma generalmente non ebbero successo21. Ob­
bligate a scegliere tra questi due tipi di lealtà, la maggioranza di
queste donne, la cui identità politica era molto vicina alle organiz­

19. TAYLOR: Eve and the New Jerusalem, p. xvi.


20. Si veda anche SMITH, Ruth e Deborah VALENZE: “Marginality and Mu­
tuality. Liberal Moral Theory and Working-Class Women in Nineteenth-Century
England”, Signs, 13, n° 2 (inverno 1988), pp. 277-98; e SMITH, Ruth: “Moral
Trascendence and Moral Space in the Historical Experiences of Women”, Journal
o f Feminist Studies in Religion, 4, n° 2 (autunno 1988), pp. 21-37.
21. BOXER, Marilyn L.: “Socialist Faces Feminism. The Failure of Synthesis
in France, 1879-1914”, in: Socialist Women. European Socialist Feminism in the
Nineteenth and Early Twentieth Centuries (eds. Marilyn J. BOXER e Jean H.

291
zazioni socialiste e che, certamente, provavano poca simpatia per le
femministe borghesi, pensarono che l’unica opzione fosse “sce­
gliere il socialismo”, e smisero così di cercare di rivolgersi alle
donne operaie nella loro specificità. Le interpretazioni della diffe­
renza delle donne e le concezioni della politica e della protesta ba­
sate sul genere si sono combinate per assicurare che sia i partiti sia
i movimenti sindacali,compresi quelli impegnati in una trasforma­
zione sociale radicale, accettassero le definizioni, basate sul genere,
di cosa fosse un’istanza appropriata e di come le persone dovevano
mobilitarsi intorno ad essa. Le concezioni dominanti della “diffe­
renza delle donne” o hanno negato l’importanza di qualsiasi diffe­
renza esistente tra uomini e donne - e, quindi, della necessità di ri­
volgersi in modo particolare alle donne lavoratrici - o hanno
definito le donne solamente nei termini della loro differenza, per cui
sembrava che non ci fosse un luogo per loro all’interno del partito
o delle organizzazioni sindacali. Questo modello di “scelta forzata”
continua, di fatto, fino ai nostri giorni. Yasmine Ergas ha indicato
nel suo studio sulle donne della sinistra italiana nei decenni poste­
riori alla II Guerra Mondiale, come le donne si confrontassero con
un “processo bipolare di convalidazione [tra le categorie recipro­
camente escludenti di “donna madre” o “donna lavoratrice”] ba­
sato sull’alternativa tra specificità e marginalità, da un lato, e inte­
grazione ed assimilazione, dall’altro”22.
Se le prospettive possono essere state diverse, le conseguenze
erano simili. Le donne erano totalmente sottorappresentate nei mo-

QUATAERT), Elsevier, New York, 1978, pp. 75-111; e BOXER: “When Radical
and Socialist Feminism Were Joined. The Extraordinary Failure of Madeleine Pe-
letier”, in: European Women on the Left (eds. Jane SLAUGTER e Robert KERN),
Greenwood, Westport, Connecticut, 1981, pp. 51-73; LAVIGNA, Clare: “The
Marxist Ambivalence toward Women. Between Socialism and Feminism in the
Italian Socialist Party”, in: Socialist Women (eds. BOXER e QUATAERT), pp.
146-81; e Tanner SPRINGER, Beverly: “Anna Kuliscioff. Russian Revolutionist,
Italian Feminist”, in: European Women on the Left, pp. 13-27.
22. ERGAS, Jasmine: “Convergencies and Tensions between Collective Iden­
tity and Social Citizenship Rights. Italian Women in the Seventies”, in: Women in
Culture and Politics (ed. FRIEDLANDER et al.), p. 303. Si veda anche ERGAS:
“ 1968-1979 Feminism and the Italian Party System. Women’s politics in a Decade
of Turmoil”, Comparative Politics, 14 (aprile 1982), pp. 253-80; e KLEIN, Ethel:
“The Diffusion of Consciousness in the United States and Western Europe”, in:
The Women ’s Movements (eds. KATZENSTEIN e MULLER), pp. 41-42.

292
vimenti socialisti organizzati dell’Europa occidentale di inizio se­
colo, e quelle che vi presero parte condussero una battaglia persa
per ottenere attenzione sui loro bisogni come donne. Anche se i par­
titi e le organizzazioni socialiste ammettevano che le concezioni esi­
stenti in politica erano condizionate dal pregiudizio contro la classe
operaia, non furono capaci di riconoscere la costruzione sociale dei
propri punti di vista sulle donne. L’“alterità” delle donne occupava
lo stesso spazio nei programmi dei gruppi di opposizione socialista
come nelle politiche dei regimi capitalisti a cui si opponevano.
Come ho detto precedentemente, una simile ristrettezza di vedute
colpì anche molti movimenti femministi. Ad eccezione delle suf­
fragiste operaie inglesi, quasi tutte le organizzazioni femministe
hanno sostanzialmente ignorato la dimensione di classe nella loro
critica alla “gerarchia maschile”23. Fu sicuramente questa la ragione
per cui Mujeres Libres negò qualsiasi identificazione con la parola
“femminista”.
Anche se è sicuro che le donne sono emarginate dalla politica
dominante, le differenze di genere incidono sulle definizioni impe­
ranti del “politico” anche in un altro senso. In molte occasioni, tanto
i militanti rivoluzionari quanto gli studiosi dei movimenti sociali si
sono dimostrati incapaci di riconoscere l’attivismo femminile
quando non si attiene alle linee convenzionali. E frequentemente
l’attivismo femminile non lo fa. Ad esempio, è molto meno proba­
bile che le donne assumano ruoli di comando nei movimenti sin­
dacali rispetto agli uomini, soprattutto se la forza lavoro è mista.
L’attivismo delle donne tende a concentrarsi, più di quello degli
uomini, su questioni che riguardano la qualità della vita, che hanno
a che vedere con tutta la comunità più che limitarsi al solo luogo di
lavoro o che comunque superano i confini tra la casa, il luogo di la­
voro e la comunità. Significativamente, l’attivismo femminile
adotta spesso forme che, per gli standard convenzionali, appaiono
come “spontanee”, “non pianificate” o “disorganizzate”24.
In realtà, la costruzione sociale delle differenze di genere crea
contesti diversi per l’organizzazione e le attività di protesta delle

23. LIDDINGTON, Jill e Jill NORRIS: One Hand Tied Behind Us. The Rise o f
the Woman’s Suffrage Movement, Virago, Londra, 1978.
24. KAPLAN, Temma: “Female Consciousness and Collective Action”; GAY
LEVY, Darlene, Harriet BRANSON APPLEWHITE e Mary DURHAN JOHN-

293
donne. Come segnalano Frances Fox Piven e Richard Cloward, le
persone protestano contro le istituzioni che le riguardano, negli
ambiti in cui vivono e con i mezzi a cui possono accedere25. Dato
che la divisione sessuale del lavoro e altre forme istituzionali
d’oppressione strutturano le vite delle donne in modo diverso da
quelle degli uomini, gli ambiti in cui sperimentano e resistono
all’oppressione devono essere necessariamente diversi. Anche le
donne che fanno parte dei sindacati possono non avere tutto
l’appoggio dei loro sindacati a proposito delle questioni specifi­
che della loro situazione di donne. Per esempio, l’aspettativa che
la donna sia la responsabile principale della cura della casa e dei
figli spesso le impedisce un’assidua partecipazione alle riunioni
del sindacato.
Non dovrebbe allora sorprenderci scoprire che gli ambiti e i modi
di resistenza delle donne differiscono piuttosto marcatamente da
quelli della maggior parte degli uomini. In generale, dipendono
meno dalle organizzazioni lavorative o strutturate formalmente e
più dalle reti locali di amici, familiari o colleghi. Le proteste delle
donne, molto più di quelle degli uomini, tendono ad essere del tipo
di azione diretta, in modo che mentre cercano di avere influenza
sui detentori del potere, mobilitano e fanno prendere coscienza alle
persone che vi partecipano. L’esperienza di partecipare ad azioni di
protesta in quei campi della vita previamente delimitati come “pri­
vati’" o “personali” può arrivare ad avere un rilevante effetto di ra-
dicalizzazione. Anche se, secondo la teoria marxista, è molto pro­
babile che gli uomini arrivino ad acquisire coscienza di classe
partecipando ad organizzazioni basate sulla vita lavorativa, come i
sindacati, le fonti del cambiamento di coscienza delle donne pos­
sono essere molto diverse. Come abbiamo detto Myrna Brietbart ed
io in un altro lavoro, “i quartieri, come i luoghi, di lavoro non sono
né la culla di ogni tipo di dominio né il luoghi deputati della rivo-

SON: Women in Revolutionary Paris, 1789-1795, University of Illinois Press, Ur­


bana, 1979, soprattutto pp. 3-12.
25. PIVEN e CLOWARD: “The Social Structuring of Political Protest”, in:
Poor People’s Movements, Pantheon, New York, 1977; e PIVEN: “Hidden Pro­
test. The Channeling of Female Innovation and Resistence”, Signs, 4, n° 4 (1979),
pp. 651 e ss. Si veda anche GUTMAN, Herbert: Lavoro, cultura e società in Ame­
rica nel secolo dell’industrializzazione, 1815-1919, per una storia sociale della
classe operaia americana, De Donato, Bari, 1979.

