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Danilo Siragusa
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« […] Cara Anita, amore mio caro, mio garoto, piango sotto le coperte
perché nessuno mi senta, perché oggi sembra che non avrò la forza di
sopportare una cosa così terribile. Ed è proprio per questo che mi sforzo di
dirvi addio adesso, per non farlo nelle ultime e difficili ore. Dopo questa
notte, voglio vivere per il breve futuro che mi resta. Da te ho imparato, caro,
cosa significa la forza di volontà, specialmente se emana da fonti come la
nostra. Ho lottato per ciò che c’è di più giusto e di più buono e di migliore
al mondo. Ti prometto adesso che fino all’ultimo istante non dovrai
vergognarti di me. Spero che mi capiate: prepararmi alla morte non vuol
dire che mi arrendo, ma che saprò affrontarla quando arriverà […]
Conserverò fino all’ultimo momento la voglia di vivere».
Olga Benario al marito Luís Carlos Prestes e alla figlia Anita Leocàdia, febbraio
1942.
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Il 7 giugno 1937 il piroscafo francese Mexique approda nel
porto messicano di Vera Cruz: a bordo ci sono 456 bambini tra
i 6 e i 12 anni provenienti dalla Spagna, dove infuria la guerra
civile. L’iniziativa di solidarietà era stata organizzata da un
gruppo di donne riunite nel Comité Iberoamericano de Ayuda
al Pueblo Español, guidato da Amalia Solórzano, moglie del
presidente Lázaro Cárdenas, e da María de los Ángeles
Azcárate di Chávez Orozco, allo scopo di dare protezione ai
figli dei combattenti repubblicani impegnati nel conflitto
contro le armate filofasciste di Francisco Franco. Ha qui
inizio la storia dei niños de Morelia.
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discriminanti del patrimonio artistico. Si pensi al lavoro sulla
figura di Ana Maria de Jesus Ribeiro, più nota come Anita
Garibaldi, nel cui monumento equestre al Gianicolo Mussolini
volle fosse inserita l’immagine di un bambino in fasce: una
forzatura ideologica, prima che iconografica, con cui
ricondurre la figura della rivoluzionaria nel più rassicurante
alveo della donna madre/angelo del focolare tanto cara al
fascismo. Allo stesso modo, con la perfomance I figli non sono
della lupa, lo spettacolo di burattini realizzato a Roma nel 2021
per Hidden Histories ed eccezionalmente riproposto per
l’opening della mostra, l’artista ha sollevato il problema del
razzismo istituzionale dei servizi sociali, visti come strumento
di repressione e violenza sociale, e delle ingerenze dello Stato
nella vita delle famiglie migranti.
La parola italiana storia, al pari della spagnola historia,
restituisce un doppio significato che i latini distinguevano in
res gestae (ciò che è accaduto, l’evento) e historia rerum
gestarum (il racconto dell’evento). Esplorando questa
ambiguità lessicale, Ortiz ha più volte decostruito e
reinterpretato le narrazioni storiche coloniali e razzializzate.
Nell’opera El ABC de la Europa racista (2017), un abbecedario
illustrato realizzato attraverso un percorso partecipato
insieme a madri single richiedenti asilo nel Regno Unito, ha
messo in luce il ruolo della letteratura per l’infanzia nella
costruzione di un immaginario collettivo eurocentrico, in
bilico tra paternalismo e criminalizzazione dell’altro.
La riflessione sul rapporto tra storia e memoria non passa
solo attraverso il piano simbolico: il processo creativo è agito
come un recupero e un rilancio di azioni dirette di attivismo.
Nel corso della sua pratica artistica, Daniela Ortiz ha abituato
il suo pubblico a confrontarsi con l’uso di media diversi. Per I
figli dei comunisti l’artista è tornata a cimentarsi con un
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manufatto popolare come il giocattolo, optando per un
oggetto culturale dalle origini transnazionali diventato nel
Novecento uno dei simboli della patria del socialismo reale: la
matrioska. Erede delle più antiche kokeshi giapponesi, a
dispetto della sua iconografia volutamente retrò la celebre
bambola di legno, raffigurante una figura femminile in abito
tradizionale, nasce solo alla fine del XIX secolo all’interno dei
«Laboratori dell’educazione infantile», sorti intorno al circolo
di Abramcevo con l’intento di promuovere l’arte popolare:
presentata all’Esposizione universale di Parigi del 1900, la
matrioska sarebbe ben presto diventata uno tra i più iconici
elementi del folklore russo.
