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Ricerca su futuro del classico di Settis

Hai scritto 250 pagine sul concetto di autenticità. Ma se dovessi sintetizzare


in dieci righe la definizione di falso nell’arte, te la caveresti?
‘Falso’ e ‘autentico’ non sono due termini contrari, diversamente da quanto potrebbe
sembrare. Sono i poli opposti di una disputa, di una tensione. Questo significa che
tra di essi esiste una serie di sfumature fatte dai passaggi graduali di un terzo
elemento in gioco, che è ‘attribuzione’. La posizione di questo nella linea tra i due
poli determina il giudizio di falsità o di autenticità, di copia, doppio o omaggio, di
facsimile o contraffazione, di originale o apocrifo e così via.
L’autenticità, così come la falsità, non è una caratteristica dell’opera ma è
esclusivamente dovuta a un giudizio su di essa, un giudizio che nel tempo può
cambiare. A dimostrazione di questo, basti pensare al termine ‘riattribuzione’: prima
l’opera è originale, poi non lo è più e infine torna a esserlo. Il ‘falso’ è dunque quel
giudizio estremo sull’opera ritenuta erroneamente attribuita a un autore, a un’epoca,
a un contesto. Il ‘falso’ è necessario per capire ‘l’autentico’, è indispensabile per
capire il gusto di un’epoca ed è la cartina di tornasole per capire se nell’arte d’oggi
abbia ancora senso parlare di autenticità e, se sì, come farlo.

Sei riuscita ad affrontare il tema in maniera eccelsa perché l’hai considerato


da moltissimi punti di vista. Anche qui ti chiedo uno sforzo di sintesi: quali
sono le prospettive a partire dalle quali si dispiega meglio la questione
dell’autenticità dell’opera d’arte?
Le teorie sono valide solo quando non hanno limiti temporali. Se c’è questa
delimitazione si tratta di storia, non di teoria. Per me era fondamentale uscire dalle
costrizioni delle circostanze e verificare se era possibile una teoria dell’autenticità
valida sempre. Ecco perché gli esempi sono così eterogenei: Prassitele ed Eve
Sussman, Piero Manzoni e Antoni Gaudí, Vermeer e Duchamp, John Cage…
Percorrendo la storia ho individuato le coordinate della teoria: la relazione con un
autore, la relazione con un periodo storico e la relazione con un contesto
legittimante avrebbero potuto determinare i due poli ‘autentico’ e ‘falso’. Poi, i tre
tipi di metodo: il discorso ‘dell’opera’, il discorso ‘sull’opera’ e il discorso ‘nell’opera’
avrebbero dichiarato le tipologie di autenticità o falsità. Sempre percorrendo la storia
dell’arte mi sono avvicinata ad alcuni esemplari casi nell’architettura, nella musica,
nella letteratura e ho visto che le coordinate teoriche funzionavano anche per
linguaggi diversi. Certamente mi sono appoggiata agli studi, citandone i passi più
pertinenti, di grandi pensatori come Nelson Goodman, Jorge Luis Prieto, Gérard
Genette, Bruno Latour e Michel Foucault solo per citarne alcuni. I loro studi
contenevano – e contengono – degli strumenti imprescindibili che hanno dato
alimento alla mia tesi e li ho riuniti, accostati, mescolati, confrontati per una ‘teoria
generale dell’autenticità in arte’.

Nell’arte contemporanea esistono delle peculiarità?


Nell’arte contemporanea il concetto di autenticità è determinante per capire allo
stesso tempo il contenuto di un’opera e il valore dell’opera stessa. Perché un
oggetto, apparentemente privo di artisticità, se è di un certo autore – ovvero se ne
porta la firma – acquisisce immense virtù? È la relazione con un nome che dà valore
(estetico ed economico) a una qualsiasi opera? Ecco perché il concetto di autenticità
può far comprendere quello di artisticità, che sovente nel contemporaneo è labile e
mutevole. Se è vero che ‘potevo farlo anch’io’, perché quello fatto da me, ovvero
con il mio nome, non verrebbe esposto alla Biennale e non verrebbe inserito in
ricchissime collezioni?
Capire l’arte contemporanea è capirne i legami con gli autori e quindi intendere cosa
sia l’autenticità. Le molteplici modalità con cui l’arte contemporanea viene prodotta
spesso indagano esse stesse questo argomento: quando per un’opera ci sono più
artisti, quando gli artisti si avvalgono del lavoro di altri e via di questo passo.