294
luzione, [...] ma possono avere in sé la possibilità di una lotta eman­
cipatrice”26.
Le organizzazioni formalmente strutturate, soprattutto quelle co­
struite secondo linee gerarchiche, come le organizzazioni sindacali
o i partiti politici, sono definite come politiche. Le forme di prote­
sta strutturate in maniera più libera, non gerarchiche e “spontanee”,
come le sommosse provocate dall’aumento dei prezzi dei generi
alimentari, gli scioperi dell’affitto, le manifestazioni pacifiste e gli
atti di pubblica condanna - le forme che una larga parte dell’attivi­
smo femminile ha prevalentemente assunto -, sono frequentemente
etichettate come non politiche. Paradossalmente, come hanno so­
stenuto Jacquelyn Dowd Hall e Nancy Hewitt nel loro studio sulle
attività di resistenza delle donne lavoratrici nei primi anni del se­
colo in Carolina del Nord e in Florida, quanto più efficaci erano le
proteste, più venivano etichettate come “disordinate” e più le loro
azioni e le loro caratteristiche venivano disprezzate. Questo può es­
sere la conseguenza di una serie di fattori. In primo luogo suggeri­
sce la negazione della legittimità delle organizzazioni di strutture
lontane dalla norma: è veramente politico solo quanto è formal­
mente strutturato; un’organizzazione temporanea non merita questo
titolo. In secondo luogo, può anche riflettere un tentativo di scalzare
e sminuire le attività delle donne che rappresentano una sfida al do­
minio maschile27.
Un modo in cui si compie questo secondo processo è l’utilizzo
della sessualità per incasellare e svalutare le attività delle donne
che partecipano alle proteste. Da una parte, le donne che rivendi­
cano le stesse prerogative di libertà sessuale di cui godono gli uo­
mini sono frequentemente ridicolizzate, usate per negare la serietà
del loro attivismo. Ma anche quelle che non concentrano la loro at­
tenzione sulla libertà sessuale durante le loro azioni di protesta ven­
gono ugualmente definite a partire dalla loro sessualità. Tanto

26. ACKELSBERG e BREITBART: “Terrains of Protest”, p. 174.


27. DOWD HALL, Jacquelyn: “Disorderly Women. Gender and Labor Mili-
tancy in thè Appalachian South”, Journal o f American History (settembre 1986),
pp. 354-82; tavola rotonda a cui presero parte Jacquelyn Hall, Nancy Hewitt, Ardis
Cameron e Martha Ackelsberg: “Disorderly Women. Gender Politics and Theory”,
Berkshire Conference o f Women Historians, Wellesley College (giugno 1987); e
BASU, Amrita: “When Indian Paesant Women Revolt”, manoscritto. L ’alternativa
classica è quella di HOBSBAWM, E. J.: I banditi.

295
Nancy Hewitt quanto Jacquelyn Hann hanno rilevato che le mili­
tanti sindacaliste radicali del sud degli Stati Uniti furono oggetto
delle insinuazioni e delle calunnie sessuali, non solo da parte dei
rappresentanti dei padroni, ma anche dei sindacalisti maschi, che
sembravano disturbati dalla loro indipendenza e autonomia. Questo
tipo di accuse ricorda i modi in cui i membri di Mujeres Libres ve­
nivano derise, con il nome di “Mujeres Liebres”.
In questi casi, il genere si converte di nuovo in elemento costi­
tuente di quanto viene definito politico. Le donne, come tali, non
possono essere esseri politici. Ma questa scissione della sessualità
dall’attivismo, o piuttosto dalla persona, non la si esige dagli uo­
mini. Anzi, gli uomini attivi in politica tendono ad essere definiti,
e a definire sé stessi, in termini che sottolineano la propria masco­
linità come componente della loro “politicità”. È chiaro però che
nemmeno a tutti gli uomini è concessa la libera espressione della
propria sessualità. La sessualità è stata utilizzata negli Stati Uniti
per controllare sia gli uomini neri sia tutte le donne.
Questi modelli di differenziazione di genere possono aiutarci a
spiegare in parte ciò che è accaduto alle donne nelle tradizionali or­
ganizzazioni miste. Il caso spagnolo è per questo un esempio lam­
pante. Le forme di militanza più comuni delle donne - grazie alle
quali molte presero coscienza di sé e si convertirono in membri attivi
all’interno dei sindacati tradizionali o delle organizzazioni di protesta
- vennero ignorate dagli uomini di quelle stesse organizzazioni. Ad
esempio, anche se gli scioperi per la “qualità della vita” mobilitarono
molte migliaia di donne nei primi decenni di questo secolo e molti
anarchici ammisero che le proteste femminili avevano ottenuto
quello che l’attività sindacale tradizionale non era stata in grado di
raggiungere, la CNT non cambiò la sua idea su quali forme dovesse
avere l’organizzazione o su come mobilitare le donne. La stragrande
maggioranza delle donne che presero parte a questi scioperi non
venne mai pienamente incorporata nel movimento anarchico perché
il movimento non fu capace di ammettere la differenza delle forme di
partecipazione o delle definizioni di attivismo.
D ’altra parte, quando le donne si affiliavano ai sindacati o ad altre
organizzazioni del movimento (come la FIJL, gli atenei o la FAI), la
maggior parte di loro si sentiva attratta dalle strutture meno tradizio­
nali, soprattutto dagli atenei e dai gruppi di giovani. Ma anche quando
facevano invece parte delle organizzazioni sindacali, raramente ve­

296
nivano cambiati i programmi di quelle organizzazioni per venire in­
contro alle donne. Se Teresina Torrelles Graels può dire che nel 1931
il suo sindacato del ramo tessile richiedeva l’uguaglianza di salari
con gli uomini e il congedo di maternità per le operaie, bisogna però
dire che il suo fu un caso eccezionale - eccezione che lei attribuiva
alla forza del gruppo delle donne del sindacato Pochissimi sindacati
fecero proprie queste richieste, che erano di primaria importanza, ne­
cessariamente, per la maggioranza della donne.
Anche se l’impegno del movimento per politiche di azione di­
retta offriva la possibilità che le sue pratiche prendessero in consi­
derazione la specificità della vita delle donne, raramente le orga­
nizzazioni fecero questo passo. Anzi, i programmi relegavano le
questioni che riguardavano le donne ad un secondo o piuttosto ad
un terzo posto, considerandole interessi speciali invece che que­
stioni che riguardavano tutti i lavoratori. In tale contesto, non deve
sorprenderci che le donne non facessero parte dei movimenti
quanto gli uomini, o che nel caso in cui vi arrivassero a parteci­
pare, che vi fossero minimamente attive. Questo modello, che si
verificò in Spagna fino all’epoca della Guerra civile, differisce ap­
pena da quanto si può trovare nella maggior parte delle organizza­
zioni operaie dell’Europa occidentale o degli Stati Uniti.

Mujeres Libres e la politica della differenza


Mujeres Libres cercò di affrontare questa marginalizzazione
delle donne e di far fronte ai loro bisogni insistendo su di uno sta­
tus separato e autonomo. L’indipendenza permetteva a Mujeres Li­
bres di definire i propri obiettivi nei programmi di organizzazione
e di empowerment e di concentrarsi su questi nonostante le proble­
matiche della situazione bellica. Avendo creato una base indipen­
dente per se stesse, potevano rifiutare l’analisi bipolare che aveva
distrutto le aspirazioni di tante donne socialiste, obbligate a sce­
gliere fra classe e genere. Anzi, fu loro possibile tratteggiare
un’analisi ed un programma che riflettevano le necessità e le aspi­
razioni particolari delle donne della classe operaia. Questo non
vuole dire che le realtà della guerra e la competizione con l ’AMA e
con le altre organizzazioni di orientamento comunista non avessero
influenza sui programmi di Mujeres Libres. Abbiamo già visto che

297
questo successe. Ma l’autonomia, tanto preziosa per i membri di
Mujeres Libres e tanto minacciosa per le organizzazioni maggiori­
tarie, protesse in parte Mujeres Libres dal controllo che le organiz­
zazioni del movimento, di orientamento maschile, cercarono di
esercitare su di loro.
Ciò nonostante, Mujeres Libres pagò un caro prezzo per la sua
autonomia. Non ebbe mai i fondi o l’appoggio organizzativo che le
sue leaders avevano desiderato. Inoltre, anche se la maggior parte
delle leaders di Mujeres Libres continuavano a militare in altre or­
ganizzazioni del movimento libertario, la loro influenza fu relativa­
mente limitata. Negando a Mujeres Libres l’accesso organizzativo
alle discussioni ed ai dibattiti sulle tattiche politiche in corso (limi­
tazione che si cercò di superare sollecitando l’incorporazione auto­
noma al movimento nell’ottobre del 1938), il movimento libertario
non arrivò mai ad incorporare pienamente le donne o i temi di loro
interesse all’interno dei propri programmi. Di fatto, la decisione della
FUL di creare una Segreteria Femminile illustra l’idea diffusa che le
donne non partecipassero pienamente al movimento. Possiamo dire
che le voci indipendenti delle donne vennero messe al margine. L’au­
tonomia permise a Mujeres Libres di continuare il suo lavoro con le
donne quasi senza restrizioni, eccetto nel terreno economico, ma
ostacolò i suoi tentativi di comunicazione con gli uomini.
La rivendicazione di autonomia organizzativa di Mujeres Libres
era basata tanto su quello che considerava essere la dinamica di ge­
nere delle relazioni all’interno delle organizzazioni quanto sui suoi
punti di vista sulla “differenza” delle donne. Nella tesi che le donne
fossero oppresse tre volte, a causa della loro ignoranza, del capita­
lismo e per il loro essere donne, possiamo vedere un tentativo di ar­
ticolare una prospettiva sul funzionamento dell’oppressione istitu­
zionale. Da questa analisi, Mujeres Libres dedusse che queste
forme di oppressione istituzionale fossero un problema non solo
per le donne, ma per tutti i lavoratori. Quindi, superare la subordi­
nazione delle donne - all’interno della casa, nel luogo di lavoro, o
nella società in generale - era essenziale per il benessere di tutti i la­
voratori, uomini e donne in eguale misura. Per questo, Mujeres Li­
bres sosteneva che la risposta appropriata che le organizzazioni
operaie (la CNT e la FAI, per esempio) dovevano dare alle differenze
tra uomini e donne basate sull’oppressione istituzionale fosse di
lottare per eliminarle.