L’azione artistica di Ortiz nasce da una riflessione
sull’oggetto/manufatto culturale come prodotto di un
determinato sistema politico ed economico, sul quale
intervenire mediante inserti e variazioni, mescolando livelli e
fonti culturali di diversa origine: un détournement che,
producendo uno scarto di senso, ne modifica l’originale
prospettiva. Abbandonata la struttura genealogica e di
racconto mise en abyme, la matrioska finisce con l’assumere i
connotati di una narrazione per immagini, i cui episodi sono
scanditi in una sequenza che, con graduale disvelamento,
illustra passo dopo passo personaggi ed eventi. La matrioska
di Daniela Ortiz mostra come, dietro una storia
apparentemente legata a una sola figura, a un solo
protagonista, si nasconda in realtà una vicenda complessa di
rilevanza politica collettiva, dove il lavoro di costruzione
iconografica rievoca la dimensione artigianale della ricerca e
del racconto storico.
È il caso della matrioska dedicata alle Madres (e alle Abuelas)
de Plaza de Mayo, il movimento delle madri dei desaparecidos,
i dissidenti politici uccisi durante la dittatura militare in
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Argentina tra il 1976 e il 1983. La prima immagine ritrae una
delle fondatrici, Norita Cortiñas, mentre mostra il volto del
figlio Gustavo, militante del Partido Justicialista e della
organizzazione guerrigliera dei Montoneros. La seconda ha le
sembianze di un neonato in fasce e rappresenta i figli dei
desaparecidos, alcuni dei quali nati in prigionia, tolti ai legittimi
genitori assassinati – i cui ritratti adornano le fasce dell’infante
– e dati in adozione ad altre coppie, talvolta alle famiglie dei
torturatori. Solo procedendo nel percorso di scoperta
troviamo 131 statuine, il numero di hijos che le Abuelas de
Plaza de Mayo hanno sinora rintracciato nel corso delle loro
ricerche e ai quali hanno rivelato la loro storia di figli di
desaparecidos. Al cuore del disvelamento simbolico vi è
dunque una vicenda di reale e dolorosa presa di coscienza con
cui lo spettatore è costretto a confrontarsi. All’interno del
progetto trovano spazio anche altre vicende collettive, come
quella dei niños de Morelia; o quella del programma
umanitario più lungo della storia, inaugurato a Cuba nel 1990
dopo il disastro di Chernobyl e che, grazie al lavoro volontario
di migliaia di cubani, nell’arco di 21 anni ha consentito di
accogliere e curare più di 26.000 bambini provenienti da
Russia, Bielorussia e Ucraina.
Lo studio di Daniela Ortiz pone l’accento sull’importanza delle
organizzazioni politiche nel proteggere e mettere al sicuro i
figli dei militanti comunisti: il ruolo di governi, comitati, gruppi
di pressione è letto dall’artista come una forma di resistenza
antifascista contro un genocidio programmato di donne,
uomini e idee. È il caso di Patrice Lumumba, primo presidente
nero del Congo indipendente, ucciso nel 1960 da un golpe
finanziato e sostenuto dalla CIA e dal governo belga. Fu
l’Egitto di Gamal Abdel Nasser, uno dei leader dei Paesi non
allineati impegnati nel processo di decolonizzazione
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dell’Africa, a dare asilo alla moglie e i figli dello statista
congolese, in nome della solidarietà terzomondista.
La vicenda della rivoluzionaria tedesca Olga Benario appare
paradigmatica nel rappresentare l’opposizione contro
l’avanzata del nazifascismo a livello globale. Nata a Monaco di
Baviera da una famiglia ebrea sefardita ed entrata a soli
quindici anni tra le fila della Lega Giovanile Comunista
Tedesca, negli anni della Repubblica di Weimar Olga è attiva
nel contrasto al movimento di Adolf Hitler. Costretta alla fuga
nell’URSS e divenuta ben presto un’agente internazionale
sotto copertura, conosce Luís Carlos Prestes, rivoluzionario
brasiliano che combatte il regime filofascista di Getulio
Vargas, salito al potere ne 1930 con un colpo di Stato. I due si
trasferiscono in Brasile sotto falso nome, mettendosi a capo di
un’insurrezione democratica destinata a fallire: traditi da
alcuni congiurati, vengono arrestati il 5 marzo 1936.
