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Made in Italy
Storia del design italiano
O Editori Laterm
Proprietà letteraria riservata
Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari
Ciò che caratterizzava la mia Storia del design, pubblicata nel 1 985 , era il
fatto che la vicenda narrata era sostenuta da un impianto teorico e «ridutti
vo» nel senso che dirò più avanti. In precedenza, la letteratura italiana
sull'argomento poteva classificarsi in due direzioni: l'una tendente alla ricer
ca di una definizione del design, l'altra a esporre e inquadrare gli eventi, ri
feriti ai prodotti, ai progettisti, alle industrie, ecc. Generalmente, queste due
linee stentavano a intrecciarsi e rimanevano oscillanti tra un carattere artisti
co-culturale e un altro produttivo-commerciale. La gran parte di questi pro
blematici aspetti veniva forse risolta dalla mia idea di non dare una defini
zione del design, ma di presentarlo per come si manifestava, cioè per la sua
fenomenologia, ovvero una esperienza unitaria basata tuttavia su quattro
componenti: il progetto, la produzione, la vendita e il consumo, ognuna di
pendente da tutte le altre, donde la cosiddetta «teoria del quadrifoglio».
L'idea si è dimostrata di notevole utilità, specie in campo didattico. Non
più l'apodittico binomio «dal cucchiaio alla città», mirante a dimostrare
che la nuova p rogettazione aveva un metodo unico applicabile a tutto e a
ogni scala, ma un sistema che, pur confermando il carattere unitario del
design, consentiva di studiare separatamente le sue quattro parti e storica
mente di verificare in quale nazione ciascuna di esse caratterizzava mag
giormente la produzione.
Fin qui il riferimento sintetico al libro dell'85 , che interessava i princi
pali paesi impegnati nella cultura del design. Quali esigenze mi hanno
spinto a redigere il presente testo, particolarmente incentrato sul design
italiano? Oltre alla volontà di un approfondimento consentito da un am
bito più limitato, con le peculiarità proprie di una nazione come la nostra,
il desiderio di affrontare altri problemi sia teorici che storici.
Primo fra tutti quello per cui - come ha osservato Maldonado - «non
c'è un solo industriai design, ma ve ne sono parecchi, molto diversi l'uno
dall'altro. La concezione monistica di industriai design dovrà essere sosti
tuita da una concezione pluralistica»1 . D'altra parte, qualcosa deve pur le-
VI Introduzione
lian style e in pari tempo le sue opere più importanti, colte nella loro sto
ricità, vale a dire il legame con i fatti e le idee del proprio tempo.
Un'altra tesi informa questo libro: quella per cui tutto il discorso sul de
sign - segnatamente in Italia dove mancano o, almeno, sono mancati più
solidi riferimenti (risorse, grandi imprese industriali, vasta committenza)
possa trovare il suo esito in un fattore più inclusivo e riduttivo degli altri:
mi riferisco al fenomeno del gusto, inteso (e qui il senso più attuale di es
so) come la componente dicibile, razionale, comunicabile del piacere este
tico. A esso bisogna condizionare i quattro momenti della progettazione,
della produzione, della vendita e del consumo, nonché gli stessi aspetti ar
tistici, tecnici, sociali, economici, semantici e simili di cui è piena la lette
ratura sul design. Si potranno scrivere interi trattati sulla tecnologia, la sto
ria dell'industria, la scienza della comunicazione, il vecchio binomio valo
re d'uso-valore di scambio, l'ecologia ecc., ma - in una stagione della cul
tura dove tutta l'eteronomia è o sembra possibile - finché il fattore gusto
non entrerà nei testi con la sua «arbitrarietà» resteremo sempre fuori
dall'esperienza del design. Anche con qualche contraddizione, Persico an
ticipava questa tesi: «non esiste che un problema di gusto»6; «il problema
del gusto si identifica con quello stesso della comune civiltà moderna>/;
«una storia dell'arte si può sempre risolvere in un compendio di storia ci
vile: basta mettere le vicende umane allo specchio dei valori plastici»8.
Qual è in definitiva la struttura di questo libro?
Grazie alla facoltà selettiva della storiografia, ho scelto di organizzare
gli argomenti suddividendoli in capitoli, ognuno sotto forma di stile-«arti
ficio storiografico». Tale struttura, se talvolta trascura la cronologia per
evidenziare le invarianti formali, mi sembra tuttavia la più inclusiva di te
mi e problemi, e tale da comprendere sia gli aspetti monistici sia quelli plu
ralistici del design.
Alla redazione di questo saggio hanno collaborato a vario titolo Ales
sandra de Martini, Imma Forino, Emma Labruna e Rosa Losito, alle qua
li va il mio più vivo ringraziamento.
Note
1 T. Maldonado, Arte e industria, in A vanguardia e razionalità, Einaudi, Torino 1974, p. 144.
2 A. Hauser, Le teorie dell'arte, Einaudi, Torino 1969, p. 173.
3 lvi, p. 174.
4 lvi, p. 178.
5 G. Kubler, La forma del tempo, Einaudi, Torino 1 976, p. 83 .
6 E. Persico, Profezia dell'archltettura, conferenza del 1935, in Scritti critici e polemici, Rosa e Bal
lo, Milano 1 947, p. 206.
7 Id., Primitivi, in <<Casabella», febbraio 1 935.
8 Id., Sull'arte italzcma, in Scritti critici e polemici cit., p. 3 1 1 .
Made in Italy
Capitolo primo ·
L'incipit liberty
Benché in forte anticipo sui tempi, Argan collega l'Art Nouveau al de
sign. Parlando dei principali artisti europei attivi all'inizio del secolo XX,
osserva che l'alto valore della loro opera «fissa il principio della 'qualità'
nel prodotto industriale. E in tanto lo fissa, in quanto l'idea della forma co
me ritmo o musicalità disgiunti da una funzione rappresentativa costitui
sce la prima intuizione di un 'bello' che si attua piuttosto nella ideazione
che nel processo esecutivo e che si pone come un a priori dell'utile. Sosti
tuendo al 'feticismo del prodotto o della merce' il feticismo del progetto,
del 'design', quel 'bello' cesserà infatti di essere unico e irripetibile e varrà,
invece, proprio per la sua infinita ripetibilità, cioè per la sua illimitata, li
vellatrice espansione in tutta la sfera sociale»1 .
Come dicevo, ciò che scrive Argan anticipa notevolmente quanto, in
fatto di design, si è pensato e realizzato dopo. È ben vero che, a partire da
una «incerta» data, l'interesse degli artisti si sposta dall'oggetto al proget
to; che si p rogetta non più artigianalmente, ovvero man mano che si com
pie il p rocesso di lavorazione, bensì ne varietur, ossia in maniera tale che il
progetto contenga e preveda tale processo e quindi in grado di replicare a
volontà l'oggetto una volta costruito il prototipo, ma questo avvenne mol
to più tardi rispetto alla stagione del Liberty. In essa, solo in teoria si au
spica la produzione seriale, la quantità coniugata alla qualità, ma nella rea
le esperienza storica si verificano due fenomeni, costituenti il grande me
rito dell'Art Nouveau, della Secessione, dello Jugendstil, del Floreale ( co
me in vario modo fu chiamata nei diversi paesi la tendenza di cui ci occu
piamo) .
I l primo consiste in ciò che, nonostante il Liberty sia nato sul finire
dell'Ottocento, non può non considerarsi come il primo stile del XX se
colo, notoriamente caratterizzato dall'essersi affrancato da quasi ogni sor
ta di eclettismo storicista, pur conservando l'intenzione di essere uno stile
come quelli del passato che informa tutti i campi della figurazione.
Il secondo, sulla scorta dell'opera di William Morris, fu quello di ri-
4 Made in Italy
fatti fin dal primo corso sperimentale del 1 903 gli insegnanti delle sezioni
di Lavorazione artistica del ferro e di Ebanisteria erano rispettivamente il
Mazzucotelli e il Quarti. [ . . . ] Dalle analisi della importante industria del
mobile in Brianza rispetto alla distribuzione, alla produzione, e ai model
li, risulta a esempio che la refrattarietà degli artigiani alla semplificazione
formale era in ragione anche del minimo livello di meccanizzazione delle
piccole industrie. Alla produzione straniera più lineare e semplificata se
condo i dettami dell'arte nuova si contrapponeva un laborioso lavoro di
decorazione e di intaglio reso competitivo grazie a bassissimi salari»7•
Nel campo delle esposizioni, dopo quella citata di Torino del 1 902 , do
ve peraltro figurano le prime automobili, va ricordata quella di Venezia del
1 903 , nella quale riscossero grande successo le Sale del Mezzogiorno, di
rette da Ernesto Basile, che univano prodotti siciliani e napoletani. Il pro
gramma della mostra veneziana prevedeva la partecipazione italiana divi
sa per regioni e, iniziativa di maggiore interesse, la formazione di ambien
ti interamente arredati nei quali inserire le opere di pittura, scultura e in
cisione. Tale programma, rispondente alla diffusa esigenza di comporre la
scissione tra arte pura e applicata, tra oggetto e ambiente, trovò piena cor
rispondenza nella sola partecipazione meridionale. I napoletani presenta
rono opere di Gigante, Morelli, Gemito e parteciparono con le ditte Figu
lina Artistica Meridionale, con l'opificio seri co di San Leucio, manifattura
casertana posta al centro di una comunità di artefici fondata da Ferdinan
do IV di Borbone (che al tempo della mostra era diretta dal marchese Mez
zacapo) e con l'officina di Angelo Grossi, cui si devono le maggiori realiz
zazioni in ferro delle suppellettili e dell'edilizia floreale napoletana. «Le
Sale del Mezzogiorno sembrano le più importanti e le mie preferenze sal
gono al punto di mettere il successo di Venezia sopra a quello di Torino;
per quanto io sia stato concorde nel giudizio sopra il Basile all'Internazio
nale torinese del 1 902» affermava Alfredo Melani sull' «Arte Italiana deco
rativa e industriale». I consensi che accompagnarono la partecipazione
meridionale alle rassegne veneziane successive ( 1 905 - 1 907 ) indicano, tra
l'altro, quanto poco fondata sia la considerazione secondo la quale l'opera
di Basile fosse limitata all'ambito provinciale. Se la sua attività di costrut
tore è legata alla borghesia siciliana, il suo intervento nel settore delle arti
applicate ebbe influenza in tutto il paese, oltre che per le manifestazioni ri
cordate, grazie anche alle numerose succursali della siciliana ditta Ducrot.
Ernesto Basile, forse il maggiore esponente del Liberty e certamente del
protodesign omonimo, era in quegli anni una delle personalità più note
della moderna architettura italiana; aveva realizzato già la villa Florio
( 1 898) , la villa Paternò ( 1 898), l'edificio alla mostra agricola di Palermo del
1 900, la cappella Scalea ( 190 1 ) e redatto numerosi progetti secondo il nuo
vo indirizzo floreale. Nel settore delle arti applicate, o meglio dell'arreda-
I. L'incipit lzberty 13
mento, i l suo nome·è legato a quell� d i Vittorio Ducrot, che a l tempo del
la realizzazione della villa Florio era direttore della ditta costruttrice Go
lia. Questa cominciò la sua produzione come piccolo laboratorio di tap
pezzeria e di specchi artistici impiegandp una ventina di operai, per di
ventare nel 1 9 1 1 una fabbrica completa di elementi d'arredo con 400 ad
detti e dotata delle più moderne macchine per la lavorazione del legno. La
collaborazione di Basile cominciò a essere sistematica quando Ducrot di
venne unico p roprietario della ditta che, oltre alla fabbricazione dei mobi
li, s'impegnò nell'arredamento per alberghi e navi e nella costruzione di
idrovolanti e realizzò una capillare rete di distribuzione di negozi nelle
p rincipali città italiane.
Nel quadro italiano delle arti applicate del primo Novecento, domina
to da mobilieri ed ebanisti, i migliori dei quali preferivano essi stessi dise
gnare i modelli della loro produzione, le cooperazioni sul tipo di quella tra
l'architetto Moretti e il mobiliere Ceruti di Milano e soprattutto di quella
Basile-Ducrot rappresentavano i pochi episodi che in Italia corrispondes
sero al movimento europeo. All'Esposizione di Torino i mobili siciliani e il
trinomio Basile, Ducrot e Antonio Ugo ottennero il gran diploma di ono
re e ben presto i prodotti della ditta cominciarono a essere conosciuti non
solo in Italia ma anche in Francia e in Inghilterra. Un'altrà esposizione da
menzionare fu quella tenuta a Milano nel 1 906, aperta in occasione
dell'inaugurazione del traforo del Sempione e importante soprattutto per
la presenza delle automobili con modelli Fiat, Isotta Fraschini e Pirelli. I
rapporti fra l'Italia e l'Europa costituivano un continuo scambio: l'im
prenditore siciliano, ad esempio, importava dalla Francia e dall'Inghilter
ra macchinari, materiali, modelli, mano d'opera specializzata. Del resto,
come sostiene Morandi, tutta la giovane industria italiana si avvaleva
dell'elemento tecnico e dirigente venuto da fuori, quando tedeschi, svizze
ri, francesi erano i capi-fabbrica e il personale tecnico, che s'importava in
sieme al macchinario8. Ciononostante, la produzione seriale degli oggetti
liberty non fece in tempo a decollare; infatti prima della diffusione del
nuovo stile l'industria produceva in serie solo mobili negli stili tradiziona
li; dopo, una volta superato il gusto floreale, tutte le industrie, nessuna
esclusa, ritornarono a farlo.
In complesso, le arti del periodo liberty realizzarono solo in parte quel
programma di unione con l'industria, come del resto - nonostante la di
versa condizione economico-finanziaria - avvenne negli altri paesi euro
pei. In Italia come altrove, tranne rare eccezioni, si continuò a fare un mi
sto di artigianato e design, che in un precedente saggio abbiamo definito
artidesign, vigente ancora oggi, giusta la differenza fra un settore e l'altro
come vuole la visione pluralistica del design. A tal proposito, non è vero
peraltro che i p rodotti informati al nuovo stile furono solo appannaggio di
14 Made in Italy
una élite. Questo vale per quanto riguarda gli articoli di lusso, ma non tut
ti, il Liberty avendo influenzato notoriamente ogni sorta di prodotto, dal
più ricco al più povero.
E veniamo agli aspetti morfologici del protodesign liberty. Oltre alla
eredità di Thonet, di notevole importanza fu l'ispirazione alla natura. Ri
ferendoci per un momento ai maggiori esempi internazionali, a seconda
del modo di porsi nei confronti di questa si può notare tutta una gamma
di stilemi: Horta «imita» della natura non l'aspetto, ma gli organici pro
cessi che ne determinano le forme e gli equilibri formali, usando infatti af
fermare «je laisse la fleur et la feuille et je prend la tige». Van de Velde, reo
rizzando che la «linea è una forza», della stessa realtà organica cerca di co
gliere e di razionalizzare il rapporto fra forma e movimento; gli arredatori
francesi e segnatamente quelli della scuola di Nancy si abbandonano, vi
ceversa, più a un florealismo naturalistico, stilizzato tuttavia secondo vari
aspetti della tradizione nazionale. Gli stilemi dell'Art Nouveau franco-bel
ga sono tra i più lineari di uno stile che in genere ha nella linea il suo ca
rattere esponente. Su questo tema è stato opportunamente osservato:
«l'elemento caratterizzante della linea Art Nouveau sembra essere almeno
agli inizi l'andamento sinusoidale avvolgente che si accompagna di solito a
un processo di moltiplicazione, di sdoppiamento, di eco: più che di una li
nea si tratta di un sistema, di una famiglia di linee che partono da un im
pulso comune e tendono a liberarsene conquistando una loro autonomia.
Si è parlato della sagoma che assume una frusta agitata in aria nell'intento
di generare lo schiocco ma il coup de /ouet coglie solo un aspetto di questa
particolare forma strutturale; per definirla meglio occorre notare come i
plessi lineari tipici dello stile evochino un movimento contrastato come av
viene quando qualcosa si muove all'interno di un fluido. [ . ] Dalla pre
..
Certo, non tutto il Liberty italiano fu floreale, né legato agli organici an
damenti sinusoidali delle linee. Guardando forse alla linearità geometrica
di Charles Rennie Mackintosh, vi furono anche nelle nostre regioni co
struzioni ed elementi d'arredo in cui le linee, specie nei ferri battuti, e i vo
lumi si regolarizzavano in una geometria più rigorosa, quella stessa che
Mackintosh aveva trasmesso al Protorazionalismo austriaco e da qui al re
sto d'Europa. Com'è stato ricordato, «la produzione seriale, caratterizzata
nel primo periodo da linee sinuose e fluttuanti e da una abbondante deco
razione floreale, comincia poco per volta a risentire dell'influenza scozze
se e austriaca e si orienta verso austere forme geometriche»12.
E colgo qui l'occasione per ribadire che il principale fattore presente
nelle arti applicate di ieri come nel design di oggi è il fattore gusto che, con
le sue oscillazioni, va considerato il motore dell'intero sistema design.
Note
1 G.C. Argan, L'«Art Nouveau», in Studi e note, Bocca, Roma 1955, p. 281.
2
A. Pansera, Storta del disegno industrzale in Italia, Laterza, Roma-Bari 1993 , p. 6.
3 M. Calzavara, L'architetto Gaetano Morelli, in <<Casabella>>, n. 2 1 8 .
4 <<L'Arre decorativa moderna>>, a . l , 1 902, n. l.
� Ibid.
6 O. Fava, Il Museo Artistico Industriale di Napoli, in Napoli d'oggi, Pierro, Napoli 1 900, p. 407.
7 V. Gregotti, L. Berni, P. Farina, A. Grimaldi, F. Raggi, Per una storia del design italiano, 1860-
1914. Le riviste, le scuole e il dibattito delle tdee, in <<Ottagono>>, n. 34, settembre 1974.
8 Cfr. R. Morandi, Stona della grande industria in Italia, Einaudi, Torino 1959.
9 G. Massobrio, P. Portoghesi, Album del Liberty, Laterza, Roma-Bari 1975, pp. 3 1 -33.
1 0 H. Van de Velde, La linea è una/orza, in «Casabella-continuità>>, n. 237, marzo 1960.
1 1 W. Benjamin, L 'opera d 'arte nell'epoca della sua riproduàbzlità tecnica, Einaudi, Torino 1966,
p. 22.
12
I. de Guttry, M.P. Maino, Il mobile liberty italiano, Laterza, Roma-Bari 1983, p. 48.
Capitolo secondo La reazione futurista
bili, stoffe dipinte, cuscini, tende, arazzi, tappeti, cuoi, ceramiche, lampa
de, ecc. nonché di bozzetti e progetti diversi. L'anno dopo la Casa d'Arte
italiana organizzò una grande mostra d'arte teatrale e, come prima mani
festazione della stagione 1 920-2 1 dedicata all'arte d'avanguardia, allestì
una vasta esposizione degli espressionisti della Novembergruppe di Berlino
(40 opere di 30 artisti) con la presentazione di Prampolini. La mostra fu
introdotta da una conferenza di Marinetti e accompagnata da una dizione
di Folgore e da una audizione pianistica di musiche moderne.
Oltre a quella voluta da Prampolini, nasceva a Roma la citata Casa d' Ar
te Bragaglia, che diede un notevole contributo al cinema. Sulla scorta di
quelle romane, Case d'Arte sorsero dovunque: a Rovereto, dove abbiamo
ricordato il laboratorio di Depero, a Milano, Bologna, Napoli e Palermo.
Per che cosa allora il Futurismo resta ai margini del design? Perché, no
nostante tutto, non esce dal novero delle arti applicate?
Intanto va precisato che quest'ultima espressione non va solo intesa
nell'accezione corrente, ossia di quelle forme e manifestazioni che sono di
verse dalla pittura, dalla scultura e da quant'altre esperienze artistiche co
siddette «pure», ma anche in un altro modo. A mio avviso, si dicono ap
plicate quelle arti alle quali «si applicano» numerose altre componenti (so
ciali, tecniche, economiche, di costume, ecc.) e ciò senza ridurne il valore;
in tal senso l'architettura e il design sono arti applicate. Ma ritornando al
la dizione più in uso, chiediamoci perché, dopo il Liberty, il Futurismo non
diede luogo al design, benché costituisse in Italia un radicale rinnovamen
to del gusto, richiamando l'attenzione degli artisti e del pubblico appunto
sulle arti applicate.
Com'è stato osservato, «nonostante la franca apertura europea propu
gnata e attuata dal programma della 'Casa d'Arte italiana', la produzione
nel settore delle arti applicate sia di Prampolini che degli altri futuristi ri
mane confinata nell'ambito di un'attività artigianale che si rivolge alla mac
china come a una fonte mitica di ispirazione, ma senza porsi concreta
mente il problema di una produzione in serie, così come avveniva, invece,
in paesi industrialmente più evoluti: basta pensare al dibattito che si era
svolto in seno al Werkbund tedesco, soprattutto per merito di Muthesius,
e alla chiarezza metodologica con cui vi si affrontava il problema della pro
duzione a livello industriale, per rendersi conto del carattere nettamente
preindustriale della impostazione futurista delle arti applicate, nonostante
l'accesa predicazione macchinistica»14. Evidentemente questa non basta
va; perché le arti applicate diventassero design sarebbero stati necessari,
per esempio, sin dal 1 907 , oltre il talento di Peter Behrens, anche l' orga
nizzazione di un'azienda come l' AEG all'avanguardia, non tanto degli
«ismi», quanto di una consolidata organizzazione industriale.
Al riguardo bisogna ricordare che al tempo dell'unificazione d'Italia
1 6 . G. Balla, paravento, 1 9 1 8 .
1 7 - 1 9. G. Balla, studio per maglione, 1 925 ; studio per vestito futurista, 1 9 1 4 ; giacca fu
turista, 1 92 5 .
30 Made in Italy
l'economia del paese era essenzialmente agricola, e tale era ancora nel
1 9 1 0. Ma il processo di industrializzazione nel Nord, che era cominciato
con l'introduzione delle macchine a vapore nelle fabbriche tessili negli an
ni dopo il 1 860, fu accelerato energicamente nel periodo del Futurismo. La
produzione dell'industria tessile triplicò fra il 1 900 e il 1 9 1 2 , quella del fer
ro e dell'acciaio si elevò da 3 00.000 tonnellate a quasi un milione di ton
nellate nello stesso periodo, e altre industrie ebbero aumenti dello stesso
ordine. Contemporaneamente una produzione automobilistica caratteriz
zata da un elevato livello di gusto conferì all'industria un prestigio quale
non sarebbe stato in grado di ottenere il puro aumento in quantità di pro
dotti di altro genere15.
E ritorniamo alla domanda posta all'inizio: se condividiamo l'assunto
per cui un movimento d'avanguardia rigorosamente inteso, cioè come con
testazione globale, in architettura resta nelle teorie e nei progetti ma non si
traduce in concrete fabbriche; possiamo dire che nel campo del design av
viene lo stesso. Con tutta la considerazione dell'innovazione prodotta dal
Futurismo, è inimmaginabile che il patron dell'azienda tedesca sopra cita
ta, la famiglia Rathenau, avrebbe assegnato il design dei suoi prodotti a un
futurista. A conferma si ricorda che il famoso arredamento Lowenstein di
Balla trovò persino un produttore che, trascinato dall'entusiasmo del suo
autore, lo replicò anche in Italia, ma la camera non fu mai venduta e la pro
duzione fu costretta a fermarsi 16.
Tuttavia, pur concedendo alle circostanze storico-economiche il massi
mo peso nell'influenzare le vicende dell'arte, è mia personale convinzione
che, come già detto, il fattore gusto sia il principale artefice, non solo del
la produzione, ma soprattutto del consumo e quindi del successo dei pro
dotti.
La macchinolatria e il «progresso» futuristi incontrarono il gusto del
pubblico, donde il successo delle prime automobili, malgrado i nostri li
miti tecnologici e industriali, ma non riuscirono a conquistare il gusto del
pubblico per il design del prodotto quotidiano, segnatamente nel campo
dell' arredo domestico. Dal Futurismo in poi il gusto del pubblico è rima
sto favorevole allo stile di tutto quanto di meccanico e tecnologico offre il
mercato, dall'automobile all'elettrodomestico, mentre ha continuato per
molti anni a essere contrario allo stile legato alla tecno-scienza per quanto
riguarda gli oggetti della casa, luogo della sacralità dei lari. Diversa ovvia
mente l'opinione di Balla che nel 1 9 1 8 scriveva: «un elettrico ferro da sti
ro bianco metallico, liscio trilucente, pulitissimo, delizia gli occhi meglio
della statuetta nudino poggiata su un piedistallo sconocciato tinto per l' oc
casione. La macchinetta per scrivere è più architettonica dei progetti edi
lizi premiati nelle accademie o concorsi»17•
Abbiamo accennato a un secondo Futurismo affermatosi dopo la prima
II. La reazione futurista 31
Note
1 M . Calvesi, Profilo de/futurismo, in Le due avanguardie, Laterza, Roma-Bari 198 1 , p. 47.
2 R. Poggioli, Teoria dell'arte d 'avanguardia, Il Mulino, Bologna 1 962, p. 84.
> Cfr. R. De Fusco, Un 'avanguardia verosimile, in <<Controspazio>>, fascicolo dedicato a Futuri
smo e architettura, n. 4-5, aprile-maggio 197 1 .
4 I . d e Guttry, M.P. Maino, M . Quesada, Le arti minori d'autore in Italia da/ 1 900 a/ 1 930, La-
terza, Roma-Bari 1985, p. 56.
5 E. Crispolti, Il mito della macchina e altri temi de/futurismo, Celebes, Roma 1969, pp. 140- 1 4 1 .
6 Cfr. <<Controspazio>>, fascicolo dedicato a Futurismo e architettura, n. 4 - 5 , aprile-maggio 197 1 .
7 V. T rione, Il protodesign futurista, i n <<Op. ci t.>>, n . 109, settembre 2000.
s Cit. in M. De Giorgi, La ricostruzione futurista dell'universo, in V. Gregotti, Il disegno del pro
dotto industriale, Italia 1 860- 1 980, Electa, Milano 1982, p. 1 3 3 .
9 Cit. ivi, p. 1 3 4 .
1o
F. Me110a, Ilfuturismo e le arti applicate, in La regola e il caso, Ennesse editrice, Roma 1970, p.
7 1.
11
M. De Giorgi, Neofuturismo, in Gregotti, Il disegno ci t., p. 1 84.
12 Cit. in Menna, Il futurismo e le arti applicate ci t., p. 7 3 .
1 3 lvi, p p . 74-75.
1 4 lvi, p. 78.
" Cfr. R. Banham, A rchitettura della prima età della macchina, Edizioni Calderini, Bologna 1 970,
p. 1 13n.
16 Cfr. Calvesi, Le due avanguardie cit., p. 103 . . . .
.
1 1 V. Gregotti, L. Berni, P. Farina, A. Grimoldi, F. Raggi, Per una storta del deSign tta!tano, 1860-
stello. Ma, associando il minimo col massimo, i motivi più emblematici del
lo stile che studiamo sono rispettivamente quello della fontana e della strut
tura gradonata. Quest'ultimo più degli altri risulta presente nelle più varie
applicazioni, dalle figure piane a quelle che conformano gli spazi, dagli in
tradossi delle copt;:rture di piccoli e grandi ambienti agli estradossi di pic
coli e grandi volumi: l'arretramento progressivo dei piani degli edifici pro
duce appunto questa struttura scalare che, tipica dei grattacieli degli anni
venti, contribuisce fortemente a conformare lo skyline di New York. Il mo
tivo della fontana risulta emblematico di molte altre caratteristiche dello
stile in esame. Infatti, l'Art Déco - che accanto a qualche architetto di ta
lento fu sostenuta piuttosto da scenografi, allestitori, artigiani preziosi e
sarti alla moda e, come tale, fu espressione di un gusto prettamente bor
ghese - trova nella fontana luminosa il suo più coerente simbolo. Da un la
to, essa esprime un vitalismo gioioso e spettacolare finalmente conciliato
con lo spirito della macchina; dall'altro quest'ultima non è riconosciuta
idonea a produrre da «sola» oggetti utili e formalmente conseguenti: si av
verte ancora, nonostante l'estrema stilizzazione geometrica, l'esigenza di ri
correre ad un referente naturalistico. Cosicché il motivo della fontana non
è più solo un fatto di natura e non è ancora un oggetto di design.
La riduzione dell'organicismo decorativo liberty a un geometrismo de
corativo Art Déco si esprime particolarmente nei mobili. Essi non danno
luogo a una nuova tipologia, ma si caratterizzano soprattutto per alcuni
motivi morfologici; l'incontro fra i piani non è più né fluente né ortogona
le, ma avviene tramite geometriche curve; gli spigoli scompaiono per dar
luogo a bombate continuità angolari; la linea spezzata si alterna a tratti ret
tilinei e curvilinei, donde una geometria in pari tempo rigida e decorativa.
I mobili contenitori, gli armadi, le credenze, i cassettoni tendono spesso -
continuando in ciò un orientamento già emerso nel tardo Liberty e desti
nato ad accentuarsi nell'arredo razionalista - a fondersi con gli altri ele
menti d'arredo, talvolta con gli stessi spartiti murali. In molti casi armadi
e librerie occupano intere pareti o si combinano con tavoli e divani for
mando un'unica composizione di arredi fissi.