298
Ma nonostante questo, molti scritti e programmi di Mujeres Li­
bres sembravano voler dire che almeno qualcuna di queste diffe­
renze non fosse basata esclusivamente sull’oppressione. E queste
differenze rappresentavano dei valori che dovevano essere conser­
vati nella nuova società. Una serie di articoli di Mujeres Libres ad
esempio, sembra quasi presagire l’appello di Carol Gilligan ad
ascoltare questa “voce diversa” che spesso viene associata alle
donne. In un articolo che celebra la Federazione Nazionale di Muje­
res Libres nell’agosto del 1937, possiamo leggere:

N ell ’identificare le sue aspirazioni con la CNT e con la FAI, ha saputo


raccogliere quanto di più genuinam ente spagnolo e quanto di p iù a uten­
ticam ente rivoluzionario, p e r arricchirlo con l ’aggiunta delle sue carat­
teristichefem m inili. M ujeres Libres vuole che la nuova struttura sociale
non soffra di questa lam entevole unilateralità che è stata fin o ad oggi la
sventura del mondo. M ujeres L ibres vuole che nella nuova società con­
vergano i due punti di vista - quello maschile e quello fem m inile - che sta­
biliscono l ’equilibrio necessario su cui gettare le basi della nuova g iu sti­
zia. N on ci può essere una società giusta dove il m aschile ed il fem m in ile
non entrino in uguale proporzione28.

Qui sembra che l’autrice alluda all’incorporazione di una spe­


ciale prospettiva che le donne apportano alla vita sociale e politica.
Un altro articolo sullo stesso tema, che affronta i problemi di di­
stribuzione di generi alimentari nella zona repubblicana, fa
un’esposizione più esplicita:

I ristoranti ed i bar dei ricchi ed i loro rifornitori dovrebbero essere


controllati dagli operai o, m eglio, dalle operaie, che essendo donne e
m adri sanno cosa vuol dire non avere il latte p er un bambino debole o m a­
lato, la carne p e r un m arito stanco dal duro lavoro delle industrie di
guerra. [...] il controllo del ramo d e ll’alim entazione deve stare nelle m ani
delle donne del popolo29.

Tali argomenti possono facilmente scivolare verso ipotesi di una


qualche caratteristica “femminile eterna” o comunque rafforzarle.

28. “Un acontecimiento histórico”, Mujeres Libres, n° 11 (1937).


29. “Paralelismo”, ibidem.

299
Mujeres Libres non era completamente immune da tali concezioni,
nonostante l’enfasi anarchica sulla personalità e sulla sessualità
come prodotti sociali. Molti articoli della rivista sembrano dare per
scontata resistenza di un’atemporale nozione di “femminilità”
omettendo qualunque riferimento all’ambito sociale. Altri tratta­
vano le concrete difficoltà che dovevano affrontare le donne in
quanto madri, e davano per scontato che le donne sarebbero state
maggiormente colpite se ai loro figli fosse successo qualcosa.
Come organizzazione, Mujeres Libres non formulò una posi­
zione definitiva su quali fossero le differenze tra uomini e donne,
quali ne fossero state le origini e quali di queste differenze avreb­
bero dovuto essere conservate o rivalutate in una società rivoluzio­
naria. A volte sembrava che Mujeres Libres fosse d’accordo con
Emma Goldman e Federica Montseny, che avevano ridicolizzato
le affermazioni femministe secondo cui le donne erano moralmente
superiori agli uomini. Goldman e Montseny dicevano che se si
fosse data alle donne l’opportunità di esercitare il potere sugli altri,
avrebbero abusato di questo nella stessa misura in cui lo avevano
fatto gli uomini. Gli scritti di queste autrici, di Lucía Sánchez Saor-
nil e di Amparo Poch, facevano capire che qualsiasi differenza esi­
stente nel comportamento o nella prospettiva tra uomini e donne
era ancorata all’oppressione sociale e che in una società più egua­
litaria sarebbe scomparsa.
Più frequentemente però, Mujeres Libres ammetteva che le
donne fossero in un certo senso diverse dagli uomini, e che tali dif­
ferenze non fossero state totalmente articolate nella società op­
pressiva esistente e che una società anarchica egualitaria avrebbe
incorporato il maschile ed il femminile. Anche se Mujeres Libres
non sviluppò un’analisi di queste differenze comparabile a quella
formulata dalle “teoriche della differenza”30 di oggi, il gruppo cercò
di valorizzare queste differenze e di sviluppare una strategia per in­
corporarle nella nuova organizzazione della società. Qualunque
fosse l’origine del maggior livello di preoccupazione per i figli delle

30. ACKELSBERG, Martha ed Irene DIAMOND: “Gender and Politicai Life.


New Directions in Politicai Science”, in: Analyzing gender. A Hcmdbook ofSocial
Science Research (eds. HESS y FERREE), Sage Publications, Beverly Hills, 1987,
soprattutto pp. 515-18. Si veda anche BARON, Ava: “Feminist Legai Strategies.
The Powers of Difference”, ibidem, pp. 474-503; ed ENLOE, Cynthia H.: “Femi-
nists Thinking about War, Militarism and Peace”, ibidem, pp. 526-47.

300
donne e della loro moralità nel terreno socio-politico, sostenevano
che questa prospettiva fosse valida. Il movimento anarco-sindaca-
lista ne avrebbe tratto forza, non sarebbe successo il contrario.
Mujeres Libres esigeva dai suoi membri che si ritenessero esseri
sociali pienamente capaci e che agissero di conseguenza. I suoi pro­
grammi di educazione, di presa di coscienza e di apprendimento
offrirono alle donne l’opportunità di educare sé stesse e di svilup­
pare abilità organizzative per parlare in pubblico e ricostruire la
propria autostima - abilità di cui avrebbero avuto bisogno per muo­
versi efficacemente in organizzazioni miste -. La solidarietà fem­
minile come ambito per il cambiamento di mentalità era essenziale
per l’empowerment a cui aspiravano. La separazione su cui Muje­
res Libres insisteva era temporanea e strategica, necessaria sola­
mente fino a quando un numero sufficiente di donne avrebbe svi­
luppato le abilità e la fiducia richieste, per poter quindi contare sul
numero e sulla forza dei propri argomenti e personalità per influire
sulle organizzazioni principali dal di dentro. Fino a quel momento,
Mujeres Libres sarebbe stata una specie di vivo promemoria
dell’importanza del genere per il movimento.

Dalla “differenza” alla “diversità”

Questa revisione dell’analisi e delle esperienze di Mujeres Li­


bres ci riporta alla prima domanda: Che differenza ci sarà quando si
terranno in considerazione le differenze? Né Mujeres Libres né le
teoriche femministe di oggi hanno formulato una metodologia per
distinguere tra le differenze che sono manifestazioni temporali e
prodotti sociali della subordinazione politica e sociale delle donne
e quelle particolarità che, anche se ora sono collegate a relazioni di
dominio, meritano di essere valorizzate e conservate per una so­
cietà futura come caratteristiche speciali delle donne o come carat­
teristiche di entrambi i sessi. La tendenza che dimostravano in un
primo momento le femministe - negare l’importanza delle diffe­
renze - è stata sostituita di recente da una controtendenza che tende
a sottolinearle, anche se le femministe non si sono mai messe d’ac­
cordo su quali potrebbero essere queste differenze.
Dagli impegni femministi contemporanei per risolvere la que­
stione delle differenze sorgono una serie di importanti tematiche co-

301
munì. Le femministe ispirate dal lavoro di Michel Foucault e dei
decostruzionisti della scrittura hanno concentrato la loro attenzione
sui modelli di dominio e di subordinazione culturale, così come
anche sulla resistenza riflessa nei “discorsi sommersi”. Sostengono
che è importante occuparci delle differenze tra uomini e donne, ma
anche dei diversi orientamenti della vita e della politica che sono
sottomessi alla rubrica del genere e poi ascritti diversamente a uo­
mini e donne31. Altre concentrano le loro attenzioni sulla vita e sulle
particolari circostanze sociali delle donne (o dei membri della classe
operaia) che generano diversi orientamenti della politica e della vita
sociale32. Ed altre ancora hanno adottato alcune metodologie che si
concentrano sullo sviluppo (o sugli ostacoli allo sviluppo) di identità
comunitarie o collettività subnazionali che possono generare pro­
spettive culturali e politiche diverse dalla norma dominante33.
Anche se le variazioni fra questi gruppi sono importanti, pos­
siamo considerarli come dei contributi allo sviluppo di una nascente
prospettiva sulla differenza. Tale prospettiva rifiuta la nozione di
donna (o di persona di colore o di lavoratore) come “altro”, insi­
stendo che dobbiamo decentrare le definizioni, concezioni ed istitu­
zioni imperanti e fare spazio per rivendicare e dare valore ad una
varietà di prospettive. E’ importante inserire le donne aH’intemo di
collettività, e allo stesso tempo riconoscere che molte di loro, se non
la maggioranza, sono situate in una varietà di collettività, non sola­
mente in una. Quindi questa tesi rifiuta la scelta che tante donne at­
tive in politica hanno dovuto fare tra la solidarietà con altre donne e
la solidarietà con la loro classe o gruppo etnico o razziale. Allo
stesso tempo, afferma il carattere poliedrico dell’identità delle donne

31. Si veda soprattutto FERGUSON: The Feminist Case against Bureaucracy,


cap. 5; SCOTT, Joan: “Gender. A Useful Category of Historical Analysis”, Ame­
rican Historical Review, 91, n° 5 (dicembre 1986), pp. 1053-75; e SCOTT: Gen­
der and the Politics o f History, Columbia University Press, New York, 1988.
32. Oltre a Ruddick ed Elshtain, si veda BALBUS, Isaac: Marxism and Domi­
nation. A Neo-Hegelian, Feminist, Psychoanalytic Theory o f Sexual, Political and
Technological Liberation, Princeton University Press, Princeton, 1982. Per una
prospettiva critica, si veda DIETZ: “Citizenship with a Feminist Face”, pp. 19-37.
33. María C. ed Elizabeth W. SPELMAN: “Have We Got a Theory for You! Fe­
minist Theory, Cultural Imperialism, and the Demand for “The Woman’s Voice””;
LORDE, Audre: Sister Outsider, ANTHIAS, Floya e Nira YUVAL-DAVIS: “Con­
textualizing Feminism-Gender, Ethnic and Class Divisions”; e Woman-Nation-
State (eds. YUVAL-DAVIS e ANTHIAS), St Martin” , New York, 1989.

