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RECENSIONI

Remotti, Francesco ritagliandole come figure dallo sfondo. E


L’ossessione identitaria non si tratta di un’operazione che ha luogo
dopo l’istituzione dei soggetti (ri-conosco
Roma-Bari, Laterza, 2010, 152 pp. una identità già data); contribuisce alla
loro formazione. Confondere una serie di
Entrato nel lessico di senso comune e pure processi intersoggettivi con delle identità
nel linguaggio politico e gornalistico, il sostanziali destinate a perdurare e contras-
concetto di identità è oggi avvolto da un’eu- segnate dalla compattezza interna, è allora
foria generalizzata. Come mostra Francesco una forma di reificazione e occultamento
Remotti, tuttavia, non si tratta affatto di un della circostanza che l’identità è prodotta,
concetto ovvio e scontato, tanto meno paci- e rinvia ad una molteplicità di affiliazioni
fico. In un libro che unisce alcuni saggi pub- (dalla famiglia al vicinato, dal gruppo spor-
blicati in precedenza con degli interventi e tivo al partito, dalla cerchia di amici alla
delle relazioni inedite, Remotti critica l’im- comunità religiosa – sono innumerevoli
piego superficiale e troppo disinvolto del i «noi» cui ciascuno appartiene). Quella
concetto di identità, un impiego miope nei appena messa in luce non rappresenta
confronti del suo subdolo condizionamento solamente una fallacia epistemologica.
teorico e delle sue perniciose implicazioni Quest’ultima può rovesciarsi in una forma
socio-politiche. Un esempio sintomatico di chiusura, in una strategia di iper-difesa,
di questo (ab)uso è reperibile nel varo di per dirla con Remotti: l’investimento di
una collana editoriale dedicata a L’identità identità su un io o un noi stabilisce infatti
italiana: pur ammettendo l’esistenza di una confini invalicabili. Di più: se si ammette
fase formativa caratterizzata da un divenire l’esistenza di un identità già data, scatta
e da una molteplicità di influssi – una fase in l’adozione di un atteggiamento di fedeltà
cui l’identità italiana ancora «non c’era» – chi custodialistica. E così dalla preoccupazio-
presenta la collana si concentra sulla fase ne per la propria intregrità (e purezza) si
dell’essere (la fase in cui l’identità italiana passa a una concezione dell’altro come
c’è), finendo surrettiziamente per asservire nemico. Negando i presupposti hegeliani
la storia all’identità. E così, per dirla con dell’identità, si vive ogni scambio come
Wittgenstein, lo storico si fa mitologo. intollerabile minaccia e contaminazione,
L’appello all’identità, così come l’in- dimenticando quanto sottolineato da Odo
vito al suo «recupero» o le sue esasperanti Marquard, e cioè che la diversità è un di-
richieste, si basano su un fondamentale ritto: si condivide il diritto alla differenza,
fraintendimento epistemologico: l’identità non la differenza. In questa maniera, dalla
non è una proprietà incapsulata in me, difesa, si passa all’offesa. La dissoluzione
né un’affermazione del soggetto davanti dell’altro, ossia la soluzione finale (la sua
agli altri, quanto un attributo che emerge eliminazione definitiva) è secondo Remotti
fra noi, in un ambito di reciproca esposi- la conclusione – l’esito mortale – contenu-
zione generato dall’interazione. L’identità to fin dal principio nella logica dell’iden-
va pensata non come uno sguardo che tità (pp. 98-99). Il ricorso all’identità ha
io o noi (comunisti, italiani, europei), in insomma gravi conseguenze istituzionali.
solitudine e autonomia, rivolgiamo sulla Come suggeriscono recenti programmi di
nostra cultura e sulla nostra storia, secon- assimilazione o annullamento dell’alterità
do una concezione insulare. Al contrario, (la percentuale di «non italiani» ammessi
implica interazione e riconoscimento, nella scuola, l’operazione white christmas
e quando parliamo di riconoscimento nell’Italia del nord), la logica identitaria
parliamo sempre di una relazione entro comporta un’inesorabile partizione fra noi
soggetti (in fondo cosa è l’esogamia se e gli altri. Di qui alla divisione coloniale
non l’ammissione che per riprodurci delle etnie e all’entificazione astorica delle
abbiamo bisogno dell’intervento e della culture, osserva Remotti, il passo è breve
cooperazione dell’altro?). È proprio il (p. 8). Imponendo schemi semplificati
riconoscimento a far emergere identità e considerando ogni processo culturale
dal flusso delle relazioni e degli eventi, come volto a salvaguardare un presunto

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STUDI CULTURALI - ANNO VII, N. 2, AGOSTO 2010


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nucleo identitario permanente, l’accop- ferenza di quella delle creature angeliche, è