I mobili singoli più diffusi sono di modesta dimensione: piccoli casset
toni, scrittoi a ribalta sostenuti da alte gambe, credenze con la parte infe
riore ad ante di legno e quella superiore a vetrina, altri mobili da soggior
no che alternano in una composizione a scacchiera sportelli pieni e spazi
vuoti, mobiletti la cui forma esterna non denota una sola destinazione
d'uso, mentre altri ancora - si pensi al mobile-bar, una delle poche inven
zioni tipologiche dell'Art Déco, destinato a fondersi con il mobile-radio
sembrano accentuare al massimo queste «moderne» e mondane funzioni.
La decorazione dei mobili contenitori, strutturalmente assai semplici, è
per contrasto assai ricca: sui pannelli pieni si alternano gli stilemi più tipi-
27-32 (a sinistra e al centro). Cuscini, borsette e paralumi disegnati e ricamati su tela
da Emilia Zampetti-Nava, 1 9 15 -20.
3 3 (a destra, in alto). Copriteiera di velluto ricamato in lana; disegno di G. Prini, esecuzione
di M. Pandolfi, 1 920.
3 4 (a destra, al centro). G. Chini, lampada da tavolo, 1 926.
35 (a destra, in basso). G . Balsamo Stella, applique, 1 928.
38 Made in Italy
che prima della guerra aveva prodotto in Italia pochi esemplari qualifica
ti, le prime Biennali di Monza si presentano con un programma di poten
ziamento del gusto dei vari artigianati regionali opportunamente semplifi
cati. Il gruppo dei 'neoclassici milanesi', pur non disegnando quasi mai di
rettamente per l'oggetto di artigianato isolato, costituisce con il suo esem
pio un forte polo di attrazione per il gusto degli anni che vanno dal ' 1 9 al
'3 0. Contemporaneamente si sviluppa, come abbiamo visto, la vena diret
tamente influenzata dal gusto viennese»1 •
3 6 . A. Barbini, vaso da tavolo in vetro !attimo
lilla, 1 930.
37. Statuina Torso prodotta dalla ditta Lenci.
38. Manichini in alluminio e celluloide
per la società Viscosa, 1 928.
40 Made in Italy
ARTI E I N DUSTRIE D E
L'A R R EDAMENTO
,.,.....f'.
impero, ecco, magàri dopo aver gettato gli ormai sorpassati mobili liberty,
il salotto in stile '900. [ . ] La penetrazione del '900 sarà lenta, ci vorranno
. .
mostre, fiere, ci vorranno gli articoli sul Corrierone del Ponti e dell'Ojetti,
poi saldamente si installerà, e tuttora in molte riviste e case d'alto bordo
continua floridamente a vivere [ . ] Fra il prodotto dell'artista e quello
. .
Note
t V. Gregotti, L. Berni, P. Farina, A. Grimaldi, Per una storia del design italùmo, 1918-1940. No-
vecento, Razionalismo e la produzione industriale, in «Ottagono>>, n. 36, marzo 1975.
2 Cit. in G. Veronesi, Stile 1925, Vallecchi, Firenze 1966, p. 120.
3 M.C. Tonelli Michail, Il design in Italia 1925/43, Laterza, Roma-Bari 1 987 , p. 9.
4 Veronesi, Stile 1925 cit., p. 122.
5 lvi, p. 1 2 1 .
6 Gregotti, Berni, Farina, Grimaldi, Per una storia del design italiano, 1918-1940 cit.
Capitolo quarto L' Astrattismo- concretismo
All'origine di tale teoria stanno gli assunti della Sichtbarkeit, della «pu
ra visibilità», formulati negli anni Settanta dell'Ottocento da Konrad Fied
ler, il quale, tra l'altro, asserisce: «L' attività artistica comincia quando l'uo
mo [ . . ] afferra con la forza del suo spirito la massa confusa delle cose visi
.
ai templi greci colorati nelle loro parti, possiamo riconoscere la sintesi del
le arti nelle sculture deformate per accamparsi fra le forme architettoniche
delle cattedrali gotiche; nelle «macchine da festa» rinascimentali e baroc
che; nel citato Gesamtkunstwerk ottocentesco e, per il nostro secolo, nei
modelli del Bauhaus, del Vchutemas, della scuola di Ulm. In breve, la «for
ma simbolica» pertinente alla sintesi delle arti è uno di quegli obiettivi te
leologici verso cui tendere, pur nella consapevolezza di non raggiungerli
mai, indispensabili per orientarci oggi.
Note
1 K. Fiedler, Del giudizio sulle opere d'arte figurative, in R. Sal vini, La critica d'arte moderna, L' Ar-
co, Firenze 1949, p. 56.
2 Ivi, p. 6 1 .
' K. Fiedler, Aforismi sull'arte, in Salvini, La critica d'arte moderna cit., p . 1 09.
4 M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Schwarz, Milano 1959, pp. 243 -244.
5 Cit. in L. Caramel, Movimento Arte Concreta, 1 948- 1 952, Catalogo della mostra del Mac, Gal
larate aprile-giugno 1 984, Electa, Milano 1984, vol. I, p. 18.
" G.C. Argan, A1tcora sull'arte astratta, in Studi e note, Bocca, Roma 1 955, p . 120.
7 L. Caramel, Gli astratti, in Gli anni trenta, Catalogo della mostra omonima, Milano 27 gennaio-
30 aprile 1982, Mazzotta, Milano 1 982, p. 155.
8 Id., Movimento A rte Concreta cit., p. 2 1 .
9 I . Calvino, La sfida a/ labirinto, in <<Il menabò», n . 5 , 1962.
l () lbid.
11
G.C. Argan, L 'arte moderna 1 770- 1 979, Sansoni, Firenze 1 970, pp. 449-450.
12
Cfr. E. Panofsky, La prospelliva come «/orma simbolica» e altri scritti, Feltrinelli, Milano 1 96 1 .
Capitolo quinto Il design razionalista
Premetto che, a mio avviso, il Razionalismo nel campo del design ita
liano, a differenza che in architettura, non va inteso nel senso di una pre
sunta ortodossia bauhausiana o ulmiana, non è quella cosa che i post-mo
derni chiameranno il «proibizionismo» - definendo di conseguenza la lo
ro operazione come «la fine del proibizionismo» -, bensì una linea ad un
tempo più semplice e complessa di quanto la descrive l'accezione più dif
fusa. Non escludo che nel corso del presente testo il Razionalismo, per
semplificazione didascalica, possa essere richiamato secondo quest'ultima,
per cui desidero anteporre qui il senso più corretto da dare alla corrente
razionale. Certo, i nostri progettisti puntarono al good design, ma senza le
chiusure e le intransigenze proprie delle ideologie; essi piuttosto, fra le mil
le difficoltà dei rapporti economici, politici, di pubblico consenso, ecc.,
contarono soprattutto sulla creatività e il buonsenso. Fu certo un Raziona
lismo sui generis, «sbrigativo» se si vuole, ma proprio in quanto tale non
meritevole dell'aspra opposizione che gli mossero i suoi avversari, anch'es
si molto creativi, ma non dotati di altrettanto buonsenso.
Quanto fosse particolare il design razionalista italiano lo si può vedere
esemplificato da un oggetto progettato da Luciano Baldessari, il Lumina
tor, nato come manichino per la mostra dei tessuti all'interno dell'Expo in
ternazionale di Barcellona del '29, e nello stesso anno trasformato in lam
pada a luce indiretta per l'allestimento del Padiglione Bertocchi alla deci
ma Fiera di Milano. «Influenzato, fra l'altro, da certe figurazioni futuriste
ma anche dalle ricerche teatrali di Oskar Schlemmer, [esso] si presentava
come una libera composizione formata da un cilindro cavo, un cono rove
sciato, raccordati a un parallelepipedo da un filo d'acciaio. Vi ritornano at
tenzione cromatica - in origine furono utilizzati oro, rosso, bianco e nero
- e senso dinamico, caratteri del lavoro progettuale di Baldessari. Un og
getto ibrido insomma, metà apparecchio illuminante e metà manichino
dalle dimensioni e forme antropomorfe, che propone un'ideale sintesi del-
58 Made in Italy
Discrezione/continuità
Il Razionalismo «discreto»
tomobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vit
toria di Samotracia»6. Il fastidio per la retorica arrogante del testo non ci
impedisce di coglierne in pari tempo le valenze espressive e soprattutto
quelle che si attribuivano all'automobile.
L'industria italiana dell'auto ha inizio con la torinese Fiat, fondata da
Giovanni Agnelli insieme a un gruppo di finanzieri aristocratici nel 1 899,
con la prima vettura prodotta l'anno dopo, la 3 1 /2 HP Controversa tra gli
storici dell'auto è la data di nascita della seconda azienda; per alcuni fu il
1900, anno in cui la Isotta Fraschini si presentò come società in accoman
dita semplice denominata Società Milanese Automobili Isotta, Fraschini &
C. La ragione sociale era quella di importare, vendere, riparare automobi
li, ma nel 1904 l'azienda importatrice si trasformò in produttrice e si co
stituì come S.A. Fabbrica Automobili Isotta Fraschini. Già in precedenza,
nel 1 902 , fu costruita la prima vettura, una 24 HP a quattro cilindri. In
tanto erano iniziate le gare automobilistiche con la «Targa Florio» cui par
tecipò la Isotta Fraschini con la vettura 1 00 HP Grand Prix. Nel 1 905 fu
fondata la Fabbrica di automobili e velocipedi Edoardo Bianchi e C., il
Bianchi restando il maggiore costruttore di biciclette e motociclette, cui se
guirono le prime automobili alla data della suddetta fondazione. Ancora
più individuale fu l'iniziativa di Vincenzo Lancia, che esordisce come mec
canico, collaudatore e progettista della Fiat per poi costituire un'azienda
intitolata al suo nome nel 1 906 in grado di produrre la prima vettura nel
1908 con innovative proprietà tecniche ed estetiche. Più complessa è la vi
cenda dell'Alfa Romeo. Essa nacque dalla decisione dell' azienda francese
Darracq di far assemblare, per motivi di tasse doganali, alcuni suoi model
li in territorio italiano, alla periferia nord-ovest di Milano. L'operazione
non diede i risultati commerciali sperati e l'amministratore della Darracq
italiana, Ugo Stella, incaricò il piacentino Giuseppe Merosi di progettare
due auto completamente nuove nella speranza di risollevare le sorti
dell' azienda francese. Nel 1 9 1 0 si formò così, con il concorso di un grup
po imprenditoriale, l'Alfa (Anonima lombarda fabbrica automobili) ; l'an
no dopo fu prodotta la prima vettura denominata «Alfa», che conseguì su
bito grandi successi sia fra i privati, sia in campo sportivo. Successivamen
te l'ingegnere napoletano Nicola Romeo, alto funzionario della Banca di
Sconto, che deteneva la maggioranza del pacchetto azionario dell'Alfa, in
corporò una serie di aziende lombarde, romane e napoletane, creando la
Società Anonima ing. Nicola Romeo & C. Questa intervenne in un mo-
V. Il deszgn razionalista 63
vi dal più alto valore · estetico, ma tuttavia fuori del design italiano del No
vecento, in quanto anteriori e tutti d[ origine anglo-americana.
Nel campo del mobile un esempio di Razionalismo discreto è dato nel
la produzione torinese degli anni Venti. Trfl gli avvenimenti caratterizzan
ti il movimento di rinnovamento torinese, va menzionata la collaborazione
fra l'esordiente Giuseppe Pagano e l'industriale mecenate Riccardo Gua
lino. Questi iniziò come imprenditore edile per passare poi all'industria
tessile, campo nel quale si affermò come uno dei primi manager del capi
talismo italiano. La casa di Riccardo Gualino diventò il punto d'incontro
degli intellettuali più attenti alle ricerche ormai effettuate o ancora in via
di compimento in Europa nel campo delle arti visive, dell'architettura e del
design. Lionello Venturi guidava questi vari interessi, segnatamente quelli
pittorici del «Gruppo dei sei» (Gigi Chessa, Francesco Menzio, Carlo Le
vi, Enrico Paulucci, Nicola Galante e Jessie Boswell) , incoraggiando al
tempo stesso quei pittori che si impegnavano anche in altri campi: Felice
Casorati con Alberto Sartoris realizzò il teatro di casa Gualino, nonché
molti mobili per l'abitazione dell'industriale-mecenate. Della partecipa
zione degli architetti-pittori alla Biennale di Monza del '27 abbiamo già
parlato. A Torino vivevano e lavoravano anche Giuseppe Pagano, Gino
Levi Montalcini e Edoardo Persico. Gualino commissionò a Pagano e Le
vi Montalcini la p rogettazione del palazzo per uffici della Salpa, realizzato
fra il 1 92 8 e il 1 929. L'edificio è stato considerato, per il suo aspetto rigo
roso ed essenziale, «una delle p rime realizzazioni in Italia dell'architettura
così detta razionale»7. In realtà, benché corredato degli elementi della più
aggiornata tecnologia, l'edificio di Gualino si colloca meglio in un serioso
stile Novecento che non nella linea del Razionalismo. Pertinente al nostro
argomento del design sono l'arredamento e i mobili di ben 67 tipi, ciascu
no appositamente disegnato e realizzato dalla Fip, che «nuotavano» nelle
algide sale del palazzo. Per essi Pagano e Montalcini pensarono evidente
mente ai modelli di Rietveld, ma con assai minore fantasia e preoccupati
soprattutto di conciliare il massimo della funzionalità, resa addirittura ov
via, con una sorta di moralistico anonimato. Le cose migliori sono le seg
giole girevoli per scrivania con regolazione del sedile e dello schienale che
utilizzano materiali diversi, ognuno enfatizzando il proprio ruolo fino
all'indifferenza per il loro goffo risultato. L'arredamento degli uffici di
Gualino apre un fenomeno tra i più ricorrenti nella storia del design. Mol
ti mobili e oggetti d'arredo non sono nati come prodotti singoli alla stre
gua delle macchine per ufficio o degli stessi elettrodomestici, bensì come
p arti di un arredamento, salvo poi successivamente essere prodotti in se
rie. Il fenomeno non riguarda l'opera dei soli arredatori, ma quella degli
stessi maestri dell'architettura e del design, quali Wright, Asplund, Aalto
e molti tra gli stessi italiani: Caccia Dominioni, Gardella, Scarpa, ecc. Tal-
68 Made in Italy
Il Razionalismo <<continuo»
Cl occupiamo.
Il movimento dello streamline (della forma aerodinamica) rappresenta
il fenomeno più importante nella storia del design americano del Nove
cento, l'apporto più significativo dato dall'America in questo campo, il
punto nodale della produzione e del dibattito successivi. «Dal 1935 - scri
ve Giedion - il significato della parola aerodinamico, in inglese 'streamli
ned', si è molto ampliato, e trova applicazione nei settori più diversi. Si
74 Made in Italy
Chessa, Umberto Cuzzi e Carlo Turina di Torino. «Sul piano europeo, per
qualche vaga reminiscenza 'futurista' e per una sua naturale espressività
'plastica', essa poteva considerarsi come la proposta italiana, nell'afferma
zione dello spirito nuovo: una specie di dichiarazione di indipendenza, di
grande interesse anche se, nel tempo che seguì, solamente il Terragni sia
giunto, su quella via, a risultati di piena validità. In lui, si era trattato di un
modo esteticamente alto, ed espressivamente autentico, di risolvere, do
potutto, un compromesso. Fra il dialetto e il latino proposti dalle varie
Biennali e Triennali, qualche solitario poeta (Chessa, Cuzzi e Turina, con
Terragni) tentava ora, in Italia, di parlare in italiano. In un italiano attua
le»17.
Accanto alle tante intenzioni nuove, nell'Esposizione monzese del '30,
permangono altre suggestioni stilistiche, quali ad esempio la vena di Art
Déco, sebbene italianizzata. «In tale accezione, si propone il tema del bou
doir per signora, presentato da Meroni e Fossati su disegno di Larco e Ra
va, dove l'argomento dell'intimità femminile viene svolto in formule
tutt'altro che capricciose, facendo ricorso a materiali modernissimi - il ve
tro, il metallo - accanto a legni preziosi - lo zebrano, l'ebano - utilizzati
per forme squadrate e rigide. Oppure il tema del bar per appartamento,
proposto da più ditte e più architetti, come omaggio a stilemi di vita più
internazionali che italiani, indotti da certa letteratura e da certo cinema,
per i quali si sprecano i luccichii dei metalli, dei cristalli, degli specchi. Op
pure, ancora, il tema della sartoria, che ha due obiettivi: testimoniare l'ele
vazione di una classe sociale, che poteva assurgere alle raffinatezze dell'al
ta moda, e sostenere una produzione tessile nazionale già di grande livel
lo, che voleva affrancarsi dallo stile francese sempre imperante»18.
Ma nonostante le incertezze stilistiche è il modello razionale che preva
le nettamente nella manifestazione monzese; qui dominano i nuovi mate
riali quali l'alluminio prodotto dalla Montecatini lavorato in tutte le sue va
rie applicazioni dalla ditta Volonté di Milano; i numerosi prodotti legati
all'enegia elettrica; il linoleum, materiale prettamente italiano; ancor più
innovative sono le tipologie edilizie nelle quali vengono impiegati i pro
dotti industriali, due in particolare: i mobili per gli uffici e quelli delle cu
cine sull'esempio americano e della famosa applicazione di Francoforte,
attualissima in quegli anni. Su tutto prevale la spinta alla produttività e
quella verso il marketing. Ponti infatti dichiara: «i problemi d'arte sono
per il nostro Paese problemi di prestigio nazionale e di decoro rappresen
tativo della nostra civiltà, da cui dipendono, con un valore economico di
alte possibilità di sviluppo, autorità e vantaggio nei mercati del mondo»l9.
Alla Biennale di Monza - l'ultima, come vedremo, che si tenne in que
sta città - sono dedicate alcune riflessioni di Edoardo Persico tratte dalla
serie di articoli intitolati Sei note per Monza. Nella prima egli sostiene che
lt\
nella citata esposizione «bisognerà scorgere un fatto della vita pubblica ita
liana o rinunziare a capire una mostra che, sotto ogni altro aspetto, rap
presenterebbe una raccolta di oggetti senza destinazione viva. La fabbri
cazione di un prodotto non consiste tanto in un espediente tecnico, quan
to in un segreto spir.ituale. Andremo, perciò, a Monza, non solo per docu
mentarci sugli sviluppi pratici dell'industria italiana, ma soprattutto per in
dagare come gli industriali sentono il dovere del lavoro, vale a dire come si
pongono di fronte ad una legge etica. Il compito di un osservatore non sva
gato e superficiale consisterà nel misurare la preparazione spirituale dei di
rigenti delle fabbriche. Il problema di un'arte industriale sottintende un si
stema sociale 'moderno' : i tempi della fabbricazione in serie esigono, in
fatti, l'esistenza parallela di uno spirito di organizzazione e di uno spirito
di utopia»20. Nella terza nota, l'autore affronta il tema delle tendenze neo
classica da un lato e razionalista dall'altro. La sua tesi è che non giova mar
care eccessivamente le differenze: «una sala di Ponti e una sala di Terragni,
per esempio, indicano una stessa volontà, e, al di sopra delle p referenze
estetiche, sono legate dalla loro destinazione pratica ed attuale. Questo
vuoi dire che, a Monza, mobili di stile neoclassico e mobili di stile razio
nalista rappresentano una tendenza unica, non 'decorativa' nel solco delle
teorie moderne. Questi oggetti non hanno destinazioni diverse, né si rivol
gono a due pubblici: hanno per scopo il decoro della casa nuova e presup
pongono gli uomini del nostro tempo». Tuttavia, nel corso dell'articolo
Persico si contraddice nettamente: «il volgersi dei neoclassici alle forme
storiche ci sembra che non possa condurre se non all'imitazione ossequio
sa di stili superati, o a deformazioni le quali, a lungo andare, finirebbero ne
cessariamente in un nuovo barocchismo. Il fatto di un gusto nuovo è affi
dato, perciò, all'indirizzo razionalista, il quale è un punto di partenza che
servirà di base all'artista per giungere a creazioni fantastiche, e perciò irra
zionali. Si travisa, per lo più, il contenuto reale del movimento razionalista
quando ci si ferma alla sua formula, e si ritiene che l'architettura e l'arte de
corativa moderna non debbano oltrepassare i limiti segnati dai bisogni pra
tici; mentre è chiaro che per fare dell'architettura e, comunque, dell'arte
i razionalisti lo sanno prima di tutti - sono necessari personalità, emozio
ne, lirismo»2 1 . La quarta nota è in gran parte dedicata al confronto tra la
produzione italiana e quella straniera, della quale Persico elogia la sezione
tedesca: questa ci insegna che «il ' razionalismo' - il quale non è soltanto
una formula architettonica, ma un sistema morale, un ordine sociale è il -
zionale, fece da ponte tra i paesi occidentali e quelli dell' est co� �nista, n é
. . .
mancò di essere per decenni un campo di sperimentaztone st!hst!ca pn
.
?
ma per i futuristi, poi per i razionalis� i, � oderni e post-m o � rni, ra� pre
.
sentando un eccezionale campo applicativo per la pubbhctta ed tl vtsual
design. . .
Fra gli oggetti più tipici del primo Razionalismo era la radio. Questa na
sce in seguito alla produzione, nel 1 929, delle prime valvole direttamente
alimentate dalla corrente domestica, semplificando al massimo il p rece
dente sistema di ricezione; in tal modo il vecchio apparato tecnologico si
trasformava in un mobile, che rientrava nel dominio dell'artigianato prima
e del design dopo. La produzione corrente segue tutti gli stili dal Liberty
al Futurismo, dall'Art Déco al Protorazionalismo, finché il tema non viene
affrontato dai razionalisti veri e propri rappresentando uno dei pochi pun
ti d'incontro con l'industria in questo periodo.
La radio fu per molti anni, prima, durante e dopo la guerra un prodot
to che segnò un'epoca, così come la televisione ha segnato l'epoca in cui
viviamo. Al suo esordio l'apparecchio a galena, per il suo ascolto in cuffia,
rispondeva ad un uso individuale e richiedeva una camera appartata; suc
cessivamente, l'invenzione dell'altoparlante consentì a più persone di sen
tire voci e suoni, donde la disposizione dell'apparecchio nel soggiorno o in
salotto; da qui la necessità di inserirlo in un mobile, ben presto arricchito
di un giradischi, rendendolo radio-grammofono. Già nel 1 929 si contava
no in Italia centomila apparecchi, confezionati artigianalmente senza ec
cessiva cura per la forma, ma ben presto, come dicevo, questa seguì fedel
mente tutti gli stili in voga. «Poi la sua 'storia' venne decisamente condi
zionata dall'importanza che questo mezzo di comunicazione guadagnò
58. Televisore della Magneti Marelli, 1 938.
59. F. Albini, apparecchio radio, 1 93 8 .
60. L. Figini e G . Pollini, mobile radiogrammofono, modello «Domus>>, 1 9 3 3 .
61. L . e P. G . Castigliani con L . Caccia Dominioni, radioricevitore Phonola, 1 93 8-40.
86 Made in Italy
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(i) ® .
®
nici che formali, fino ai telefonini cellulari, ovvero l'oggetto più personale
ed usato al giorno d'oggi.
.
Senza risalire alla paternità dell'invenzione del telefono - per anm con
tesa tra Alexander G. Beli e Antonio Meucci che prevalse grazie al ricono
scimento nel 1 886 della Corte Suprema degli Stati Uniti -, si deve all'in
dustria americana Ìo sfruttamento e l'organizzazione tecnico-commerciale
del prodotto. Questa straordinaria invenzione tecnica interessa il design,
in verità, solo per aspetti marginali. In Italia, come prima negli altri paesi,
l'apparecchio telefonico comincia ad esser tale per un insieme di forme
«discrete» (la cornetta, il microfono, la manovella per chiamare il centrali
no) salvo ad evolversi in forme continue fino ad una sorta di unitaria con
chiglia da contenere in una mano. I più diffusi modelli di telefono nel no
stro paese sono quello della Satis del 1 923 in metallo e quello della Face
del 1940 in bachelite; il primo telefono firmato si vedrà solo nel 1 959, di
segnato da Lino Saltini e prodotto dalla Sit Siemens. Quale nota di costu
me, ricorderemo lo status symbol che i film dell'epoca assegnavano ai te
lefoni bianchi, più costosi di quelli neri di uso comune.
Una segnalazione particolare merita il più recente telefono Grillo di Za
nuso e Sapper, il cui progetto venne completato nel 1 965 , dopo più di un
anno di verifiche d'uso pratico e di laboratorio, entrato in produzione re
golare nel 1 967 e premiato nello stesso anno con il Compasso d'Oro. La ri
chiesta della committenza era chiara: eliminare la fissità e facilitare la mo
bilità appena vincolata dalla lunghezza del filo che collegava pur sempre il
telefono alla spina; quanto alla soluzione formale, la novità era che l' appa
recchio assumeva a riposo una configurazione compatta e di minimo in
gombro e, durante l'uso, un'altra, tale da essere contenuto in una mano.
La suoneria era collocata nella spina ed emetteva il classico suono che die
de nome al telefono. Che il Grillo sia diventato una icona del moderno
design è ben spiegato dallo stesso Zanuso: «la nuova e particolare postura
informale che l'oggetto suggeriva all'utente indusse alla sua forma un che
di personale, di intimo, segreto e sussurrante, quasi sexy. Mi domandi se
questa non sia una concessione, in quegli anni di polemica tra 'organico' e
' razionale' , e infatti mi stupii che qualcuno mi facesse notare già allora che
il disegno sembrava in qualche misura ricercato, persino formalista. Con
testare l'organicità dell'oggetto mi pare derivi dal fatto che troppo spesso
mi si appiccica l'etichetta di razionalista. Che mi guardo bene dal rifiuta
re, ma che non mi sembra esaurire né le mie intenzioni né gli esiti»34• Nes
sun dubbio che il Grillo sia stato un archetipo degli odierni telefonini cel
lulari.
Ritornando al periodo in esame, un altro prodotto emblematico degli
anni pre-bellici è il mobile metallico, segnatamente il modello di sedia a
sbalzo - ossia con un unico tubo piegato in modo da sostenersi senza mon-
V. Il design razzònalista 89
Il razzònalismo fascista
È stata distinta la politica culturale propria degli Stati e dei partiti poli
tici dalla politica della cultura, ovvero esercitata dagli uomini di cultura in
quanto tali, liberi dal potere superiore, e pertinente agli specifici campi dei
loro interessP5. Il regime fascista ebbe una politica culturale volta agli in
teressi del partito e di uno Stato da esso governato, donde le manifestazio
ni della sua ideologia, dei miti e della propaganda e quindi di uno stile fa
scista. Tranne qualche eccezione, tutta l'intellighenzia italiana del tempo
era politicamente legata al fascismo, ivi compresi quelli che saranno i mag
giori architetti e designer; si pensi a Terragni, Pagano, Nizzoli, Munari,
ecc. Tuttavia, per restare nel nostro campo, il ventennio dal '20 al '40 ve
deva il Razionalismo internazionale fortemente presente nell'intera sfera
delle espressioni artistiche, dall'architettura alle arti visive, dal design alla
grafica, formando appunto una generalizzata politica della cultura.
Le personalità più avvertite del fascismo tentarono di conciliare queste
due culture, molto spesso senza riuscirvi. Infatti la contraddizione si veri
ficava nei seguenti termini: tradizione e innovazione, nazionalismo e mo
dernità; e se la prima coppia poteva trovare un conciliante compromesso,
la seconda comportava termini totalmente incompatibili, perché non si dà
azione moderna che non sia anche internazionale. In questa contradditto-
68. M. Nizzoli ed E. Persico, allestimento pubblicitario nella Galleria di Milano, 1 93 4 .
92 Made in Italy
ria maglia era spesso possibile far passare iniziative vantaggiose per le atti
vità culturali, quali l'organizzazione di esposizioni, manifestazioni, conve
gni, attività pubblicistiche, ecc., che salvavano in senso liberale la faccia del
regime e talvolta erano patrocinate di buon grado da alcuni gerarchi più
avvertiti culturalmente. Cosicché, accanto ad uno stile ufficiale ne esisteva
un altro, consentito in nome della modernità e del desiderio di non essere
da meno di quanto si sperimentava altrove, donde il cosiddetto fascismo
di destra e di sinistra. Al primo apparteneva tutto ciò che intendeva signi
ficare l'architettura di archi e colonne, nonché altri riferimenti alla roma
nità antica; nel secondo rientrava tutta la produzione ad alto contenuto
tecnologico/funzionale quali treni, auto, moto, ecc.; nonché quelle tipolo
gie edilizie di carattere eminentemente pratico, esonerate in quanto tali da
ogni obbligo celebrativo. Non è da escludere che, nonostante questa di
stinzione e la stessa militanza nel partito fascista, molti aderirono al Razio
nalismo in nome dello «spirito del tempo» e della cultura senza aggettivi.