302
(e di tutte le persone). Questa prospettiva sostituirebbe una politica
della differenza, in cui tutti siamo definiti in relazione ad una norma,
con una politica della diversità che riconosce e dà valore a modi di­
stinti di essere senza classificarli secondo una norma gerarchica­
mente definita34. I membri di Mujeres Libres che sottolineavano
l’importanza di una “prospettiva femminile” per il movimento anar­
chico e chi oggi insiste nell’ascoltare le “diverse voci” delle donne,
sprona le donne a dare valore alle proprie forze. Allo stesso tempo
sostengono che la società in generale trarrebbe benefìcio se molte di
queste caratteristiche fossero più ampiamente condivise.
Dobbiamo sfidare la classificazione gerarchica del sistema di va­
lori dominante ed iniziare a concettualizzare una società (o un mo­
vimento) dal punto di vista della diversità, più che sulle differenze
basate su di una norma particolare (per quanto ci possa venire pre­
sentata come “universale”). Questa prospettiva è la base degli ap­
pelli di Audre Lorde, di Adrienne Rich, di Marilyn Frye e di altre
studiose, affinché le femministe affrontino il razzismo, l’eteroses-
sismo e l’oppressione di classe all’interno del movimento femmi­
nista e della società in generale35. Questa prospettiva spiega anche
quello che Mujeres Libres stava cercando di ottenere insistendo su
di uno status separato. Sembra che sostenessero che un modo per
decentrare le norme di orientamento maschile dei movimenti anar­
chico ed anarco-sindacalista fosse quello di incorporare nel movi­
mento un’altra organizzazione con un diverso insieme di caratteri­
stiche valide.

34. Devo molto al lavoro di Iris Young, soprattutto a “The Ideal of Community
and Politics of Difference”, Social Theory and Practice, 12, n° 1 (primavera 1986),
pp. 1-26. Si veda anche SPELMAN, Elizabeth V.: Inessential Woman; FRIED­
MAN, Marilyn: “Feminism and Modem Friendship. Dislocating the Community”,
Ethics, 99 (gennaio 1989), pp. 275- 90; e TRONTO, Joan: “Otherness in Moral
Theory (or, If We’re So Smart, Why Are We Racists, Sexists, Anti-Semites, Ethno-
centrics, Homophobes, ecc.?)”, lavoro preparato per essere presentato nella riunione
annuale della American Politicai Science Association, Chicago (settembre 1987).
35. LORDE: Sister Outsider; RICH, Adrienne: “Disloyal to Civilization. Femi­
nism, Racism, Gynephobia”, in: On lies, Secrets and Silence, pp. 275-310, e “Notes
toward a Politics of Location”, in: Blood, Bread and Poetry. Selected Prose 1979-
1985, Norton, New York, 1986, pp. 210-31; FRYE, Marilyn: The Politics o f Reality,
Crossing Press, Trumansburg, New York, 1983; e JEHEN, Myra: “Against human
Wholeness”, lavoro presentato nel Boston Area Feminist Theory Colloquium (pri­
mavera 1984).

303
La stessa esistenza di Mujeres Libres, dunque, era una forma di
azione diretta. L’incorporazione di Mujeres Libres nel Movimento
Libertario come membro organizzativo pienamente eguale sarebbe
stata una sfida al carattere normativo delle aspirazioni di orienta­
mento maschile del movimento, in relazione non solo alle donne ed
alle loro capacità, ma anche alla varietà della natura umana, e, più
generalmente, alle possibilità di una società veramente egualitaria.

Verso una nuova concezione della politica


Quali insegnamenti possiamo trarre da Mujeres Libres che siano
di contributo ad una politica contemporanea partecipativa, femmi­
nista e democratica negli Stati Uniti? Anche se Mujeres Libres, in
confronto ad altri movimenti di sinistra, prestava attenzione in modo
esplicito al genere, la sua esperienza ci offre il modello di una stra­
tegia indipendente e non separatista per affrontare la diversità.
Specificatamente, oltre alla preoccupazione per Vempowerment e
per l’incorporazione delle differenze, la storia di Mujeres Libres in­
dica l’importanza di una comunità di orientamento nel processo di
presa di coscienza. Le femministe e le socialiste, così come anche le
anarchiche, hanno sostenuto che la vera partecipazione politica può
avere luogo solamente all’interno di una comunità politica egualita­
ria e mutuamente rispettosa. Ma continuiamo a chiederci: quale co­
munità segue questi principi? Mujeres Libres non si identificava con
altre organizzazioni di donne ma con il movimento libertario.
Femministe, operai e persone di colore hanno spesso ripetuto
che abbiamo bisogno di sottocomunità di persone come noi per sen­
tirci più considerati e validi nella nostra specificità36. Senza dubbio,
Mujeres Libres riteneva che, per quanto importanti e necessarie
possano essere queste sottocomunità, alla fine risultano insufficienti
e parziali. Nessun gruppo può, da solo, costituire l’unica base di un
movimento capace di trasformare la società. Un movimento deve
incorporare molte di queste collettività sotto lo stesso tetto e ri­
spettare le differenze che ci sono tra di loro, avvalorare i contributi

36. Ad esempio, JOHNSON REAGON, Bernice: “Coalition Politics. Turning


the Century”, in: Home Girls. A Black Feminist Anthology (ed. barbara SMITH),
Kitchen table, Women of Color Press, New York, 1983, p. 359.

304
che ogni gruppo apporta all’insieme e saper approfittare del potere
che deriva dall’azione congiunta. 1 concetti di differenza e diversità
ci possono offrire nuovi modelli di riflessione su come costituire
comunità che ci emancipino. Concluderò parlando di due aspetti
associati al lascito di Mujeres Libres: la sfida ad una costruzione del
“politico” influenzata da pregiudizi di genere e di classe, e gli inizi
di una concettualizzazione di una politica della diversità.
Le critiche alle politiche democratiche liberali evidenziano il ta­
glio di classe che è parte integrante della struttura e della concet­
tualizzazione stessa della politica. In merito a questo E. E. Schatt-
schneider disse: “Il difetto del cielo pluralista è che il coro celestiale
canta con un forte accento della classe alta”37.1 poveri e gli operai
vengono sproporzionatamente sottorappresentati tra i partecipanti
alla politica, e questo li pregiudica totalmente. Come hanno notato
generazioni di critici, le “regole del gioco” della democrazia libe­
rale - l’enfasi data agli individui isolati con profili di interessi for­
mati indipendentemente - rendono profitto a chi è già al potere ed
impediscono che gli altri riconoscano le loro necessità, che sono
diverse, ed ancora meno che le formulino e lottino per queste nel
terreno politico38. La politica, come ritengono i socialisti e gli anar­
chici, non vuol dire semplicemente la distribuzione di posti in una
“struttura di opportunità politica”. Consiste nella strutturazione del
potere all’interno dell’intera società. Così i marxisti e, in special
modo, gli anarchici hanno insistito sull’importanza della pratica
della partecipazione popolare generale in una varietà di ambiti. I
marxisti si concentrarono maggiormente sui sindacati e sui partiti
operai; gli anarchici spagnoli aggiunsero la lotta culturale e l’orga­
nizzazione della comunità. Molte delle proteste attuali degli Stati
Uniti - iniziando dai movimenti per i diritti civili e da quello paci­

37. SCHATTSCHNEIDER, E.E.: Il popolo semi-sovrano: un’interpretazione


realistica della democrazia in America, ECIG, Genova, 1998.
38. MARX, Karl: La questione ebraica, Editori Riuniti, Roma, 1969; MACPHER-
SON, C.B.: The Political Theory o f Possessive Individualism, Oxford University
Press, New York, 1962; BACHRACH, Peter e Morton BARATZ: “Two faces of
Power”, American Politicai Science Review, 56 ( 1962), pp. 947-52; BALBUS, Isaac:
“The Concept of Interest in Pluralist and marxian Analysis”, Politics and Society, 1,
n° 2 (1971), pp. 151-77; LIPSITZ, Lewis: “The Grievances of The Poor”, in: Power
and Community (eds. Philip GREEN e Sanford LEVINSON), Randome House, New
York, 1970, pp. 142-72.

305
fista degli anni Cinquanta e Sessanta, ed includendo le proteste per
questioni educative, quelle delle organizzazioni di inquilini, quelle
antinucleari e ecologiste - si sono basate su forme organizzative
non sindacali: gruppi di quartiere o comunitari, comunità culturali
su base etnica e coalizioni formate attorno ad interessi politico-so­
ciali comuni.
Le femministe hanno inoltre apportato un’altra dimensione alla
critica della politica democratica liberale dicendo che le nostre con­
cezioni, e le pratiche, della politica portano codificato dentro di sé
anche il genere, oltre alla classe. Quando “quanto è politico” è de­
finito come quanto ha luogo in una sfera pubblica, naturalmente
separata dalla sfera privata e domestica e a lei superiore, gli inte­
ressi di molte donne e di molti uomini vengono definiti come al di
fuori della politica; la natura politica delle loro attività è, quindi, o
negata o trasformata in un qualcosa di invisibile. Ad esempio, Ca­
role Pateman segnala in The Sexual Contract che la subordinazione
delle donne non è stata problematizzata dalla teoria politica liberale.
Dato che questa teoria presuppone che le donne siano relazionate
alla società per mezzo degli uomini, la loro esclusione dal contratto
sociale non è stata quasi notata. Io credo che questa affermazione
abbia molto in comune con le teorie che ho precedentemente espo­
sto, ossia che quando le donne vengono considerate totalmente nei
termini della loro “specificità”, le loro preoccupazioni ed i loro reali
interessi vengono spesso trascurati. Così viene sottratto valore ad
intere dimensioni di interessi umani e di azione collettiva e l’intera
comunità viene ridotta39.
Sottolineando la natura collettiva dell’oppressione che tanto gli
uomini quanto le donne vivevano come membri della classe lavo­
ratrice, Mujeres Libres riteneva che la liberazione dall’oppressione
richiedesse l’azione collettiva e potesse essere valutata solo se­
condo norme collettive: il successo non lo si poteva definire se­
condo il raggiungimento di traguardi individuali delle donne nel
mondo politico o sociale. Le strutture gerarchiche dovevano essere
abolite e le donne dovevano prendere parte a questo processo, così
come alla creazione della nuova società. Le questioni di classe e
genere dovevano essere affrontate simultaneamente.