piamento del concetto di cultura a quello legata alla messa in circolazione dei corpi,
di identità comporta un irrigidimento e che ciascuno di noi vede e da cui è visto –
persino impoverimento culturale. che sente e tocca e da cui è sentito e toccato.
Ora, Remotti sa bene che non basta E questa differenziazione ha qualcosa di
condannare l’identità, bisogna capire insuperabile: nessun altro può pretendere
perché vi si fa ricorso. Piuttosto che porsi di essere me, esporsi per me, al posto mio;
direttamente domande fatidiche (chi siamo? proprio per questo sono insostituibile. Ci si
Da dove veniamo?), si tratta di mostrare il può toccare, stringere, penetrare, ma la leg-
legame genealogico fra situazioni storiche ge del tatto è la separazione delle superfici,
e concetti. In un periodo di incertezza e l’intervallo fra le persone non può essere
e precarietà dei saperi e delle istituzioni colmato. Se i corpi non si distinguessero,
(questo Remotti non lo dice), emergono le peraltro, non saremmo nemmeno degli
rivendicazioni identitarie, come se l’identità individui, ma dei «dividui». Sta qui la più
facesse da attrattore per esigenze di stabi- fondamentale, ontologica, condizione di
lizzazione, unificazione e coerenza. Il libro possibilità di esistere, di esserci. La stessa
di Remotti prende però un’altra direzione, identità personale si basa sulla legge «un
esortandoci ad affrancarci dall’identità: corpo, un’identità».
non solo allentare la presa che esercita Certo, le identità sono costruite, e in
su di noi, facendone una critica interna, quanto costruite, sono anche contingenti;
ma sbarazzarsene. È condivisibile questo lo sono in senso anzitutto modale: avreb-
esito? A parte il fatto che, come ha sugge- bero potuto essere altrimenti (non sono
rito Wittgenstein, non possiamo inibire la necessarie). Non sono però arbitrarie. Tanto
circolazione di un concetto semplicemente è che, una volta assegnate e accettate, non
interdicendone l’uso, così come non si posso cambiarle o farle sparire semplice-
può inventare un linguaggio ex novo (il mente desiderandolo, così come non posso
detto wittgensteiniano «una figura ci tiene decidere a piacere se un pezzetto di carta ha
prigionieri», Ricerche filosofiche § 115, è valore di banconota. Provate a comprare il
stato erroneamente interpretato sul model- giornale con i soldi del Monopoli e vedrete
lo della falsa coscienza, come una cecità cosa succede. Anche se sì, in un certo senso
che possa essere facilmente sradicata. Ma l’identità è solamente un battesimo riuscito,
l’aforisma di Wittgenstein continua: «e non il processo di costruzione di un’identità
possiamo uscire da essa, perché è incardi- non è così semplice, ha diversi presuppo-
nata nel linguaggio, che sembra ripetercela sti, e non ogni tentativo riesce. La tesi del
ossessivamente»). Il punto essenziale è che carattere finzionale dell’identità, pertanto,
Remotti insiste unilateralmente sullo statuto si ridimensiona.
meramente illusorio dell’identità (pp. 117- Remotti insiste pure sul fatto che, in
118). Le identità «non fanno letteralmente quanto concetto astratto e non esperibile,
nulla: sono mere invenzioni» (p. 121), dun- l’identità non c’è. Se è per questo neppure
que il loro piano è quello delle ideologie, i ruoli, l’adolescenza o la fede «ci sono».
qualcosa che (a differenza dei «noi») resta La questione cruciale, tuttavia, è un altra:
«nel regno dei sogni, dei miraggi, delle l’identità è precisamente una categoria
illusioni, delle allucinazioni, degli incubi» astratta e intangibile – un codice – attribu-
(p. 121). ita per rendere conto di una condotta nel
Ma l’identità non è solo illusoria. tempo, e tuttavia qualcosa di concreto e
Benché non discenda su di noi per nascita tangibile diventa per suo tramite accessi-
e il suo contenuto si delinei interagendo bile: le relazioni interpersonali di mutuo
con gli altri, di fatto non assumiamo un riconoscimento (e le risorse che ne deri-
numero indefinito di forme alternative. La vano). Di più: identificare e definire, ossia
nostra singolarità, peraltro, è già iscritta tracciare confini, cercare la distinguibilità
nell’organismo fisiologico, nel senso che (non ontologica ma epistemica, ossia la de-
io sono anche il mio metabolismo, il mio finibilità), sono operazioni indispensabili.
odore, la mia pelle. Siamo esseri incorpo- La denominazione, il dire di un evento che è
rati, quindi immediatamente trasposti nel o non è una certa cosa (dunque il definirlo),
regno dell’apparenza, dove ci manifestiamo è una delle operazioni più importanti della
gli uni agli altri. La condizione umana, a dif- riproduzione sociale. Prima ancora dell’ap-

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prezzamento di un gesto, servono i nomi nell’alterità, ossia la dissoluzione del sog-


per definire quel gesto, le categorie per getto (p. xxiv). Marcata da buone intenzioni
sapere con cosa ho a che fare. Ci servono pare pure l’esortazione a produrre spazi
i riferimenti che permettono di assimilare dialogici in cui sperimentare cooperativa-
tale gesto, di fare in modo che quegli atti si mente nuove forme di convivenza basate
condensino in un pattern duraturo, e possa- su una cultura relazionale (piuttosto che
no essere interpretati come il formarsi di un rivendicazioni perentorie di identità). Essa
tipo di soggetto. Di qui l’imprescindibilità non tiene però sufficientemente conto di
del riconoscimento, inteso come designa- quella carica di differimento e alterazione
zione identitaria. Riconoscere, in fondo, contenuta in ogni interazione. Negli spazi
significa circoscrivere qualcuno o qualcosa, collettivi e nei «noi» vi è non solo e non tanto
e significa stabilizzare la sua immagine, in sensibilità e supporto, cortesia e mutualità,
modo tale che questa diventi uno schema ma pure interferenza, agonismo, desiderio
che trascende la singolarità e temporaneità di supremazia nel definire la situazione.
della percezione. Connettiamo un insieme Perché mai la molteplicità e frammentazione
di atti ad un corpo fisico, ascriviamo un’uni- dei processi sociali – il carattere disgiuntivo di
tà ad una serie di atti che si sono realizzati in ogni pluralità – viene evocato per decostruire
tempi diversi, selezionando le somiglianze l’identità ma rimosso quando si parla di
che permettono di instaurare un ordine spazi dialogici e cultura della relazione?
cognitivo delle differenze. Pensata non
più come natura interna da scovare ma Davide Sparti
come continuità relativa della funzione
identificante del riconoscimento, l’identità
diventa l’effetto retroattivo – il precipita-
to – di un’imputazione, l’imputazione del Brighenti, Andrea Mubi
riferimento durevole che permette ad un Territori migranti
osservatore di attribuire significato ad un Spazio e controllo della mobilità
certo agire. D’altronde noi non incontriamo
«soggetti» in quanto tali, non definiti dalla globale
relazione in cui sono posti, e dall’azione Verona, ombre corte, 2009, 186 pp.
che compiono. Ne consegue che l’unità di
analisi delle scienze sociali consiste proprio L’insieme dei fenomeni che siamo abituati
nel ricostruire quelle situazioni nelle quali si a chiamare «migrazioni» viene generalmente
definiscono le identità dei soggetti d’azione. inserito all’interno di una prospettiva che
È vero che vi sono molte cerchie sociali che privilegia la loro dimensione lavorativa e
non sanno che farsene di una (presunta) l’inquadramento nazionale. Per la maggior
essenza permanente, ma l’identità quale parte delle analisi, l’oggetto è dunque ca-
categoria è molto più interessante e prezio- ratterizzato da forze lavorative che lasciano
sa di quel concetto di identità sostanziale alcuni, specifici, spazi nazionali per appro-
talvolta reclamato dagli attori sociali e che dare verso altri, altrettanto noti. Nella storia
Remotti ha di mira. In definitiva, se con- di questo campo di analisi si sono dunque
dividiamo la battaglia contro l’ossessione succeduti e sedimentati diversi modi di
culturale nei confronti dell’identità, non raccontare questi spostamenti, istituendo
condividiamo quella nei confronti dell’os- un lessico ad hoc divenuto rapidamente di
sessione epistemologica. senso comune. Emigrato, immigrato, lavo-
Veniamo infine alla pars construens ratore ospite, extracomunitario, clandesti-
del testo di Remotti. L’appello al «noi» come no, nomade, sono tutti concetti che danno
concetto più fondamentale di quello di la misura di questa prospettiva.
identità è corretto ma anche vago e insuf- Cosa succede però se i pilastri di
ficiente (quando emerge un noi? In virtù questo ragionamento vengono messi in
di quali operazioni? Come si spiega la rela- discussione? In particolare, cosa accade se
zione fra i diversi noi che ciascuno singolo i concetti di integrazione, territorio e diritto
è?), così come generico appare l’invito a vengono sottoposti a una critica serrata e
evitare i due estremi della mummificazione analizzati alla luce delle nuove teorie che
identitaria (un’impossibile esclusione del provengono dagli studi su globalizzazione,
tempo e degli altri), e della dispersione transnazionalismo e pluralismo giuridico?