Portable Classic –
veduta della mostra presso la Fondazione Prada, Venezia 2015

Cosa ne pensi della mostra-a-tesi di Salvatore Settis nelle due sedi della
Fondazione Prada? Il classico come serialità, la copia portatile… Insomma,
molti si sono stupiti, pensando al Settis generalmente molto rigido su questi
argomenti.
Ho visto le mostre di cui parli. Ovviamente ne sono stata particolarmente
affascinata, dato il mio interesse per l’argomento. In entrambe queste mostre però si
prendeva in considerazione solo marginalmente il tema dell’autenticità, in quanto la
serialità, la ripetizione e la copia in miniatura erano nel passato delle pratiche che
non minavano la relazione tra un’opera e il suo autore, e dunque non
problematizzavano l’autenticità. Diciamo che queste due mostre possono essere
considerate la ‘traduzione’ espositiva del mio secondo capitolo intitolato Artisticità,
antichità, autorialità.
Il punto di vista di Settis sui temi che tratto io era già stato esplicito nell’autunno del
2007 quando furono svelate le Nozze di Cana alla Fondazione Cini, tema a cui dedico
molto spazio nel libro, che gode della firma di Adam Lowe di Factum Arte
nell’introduzione. Settis era presente alla cerimonia di inaugurazione e non perse
l’occasione qualche giorno dopo di scrivere un articolo in cui definiva l’operazione di
Lowe come una “interessante approssimazione” e sarebbe stato necessario, sempre
secondo Settis, mettere i due dipinti uno affianco all’altro per poter davvero
giudicare la somiglianza.
Mi sia permesso di dire che il problema non era quello del riconoscimento delle
differenze (scansione 3d, mille pagine di colours references e stampa non avrebbero
consentito il minimo errore) ma si trattava di affrontare il problema dell’autenticità e
capire quale dei due dipinti la conservava al meglio. Cosa che invece fu fatta da
Bruno Latour nel suo saggio sul “furto di autenticità”. Settis rimproverava poi al
facsimile di eliminare del tutto le possibilità di ritorno a Venezia del dipinto ora al
Louvre, un ritorno promesso da decenni. Ma anche in questo si sbagliava: i tagli e il
trasporto in nave del 1797 avevano costretto i restauratori francesi a ‘stirare’
le Nozze di Cana, che ora non rientrerebbero fisicamente nello spazio della parete
per la quale era stato pensato.

Torniamo alle mostre da Prada…


Le opere erano appositamente esposte enfatizzando la diversità di misura delle
copie rispetto gli originali. La legge sul diritto d’autore prevede che se una copia è
fatta con misure diverse non sia considerata una contraffazione e quindi non sia
legalmente punibile.
L’approccio storico di Settis però mette in luce un aspetto al quale bisognerebbe
dedicare più spazio: quello della realizzazione di copie che consentono di usufruire in
futuro delle opere a rischio di estinzione. Tema tra l’altro molto caldo dopo i fatti di
Palmira o dei Buddha di Bamiyan. Può essere anche un semplice metodo di
archiviazione di informazioni ma il digitale, con i grandi progressi della tecnologia,
può salvare la cultura e la conoscenza del patrimonio mondiale con mezzi di
veridicità fino a poco tempo fa impensabili.