39. PATEMAN, Carole: Il contratto sessuale, Editori Riuniti, Roma, 1997.

306
Molte femministe (tanto in Spagna quanto in altri paesi europei
e negli Stati Uniti) condividono un aspetto di questa concezione,
perché sostengono che le donne sono oppresse come gruppo e che
possono rimediare alle ingiustizie di cui sono vittime solamente at­
traverso l’azione collettiva. Ma nonostante questo si è spesso tra­
scurata la componente di classe dell’analisi. Questa negligenza ha
dato come risultato che il femminismo si identificasse con gli sforzi
di alcune donne per raggiungere posizioni di favore all’interno delle
istituzioni e delle organizzazioni gerarchiche esistenti. Ci sono state
delle eccezioni, chiaramente, come le organizzazioni suffragiste
delle donne operaie in Gran Bretagna, il grande impegno per orga­
nizzare gruppi femministi socialisti in Francia, le “femministe ma­
teriali” degli Stati Uniti, che cercarono di esercitare il controllo
sulla sfera chiamata domestica. Ma molte di loro furono, alla fine,
incapaci di concentrarsi su entrambe le questioni. Come afferma
Dolores Hayden riferendosi alle femministe materiali degli Stati
Uniti, molte delle strategie collettive che le donne proposero per
affrontare l’isolamento e la discriminazione che vivevano in quanto
donne, erano aperte solamente a chi apparteneva come loro alla
classe media. Tralasciarono di considerare fino a che punto i loro
programmi dipendessero dal continuo sfruttamento delle donne di
classe lavoratrice40. Con il passare del tempo, il femminismo venne
identificato con l’avere accesso alle esistenti gerarchie di privilegio,
più che con il ristrutturarle fondamentalmente.
Attualmente negli Stati Uniti, certi gruppi di protesta affermano
che le concezioni imperanti sulla politica sono viziate non solo da
linee di classe e di genere, ma anche dall’identità etnico-razziale,
dall’orientamento sessuale, dalla capacità fisica, ecc. Il “cittadino
universale” della teoria democratica liberale non è solo un maschio
della classe alta, ma anche un padre di una famiglia bianca, sano
forte ed eterosessuale41. Trattando le persone come semplici porta­

40. HAYDEN, Dolores: The Grand Domestic Revolution, MIT Press, Cam­
bridge, 1981.
41. John Rawls, in A Theory o f Justice, lo spiega approfonditamente, anche se
incoscientemente. Si veda anche WALZER, Michael: Sfere di giustizia. Come
critiche, si veda MOLLER OKIN, Susan: “Justice and Gender”, Philosophy and
Public Affairs, 16, n° 1 (inverno 1987), pp. 42-72; e PATEMAN, Carole: The Di­
sorder o f Women. Democracy, Feminism and Political Theory, Stanford Univer­
sity Press, Stanford, 1989, cap. 6, 8 e 9.

307
tori di interessi, l’individualismo democratico nasconde le strutture
di potere e, soprattutto, le relazioni di dominio e di subordinazione
che colpiscono le persone (e strutturano i loro “interessi”) come
membri delle collettività subnazionali.
Contemporaneamente il paradigma individualista non lascia spa­
zio, o ne lascia molto poco, all’articolazione cosciente degli interessi
ed alle prospettive che derivano da diversi retroterra culturali, etnici,
religiosi o di genere. Questo paradigma li tratta come generatori di
“interessi” diversi attorno ai quali gli individui possono riunirsi o,
ancora più comunemente, come cause di oppressione e discrimina­
zione, che negano ai membri di gruppi particolari l’accesso egualita­
rio ai beni sociali. Ma fare parte di una collettività non vuol dire so­
lamente sperimentare l’oppressione in quanto suo membro. Dire che
i neri, le donne, i gay, gli ebrei, i mussulmani o i portatori di handicap
sono discriminati o svantaggiati in un sistema che assume come cit­
tadino norma il maschio bianco, cristiano, eterosessuale, sano, non si­
gnifica che non esistano caratteristiche positive e valori che i mem­
bri di questi gruppi hanno sviluppato - anche se lo hanno fatto in
parte proprio in risposta alla loro oppressione -. L’individualismo li­
berale “farebbe sparire” tutte queste differenze in nome di una citta­
dinanza universale. Il socialismo marxista le farebbe sparire tutte
tranne quelle basate sulla classe sociale, in nome della rivoluzione
operaia. In modo simile, alcune femministe radicali le farebbero spa­
rire tutte meno quelle basate sul genere, in nome della “sorellanza”.
Ma chi ora sta traendo forza dalla propria identità come membro di
uno o più di uno di questi collettivi non è disposto, e a ragione, ad ab­
bandonarli in cambio di una piena cittadinanza.
La sfida consiste nello sviluppare una concezione della politica e
della vita politica che vada oltre l’individualismo e la stretta analisi
di classe o di genere. Questa riconcettualizzazione deve riconoscere
le persone non come portatrici di interessi, ma come partecipanti ad
una varietà di comunità che contribuiscono con componenti impor­
tanti alla loro identità. Quando le socialiste francesi furono obbligate
a scegliere tra le “donne” e la “classe operaia”, la loro identità come
donne operaie sparì. Allo stesso modo, quando le donne nere o
quelle ebree degli Stati Uniti si videro obbligate (dai membri del
loro gruppo etnico-culturale o da altre donne) a scegliere tra essere
leali alle altre donne o al loro gruppo etnico-culturale, le loro iden­
tità furono negate. In tal senso non ci dovrebbe sorprendere che negli

308
Stati Uniti molte donne operaie o appartenenti a minoranze etniche
siano diffidenti di fronte al “movimento femminista”, anche quando
si trovano d’accordo su molti obiettivi femministi e li appoggiano.
Gli appelli individualisti negano e disprezzano i vincoli che le per­
sone delle minoranze etniche o della classe operaia sentono reci­
procamente. Sembra che la promessa di risultati e realizzazioni in­
dividuali si possa avverare solo a patto di abbandonare l’identità e la
solidarietà di gruppo42. Allo stesso tempo, questi appelli separano le
donne operaie (bianche o di colore) dalle donne bianche della classe
media, negando la realtà separata di ogni situazione.
Nessuno dovrebbe essere obbligato a scegliere tra gli aspetti della
propria identità per poter partecipare ad un gruppo politico o comu­
nitario. Siamo tutti esseri completi, capaci di sostenere molteplici
impegni in una grande varietà di collettivi. Questi impegni arricchi­
scono le nostre vite e ci danno strumenti di empowerment. Anche se,
come nel caso di Mujeres Libres, spesso vengono etichettati come
“scismatici” non è necessario che sia così. Di fatto, gli impegni mol­
teplici sono scismatici nell’ambito delle comunità che esigono una
lealtà esclusiva. Se possiamo allontanarci dai modelli gerarchici do­
minanti, nei quali un tipo di impegno è concepito come primario o
superiore, ed ammettiamo che noi tutti possediamo una varietà di
impegni di diversa intensità con diversi gruppi - la cui importanza
può variare nel tempo -, allora possiamo cominciare a creare delle
comunità che riconoscano questi impegni e che non reclamino in
modo esclusivo la nostra fedeltà. Forse possiamo reclamare per noi
il lascito che Mujeres Libres lottò tanto per creare.

Furono i prim i passi verso l ’em ancipazione della donna. Prim i passi
che forse non hanno potuto essere grandi perch é è venuta la guerra, e
V esilio... La società si è trasformata. Sono i nostri fig li quelli che ora
devono segnare il passo ed essere i protagonisti dei nuovi modelli. Ma
l ’oggetto dei nostri ricordi, questi ricordi così preziosi, quella lotta così
p u ra ... è possibile che tutto questo sia servito a qualco sa?43

42. Si veda, ad esempio, SENNETT, Richard e Jonathan COBB: The Hidden


Injuries o f Class, Vintage, New York, 1972; RUBIN, Lillian: Worlds o f Pain,
Basic Books, New York, 1976; e STACK, Carole: All Our Kin.
43. Azucena Fernández Barba, intervista, 15 agosto 1981.

309
Appendice A

Schema dell’organizzazione della CNT


(Confederazione Nazionale del Lavoro)

r Sindacato: Assemblea generale degli affiliati


Comitato sindacale
Sezione sindacale: Assemblea generale della sezione
Comitato della sezione
Federazione locale: Comitato locale dei delegati di
Confederazione Nazionale del Lavoro

ogni sindacato
Riunione dei comitati sindacali di un comune
Federazione provinciale: Comitato composto dai de­
legati di tutti i sindacati di una provincia
Comitato regionale: Nominato dalla federazione locale
del comune sede del Comitato regionale (un delegato

i per ogni sindacato del municipio, eccetto in Catalogna)


Plenum regionale: Composto dai delegati di ogni fe­
derazione locale e territoriale della regione
Congresso regionale: Composto dai delegati di tutti i
sindacati della regione

Comitato nazionale: Nominato dalla federazione


locale del comune sede del Comitato (per decisione
di un Congresso nazionale) (un delegato/sindacato)
Plenum nazionale dei regionali: Composto dai de­
legati di ogni comitato regionale
Congresso nazionale: Composto dai delegati di
tutti i sindacati del paese

Fonte: A. Schapiro (Association Internationale des Travailleurs), Rapport sur


l ’activité de la Confédération Nationale du Travail d ’Espagne, 16 décembre 1932-
26 février 1933. Strictément confidentiel, 2.