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Questo è l’obiettivo ambizioso e proficuo abitano in maniera così sorprendentemente


che si è posto Andrea Mubi Brighenti nel innovativa che la nozione stessa di «cultura
proprio contributo e che lo ha portato a nazionale» o di «identità nazionale» perde
teorizzare l’esistenza di «territori migranti». ogni significato.
Il volume è composto da tre capitoli, Gli stati e gli organismi sovra-nazionali
dedicati appunto ai temi dei territori, del- reagiscono a questo insieme di forze cen-
la mobilità e dei tentativi di regolazione trifughe spingendo sull’acceleratore della
giuridica delle migrazioni e si pone ad produttività normativa, aumentando le
un livello intermedio tra la speculazione definizioni, ampliando le regole, istituendo
teorica e l’analisi di casi empirici. L’argo- sempre maggiori controlli. In questo senso
mento generale può essere così riassunto: mostrano in continuazione la propria de-
il problema che i migranti sembrano porre, bolezza e sostanziale incapacità di inqua-
tanto i contemporanei quanto i moderni, dramento del fenomeno, se è vero che uno
è quello della loro integrazione al livello degli effetti perversi di questo processo è
dello spazio politico che per definizione li la progressiva criminalizzazione delle mi-
ospita, cioè lo stato-nazione. Questa entità grazioni contemporanee e la creazione di
ha «per natura» il compito di costituirsi in un «una sorta di territorio parallelo che coesiste
territorio e di assicurarne il controllo, attra- fianco a fianco con il discorso ufficiale sulla
verso la definizione di confini e di norme regolazione» (p. 141).
valide all’interno di esso e vincolanti per i Il libro di Brighenti si presenta dunque
propri membri, siano essi sudditi o cittadini, come una preziosa messa in luce dei nessi
come già aveva mostrato Giovanna Zincone tra mobilità, formazione di spazi sociali e
in passato. L’integrazione è dunque questo politici e emersione di apparati normativo-
«ticket» che viene richiesto al nuovo entrato discorsivi strumentali all’inquadramento di
e costituisce da sempre un nervo scoperto questi fenomeni. Come è talvolta il caso
per ogni società, dal momento che implica di questo tipo di approcci, adombrati da
l’esplicitazione dei criteri che sovrintende- una sorta di pessimismo della ragione,
rebbero allo «stare assieme» di una popola- non viene sottolineato sufficientemente
zione definita come «autoctona». In un certo il potenziale «positivo» dell’informalità e
senso, l’integrazione obbliga prima di tutto persino dell’illegalità del proprio status, te-
i membri «interni» a definirsi in quanto au- stimoniato in questo contributo dall’assenza
toctoni e a mettere da parte, fino a negare, di riferimenti, ad esempio, alle prospettive
le proprie differenze interne e i cleavages francesi di Michel Peraldi e Alain Tarrius
che hanno storicamente prodotto questo che si fondano precisamente sull’osser-
«stare assieme» con il fine di rivolgersi agli vazione degli spazi di opportunità aperti
stranieri in maniera non ambigua e normati- dalla costruzione di confini e di norme. Ma
va. Il problema però sorge nel momento in si tratta, a parere di chi scrive, di una pecca
cui gli spazi nazionali, e le relative pretese minore. Il libro è solido, ben documentato e
integrative, non riescono a far fronte sia ad ricco. Speriamo consenta agli specialisti dei
«attori non-territoriali» (p. 43) che a spazi fenomeni migratori di dislocare il proprio
disseminati. Se prendiamo come esempio sguardo e produrre quella significativa ster-
il caso ex-Jugoslavo, cogliamo rapidamente zata necessaria a toglierli dal vicolo cieco
il nesso che esiste tra il collasso di spazi dell’integrazione nazionale.
nazionali e il governo delle proprie popo-
lazioni che diventano da un giorno all’altro Giovanni Semi
apolidi, residenti all’estero, o soggette a
forme di tribalizzazione come nel caso della
loro riduzione ad «etnie». Non solo, dun- Pedretti, Roberto e Vivan, Itala
que, l’idea di un territorio in quanto spazio Dalla Lambretta allo skateboard
politico fisso ed immobile segna il passo
verso altre nozioni più fluide, segnate da Teoria e storia delle sottoculture
deterritorializzazioni e riterritorializzazioni, giovanili britanniche (1950-2000)
ma gli stessi attori nazionali si scoprono mo- Milano, Unicopli, 2009, 218 pp.
bili e fluidi essi stessi. Addirittura, si inizia
a cogliere la capacità di questi soggetti di È piuttosto strano che in Italia non sia an-
plasmare la propria cultura e gli spazi che cora uscito un volume organico centrato