A sinistra la foto
originale di Patrick Cariou, a detra la rielaborazione di Richard Prince

Parliamo di autorialità. Anche qui il discorso è complicato, specie nella


contemporaneità. E così nascono i casi Giacometti vs Baldessari, e
poi Richard Prince, e ancora la diatriba suSanguinetti e l’Internazionale
Situazionista. Chiaramente ci sono due strade parallele, quella del diritto
d’autore e quella della storia dell’arte. Ma in tutto questo, come si deve
muovere un perito? E il curatore di una mostra?
Nel contemporaneo l’autorialità è uno dei temi sui quali l’arte stessa riflette
attraverso le sue opere. Ho dedicato un capitolo alla firma come dispositivo di
riconoscimento assolutamente falsabile e alle competenze dei falsari di gran lunga
più avveduti dei periti. Molto spesso i restauratori diventano falsari perché le
competenze che vengono loro richieste sono le medesime e le opportunità di
guadagno decisamente superiori. Questo lo insegna la storia. Il perito che abbia una
sterminata conoscenza di un autore e delle sue tecniche avrà sempre le dita
incrociate dietro la schiena quando dichiara la paternità di un’opera, nonostante
l’aiuto che gli può venire dai cataloghi, dalle mostre, dal pedigree dell’autore.
Il curatore ha le stesse armi e quindi alti rischi, soprattutto se deve curare mostre di
artisti particolarmente sensibili come Giorgio de Chirico o come di recente a Treviso
per El Greco o se si tratta di artisti che per primi hanno messo in discussione la loro
relazione con l’opera. Ho deliberatamente evitato di fare del mio libro un manuale
d’uso per esperti, anche se in alcuni punti mi sono divertita a citare i manuali che nel
passato sono stati prodotti. Ho indagato i metodi, il fare persuasivo dei falsari e il
fare dimostrativo dei periti mettendo a confronto le loro competenze.
Quello che però mi interessava di più era capire perché oggi l’autenticità abbia molta
importanza e come nel contemporaneo questa riflessione teorica sia fondamentale
per capire l’arte in generale.

Facciamo un altro esempio: la riproduzione del Caravaggio a Palermo, che ha


suscitato qualche polemica. Cosa ne pensi in generale delle copie ad alta
definizione? Perché pure qui ci sono molti elementi in gioco: la deperibilità di
molte opere originali (penso a Lascaux), il romanticismo dell’aura…
Penso che l’arte vada affrontata con i canoni che richiede. Se nell’Ottocento
l’apprezzamento di un’opera era dato da alcune quasi elementari tecniche di lettura,
dopo le avanguardie i canoni di interpretazione hanno avuto il dovere di cambiare.
Per un lungo momento si è parlato di morte dell’arte, ma credo che allora ci si
sarebbe dovuti riferire alla morte della comprensione dell’arte. Spesso sostengo che
l’arte contemporanea non sia democratica e che sia necessario essere preparati per
affrontarla al meglio. Adeguare gli strumenti di lettura è indispensabile e confondere
la bontà estetica di un lavoro con l’amore feticistico per l’originale è oggi fuorviante.
La Factum Arte a Palermo ha reso visibile ciò che prima non era se non per pochi
privilegiati e ha indiscutibilmente contribuito alla storia dell’arte perché nelle sue
ricerche meticolose e approfondite, con i suoi sistemi di scansione e analisi, ha
arricchito il nostro patrimonio culturale con nuove informazioni sul modo di lavorare
di Caravaggio (così come aveva fatto per Veronese), sulla sua tecnica di stendere le
velature, di creare strati di colore per le sue mirabili ombre e luci in contrasto.
A mio avviso, dato l’approccio scientifico che mi sono imposta a scapito di quello
feticistico, i facsimili possono salvare e arricchire la nostra cultura storico artistica.
Addirittura, in taluni casi gli originali non possono che ergersi a parametro per copie
che possono essere addirittura migliori degli originali i quali, a volte, possono
perdere i loro privilegi. Lascaux ne è un caso esemplare e nel libro sottolineo che
senza la copia oggi non sapremmo nemmeno cosa sia dipinto nella Sistina
dell’antichità. Quando nel 1955 Georges Bataille scriveva il suo La peinture
préhistorique. Lascaux ou la naissance de l’art, le pitture non avevano ancora dato
nessun segnale di pericolo, infatti, lo stupore che spingeva il filosofo francese a
scrivere questo bellissimo libro era determinato dal fatto che i dipinti parietali
parevano immuni dallo scorrere del tempo. Ma sappiamo bene che non andò così. La
digitalizzazione è un ponte creato nel presente per unire il passato con il futuro
superando il contingente e l’individuale ma anche in grado di redarguire i nostalgici
o i feticisti verso la diffusione del sapere nella sua forma più democratica possibile.
L’aura? Non posso non rispondere citando Nelson Goodman quando suggeriva di
salutare questo concetto così flou con un bel “aura-voir”!