311
Appendice B

Pubblicazioni di Mujeres Libres


Actividades F. N. Mujeres Libres, 1938.
COMAPOSADA GUILLÉN, Mercedes: Esquemas, Barcellona, 1937.
“Cómo organizar una agrupación Mujeres Libres”, Barcellona [1937], 16 pp.
CONDE, Carmen: Enseñanza Nueva, 1936.
_______ : Poemas en la guerra, 1937.
_______ : La composición literaria infantil, 1938.
FEDERN, Etta: Mujeres de las Revoluciones, Barcellona, s.d. [1937], 62 pp.
POCH Y GASCÓN, Amparo: Niño, Barcellona, s.d. [1937], 20 pp.
_______ : La ciencia y la enfermedad, 1938.
SÁNCHEZ SAORNIL, Lucía: Horas de Revolución, s.d. [1937], 62 pp.
_______ : Romancero de Mujeres Libres, Barcellona, s.d. [1938].
Dr. SALUD ALEGRE: Sanatorio de optimismo, Barcellona, 1938.

(Ci sono inoltre tredici numeri della rivista Mujeres Libres e numerosi arti­
coli sui giornali e sulle riviste del movimento libertario).

313
Appendice C

Progetto per la creazione di una fabbrica


di matrimoni in serie

La compagna Rivoluzione ci ha reso partecipi della sua grande delu­


sione. Le gente si continua a sposare... La compagna Rivoluzione cre­
deva che lo spirito e la morale delle persone sarebbero diventati un po’ più
decenti, ma si è resa conto che lo spirito e la morale delle persone non
sono suscettibili alla decenza. La gente si continua a sposare.... Di fronte
a questa spaventosa realtà, cerchiamo quindi di rendere più igieniche le
sue inevitabili conseguenze. Gli uomini continuano ad amare le pratiche
d’oppressione. Per lo meno vediamo se è possibile dorare la pillola...

Progetto
Ubicazione. La fabbrica di nozze in serie sarà posta lontano da ogni nu­
cleo urbano. Non è conveniente che le tragedie si realizzino davanti agli
occhi di tutti, perché forniscono un esempio di barbarie. Inoltre le diffi­
coltà di accesso alla fabbrica faranno riflettere un po’ di più gli sciocchi.
Materiali di costruzione. Saranno fatti con un materiale tale che possa
soffocare tutti i rumori. A nessuno importa quello che succede là dentro ed
è sempre meglio non ascoltare gli insulti di chi va a chiedere conto di
quello che gli è successo.
Ingresso: Una sala d’aspetto, divisa in dipartimenti per due persone
con un parziale divisorio. L’isolamento è rigoroso in caso di epidemia.
Una sala per le cerimonie ed uno scivolo per l’uscita.

315
È necessario essere rapidi perché non ci sia il tempo di pentirsi. Chi
vuole la bicicletta impari a pedalare.
Materiale. Di due tipi: a) insostituibile e b) volontario.
a) una doccia fredda; un Comitato molto convinto della sua impor­
tantissima missione; un francobollo che dica: Passa, se ne hai il corag­
gio»; un timbro rosso o rosso-nero per il francobollo.
b) un palo.
Biblioteca. Un esemplare dei Comandamenti del Senso Comune.
Dipendenze connesse alla fabbrica. Un magazzino di ribattini, ferra­
menta, anelli e catene. Una tricromia allegorica della Libertà.
Funzionamento della fabbrica. È breve. Gli individui aspettano, in cop­
pie, nei dipartimenti per due persone.
Poi passano alla sala delle cerimonie. Non possono fare nulla, assolu­
tamente nulla, senza il francobollo. Gli si timbra un francobollo, le due
guance e la biancheria intima di entrambi gli individui.
Allora, il Comitato, con voce grave, legge loro i Comandamenti del
Senso Comune, che possono essere ridotti a tre:
10 Quando c’era il prete, vi ingannava il prete; quando c’era il giudice,
vi ingannava il giudice; adesso vi inganniamo noi, dato che venite appo­
sta per questo.
2° Chi non può vivere senza una garanzia di proprietà e di fedeltà, me­
rita le più vili oppressioni sul suo cuore (pericolo di asfissia).
3° Il passaggio nella fabbrica rilascia una patente di idiota e predispone
a due o tre dispiaceri quotidiani. Dobbiamo sapere quello che ci stiamo fa­
cendo!
La cerimonia è gratuita. Hanno già abbastanza disgrazie quelli che vi
prendono parte. Dopo gli viene messa la fede nuziale e la catena, gli si fa
baciare la tricromia del ComuniSmo Libertario e li si butta giù dallo scivolo.

Per evitare alterazioni alla buona riuscita della fabbrica, conviene


affiggere all’uscita questo cartello:

Non si ammettono reclami


[Fonte: “Progetto per la creazione di una fabbrica di matrimoni in serie (schi­
fezze autentiche)”, Mujeres Libres, n° 7].

316
Appendice D

Intervista a Martha Ackelsberg:


cultura anarchica e critica femminista
a cura di Rebecca DeW itt

Il libro di Martha Ackelsberg, Free Women o f Spaiti: Anarchism and


thè Struggle fa r thè Emancipation o f Women, (Mujeres Libres: l ’Anar­
chismo e la lotta per l ’emancipazione delle donne in Spagna) racconta la
storia di Mujeres Libres. Formatesi durante la Rivoluzione Spagnola,
Mujeres Libres fu un gruppo femminista ed anarchico dedito alla libera­
zione delle donne dalla loro “triplice schiavitù dal l’ignoranza, in quanto
donne e come produttrici”. Mujeres Libres esplora le lotte condotte dal
gruppo Mujeres Libres come donne anarchiche ed offre spunti al femmi­
nismo contemporaneo su questioni come la comunità, la diversità, l’em-
powerment e l’autonomia. Fornisce inoltre importanti contributi sia
all’anarchismo che al femminismo.
Ho incontrato la Ackelsberg il 6 gennaio 1997, per parlare con lei delle
difficoltà di studiare la storia anarchica, del suo lavoro di teorica sociale
radicale e delle prospettive femministe dell’anarchismo.

E stato molto difficile reperire il materiale storico o d ’archivio sugli


anarchici spagnoli in seguito alla loro intensa repressione politica?
Direi che la cosa difficile è stata incontrare queste donne, o avere noti­
zie su di loro, perché i miei primi informatori sono stati uomini che non
presero proprio sul serio le questioni di genere. Non penso che abbiano vo­
luto essere deliberatamente ostruzionisti, ma solo non ritenevano che fosse
una questione importante - non riuscivano proprio a comprenderlo.

317
Per quanto riguarda gli archivi, si tratta di un altro tipo di problema. Gli
archivi erano stati creati dall’esercito di Franco e dalla polizia segreta.
Avevano preso tutti i documenti dai posti che avevano occupato, e dopo la
fine della guerra li avevano usati per processare le persone con l’accusa di
tradimento. Si trattava di una incredibile documentazione. Quando andai
per la prima volta in Spagna, verso la metà degli anni ’70, gli archivi si tro­
vavano ancora sotto il controllo dei militari, non avevano nessun tipo di
ordine e catalogazione utile per uno storico. L’unica catalogazione era
stata fatta in base al posto del loro reperimento. Così non si poteva asso­
lutamente dire: “OK, ora cerchiamo qualcosa sulle collettivizzazioni - su
quale fascicolo avremmo dovuto guardare?” No, dovevi riuscire ad an­
dare oltre a tutto questo per vedere davvero cosa c’era. Era un metodo di
ricerca quantomeno ridicolo.
Più tardi, verso l’inizio degli anni ’80, mi confrontai invece con la paura
del periodo postfranchista. Molte persone avevano ancora paura di parlare.
Franco era morto da poco e la situazione politica spagnola, stando al loro
punto di vista, non era cambiata di molto. Dal di fuori sembrava che ci fosse
stata questa incredibile transizione verso la democrazia, ma le persone ave­
vano considerato la situazione e vi avevano visto sempre le stesse persone
al potere, anche se presumibilmente erano stati eletti democraticamente.

M ujeres Libres f u un gruppo essenzialm ente anarchico e fem m inista.


A nche i m etodi che hai usato p e r ricercare, analizzare ed studiare M u je­
res Libres sono stati basati sulle m edesim e convinzioni anti-autoritarie?
Ho usato le tecniche della storia sociale e di quella orale. L’intero
campo della storia sociale che si è sviluppato negli ultimi 30 anni si è de­
dicato a studiare quelli che sono stati denominati i gruppi marginali o su­
bordinati, lavoratori, e sostiene che nessuno può fare affidamento sui do­
cumenti ufficiali ma deve ampliare molto il suo campo d’analisi.
Persone come E.P. Thompson e Hobsbawn hanno creato questo campo
di studio negli anni ‘60, e / Ribelli di Hobsbawn è diventato una delle mie
chiavi di risorsa quando iniziai il progetto. Hobsbawn fu profondamente
anti-anarchico ed io ho preso posizione contro di lui su questo, ma stava
però considerando queste persone. Nessuno prima di lui aveva mai volto
prima lo sguardo per davvero verso le persone subordinate, ed il tipo di
fonti che gli storici sociali stanno ora usando in modo naturale - diari,
giornali, ecc. - non erano ritenuti legittimi. Si sono sviluppati interi nuovi
modi di pensare su come fare la storia, e io penso che Mujeres Libres fac­
cia parte di tutto questo.