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sulla storia e le teorie delle sottoculture anche una grande e spettacolare avventura
giovanili. Ma forse questo inizio di re- estetica.
censione non è corretto, o almeno non La chiave di lettura estetica, legata allo
è onesto. Per almeno due motivi. Primo, spettacolo delle sottoculture, viene offerta
perché non è poi così strano, almeno a sin dalla prima pagina del volume, dove,
giudicare dalla tiepida accoglienza riser- nell’introdurre il lavoro, Itala Vivan comin-
vata nel nostro paese agli Studi Culturali cia con un ricordo personale: l’incontro con
(la prospettiva che ha aperto a questo tipo i primi punk che si aggiravano nella Londra
di interesse scientifico), almeno fino agli degli anni settanta, che apparvero all’autrice
anni più recenti. Secondo, perché è pro- «come una meravigliosa visione, l’incedere
prio un volume di questo tipo che stiamo trasognato e altero, il distacco che super-
presentando. È più corretto allora dire che bamente ponevano fra sé e il resto del
non sembra affatto singolare che esca solo mondo da cui intendevano distinguersi» (p.
ora in Italia un primo tentativo sistematico 7). Del resto, continua Itala Vivan, «fu pro-
di delineare una «teoria e storia delle sotto- prio questa straordinaria bellezza, questo
culture giovanili» («britanniche», aggiunge il estetismo spinto, a minare la prima ondata
sottotitolo, ma non è poi del tutto vero che di sottoculture giovanili in Gran Bretagna»
si limiti esclusivamente a quelle), visto che (ibidem), anche se poi è difficile non tro-
gli Studi Culturali sono stati sdoganati nel vare affascinanti i «traceur contemporanei
nostro paese solo di recente, e che proprio che marcano mappe immaginarie nei terri-
uno dei loro cavalli di battaglia, lo studio tori urbani percorrendo e segnando con il
appunto delle sottoculture giovanili, non corpo il mondo intero» (ibidem). Insomma,
aveva ancora ricevuto quell’attenzione che si riconosce l’importanza della dimensione
probabilmente avrebbe meritato. Il libro di estetica all’interno dei «rituali di resistenza»
Roberto Pedretti e Itala Vivan si propone delle sottoculture «storiche», anche se poi
di riparare a questo ritardo e di colmare tale dimensione diviene secondaria nelle
questo vuoto, disegnando un affresco epoche successive, per poi riapparire infine
storico-teorico che va, come promette il nell’epoca più vicina a noi.
titolo, Dalla Lambretta allo skateboard, e E, a proposito di questo, vanno rico-
quindi da uno dei principali oggetti-culto nosciuti agli autori almeno due importanti
della sottocultura dei Mods, la Lambretta meriti. Il primo è quello di mostrare come
appunto, allo skateboard, con il quale i la storia non solo dei movimenti sottocul-
giovani di tutto il mondo «rompono gli turali giovanili, ma anche delle teorie che
schemi architettonici e urbanistici domi- li hanno studiati, non sia affatto lineare,
nanti e impongono una guerra semiotica sul ma sia al contrario «ritmata» da approcci
significato dell’organizzazione degli spazi e prospettive spesso in contrasto tra loro
della città moderna» (p. 181). (dalla visione «romantica», e spesso tacciata
Il volume è leggibile a vari livelli e in di certo populismo, della Scuola di Birming-
varie modalità. Ne proponiamo qui alme- ham fino al paradigma post-sottoculturale,
no due. Può essere considerato una sorta dove le sottoculture vengono considerate
di «manuale» dei cultural studies, almeno non vittime della società dello spettacolo
per quanto riguarda la loro branca dei e dei media ma, anzi, loro conniventi).
subcultural studies, ma può anche essere Il secondo è quello di sottolineare l’im-
considerato come un affascinante racconto, portanza della dimensione corporea nei
qualcosa di molto simile a un «romanzo codici e nelle estetiche delle sottoculture
storico» (interessa quasi tutta la seconda contemporanee, almeno di quelle più
metà del secolo scorso, e arriva fino alla direttamente legate a pratiche fisiche ai
nostra più recente attualità), un romanzo limiti dello «sport estremo». Dai surfers agli
che ci racconta la storia – le storie – di skaters, fino ai contemporanei praticanti del
gruppi di ragazzi e dei loro riti, più o meno parkour, l’elemento decisivo per cogliere
«resistenti». È una storia che attraversa riven- i nuovi «rituali resistenti» è proprio quello
dicazioni sociali – anche qui, più o meno del corpo, che diviene forse la vera posta in
consapevoli –, politiche, ma gran parte del gioco della riappropriazione di spazi e luo-
fascino di questo «romanzo di formazione» ghi della metropoli contemporanea. È un
è dovuta alla continua consapevolezza (pur merito del libro sottolineare questo aspetto,
sempre critica) che l’oggetto del racconto è perché si tratta del primo tentativo sistema-