Chiara Casarin –
L’autenticità nell’arte contemporanea – ZeL Edizioni

Ultima questione: quale consiglio daresti a un collezionista che volesse


acquistare un’opera composta da materiali deperibili? Avrai assistito anche
tu in questi anni a cambiamenti di frutta e post-it, candele e neon… Basta la
firma, e l’autorialità garantisce in automatico l’autenticità, anche nei casi in
cui materialmente l’opera non è più quella originaria?
Il nodo concettuale è sempre la ‘sostituzione’. Se in un restauro si può parlare entro
certi limiti di sostituzione di alcune parti, nel caso dell’arte contemporanea – fatta di
frutta, di verdura, di escrementi… – si può parlare di sostituzione di tutte le parti al
fine di preservarne la forma? Nel libro cito per iniziare l’argomento il caso di Jeff
Koons e dell’opera Three balls 50/50 tank esposta al MoMA di New York. Si tratta di
palloni immersi in un acquario di cui, a un certo punto, uno si sgonfia. Il panico dei
curatori viene presto sedato dall’artista stesso che, informato sull’accaduto,
risponde: “Nessun problema. Scendo qui da Adidas, ne compro un altro e ve lo
mando”. In questo caso fu sostituito un pezzo dell’opera, essa fu quindi restaurata.
Nel 1985 la Sfera Grande di Pomodoro fu dichiarata ‘non restaurabile’ e si procedette
a una nuova fusione in bronzo. Qui, la sostituzione fu completa.
Possiamo dunque dire che la sostituzione sia il caso limite del restauro e che questo
caso limite sia frequentemente indagato dagli artisti contemporanei nella
realizzazione e nella ‘riparazione’ delle loro opere. Pensiamo ad esempio alle opere
di Beuys, alle caramelle di Gonzales Torres, al ghiaccio di Kaprow o all’insalata di
Anselmo. In questo caso l’unicità – e quindi l’idea di autenticità – non sta nel
materiale che compone l’opera, né in parte, né nel tutto, ma sta nell’ideazione e
nella progettazione complessiva dell’opera stessa, deperibilità compresa.
Ecco quindi che un compratore, per mantenere vivi i brani della sua collezione, è
tenuto, a volte anche da un contratto, a sostituire con una certa regolarità le parti
deteriorabili in modo tale da mantenere sempre viva la realizzazione dell’opera.
L’artista conosce perfettamente la durata dei materiali da lui usati e può essere
insito nella sua poetica il desiderio che questi a un certo punto vengano meno. In tal
caso il collezionista deve essere consapevole di aver acquistato un’opera che a un
certo momento dovrà necessariamente sparire. Molti, in questi casi, si armano di
documenti: foto, disegni preparatori, video e si assicurano di farsi apporre delle
dediche autografe su ciascuno di questi documenti. Ma questi non sono l’opera, così
come non lo è uno spartito se non viene suonato.
Se in passato al restauratore era chiesto di conoscere i materiali usati dagli artisti,
padroneggiarne le tecniche e intervenire nei limiti della restituzione della
funzionalità dell’opera, nel contemporaneo il restauratore deve penetrare
profondamente nell’universo intellettuale e nella filosofia degli artisti cercando di
non alterare mai, non solo l’opera, ma anche la durata prevista dell’originale.

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