Al momento dell’arresto Olga è incinta di Luís Carlos. Di fronte
alla richiesta di estradizione in Germania avanzata dalla
Gestapo, Leocàdia e Ligia Prestes, madre e sorella di Luís
Carlos, intraprendono un viaggio in tutta Europa per
mobilitare l’opinione pubblica contro il provvedimento di
estradizione. Comitati per la liberazione di Prestes e Olga,
«ostaggi del nazifascismo brasiliano», si formano in Spagna,
Inghilterra, Francia e vedono l’impegno di militanti e
intellettuali quali Dolores Ibarruri, André Malraux e Romain
Rolland. Il 28 agosto 1936 Olga Benario viene estradata in
Germania come ‘regalo personale’ del governo brasiliano a
Hitler. Il 27 novembre viene alla luce una bambina, alla quale
viene dato il nome di Anita (in onore di Anita Garibaldi)
Leocàdia (come la madre di Prestes). Di fronte alla prospettiva
dell’orfanotrofio, il 21 gennaio 1938 Leocàdia e Ligia riescono
a ottenere l’affidamento della bambina. Cucito sull’abito il
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triangolo giallo delle ebree e quello nero delle detenute
«antisociali», Olga è deportata nei lager di Lichtenburg,
Ravensbruck e infine a Bernburg, dove viene uccisa nella
camera a gas il 23 aprile 1942.
Nel 2012 Anita Leocàdia Benario Prestes, esprimendosi a
favore della liberazione di cinque prigionieri politici cubani
detenuti negli USA, avrebbe ricordato l’importanza della
solidarietà internazionale che riuscì a salvare lei e molte altre
vittime dalla repressione fascista.
Con la matrioska dedicata alla militante paraguayana Carmen
Villalba, Daniela Ortiz sgombra infine il campo dall’illusione
che la persecuzione dei figli dei comunisti sia un affare del
secolo scorso, ribadendo con forza la necessità di una pratica
artistica anticoloniale e antimperialista come prosecuzione
dell’attivismo di movimenti, partiti e associazioni. Prigioniera
politica, insieme al marito Alcides Oviedo, ed esponente
dell’Ejército del Pueblo Paraguayo (EPP), da più di due anni
Villalba denuncia la scomparsa della figlia Lichita: il timore dei
familiari è che la ragazza possa aver subito la stessa sorte delle
cugine Lilian e María Carmen, due ragazzine di 11 anni
torturate e uccise dalla Fuerza de Tarea Conjunta del Paraguay
nel corso di un’offensiva contro la guerriglia dell’EPP.
La campagna internazionale #EranNiñas, che vede
protagoniste le Madres de Plaza de Mayo Línea Fundadora,
l’associazione «Pañuelos en Rebeldía», la paraguayana
Plataforma Social Memoria y Democracia e la Liga Argentina
por los derechos humanos, oltre al Partido Comunista
Paraguayo e a rappresentanti del Tribunal Ético Popular
Feminista e dell’Asociación de Ex Detenidos Desaparecidos de
Argentina, si batte per avere risposta sulle responsabilità
dell’uccisione delle due bambine e della sparizione di Lichita.
L’assassinio dei figli appare a Ortiz come la negazione del
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futuro del popolo paraguayano: le ultime tre matrioska, le più
piccole, contengono rispettivamente una prigione, il volto di
Mario Abdo Benítez, presidente del Paraguay, e quello dell’ex
ministro degli Interni Euclides Acevedo. Alla
dimensione politica corrisponde quella del feticcio;
Ortiz opera un ribaltamento dell’ingiustizia, mettendo i
carnefici, massimi rappresentanti del potere politico, dalla
parte opposta delle sbarre.
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Lo sguardo di Anteo
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L’attentato a Benito Mussolini avvenuto a Bologna il 31
ottobre 1926 per mano di Anteo Zamboni, costituì un punto
di svolta nella storia d’Italia: forte dell’emozione suscitata
dall’avvenimento, il governo procedette alla promulgazione
delle Leggi per la difesa dello Stato, con cui fu decretata la fine
del vecchio ordinamento liberal-democratico e compiuto un
passo decisivo nella definitiva istaurazione del regime fascista.
Al tempo stesso questa giornata particolare può essere
raccontata come una storia di allegorie e immagini. L’intera
città è addobbata per la Festa della rivoluzione fascista, la più
importante cerimonia militare dell’anno. Un enorme fascio
littorio tricolore sormonta la facciata della stazione. Mussolini
a cavallo inaugura lo stadio del Littoriale. Un mastodontico
spiegamento di forze viene predisposto a difesa del duce, che
nell’ultimo anno è sfuggito a tre attentati: per le strade un
gruppo di fascisti in divisa trascina un lugubre carro
carnascialesco raffigurante un manichino impiccato a una
forca, invocando la pena di morte per gli attentatori. Quando
la macchina di Mussolini sbuca al Canton dei Fiori echeggia
uno sparo. La pallottola raggiunge il duce trapassando il
bavero dell’uniforme della milizia (simbolo del fascismo) e la
fascia dell’Ordine mauriziano (simbolo della monarchia
sabauda), lasciandolo indenne. La folla assale il quindicenne
Anteo Zamboni, colpito da calci, pugni, morsi e pugnalato più
volte da esponenti della milizia e degli arditi.