318
H ai sperato di rinforzare il m ovim ento fem m inista contem poraneo
usando M ujeres Libres com e un esem pio storico. E stata tua intenzione
anche il voler consolidare - o aiutare a svilupparsi - il m ovim ento anar­
chico contem poraneo?
Sicuramente non ho nessun motivo per non volerlo fare. Vedo molti
punti di incontro fra il femminismo - certamente con quello degli inizi
negli anni ‘70 e qualche derivazione di questo che è poi continuato - e
l’anarchismo. Io, credo nella mia parte razionale, non penso che l’anar­
chismo rappresenti il futuro degli Stati Uniti; non è davvero il movimento
destinato ad avere un ruolo da protagonista. D’altra parte, penso che ci
sono degli aspetti della critica dell’autorità, dell’organizzazione e del
modo di fare le cose che devono essere recuperati, ricordati e ripresi nel
grande insieme della politica e della società.
Ho anche cercato di chiarire che c’è un’intera storia dell’anarchismo in­
tesa come movimento della trasformazione sociale che è veramente molto
importante e prezioso. Penso che la nostra poca conoscenza sul movi­
mento anarchico del paese sia un effetto della generale repressione della
Sinistra. Paul Avrich ha sicuramente fatto tanto per recuperare questa sto­
ria ma rimane ancora molto lavoro da fare. Gli anarchici hanno dato un
enorme contributo ad ogni tipo di movimento sociale - nel modo più
drammatico al movimento del lavoro - che nessuno riconosce come anar­
chico.

M ujeres Libres pubblicò un giornale ed organizzò dei tour di confe­


renze. Che cosa devono im parare gli anarchici di oggi dall ’im pegno nelle
idee e nel lavoro teorico di M ujeres Libres?
La forza di Mujeres Libres era di confrontarsi con le persone ovunque
si trovassero. Erano fondamentalmente un gruppo della classe operaia, e
questa è la maggiore differenza, secondo me, con la maggior parte degli
anarchici statunitensi del giorno d’oggi. Oggi la classe operaia è presente
in minima parte, perché il numero maggiore proviene dai circoli intellet­
tuali e dai campus delle università.
Quello che non si può dire è che Mujeres Libres non abbia avuto delle
teoriche, perché ci furono, ma cercarono costantemente di riuscire a capire
con quali problemi le persone avessero a che fare giorno per giorno e come
fosse possibile applicarvi le teorie anarchiche.
L’alfabetizzazione ha un grande peso nel loro lavoro. Una persona si
può domandare che cosa abbia a che fare l’alfabetizzazione con l’anar­
chismo, ebbene l’alfabetizzazione è strettamente connessa ad un senti­

319
mento di auto-rispetto: fino a quando quelle persone non avessero consi­
derato seriamente loro stesse e non avessero sentito che meritavano anche
loro una qualche forma di rispetto, non sarebbero mai state in grado di
avere un qualche impatto con il mondo. Così spesero una buona parte
delle risorse che potevano avere insegnando alle persone a leggere.
Non stavano facendo propaganda né tantomeno cercando di diffondere
la teoria anarchica. Stavano solo cercando di mobilitare le persone per
rendere migliori le loro vite, le loro condizioni di lavoro, e il loro mondo,
e stavano facendo questo seguendo linee anarchiche. Penso che suppo­
sero e sperarono che la gente avrebbe impiegato il tempo che aveva in più
ad imparare, il che avrebbe voluto dire essere in una organizzazione par­
tecipativa, relativamente non gerarchica, opposta ad una organizzazione
dove ogni cosa arriva dall’alto e va verso il basso. E tutto questo più ap­
poggiandosi sulla pratica che sulla teoria, e poi mettendolo in pratica.
Penso che questo sia uno degli aspetti da cui la moderna Sinistra potrebbe
imparare di più.

Negli ultimi 30 anni, m olti hanno riconosciuto la necessità di rivalutare


i presupposti di base di m olti cam pi - psicologia, filosofìa, linguistica,
ecc. - com e risultato di una percezione generata dal fem m inism o. Pensi
che l ’anarchism o richiede una sim ile trasform azione?
Sì e no. Proprio l’anno scorso ho condotto uno studio sulle trasforma­
zioni femministe dell’anarchismo. Quello che mi risulta più chiaro ri­
guarda la comprensione del potere, ed in parte lo devo al femminismo, in
parte al postmodernismo. Abbiamo bisogno di nuovi punti di vista a pro­
posito del potere. Persone come Kropotkin, Bakunin e la Goldman hanno
detto che abbiamo bisogno di abolire il potere, e le femministe hanno af­
fermato che per qualche aspetto questo è troppo semplicistico. Dobbiamo
riconfigurare il potere. Non te ne puoi sbarazzare completamente, anche se
Bakunin e Kropotkin, per qualche aspetto, hanno parlato di questo; ad
esempio loro hanno parlato dell’autorità naturale come opposta all’auto­
rità artificiale. Inoltre hanno anche riconosciuto che non è possibile sba­
razzarsene completamente. Penso che ora, con le prospettive del femmi­
nismo ed una più complessa visione del mondo c’è posto per un serio
ripensamento dell’anarchismo.

M ujeres Libres ha m osso una critica fem m inista al m ovim ento anar­
chico di quel periodo. Com e potrebbero le fem m iniste criticare l ’a n a r­
chism o di oggi?

320
Proprio con questo ripensamento del concetto di potere. Mentre stori­
camente molte teorie anarchiche sembravano essere in favore di una com­
pleta uguaglianza fra uomo e donna, sicuramente i movimenti anarchici
non hanno portato a termine quello che avrebbe voluto dire ad un livello
pratico. Io sospetto che questo sia ancora vero; ci sono certi preconcetti sui
ruoli degli uomini e delle donne che non sono ancora morti.
Il femminismo è ancora una questione marginale, non così seria come
l’ecologia, ad esempio. È il momento di un basilare ripensamento fem­
minista. Si potrebbe arrivare ad una diversa rappresentazione di quello
che è il movimento se si pensasse alle relazioni interpersonali come inte­
grali a quello che si sta facendo invece che come una fastidiosa spina nel
fianco.

Come studiosa d e ll’anarchism o e fem m inista in accademia, hai dovuto


com battere p e r il contenuto politico del tuo lavoro?
Sì e no. Sicuramente ci furono delle persone che non pensavano io fa­
cessi parte del Sm ith e ci fu anche chi cercò di escludermi solamente per
motivi politici, ma fortunatamente si tratta un numero molto piccolo. Ci
furono anche molte persone che mi hanno aiutato e che sono molto entu­
siaste del mio lavoro.
Io penso che per molti accademici di Sinistra la questione è come non
perdere una delle radici delle questioni politiche che ci porta in un primo
piano della teoria; e, allo stesso tempo, rendere il tuo lavoro accettabile per
i tuoi colleghi accademici. Per me, la grande battaglia fu di scrivere Free
W omen o fS p a in in modo da comunicare lo spirito di quelle donne e ren­
derlo accessibile a un pubblico non solo di storici spagnoli o teorici poli­
tici, pur riconoscendo il loro rilevante ruolo. Sento di aver avuto più suc­
cesso raggiungendo più il primo scopo che il secondo, e credo che questo
sia bello. A molti dei miei colleghi in realtà non importa; a loro interessa
solo che io abbia scritto questo libro e che sia stato pubblicato da una ri-
spettabile casa editrice.

Com e vedi un possibile sviluppo p e r il tuo lavoro?


Ho rivolto lo sguardo verso le questioni di genere e cittadinanza, e ho
pensato ai ruoli che ora la gente può assumere in politica, in generale de­
finiti, in opposizione ai modi in cui i politici sono solitamente rappresen­
tati. Vedo questo come un prolungamento del mio lavoro su Mujeres Li-
bres. Mi sono da poco trovata a parlare con alcuni amici su come avevamo
perso la visione utopica, anti-gerarchica, anti-autoritaria che avevamo

321
negli anni ‘60 e ‘70, e che è importante riarticolarla ancora. Così potrei oc­
cuparmi di questo nel prossimo lavoro, ma al momento sto ancora deci­
dendo.
Che cosa intendiamo con essere politici? Che cosa vuol dire essere un
cittadino quando ogni cosa è globalizzata e le persone si sentono sempre
più alienate? Queste sono le questioni che sto cercando di studiare. Mi
piacerebbe analizzare qualcuno di questi aspetti sulle organizzazioni di
base del lavoro ed altri per aiutare a rivitalizzare una visione utopica. Que­
sto è il territorio politico da cui provengo; come questo possa venire ela­
borato in un contesto accademico, non l’ho ancora specificato.

Ti consideri anarchica o non accetti nessuna specifica identificazione


politica ?
10 mi definisco di sinistra. Mentre stavo rilasciando interviste per il
mio libro, mi sarebbe piaciuto chiedere alla gente: “Come sei diventato
anarchico?” e loro avrebbero risposto “Io non sostengo di essere anar­
chico. Non sono abbastanza bravo”. Ho sempre pensato che ci fosse qual­
cosa di simpatico in questa frase, io mi sentivo un po’ come chi rispondeva
a questa domanda. Credo che ci sia una parte di me che dice che se dovessi
prendere una qualche etichetta prenderei questa. D’altra parte, non mi
comporto in tutto come gli anarchici, ad esempio, voto, prendo le elezioni
in modo molto serio, eccetera. Posso venire fuori con questa intera analisi
del perché non faccia nessuna differenza per chi uno voti alle elezioni pre­
sidenziali, ed una grande parte di me pensa questo. Comunque, non sono
ancora disposta a rinunciarvi completamente, perché questo è il mondo in
cui viviamo.
11 fatto è che è veramente difficile immaginarsi come vivere in questo
mondo, incredibilmente complesso, atrocemente alienante, in cui ci sono
incredibili mezzi di controllo e repressione, e la disuguaglianza sta cre­
scendo in modo smisurato e molto velocemente. Allo stesso tempo - la
gente ride di me a volte per essere troppo ottimista e credo che questo sia
dovuto alla mia parte anarchica - c’è un’incredibile potenziale per la mo­
bilitazione ed il cambiamento. E sono convinta che sia proprio questo a
farmi andare avanti.