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tico (almeno nella letteratura italiana) di stratificato anche all’interno delle stesse sot-
mettere in relazione in maniera originale e toculture giovanili, alle quali viene inoltre
convincente la dimensione corporea (e la riconosciuto lo statuto di «culture del gusto»,
stessa sociologia del corpo) con lo studio prodotte e riprodotte soprattutto attraverso
delle sottoculture giovanili. (e non contro) i media.
In un libro che restituisce la storia All’interno di queste culture del gusto
complessa e contraddittoria di movimenti giovanili circola ad esempio quello che
che vanno dai teddy boys ai mods e ai Sarah Thornton, a partire dal concetto di
punk, dai rudies al reggae, dai ravers agli capitale culturale di Bourdieu, chiama «ca-
emo per arrivare infine agli skaters e ai pitale sottoculturale»: ed è innegabile che,
traceur, l’aspetto forse più difficile è quello in un’epoca dove la pervasività dei media
non solo di contenere tale complessità (e, in nella vita sociale è un dato che preesiste
questo, gli autori riescono perfettamente), addirittura ai contenuti stessi dei media,
ma anche – forse soprattutto – quello di non si può parlare di «culture primitive pre-
mantenere la giusta distanza critica rispetto mediatiche». Le stesse storie della stampa
all’oggetto di studio. E, in questo, si scorge (e della televisione) scandalistica che, se-
in più di una parte del libro una certa diffi- condo ad esempio un autore classico come
coltà a prendere o a (voler) mantenere tale Hebdige, servivano a «normalizzare» le sot-
distanza, tanto che anche per le sottoculture toculture giovanili sovversive e «scomode»,
sportive spettacolari più vicine a noi viene non fanno altro, al contrario, che legittimare
riproposta l’interpretazione un po’ roman- e autenticare queste identità culturali: come
tica del «capitale corporeo resistente» che dice la Thornton, i commenti spregiativi dei
viene poi «addomesticato» e «normalizzato» media non sono il verdetto, ma l’essenza
dall’industria culturale. Non sarà, invece, della loro resistenza – e della loro esisten-
che proprio grazie ai media e all’industria za, potremmo aggiungere. In definitiva, il
dello spettacolo le nuove sottoculture na- rapporto tra identità culturali giovanili e
scono e prosperano nell’immaginario con- sistema dei media è caratterizzato non solo
temporaneo? La «connivenza» tra gli autori da una notevole complessità, ma anche da
e questa supposta «purezza originaria» delle una sostanziale connivenza tra «giovani» e
sottoculture non tende forse a sottovalutare industria culturale, soprattutto adesso con
la «connivenza» (anche questa originaria, e le nuove tecnologie dell’informazione e
non posteriore) tra le sottoculture e quelle della comunicazione.
dinamiche di spettacolarizzazione e merci- Del resto, a considerare meno «in-
ficazione che sembrerebbero essere sempre nocenti» e «puri» i giovani impegnati nelle
lì in agguato per appiattirle e omologarle? loro pratiche sottoculturali non si fa loro un
Ora, è chiaro che la vulgata della «purezza gran torto: belli, magari, vista l’importanza
perduta» delle sottoculture originarie ha attribuita al capitale fisico. Ma pur sempre
un che di fascinoso e di seducente, ma pur «sporchi e cattivi».
dando debito conto, nel corso del volume,
di prospettive diverse che hanno messo Federico Boni
seriamente in discussione tale narrazione,
nel momento in cui si presentano i nuovi
modelli sottoculturali giovanili tali letture
alternative vengono lasciate da parte per Lupano, Mario e Vaccari, Alessandra
sposare quelle più tradizionali, evocative (a cura di)
certo, ma forse un po’ troppo romanzate.
Del resto, come si è detto, nel volume Una giornata moderna
la prospettiva dei post-subcultural studies Moda e stili nell’Italia fascista
viene presentata, e anche in maniera esau- Bologna, Damiani, 2009, 400 pp.
stiva. Gli autori sottolineano come la stessa
contrapposizione manichea tra sistema Quello curato da Mario Lupano e Alessan-
dominante (ivi compreso quello dei media, dra Vaccari è ciò che possiamo definire,
naturalmente) e «rifiuto controculturale» con le parole degli stessi autori, un «saggio
da parte dei giovani sia stata da più parti visuale»: una curatissima raccolta iconogra-
(e pesantemente) stemperata in favore del fica, per gran parte inedita, che offre un ap-
riconoscimento di un sistema gerarchico e profondimento scientifico sulle forme della

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moda durante il ventennio. A differenza moda stessa (riviste, pubblicazioni di vario


di quei lavori che utilizzano le immagini genere, allestimenti per sfilate, bozzetti,
a supporto didascalico delle loro tesi, qui manifesti, ecc.) ma anche tecniche visive
il comparto iconografico ha un ruolo di che marginalmente, a livello peritestuale,
ricerca importante, costituendosi in un vero organizzano gli individui in posa nello spa-
e proprio atlante tematico, contestualizzato zio: pensiamo all’esempio del «rendering
da cornici narrative e testi che seppur brevi con figurini», tecnica di fotomontaggio che
riescono ad essere analiticamente molto si diffonde allora fra molti progettisti italiani
densi. Questa particolare scelta è dettata di architettura. Si parla dunque di moda nel
da una metodologia di studio innovativa ventennio ma anche di tutte le rappresenta-
e allo stesso tempo rigorosa. Un modo di zione ad essa legata e che inducono a farla
indagare che costituisce un notevole pre- pensare in un certo modo, ovviamente in
cedente nella via italiana ai visual studies, primis la fotografia, con Luxardo e Riden-
un importante settore di studi sviluppato ti, fotografi che offrono i due paradigmi
soprattutto in ambito anglosassone. dell’epoca, più artefatto l’uno e teso verso
Gli autori partono da una semplice ma un realismo massimalista l’altro. Le tecniche
salda constatazione: «l’ideazione e la diffu- del vestire e le tecniche del vedere si con-
sione di abiti convivono con la creazione tendono il primato della narrazione e in un
di immagini e pratiche culturali» (p. 9). Per certo modo sono indissolubilmente legate,
analizzare questi piani così apparentemen- quasi speculari: l’una crea il corpo, l’altra la
te diversi, viene adottato un metodo che, maniera di guardarlo.
attraverso associazioni, nuove categorie Le macrocategorie semantiche con le
narrative e intersezioni di sfere culturali, quali gli autori organizzano questo atlante
descrive la modernità del ventennio attra- visivo sono quattro: Misura, Modello, Marca,
verso il punto di vista della moda e della Sfilata. Per «Misura» si intendono per lo più
sua pratica, «cercando di individuare nuove le tecniche che permettono di immaginare
relazioni tra le cose». Frase, quest’ultima, il nuovo corpo e il nuovo vestito dell’era
che richiama esplicitamente il metodo fascista. Ma anche, dunque, quelle tecniche
dell’atlante warburghiano, della giustappo- del vedere, di immaginare lo spazio, perce-
sizione di immagini e dell’approfondimento pire l’aderenza dei vestiti ai corpi, l’agilità
delle analogie, delle relazioni fra le forme; delle pose. E così nascono i «Modelli», i tipi
metodo che, in Italia, ha riscosso sempre sociali, determinati in maniera sistemica
una continua attenzione sia filologica che di ma anche eterogenea dall’enorme massa
applicazione analitica. Accanto a ciò viene di pubblicistica prodotta rispetto ai decenni
rievocato il «potere delle immagini» che fa precedenti. Si svela qui una delle tesi forti
pensare a David Freedberg, uno dei recenti del libro: a dispetto della nota avversione
maestri nella rottura degli argini iconologici del regime ai modelli urbani, è proprio la
verso un più attento studio sull’efficacia vita urbana con i suoi orari e i suoi appunta-
del visivo, l’immagine che induce dei com- menti ad essere scandita dalla moda, tant’è
portamenti, instaura dei rituali (una vera e che gli autori ben legittimano l’utilizzo della
propria lettura in chiave antropologica). parola «glamour» associata a quel tempo.
Con questo metodo Una giornata Nasce così il prodotto di «Marca» italiana,
moderna inaugura un nuovo sguardo una versione meno dinamica ma già forte-
sulla moda di epoca fascista, non più vi- mente inventiva e stilisticamente alla base
sta come luogo della costrizione in senso di quello che diventerà il made in Italy degli
antimoderno ma anzi come elemento di anni del boom economico. La sezione de-
mediazione fra fascismo e modernismo. dicata alla «Sfilata» si chiede: come si mette
Moda quindi come motore della modernità in mostra la moda? Quali sono le pratiche
e non più semplice riflesso di un periodo: scenografiche e teatrali della sfilata? Dal
vero e proprio fatto sociale che si impone teatrino di moda di inizio Novecento si
attraverso le rappresentazioni che in qual- passa alla visione simultanea di citazione
che modo invadono il campo del vestire futurista, e, nella sfilata, si individua uno
e delle pratiche ad esso correlato. Si tratta degli archetipi dell’estetica di regime, la
dunque di un lavoro che indaga «il sistema «vocazione generale» del fascismo, cioè l’or-
della moda» non solo in quelle pubblica- ganizzazione delle masse attraverso il ritmo
zioni che sono esplicitamente legate alla continuo di unità ordinate in serie. Queste