Ciò che colpisce, in questa ricostruzione iconografica, è
l’assenza del volto di Anteo. Negato nel corpo, sul quale la
violenza squadrista continuò a infierire anche da morto, al
punto che il padre stentò a riconoscere in quel cadavere
sfigurato le sembianze del figlio. E negato persino in effigie: su
disposizione del ministro degli Interni, Luigi Federzoni, sui
giornali non comparve alcuna fotografia dell’attentatore, il cui
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volto adolescente avrebbe rischiato di mettere in serio
imbarazzo il regime.
Daniela Ortiz rende omaggio al giovane antifascista,
espressione della rivolta dei più giovani contro una
fascistizzazione della società che proprio nell’infanzia aveva
avuto il suo bersaglio privilegiato. Spezzando questa doppia
damnatio memoriae, l’artista restituisce allo spettatore il viso
sereno di Anteo, un sorriso accennato, gli occhi buoni e
intensi. Uno sguardo che non può non interrogarci – oggi più
di ieri – sul valore del sacrificio del giovane rivoluzionario.
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Danilo Siragusa (Catania/1974)
Danilo Siragusa è dottore di ricerca in Storia della società europea in età moderna
e cultore della materia presso il dipartimento di Studi Storici dell'Università degli
studi di Torino. Ha insegnato Didattica della storia presso il medesimo ateneo ed
è stato borsista della fondazione "L. Einaudi" di Torino. Le sue ricerche vertono
principalmente sulla storia culturale e politica dell'Italia del XVIII secolo, sul falso
storico in età moderna, sul rapporto tra storia e cultura di massa e sulla didattica
della storia. Tra le sue pubblicazioni più recenti la monografia Lo storico e il
falsario. Rosario Gregorio e l’«arabica impostura» (1782-1796) (Milano,
FrancoAngeli, 2019). Attualmente insegna in un liceo di Torino.
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Danilo Siragusa
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“ […] Dear Anita, my dear love, my garoto. I am crying under the covers so
that no one will hear me, because today it seems I will not have the
strength to endure something so terrible. And that is precisely why I am
making the effort to say farewell to you now, so as not to do so in the final,
difficult hours. After this night, I want to live for the short future I have left.
From you I have learnt, dear, what willpower means, especially when it
issues from sources like ours. I have fought for what is fairest and best in
the world. I promise you now that until the last moment you will have no
reason to be ashamed of me. I hope you understand: preparing for death
does not mean I am giving up, but that I will be ready how to face it when
it comes [...]. I will maintain the will to live up until the last moment.
Olga Benario to her husband Luís Carlos Prestes and her daughter Anita
Leocàdia, February 1942.
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On 7 June 1937, the French steamer Mexique docked in the
Mexican port of Vera Cruz: on board were 456 children aged
between six and twelve from Spain, where civil war was
raging. The solidarity initiative had been organised by a group
of women united in the Comité Iberoamericano de Ayuda al
Pueblo Español, led by Amalia Solórzano, wife of President
Lázaro Cárdenas, and María de los Ángeles Azcárate of Chávez
Orozco, with the aim of giving protection to the children of
Republican fighters engaged in the conflict against the pro-
fascist armies of Francisco Franco. Here begins the story of the
niños de Morelia.
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defence and protection of children in the name of
internationalist solidarity.
The Italian word storia, just like the Spanish word historia, has
a double meaning, which the Latin-speaking world instead
broke down into res gestae (what happened, the event) and
historia rerum gestarum (the telling of the event). Exploring
this lexical ambiguity, Ortiz has repeatedly deconstructed and
reinterpreted colonial and racialised historical narratives. In
her work El ABC de la Europa racista (‘An ABC of Racist Europe’,
2017), an illustrated primer created through a participatory
journey with single mothers seeking asylum in the United
Kingdom, she highlighted the role of children’s literature in
the construction of a Eurocentric collective imaginary, poised
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between paternalism and the criminalisation of others. A
reflection on the relationship between history and memory
does not only pass through the symbolic level: the creative
process is deployed as a recovery and revival of the direct
actions of activism.