322
Indice dei nomi

Abad de Santillán, Diego 77, 163, Cassañes, Enrique 135


192,193 Chaplin, Charlie 197
Alfonso Xlll 97,103,119,131 Claramunt, Teresa 108
Aransáez, Saturnino 246 Cloward, Richard A. 79, 294
Arcos, Federico 16, 20, 23, 41, 77, 168 Cobos, Maria Luisa 188,191,192,
194,215
Bakunin, Michele 42, 57, 66, 82, Comaposada, Mercedes 19, 32, 39,
99,320 129, 179, 181, 185, 186, 191,
Berenguer Guillén, Sara 19, 35, 36, 37, 200,212,215,217,218,219,
42, 123,215,216, 236, 240, 225,227, 256, 257, 263,313
241,242, 246, 247, 259 Conde, Carmen (Florentina) 60, 229,
Bemal, Antonio Miguel 93, 94, 95, 313
97, 98, 99 Costa, Joaquín 19,98,121,149,151
Borras, Eglantina 33, 35, 36 Cuadrado, Áurea 223, 225, 230,
Borras, Jacinto 19, 32, 33 231,240
Bosch, Aurora 97, 143, 157, 159, 160
Brietbart, Myma 294 Delso de Miguel, Ana 16, 19, 20,
Buber, Martin 287 213,245,279
Dowd Hall, Jacquelyn 295
Camicer Pepita 151, 152
Carpena, Pepita 19, 37, 38, 83, 135, Ellis, Havelock 68
152, 173, 199,212,215, Ergas, Yasmine 292
238, 242, 246, 260, 265 Escuder, Matilde 19, 137, 160
Carrasquer, Félix 19,121,123,137, Esenwein, George 23,91,92,
156,159, 160 100, 101, 102
Cases, Ana 20, 32, 123 Estorach, Soledad 17,019, 40,42,51,

323
80, 83, 126, 127, 135, Hayden, Dolores 307
136, 144, 145, 155, 161, 174, Herrera, Pedro 168
182, 183, 186, 199,211,214, Hewitt, Nancy 262, 295, 296
217,222, 243,246, 259 Hitler, Adolf 163, 169
Etchebéhére, Mika 141,224
Ibárruri, Dolores 201,255
Fanelli, Giuseppe 99,100 (La Pasionaria)
Farga Pellicer, Rafael 100 Iturbe, Lola (Kyralina)19, 32, 67, 105,
Fedem, Etta 206, 223, 225, 228, 110, 114, 172, 183, 185,223,240
235,236, 241,313
Fernández, Orobón 129,180 Javierre 67
Fernández Barba, Azucena 19, 33, Juanel, vedi Molina, Juan Manuel 32
103, 120, 128, 172, 173,242, 309
Fernández Rovira, Enriqueta 19, 34, Kaminski, H.E. 138,139
125, 128 Kaplan, Temma 20,2 3 ,4 3 ,9 1 ,9 9 ,
Ferrer i Guardia, Francisco 120, 121, 101, 102, 103, 109, 113,
122 114, 116, 286, 293
Florentina, vedi Conde Carmen Kollontai. Alexandra 130, 228, 236
Foucault, Michel 302 Kropotkin, Pietro 42, 55, 60, 62,
Fox Piven, Frances 79, 294 77, 82, 144, 320
Franco, Francisco 133, 163, 169, 318 Kyralina, vedi Iturbe Lola
Freud, Sigmund 68, 69
Friend Harding, Susan 94, 157 Lacerda de Moura, Maria 72, 74, 75
Frye, Marilyn 303 Largo Caballero, Francisco 165
Lazarte, Juan 72, 73
Gallardo, Mariano 57, 69, 74, 194 Lenin, Vladimir Ilyich 55,130
Gilligan, Carol 196, 210,283, 299 Liano, Conchita 185, 246
Goldman, Emma 42, 60, 76, 82, 83, Lida, Clara E. 20, 99, 100, 101, 120
87, 146, 163, 165, 166, 167,168, Lister, Enrique 167
169, 176, 177, 191, 197, 208, Lobo, Baltasar 39
239, 253, 264, 270, 300, 320 Lorde, Audre 48, 70, 302, 303
González, Virginia 106 Luxemburg, Rosa 130
Grangel, Pilar 219,220,227,233
Grave, Jean 121 Malthus, Thomas Herbert 73
Guillén, Conchita 19,36,212,216, Maranon, Gregorio 57, 65, 71,72
245, 246, 247, 277 Marianet, 135,245,256
Guillén, Jesús 241 vedi Vâsquez, Mariano R.
Gustavo, Soledad 63, 69, 75, 87, 126 Marti Ibanez, Félix 69,70,71
Marx, Carlo 57, 82, 283, 305

324
Mella, Ricardo 56, 58, 59, 60, 62, Poch y Gascon, Amparo 74, 181, 186,
65, 66, 79,81,84 228, 229, 235,313
Méndez, Casilda 139 Pons Prades, Eduardo 19, 32, 119,
Michel, Louise 181,231 147, 152, 162
Mirabé de Vallejo, Julia 240 Portales, Suceso 19,29,32,37,
Molina, Juan Manuel (Juanel) 32 42, 242, 267
Montseny, Federica 19, 60, 63, 64, 67, Prat, Dolores 19,20,117,148,
74, 75,76,81,87, 126, 150, 152
151, 164, 176, 177, 193, Prat, José 58, 60, 62, 87, 121
191,225, 239, 276, 300 Primo de Rivera, Miguel 37, 117,
Montseny, Juan 56, 58, 60, 63, 69 131,179
(Urales, Federico) Proudhon, Pierre-Joseph 42, 60, 61,
Montuenga 175 62, 66, 68,81,84
Mussolini, Benito 163, 169 Puente, Isaac 56, 57, 58, 62, 63,
Nash, Mary 19, 20, 66, 72,73,97, 64, 65, 66, 79
106, 138, 139, 140, 141, 142, Puig Elias, Juan 123,145,174
176, 187, 191,219, 225,240,
251,252, 255,273 Rich, Adrienne 48, 303
Nelken, Margarita 97, 106, 107 Robín, Paul 121
de Nó Galindo, Amada Victoria 246 Rocker, Milly 146
Rocker, Rudolf 146,165
Ocaña, Igualdad 19, 122, 123, 152, 178 Rodenas, Libertad 183, 246
Orwell, George 143, 145,167 Rodríguez García, Vicente 77
(Viroga, V.R.)
La Pasionaria, Rueda, Enríe 116
vedi Ibárruri Dolores
Pateman, Carole 61,233,306,307 Saavedra, Abelardo 33,41,102,
Paulis, Juan 114,229,230,231 118, 123, 126, 172
Peirats, José 19,111,133,139, Sánchez, Rosario 139,141
144, 146, 151,271 Sánchez Saomil, Lucía 39, 129, 176,
Pérez, Concha 19, 20, 137, 138, 139 179, 180, 181, 186, 187, 188, 191,
Pérez, Luisa 197 192, 193, 194, 195, 204, 208, 214,
Pérez Arcos, Pura 17, 19,41, 123, 157, 225, 227, 236, 242, 246, 247, 255,
174, 179, 191,222, 271 261,262, 264, 276, 277, 300
Pérez Baro, Albert 20, 149, 154 Schattschneider, E.E. 305
Pestalozzi, Johann Heinrich 197 Stalin, Giuseppe 164
Piera, Cristina 19, 109, 110, 122, 135 Starhawk 47
Piercy, Marge 281
Piller, Matilde 174,175 Taylor, Barbara 43, 45, 46, 68, 291

325
Tax Freeman, Susan 94
de Tena, Josefa 194
Tolstoi, Leone 121
Torrelles Graelles, Teresina 19, 179,
229, 230, 297
Torres, Josep 123

Ullman, Joan Connelly 110


Urales, Federico 56, 58, 60, 63, 69
vedi Juan Montseny

Vázquez, Mariano R. (Marianet) 186,


187,188, 189, 190, 253, 264
Vázquez Núñez, Pepita 139,142
Viroga (V.R.), vedi Rodríguez 77
García Vicente

Zetkin, Clara 130

326
Ackelsberg, A.Martha
Mujeres Libres: l’attualità della lotta delle donne anarchiche nella rivo­
luzione spagnola/ Martha A.Ackelsberg; traduzione di Arianna Fiore. -
Milano: Zero in Condotta, 2005.

1. Ackelsberg, A.Martha
2. Anarchismo - Spagna - 1936-1939
3. Mujeres Libres

Finito di stampare
nel mese di febbraio 2005
presso Arti Grafiche Bianca & Volta
Via del Santuario 2, Truccazzano (MI)

328
in fe re /
^ libre/
Durante la rivoluzione spagnola del
1936-39, diverse decine di migliaia di
donne, soprattutto operaie, presero il
loro destino in mano e ‘si aprirono
come delle rose’ nel vortice della più
grande rivoluzione sociale di tutti i
tempi. Il loro movimento, le 1Mujeres Li-
bres’ - le Donne Libere - è semplice-
mente unico nella storia dell’umanità.
Unico perché popolare, profonda­
mente radicato nella lotta sociale e
nella quotidianità del processo di
emancipazione delle donne. Unico
perché rivoluzionario e risolutamente
anticapitalista. Unico perché agli anti­
podi da un lato di un femminismo bor­
ghese sordo nei confronti delle condi­
zioni sociali dell’oppressione femminile,
e dall’altro di un femminismo marxista
cieco davanti all’esigenza di liberazione
sessuale, politica, egualitaria e libertaria
insita nel processo di emancipazione
delle donne. Unico perché inesorabil­
mente libertario nella sua lotta per la ‘li­
berazione’ dai lacci patriarcali, nono­
stante disconoscimenti vari. Talmente
unico che è sempre stato occultato da
quanti, uomini e donne, l’esperienza
delle Mujeres Libres non ha mai
smesso né smetterà di disturbare.
Questo libro è un nuovo ponte tra la ri­
voluzione libertaria di ieri, quella di do­
mani, e la sola che veramente valga,
quella di oggi.

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