Per entrare nel vivo del razionalismo fascista, inteso nel senso di un'a
zione migliore e di una storicità meglio avvertita, è necessario dilatare il
campo del design ad un'area più estesa, quella dell' «arte utile», compren
dente l'architettura, la pittura concreta e quant'altro appunto è orientato a
perseguire un obiettivo oltre la contemplazione puramente artistica. In
quadrato in quest'ambito, il nostro tema va riferito al saggio ormai classi
co di Walter Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità
tecnica. Esso ci suggerisce soprattutto che quella che chiamiamo arte utile
va senz'altro identificata con l'arte «riproducibile»; vale a dire con un'arte
che, per esigenze tecniche e sociali, ha perduto l'aura e il valore cultuale
del capolavoro unico e irriproducibile. E qui abbiamo il primo elemento
di identificazione del razionalismo fascista. Esso è certamente nella linea
della riproducibilità tecnica, ma presenta ancora un' «aura e un valore cul
tuale». Un secondo elemento è la prevalenza del significato connotativo su
quello denotativo degli oggetti. In altre parole, anche nei prodotti miglio
ri del design databili agli anni Trenta, c'è sempre un che di dimostrativo ol
tre il piacere funzionale, uno spirito di réclame; sembra che quegli oggetti
aspirino ad un primato su quelli di altre nazioni; in breve una retorica che
non troviamo solo negli scritti di Ponti o di altri autori legati alla politica
culturale del regime, ma negli stessi oggetti, nel loro «messaggio». Queste
connotazioni dello stile fascista iniziano col Futurismo, proseguono nel
Novecento, s'incarnano nel primo Razionalismo, dominando nella grafica
e nelle riviste specializzate.
Le sanzioni con il loro corollario di materiali autarchici contribuiscono
a questa italianità retorica, valgono a dimostrare, peraltro legittimamente,
che comunque «riusciamo a farcela». «Il numero di 'Domus' del dicembre
1 935 si apre con un appello vivace e aggressivo di Ponti alle forze produt-
69. M. Nizzoli ed E. Persico, Sala delle Medaglie d'oro dell'Aeronautica italiana, Palazzo dell'Arte,
Milano, 1 93 4 .
94 Made in Italy
gono le teche di cristallo nella Sala dell'oreficeria, nei due negozi Parker di
V. Il design razionalista 95
Note
1 A. Bassi, La luce italiana, design delle lampade 1945-2000, Electa, Milano 2003, p. 18.
2 V. Gregotti, L. Berni, P. Farina, A. Grimaldi, Per una storia del design italùmo, 19 18- 1940. No-
vecento, Razionalismo e la produzione industriale, in «Ottagono>>, n. 36, marzo 1975.
> Cfr. A. Lalande, Dizionario crittco di/iloso/ia , !sedi, Milano 197 1 , p. 2 15 .
4 A. Martinet, Elementi di linguistica generale, Laterza, Bari 197 1 , p. 32.
5 E. GatToni, Semiotica ed estetica, Laterza, Bari 1968, p. 23.
6 Fondazione e Manz/esto del futurismo, cit. in M . De Micheli, Le avanguardie artistiche del '900,
Schwarz, Milano 1 959, p. 3 5 1 .
7 G. Chessa, La nuova costruzione moderna per u//ia; in Torino, ml corso Vittorio Emanuele, in
<<Domus», giugno 1930.
8 Gregotti, Berni, Farina, Grimaldi, Per una storia del design italiano, 1918- 1940 cit.
9 Ibid.
to
T. Maldonado, Disegno industriale: un riesame, Feltrinelli, Milano 1976, pp. 29-30.
11 S. Giedion, L 'era della meccanizzazione, Feltrinelli, Milano 1967, p. 559.
12 lvi, p. 558.
u lvi, p. 562.
14 E. Frateili, Design e civiltà della macchina, Editalia, Roma 1969, p. 1 30n.
" W.D. Teague, Design This Day: tbe Tecbnique o/ Order in tbe Macbine Age, Harcourt. Brace
& Co., New York 1940, cit. in G. Massobrio, P. Portoghesi, Album degli anni Trenta, Laterza, Ro
ma-Bari 1978, p. 320.
1 6 G. Veronesi, Stile 1925, Vallecchi, Firenze 1966, p. 123.
26 Citato in Gregotti, Berni, Farina, Grimaldi, Per una storia del design italiano, 1 9 1 8- 1940 cit.
27 C.E. Rava, Necessità di un 'arte di lusso, in «Rassegna italiana», agosto-settembre 1936.
28 A. Nulli, Le Triennali razionaliste, in V. Gregotti, Il disegno del prodotto industrùde, Italia
1860- 1980, Electa, Milano 1982, pp. 207-208.
29 Id., L'arredo razionalista per le istituzioni, in Gregotti, Il disegno del prodotto industriale cit., p.
209.
3 0 Tanelli Michail, Il-design in Italia 1925143 cit., pp. 5 3 -54.
31 A. Pansera, Storia del disegno industriale italiano, Laterza, Roma-Bari 1 993 , p. 18.
32 Ivi, p. 69.
33 lvi, pp. 69-70.
34 M. Zanuso, Un archetipo, in <<Stile Industria», anno I, n. 3, settembre 1995.
35 Cfr. N. Bobbio, Politica e cultura, Einaudi, Torino 1955, pp. 32-46.
36 Tone!Ji Michail, Il design in Italia 1925/43 cit., pp. 58-59.
37 B. Zevi, Il pioniere del de;-ign italiano, in Cronache di architettura, vol. VII, Laterza, Bari 1970,
p. 353.
38 Gregotti, Berni, Farina, Grimaldi, Per una storia del design italùmo, 1 9 1 8- 1940 cit.
39 G. Veronesi, Dz//icoltà politiche dell'architettura in Italia 1920- 1940, Tamburini, Milano 1 955,
pp. 108- 1 10.
Capitolo sesto Lo stile della plastica
Le plastiche storiche
chi, donde il loro prezzo accessibile a tutti, l'economia di interi settori mer
ceologici, progettati, prodotti e venduti secondo le istanze della società di
massa. Non credo tuttavia di allontanarmi molto dal vero pensando che
queste ragioni socio-economiche non segnassero il motivo principale del
favore e del successo riservato alla plastica. Il pubblico l'apprezzava este
ticamente per la s�a bravura imitatrice fine a se stessa: si trasferiva, in altri
termini, ad una tecnologia quell'ammirazione che da sempre la gente sem
plice nutre per l'artista capace di riprodurre la natura e le cose in ogni lo
ro dettaglio. Il favore estetico era accompagnato dall'interpretazione della
plastica come simbolo della modernità, dello sviluppo e del progresso.
Non è casuale infatti che il fiorire della plastica si verificasse in una stagio
ne ritenuta, almeno nei paesi vincitori della prima guerra mondiale, felice
e spensierata, oppure in un periodo di superamento di una crisi. Il signifi
cato della plastica come surrogato si ebbe negli anni che precedettero, ac
compagnarono e seguirono l'ultima guerra. Finito il tempo delle cose fri
vole, del gioco, dell'ironia o dell'ingenuità, delle imitazioni del superfluo,
la plastica venne impiegata a sostituire prodotti e materiali di primaria ne
cessità: dalla gomma per le ruote alle suole per le scarpe, dalla lana ai vari
generi di tessuti artificiali, dai prefabbricati per l'edilizia agli accorgimen
ti per conservare e proteggere il cibo. Non è escluso che questa esperien
za di severità, unitamente alle ricerche scientifico-tecniche, originate dalle
esigenze belliche e applicate poi a quelle di pace, abbiano segnato la fine
della plastica d'imitazione e l'inizio della plastica assurta a dignità di ma
teriale autonomo utilizzato nella maggioranza dei prodotti contemporanei.
In sintesi, col dopoguerra, assistiamo al passaggio dalla fase, per così dire,
artigianale della plastica a quella della sua applicazione ai manufatti della
grande industria, in molti casi guidata dalla cultura del design.
E veniamo al secondo tema preannunziato: le considerazioni sulla na
tura del materiale e le relative implicazioni formali. Nel saggio Vita delle
forme del 1934, Henry Focillon sosteneva che la nozione di forma non è
separabile da quella di materia; poiché la forma non agisce come principio
superiore su una massa inerte, ma su una materia con determinate caratte
ristiche, queste sono condizionanti la forma stessa al punto da poter affer
mare che «la materia imponga la propria forma alla forma», ovvero che le
materie hanno «una certa vocazione formale»3. L'assunto è ineccepibile e
richiama subito alla mente alcuni modelli del design scandinavo (i mobili
di Alvar Aalto, le sedie di Finn Juhl, le ciotole di Tapio Wirrkala, ecc . ) , nei
quali le proprietà del legno sembrano appunto determinare la forma, e le
stesse venature del materiale, assecondate ed esaltate, costituire la decora
zione degli oggetti. Del resto quella tratta dalla natura dei materiali era
l'unica sorta di decorazione ammessa dalla teoria del design storico a par
tire da Loos. Ma, ritornando alla plastica, che dire di materie prive di una
VI. Lo stile della plastica 101
mare oggetti e prodotti che, con tutta probabilità, non avrebbero mai vi
sto la luce ricorrendo ad altre tecnologie.
Pertanto, ritornando all'assunto di Focillon, non è vero che i vari tipi di
plastica non abbiano una loro vocazione formale - si pensi a tutti quegli
oggetti completamente stampati, nei qwi.li non è più separabile la struttu
ra dalla sovrastruttura, la parte portante da quella portata - ma la presen
tano soltanto ad un livello diverso da quello tradizionale. Le plastiche so
no riconoscibili anche dal profano, non solo e non tanto per la durezza, la
grana, il colore ma, per dirla ancora con Manzini, per una «riconoscibilità
leggera», vale a dire per la loro prestazione: «il ' che cos'è' scompare di
fronte all'evidenza del 'che cosa fa'»7. D'altra parte, non è stato forse au
torevolmente teorizzato che, nell'epoca della riproducibilità tecnica, addi
rittura alcune esperienze artistico-culturali non possono che essere fruite
«distrattamente»?8
Le plastiche moderne
le plastiche e il loro ruolo anche simbolico nel design italiano: �sse erano
portatrici di una idea di libertà, di democrazia, di uguaglianza. E la stessa
che Carlo Giulio Argan sosterrà in quegli anni come finalità civile del de
sign del futuro. Le plastiche sembrarono rispondere spontaneamente a
una nuova scioltezza nelle relazioni umane e nell'arredamento»9. Di que
sti anni si ricordano le m aggiori opere realizzate in plastica, dal sistema di
sedie m ultiuso per le scuole infantili del ' 6 1 , disegnato da Zanuso e Sapper
e p rodotto dalla Kartell, fino agli oggetti progettati da Enzo Mari per Da
nese negli anni più recenti. In tali prodotti emergevano i vantaggi del ma
teriale: «impilabilità, componibilità, flessibilità, lavabilità, trasformabilità.
Con questi termini si indicavano delle qualità d'uso a cui tutti gli utenti at
tribuivano un valore positivo: una sorta di democrazia prestazionale che la
plastica poteva garantire universalmente»10. Ma, rispetto alle plastiche sto-
104 Made in Italy
riche e a quelle che usammo senza darvi il giusto peso, che cosa, in sostan
za, portò al radicale cambiamento di questo materiale? Che cosa rese le
plastiche ancor più «continue», per usare una nostra dizione stilistica? An
zitutto il fatto che esse entrarono totalmente nel dominio della chimica.
Abbiamo già accennato al fenomeno per cui in natura molte materie
hanno la struttura" composta da molecole, proprietà che le rende appunto
plasmabili. Ad opera di Emil Fischer nel l 90 1 , di Herman Staudinger nel
1 922, di Wallace H. Carothers nel 1 930, si giunse alla concezione dei «po
limeri», ossia di sostanze composte da molecole molto grandi che si otten
gono a partire da una o più sostanze costituite, a loro volta, da molecole
più piccole (monomeri) attraverso reazioni chimiche dette di «polimeriz
zazione». In breve, si realizzarono in laboratorio prodotti aventi la de
scritta struttura macromolecolare riscontrabile in alcune materie presenti
in natura. Oltre che plasmabili, i polimeri risultarono anche dotati di buo
ne caratteristiche meccaniche, termiche, elettriche, ottiche, resistenti agli
agenti chimici, atmosferici, ecc. Negli anni Trenta e Quaranta furono sco
perte o prodotte per la prima volta su scala industriale altre materie plasti
che, quali il cloruro di polivinile ( 1 93 0 ) , il neoprene ( 1 93 1 ) , il polietilene
( 1 93 3 ) , il nylon ( 1 93 5 ) , il poliesterene ( 1 93 7 ) e tutta la sequenza dei suc
cessivi polimeri. Quanto alla popolarità della plastica, va tra l'altro ricor
dato che nel 1 948, «con l'immissione sul mercato dei primi secchi e delle
prime bacinelle in polietilene, i consumatori cominciarono ad apprezzare
il valore della plastica. La semplice bacinella è il primo, significativo pro
dotto domestico in plastica apprezzato in tutte le case. La sua leggerezza,
i suoi colori e soprattutto il suo silenzio devono essere stati vissuti con gran
sollievo dopo il rumoroso recipiente di latt a ! »1 1 .
Solo tra gli anni Quaranta e Settanta, però, s i ha i l grande sviluppo
scientifico e applicativo di numerosissimi polimeri utilizzabili quali mate
rie plastiche come i poliesteri e le poliammidi, i poliuretani, le resine acri
liche e quelle epossidiche, il polipropilene isotattico e altri.
I nuovi studi delle macromolecole polimeriche, approfonditi da Giulio
Natta, premio Nobel per la chimica nel 1 963 , hanno portato alla realizza
zione di materiali da parte di aziende quali Pirelli, Montecatini, Anic, Eni
che sono attualmente basilari per il design degli oggetti di plastica. Il suc
cesso nel campo di cui ci occupiamo è dimostrato dalla quantità di pro
dotti così realizzati e divulgati a partire dalla Mostra internazionale per
l'estetica delle materie plastiche organizzata nel 1 957 nell'ambito della
XXXV Fiera Campionaria di Milano da Alberto Rosselli e promossa dalle
riviste «Stile Industria» e «Materie plastiche».
Per un esame dei più importanti prodotti in plastica realizzati dagli an
ni Cinquanta ad oggi, rimando al capitolo sul design minimalista e ciò per
vari motivi, non ultimo quello per cui la tecnplogia delle materie plastiche
è appunto una delle più adatte allo stile minimalista.
73. ]. Colombo, modello 4860 per Kartell, 1 968.
74. V. Magistretti, modello Selene per Artemide, 1 969.
75. G. Castiglioni, modello Canguro per Gufram, 1 97 0 .
76. A. Castelli Ferreri, serie multicolore di tavoli quadrati 4300 per Kartell.
1 06 Made in Italy
Note
1 P. Corradini , L. Nicolais, I materiali polimerici, in In Plastica (catalogo della mostra omonima),
Electa, NapoLi 1990, p. 3 7 .
2 Cfr . R . Marchelli, Storza e identità di u n materiale, i n Gli anni di plastica, Catalogo della mostra,
Milano 1983 .
' H. Focillon, Vita delle /orme, Le Tre Venezie, Padova 1945, p. 74.
4 Cfr. D. B a roni , La plastica: una rivoluzione incompleta, in <<Ottagono>>, n. 55, dicembre 1 979.
5 E. Manzini, La materia dell'invenzione, Milano 1986, p . 3 1 .
6 lvi, p. 32.
7 l vi , p. 34.
8 Cfr . W. Benjamin, L 'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilltà tecnica, Einaudi, Torino
1966, pp. 44-45.
9 A. Branzi, Plastica e libertà, in Il design italtano 1964-1990, Electa, Milano 1996, pp. 48-49.
10
Ivi, p. 58.
11
S. Katz, Fantastiche plastiche, in In plastica cit., p. 34.
Capitolo settimo · Lo stile degli anni Cinquanta
prio ogni volta che si è sul punto di affrontare i problemi dell'esistenza so
pra un piano di maggior severità di costumi. [ . . . ] Vogliamo essere tra co
loro che cercano affannosamente di riunire i fili di un nodo sintetico dove
ogni parte sia ugualmente necessaria alla consistenza del tutto. [ ... ] Gli
estremi del nostro ragionamento possono portarci all'utopia o al luogo co
mune, perché, se chiediamo troppo, miriamo all'irraggiungibile e, se inve
ce guardiamo solo a ciò che ci attornia, rischiamo di accontentarci di ben
poco»3 .
Queste poche frasi denunciano tutte le problematiche difficoltà politi
che, economiche, sociali ed artistiche del nostro paese all'indomani della
sconfitta. Intanto, per quanto riguarda le cose da fare, scegliemmo giusta
mente i beni di prima necessità, piuttosto che quelli considerati un valore
aggiunto; notoriamente in Italia si ricostruì prima la residenza e poi le in
dustrie, a loro volta impegnate più a realizzare gli impianti che ad iniziare
una vera e propria produzione.
Comunque, dopo il '45 la vicenda del design, per un verso, continua
con i soliti ritornelli pro e contro l'artigianato, il rapporto arte-industria, le
scuole di design, le associazioni, le definizioni di design; per un altro, si
concentra sull'originaria formula delle arti industriali: qualità, quantità,
basso prezzo. Meno positiva risulta l'altra formula di una metodologia uti
le alla ricostruzione, quella «dal cucchiaio alla città», specie in quanto si ri
ducono a merce, nell'accezione peggiore del termine, sia l'uno che l'altra
con esiti assai diversi.
A questo punto del nostro excursus, che rappresenta il vero inizio
dell Italian Style, va riportato un giudizio di Andrea Branzi che trovo per
'
Già nel 1 947 la berlinetta Cisitalia tipo 202 di Pininfarina apre questa nuo
va serie; nel 1 954 viene prodotta dall'Alfa Romeo la Giulietta sprint, un' au
to che per oltre due decenni è stata il sogno dell'italiano medio, per non
parlare dei più lussuosi modelli di serie e fuori-serie usciti dalle mani di
abili stilisti quali Pininfarina, Zagato, Vignale, ecc.
Passando al settore del mobile e dell'arredo, va ricordato che i modelli
di Pagano, di Terragni e degli altri razionalisti andarono poche volte al di
là dei prototipi e comunque non divennero mai prodotti di serie; le loro
esperienze si limitarono ad alcuni arredamenti e soprattutto ad allestimen
ti di mostre o di eventi celebrativi. In questo dopoguerra la linea «econo
mica» trova la sua prima espressione nella Rima (Riunione italiana mostre
di arredamento) , sorta nel 1 946, che nello stesso anno organizzava, nel ri
costruito Palazzo della Triennale, una prima esposizione avente per obiet
tivo la proposta di alcuni prototipi d'arredo per case economiche con ele
menti semplici, componibili, di basso prezzo. I risultati non risposero alle
aspettative, specie in ordine alla scarsa possibilità di industrializzare i mo
delli proposti. Ma la manifestazione non fu del tutto inutile, perché costi
tuì la prima occasione d'incontro di quelli che saranno i maggiori designer
nel settore, che ricevettero un impulso dagli scritti di Rogers, allora, come
s'è visto, direttore di «Domus». Mancati questo e altri tentativi di creare
mobili seriali ed economici, ecco il «progetto» italiano rivolgersi alla solu
zione opposta: ci riferiamo alla nascita di Azucena, orientata verso una
produzione esclusiva ed elitaria, della quale tratteremo ampiamente in un
altro capitolo.
La dicotomia postasi ai tempi di Persico fra mobili «poveri» e «ricchi»
subisce una notevole trasformazione negli anni Cinquanta, quando cioè,
caduto per una serie di cause il programma ideale di un' «arte per tutti» e
diventato ogni prod,otto ugualmente costoso, essa perdeva la sua impor
tanza etico-sociale. E ben vero che una traccia di questo dualismo si pote
va riscontrare ancora nel progetto dei prodotti, ma in effetti l'uno e l'altro
tipo di mobili nascevano soprattutto da orientamenti del gusto. Così,
esemplificando, alla prima categoria possono ascriversi modelli quali la se
dia Superleggera di Gio Ponti, prodotta da Cassina nel 1 957 nella versio
ne definitiva, ma databile a qualche anno prima; la poltroncina Luisa del
1 95 1 (Compasso d'Oro 1 955), disegnata da Franco Albini, e quasi tutti gli
altri mobili progettati da questo architetto; quelli di Marco Zanuso a par
tire dalla poltrona Lady del 1 95 1 ; la sedia Elettra e la poltrona Neptunia
dei BBPR ( 1 95 3 ) . La seconda categoria di mobili, quella del «lusso neces
sario», troverà la sua maggiore affermazione a partire dagli anni Sessanta
e i prodotti ad essa relativi saranno elencati in ordine alle loro invarianti
stilistiche.
Alle cose dette va aggiunta qualche considerazione che riguarda speci-
82 . F. Albini, modulo della libreria LB 10 per Poggi, 1 957.
83 . F . Albini, poltroncina Luisa per Poggi, 1 95 1 .
84. M . Zanuso, poltrona Lady per Arflex, 1 95 1 .
85 . F . Albini , t�volo Modello TL 2 per Poggi, 1 95 1 .
Gli elettrodomestici
gna gli apparecchi della serie Rex .della Zanussi, azienda principe nel set
tore di cui ci occupiamo; nel '58 Spadolini progetta un frigorifero intera
mente in plastica per Radiomarelli. La prima lavatrice costruita in Italia è
del '46, prodotta dai fratelli Fumagalli, che l'anno dopo fondano la Candy,
nome che per molti anni diventa sinonimo di questo apparecchio. Le in
novazioni si susseguono velocemente: Roberto Menghi disegna per Sub
Matic una lavatrice che si carica dall'alto; Griffini progetta una innovativa
stufa a raggi infrarossi per la Triplex; lo stesso autore con Montagni mette
a punto, per la stessa azienda, una nuova cucina a gas, il modello 9031904.
Accanto ai principali elettrodomestici sopra citati è tutta una fioritura
di piccoli apparecchi azionabili elettricamente; citiamo, tra i numerosi co
struiti anonimamente, solo quelli firmati da designer: nel '54 l'aspiratore
per cappe disegnato da Pagani con Alberto de Matteis, il Vortice, che darà
nome ad un'azienda produttrice di depuratori d'aria, ventilatori e simili;
nel '56 una spazzola aspirante disegnata da De Goetzen per Elchim (Com
passo d'Oro); il frullatore York, la lucidatrice Stabilomatic per Termozeta;
nello stesso anno un aspirapolvere, lo Spalter, disegnato dai fratelli Casti
gliani per la Rem. Nel '59 Zanuso dà forma ad un macinacaffè per Subal
pine; ancora De Goetzen nel '64 mette a punto il registratore a nastro Re
nas, nel '66 quello a cassette Renas CM 22, il mangiadischi Mady, nel '67 il
radiogiradischi Madyrad, tutti per la Lesa, nel '68 una macchina per caffè
per la Gaggia, ecc.
La cucina americana
Nella rassegna dei prodotti nati dopo la guerra ed importati dagli Usa,
entrando ben presto nel costume italiano, il punto di maggiore rilievo è oc
cupato dalla assembled kitchen, cioè quella organizzazione e conformazio
ne di mobili ed attrezzi generalmente nota come «CUCina americana». li
p roblema fu posto per la prima volta da Catherine Beecher, che pensò
all'ambiente della cucina e al suo arredamento in connessione coi temi del
femminismo, dell'abolizione o riduzione del personale di servizio, di un
più razionale sfruttamento dello spazio, giungendo a formulare concrete
proposte disegnate. Fu sua l'idea di unificare l'altezza dei piani di lavoro,
al di sotto dei quali era disposta la serie dei mobili «bassi», ognuno desti
nato alla conservazione delle provviste ovvero adoperato per riporvi gli
utensili, mentre alle pareti veniva � ospesa la serie dei mobili «alti» conte
nenti bicchieri, piatti e stoviglie. E significativo che il libro delle sorelle
Beecher, pubblicato con grande successo nel 1 869, s'intitoli The American
Woman 's Home e che quello, dedicato in gran parte allo stesso argomento,
pubblicato da Christine Frederick nel 1 9 1 5 , abbia per titolo Household
1 18 Made in Italy
blema assembled kitchen, questa s� mise a punto pochi anni prima della sua
applicazione in Italia, dove si affermò non con il solito ritardo col quale si
sono diffuse da noi altre acquisizioni tecniche.
Il televisore
sia di quella a carattere pubblico, che irradia i suoi programmi su più ca
nali a colori, sia di quella privata, progredita tumultuosamente negli ultimi
anni e rappresentata da decine di emittenti sparse in ogni angolo della pe
nisola. Il fenomeno televisione si è rivelato così importante da un punto di
vista sociologico da rendere la componente formale dei relativi apparec
chi, il loro design, un aspetto del tutto marginale; tuttavia anche di que
st'ultimo daremo qualche cenno dato il tema del presente testo. Prima co
munque va detto che la televisione ha notevolmente ridimensionato il ci
nema, il teatro, la radio, persino i giornali; e desta meraviglia come, nono
stante la presenza in tv di questi altri mezzi di espressione ed informazio
ne, essi continuino a sussistere indipendentemente. Una spiegazione di
questa coesistenza è stata già data alcuni anni or sono. In un convegno de
dicato al futuro del libro minacciato dall'elettronica, alla domanda di rito
«il computer ce la farà ad uccidere il libro?», Umberto Eco rispose: «nel
suo Notre Dame de Parzs, Vietar Hugo fa pronunciare la fatidica frase a
uno dei protagonisti, 'Ceci tuera cela'. In quel caso ci si chiedeva se il libro
avrebbe ucciso la cattedrale, cioè se l'alfabeto avrebbe finito per uccidere
le immagini. Come si vede, quella domanda è stata posta tante volte». Do
po aver brevemente elencato vantaggi e limiti sia del libro che del compu
ter, tanto della scrittura quanto delle immagini, egli conclude: «non dob
biamo insomma preoccuparci troppo per il futuro del libro, perché nella
storia della cultura non è mai successo che qualcosa abbia davvero ucciso
qualcos'altro»8. Concordando solo in parte con questa rassicurazione -
ogni anno assistiamo alla chiusura di qualche cinematografo, l'editoria non
vive certo la sua stagione migliore e i giornali, pur di vendere qualche co
pia in più, regalano gadget d'ogni sorta - sta di fatto che c'è molto di vero
nel detto per cui «nulla accade se non viene presentato in televisione».
Quanto al design della tv, inizialmente l'apparecchio televisivo era in
serito nel mobile radio; successivamente acquistava una propria volume
tria e veniva disposto su una consolle o su un carrello dotato di ruote per
essere trasportato da un ambiente all'altro; un ulteriore sviluppo si aveva
non solo con l'aumento della superficie del monitor - donde lo slogan «dal
tutto mobile al tutto schermo» - ma anche con un razionale ingrandimen
to del supporto o della superficie d'incasso in una parete attrezzata per
ospitare i videoregistratori e le videocassette.
Tra le ditte commerciali produttrici di televisori, si cominciano a distin
guere sin dal '54 la Radiomarelli, con un apparecchio di 1 7 pollici firmato
da Pier Luigi Spadolini; la Phonola, che produsse i suoi apparecchi dise
gnati da Sergio Berizzi, Cesare Buttè e Dario Montagni; la Brionvega, che
con i modelli disegnati da Zanuso e Sap per - descritti in altra parte di que
sto volume - resta l'azienda leader anche in fatto di estetica del prodotto,
come dimostra il premio Compasso d'Oro assegnato ad alcuni di essi.
VII. Lo stile degli anni Cinquanta 121
Un altro prodotto tra i più tipici dell'Italia del boom economico è l' au
tomobile. Se oggi solo pochi sanno distinguere un modello dall'altro e ad
dirittura quello di un paese dagli altri, tanto è omologata la forma dell' au
to, a partire dal dopoguerra, oltre le famose utilitarie, la linea delle auto
mobili italiane è riconoscibile come una sintesi di minimalismo e di aero
dinamica; si direbbe che lo streamline abbia trovato in Italia la sua più al
ta espressione estetica.
Com'è stato osservato, «il nuovo corso industriale, che non lascia più
spazio alle fuoriserie d'alta classe, induce il carrozziere italiano a intra
prendere la strada del costruttore oppure a collaborare con la grande in
dustria per la progettazione di vetture di serie»9. Battista Farina, detto Pi
nin, già affermato carrozziere fin dal '30, prima ancora di mutare il cogno
me in Pininfarina ( 1 96 1 ) , accetta il nuovo corso e progetta, nel '50, per la
Fiat, la berlinetta 1 1 00 ES e per la Lancia l'Aurelia B20. Nel '57 la stessa
Lancia produce, su progetto Pininfarina, la Flaminia, disegnata su mecca
nica Aurelia.
Sul finire degli anni Cinquanta nasce a Grugliasco, alla periferia di To
rino, un nuovo impianto Pininfarina corredato di ogni moderna attrezza
tura che segna il definitivo passaggio dall'attività prevalentemente artigia
nale del carrozziere alla vera e propria produzione industriale del costrut
tore. Nell'ambito di tale impianto, veniva interamente costruita nel '58 la
Ferrari 250 GT. Nel '59 la direzione dell'azienda passa a Sergio Pininfari
na, figlio del fondatore. Tra le numerose vetture prodotte dalla ditta in pa
rola vanno segnalate quelle che portano il marchio Ferrari: la 250 ( '62 ) , la
2 75 GT ('65 ) , la 3 65 ( '68), la 3 08 ( '76) , la Testarossa dell'84.