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RECENSIONI

macrocategorie narrative fanno della loro queness and separatedness del body politic
intelligibilità una riflessione scientifica sul coloniale. «Terra Australis infirma, raffigura
raccontare lo spirito e gli stili del tempo, fin lo “stato di movimento”, evoca fondamenta
nei suoi interstizi più quotidiani, proponen- acquee, porta in sé il riferimento alla Terra
do alcune cornici interpretative nuove e di nullius: la terra di nessuno, non posseduta,
forte impatto descrittivo. Come ad esempio terra vuota, la premessa incerta che fonda,
quella intitolata «griglie», che giustappone qui, il progetto colonizzatore [...]. La figura
velette di cappelli a sfondi geometrici per dell’isola incornicia l’apparente vacuità e
figurini di moda, o semplicemente griglie verginità dell’interno, conferendole signi-
prospettiche per progetti di arredi interni, ficato e difendendola da quella mostruosa
mettendo in luce, in una continua traduzio- geografia, “Australasia” che minaccia di
ne intersemiotica, una ricorrenza pertinente sovrastarla e inghiottirla. Contro l’inco-
e significativa dell’«impaginazione» moder- noscibile vastità interna ed esterna, l’isola
na. Nonostante il libro parli di modernismo è la forma che definisce e rassicura. [...].
in un periodo rigidamente scandito da due L’atto del territorializzare, mentre evoca la
eventi politici, credo che ci faccia capire che confortante sensazione del legame che ci
quel tipo di modernismo (se forse inizia con unisce, in un infinito temporale, alla terra
il fascismo) non finisce di certo con l’8 set- come fonte di sostentamento, è allo stesso
tembre 1943. In qualche parte, libero dalle tempo un atto di esclusione e di cancella-
grossolane, violente e criminose dettature zione» (ibidem).
del regime, esso darà vita a quella proficua L’insularità naturalizzata – che viene
epoca del design industriale italiano degli avvertita ed esperita attraverso i luoghi
anni cinquanta e sessanta. simbolo della «separazione», l’oceano, le
Certo è che in un volume così organiz- spiagge e la costa – in realtà, manifesta
zato si corre il rischio di sfuggire al giudizio continuamente il proprio carattere fitti-
storico: si parla, ad esempio, della «prima zio, rendendo necessaria una perenne
signora Mussolini», Ida Dalser, come di una ri-asserzione e delimitazione dei suoi
delle pioniere dei saloni di bellezza e si confini. Questa reiterata operazione di
tace che, seppur non certo a causa di ciò, «escissione» produce e riproduce l’imma-
lei sarà una delle prime persone a pagare gine antropologica di una singola identità
duramente il suo privato rifiuto al fascismo. (razziale, geografica, politica) separata
Ma credo anche che un libro di questo tipo dalle altre – quelle «interne» e precedenti,
è pienamente legittimato ad esimersi dal e quelle «esterne», le quali comunicava-
sottolineare le atrocità del fascismo, perché no storicamente tra loro intessendo una
guarda quel tempo da tutt’altro punto di fitta trama di contatti tra Asia, Australia e
vista, evidenziandone la complessità. Pacifico. Fin dalle prime narrazioni colo-
niali della terra australe – riecheggianti la
Luca Acquarelli mooriana Utopia – l’oceano, da luogo di
pratiche alternative, di contatto, di storie
sommerse e di immaginari anti-nazionali
divenne confine, limite, ponte attraversato
Perera, Suvendrini e attraversabile da soggettività pericolose e
Australia and the Insular Imagi- mortifere – catastrofi naturali, conflitti e ne-
nation mici della razza. L’interruzione dell’intenso
rapporto commerciale tra il porto di Ma-
Beaches, Borders, Boats, and kassar nell’odierno Sulawesi in Indonesia
Bodies e le popolazioni aborigene delle coste set-
New York, Palgrave & MacMillian, 2009, 212 pp. tentrionali dell’Australia – la fiorentissima
«Malay Road» – e il tentativo di cancellarne
L’ultimo lavoro di Suvendrini Perera la memoria, furono in tal senso il primo
esplora il significato della forma geogra- passo verso la formalizzazione di un’idea
fica del continente-isola – «entità sovra- di isola-Stato che attraverso la Federazione
stante, unica e chiusa in sé» (p. 2) – nella (1901), l’Immigration Restriction Act, il
rappresentazione contemporanea dello Pacific Islands Labourers Act, la Franchise
Stato-nazione australiano e la funzione che e i Naturalizaion Acts (1901), operava la
essa assume nel naturalizzare l’idea di uni- rimozione dell’Australia dal Pacifico per