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events step by step. Daniela Ortiz’s matryoshka shows how,
behind a story apparently linked to a single figure, a single
protagonist, there is actually a complex event of collective
political relevance, in which the process of iconographic
construction evokes the craft dimension of research and
historical narration.
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twenty-one years made it possible to welcome and treat more
than 26,000 children from Russia, Belarus and Ukraine.
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At the time of her arrest, Olga was pregnant by Luís Carlos.
Faced with the Gestapo’s request for her extradition to
Germany, Leocàdia and Ligia Prestes, mother and sister of Luís
Carlos, embarked on a journey across Europe to mobilise
public opinion against the extradition order. Committees for
the liberation of Prestes and Olga, ‘hostages of Brazilian Nazi-
fascism’, were formed in Spain, England and France, and led
to the commitment of militants and intellectuals such as
Dolores Ibarruri, André Malraux and Romain Rolland. On 28
August 1936, Olga Benario was extradited to Germany as a
‘personal gift’ from the Brazilian government to Hitler. On 27
November, a baby girl was born, who named Anita (in honour
of Anita Garibaldi) Leocàdia (after Prestes’s mother). Despite
the orphanage’s opposition, on 21 January 1938, Leocàdia
and Ligia succeeded in obtaining custody of the child. With
the yellow triangle of the Jews and the black triangle of ‘anti-
social’ inmates sewn onto her dress, Olga was deported to the
concentration camps of Lichtenburg, Ravensbruck and finally
to Bernburg, where she was killed in the gas chamber on 23
April 1942.
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continuation of the activism of movements, parties and
associations. As a political prisoner, together with her
husband Alcides Oviedo, and a member of the Ejército del
Pueblo Paraguayo (EPP), Villalba has been denouncing the
disappearance of her daughter Lichita for more than two
years: her family fears that the girl may have suffered the same
fate as her cousins Lilian and María Carmen, two eleven-year-
old girls tortured and killed by the Fuerza de Tarea Conjunta
of Paraguay during an offensive against EPP guerrillas.
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The gaze of Anteo
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The assassination attempt on Benito Mussolini. which took
place in Bologna on 31 October 1926 at the hands of Anteo
Zamboni, constituted a turning point in the history of Italy: on
the strength of the fury aroused by the incident, the
government proceeded to promulgate the Laws for the
Defence of the State, with which the end of the old liberal-
democratic order was decreed and a decisive step was taken
towards the definitive establishment of the fascist regime.
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son on that disfigured corpse. And denied even in effigy: by
order of the then Minister of the Interior, Luigi Federzoni, no
photograph of the assailant – whose adolescent face would
have risked seriously embarrassing the regime – was to
appear in the newspapers.
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Danilo Siragusa (Catania/1974)
Danilo Siragusa holds a PhD in History of European Society in the Modern Age and
is a lecturer at the Department of Historical Studies, University of Turin. He has
taught Didactics of History at the same university and was a scholarship holder at
the ‘L. Einaudi’ foundation in Turin. His research focuses mainly on the cultural and
political history of eighteenth-century Italy, on historical falsehoods in the modern
age, the relationship between history and mass culture and the teaching of history.
His most recent publications include the monograph Lo storico e il falsario. Rosario
Gregorio e l’“arabica imposture” (1782–1796) (Milan, FrancoAngeli, 2019). He
currently teaches at a high school in Turin.
Through her work, she aims to generate visual narratives in which the concepts of
nationality, racialization, social class and genre are explored so as to critically
understand structures of colonial, patriarchal and capitalist power. Her recent
projects and research deal with the European migratory control system, its links
to colonialism and the legal structure created by European institutions in order to
inflict violence on racialized and migrant communities. She has also developed
projects about the Peruvian upper class and its exploitative relationship with
domestic workers. Recently, her artistic practice has reverted to visual and manual
work, developing artworks in ceramic, collage and formats such as children’s
books in order to shift away from the aesthetics of Eurocentric conceptual art.
Apart from her artistic practice, she is the mother of two sons, she gives talks,
holds workshops, carries out investigations and participates in discussions on
Europe’s migratory control system and its ties to coloniality in various contexts.
Her work is to be found in numerous public collections, including: Museo
Nacional Reina Sofia, Madrid; MACBA, Barcelona; Mali, Museo de Arte de Lima;
Cnap Le Centre national des arts plastiques, Paris FRAC Pays de la Loire; MUDAM,
Luxemburg.
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