Altrettanto importante impresa per la morfologia dell' auto italiana è
quella fondata nel 1 9 1 2 da Giovanni Bertone, ma definitivamente affer
mata nel '54 sotto la direzione del figlio Nuccio con la produzione della ci
tata Giulietta Sprint per l'Alfa Romeo, disegnata da Franco Scaglione. Si
tratta di una della più belle auto italiane, accolta anche da un notevole suc
cesso commerciale. Altri modelli famosi di Bertone sono la Giulietta 55 del
1 95 7 e i prototipi della serie BAT disegnati sempre per l'Alfa Romeo. Ma
la caratteristica esponente del car design di Bertone è data dalle numerose
fuoriserie prodotte per aziende italiane, dalla Fiat all' Autobianchi, dalla
Innocenti alla Ferrari, come per quelle estere, dalla Chevrolet alla Citroen,
dalla Ford alla BMW.
Nel 1 95 8 nasce il Centro Stile Fiat (sul modello della Styling Section
della Generai Motors), che affianca l'ufficio progetti tecnici della stessa
azienda. «l compiti affidati al Centro Stile [ . . ] vanno dal perfezionamen
.
Il «vz.sual design»
' 5 0 al '5 4 . Nel '5 6 è nel primo comitato direttivo dell'ADI come esponen
te della categoria dei grafici accanto a quella degli architetti rappresentata
dal presidente Rosselli e Peressutti, nonché a quella degli industriali pre
sente con Castelli e Pellizzari. È progettista grafico per Olivetti, Carlo Er
ba, Piccolo Teatro, Arflex, Pirelli e altri. Nel campo editoriale si occupa di
art direction e consulenza grafica per la Feltrinelli prima e per la Zanichelli
poi; imposta per Einaudi la collana Bibliote ca del Politecnico; è consulen
te per Editori Riuniti, Sugar, Tamburini e per numerosi periodici della si
nistra italiana.
Restando nel campo dell'editoria - in esso quella italiana è tra i primi
posti nel mondo quanto all'estetica e al rinnovamento del gusto - Einaudi
si avvale dell'opera di Bruno Munari; Boringhieri di Enzo Mari (pensiamo
in particolare alla collana delle opere di Freud) ; Laterza vive il suo mo
mento migliore, per ciò che attiene alla veste grafica, quando a progettar
la è Mimmo Castellano. Altro grafico famoso è Bob Noorda, olandese sta
bilitosi in Italia. Nei primi anni Sessanta è art director della Pirelli; nel
campo del visual strettamente inteso, Noorda crea numerosi marchi e sim
boli; tra i più noti, quelli per la Biennale di Venezia del ' 66, l'Ept di Mila
no, Mondadori, il marchio Lanerossi e quello del Touring Club Italiano.
Nel '65 fonda l'Unimark International Corporation for Design and Marke
ting, con corrispondenti a New York e a Londra. Nel '79 ottiene il Com
passo d'Oro per l'immagine coordinata Agip Petroli e per il simbolo e l'im
magine della Regione Lombardia; vince la medaglia d'oro a Rimini per l'at
tività nel campo del design.
Il boom economico a partire dagli anni Cinquanta comporta un auto
matico incremento della pubblicità e in genere della comunicazione grafi
ca. E ciò non solo nel campo privato, ma anche in quello pubblico - vexa
ta quaestio che attraversa tutta la storia del design italiano. Le Ferrovie
Nord Milano affidano la propria immagine visiva a Carlo Dradi e la Rai,
dal ' 5 3 , a Erberto Carboni, ma il culmine di questo genere di design per il
pubblico si avrà nel ' 63 con la collaborazione di Bob Noorda con Franco
Albini e Franca Helg nella progettazione della segnaletica della MM, la
Metropolitana Milanese. Nel frattempo i Comuni e gli enti di pubblico ser
vizio - la Sea, l'Aem, i Parchi nazionali, le imprese a partecipazione stata
le, dalla Si p all' Alitalia, dalla Società Autostrade alla Rai, che annoverava
tra i suoi operatori Huber, Bianconi, Iliprandi, Weibl, Sambonet, Confa
lanieri, Negri, Tovaglia, Provinciali ed altri - si impegnarono per diffon
dere la loro immagine, in ciò anticipando una politica molto invocata ai
nostri giorni: quella per cui oggetto di design come di pubblicità non sono
solo i prodotti ma anche i «servizi».
Sempre a proposito della pubblicità commissionata dalle istituzioni
pubbliche, va rilevata la 'grafica nella città' , di cui un aspetto è il lettering
VII. Lo stile degli anni Cinquanta 127
Note
Abbiamo visto che sin dai tempi dell'ing. Camillo, la Olivetti si segnalò,
oltre che per la qualità dei prodotti, per il suo inserimento nel mercato del
le macchine da scrivere, allora dominato dai produttori statunitensi e te
deschi, anche per una moderna politica culturale e di democrazia azienda
le assecondata dalla diffusione dei servizi sociali e sanitari a favore dei la
voratori, che raggiunse il suo culmine nel 1 93 3 con il passaggio della dire
zione dell'azienda al figlio Adriano. Questi, dopo una esperienza statuni
tense di organizzazione industriale nel 1 925 , nel '3 1 iniziò a formare un
gruppo di progettisti, artisti, pubblicitari, nonché tecnici di fabbrica inca
ricati di verificare i tempi di realizzazione, vale a dire quell'équipe di esper
ti in grado di seguire le varie componenti della produzione industriale da
anni auspicata dalla cultura del design. Vi furono coinvolti, appunto a va
rio titolo e persino in tempi diversi, i pittori Bruno Munari, Luigi Verone
si, Xanty Schawinsky, gli architetti Figini e Pollini, lo studio Boggeri, Per
sico e Nizzoli, quest'ultimo tra i maggiori artefici dello stile Olivetti. Sue
infatti sono le macchine da scrivere Lexicon ( 1948), Lettera 22 ( 1 950), la
calcolatrice Divisumma 24 ( 1955 ) , la macchina da scrivere Diaspron
( 1 959) . Più tardi la Olivetti produsse, disegnate da Mario Bellini, la mac
china da scrivere Praxis 3 5, la Divisumma 18 ( 1973 ) , il sistema elettronico
di videoscrittura ETV 240 e ancora più famose, progettate questa volta da
Ettore Sottsass jr. , le macchine da scrivere Praxis 48 ( 1 964) , la Lettera 3 6 e
la Vafentine ( 1 969) .
Com'è stato osservato, «già ad apertura del decennio cinquanta è vivo
l'interesse per il disegno industriale italiano: prima uscita prestigiosa la
mostra che, nel 1 952, a New York, il Museum of Modero Art dedica
all'Olivetti. Si sancisce così il successo della macchina per scrivere che 'non
deve essere un gingillo da salotto con ornamenti di gusto discutibile ma de
ve avere un aspetto serio ed elegante nello stesso tempo', come già scrive
va nel 1 9 12 Camillo Olivetti, e un riconoscimento al contributo che da più
93 . Poster pubblicitario della macchina da
scrivere MPl per Olivetti, 1 95 5 .
9 4 . G. Pintori, pagina pubblicitaria p e r Olivetti,
1 965 .
di mezzo secolo da Ivrea veniva dato alla qualità estetica - oltre che alla
· •
ponendo di proprio (come osserva Zevi) una alacrità di tipo artigiano, ri
montata sull'industria. Artigiano, a questo punto, non è più il mobiliere di
tipo brianzolo che differenzia il proprio mobile per renderlo più cattivan
te, e lo fa accentuando la caratteristica personale di quantità di lavoro im
messovi, ma artigiano è il senso della partecipazione singola, l'individuale
mettere mano all'oggetto come procedura di un'intuizione che trascende,
anche se in fondo giustifica, la produzione meccanica, mentre mira a oc
cultarla, a fingerla diversa da come in realtà è, e deve essere per raggiun
gere quei risultati»3.
Sul tema dello stile e segnatamente sull'opera di Nizzoli, ritorno sulla
distinzione già operata tra Razionalismo «discreto» e «continuo», esami
nando le sue più riuscite macchine da scrivere: la Lexicon 80 e la Lettera
22. Giampiero Bosoni scrive: «la copertura di entrambe le macchine, otte
nuta per pressofusione, consente a Nizzoli di concepire un rivestimento
estremamente plastico, che, soprattutto nel caso della Lexicon 80, viene
sottolineato dalle curve e dalle linee determinate dal combaciare dei due
pezzi, coperchio e copertura; realizzati appunto, in quella forma estetica
mente continua, grazie al tipo di processo produttivo della pressofusione.
La sintassi formale adottata per la Lettera 22 è invece più di tipo grafico
che plastico, come osserva Mario Labò nel suo saggio sull'estetica indu
striale all'Olivetti: 'forma semplice, quasi un parallelepipedo, in cui le su
perfici sono stirate rigidamente e gli angoli retti sono voltati agli spigoli se
condo la curva del minimo raggio' . Una forma quindi ideale per il ridotto
VIII. Lo stile Olivetti 133
L a «corporale image»
di questa visione del corporate design sta nella chiara ed immediata rico
noscibilità dei propri scopi e della propria qualità, che ebbe modo di espri
mersi anche con attività di ricerca pura, di solito trascurate perché lonta
ne da un tornaconto economico, come l'esplorazione di alfabeti di remote
civiltà oppure studi sulle implicazioni tecnologiche e umane del diffon
dersi dell'elettronica, che negli anni fra il 1 955 ed il 1 960 erano estrema
mente avanzati»6.
134 Made Zn Italy
Note
1 A. Pansera, Storia del diSegno industriale italiano, Laterza, Roma-Bari 1 993, p. 129.
2 E. Frateili, Continuità e tra.i/ormazione. Una storia del disegno industrùzle italiano 1 928-1 988,
Albeno Greco Editore, Milano 1989, pp. 1 2 1 - 123.
3 P. Fossati, I l design in Italia, Einaudi, Torino 1 972, pp. 37-38.
4 G. Bosoni, Olivetti: il periodo di Nizzoli, in V. Gregotti, I l diSegno del prodotto industriale, Ita
lza 7860-1 980, Electa, Milano 1982, p. 298.
' S. Kircherer, L'arte di creare uno stile d'impresa. La vera sfida del design management, in <<Do
mus>>, n. 7 1 9, settembre 1 990.
6 lbtd. Inoltre, su questo tema, cfr. V. Pasca, D. Russo, Sulla corporate image, in <<Op. cit.», n .
120, maggio 2004.
Capitolo nono Il Compasso d' Oro e l'ADI
Note
1 Cfr. M.C. Tonelli Michail, La Rinascente e la cultura del design, in <<Op. cit.>>, n. 8 1 , maggio
1 99 1 .
2 Ibzd.
3 Ibid.
4 Jbid.
5 Cfr. Un premio per l'estetica del prodotto, in «Stile Industria>>, n. l , giugno 1 954.
6 A. Grassi, A. Pansera, L 'Italia del design. Trent'anni di dibattzto, Manetn Editore, Casale Mon-
ferrato 1 986, p. 3 0 .
7 Ibzd.
8 Ibid.
9 Citato in Grassi, Pansera, L'Italta del design. Trent'anni di dibattito cit., pp. 3 8-39.
Capitolo decimo Lo stile .«neo-s torico»
Come in architettura, anche nel campo del design c'è stato un momen
to in cui la «contestazione del presente» spinse molti autori ad una rinno
vata relazione con la storia. Il rapporto storia-progettazione, del quale
molti di noi si sono occupati, continua periodicamente a porsi con insod
disfacenti esiti. Personalmente sono giunto alla seguente conclusione: fin
ché il progetto di una fabbrica o di un prodotto industriale attingerà dalla
storia definite caratterizzazioni stilistiche, ben identificate tendenze, com
piute conformazioni di opere e ambienti, in una parola costruzioni com
pletamente realizzate e facilmente individuabili, tale progetto riprenderà,
ripetendole più o meno passivamente, opere già catalogabili come eventi
storici e avrà un marchio storicistico, eclettico, revivalistico nel significato
peggiore. Se, viceversa, il nuovo progetto attingerà dalla storia non com
piute conformazioni, bensì tipi, elementi discreti, regole combinatorie,
tecniche rimaste invariate, ecc., detto progetto avrà individuato termini
appunto invarianti del sistema linguistico, fattori strutturali e strutturanti
dell'architettura o del design che potranno in piena legittimità essere uti
lizzati nel programmare un'opera nuova, ancorata sì alla tradizione e alla
logica interna della disciplina, ma del tutto inedita, in quanto i termini pre
levati perderanno il loro primitivo carattere storico per acquisirne un altro,
quello proprio del manufatto progettato. Quanto precede trova conferma
in ciò che sostiene Eco in campo linguistico. Parlando dei vari codici ar
chitettonici, sintattici, semantici, sociali, ecc., e di quelli da essi derivati,
egli sostiene: «l'aspetto che colpisce in tutte queste codificazioni è che es
se mettono in forma soluzioni già elaborate. Sono cioè codificazioni di tipi
di messaggio. Il codice-lingua è diverso: mette in forma un sistema di rela
zioni possibili dalle quali si possono generare infiniti messaggi. A tal pun
to che è apparso persino impossibile individuare delle connotazioni ideo
logiche globali riferibili a una lingua. Una lingua serve a formulare ogni ti
po di messaggi, connotanti le ideologie più diverse»1 .
Negli anni seguenti l a seconda guerra mondiale, s i diffondono in Italia
X Lo stile «neo-storico» 1 43
Azucena
Neoliberty
Achilli, Sergio Asti, Gae Aulenti, Pierfausto Bagatti Valsecchi, Daniele Bri
gidini, Franco Buzzi Ceriani, Maurizio Calzavara, Guido Canella, Sergio
Favre, Leonardo Ferrari, Leonardo Fiori, Roberto Gabetti, Vittorio Gre
gotti, Aimaro Isola, Laura Lazzani, Lodov.ico Meneghetti, Anna, Giane
milio e Piero Monti, Fulvio Raboni, Umberto Riva, Ugo Rivolta, Sergio
Rizzi, Aldo Rossi, Domenico Sandri, Antonio Scoccimarro, Giotto Stop
pino, Silvano Tintori, Virgilio Vercelloni.
La loro posizione era così espressa nel catalogo: «Questa mostra non è
un bilancio informativo intorno al lavoro delle più giovani generazioni di
architetti italiani, né, d'altra parte, il manifesto di una nuova tendenza.
Dell'una mancano obiettività e completezza di informazione; dell'altra
compattezza di ideali e vigore polemico contro i propri predecessori. Que
sta mostra è nata dalla preoccupazione di fissare fenomeni nuovi che, pre
senti in molti degli architetti italiani, sembrano fra i giovani più caratteriz
zati, se non più coscienti; qualunque sia la forza progressiva di tali feno
meni essi hanno già portato alla superficie problemi ed inquietudini
p rofonde che sarebbe illogico mimetizzare o trattare in vesti di crisi per
sonali a favore di una presunta politica di compattezza della cultura archi
tettonica. Il criterio sintomatologico che ci ha guidati nella scelta dei pez
zi da esporre è quindi assai più legato al possibile significato delle imma
gini che alla compiutezza tecnologica e formale delle opere esposte. [. .. ]
L'oggetto sembra tentato di uscire da una presunta realtà distinta, con
trapposta, in cui lo poneva la sua soggezione al processo funzione-forma.
Esso tende ad assumere una maggiore funzione emblematica, a farsi pos
sedere dai sentimenti, a significare con passione diversi contenuti»3.
Il testo citato, francamente di non grande chiarezza, esprime una testi
monianza al tempo stesso critica e prudente, una documentazione di qual
cosa non ancora definito e quasi in attesa di nuovi eventi. Più o meno ana
loghi, sia pure con diverse angolazioni personali, sono gli altri interventi
nel catalogo a firma di Gregotti, Aldo Rossi, Gabetti e Isola e Guido Ca
nella, tutti della categoria degli «architetti che scrivono», affermando una
positiva condizione della giovane generazione di progettisti italiani del
tempo.
Tra i mobili più riusciti in quella esposizione vanno citati: la poltronci
na Cavour disegnata da Gregotti, Meneghetti e Stoppino, prodotta dalla
Sim di Novara, per la quale progettarono anche una libreria a cavalletto; il
tavolo tondo di Asti e Favre, realizzato dalla Xilografia Milanese; la pol
trona a sdraio in rattan e vimini di Umberto Riva, prodotta per conto del
la Rinascente; e, più liberty di tutti, il cassettone con ribalta, progettato da
Gabetti e Isola, realizzato dalla Colli di Torino. Associabili in qualche mo
do alla stessa tendenza, ma non esposti nella mostra citata, sono: la pol
trona Sanluca dei fratelli Castigliani, autori anche dello spillatore Spina-
150 Made in Italy
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Nuovi disegni per il mobile
italiano, 1 960.
1 1 9. V . Gregotti, L. Meneghetti
e G. Stoppino, poltroncina
Cavour.
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to come amici, piuttosto che nemici; amici da cui ci si aspettava, e forse più
per intima comunione che per véra comprensione, di ricevere generosa
mente dei prestiti»5.
125. Ch.R. Mackintosh, poltrona Willow, 1 904 (nella riedizione Cassina, 1 973 ).
126- 1 29. Quattro simboli della collana «I Maestri» di Cassina, curata da F . Alison.
X. Lo stile «neo-storico>> 155
Note
' U. Eco, La struttura assente, Bompiani, Milano 1968, p. 224.
2 P. Portoghesi, Dal neorealismo al neoliberty, in <<Comunità», n. 65, dicembre 1958.
3 AA.VV., Nuovi disegni per il mobile italiano, Catalogo della mostra omonima presso L ' Osser
vatore delle Arti Industriali, Milano 1 4-27 marzo 1960.
4 E. N. Rogers, L 'evoluzione dell'architettura, risposta al custode deifrzg,idaires, in <<Casabella-con
tinuità>>, n. 228, giugno 1959.
5 V. Scully, Louis I. Kahn, Il Saggiatore, Milano 1 963 , p. 1 2 .
6 V. Pasca, Design negli anni novanta, in F. Carmagnola, V. Pasca, Minimalismo, etzca delle /or
me e nuova sempltcità nel design, Lupetti, Milano 1996, pp. 1 06-107.
Capitolo undicesimo Il de�ign e le arti
Pop Art
Con buona pace di Argan che liquidò questa tendenza come «anarchia
di destra, qualunquismo reazionario» [G.C. Argan, Progetto e destino, Il
Saggiatore, Milano 1 963 , p. 5 1 ] , essa ha avuto un elevato valore sociale: è
stata l'ultima espressione artistica in grado di rappresentare una condizio
ne socio-culturale di un momento storico ad essa contemporaneo, nel no
stro caso la «cultura di massa». Diamone qualche cenno: «all'indomani
della seconda guerra mondiale, la sociologia americana scopre la Terza
Cultura, la riconosce e la nomina: mass-culture. Cultura di massa, vale a di
re prodotta secondo le norme della fabbricazione di massa industriale; di
vulgata mediante le tecniche di divulgazione di massa (che uno strano neo
logismo anglolatino chiama mass media ) ; rivolta a una massa sociale, cioè
un gigantesco agglomerato di individui colto al di qua e al di là delle strut
ture interne della società (classi, famiglia, ecc.)»1. Questa cultura, terza do
po quelle religiose-umanistiche e nazionali, «è cosmopolita per vocazione
e planetaria per estensione, ci pone i problemi della prima cultura univer-
XI. Il design e le arti 157
sale della storia · dell'umanità»2. Jali problemi sono stati ampiamente di
battuti: si è parlato di manipolazione, di eterodirezione, di una perversità
insita negli stessi mezzi indipendentemente dai modi di gestirli, ecc.
Dall'ottica di vecchie ideologie e di Uf). generico moralismo si è stigmatiz
zata la cultura di massa come espressione del capitalismo, del consumi
smo, di un insensato «godimento presente», di un feticismo del tempo li
bero e simili, dimenticando che dovunque, in qualsiasi sistema socio-poli
tico, appena le condizioni economiche lo hanno consentito, molte di que
ste «negatività» hanno assunto il ruolo di valori ampi e condivisi.
La più corretta posizione di fronte ai suddetti problemi ci sembra quel
la indicata dallo stesso Edgar Morin in un punto nodale del suo saggio de
dicato alla cultura di massa: «impossibile porre l'alternativa semplicistica:
è la stampa (o il ci_n ema, o la radio, ecc.) che fa il pubblico, o il pubblico
che fa la stampa? E la cultura di massa che si impone dall'esterno al pub
blico (e gli fabbrica pseudobisogni, pseudointeressi) o riflette i bisogni del
pubblico? E evidente che il vero problema è quello della dialettica tra il si
stema di produzione industriale e i bisogni culturali dei consumatori [ . . . ] .
La cultura di massa è dunque il prodotto di una dialettica produzione-con
sumo, nell'ambito di una dialettica globale che è quella della società nella
sua totalità»3.
Senza identificarsi coi mass media, la Pop Art costituì la loro interpre
tazione artistica. N ulla togliendo all'esperienza dell'arte astratto-concreta,
ovvero dell' «arte utile», che un grande contributo diede all'architettura e
al design, dopo decenni di ermetiche immagini astratte, geometriche od
organiche, contemplative o espressionistiche, finite o informali, comunque
decifrabili solo da chi ne conoscesse gli stilemi più o meno codificati, ecco
di nuovo, grazie alla Pop Art, la presentazione o rappresentazione di «fi
gure» e «cose» della vita quotidiana, una sorta di risemantizzazione dal
basso, basata sull'iconografia di una realtà tutta artificiale e tecnologica.
Certo, per ottenere questo risultato fu indispensabile una immersione
nel bagno della volgarità, del kitsch, del banale, dal quale la pittura sareb
be uscita con quella «contaminazione» fra arte e vita (ipotizzata da molte
tendenze dell'avanguardia) , capace di nuovo di rappresentare uomini nel
costume del nostro tempo e cose che di esso sono i simboli più flagranti.
L'iconografia usata dai principali artisti pop è largamente nota: immagini
ed oggetti presi dal contesto quotidiano, scatole di alimentari, bottiglie di
Coca-Cola, strumenti tecnologici, foto (con procedimento di riporto sulla
tela) di donne famose, la Kennedy, la Taylor, la Monroe, figure prelevate
dai cartelli pubblicitari, particolari ingigantiti di réclame, con la tecnica
p ropria della pittura commerciale o con quella dei disegni dei fumetti, ecc.
Il tutto come «nuovo» e non allo stato di cose consumate o di rifiuti, così
come facevano i neo-dadaisti. Insomma, ad un primo scandaglio, quella
158 Made in Italy
'69, un oggetto così carico di comicità da figurare nei film di Paolo Villag
gio, alias ragionier Fan tozzi, il sedile-guantone da baseball Joe degli stessi
autori e realizzato da Poltronova nel '70, palese omaggio al giocatore Joe
Di Maggio, marito di Marilyn Monroe, a sua volta modella di Andy
Warhol; lo sgabell9 Mezzadro di Achille e Pier Giacomo Castigliani per
Zanotta del '70; la poltrona Pratone, progettata da Ceretti, Derossi e Ros
so e l'attaccapanni Cactus di Drocco e Mello del '72, prodotti dalla Gufram
nello stesso anno; il divano Bocca, ideato da Drocco e Mello ancora per
Gufram.
Ma se questi sono i modelli più noti associabili alla Pop Art, molti altri
possono contribuire a formare una sorta di stile Pop-design: per un ac
cento «brutalista», la poltrona Elda diJoe Colombo per la Comfort del '65 ;
quella contrassegnata 932 di Mario Bellini per Cassina del '67 ; quella no
minata Gomma di De Pas, D'Urbino e Lomazzi per BBB Bonacina del '67 ;
degli stessi autori la poltrona Straccio per Zanotta del '6S; di Afra e Tobia
Scarpa la poltrona Bonanza per B&B del '69. Più vicini al gigantismo e/o
al mimetismo della Pop Art sono: il divano componibile Superonda degli
Archizoom per Poltronova del '67; il divano Lombrico di Marco Zanuso
per B&B dello stesso anno; la lampada da tavolo Pillola di Casati e Ponzio
per Ponteur del '6S; la Serie Up di Gaetano Pesce per B&B del '69, con
traddistinta dall'automatico gonfiaggio dei componenti che alludono agli
organi femminili; di Carlo Scarpa e Marcel Breuer il tavolo in marmo Del
/i per Simon con evidente riferimento mimetico al mondo antico; il diva
no-letto Anfibio di Alessandro Becchi per Giovannetti del '7 1 ; il Moloch di
Gaetano Pesce per Bracciodiferro del '7 1 ; il tavolo con sedie Nobili nella
Valle di Mario Cerali per Poltronova del '72 , in legno di pino russo grez
zo; l'oggetto per riposare La Cova di Gianni Ruffi per Poltronova del '73 ,
grande invaso in espanso preformato, pubblicizzato dall'immagine di una
modella fra tre grandi uova; il divano di Gaetano Pesce Tramonto a New
York dell'SO per Cassina; il sedile Allunaggio di Achille e Pier Giacomo Ca
stigliani dell'SO per Zanotta; il tavolo in cristallo con ruote di Gae Aulenti
per Fontana Arte dello stesso anno; il mobile armadio Cabina di Aldo Ros
si per Molteni. Altri mobili mimetici o totemici vanno classificati nella pro
duzione di Alchymia e Memphis e non hanno una diretta relazione con la
Pop Art.
Il rapporto fra design e movimenti artistici d'avanguardia è variamente
motivato. Quello con la Pop Art è, come già detto, ironico e gioioso, quel
lo con le altre tendenze talvolta ispirato alla morfologia, talaltra alla socio
logia, ovvero ad entrambe. In ogni caso non si tratta semplicemente e sem
pre di un moto del gusto. Forse proprio per la mancanza in generale di un
solido rapporto con la produzione, la vendita e ancor più le istanze del
consumatore, il «progetto» del mobile e dell'arredo si è, per così dire, ri-
1 36. ]. De Pas,
D. D'U rbino
e P. Lomazzi,
poltrona ]oe per
Poltronova, 1 97 1 .
1 3 7 . G . Pesce, sedute
Up per B&B, 1 969.
1 38. G . Pesce,
Tramonto a New
York per Cassina,
1 975.
1 62 Made in Italy
Op Art
Ritornando alle tendenze dell'arte, più forte influenza sul design italia
no è da attribuire all'Arte cinetica o Programmata detta anche Op Art.
Dalla «pura visibilità» alla «pura visualità» si potrebbero definire le espe
rienze che portano dalle opere di De Stijl fino alle più recenti ricerche
dell'arte visuale e cinetica. Questa, infatti, è stata considerata «una sorta di
riduzione fenomenologica ai puri dati della percezione, liberata da ogni
componente nazionale o culturalistica»5. Essa non ha mirato tanto alla for
mazione di un nuovo linguaggio, quanto a proporre singole strutture (pat
terns) e modelli sperimentali, stimolatori di effetti visivi, di illusioni otti
che, di movimenti reali o virtuali, sfruttando, da un lato, i meccanismi per
cettivi e, dall'altro, gli strumenti della tecnologia, dai più semplici e ma
nuali ai più sofisticati congegni elettronici. Non siamo quindi più in pre
senza di un'arte con un forte fondamento teorico, ma di esperienze preva
lentemente legate alla psicologia sperimentale, nel migliore dei casi alla
Gestaltpsychologie, e a ricerche di tipo tecnico-industriale da laboratorio.
Tuttavia, se queste manifestazioni sono lontane dallo spirito e dalle inten
zioni purovisibiliste, esse rientrano sempre, magari forse come l'ultima e
più ridotta espressione, nella linea della formatività.
Quanto all'origine dell'arte visuale e cinetica, senza risalire al Futuri
smo, al Dadaismo, al Costruttivismo e a più remote ricerche sul movimen
to, essa è l'ultima manifestazione dell' Astrattismo-concretismo e si collega
direttamente alla seconda generazione di concretisti: Max Bill, Dewasne,
Mortensen, Deyrolle, Vasarely, Munari, ecc. A tal proposito, Dorfles coglie
l'occasione per ricordare l'importanza culturale dei movimenti concretisti
del periodo fra le due guerre e immediatamente successivi al secondo con-
XI. Il design e le arti 163
L'arte utile
plo avvenne anche da parte di ogni genere artistico; di modo che si ebbe
ro multipli cinetici, op (Cruz-Diez, Soto, Vasarely, Colombo, Alviani, Car
mi, ecc. ) , pop (Rauschenberg, Lichtenstein, Oldenburg, Tilson, Baj ) , e
persino concettuali e 'poveri' (Fulton, Barry, Pistoletto) , alcuni di livello
artistico notevole, altri invece decisamente deteriori»12. Tutto ciò, comun
que, pur avendo riscontri tra le arti e il design, non è riuscito ad evitare
quella sì che è stata una crisi - l'anti-design e, come vedremo, altre espe
rienze radicali.
I.:Arte povera
La versione italiana della Pop Art può considerarsi l'Arte povera. Men
tre si celebrava ancora il compiaciuto ed ironico prelievo dei simboli della
170 Made in Italy
società opulenta ad opera della Pop Art, definito da Argan «il banchetto
della nausea», e mentre, sempre in America, nasceva la Land Art con l 'in
tento da parte dei suoi artisti di intervenire sui grandi spazi naturali per la
sciarvi dei segni non tecnologici, ma ecologici, prendeva forma, con l'Arte
povera, il maggiore contributo italiano alla neoavanguardia internaziona
le. Benché anche questa poetica partecipasse all'ideologia o, se si vuole, al
motivo dominante per cui si doveva contestare l 'arte in quanto in una so
cietà neo-capitalista essa è merce, quindi ricchezza e in definitiva potere, il
primo merito dell'Arte povera, da una visuale odierna, è stato proprio
quello di produrre oggetti d'arte, nonostante tutto e nella consapevolezza
dei limiti della situazione socioeconomica.