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RECENSIONI

riconnetterla alla remota madrepatria o ai soggetto sovrano australiano), e venga


più vicini Stati Uniti (cap. 1). smussata successivamente (p. 99), Perera
La naturalizzazione dell’insularità ricongiunge in modo convincente, attraver-
occulta, dunque, una geografia politica so un’antropologia politica del continente
risultato di violente tecnologie d’ordine e australe, la questione della colonizzazione
atti di localizzazione forzata. Questa terri- interna, o nascita della sovranità e neutra-
torializzazione ha trasformato l’Australia da lizzazione delle constituencies aborigene,
«terra infirma» a «isola di stabilità» circondata e della separazione/egemonia nelle aeree
da un «arco d’instabilità» (p. 107) la cui circostanti. Questa «riconnessione» avviene
pericolosità legittima e riconferma lo stato mediante la ricollocazione geo-politica di
d’eccezione che la fonda. Australia, affer- Australia nel Pacifico e la mappatura delle
ma Perera, sembra muoversi contempora- tensioni che trovano origine proprio nella
neamente come Crusoe, dentro i confini sua volontà d’isolamento («intra-regionalisa-
«insulari», e come Gulliver tra i lillipuziani tion»). Contro queste tensioni, come in una
d’Asia e Pacifico – figure, la prima, colma circolarità tautologica, l’Australia, mentre
di virile e bianca prestanza e capacità di espande la propria egemonia e trasforma
dominio (cap. 6), la seconda piena di ter- l’Indonesia e il Pacifico nel suo backyard
rore e curiosità, sospetto e attrazione nei privato (Kumar Rajaram 2003), si ri-chiude
confronti dei vicini-nemici (cap. 5). Come in se stessa e rafforza l’idea dell’isolamento
Crusoe-Gulliver, Australia produce proces- adducendo l’alto rischio di «instabilità» a cui
si coloniali ed egemonici al suo interno e l’oceano la espone.
tutt’attorno – per garantirsi maggior stabili- Il movimento di chiusura si esprime,
tà, secondo l’ideologia fondativa della fear in termini sia istituzionali sia d’immagina-
of (in)security e della shatter-belt (cap. 5) –, rio popolare, attraverso l’elemento visivo
le cui strategie ed effetti si manifestano sia e simbolico della spiaggia, in cui il «geo-
attraverso l’ingerenza australiana a Timor corpo» australiano, come etero-topo fou-
Est, il bombardamento di Kuta Beach a caultiano (p. 6), trova il proprio elemento
Bali (2002), il regime di controllo dei flussi definitorio. Essa, infatti, sembra fornire al
inaugurato dalla Pacific Solution (2001), le corpo geografico una sorta di coerenza fisica
violenze al quartiere aborigeno di Redfern e culturale: «in un unico continente occupa-
(Sydney, 2001-2004), i casi Tampa (2001), to da un unico stato-nazione, la spiaggia
SIEV X e Minasa Bone (2003) – ossia il è una risorsa e un luogo comune che tiene
tentato approdo e il respingimento delle insieme (contiene) l’idea di Australia, sia
tre barche colme di rifugiati e richiedenti simbolicamente che geograficamente, di
asilo dal Medio Oriente e Sud-est asiatico fronte alla frammentazione della differen-
–, il sistema dei «centri di detenzione» per za razziale ed etnica (culturale)» (p. 40,
migranti e rifugiati instaurato dal preceden- Perera cita Leone Huntsman). La spiaggia
te governo conservatore (John Howard) e condensa in sé gli elementi della geogra-
riconfermato dall’attuale governo laburista fia dell’escissione: Perera fa riferimento
(Kevin Rudd in carica dal 2007), la rivolta all’installazione dell’artista tedesco Gregor
dei «cittadini bianchi» contro gli «invasori» Schneider a Bondi Beach – la spiaggia culto
mediorientali a Cronulla Beach (Sydney di Sydney – 21 Beach Cells (2007), in cui
2005) e l’intervento militare del governo ventuno gabbie di metallo in stile Guanta-
nei Territori del Nord (retti da governi au- namo vennero approntate – con tanto di
tonomi aborigeni) a partire dal 2007. Fatti lettino prendi-sole e cuscino gonfiabile – e
che vengono riepilogati e connessi nei sette rese accessibili al pubblico. In una rievoca-
capitoli di cui il volume si compone. zione dirompente del presente e del pas-
In tale geografia – che è anche «geo- sato dell’isola-continente, i riferimenti allo
grafia razziale» – scrive Perera riprenden- sbarco sulle spiagge di Sydney del capitano
do Bronwen Douglas, «l’unità di razza fu Cook, alla paura dell’invasione, alla storia
sempre più impellente dell’asserzione di dei carcerati fondatori della colonia, ai
sovranità» (p. 30). Per quanto quest’affer- centri di detenzione per i migranti e ai riots
mazione non colga la complementarietà anti-libanesi di Cronulla venivano incro-
e la simultaneità di definizione razziale e ciati riproducendo, nel luogo-simbolo del
fondazione della sovranità coloniale settler ludibrio, della socialità e delle domeniche
(la razza è in sé caratteristica intrinseca del in famiglia, l’antropologia politica del geo-