Il senso riduttivo di tale poetica è molteplice. Già nel felice termine di
Arte povera, coniato da Germano Celant, ripreso dall'espressione «teatro
povero» di Grotowski, c'è il senso dell'eliminazione dell'inutile e del su
perfluo; atteggiamento che trova forse un aggancio in quell'«orgoglio del
la modestia» di cui parlavano Venturi e Persico a proposito di un'architet
tura e di un design propri degli anni Trenta. Un altro aspetto della ridu
zione operata dalla poetica in esame può riconoscersi in una sintesi di ar
tificio e natura, di elementi attinti sia dalla sfera naturale che da quella tec
nologica.
Intendendo il termine riduzione come re-ducere ( ricondurre) - e lo ve
dremo meglio nel capitolo dedicato allo stile minimale -, esso ci indica
l'apporto più specifico e nuovo della tendenza di cui ci occupiamo, cioè il
recupero (o il ritorno appunto) del «primario», nel senso di elementi pri
mari: la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria; e puntualmente alcuni di essi rien
trano nelle singole opere dei principali artisti «poveri». Ma la nozione di
«primario» non si limita agli elementi suddetti; primari sono anche i ma
teriali prodotti dalla tecnologia quali la luce elettrica, il neon, l'acciaio
ino x , ecc. Questa estensione nella nozione di primario dalla natura all' ar
tificio da un lato conserva la «povertà» del primario stesso - il punto di
partenza, il rinnovato inizio - dall'altro lo rende utilizzabile al rapporto fra
arte e vita, che costituisce un altro ritornello cantato dalla vecchia come
dalla nuova avanguardia.
«Nel vuoto esistente fra arte e vita - scrive Celant - [. .. ] là un'arte com
plessa che mantiene in vita la ' correptio' del mondo, col tentativo di con
servare 'l'uomo ben armato di fronte alla natura'. Qui un'arte povera, im
pegnata con l'evento mentale e comportamentistico, con la contingenza,
con l'astorico, con la concezione antropologica, l'intenzione di gettare al
le ortiche ogni ' discorso' univoco e coerente [. .. ] . Un momento freschissi
mo che tende alla ' decultura', alla regressione dell'immagine allo stato
preiconografico, un inno all'elemento banale e primario, alla natura intesa
secondo le unità democritee e all'uomo come 'frammento fisiologico e
XI. Il design e le arti 171
to Ara di Elena e Massimo Vignelli del ' 7 4 per la Driade, in listelli di legno
massello; il tavolo La barca di Piero De Martini del '15 per Cassina; la li
breria pieghevole di Magistretti Nuvola rossa per Cassina del ' 7 7 ; la sedia
Ciabatto di De Pas, D'Urbino e Lomazzi del ' 7 9 per Pozzi, in legno con se
dile e schienale inpagliati. Completiamo questa elencazione con l'intento
più «povero» di tutto il design italiano: la Proposta per un 'autoprogettazio
ne di Enzo Mari consistente in una serie di disegni per realizzare mobili
con semplici assemblaggi di tavole grezze e chiodi da parte di chi li avreb
be utilizzati; il catalogo fu edito nel ' 7 4 dalla Simon International che rea
lizzò anche dei prototipi dei mobili presentati. Comunque, nella nostra
prospettiva, il fattore più importante dell'Arte povera è il suo preludere
(ancora una volta non importa la cronologia) alla Minimal Art.
L.:Arte concettuale
Nella nostra rassegna non può mancare un cenno a questa tendenza ar
tistica, la più sofisticata tra quelle della neoavanguardia. Caratteristica
esponente dell'Arte concettuale è il diverso modo d'intenderla, non solo
nelle differenti interpretazioni dei critici, ma in quelle degli stessi artisti.
La prima interpretazione o lettura dell'Arte concettuale, comune a tut
ti gli operatori estetici definibili «puri concettuali», da Joseph Kosuth a
Bernar Venet, da Lawrence Weiner a Robert Barry, da Douglas Huebler a
Vietar Burgin, è la riduzione dell'oggetto al concetto.
Se alcune tendenze precedenti, dall'arte astratto-concreta a Dada, dal
le esperienze optical alla Minimal Art, avevano già eclissato la figura
dell'artista, ovvero consideravano l'arte non più espressione di una indivi
dualità, per i concettuali è lo stesso oggetto-opera che va eliminato a van
taggio del concetto, dell'idea generatrice dell'operazione artistica. Rifa
cendoci alla definizione saussuriana di «segno», inteso come l'unione di un
significante e di un significato - che il linguista ginevrino chiama pure, ri
ferendosi al segno linguistico, rispettivamente «immagine acustica» e
«concetto» -, possiamo considerare che i concettuali operano come se fos
se possibile eliminare il primo termine e conservare il secondo. Ma come
comunicare, come trasmettere l'informazione di un significato-concetto
facendo a meno del significante-immagine? La risposta a questo interro
gativo ci porta alla seconda interpretazione dell'Arte concettuale e ci con
sente altresì di descrivere alcune «opere» emblematiche della tendenza.
Tale lettura può definirsi come la riduzione di un enunciato (o, in una ter
minologia più pertinente al linguaggio artistico, di una immagine) in una
tautologia. Per eclissare l'oggetto si ricorre all'espediente - che resta co
munque una «invenzione» artistica - di un oggetto che presenta e nomina
XI. Il design e le arti 173
Note
' E. Morin, L'industrza culturale, li Mulino, Bologn à 1 962, p. 6.
2
lvi, p. 8.
3 lvi, pp. 40-4 1 .
4 M . Calvesi, Le due avanguardie, Laterza, Roma-Bari 1981, pp. 287-288.
5 F. M enna, Arte cinetica e visuale, in L 'Arte moderna, voi XIII, Fabbri Editori, Milano 1 967, p.
204.
6 G. Dorfles, Ultime tendenze nell'arte d'oggi, Feltrinelli, Milano 197 3 , pp. 79-80.
7 M. Meneguzzo, Bruno Munari, Laterza, Roma-Bari 1993 , p. 146.
8 U. Eco, Arte programmata, in Catalogo della mostra Olivetti, Milano 1962.
9 F. Menna, Le basi dell'arte cinevisuale, in La regola e il caso, Ennesse Editrice, Roma 1970, p.
209.
10
G.C. Argan, La ricerca gestaltica, in «li Messaggero>>, 24 agosto 1 963.
1 1 F. Menna, Design, comunicazione estetica e mass media, in <<Edilizia moderna>>, n. 85 , 1965.
12
Dorfles, Ultime tendenze nell'arte d'oggi cit., p. 93 .
" G. Celant in Quaderni de' Foscherari, a cura di P. Bonfiglioli, Bologna 1968.
1 4 M. Calvesi, Precedenza dell'arte italiana, in A vanguardta di massa, Feltrinelli, Milano 1978, p.
1 14.
1 5 C. Lonzi, Autoritratto (intervista con Giulio Paolini), De Donato, Bari 1969.
' 6 R. Barilli, Giulio Paolini, in In/armale oggetto contemporaneo, Feltrinelli, Milano 1 979, vol. II,
p. 126.
17 M. Calvesi, Paolini al di là del vedere, in Avanguardza di massa cit., p. 174.
Capitolo dodicesimo La riduzione minimalista
·-
La «riduzione» culturale
1 43 . A . G . Fronzoni, tavolo e sedie della serie 64, 1 964 , poi Cappellini, 1 996.
144. Archizoom, poltrona Mies per Poltronova, 1 969.
1 82 Made in Italy
Ritornando alla nostra tesi per sui il «qualcos' altro» non è un fattore ag
giuntivo, ecco una serie di possibili riduzioni nel campo del design.
La prima sarebbe quella di isolare il design degli oggetti domestici
dall'intero contesto del disegno industriale. Pur riconoscendo le ottime in
tenzioni di chi, quasi dagli inizi del secolo, ha parlato di una metodologia
unitaria adatta a tutti i settori del design, oggi la stessa tesi appare insoste
nibile. Il progetto globale del design storico è fallito; c'è un divario enor
me fra campi informati ad un diverso livello tecnologico; il generoso pro
gramma di «un'arte per tutti» è tutt'altro che realizzato; sono venute me
no le premesse politiche, economiche, culturali indispensabili per attuar
lo. Ogni campo merceologico presenta oggi tali peculiarità da richiedere
non solo una specifica competenza professionale, ma addirittura un diver
so atteggiamento. In tal senso è emblematica l'attività di Sottsass quando
progetta le macchine Olivetti e quando, nella linea radicale, disegna og
getti per la casa.
La seconda riduzione del disegno industriale è la sua interpretazione
prevalentemente nell'ambito del gusto. Se da qui è iniziata la crisi del desi
gn, è inutile attendere chissà quali nuovi eventi, quali innovazioni tecniche,
quali nuovi materiali da adottare, perché tutto lascia credere che proprio
da un rinnovato incontro tra la cultura del pubblico e quella del design sul
fattore gusto si possa in qualche modo, e settorialmente, riprendere il pri
mitivo programma della disciplina in esame: vale a dire l'adesione, la dif
fusione, la quantificazione e il basso prezzo dei prodotti.
La terza riduzione, la più importante ed inclusiva, consiste nel ridi
mensionamento della concezione stessa del design: esso non va più inteso
come parte di un progetto globale e utopistico o come una grande peda
gogia sociale, ma più realisticamente come qualcosa che contribuisce nei
suoi limiti a migliorare gli ambienti e con essi la qualità della vita. Queste
le p roposte che, muovendo dalla teoria della «riduzione» culturale, pre
sentammo al convegno sopra citato.
Il design minimalista
retto da tre esili gambe, anch'esse metalliche, che per il trasporto si infila
no nel tubo stesso, datata al 1 955, ma non a caso rimessa in produzione
dalla Flos nel 1 994; il televisore Black 20 l di Zanuso per Brionvega del
1 969, che solo se acceso dichiara la sua funzione, altrimenti ricorda i cubi
dell'artista minimalista americano Robert Morris; la gran parte della pro
duzione di Enzo M ari. Questa, a mio avviso, è per forma o contenuto «po
vera» e minimalista ad un tempo, dagli oggetti per Danese agli allestimen
ti in cartone canettato, dalla libreria Grz/o ( '69) alla seggiola Delfina ( '74 ) ,
fino al Day-night ( '72) per l a Driade, ovvero il divano-letto più minimali
sta che conosco.
Minimalisti sono tutti gli strumenti tecnici di alta precisione che non
possono permettersi alcunché di superfluo10.
Non bisogna infine dimenticare un altro maestro del Minimalismo,
Bruno Munari: «il problema del minimo, in tutte le cose, in tutti i proget
ti è l'assillo di Munari, soprattutto negli anni cinquanta e sessanta - ha evi
denziato Marco Meneguzzo -: minimo ingombro, minimo costo, minimo
materiale, minimo impatto simbolico, minima presenza dell'oggetto, mini
ma invadenza»1 1 .
Minimalismo e plastica
Note
1 K. McShine, presentazione nel catalogo della mostra <<Primary Structures>> al Jewish Museum
di New York, 1966.
2 lbid.
3 Cfr. H . Zinn, La storiogra/ia di sinistra, in <<Comunità», n. 164, giugno 1 97 1 .
4 Cit. i n V . Pasca, Design negli anni novanta, i n F . Carmagnola, V . Pasca, Minimalismo, etica del-
le forme e nuova semplicità nel design, Lupetti, Milano 1996, pp. 1 0 1 - 102.
5 Cfr. R. De Fusco, G. Fusco, La «riduzione» culturale, in <<Op. cit.», n. 23, gennaio 1972.
6 J.-B. D ' AJembert, D. Didero t, La filosofia dell'Encyclopedie, Laterza, Bari 1966, pp. 68-69.
7 lvi, p. 59.
8 Pasca, Design negli anni novanta cit., p. 98.
9 A. G. Fronzoni, in Carmagnola, Pasca, Minimalismo, etica delle /orme cit., p. 102.
IO
Cfr. G. Dorfles, Disegno negli stumenti di precisione, in <<Stile Industria», n. 3, gennaio 1955.
11
M . Meneguzzo, Bruno Munari, Laterza, Roma-Bari 1 993 , p. 66.
12
Pasca, Deszgn negli anni novanta ci t., pp. 1 07- 1 1 1 .
D C. Martino, Note sul destgn degli anni Novanta, in <<Op. ci t.», n. 1 10, gennaio 200 1 .
Capitolo tredicesimo Lo stile radical
delle culture, delle tecniche, dei valori e dei poteri preesistenti. [. .. ] Anco
ra oggi molti ' uomini di cultura' potrebbero affermare, come fece Gal
braith, che la funzione della pubblicità è quella di ' creare i desideri, di ge
nerare nelle persone quelle necessità che prima non esistevano'. Ed i pub
blicitari a loro volta potrebbero controbattere nello stesso modo in cui
aveva risposto Reeves. Prima con una 'legge' : ' Se il prodotto non soddisfa
un desiderio o una necessità esistenti nel consumatore, la pubblicità alla fi
ne fallirà il suo scopo'. Poi con una tesi opposta alle teorie della persua
sione occulta: ' Non è vero che la pubblicità fa nascere i desideri. Sono i de
sideri che fanno nascere la pubblicità'»5. La critica di sinistra ha avanzato
numerosi altri rilievi alla cultura del design per sua natura sostanzialmen
te liberistica, ma qui ne riportiamo gli aspetti più vicini e pertinenti alla na
scita del radica! design.
Nella seconda metà degli anni Sessanta essa ha assunto aspetti partico
lari, a cominciare dal contesto. La rivolta del '66 nel campus americano di
Berkeley contro la guerra in Vietnam, l'invasione sovietica dei paesi satel
liti, la filosofia di Herbert Marcuse, la letteratura della Beat Generation, da
J ack Kerouac a Allan Ginsberg, il movimento studentesco in Francia pri
ma e Italia dopo, la strategia della tensione e tanti altri sconvolgimenti po
litici, culturali e di costume crearono il movimento del '68. Di esso fecero
parte, e in generale ne uscirono, l'interesse ambientalistico, l'avversione al
consumismo, la rivendicazione da parte dei giovani di una maggiore par
tecipazione politica, il riconoscimento delle minoranze femministe, omo
sessuali, etniche e religiose, il diritto allo studio, ecc. Nel campo delle pro
fessioni i sociologi, gli urbanisti, gli architetti e i designer furono quelli più
influenzati da questa «rivoluzione» che univa indistintamente fatti alta
mente drammatici ad altri addirittura risibili. Comunque quella data segna
una crisi dalla quale non siamo ancora usciti, segnatamente nel campo de
gli studi e dell'università.
Radica! design
sign.
Cominciamo col dare un'idea complessiva dell'immagine che avemmo
della tendenza di cui ci occupiamo: «lampadine colorate, archi, cornici, la
minati stampati a macchie di leopardo, attaccapanni totemici, fili in ten
sione, superfici laccate con colori aggressivi o tenerissimi e dappertutto
una profusione di decorazione e colori: sono gli ingredienti del più attua
le design apparso nelle recenti mostre del settore. [. .. ] Nascono così tavo
li con basi in legno laminato e piani d'appoggio in cristallo sorretti da gam
be contorte da misteriose energie, centrotavola in celluloide colorata sfac
ciatamente, lampade smaltate a forma di puntaspilli oppure di stilizzati
steli rampicanti, letti a forma di ring dalle corde colorate e la base zebrata,
'mobili infiniti' [ .. ] ; insomma si assiste a tutto un universo di riferimenti
.
ve»8. In altre parole il radica! design tentava «in maniera più o meno luci
da e contraddittoria di superare il discorso disciplinare del design, cioè la
ricomposizione delle contraddizioni a livello formale, distruggendo p ro
prio a questo livello l'abituale immagine del prodotto, negando l'elargizio
ne di una correttezza formale in grado di appagare nei termini obsoleti del
'buon gusto'»9.
Si progettavano, quindi, nei casi più eversivi, mobili dall'uso impossi
bile e dalla chiara discendenza dadaista: sedie zoppe, tavoli inginocchiati,
letti chiodati, ma, almeno in un primo tempo, i modi di manifestazione del
radica! design non si limitavano alla sola produzione di oggetti, avvalen
dosi peraltro di scritti teorici, immagini, filmati, happening. Gli oggetti,
anzi, come nota Raggi, «rappresentano solo gli aspetti commercialmente
assorbibili dal mercato, che tra l'altro li può ancora una volta recuperare
come 'mode', ma sono solamente le punte e neanche le più aguzze e inci
sive dell'iceberg che ha come dato originale comune lo stato di disagio po
litico-esistenziale che è l'espressione più istintiva e immediata della crisi
generale di valori in cui si dibatte la coscienza della società moderna, tut
ta protesa attraverso la religione dei consumi e della produzione all'auto
distruzione e all'annullamento»10.
Dopo poco questa contestazione globale viene ad affievolirsi. «Infatti
gli operatori, vuoi perché non credono più che mediante il design si pos
sano attuare rifondazioni totalizzanti ed estranee allo specifico progettua
le, vuoi perché l'allettamento di una professionalità conquistata proprio
con l'autoréclame di gesti provocatori è più forte di un elitario e scomodo
predicare nel deserto, tendono ad aggiustare il proprio tiro nella direzione
di una prassi progettuale in collusione col mondo produttivo. Si passa co
sì dal radica! design a quello che viene denominato Neomodern, più o me
no con gli stessi progettisti, salvo qualche aggiunta di nuove leve e taluni
mutamenti di formazione»1 1 .
Quali sarebbero le differenze secondo alcuni critici del design fra radi
ca! e neomoderni? La principale sarebbe il «ritorno» all'oggetto in oppo
sizione alla sua «distruzione» imposta dall'ideologia radicale. Per alcuni le
ragioni di tale mutamento di rotta consisterebbero nel fatto che molte del
le premesse su cui si fondava il radica! design si erano rivelate inesistenti:
prime fra tutte la creatività e la manualità appannaggio di una classe pro
letaria mai formatasi. Inoltre come nota Mendini «le istanze radicali [ . . ]
.
l M O B E N N T O
�
.
.
per Alchymia elabora nell'SI il Mobile infinito, ovvero una serie di arma
dietti, comodini, cassetti, paraventi ed altri tipi, decorati con macchie e
bandierine colorate, accostabili in una lunga sequenza. «'Il Mobile infini
to' ha richiesto uno staff di progettisti da kolossal hollywoodiano ed è sta
to letteralmente 'rappresentato' nel cortile del Politecnico di Milano, per
poi passare al Pip er di Roma e a Londra, con una didascalia di accompa
gnamento che con le varie voci: Progetto, Coordinamento, Decori, Regia,
Scenografia, Lampadeombra, ecc., sfida i titoli di testa di un film. Per que
sta sorta di 'puzzle domestico', [ . . . ] hanno lavorato circa trenta fra archi
tetti e designers. Ne è risultato un progetto 'eclettico, complesso, spostato
rispetto ai metodi di progettazione tradizionale [. .. ] punto d'incontro vo
luto e casuale ad un tempo di transiti mentali, progettuali, filosofici, arti
stici, artigianali, teatrali, di un insieme di individui che operano nel campo
dell'architettura, design, arte e teatro in questi anni'»15• Mendini, l'ideato
re, sottolinea l'istanza dinamica che ne è alla base e che scardina comple
tamente il concetto statico e rassicurante del 'mobile reale'. «Il mobile in
finito propone un concetto disomogeneo dell'arredo, perché afferma che
gli oggetti dentro la casa sono un accumulo, una foresta, un groviglio di av
venire e di passioni» 16.
Da Alchymia nasce nell'SI il gruppo Memphis per iniziativa di Ettore
Sottsass jr. , Barbara Radice e Michele De Lucchi, con intenti sia proget
tuali sia produttivi che nelle sue manifestazioni ospita opere di molti desi
gner sopra nominati. Il presidente di questa più organizzata compagine è
Ernesto Gismondi, che copriva la stessa carica anche in Alchymia: desi
gner e in pari tempo imprenditore, ha modo non solo di contribuire a rin
novare l'immagine del mobile contemporaneo, ma anche di far disegnare
e produrre materiali quali i laminati plastici, capaci di passare dal rango di
materiale povero e banale a una nuova forma decorativa. Non si tratta so
lo di una svolta tecnica, tant'è che il catalogo si arricchisce anche di altri
elementi e conformazioni come vetri, moquette, lampade al neon, lamiere
galvanizzate e pressate in combinazioni insolite, tutto progettato da desi
gner. In breve, Memphis tende a valorizzare materiali poveri in nuove e più
preziose conformazioni. Questo orientamento è convalidato dal fatto che,
chiusa la ditta nel 1 9S7 , la sua esperienza viene continuata nell'S9 da un
gruppo di artisti quali Boetti, Calzolari, Chia, Kosuth, Paladino, Pistolet
to ed altri che danno vita a Meta-Memphis, tutta orientata al connubio ar
te/design e produttrice di una collezione di mobili e di componenti chia
mata Ad usum Dimorae.
Le differenze tra Alchymia e Memphis dal punto di vista morfologico
non sono molte: entrambe giocano un avanguardismo di maniera, specie
se si confronta con quello, poniamo, dei dadaisti; tuttavia la presenza, o
meglio, la suggestione della presenza di un maestro come Ettore Sottsass
XIII. Lo stile radica! 205
Il caso Dalisi
Note
1 G. D'Amato, Il design e la critica di sinistra, in <<Op. cit.>>, n . 70, settembre 1 987 .
2 G. Bonsiepe, Panorama del disegno industriale, in <<Op. cit.>>, n. 2 1 , maggio 1 97 1 .
' A. Grassi, A . Pansera, Atlante del design italiano 1 940-1 980, Fabbri Editori, Milano 1 980, p .
74.
4 V . Packard, I persuasori occulti, Einaudi, Torino 1958, p. 26.
5 A. Abruzzese, L'iperbole pubblicitaria, in <<L'illustrazione italiana>>, n. 44, luglio 1987.
6 P. Fossati, Il design in Italia, Einaudi, Torino 1972, p. 1 1 .
7 G . D'Amato, I l design tra «radicale» e «commerciale» , i n <<Op. cit.>>, n. 5 3 , gennaio 1982.
8 Anonima design, in «Casabella>>, n . 379, 1 973.
9 F. Raggi, Radical Story, in <<Casabella>>, n. 382, 1 973 .
IO
Ibid.
1 1 D'Amato, Il design tra «radicale» e «commerciale» ci t.
12
A. Mendini, in Elogio del Banale, a cura di B. Radice, Milano 1981.
1 3 Id., Design dove vai, in <<Modo>>, n. l , 1 977.
1 4 F. Raggi, dall'intervento al convegno di Aspen (Colorado, Usa) sul tema Italian Idea giugno '
198 1 .
15 R. Rinaldi, dal catalogo Il mobile infin ito, Milano 1 98 1 .
1 6 Mendini, Design dove vai cit.
1 7 B. Radice, I mutanti, in <<Casa Vogue>>, ottobre 1 98 1 .
1 8 E . Frateili, Continuità e trasformazione. Una storia del design industrtale italiano 1 928-1 988' Al-
berto Greco Editore, Milano 1989, pp. 198- 199.
19 Ci t. in B. Radice, Introduzione al catalogo Memphis the New International Style, Milano 1 98 1 .
20
E . Sottsass, Catalogue /or decorative /urniture in Modern Style, Milano 1980.
��A. Branzi, Usare come macchina anche la propria mano, in <<Rinascita>>, n . 4 1 , ottobre 1 98 1 .
A. Mendmt, Post-avanguardza, m <<Modo>>, n. 2 9 , 1 980.
23 Fratelli, Continuità e trasformazione cit., p. 1 12.
Capitolo quattordièesimo Lo stile «high-te eh»
mondo dei calcolatori e dei missili al riferimento alla Pop Art, dalla ma
crodimensione all'effimero architettonico, dal rapporto provocatorio con
l'ambiente preesistente fino alla concezione di un'architettura informativa
e pubblicitaria, essa stessa «mass medium» - si trovano alla fine degli anni
Cinquanta puntualmente realizzate nelle opere degli Archigram che ren
dono déjà vu quasi ogni realizzazione secondo questa linea.
Benché evidentemente il nostro interesse sia per questo stile nel campo
2 12 Made in Ita!y
Il design «high-tech»
I.;«high-tech» e i materiali
Lo stile in esame, oltre che dalla esibizione del meccanismo interno del
la struttura dell'oggetto, è caratterizzato anche dall'uso di nuovi materiali.
Questo consente di ricordare ulteriori prodotti: le altre seggiole di Alber
to Meda di cui diremo più avanti; il primo telefono di gomma ( '88); gli ac-
220 Made in Italy
cessori per bagno di Massimo Morozzi e Giovanni Lauda per Uchino; i ta
voli di cristallo Marcuso di Zanuso per Zanotta ( '7 1 ) realizzati con l'uso di
collanti per automobili; la bicicletta superleggera Kronotech, prodotta
nell'86 da Monfrini; il Dia/os, un laminato plastico prodotto dalla Abet La
minati, a superficie opaca e traslucida, coprente e in pari tempo filtrante la
luce; la collezione I Feltri, sedute realizzate in feltri autoportanti che Gae
tano Pesce mise a punto per Cassina ( '87 ); ecc.
Com'è stato osservato, «l'imperiosa crescita dell'economia degli anni
ottanta riaprì una visione positiva verso il futuro: il superamento della lun
ga crisi energetica sbloccò il mercato delle plastiche, e l'avvento di nuovi
materiali super leggeri e super resistenti (come le fibre di carbonio) e di
nuove tecnologie divenne il tema di una nuova riflessione. I mercati erano
ormai saturi di prodotti estetici, e lasciavano quindi aperti vasti spazi per
prodotti essenziali, ad alto contenuto tecnico, ma anche di grande carica
figurativa. Una sorta di stile high tech si diffuse con un certo successo. Si
trattava di uno stile che tendeva a usare la tecnologia come una nuova
identità espressiva del prodotto. In un ambiente dove le trasformazioni so
ciali e culturali avvenute nei due decenni precedenti avevano lasciato un
senso di disorientamento, il rigore costruttivo dell'high tech rappresenta
va un'ipotesi di certezza»8.
Il discorso sui materiali pone lo stile high-tech in una nuova luce: non si
tratta più di esibire «meccanismi» oltre il necessario, bensì di riconoscere
nei nuovi materiali qualcos'altro che, all'opposto, non aveva necessità di
meccanismi per contribuire alla conformazione degli oggetti. Nel discute
re questo tema, Manzini osserva: «nell'alveo principale del design italiano
degli anni ottanta si svilupparono delle linee di ricerca progettuale il cui
obiettivo era di far parlare i materiali. [ . . ] Schematizzando possiamo indi
.
viduare due approcci principali: quello per cui i materiali (ma occorrereb
be dire: alcuni materiali, quelli dalle proprietà più inusuali) avevano in
trinsecamente qualcosa da dire, che portò a cercare materiali innovativi da
introdurre, reinterpretandoli, nell'ambiente domestico. E quello per cui i
materiali in quanto tali non avevano alcuna immagine propria ma, esatta
mente per questo, era compito del designer dargliene una progettandone
l'identità»9. In altre e più semplici parole, non si dà forma senza una vo
·
colati regolati da molle, come era stato pensato dall'inglese George Car
wardine nell' Anglepoise del 1 934 [ ... ] , con immagine e funzionalità com
plessive ispirate alla fisiologia del braccio umano. Le molle di dimensioni
diverse infatti rappresentano 'i muscoli' che tendono l'arto a piacere. La
massiccia base garantisce la stabilità e la calotta ben orienta il flusso lumi-
·
noso»12.
Direttamente ispirata al secondo modello è la Luxo L-l , realizzata nel
1 93 7 da Jacob Jacobsen che, pur mantenendo invariato il telaio struttura
le, ne incrementa il numero di molle da tre a quattro rendendolo com
plessivamente più flessibile, mentre il diffusore acquista un unico profilo
dalla forma «a cappuccio». Il modello norvegese è qui menzionato perché
ha costituito il paradigma per molte lampade disegnate in Italia. Tra que
ste Berenice, disegnata da Alberto Meda e Paolo Rizzatto per Luceplan nel
1 984, riduce lunghezza e funzione delle molle, affidando il movimento agli
snodi, e adotta una calottina schiacciata in quanto alloggio di una lampa
dina alogena; Tolomeo di Michele De Lucchi e Giancarlo Fassina, realiz
zata per Artemide nel 1 986, Compasso d'Oro nel 1 989, esibisce per ogni
braccio un cavetto di raccordo con le molle nascoste all'interno delle aste;
Fortebraccio, ancora di Meda e Rizzatto (Luceplan, 2000) riprende lo sche
ma di Berenice, accentuandone la snodabilità e potenziando il movimento
dei giunti in ogni direzione, mentre il diffusore è progettato per accoglie
re ogni tipo di alimentazione: alogena, a incandescenza o a fluorescenza.
Alla prima soluzione, quella a contrappeso, si rifà Richard Sapper che
nel 1 972 disegna per Artemide la lampada Tizio, costituita da una base ci
lindrica rotante, da cui si eleva una prima coppia di aste; a questa si colle
gano una seconda coppia di aste con contrappeso e una terza di lunghez
za maggiore bilanciata da un lato come l'altra e dall'altro con il diffusore
contenente una lampadina alogena.
Alla logica del contrappeso si ispirano anche le principali lampade di
Carlo Forcolini: la prima, Nestore (Artemide, '88), presenta una base cir
colare donde si eleva un tubo che ne contiene un altro di sezione minore,
al quale è fissato un giunto triangolare, sorta di piccola mano a sua volta
reggente una «lancia» curvilinea avente ad un lato una sfera sospesa e
all'altro il diffusore con la fonte di luce; tutti i punti in cui si incontrano gli
elementi sono snodabili e l'immagine complessiva delle varie posizioni si
richiama chiaramente a Calder. Molto simile come sistema, ma assai diver
sa nella sua configurazione è la lampada Hydra (Nemo, 2003 ) , caratteriz
zata dalla leggerezza dei materiali usati: acciaio per la struttura, alluminio
pressofuso per gli snodi e il diffusore, fibra di carbonio per il braccio lun
go. Essa è prodotta in cinque versioni: da tavolo, da lettura, da terra, da pa
rete, a soffitto. Ancora fondata sul sistema del contrappeso è l'essenziale
lampada Galileo, disegnata con Giancarlo Fassina e prodotta da Oy light
•
nel 2005 . Nelle versioni da tavolo e da lettura si tratta di una struttura ri
dotta a due soli elementi principali: l'asta che si eleva dalla base e quella
che la incrocia nel punto giusto per stabilire un equilibrio assicurato dal
contrappeso e dalla calottina ellittica di policarbonato trasparente che co-
pre la fonte di luce. ·
Tra le lampade sopra menzionate, come «fuori serie» citiamo qui la no
ta Arco di Achille e Pier Giacomo Castigliani, realizzata da Flos nel 1 962.
Caratteristica di quest'opera è il fatto che pur proiettando la luce dall'alto
in basso non è collegata al soffitto. Infatti da una base di marmo si incur
va un arco estensibile, così distante dal tavolo da poter girare intorno a
quest'ultimo. Il profilato in acciaio curvato di produzione standard con
sente questa distanza e reca al suo estremo un riflettore metallico compo
sto da una calotta fissa forata e un anello mobile.
Forse la più singolare lampada del design contemporaneo è la Taio del
'62 disegnata dai Castigliani per la Flos; pur essendo una lampada da ter
ra a luce indiretta, presenta una conformazione che pare nata dall'insieme
di pezzi ready made: una base di normali profilati metallici contiene il tra
sformatore necessario per passare dal voltaggio americano di 125 volt a
quello europeo di 220 proprio dello spot da 3 00 watt posto in cima ad un
sottile trafilato esagonale cromato; al termine di quest'ultimo un tondino
di ferro con le sue curve e controcurve forma un alloggio per il grande fa
ro da automobile; il filo che lo lega al trasformatore corre parallelo al tra
filato di sostegno al quale è assicurato da una serie di passanti che richia
mano quelli delle canne da pesca. Simile alla Taio è la Parentesi (Compas
so d'Oro 1 979), ideata da Achille Castigliani e realizzata dalla Flos nel '7 1 .
Su u n filo d'acciaio sospeso tra soffitto e pavimento, qui trattenuto d a una
base pesante, è inserito un tubo sagomato a forma appunto di parentesi
che porta un giunto rotante di gomma su cui è fissato il portalampade con
lo spot; il movimento verticale della fonte di luce è assicurato dallo spo
stamento del tubo sagomato, quello orizzontale dal giunto posto vicino al
portalampade. Il minimalismo di Parentesi non è dote capace di sostituire
l'espressività della più complessa Taio.
Da considerarsi anch'esse «fuori serie» sono: la lampada da tavolo 607
di Gino Sarfatti del '7 1 , funzionante con lampadina alogena; la lampada
D7 di Rizzatto e Colbertaldo per Luceplan (Compasso d'Oro 1 98 1 ) ; le
lampade Lola e Titania di Meda e Rizzatto per Luceplan. La prima dell'87
è composta da tre parti realizzate in materiali diversi: la base a treppiede
pieghevole in zama pressofusa, l'asta di tubi telescopici in fibra di carbo
nio, la testa portalampada, dalla forma di due dita aperte, contenente una
lampadina alogena, in un composto resistente alle alte temperature. La Ti
tanzà dell'89, progettata con l'ausilio del computer, è composta da due el
lissi maggiori saldate fra loro a 90° e formanti il perimetro esterno del mec-
1 94 - 1 95 . A. Meda e P. Rizzano, lampada Queen
Titania per Luceplan, 2005 ; in basso: particolare
tecnico.
1 96. A. Meda e P. Rizzatto, lampada
Berenice per Luceplan, 1 986.
197. A. Meda, sedia Pal, 2004.
1 98. A. Meda e P. Rizzano,
lampada Lola per Luceplan,
1 987 .
"
Note
1 L. Sacchi, Storicità dell'High-tech, in <<Op. cit.>>, n. 8 1 , maggio 1991.
2
Cit. in M . Dini, Renzo Pùmo, progetti e architetture 1 964-1983, Electa, Milano 1983 , p. 126.
3 R. Rogers in Richard Rogers-architect, Architectural Monographs, Academy Edition, London
1986, pp. 1 24 - 1 3 3 .
4 Sacchi, Storicità dell'High-tech c it.
5 Ibid.
6 Cit. in Dini, Renzo Piano cit. , p. 156.
7 E. Morteo, Il mobile e la macchina. Due progetti di seggiole per ufficio, in <<Domus>>, n. 7 19, set-
tembre 1 990.
8 G. Corretti, La tecnologia avanzata, in Il Design italiano 1 964- 1 990, a cura di A. Branzi, Electa,
Milano 1 996, p. 3 14.
9 E. Manzini, Nuovi materiali e ricerca progettuale, in Il Design italiano 1 964- 1 990 cit . , p. 329.
IO
A. Bassi, Lampade e lampadine, design della luce e sorgenti luminose, in A. Bassi, F. Bulegato,
Catalogo della mostra omonima, Fiera di Brescia 2004, pp. 7-8.
11
Cfr. Bassi, Lampade e lampadine cit., pp. 202-203.
12
A. Bassi, La luce italiana design delle lampade 1 945-2000, Electa, Milano 2003 , pp. 233-234.
u C. Martino, Note sul design degli anni Novanta, in <<Op. ci t.>>, n. l l O , gennaio 2001 .
Capitolo quindicesimo Lo_ stil_e polimaterico
Già nella mia Storia dell'85 notavo che una delle caratteristiche del de
sign italiano, specie nel settore del mobile, è data dalla coesistenza di ma
teriali più diversi. Nei confronti della produzione di altri paesi, poniamo,
quelli scandinavi, resa così tipica dalla presenza del legno, l'oggetto indu
striale disegnato in Italia, una nazione in cui notoriamente non c'è abbon
danza di alcun materiale, si produce con ogni sorta di materia prima; da
questo fatto sono condizionate le tecniche lavorative e ancor prima la con
cezione progettuale. Dovendo ogni volta cominciare da capo, la tecnolo
gia di lavorazione di un materiale sembra imporre la forma agli oggetti o,
come capita più spesso, un'idea progettuale forza a tal punto una materia
da snaturarla: si pensi ai prodotti in legno dove la giuntura dei pezzi è af
fidata più ad elementi metallici, viti e bulloni, che non alla tradizionale ma
niera di incastri e di tagli a meccia, ancora utilizzata per esempio in alcuni
mobili di Albini prodotti da Poggi; al contrario, si pensi all'uso unico del
marmo giuntato a semplice incastro di alcuni interessanti tavoli di Man
giarotti.
Costituiscono pertanto uno stile a parte quei mobili in cui si trovano
impiegati in evidenza fino a quattro o cinque materiali diversi e si caratte
rizzano proprio per questa proprietà. Essi non sono classificabili nella li
nea bigb-tech perché non affidano la loro conformazione a sofisticati mec
canismi o a materiali nuovi come le fibre di carbonio; non sono ascrivibili
al minimalismo di cui evidentemente sono antitetici, né possono annove
rarsi nella linea neostorica perché in passato i mobili, almeno in apparen
za, erano di legno, di stoffa, ovvero di entrambe queste materie. Ma lo sti
le polimaterico non è tale solo per l'aggettivo che lo designa, bensì anche
per una precisa intenzione conformativa.
Superamento del razionalismo e favore artigianale si riscontrano
nell'attività di Andrea Branzi, tra i maggiori esponenti della linea in esame.
Il mobile Stazione del 7 9 per Alchymia si compone di varie parti, ciascu
'
Il significato ludico
Che il motivo del gioco rientri nello specifico carattere degli elementi
d'arredo costituisce da sempre un dato di fatto: che cosa sono le decora
zioni p resenti sugli oggetti sin dalla preistoria, le grottesche sia nel mondo
classico che in quello rinascimentale, i motivi zoomorfi e fitomorfi, gli in
ganni, il trompe-l'oeil che figurano in architettura e nelle arti applicate del
la tradizione, se non dei giochi e fra i più caratterizzanti questo genere di
manufatti?
Ma l'arte come gioco e di conseguenza come pedagogia trova un signi
ficativo precedente teorico nell'opera di Schiller. «Solo attraverso la porta
dell'arte tu puoi penetrare nella conoscenza», egli scrive nelle Lettere
sull'educazione estetica dell'uomo. Più pertinente al nostro argomento è un
altro brano in cui l'assunto citato viene, in un certo senso, storicizzato: «po
nete a raffronto i greci e i moderni: là si osserva una natura che unisce, qui
un intelletto che divide. La cultura stessa è ciò che all'umanità ha inferto
questo colpo. A misura che l'accrescimento dell'esperienza e la specifica
zione del pensiero determinavano divisioni sempre più profonde tra le
scienze, si creava d'altra parte un meccanismo politico e sociale più com
plicato, che opponeva gli uni agli altri i ceti e gl'interessi e rompeva l'inti
mo legame della natura umana, travolgendo in una lotta rovinosa le sue for
ze armoniche»3 . «Una via d'uscita si potrebbe trovare solo a patto che si
scoprisse uno strumento di educazione indipendente dallo Stato, e quindi
capace di agire sull'uno e sull'altro termine del conflitto. Tale strumento è
l'arte, nel senso più ampio della parola»4. Chiamando gli istinti dell'uomo
«vita» (Leben) e le regole imposte dalla società «forma» ( Gestalt) , l'impul
so al gioco e la sua conseguente educazione estetica agirebbero da fattore
risolutivo, acquistando l'appropriato termine di «forma vivente» (lebende
Gestalt), una possibile definizione dell'arte e della bellezza.
Marcuse, artefice oltre cinquant'anni or sono della filosofia oggi più po
polare, nell'intento di porre in discussione il noto assunto freudiano per
cui la civiltà è basata sulla repressione permanente degli istinti umani, si
serve soprattutto della dimensione estetica e tende a dimostrare l'intima
connessione tra impulso del gioco, piacere, sensualità, bellezza, arte e li
bertà. Dopo aver affermato che l'impulso fondamentale è quello del gioco,
basilare nella dimensione estetica, che assumerebbe grazie ad esso una for
za liberatrice, egli scrive: «l'arte rappresenta una sfida al principio della
realtà corrente: rappresentando l'ordine della sensualità, essa invoca una
logica repressa - la logica della soddisfazione contro quella della repres
sione. Dietro alla forma estetica sublimata si annuncia il contenuto non su
blimato: la dipendenza dell'arte dal principio del piacere»5. A chiarimen
to di quanto precede va ricordato che l'estetica nasce nel Settecento come
242 Made in Italy
Alessi
Arti Applicate' che non ad una industria nel senso tradizionale del termi
ne. Un laboratorio il cui ruolo è quello di esercitare una continua attività di
mediazione fra, da un lato, le espressioni più avanzate e più effervescenti
della creatività internazionale e, dall'altro, i desideri (o meglio i sogni) del
la gente. Un laboratorio che crede che il progresso della nostra società deb
ba essere il frutto di un'incessante dialettica fra il business e la cultura»7.
In un altro testo, il riferimento al gioco diventa più esplicito. «lo penso
che lo scopo del design in futuro (perlomeno: il nostro scopo per il futuro
nel mondo del design) dovrebbe essere proprio questo, trasformare il de
stino di gadget degli oggetti nella nostra società dei consumi in una op
portunità transizionale, vale a dire in una opportunità per i consumatori di
crescere e di migliorare la loro percezione del mondo. Si tratta di un'atti
vità dalla natura tipicamente paradossale (come paradossale è il gioco dei
bambini). Paradossale nel senso para dochè, a fianco della regola, della nor
ma, dello standard, al fine di cogliere appieno la cosiddetta realtà del mon
do e della vita».
Detto in altri termini, negli scritti di Alessi si trova una distinzione tra il
design rigoroso di estrazione razionalista, per così dire hard, e quello so/t,
basato sulla fantasia, sulla cordialità, appunto sul gioco. Questa seconda li
nea s'incarna negli oggetti casalinghi e, secondo qualche critico, in quelli
da regalo; emblematici i prodotti chiaramente ludici della collezione Fa
mily Follow Fiction del 1 992 . Questa comprende, tra gli altri, il fallico ac
cendigas elettronico Firebird di Venturini, il fumettistico servizio per sale
e pepe Lilliput di Giovannoni, e la teiera zoomorfa Penguin tea di Caramia.
La caratteristica di tali oggetti è quella di richiamare la memoria affettiva
del fruitore, mediante lo studio di forme, materiali e colori simili ai giocat
toli. «La plastica è la materia dei soldatini, dei pupi e dei gadget, portatri
ce indiscutibile di una memoria ludica»8, ed è proprio la plastica, con le
sue proprietà tattili, il materiale prevalente in questi prodotti.
Come scrive Carlo Martino, «il fenomeno di gadgetizzazione ha investi
to proprio quegli oggetti che in passato rappresentavano i cosiddetti ri
cordi, tradizionalmente di fattura artigianale pregiata, la quale attribuiva
preziosità e valore allo stesso. Ma nell'articolo da regalo è stata individua
ta anche la minore richiesta di contenuto funzionale da parte del fruitore
rispetto ad altri prodotti, rappresentando di fatto uno dei campi legittima
ti per la ricerca di frivolezza. Gli oggetti associabili al fenomeno di gadge
tizzazione hanno inaugurato un nuovo linguaggio nel design neo-organico,
caratterizzato dal chiaro riferimento a forme biomorfe e dall' uso di colori
vivaci. A distanza di anni, il successo del fenomeno ha portato ad una ap
plicazione degli stessi caratteri anche a tipologie merceologiche diverse,
connotate al contrario da una tradizionale durevolezza. Non a caso Stefa
no Giovannoni e Guido Venturini, autori di alcuni dei pezzi più riusciti
XVI. Il design come gioco 245
dell' Alessi, sono stati chiamati a trasferire gli stessi stilemi su complemen
ti d'arredo o mobili (per Giovam1oni sgabelli, sedie e poltroncine Bobo
per Magis, per Venturini mobili contenitori e librerie per BRF)»9.
Il design come gioco implica anche q\lello della corporale image, ossia il
programma di un'azienda volto a definire la sua identità e a comunicarla
con efficacia. Tale programma riguarda appunto anche l' Alessi, della qua
le è stato scritto: «Con la consulenza di Alessandro Mendini, tra il 1 980 e
il 1 983 , si elabora una strategia che mira a riposizionare l'azienda sul mer
cato, affermandone una nuova identità di prestigio. Nasce la collezione
Tea and Co//ee Plaza, oggetti d'argento in serie limitata: undici servizi da
tavola, pensati come edifici intorno a una piazza, progettati da architetti
implicati in un discorso sontuosamente eclettico di rapporto con la storia,
come C. Jencks, M. Graves, H. Hollein, P. Portoghesi, R. Venturi e così
via. La collezione viene presentata con una serie di mostre-eventi costruiti
non in fiere ma in gallerie e musei in tutto il mondo, con effetto shock per
ché ci si contrappone al modern che fin allora aveva caratterizzato le azien
de design oriented. La strategia ha successo e Alessi, da azienda di oggetti
economici, diventa internazionalmente sinonimo di design postmodern.
Ma decisivo per il successo di Alessi è lo spremiagrumi di Philippe Starck,
]uice Salz/ ( 1 988), che riscuote un successo da cui è inscindibile la campa
gna fotografica per la pubblicità. [ . . ] Negli anni Novanta, poi, con gli og
.
Danese
sa si identifica più con la figura dell'editore che non con quella del pro
duttore industriale. E come un editore propone una varietà di generi let
terari, così Danese sperimenta l'utilizzo di numerosi materiali: alluminio,
abs, inox, alabastro, nylon, ottone, porcellana, cartone, marmo.
Quanto alla prerogativa che maggiormente ci interessa in questa sede,
il fattore gioco, Danese o lo circoscrive in un preciso ambito della produ
zione - la sezione volta alla promozione di giochi didattici, con il Progetto
scuola e le Edizioni per bambini Danese - o lo realizza implicitamente pro
prio in quegli oggetti in cui il senso dell'utilità è accompagnato da accenti
allegri, /riendly, fantasiosi. È in quest'ottica dunque che il senso Iudica
sembra tendere alla citata idea schilleriana dell'arte come gioco e come pe
dagogia: non si dà arte separata dalla vita di tutti i giorni, donde il passag
gio dell'arte in esteticità generale. Non si tratta pertanto della piacevolez
za del gadget, ma del piacere provocato realmente da un'espressione arti
stica. Non a caso infatti i principali collaboratori di Danese sono Bruno
Munari ed Enzo Mari, i più «artisti» tra i designer italiani. Del primo si ri
cordano il posacenere Cubo in melamina e alluminio ( '5 7 ) , la lampada
Falkland (' 64) che trasforma in scultura luminosa un tubo di nylon. Del se
condo si segnalano il puzzle-scultura Sedici Animali ( '57 ) , prodotto in le
gno in un unico taglio; la Putrella ( 5 8 ) ottenuta da segmenti di profilati
' ,
rie della Natura ( '63 ) ; il calendario perpetuo Timor ( '67) e il cestino In At
tesa ( '7 1 ); la Flores ( '90) ; il sistema per scrittoio Manhattan ('92 ) .
L'azienda viene ceduta nel 1 992 alla francese Strafor-Facom e dal 2 000
ne diventa presidente Carlotta de Bevilacqua. La sede operativa e lo show
room di Milano vengono oggi affiancati dalla sede di Hong Kong, osser
vatorio privilegiato dell'Estremo Oriente.
Resta invariato dalla vecchia alla nuova gestione il riferimento ai se
guenti fattori: marca come strumento di produzione e valore; dimensione
ridotta come scelta consapevole; responsabilità e concretezza del linguag
gio; l'individuo al centro del progetto; lunga durata come qualità fondati
va; monomatericità nella polimatericità; prodotti progettati per un utilizzo
sostenibile; sperimentazione continua come metodologia.
Ma ciò che più attrae nei pochi mobili minimalisti, nelle lampade, nei
calendari perpetui, negli attrezzi per scrittoio e nei cento altri oggetti dise
gnati nei tre settori living, working, lighting oltre che dagli autori citati, da
altri quali Naoto Fukasawa, Alberto Zecchini, Matali Crasset, Carlotta de
Bevilacqua, Andrea Anastasio, Neil Poulton, J ames Irvine, Paolo Rizzano,
Marco Ferreri, Karim Rashid, Alberto Meda per ricordarne solo alcuni, è
il gioco associato ad un forte rigore, da cui la loro classicità, il fatto che re
sistono nel tempo e quindi un piacere non fugacemente romantico.
«Quando faccio un oggetto per Danese, penso che debba sopravvivere in
l
DAN E S E
l
J M I L ANO
Driade
A voler individuare uno dei caratteri più marcati della Driade, direi che
esso vada riconosciuto proprio nel fattore ludico, la tendenza al gioco, pre
sente in tutto il suo processo-design ma soprattutto nei momenti proget
tuali e promozionali. Dire che un'impresa industriale «giochi» non signifi
ca ovviamente che essa operi poco seriamente, che i suoi prodotti siano
scarsamente studiati, non duraturi, privi di garanzie, ecc., ma che fra tutti
i tipi di motivi ispiratori - le spinte economiche, sociali, tecniche, storici
stiche, avveniristiche e simili - emerge appunto quello ludico, a sua volta
non estraneo a dette spinte. Donde la necessità di definire meglio questo
fattore del gioco e le sue molteplici valenze.
Da rivedere in primo luogo è la radicale opposizione del gioco al lavo
ro. Per convincersi che molto spesso fra lavoro e gioco non c'è contraddi
zione, basta por mente al fatto che molti lavori compo�tano un tale inte
ressamento da valere non solo per ciò che rendono ma anche per il gusto
di farli. Da rivedere inoltre è quel carattere di assoluta spontaneità e libertà
contrapposto all'azione sempre obbligante del lavoro. Tant'è che esistono
per ogni sorta di gioco le relative regole: valga per tutti il caso delle regole
del gioco linguistico. Persino in economia si parla di gioco: la cosiddetta
«teoria dei giochi» consiste in un serie di regole che consentono al gioca
tore di scegliere fra le possibili manovre quelle che gli procurano il massi
mo vantaggio. Insomma, tranne rare eccezioni, il gioco alla luce dei fatti
non risulta mai così gratuito come vorrebbe la sua classica definizione; co
sicché se trasferiamo queste considerazioni al campo del design possiamo
tentare la seguente classificazione: a) giochi finalizzati alla novità del pro
dotto; b) giochi connessi ad un particolare tipo di lavoro; c) giochi lingui
stici retti dalle regole proprie di ogni sorta di linguaggio; d) giochi aventi
un intento educativo; e) giochi che si giustificano dal punto di vista politi
co-sociale.
Entrando ora nel vivo della componente Iudica della produzione Dria
de, vediamo in quali e quanti modi essa si articola e come si accentua nei
principali designer che hanno lavorato per l'azienda. Il gioco di Antonia
Astori risulta a prima vista mirante alla novità del prodotto, sensibile alle
mode esso stesso tendente a stabilire una moda. La sua connotazione si di
'
rebbe quella di una fredda e distaccata ironia; ma ciò vale solo per alcuni
modelli: ricordo per esempio il letto Agra/e che, con il suo rotolo poggia-
250 Made in Italy
testa sospeso, sembra fare il verso al più celebre precedente miesiano, op
pure le cimase di alcuni stipi degli A/orismz; da molti -considerati un ambi
guo e ironico gioco con la tradizione; accenti diversi vanno individuati per
altri progetti. Di che tipo è il gioco che sottendono il Driade l, l'Oikos e i
sistemi da esso derivati? Si tratta anzitutto di giochi consapevoli. Non a ca
so, infatti, la nascita del Driade l è accompagnata dal citato modellino in
perspex e dallo slogan «giochiamo con la Driade». Com'è noto, inoltre,
quella della flessibilità e della metaprogettualità sono delle costanti in tut
ti i sistemi e quindi dei «giochi» che caratterizzano l'intera filosofia azien
dale. Per questo e altri motivi il tipo di gioco che pertiene ai prodotti si
stemici e segnatamente al maggiore di essi, l'Oikos, è da rapportare al la
voro. In prima istanza infatti l'Oikos, pur nella vivacità dei suoi colori e nel
«bianco» del suo contenuto, richiama più il mondo dell'utile e del funzio
nale che non quello del giocoso. Tuttavia, se ci richiamiamo alla non con
traddizione fra gioco e lavoro, la valenza utilitaria del sistema in parola si
integra con quella Iudica. E ciò non solo e non tanto perché esso non si dà
in una conformazione unica, ma ne può assumere molte con l'intervento
del fruitore (cosa che sia pure in maniera più limitata si verifica anche per
altri mobili componibili) , ma perché il lavoro necessario a conformare
l'Oikos in vari modi (specie con l'arricchimento degli elementi offerti
nell'edizione Oikosdue) è pensato o almeno presupposto come lavoro «in
teressante», creativo, con un margine di arbitrarietà e persino di gratuità;
insomma assimilato a un gioco.
A rafforzare il carattere ludico dei sistemi disegnati da Antonia Astori
interviene la considerazione linguistica. In generale, ricordando che ogni
sorta di linguaggio si fonda su un certo numero di elementi e di regole che
li combinano in molte conformazioni, si può dire che la logica stessa del
linguaggio è quella di un gioco. Ma, per uscire dall'ordine metaforico che
spesso accompagna ogni discorso sul linguaggio, notiamo che nel caso
Driade si tratta di un sistema linguistico finalizzato a sua volta a un gioco
conformativo con un accento estetico (e qui ritorna la definizione classica
di gioco con tutta la sua carica di piacere e di gratuità), per cui esso può
considerarsi il gioco di un gioco o, per così dire, un gioco al quadrato. Co
sicché il carattere ludico dell' Oikos non va visto tanto, come s'è detto, nel
la piacevolezza dei suoi elementi, nel suo rifarsi al tono gioioso ed essen
ziale dei colori di De Stijl (una tendenza figurativa che deve molto alla pre
senza dello spirito del gioco, quasi una riduzione di tutta la sua iconogra
fia a giocattoli) , quanto soprattutto nel suo lato serio, quello in cui coesi
stono gioco e lavoro, che trovano sul piano linguistico la loro migliore in
tesa, la loro effettiva realizzazione.
Molteplici sono gli accenti che il gioco assume nel design di Enzo Ma
ri. Alla base della sua operazione sta la vasta e apprezzata esperienza da lui
XVI. Il design come gioco 25 1
svolta nel settore dei giochi per bambini. Com'è stato osservato «Mari
ben dentro la cultura delle avan g uardie, sceglie la lingua che per:netta d i
operare nella maniera più articolata e funzionale, dunque la ricerca kleia
na, e trova, in essa, una ragione per coUegare universo infantile e universo
dei grandi»l l . Anche Mari è un progettista di sistemi e questa sua attitudi
ne precede di molto la sua collaborazione con la Driade. Sin dalle sue pri
me esperienze, «Mari stabilisce un codice, più codici, quello delle forme,
delle strutture, quello dei segni, quello dei colori, li pone davanti ai ragaz
zi e permette loro di organizzarli liberamente, quindi suggerisce un siste
ma dedicato ma anche autorizza a enne infinite varianti di senso e di 'rac
cordo' entro questo stesso sistema [ .. ] . Progettare, quindi, vuole dire pos
.
per bambini, ma un progetto per bambini che diventano 'grandi', anzi che
sono adulti in potenza e che devono essere in grado di agire, compren
dendola, nella comunicazione e nelle sue strutture nella nostra società»13.
Se queste sono le connotazioni del design di Mari nel settore specifico dei
giochi per bambini e altre caratterizzano l'applicazione divertita della sua
intelligenza di artista cupo - mi riferisco alle pregevoli prove degli oggetti
destinati agli adulti e prodotti da Danese, nonché a quelle grafiche delle
collane della Boringhieri - qual è l'accento ludico riscontrabile nei suoi
progetti per la Driade?
Oltre al divano letto Day-night, tutto il «giocare» di Mari per la Driade
assume due accenti particolari, a volte fusi insieme e forse includibili in un
terzo. Il primo può vedersi come l'estensione del suo mondo di favole a un
gioco per adulti: si vedano gli imbottiti delle serie Gambadilegno e Peco
rella, in cui certamente anche la suggestione dei nomi contribuisce ad aval
lare quanto affermo. Ma questo ricorso a una iconografia infantile è so
p rattutto motivato dal programma di una figurazione estremamente ele
mentare e dall'uso di una tecnica molto semplice. Il secondo accento ludi
co, derivato dal primo ma tale, per così dire, da tradurre la necessità in
virtù, si può riconoscere in tutti quei modelli realizzati con materiali pove
ri ed elementi discreti, cioè nettamente distinti l'uno dall'altro. Mi riferi
sco alle sedie SofSo/ e Delfina (Compasso d'Oro 1 979), ai tavoli Frate, Fra
tello, Cugino e all'altra serie di tavoli chiamati Capitello, contrassegnati da
una gamma di attacchi diversi fra piano e gambe.
Ora, in tutte queste esperienze, se è vero che la natura dei materiali è as
sociabile alla poetica dell'Arte povera e se è vero che tutto il design di Ma-
252 Made in Italy
della prestazione con quello del gioco, i designer di sinistra sembrano ora
accettare lo stato di fatto con quelle inevitabili riserv.e, con quella vena di
dubbio e di scetticismo, quel distacco che solo un gioco partecipe, ma pur
sempre un gioco, può consentire.
Queste considerazioni sul rapporto gioco-politica possono estendersi
all'opera di altri designer della Driade, configurandone un ulteriore, ine
dito aspetto: oltre a Enzo Mari, penso a Paolo Deganello e a Massimo Ma
rozzi, entrambi ex-membri del gruppo Archizoom, peraltro essendo il pri
mo progettista di modelli dall'indubbia vena ironica e il secondo autore
del letto Blbz' Blbò, il prodotto più vicino al gioco tra quelli che figurano
nel catalogo dell'azienda.