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RECENSIONI

corpo Australia. Nell’ultimo capitolo sono dualizzati attraverso personali attribuzioni


la famosa fotografia di Max Dupain Form at affettive, contraddicono la propria funzione
Bondi (1939) e il poema Hydrotherapy di utilitaristica e ne confermano quella simbo-
Andrew Taylor (1995) a servire da binario lica. È secondo questa logica, infatti, che i
all’analisi di Perera: «the beach is presented manufatti vengono presentati come cose
as the everyday locus of Australian life, of che creano legami, oggetti artigianali alla
what it means to be Australian», il luogo cui fabbricazione i soggetti proprietari non
dove la gerarchia prodotta dalla territoria- hanno mai preso parte, ma l’ombra della
lizzazione diviene, in effetti, evidente; dove mano che li ha costruiti sembra capace di
«essere libanese è solo meglio dell’essere estendersi per generazioni, rafforzando la
aborigeno». propria carica affettiva a ogni cessione o
passaggio di custodia; ecco che i maglioni
Gaia Giuliani fatti a mano dalle mamme, o le lenzuola
ricamate dalle nonne, diventano la garanzia
di un contatto diretto con le proprie origini
Dassié, Véronique e coi propri antenati, promuovendo un ri-
Objets d’affection avvicinamento emotivo che ha luogo grazie
a quella sintesi corporale di cui essi sono
Une ethnologie de l’intime compiuta espressione. D’altro canto anche
Paris, Éditions du CTHS, 2010, 368 pp. gli oggetti seriali, artificialia dai trascorsi
ignoti e dagli anonimi produttori, possono
Secondo Michel de Certeau esistono dina- colmare i loro difetti d’origine (p. 98) qualo-
miche che restano implicite in ogni terreno ra i proprietari li sottopongano a opportuni
di ricerca, una storia muta che non si rivela processi di significazione, ristabilendo su di
a meno che non sia fatta essa stessa oggetto essi il proprio dominio morale in cambio
di studio. Sono passati oltre trent’anni dalla della preziosa concessione di un passato e
sua celebre indagine sul quotidiano, e da della prerogativa dell’unicità.
allora pratiche comuni e vita ordinaria ne E proprio il controllo sul mondo
hanno fatta di strada. L’impresa etnografica materiale, e la volontà di una sua accurata
di Véronique Dassié si spinge proprio nei regolamentazione, costituisce la chiave di
meandri più profondi della vita domesti- lettura a cui l’autrice riconduce le diverse
ca, azzardando la codificazione di quei tipologie di naturalia fatte oggetto di con-
meccanismi taciti che regolano i legami di servazione: da un lato vestigia e frammenti
affezione con gli oggetti, e che in virtù della corporali di bambini o cari estinti, reliquie
loro evidenza materiale, sono spesso più profane che sembrano incorporare il ten-
vissuti che rappresentati. L’intento iniziale tativo di una manipolazione del tempo;
dell’etnologa, quello di indagare i souvenir dall’altro le raccolte di conchiglie, minerali e
come dispositivi di memoria individuale animali imbalsamati, in cui il collezionista si
e familiare, si infrange ben presto contro configura come il protagonista indiscusso di
la presenza ingombrante di un’affettività scelte meticolose e tutt’affatto casuali. Ma la
che trascende la sfera del ricordo, e che costruzione di un legame di significato con
investe la materialità di una vera e propria tali beni nasconde un prezzo da pagare: se
fenomenologia dei sentimenti. le reliquie trasformano gli individui in mar-
Figlio legittimo della tradizione socio- tiri condannati a una perenne nostalgia (p.
logica francese, questo studio ricostruisce 134), gli oggetti scovati con fatica tra spiag-
pratiche culturali collettive a partire dai ge e foreste impongono una transazione
singoli oggetti d’affezione, dove la parola simbolica tra collezionista e natura, fatta di
dei custodi diviene cassa di risonanza del obblighi solenni di reciprocità e di pazienti
loro potenziale emotivo (p. 53), e la materia pratiche di addomesticamento dei naturalia.
stessa fa da chiave d’accesso a un’intimità Eternamente impegnati in meccanismi
che intende essere pubblicizzata e condi- di riassetto continuo, gli oggetti d’affezione
visa. Settanta interviste condotte in diverse vivono momenti di riattualizzazione o di
regioni della Francia hanno impegnato allontanamento, ridefinizioni del proprio
l’etnologa per ben quattro anni, documen- statuto che alimentano le dinamiche di
tando luoghi, azioni e modalità di conser- circolazione e di transizione, come risulta
vazione di quei beni triviaux che, indivi- evidente in quello che la Dassié definisce il

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RECENSIONI

nomadismo contemporaneo: il fenomeno zioni culturali di significato nella materia.


del trasloco plurimo si configura come un Il potere evocativo di questi dispositivi è
rituale di passaggio di stato oltre che di direttamente proporzionale alla densità
luogo, dove il valore delle cose viene riletto delle attribuzioni affettive, così labili e
alla luce delle nuove condizioni dei traslo- fluttuanti che una ricostruzione sincronica
catori, secondo un inventario di sé in per- delle biografie individuali sembra assai
petuo movimento. Ed è così che anche le più plausibile di una storia diacronica.
pratiche di trasmissione possono tradire le Utilizzati per rappresentare individualità, i
norme tradizionali dell’eredità a vantaggio beni conservati con cura definiscono allora
di solidarietà emotive: le generazioni e le una materialità soggettiva – quella dell’af-
discendenze si avvicinano e si allontanano fezione – la cui profondità etnografica è
in base a regole di prossimità affettiva, al pienamente manifesta soltanto ai propri
ritmo di esclusioni o di alleanze che sono custodi. Al cuore dell’introspezione della
soprattutto le donne a determinare e a Dassié si radicano i sentimenti, dunque, le
mettere in pratica. espressioni grazie a cui anche gli oggetti fu-
In Objets d’affection la lezione di tili o ordinari possono assurgere al rango di
Kopytoff ripropone dunque la propria eco beni immateriali e compiersi nella propria
con forza e longevità; tuttavia, la coerenza epifania domestica, svelando quell’invisi-
autobiografica degli allestimenti domestici bile presenza che è produttrice di valore,
suggerisce all’autrice un uso degli oggetti di senso e di affezione.
come biografemi, segmenti metaforici di
un «sé» che si racconta attraverso costru- Silvia Bernardi

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