Con diverse motivazioni, indubbiamente più elitarie, sono gli oggetti
Driade datati agli anni Novanta, tra cui i più emblematici ci sembrano
quelli della collezione/o!lles. «Il termine/ollles, nato nel Settecento per de
signare gli edifici fantastici ambientati nei parchi inglesi, ben si addice qua
le titolo-tema a una collezione in cui i designers hanno puntato specifica
mente sulla creatività e sui valori comunicativi capaci di investire l'oggetto
di un forte potere di attrazione. Lungo tale linea, Philippe Starck si muo
ve scegliendo il gioco degli inganni che l'arte dell'arredare da sempre affi
da alle trasparenze e alle superfici speculari. Componendo quindi in di
verse posizioni un cono blu cobalto in un terso contenitore di cristallo, il
designer affronta quattro esercizi formali mediante i quali sovverte i tradi
zionali canoni con cui siamo abituati a disporre i fiori nei vasi. Oscar Tu
squets, associando alla rigorosa linea del design classico l'ironia e la con
sumata arte del civettar celando, crea bottiglie, tazzine, teiere dall'intri
gante sagoma antropomorfa, oppure tinge di rosso la base degli elementi
di un elegante servizio in porcellana bianca sì che il colore si sveli solo at
traverso il riflesso proiettato sulla tovaglia. David Palterer, dal suo canto,
sperimenta la capacità che hanno le forme di contorcersi e intrecciarsi nel
lo spazio, di esplodere come bolle di un magma incandescente, e di pro
rendersi per raccogliere un raggio di luce capace di rivelare levigate iride
scenze e ruvidi intagli. Borek Sipek, infine, nel presentare una vasta gam
ma di proposte, offre l'occasione di commentare non solo il significato del
proprio contributo, ma anche quello dell'intera collezione /ollles»14.
vanno considerati numerosi altri prodotti: tra i più curiosi è il già citato ta
volo di Forcolini, Apocalypse now, di cui è stato scr_itto: «mi sono chiesto
perché Carlo ha dato un nome così impegnativo al disegno di questo mo
bile [. .. ]. Come se chi lo ha progettato, immaginato e disegnato, volesse in
dicare qualcosa al di là della sua funzione, raccontare qualcosa che deve
pur avere un qualche riferimento al titolo di quel famoso film al quale si ri
chiama esplicitamente. Il piano di questo tavolo è costituito da una lastra
di acciaio speciale che si chiama corten. È un metallo autossidante. L'ossi
do rugginoso che si forma sulla sua superficie protegge la struttura inter
na. Questo fenomeno conferisce alla superficie un aspetto particolare, il
colore dell'ossido cambia col tempo e assume infinite tonalità di rossi e
bruni, macchie più scure che virano verso il blu nero, altre più chiare che
si raggrumano in forme bizzarre. Avviene qualcosa su questa superficie
scabra e volutamente accidentata. Sospesa nel centro una lampada scher
mata da una calotta conica illumina il piano con una luce circolare, dai
margini sfumati. Uno stelo di luce accende come un faro la notte di una su
perficie lunare. Ecco che cosa succede, il piano sembra diventare suolo, un
deserto di metallo, il bordo tagliente del tavolo definisce un confine so
speso, sotto il tavolo un sottosuolo di travi che lo sostengono e di fili che
alimentano la sua luce. Tutti i minacciosi elicotteri di 'Apocalypse Now' si
sono trasformati in una specie di modulo volante che è atterrato nel nostro
comodo salotto buono, uno strano veicolo per viaggi dell'immaginazione
con un nome un po' ingombrante»16.
Un altro designer classificabile nello stile del gioco, nel suo caso in equi
librio tra minimalismo e ironia, è il fantasioso Philippe Starck. Tra le sue
stravaganze è quella di attingere da un libro di fantascienza, Ubik di Ph.K.
Dick, in quanto i nomi di molti suoi modelli sono corrispondenti ad al
trettanti personaggi del romanzo. I pezzi migliori disegnati per Driade so
no, a mio avviso, quelli caratterizzati da una valenza figurativa. Così lo sga
bello Sarapis, apparentemente pensato solo in termini funzionali, richiama
al tempo stesso - come già la sedia Light-Light di Meda - immagini famo
se quali il sellino-manubrio di Picasso e altre di marca dadaista e surreali
sta. Così il tavolo pieghevole Titos Apostos a tre gambe, ciascuna delle qua
li reca una sorta di squadro zoomorfo, è probabilmente ispirato alle ali di
una farfalla. Un secondo tavolo, anch'esso pieghevole e intitolato Tippy
]ackson, con le sue tre gambe curve e i suoi tratti rettilinei, allude alla strut
tura di un ragno; ripiegandosi si riduce ad un netto ed essenziale segno gra
fico, come nota Vanni Pasca, il quale così si esprime in un giudizio com
plessivo sullo stile di questo designer: «tra essenzialità funzionale e spae
samento formale, piacere dell'invenzione e poeticità surreale, 'gadget' tec
nologico e raffinatezza del gusto, il metodo progettuale di Starck attraver
sa il 'moderno' con disincanto [. .. ] È forse proprio in questa ambiguità sot-
235. H. Wettstein, sedia
]u!iette per Baleri Italia.
236. Ph. Starck, poltrona
Rzchard III per Baleri Italia,
1 985.
237. Ph. Starck, particolare
del tavolo President M
per Baleri Italia, 1 984.
260 Made in Italy
tile, in questa dichiarata 'disgiuntività', che sta l'attualità del fascino e del
successo degli oggetti di Philippe Starck»17. Ma eh� significa attraversare
il moderno? Alcuni di questi mobili possono persino ricordare quelli del
Bauhaus, magari facendone il verso, com'è il caso della sedia Von Vogel
sang; altri, e lo abbiamo già notato, rievocano esiti dadaisti e surrealisti; al
tri ancora rispolverano la vasta iconografia zoomorfa che per secoli ha ispi
rato l'arte del mobiliere. Il tutto senza concedere molto al gratuito, all'ir
razionale e all'arbitrario. Grazie a Starck possiamo ancora parlare in ter
mini di forma-funzione con tutte le implicazioni introdotte nel binomio
dall'avanguardia storica e tutte le negazioni di esso affermate dalla neoa
vanguardia. C'è in questi modelli la prova o almeno l'ipotesi di una nuova
sintesi? Forse. Certo è che per merito del loro autore ci troviamo nuova
mente in presenza di oggetti che sono ad un tempo conformazione e rap
presentazione. Né va infine taciuta la «povertà» dei mezzi adoperati (iro
nizzata peraltro dalla verniciatura in oro e argento) che dovrebbe portare
ad una maggiore fattibilità produttiva e al tanto auspicato basso prezzo.
Quanto ai prodotti «giocati» tra semplicità di linee e materali traspa
renti e colorati, esemplari sono la sedia Victoria Ghost (2006) dello stesso
Starck, espressiva anche di un'ironia neostorica, e la serie dei tavoli ]olly
(2003 ) progettata da Paolo Rizzatto, entrambe per la Kartell. Apparten
,
gono al tipo di gioco che intitola il presente paragrafo quei prodotti che
vanno oltre la leggerezza e tendono addirittura alla dematerializzazione
mediante la riduzione di spessori, l'adozione di trasparenze e di superfici
ampie in colori chiari; si pensi ai prodotti di Antonio Citterio per B &B o
per Flexform, quelli di Piero Lissoni per Porro o quelli di Jean Nouvel per
Uniform.
Di tipo letteralmente opposto è il gioco introdotto nei progetti di Gae
tano Pesce. L'effetto sorpresa caratterizza la scoperta dei suoi oggetti ed è
l'elemento immateriale su cui Pesce agisce per introdurre l'aspetto Iudica
dell'esperienza. La sorpresa è ottenuta sia attraverso le proprietà fisiche e
sensoriali dei materiali sia attraverso la destabilizzazione tipologica: non
più sedie con la forma di sedie, ma ombrelli che diventano sedie. A pro
posito del progetto dell' Umbrella Chair afferma: «era una cosa che mi in
teressava per l'idea di questo ombrello che diventava sedia, l'idea di ibri
do, come I Feltri, che sono poltrone che assomigliano a delle giacche»18.
«L'ibridazione rappresenta una delle strategie più efficaci per suscitare
l'effetto sorpresa, ma anche per stimolare, con autocompiacimento, la
mente e la propria capacità di comprensione. Un po' come accade ai bam
bini quando riescono a scoprire il corretto modo di utilizzare un gioco. Es
sendo un creativo multidisciplinare, Pesce riesce a realizzare le ibridazioni
giocando su diversi terreni»19.
238. Ph. Starck, sedia Victoria ghost per Kartell, 2006.
2 62 Made in Italy
Il gioco antropomorfo
Che i prodotti del design, specie quelli più a contatto con la persona,
abbiano una relazione col corpo umano è cosa scontata. Lo è meno se si
considerano i modi e le forme di tale relazione, sia attraverso il tempo del
la storia, sia nellè varie tipologie, sia grazie alle varie tecnologie chiamate
in causa oggi, sia infine per l'accentuazione semantica che alcuni designer
vogliono conferire ai loro oggetti: sedie, poltrone e divani, lampade, indu
menti, specie quelli per lo sport, moto, biciclette, ecc. Quella antropo
morfa è una linea nettamente distinta da tutte le altre, intrinsecamente Iu
dica, ed essendo riscontrabile come una riconoscibile invariante nei più di
versi articoli merceologici, deve logicamente costituire uno stile.
Una prima interpretazione di quest'ultimo potrebbe essere di tipo pros
semico. Com'è noto, la prossemica è una disciplina derivata dalla semioti
ca e proposta alla metà degli anni Sessanta da Edward T. Hall, che studia
il «significato» delle distanze poste dall'uomo fra sé e i suoi simili e/o fra
sé e gli oggetti di cui si circonda nella vita quotidiana. Ponendo l'accento
sul significato della distanza spaziale, dal rapporto erotico all'urbanistica,
tale disciplina s'interessa prevalentemente degli aspetti comunicativi, se
mantici, semiotici, linguistici e per essi sociali del problema, tant'è che la
classificazione adottata dall'autore americano si fonda su quattro tipi di di
stanza: quella intima, quella personale, quella sociale e quella pubblica.
Nella nostra esposizione possiamo solo parzialmente seguire la linea di
Hall: anzitutto perché non è soltanto il problema del significato della di
stanza fra l'uomo e gli oggetti che ci interessa, quanto soprattutto quello
della forma che questi ultimi assumono in relazione alla distanza con l'uo
mo. Si tratta in sostanza, accantonando temi sociali e comportamentistici,
di accogliere il suggerimento della distanza e di trasferirlo dal campo del
la significazione a quello della conformazione. Ma per effettuare questo
passaggio è necessaria un'altra distinzione fra i nostri e i criteri di Hall.
Nella prossemica vera e propria si dà per nota e definita tanto l'entità del
soggetto quanto quella dell'oggetto, la distanza significando il loro rap
porto. Nel nostro caso, mentre si dà per nota la struttura del soggetto-uo
mo, anzi sulla sua capacità percettiva si fonda gran parte del nostro ragio
namento, non si dà affatto per scontata quella degli oggètti. Conosciamo o
possiamo acquisire sì le loro valenze estetiche, funzionali e tecniche, ma
pur essendo necessarie esse non sono sufficienti per una definizione
morfologica.
Pertanto i tipi di manufatti da includere in ciascuna categoria vanno, in
prima istanza, riconosciuti proprio dalla nozione di «distanza» o, meglio,
dalla «distanza-funzione» dal fruitore: a questa si deve in gran parte la for
ma degli oggetti. In tal modo riteniamo, per un verso, di accantonare il
239. R. Arad, poltroncina Little Alberi per Moroso, 2000.
240. R. Arad, libreria Bookworm per Kartell, 1994 .
24 1 . C. Weisshaar, tavolo Countach per Moroso, 2005.
242 . R. Arad, divano Victoria & Alberi per Moroso, 2000.
264 Made in Italy
movimento non sono ovvie. Anche nei mobili europei dopo il 1 920 s'im
pose un adattamento alla forma del corpo umano. Ma la scomposizione in
piani mobili manca nella maggior parte dei casi. E quindi si resta immobi
lizzati nella posizione del telaio e non si viene riportati ( come accade inve
ce nella poltrona da barbiere americana) dalla posizione da sdraiati in
quella normale che rende naturale l'alzarsi in piedi. [ .. ] L'America, pur
.
cento, è quello della natura dei servizi che non qualificandosi come pro
prietà, differiscono in maniera sostanziale dai beni materiali che, vicever
sa, inducono ali' acquisto, al possesso e alla proprietà. Il servizio o l' espe
rienza, in quanto beni immateriali che non possono essere prodotti, ma so
lo erogati, quindi messi a disposizione e consumati nel momento in cui ap
paiono sul merc·ato, mal si adattano alla logica dell'acquisto per accumu
lare o tramandare. Questo cambiamento pervade la natura stessa dei beni
che, perdendo la loro caratteristica di esclusiva funzionalità e corporeità,
evolvono in beni dall'alto contenuto informativo. [ . . . ] Attraverso la pre
senza fisica del bene in casa o in ufficio, le aziende stabiliscono un contat
to diretto con il cliente; ciò consente di realizzare una fornitura di servizi
che lo accompagna per l'intera durata di vita del prodotto. Così configu
rata, la piattaforma di servizi rivoluziona la logica della produzione, poiché
diventa un costo associato all'attività d'impresa, una struttura ponte tra
questa e il cliente. Nella logica di vendere sempre più servizi ed esperien
ze che beni, soprattutto in settori dove l'uniformità, la quantità e il p rezzo
hanno saturato i mercati, la sfida consiste nell'attrarre i clienti attraverso il
plusvalore offerto. Al limite, per conquistare sempre maggiori quote di
mercato, le aziende offrono gratuitamente i prodotti della prima genera
zione, allo scopo di fidelizzare il cliente in una relazione di lungo termine
basata sull'erogazione di servizi sempre più agili e innovativi»29.
Anche a non seguire alla lettera le suddette definizioni e le relative teo
rie, risulta tuttavia comprensibile che - come già accennato e come vedre
mo meglio più avanti -, posto lo scollamento in molti casi tra forma e fun
zione, oppure che a d una forma corrispondano più funzioni, molti sono
portati a pensare all'esistenza di una funzione «immateriale», ovvero ad
una prestazione. Se un prodotto, avente comunque un senso, non denun
cia chiaramente a cosa serve, vuoi dire che l'originaria funzione si è tra
sformata appunto in qualcosa di più complesso. Ma se tutto questo è vero,
anzitutto siamo fuori dalla cultura materiale; in secondo luogo, preveden
do la piega moralistica del discorso ecologico, mi chiedo fino a che punto
il p�oblema del servizio sia pertinente alla pratica del design.
E ben vero che «i ritrovati della tecnica non sono neutri e indifferenti,
strumenti possibili del bene e del male. Nella cattiveria dei loro effetti, ri
producono quella della loro origine. Con ciò non si vuoi escludere la pos
sibilità di un 'mutamento di funzione' (che è il problema capitale di una
critica progressiva) , ma si vuoi attirare l'attenzione sullo stretto rapporto
che intercorre tra il ritrovato tecnico e la sua funzione sociale, che lo pre
determina nella sua costituzione oggettiva. Lo strumento contiene in sé -
nella sua struttura immanente - il cattivo fine a cui lo si adopera. Occorre
diffidare di un certo ottimismo a buon mercato, che si spaccia per illumi
nistico, e che, sulla base della neutralità dello strumento, fa dipendere ogni
25 3 .
P. Cerri, divano Ouverture
per Poltrona Frau, 2006.
254. A. Castigliani e M . De Lucchi,
tavolo Sangirolamo
per Poltrona Frau, 2006.
255. L. Scacchetti, tavolo Corintia
per Poltrona Frau, 2006.
Made in Italy
278
Note
1 S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, Uret, Torino 1 972, vol. VI, p. 798.
2 C. Martino, Note sul design degli anni Novanta, in «Op. cit.>>, n. 1 10, gennaio 200 1 .
3 J . Ch. Schiller, Lettere sull'educazione estetica, Firenze 1 93 7 , 6" lett.
4 I vi, 9" lett.
5 H. Marcuse, Eros e civiltà, Einaudi, Torino 1964, p. 190.
6 F. Menna, Profezia di una società estetica, Lerici, Roma 1968, pp. 148- 15 1 .
7 A . Alessi, La sfida, A/essi, fabbrica del design, in <<Civitas>>, n . 3 , novembre 2005.
8 F. La Ceci a, Family Follows Fiction, in L 'oggetto dell'equilibrio, Alessi Electa, Milano 1996, pp.
1 5 1 - 167.
9 Martino, Note sul design degli anni Novanta ci t.
1 0 V. Pasca, D. Russo, Sulla corporale image, in <<Op. cit.», n. 120, maggio 2004.
11
A.C. Quintavalle, Enzo Mari, Centro studi e archivio della comunicazione dell'Università di
Parma, Parma 1983 , p. 16.
1 2 Ivi, p. 1 8.
1 3 lvi, p. 19.
14 G. D'Amato, Glz oggetti del desiderio, in F. Irace, Driadebook, un quarto di secolo in progetto,
Skira, Milano 1995, p. 187.
15 D. Dardi, Il design di Alberto Meda, una concreta leggerezza, Electa, Milano 2005, p. 63 .
16
G. Pardi, Apocalypse Now, in C. Forcolini, Immaginare le cose, Electa, Milano 1990, p. 48.
17 V. Pasca, nel catalogo Aleph della Driade dedicato alla serie Ubik.
1 8 lntervista a Gaetano Pesce, aprile 2000, in C. Martino, Gaetano Pesce, materia e dz/ferenza, Te-
sto & tmmagme, Tonno 2003.
19 Martino, Note sul design degli anni Novanta ci t., p. 43 .
2° K.M. Armer, A. Bangert, E. Sottsass, Deszgn anni ottanta, Cantini Editore, Firenze 1990, p. 3 8 .
21 S. Giedion, L'era della meccanizzazione ( 1 948), trad. it. Feltrinelli, Milano 1967 ' p. 3 60.
22 lbid.
23 P.A. Tuminelli, Plastica '), in <<Domus», n. 776, novembre 1 995.
24 Martino, Note sul deszgn degli ann� Novanta cit . , pp. 42-43 .
25 G. Pesce, Le temps des questions, Editions du Centre Pompidou, Paris 1996.
26 Cit. in Martino, Note sul destgn degli anni Novanta cit. , pp. 78 sgg.
27 I vi, p. 85.
28 E. Manzini, C. Vezzoli, Lo sviluppo di prodotti sostenibili, Maggioli Editore, San Marino 1 998,
p. 1 3 .
2 9 M.A. Sbordone, Deszgn e Activity Theory, i n <<Op. c it . » , n. 126, maggio 2006.
30 R. Salmi, Introduzione a T.W. Adorno, Minima Moralia, Einaudi, Torino 1954, p. XLI.
Capitolo diciassettesimo Lo stile usa -e-getta
Produzione corrente
In una nota con questo titolo, redatta nel '65 , Vittorio Gregotti scriveva:
«una gran parte degli oggetti che ci circondano sfugge al controllo formale
dei designers: a questi per convenienza psicologica essi pensano come ad
una realtà opaca sulla quale è possibile, e soprattutto necessario, collocare
le proprie invenzioni sotto forma di emergenze formalmente suggestive.
Tuttavia proprio questo mondo difficilmente catalogabile di oggetti (che in
questo caso si possono definire il design spontaneo) rivelerebbe di aver già
maturato, senza teorizzarle, molte delle vocazioni del design ufficiale. È un
mondo di oggetti semplici, dall'aspetto effimero, fatti di lamierini stampa
ti, di ribattini, di tondini piegati; risolti con tecnologie elementari, ma in
ventate di volta in volta. n materiale trattato per sezioni sottili si vitalizza,
diventa flessibile, aderisce e reagisce, scatta al comando più semplice con
effetti sorprendenti. C'è da essere sempre più convinti che è questa la vera
tecnologia: quella che opera la semplificazione dei mezzi in sé e del loro mo
do di risultare»1 . Benché la nota si riferisca ad altro, mi sembra una intro
duzione in qualche modo pertinente al tema dell'usa-e-getta.
I limiti del fenomeno, per cui risulta più economico e funzionale butta
re via alcuni oggetti dopo averli usati piuttosto che conservarli con cura,
280 Made in Italy
li rende compatibili con la ridotta dimensione delle nostre case, coi nostri
continui spostamenti da un luogo all'altro; il loro immediato sgombro e
appunto, per definizione, l'eliminazione del problema della loro conserva
zione. Menzioniamo ancora alcuni modi di sentire la questione non avver
titi da tutti gli ut€nti, ma di cui pure bisogna tener conto: essi, come già no
tato in un precedente articolo, sono l'indifferenza al senso del possesso du
raturo, il piacere di padroneggiare quanto ci occorre hic et nunc, la coinci
denza col gusto per l'effimero, il rifiuto per ciò che suscita ricordi, ecc.
Un'altra qualità dei prodotti in esame sta nella loro immediata riconosci
bilità. Ciò costituisce uno dei capisaldi della teoria classica del design che
indica nella funzione manifesta il principale significato di ciascun oggetto.
Tale proprietà è molto apprezzabile nel momento presente: infatti di fron
te alla vasta polifunzionalità dei prodotti ad alta tecnologia e così spesso
non sfruttata in pieno dall'utente, impossibilitato a ricorrere continua
mente alle «istruzioni per l'uso», il caposaldo della riconoscibilità sembra
presente solo nei manufatti la cui fruizione è consolidata dall'esperienza o
appunto in quelli usa-e-getta.
Il limite principale
Una volta accennato ai lati negativi e positivi del fenomeno, provo a in
dicare qual è, a mio giudizio, il suo maggiore svantaggio. Questo non è l' as
senza della qualità nei piatti, bicchieri e posate di carta o di plastica, sem
pre fattibile di miglioramento; né il problema che nel produrre imballag
gi, scatole e oggetti di resine sintetiche s'inquina l'aria, sempre risolvibile
con più efficienti sistemi di filtraggio; né infine che la sovrabbondanza di
rifiuti si traduce in discariche non biologicamente degradabili: anche per
questo possediamo sistemi tecnologici che limitano il danno all'ambiente.
Che il problema delle discariche riguardi soprattutto la politica ammini
strativa è dimostrato dal fatto che in alcune regioni d'Italia esso è stato da
tempo tecnicamente risolto, mentre in altre siamo nel caos più completo.
La carenza maggiore, beninteso riguardante la cultura, è per me un'altra.
Essa consiste in ciò che, dopo aver gettato tutto ciò che si è usato, corria
mo il rischio di avere una civiltà che non lascia dietro di sé alcun segno del
la sua cultura materiale, praticamente alcuna testimonianza di buona par
te della nostra storia. Com'è stato osservato, «gli antropologi spiegano che
l'uomo non si adatta all'ambiente ma adatta l'ambiente a sé; perciò la sua
esistenza sulla terra non lascia impronte casuali, ma segni che hanno valo
re di messaggi e con i quali possiamo cominciare a ricostruire la sua storia.
Sono documenti per mezzo dei quali si ricorda e si è ricordati [. .. ] . Non v'è
documento che non sia il prodotto di un progetto e di un'operazione tec-
XVII. Lo stile usa-e-getta 2 83
Un'etica dell'usa-e-getta
mini viventi, anche i più arretrati e schiavi delle convenzioni, hanno dirit
to al soddisfacimento dei loro pur falsi bisogni. Se -per investire il bisogno
vero, oggettivo, il pensiero passa sopra senza riguardo al bisogno soggetti
vo, si ribalta, come ha sempre fatto la volonté générale contro la volonté de
tous, in oppressione brutale. Persino nel falso bisogno dei viventi sussiste
un moto di libertà: ciò che la teoria economica ha chiamato valore d'uso in
contrapposizione all'astratto valore di ·s cambio. Perché si rifiuta di dare
agli uomini ciò che così fatti - e non altrimenti - essi vogliono e di cui han
no magari bisogno, l'architettura legittima appare loro necessariamente
nemica»9.
Ma il culmine dell'etica dei prodotti usa-e-getta sta in ciò che la loro
breve durata li affranca dall'ossessione del possesso, che da sempre s'è ma
nifestata in maniera negativa. Ancora Adorno in Minima moralia sostiene:
«'fa parte della mia fortuna - scriveva Nietzsche nella Gaia scienza - non
possedere una casa'. E oggi si dovrebbe aggiungere: fa parte della morale
non sentirsi mai a casa propria»10. Il che non va inteso in senso destabiliz
zante, ma in un altro che apre nuovi orizzonti, come quello di incrementa
re appunto il valore d'uso al posto del valore di scambio. E veniamo al
punto conclusivo sull'etica dell'usa-e-getta; un'etica che paradossalmente
tocca l'incremento dei consumi. Il lavoro più socialmente redditizio, la
piena occupazione non si ottengono solo con il turismo d'arte e di natura
- come pretende tanta demagogia politico-sociologica - ma soprattutto
producendo cose che si consumano. Quanto al rapporto fra questa com
plessa fenomenologia dell'utilizzo e il consumismo, è necessario finalmen
te sgombrare il campo dall'ideologismo e moralismo che continuano ad
accompagnare quest'ultimo. Col tempo abbiamo acquistato la consapevo
lezza che lo si può correggere ma non eliminare perché deve coesistere con
la produttività. Ci piaccia o no, questa è la condizione della società attua
le e tale sarà certamente anche in futuro. L'abbandono di questa via è in
conciliabile con lo sviluppo e produrrebbe una disoccupazione più grave
di quella che già oggi registriamo come uno dei maggiori problemi sociali
e quale principale pericolo imputabile alla tecnoscienza. Accennavo sopra
allo stesso consumo del consumismo, prima per indicare che si tratta di un
fenomeno non statico, bensì a sua volta soggetto alle diverse condizioni del
mercato, ai valori-interessi condivisi dalla mutevole massa di utenti, poi
perché molti sostengono il prevalere dell'informazione sull'uso di oggetti
materiali. E ognuno dovrebbe sapere che certe idee sono ancor più inqui
nanti di tanti oggetti dismessi. Come che sia, il consumismo, un'organiz
zazione economico-sociale che si perpetua attraverso la moltiplicazione
dei beni, ha il solo difetto - ripetiamo - di non essere esteso all'intera sfe
ra sociale e a tutti i paesi del mondo.
XVII. Lo stile usa-e-getta 287
Oltre l'usa-e-getta ·
Note
tata di sana pianta è senz'alcuna relazione con quanto essa ' ricopre' o na
sconde, solo per dare all'utente, al compratore, un simulacro di quel con
tenente, che è in realtà privo di un contenuto morfologicamente corri
spondente. Che ciò che affermo sia vero ce lo dimostrano infiniti altri 'og
getti' ancora in assurda produzione soprattutto nel settore dell'arreda
mento. La stessa automobile - autentico simbolo e termometro della no
stra ' società dei consumi' - negli ultimi tempi - ridotta a miserabile scato
letta dal cruscotto inutilmente ipercomputerizzato - appare come un
esempio pietoso per chi abbia conosciuto e ancora ricordi la 'bellezza' di
antiche sontuose carrozzerie disegnate dai maghi di mezzo secolo addie
tro; e, tuttavia, esempio tra i più significativi della fine di un'era estetica
(più ancora che tecnica) alla quale molti di noi avevamo ciecamente pre
stato fede»3 .
Ancora sul rapporto fra l'involucro ed il circuito dei meccanismi inter
ni, è stato osservato: «la parte funzionale di un oggetto, quell'insieme di
apparati meccanici che aveva svolto un ruolo di primo piano nella nascita
e stabilizzazione delle tipologie oggettuali, in larga misura non rappresen
ta più un vincolo e neppure un punto di riferimento per la configurazione
formale degli oggetti microelettronici. Ora i vincoli vanno ricercati in
quell'involucro che, in precedenza, serviva quasi soltanto a 'rivestire' gli
oggetti e a proteggere gli utenti. Questa accresciuta libertà di manovra, tut
tavia, non è stata finora in grado di produrre risultati apprezzabili dal pun
to di vista formale. Anzi, a fronte di una grande varietà di oggetti si regi
stra un'accentuata omogeneità delle rispettive configurazioni formali, la
diffusione di 'scatole nere' di diverse dimensioni, di 'forme pure il cui sco
po è oscuro', come qualcuno le qualifica»4. Ora, la questione dei prodotti
di cui ci occupiamo non è solo semantica, bensì tecnica, economica, este
tica, artistica e comporta, come accennavo, non pochi disagi pratici. Ma
tant'è. La tecnologia informatica, cui vanno ovviamente riconosciuti gran
di meriti, non sembra tuttavia tener conto di questi aspetti, puntando es
senzialmente sulle proprietà prestazionali, cosicché il nostro ambiente ri
sulta affollato da telefonini cellulari, agende, dittafoni, videoregistratori,
assistenti digitali personali (Pda), penne elettroniche, modem, calcolatrici,
sistemi di posizionamento Loran, occhiali intelligenti, guanti, scarpe elet
troniche da jogging che contano i nostri passi ed emettono segnali lumi
nosi in caso di avvicinamento di veicoli, sistemi di monitoraggio medico,
pacemaker, cuffie del lettore di cd e quant'altre cose che si possono indos
sare abitualmente o portare con noi occasionalmente.
292 Made in Italy
La miniaturizzazione
La riconoscibilità
dotti legati alla min'iaturizzazione, ip sostanza qualcosa che dia loro un si
gnificato, occupiamoci del modo «tradizionale» di legare il binomio for
ma-funzione alla sua significazione.
La signi/icazione
L'arbitrarietà
Note
1 G. Dm·fles, Dieci anni fra due convegni, in <<Caleidoscopio», n. 29, 1983 .
2 Ibzd.
3 Ibzd.
4 M . Chiapponi, Le forme degli oggetti, in <<Il Verri>>, n. 27, 2005.
5 E. Manzini, Nuovi materiali e ricerca progettuale, in Il design italiano 1964- 1 990, Electa, Mila
no 1996, p. 326.
6 P. Blake, La forma segue il fiasco, Alinea, Firenze 1983 , p. 29.
7 G.C. Argan, voce Arte /zgurativa dell' Enclclopedza Universale dell'arte, vol. I, Istituto per la col-
laborazione culturale, Venezia-Roma 1958, col. 760.
8 Cfr. D. Rams, Al di là dell'usa e getta, in <<Ottagono>>, n. 1 02 , marzo 1992.
9 W.]. Mitchell, La città dei bits, Electa, Milano 1997 , p. 22.
lo . . .
U. Eco, Appunti per una semiologia delle comunicazioni virive, Bomp1am, Milano 1967, p. 164.
11
C. Brandi, Struttura e architettura, Einaudi, Torino 1967, p. 3 7 .
Capitolo diciannovesimo Storia e design oggi
Ricollegandoci al tema del nuovo artigianato, notiamo come non sia ne
cessario essere neo-luddisti per capire che uno dei maggiori problemi del
futuro, peraltro già cominciato, nel campo della produzione, è quello per
cui la nuova tecnoscienza espellerà gradualmente l'opera dell'uomo. No
nostante i politici non ne parlino per non perdere il consenso popolare,
nonostante il vecchio proletariato vada di fatto scomparendo decimato dal
concetto di «esubero», nonostante le poco convincenti soluzioni proposte
da economisti e sociologi, a nessuno dovrebbe più sfuggire quanto abbia
mo sopra asserito. La crisi occupazionale non riguarda tanto l'élite dei tec
nici quanto soprattutto l'attività banausica, quella cioè che occupa la gran
parte della mano d'opera, perché nei prossimi anni, quasi in ogni settore
produttivo, basteranno poche unità di addetti per dare avvio a un mecca
nismo di automazione in grado di fare e disfare da solo quasi tutto. Alcu
ni autori sono giunti persino a ipotizzare una società futura in cui non si la
vorerà affatto, come peraltro anticipa lo slogan «lavorare meno, lavorare
tutti» ( che è solo un provvisorio modo di rimediare alle esigenze più con
tingenti) , senza tuttavia pervenire alla logica conseguenza per cui proprio
a una forma più razionale del tanto deprecato assistenzialismo dovrà se
riamente pensare l'azione politica per assicurare la pace sociale. In questo
incerto scenario, quell'insieme di operazioni produttive che chiamiamo de
sign e quell'altro che definiamo artigianato sono entrambi fortemente coin
volti e non è detto a quale dei due toccherà la sorte migliore. Di primo ac
chito si direbbe che sia prevedibile una maggior fortuna per il design, più
positivamente legato dell'altro agli sviluppi della tecnica e alla logica della
produzione industriale, ma quando si prospettano macchine 'intelligenti'
e radicali cambiamenti anche nel sistema dell'industria non è escluso che
quella stessa componente progettuale del design possa essere sostituita da
qualcos'altro, atto a surrogarla. Proviamo a ipotizzare alcune vie d'uscita
3 04 Made in Italy
Note
La macchina
ti più grandi che nella loro prima età. La fotografia ottocentesca è spesso
più notevole di quella del nostro tempo. E i grandi film devono essere già
stati girati»1 .
Se modesta è la forma dei televisori, ancor più triste e monotona risul
ta quella dei computer, per lo più una sorta di piramide con la base conte
nente lo schermo e un lato poggiato su un sostegno informe; la parte più
interessante morfologicamente è data dal mouse, se non addirittura dalla
tastiera, standardizzata per definizione. Né la variante più recente del
computer - non più il compatto corpo piramidale, ma la sua quadriparti
zione - un display, lo scatolone contenente il motore, lo scanner e la stam
pante - ha migliorato molto l'estetica dell'apparecchiatura. Non c'è riu
scito il bel modello di computer portatile, articolato in più parti, che Sap
per progettò per la Ibm, né quello, intitolato Philos, che Michele De Luc
chi progettò per Olivetti nel '92, ai quali sono stati preferiti i computer
portatili in forma di anonime valigette che si differenziano dalle classiche
ventiquattrore solo perché più sottili. Ma poiché i computer vanno sempre
più perfezionandosi, si è portati a concludere che a una tecnologia sempre
più avanzata corrisponda una forma dell'apparecchio sempre più povera.
Evidentemente ci dev'essere una ragione tecnica che impone una simile
forma a queste macchine che «hanno preso il comando» più di quanto fe-
3 08 Made in Italy
L:elogio
Due ipostasi
gli scenari che si prospettano sul ruolo della scienza e della tecnologia nel
secolo prossimo venturo. In tali scenari, si sostiene spesso, l'impatto delle
tecnologie emergenti (informatica, telecomunicazione, bioingegnerie, ro
botica e tecnologia dei materiali avanzati) porterebbe a un progressivo as
sottigliarsi della materialità del mondo, a una dematerializzazione della no
stra realtà nel s�o complesso. In altre parole, si sarebbe ormai avviata una
contrazione dell'universo degli oggetti materiali, oggetti che verrebbero
sostituiti da processi e da servizi sempre più immateriali»4. Dopo aver
esposto il problema, lo stesso autore nega decisamente che, malgrado gli
ultimi sviluppi dell'informatica, i suoi filtri e diaframmi, si possa sfuggire
alla nostra materialità e all'esigenza di toccare con mano le cose di questo
mondo. Il suo dissenso è accompagnato da un'ipotesi che sembra affran
care gli «immateriali» dalla perdita del buon senso. <& assai probabile che
dietro il discorso sulla dematerializzazione si nasconda, ancora una volta,
un abuso metaforico, e che quello che si vuoi dire sia qualcosa di diverso.
Se così non fosse, se si pensasse sul serio a un drastico processo di dema
terializzazione, ci troveremmo di fronte alla riproposta di certe forme esa
sperate di misticismo, o almeno di idealismo soggettivo. Probabilmente ci
sono malintesi terminologici, anche se alcuni di essi, di sicuro, sono resi
dui di problemi teorici, rimasti finora irrisolti nell'ambito della filosofia
della scienza e della tecnica»5 .
Maldonado è ottimista. Tranne gli sprovveduti, i più motivati fautori
della dematerializzazione lo sono per convinte ragioni. Tra queste emerge
ancora una volta una ricerca di stile formale: dopo le insensate p roposte
del post-moderno e del post-industriale e le altre, ancora più irrazionali ed
inapplicabili, del decostruzionismo - tutte sostenute da una debole filoso
fia - ecco che un nuovo «ismo» prende corpo, confortato questa volta da
una forte tecno-scienza, peraltro molto popolare, visto che i suoi effetti
toccano gli interessi di tutti. Una seconda motivazione a favore dell'imma
terialità è il moralismo ecologico: visto che la logica produttivistica del si
stema industriale è fondata sul consumismo e considerato che lo sviluppo
sostenibile è difficile da realizzare, non resta che sperare nel meno inqui
nante dei prodotti, quello appunto di natura immateriale. Ma se questa au
tarchia, o meglio, astinenza è pensabile se applicata ad altri campi, non lo
è affatto per il design, un settore, come ripeto, della cultura materiale nel
quale di immateriale sono solo le sovrastrutture verbali. Ancora a favore
della dematerializzazione sono quei circoli conservatori che, in campo ur
banistico, vorrebbero la conservazione integrale dell'ambiente p reesisten
te, e, in quello del design, la non adozione di nuovi materiali legati inevi
tabilmente a nuove forme: ma i più convinti assertori dell'immaterialità so
no quegli studiosi più intenti alle teorizzazioni che alle sperimentazioni sul
campo.
XX. Internet non s'addice al design 311
scoprirvi delle cosè senza sapere dove siano. La rete è un ambiente globa
le [. . ] non è in nessun luogo in particolare ma insieme è dappertutto. Non
.
Conformazione e rappresentazione
Le informazioni possibili
altre destinate a rimanere pure immagini, le une rientranti nel dominio del
reale, le altre in quello del virtuale.
Ai fini del presente paragrafo, ci interessa ovviamente discutere la se
conda posizione, ma in tal caso si ripropone il quesito centrale: quale tipo
di ragionamento ha portato alcuni autori a snaturare l'architettura, a sosti
tuire il suo essere topos, luogo comunque chiuso e delimitato, con tutto un
armamentario di cose invisibili e intangibili di cui l' «informazione» diven
ta l'emblematica sintesi? Quale logica sostiene tale passaggio? La risposta
più interessante che associa l'architettura ai fattori dell'informatica lo è
proprio per la sua assurdità. Dopo le citate correnti post-moderne, post
industriali, decostruzioniste, cosa poteva sembrare più conseguente a que
sta serie di aporie se non una poetica che negasse lo specifico dell'archi
tettura, la sua interna spazialità? Il paradosso non è nuovo; già al tempo
dell'avanguardia storica c'era chi lo avvertiva, Hans Sedlmayr, che scrive
va: «per diventare 'pura', 'autonoma', l'architettura deve espellere da se
stessa tutti gli elementi di altre arti con le quali era collegata sino alla fine
del barocco e del rococò (e anche oltre) , e cioè: l . gli elementi scenici, pit
torici, plastici e ornamentali; 2. gli elementi simbolici, allegorici e rappre
sentativi; 3 . gli elementi antropomorfi. Propriamente, comé quarto punto,
dovrebbe espellere anche l'elemento oggettivo, che nell'architettura è [ . . . ]
lo scopo, la finalità dell'edificio. Solo un'architettura priva di scopo, non
legata a compiti pratici, sarebbe del tutto pura, architettura per l'architet
tura. Quest'ultimo passo l'architettura, per motivi facilmente comprensi
bili, non può compierlo. Tuttavia gli si avvicina là dove lo scopo non è pre
so sul serio, ma diviene un pretesto per realizzare idee puramente archi
tettoniche. Ed anche per questo gli esempi non mancano»10. Anzi, si sono
moltiplicati in questi ultimi anni in cui sta fiorendo un vero e proprio ge
nere, quello dell'architettura «dipinta» ed esposta in gallerie d'arte. Allora
l'avanguardia architettonica tendeva ad un'architettura così autonoma da
rinunciare ad alcune prerogative tradizionali, oggi si tende addirittura a
renderla virtuale.
Dal canto suo lthiel de Sola Pool, studioso degli aspetti economico-so
ciali connessi con le telecomunicazioni, sostiene: «non c'è ragione di cre
dere che le città e i loro grandi centri (downtowns) siano destinati a spari
re». Pur ammettendo che le telecomunicazioni possano dar luogo a nu
merose comunità senza contiguità, disperse in un vasto territorio, egli re
voca in dubbio che questo modello possa diventare dominante: «è una pu
ra fantasia immaginare che le telecomunicazioni possano condurre la gen
te a vivere in isolamento fisico. È infatti poco realistico giacché gran parte
dell'attività umana non consiste soltanto nell'interscambio di informazio
ne ma comporta anche l'azione sugli oggetti fisici»1 1 . E quest'ultimo as-
3 16 Made in Italy
sunto costituisce, a mio avviso, ciò che taglia corto con tutte queste fanta
sticherie di un design virtuale.
Ora, la gran parte dell'apporto digitale all'architettura e al design va as
segnata alla componente rappresentativa, che va dall'iconico al semantico,
dal virtuale al possibile - e ricordiamo che il reale è solo un caso del pos
sibile -, dalla comunicazione all'informazione. Tutte queste facoltà, evi
dentemente di grande importanza, per essere «architettoniche» devono
sostenersi sulla componente conformativa, che va dallo spazio degli invasi
interni alle singole fabbriche, penetrabili ed agibili, al volume dei loro in
volucri esterni, dalla solidità della materia alla sua trama, dal gioco tangi
bile dei pieni e dei vuoti al fenomeno per cui ogni architettura contiene
uno spazio ed occupa uno spazio; insomma tutte cose che sono percepibi
li e che si toccano con mano.
E veniamo all'argomento più pertinente al nostro saggio: il rapporto tra
il design ed Internet, scelta sempre per rappresentare simbolicamente tut
to l'apparato informatico. Quale apertura di questo più specifico discorso,
citiamo una felice considerazione di Mario Bellini. Questi, in un'intervista
a proposito della sua macchina da calcolo Logos 50/60 per Olivetti, par
lando dell'origine e del valore della forma di un prodotto, afferma: «spes
so mi capita di riassumere questo problema con un esempio: provate a far
smontare una macchina elettronica a un bambino che ne stacca tutti i fili,
mettete il tutto in un sacchetto trasparente e ponetelo di fianco a un altro
sacchetto che contiene la macchina intera; la differenza che c'è tra i due
sacchetti è il design»12.
La frase può essere interpretata in vari modi, ma rimanda comunque al
fatto che, pur utilizzando elementi elettronici e non solo meccanici (dove
più immediato risulta il rapporto di causa ed effetto), il design scaturirà co
munque dall'aver dato forma alle parti assemblate in un tutto.
Ma c'è più di un'altra ragione per sostenere la quasi estraneità del design
rispetto alla tecnologia digitale quale fattore risolutivo della sua confor
mazione. Salvo per la costruzione di grandi «oggetti» d'uso «superindivi
duale» - aerei, treni, sottomarini, macchinari, ecc. - che indubbiamente si
avvale del calcolatore, la gran parte delle merceologie del design può igno
rare senza grave danno l'apporto della tecnologia digitale. Infatti, se da un
lato regge ancora il rapporto forma-funzione, nonché il doppio significato
sintagmatico (in praesentia) e associativo (in absentia) che peraltro soddi
sfa l'esigenza della tanto invocata «comunicazione», e se dall'altro l'infor
matica non sembra voler riconoscere la spazialità, la materialità, bensì so
lo la discussa «informazione», si direbbe che siamo in presenza di due fe
nomenologie divergenti, per di più con la volontà di procedere ognuna per
la propria strada. Nel campo del design e in quello dell'arredo in partico
lare non siederemo mai su un'immagine virtuale, né la Stimmung propria
XX. Internet non s'addice al design 3 17
Note
1 J. Gimpel, Contro l'arte e gli artisti, Bompiani, Milano 1 970, p. 193.
2 E. Frateili, Continuità e trasformazione. Una storia del diSegno industriale italiano 1 928- 1 988,
Alberto Greco Editore, Milano 1989, p. 208.
3 Ibid.
4 T. Maldonado, Reale e virtuale, Feltrinelli, Milano 1992, p. 10.
5 I vi, pp. 1 2 - 1 3 .
6 T . Maldonado, I l mondo delle cose e la sfida informatica, in <<Stile Industria>>, n. 4, dicembre
1995.
7 Cfr. A. Lalande, Dizionario critico difilosofia, ISEDI, Milano 1 97 1 , p. 424.
8 G. Schmitt, Information Architecture, Testo & Immagine, Torino 1998, pp. 29-30.
9 W.J. Mitchell, La città dei bits, Electa, Milano 1997, pp. 9-10.
10 H .
Sedlmayr, La rivoluzione dell'arte moderna, Garzanti, Milano 1958, p. 17.
11
Cit. in T. Maldonado, Critica della ragione informatica, Feltrinelli, Milano 1 997, p. 96.
12
Cit. in A. Branzi, Il design italiano 1 964-1 990, Electa, Milano 1996, p. 200.
" Mitchell, La Città dei bits cit., pp. 22-23 .
14 M. Praz, La filosofia dell'arredamento, Longanesi, Milano 1964, pp. 37-38.
Indici
Indice dei nomi�·,
Ceroli, M . , 158, 160. De Lucchi, M., 201 , 202, 204-205, 226, 277,
Cerri, P., 277. 296, 307.
Ceruti, U., 8, 1 3 . De Marchi, V., 26.
Chalk, W., 2 1 1 . De Martini, P., 172, 188.
Chessa, G . , 40, 67 , 75-76, 79, 95 . de Matteis, A., 1 17.
Chia, S . , 204. De Micheli, M., 48, 56, 95.
Chiapponi, M., 299. De Pas, ] , 158, 159, 160, 1 6 1 , 1 7 1 - 172, 188,
Chiara, P., 90. 190, 1 9 1 , 2 19.
Chiesa, P., 42, 76. Depero, F., 23-24, 26, 28, 3 1 , 38, 125.
Chini, G., 37. Derossi, P., 1 59, 160, 1 98.
Chiassone, E., 6. De Sanctis, F., 198, 2 7 1 .
Cibic, A., 205 . De Sola Pool, 1 . , 3 15 .
Citterio, A., 193 , 2 19, 260. D e Vecchi, G . , 164.
Clausetti, P., 82 . Dewasne, ]., 162.
Colbertaldo, A., 228. Deyrolle, J, 162.
Colombini, G., 139. Dick, Ph.K., 258.
Colombo, G., 164. Diderot, D., 1 93 .
Colombo, J., 99, 1 05, 150, 160, 169, 186, 224, Dietterlin, W . , 273.
236. Di Maggio , ] . , 160.
Confalonieri, G., 126. Dini, M., 23 1 .
Cook, P., 2 1 1 . Diulgheroff, N . , 26, 3 1 .
Coppedé, G . , 72. Dorazio, P., 50.
Corradi Dell'Acqua, C., 143 , 147. D01·fles, G., 48, 5 1 , 124, 127, 150, 162, 169,
Corradini, P., 1 06. 176, 193, 290, 299.
Corretti, G., 198, 23 1 . Dradi, C., 125- 126.
Cosenza, L . , 130. Drocco, G., 1 60.
Costa, T., 3 1 . Ducrot, V., 8, 1 3 .
Costanzi, C . , 70. Dudovich, M . , 1 7, 1 2 4 , 135.
Crasset, M., 246. Dudreville, L., 42.
Crispolti, E., 23 , 3 1 . D'Urbino, D . , 158, 1 59, 160, 1 6 1 , 1 7 1 - 172, 188,
Croceo, A . , 70. 190, 1 9 1 , 2 19.
Crompton, D., 2 1 1 .
Cruz-Diez, C., 169. Eco, U., 120, 155, 166, 176, 299.
Cutler e Girard, 8. Eiffel, G.A., 2 15.
Cuzzi, U . , 76, 79. Einstein, A., 74.
El Lissitzky (pseud di L. Lissitzky), 24, 49, 177.
D'Alembert, ].-B., 182, 193.
Dalisi, R., 198, 202, 208-2 10. Fabro, L., 1 7 1 .
Dal Verme, L . , 6. Facciali, A., 64.
D ' Amato, G., 2 10, 278. Farina, P., 18, 3 1 , 45, 95-96.
Danese, B., 245-246. Fassina, G., 226.
D ' Aniello, 1 7 1 . Fava, 0 . , 18.
D 'Annunzio, G . , 135. Favre, S., 149, 1 5 1 .
Dardi, D . , 278. Febvre, L . , 3 0 1 .
D'Aronco, R., 6, 7. Ferdinando I V d i Borbone, 12.
D'Ascanio, C., 1 10, 1 1 1 . Ferrari, L., 149.
Deabate, T., 40. Ferreri, M., 246, 255, 256.
de Bevilacqua, C., 230, 246. Fiedler, K., 47, 56.
De Carli, C., 1 14 , 216. Figini, L., 44, 75, 85, 86, 1 16, 128.
De Chirico, G., 41. Fillia (pseud. di L. Colombo), 26, 3 1 .
De Filippo, E., 209. Fiori, L., 149.
De Fusco, R., 3 1 , 1 93 . Fischer, E., 104.
Deganello, P . , 198, 224, 233, 234, 235, 254, Fiumi, F., 1 98.
266. Flavin, D., 177.
De Giorgi, M., 3 1 . Florio, V., 4.
D e Goetzen, G., 1 17. Focillon, H., 100- 1 0 1 , 103, 106.
de Guttry, 1., 18, 3 1 . Folgore, L., 28.
Delaunay, R . , 47, 49. Fontana, L., 49.
324 Indice dei nomi
Forcolini, C., 175, 226, 227, 240, 257, 258, 278. Gregotti, V., 18, 3 1 , 44-45, 59, 82, 94-96, 1 14,
Ford, H., 60. 127, 134, 147, 149- 150, 1 5 1 , 279, 288.
Foresi, R., 198. Griffini, E., 80, 1 17.
Fossati, P., 132, 134, 198, 210. Grignani, F., 125.
Foster, N., 2 16, 2 18. Grimaldi, A., 18, 3 1 , 45, 95-96.
Fragonard, ]. - H . , 264. Gropius, W., 34, 150, 209.
Franchini, R., 306. Grossi, A., 12.
Frassinelli, P., 198. Grotowski, ] . , 170.
Frateili, E., 74, 95, 130, 134, 2 10, 3 18. Gruppo dei sei, 67.
Frattini, G., 90, 1 7 1 , 186, 188. Gruppo dei sette, 42.
Frederick, Ch., 1 17. Gruppo 7, 44, 50, 58-59, 8 1 .
Frette, G., 44, 75. Gruppo G 1 4 , 99.
Freud, S . , 126. Gruppo Mid, 164.
Fronzoni, A.G., 180, 1 8 1 , 184, 190, 193. Gruppo 9999, 198.
Fukasawa, N., 246. Gruppo Strum, 198, 205, 208.
Fuller, B., 2 1 1 . Gruppo T, 164.
Fulton, H . , 169. Gruppo Ufo, 198, 202.
Fumagalli, fratelli, 1 17. Gualino, R., 67.
Funi, A., 42, 75. Guerriero, Ad., 202.
Fusco, G., 193. Guerriero, Al., 202.
Gi.inter, G., 3 12 .
Gabardini, G., 64.
Gabetti, R., 149. Hall, E.T., 262.
Gabo, N., 49, 5 1 . Hauser, A., VI, VIII.
Gabrielli, G., 70. Haussmann, R., 202.
Galante, N., 27, 67. Haussmann, T., 202.
Galbraith, J.K., 197. Helg, F., 126, 1 7 1 .
Galli, P., 198. Hélion, ]., 49.
Gardella, I., 67, 82, 1 14, 139, 143, 145, 150, Herbin, A., 49.
186, 1 90, 224. Herron, R., 2 1 1 .
Garnier, T., 32. Hitchcock, H . -R., 127.
Hoff, E., 293 .
Garroni, E., 59, 95 .
Hoffmann, J., 32, 34, 38, 42, 58, 7 1 .
Gatti, P., 158.
Hollein, H . , 205, 245 .
Gaudi, A., 4, 14, 58.
Hollington, G., 2 1 9.
Gemito, V., 12.
Horta, V., 4, 14, 1 6.
Germani, M., 139.
Huber, M . , 6, 125- 126, 136.
Ghini, G., 38.
Hi.ibner, A. von, 6.
Giacosa, D . , 68, 69, 1 10, 122, 139.
Huebler, D . , 172.
Giedion, S., 73-74, 95, 267-268, 278.
Hugo, V., 120.
Gigante, G., 12.
Husserl, E., 180.
Gimpei , J . , 307, 3 1 8.
Ginna, A., 26-27.
Ginsberg, A., 197 . Iliprandi, G., 126, 1 3 6.
Gioii, S . , 198. Irace, F., 278.
Giovannoni, S., 188, 243, 244-245. Irvine, ]., 246.
Gismondi, E., 186, 204. Isola, A., 149.
Giugiaro, G., 122. Isozaki, A., 205.
Goya, F., 275. Issel, A., 8.
Graffi, C., 109.
Grassi, A., 1 4 1 , 164, 2 10. J acober, 1 7 1 .
Graves, M., 205, 236, 245. Jacobsen, ] . , 226, 230.
Grcic, K., 222. Jencks, C., 245.
Greene, D., 2 1 1 . Judd, D., 177.
Greenough, H . , 294. Juhl, F., 100.
Gregari, A., 202.
Gregari, B., 202, 205. Kandinskij, W., 47, 49.
Gregorietti, S., 136. Kahn, L., 150.
Indice dei nomi 3 25
Kant, E., 6 1 . Magris, A., 198.
Katz, S . , 106. Magris, R., 1 98.
Kelly, E., 178. Maillart, R., 2 15.
Kennedy, J., 157. Maino, M.P., 18, 3 1 .
Kerouac, J . , 197. Majakovskij, V., 54.
Kircherer, S . , 1 3 3 - 134. Maldonado, T., v , v m , 73, 95, 136, 309-3 1 1 , 3 18.
Kita, T., 265, 266. Malerba, E., 42.
Klee, P., 23 , 46-47. Malevic, K., 47, 52, 177, 1 84.
Klier, H . von, 2 16. Mangiarotti, A., 130, 2 15 , 224, 232, 236.
Koenig, G.K., 1 10, 127. Mango, R., 1 1 3, 1 14, 139, 2 16.
Kosuth, J., 172-173, 204. Mantovani, A., 122.
Kounellis, J., 1 7 1 . Manzini, E., 1 02 - 103, 106, 123 , 127, 220, 23 1 ,
Kron, J., 2 1 1 . 278, 280, 288, 293 , 299.
Kubler, G . , VIIJ. Manzù, P., 122.
Kupka, F., 47, 49. Marangoni, G . , 40, 125.
Kuramata, S., 205. Marchelli, R., l 06.
Marcuse, H., 197, 24 1 -242, 278.
Labò, M., 132. Mare, A., 38.
La Ceda, F., 278. Marelli, M., 42.
Lalande, A., 95, 3 18. Mari, E., 103, 126, 139, 156, 166, 172, 186, 1 87,
Laminarca, G., 164. 188, 190, 236, 246, 248, 249-252, 254.
Lancia, E., 40, 42, 75, 1 3 5 . Marinetti, T., 28, 3 1 .
Lancia, V., 62. Martinet, A., 59, 95.
La Pietra, U., 236. Martino, C., 193 , 23 1 , 244, 270, 278.
Larco, S., 44, 59, 76. Martinoli, G., 89.
L.A. Silvers, 2 12 . Marussig, P., 42 .
Latis, V., 90. Marx, K., 1 94.
Lauda, G., 220. Maschietto, V., 198.
Laudani, M., 224. Massobrio, G., 18, 95.
Laum, L., 136. Matisse, H., 58.
Lazzani, L., 149. May, E., 1 18.
Le Brun, Ch., 264. Mazza, S., 186.
Le Corbusier (pseud. di Ch.-E. Jeanneret) , 34, Mazzacotelli, A., 38.
58, 63 , 153 , 285, 294. Mazzocchi, G., 140.
Léger, F., 47. Mazzoleni, G., 82.
Levi, C., 67 . Mazzucote!li, A., 8, 12.
Levi Montalcini, G., 67. McShine, K., 1 93 .
Lévi-Strauss, Cl., 302. Meda, A . , 190, 2 1 9 , 226, 228, 229, 230, 240,
LeWitt, S., 177. 246, 255, 256, 258.
Libera, A., 26, 75. Melani, A., 12.
Libiszewski, S . , 136. Mello, F., 160.
Lichtenstein, R. , 158, 169. Mendini, A., 99, 200, 202, 203, 204-205, 208,
Lissoni, P., 193, 260. 2 10, 245.
Lomazzi, L., 158, 1 59, 160, 1 6 1 , 1 7 1 - 172, 188, Meneghetti, L., 149-150, 1 5 1 .
190, 1 9 1 , 2 19. Meneguzzo, M . , 176, 1 86, 193 , 245.
Lonzi, C., 176. Menghi, R., 1 17 .
Loos, A., 32, 58, 100, 102. Menna, F . , 3 1 , 158, 166, 168, 176, 242, 278.
Lotto, L., 174. Menzio, F., 40, 67.
Lovegrove, R., 188. Meroni e Fossati, 76.
Lyotard, J.-F., 309. Merosi, G., 62.
Merz, M., 1 7 1 .
Mackintosh, Ch.R., 4, 18, 32, 34, 153 , 154. Meucci, A . , 88.
Mackmurdo, A., 14. Mezzacapo, marchese, 12.
Magistretti, V., 1 05, 1 15, 143, 1 7 1 - 172, 186, Mies van der Rohe, L., 44, 89, 177- 178, 184.
1 90, 266, 268. Minoletti, G., 70, 82.
Magnelli, Alberto, 47, 49, 89. Mitchell, W.J ., 296, 299, 3 12, 3 17 , 3 18.
Magnelli, Aldo, 89. Moholy-Nagy, L., 49.
Magni, P., 70. Mondrian, P., 46, 49-50, 52, 60.
326 Indice dei nomi
Introduzione v
Note, p. Vlll
I. L'incipit liberty 3
Note, p. 1 8
v. Il design razionalista 57
Discrezione/continuità, p. 59 - Il Razionalismo <<discreto», p. 61 - Il Razionalismo
«continuo», p. 68 - Il Razionalismo alla Triennale, p. 75 - Alcuni prodotti emble
matici, p. 84 - Il razionalismo fascista, p. 90 - Note, p. 95
X. Lo stile «neo-storico» 1 42
Azucena, p. 143 Neoliberty, p. 147 - <<I Maestri>> della Cassina, p. 153 · Note, p.
.
155