Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
— 319 —
— 320 —
RECENSIONI
— 321 —
RECENSIONI
— 322 —
RECENSIONI
sulla storia e le teorie delle sottoculture anche una grande e spettacolare avventura
giovanili. Ma forse questo inizio di re- estetica.
censione non è corretto, o almeno non La chiave di lettura estetica, legata allo
è onesto. Per almeno due motivi. Primo, spettacolo delle sottoculture, viene offerta
perché non è poi così strano, almeno a sin dalla prima pagina del volume, dove,
giudicare dalla tiepida accoglienza riser- nell’introdurre il lavoro, Itala Vivan comin-
vata nel nostro paese agli Studi Culturali cia con un ricordo personale: l’incontro con
(la prospettiva che ha aperto a questo tipo i primi punk che si aggiravano nella Londra
di interesse scientifico), almeno fino agli degli anni settanta, che apparvero all’autrice
anni più recenti. Secondo, perché è pro- «come una meravigliosa visione, l’incedere
prio un volume di questo tipo che stiamo trasognato e altero, il distacco che super-
presentando. È più corretto allora dire che bamente ponevano fra sé e il resto del
non sembra affatto singolare che esca solo mondo da cui intendevano distinguersi» (p.
ora in Italia un primo tentativo sistematico 7). Del resto, continua Itala Vivan, «fu pro-
di delineare una «teoria e storia delle sotto- prio questa straordinaria bellezza, questo
culture giovanili» («britanniche», aggiunge il estetismo spinto, a minare la prima ondata
sottotitolo, ma non è poi del tutto vero che di sottoculture giovanili in Gran Bretagna»
si limiti esclusivamente a quelle), visto che (ibidem), anche se poi è difficile non tro-
gli Studi Culturali sono stati sdoganati nel vare affascinanti i «traceur contemporanei
nostro paese solo di recente, e che proprio che marcano mappe immaginarie nei terri-
uno dei loro cavalli di battaglia, lo studio tori urbani percorrendo e segnando con il
appunto delle sottoculture giovanili, non corpo il mondo intero» (ibidem). Insomma,
aveva ancora ricevuto quell’attenzione che si riconosce l’importanza della dimensione
probabilmente avrebbe meritato. Il libro di estetica all’interno dei «rituali di resistenza»
Roberto Pedretti e Itala Vivan si propone delle sottoculture «storiche», anche se poi
di riparare a questo ritardo e di colmare tale dimensione diviene secondaria nelle
questo vuoto, disegnando un affresco epoche successive, per poi riapparire infine
storico-teorico che va, come promette il nell’epoca più vicina a noi.
titolo, Dalla Lambretta allo skateboard, e E, a proposito di questo, vanno rico-
quindi da uno dei principali oggetti-culto nosciuti agli autori almeno due importanti
della sottocultura dei Mods, la Lambretta meriti. Il primo è quello di mostrare come
appunto, allo skateboard, con il quale i la storia non solo dei movimenti sottocul-
giovani di tutto il mondo «rompono gli turali giovanili, ma anche delle teorie che
schemi architettonici e urbanistici domi- li hanno studiati, non sia affatto lineare,
nanti e impongono una guerra semiotica sul ma sia al contrario «ritmata» da approcci
significato dell’organizzazione degli spazi e prospettive spesso in contrasto tra loro
della città moderna» (p. 181). (dalla visione «romantica», e spesso tacciata
Il volume è leggibile a vari livelli e in di certo populismo, della Scuola di Birming-
varie modalità. Ne proponiamo qui alme- ham fino al paradigma post-sottoculturale,
no due. Può essere considerato una sorta dove le sottoculture vengono considerate
di «manuale» dei cultural studies, almeno non vittime della società dello spettacolo
per quanto riguarda la loro branca dei e dei media ma, anzi, loro conniventi).
subcultural studies, ma può anche essere Il secondo è quello di sottolineare l’im-
considerato come un affascinante racconto, portanza della dimensione corporea nei
qualcosa di molto simile a un «romanzo codici e nelle estetiche delle sottoculture
storico» (interessa quasi tutta la seconda contemporanee, almeno di quelle più
metà del secolo scorso, e arriva fino alla direttamente legate a pratiche fisiche ai
nostra più recente attualità), un romanzo limiti dello «sport estremo». Dai surfers agli
che ci racconta la storia – le storie – di skaters, fino ai contemporanei praticanti del
gruppi di ragazzi e dei loro riti, più o meno parkour, l’elemento decisivo per cogliere
«resistenti». È una storia che attraversa riven- i nuovi «rituali resistenti» è proprio quello
dicazioni sociali – anche qui, più o meno del corpo, che diviene forse la vera posta in
consapevoli –, politiche, ma gran parte del gioco della riappropriazione di spazi e luo-
fascino di questo «romanzo di formazione» ghi della metropoli contemporanea. È un
è dovuta alla continua consapevolezza (pur merito del libro sottolineare questo aspetto,
sempre critica) che l’oggetto del racconto è perché si tratta del primo tentativo sistema-
— 323 —
RECENSIONI
tico (almeno nella letteratura italiana) di stratificato anche all’interno delle stesse sot-
mettere in relazione in maniera originale e toculture giovanili, alle quali viene inoltre
convincente la dimensione corporea (e la riconosciuto lo statuto di «culture del gusto»,
stessa sociologia del corpo) con lo studio prodotte e riprodotte soprattutto attraverso
delle sottoculture giovanili. (e non contro) i media.
In un libro che restituisce la storia All’interno di queste culture del gusto
complessa e contraddittoria di movimenti giovanili circola ad esempio quello che
che vanno dai teddy boys ai mods e ai Sarah Thornton, a partire dal concetto di
punk, dai rudies al reggae, dai ravers agli capitale culturale di Bourdieu, chiama «ca-
emo per arrivare infine agli skaters e ai pitale sottoculturale»: ed è innegabile che,
traceur, l’aspetto forse più difficile è quello in un’epoca dove la pervasività dei media
non solo di contenere tale complessità (e, in nella vita sociale è un dato che preesiste
questo, gli autori riescono perfettamente), addirittura ai contenuti stessi dei media,
ma anche – forse soprattutto – quello di non si può parlare di «culture primitive pre-
mantenere la giusta distanza critica rispetto mediatiche». Le stesse storie della stampa
all’oggetto di studio. E, in questo, si scorge (e della televisione) scandalistica che, se-
in più di una parte del libro una certa diffi- condo ad esempio un autore classico come
coltà a prendere o a (voler) mantenere tale Hebdige, servivano a «normalizzare» le sot-
distanza, tanto che anche per le sottoculture toculture giovanili sovversive e «scomode»,
sportive spettacolari più vicine a noi viene non fanno altro, al contrario, che legittimare
riproposta l’interpretazione un po’ roman- e autenticare queste identità culturali: come
tica del «capitale corporeo resistente» che dice la Thornton, i commenti spregiativi dei
viene poi «addomesticato» e «normalizzato» media non sono il verdetto, ma l’essenza
dall’industria culturale. Non sarà, invece, della loro resistenza – e della loro esisten-
che proprio grazie ai media e all’industria za, potremmo aggiungere. In definitiva, il
dello spettacolo le nuove sottoculture na- rapporto tra identità culturali giovanili e
scono e prosperano nell’immaginario con- sistema dei media è caratterizzato non solo
temporaneo? La «connivenza» tra gli autori da una notevole complessità, ma anche da
e questa supposta «purezza originaria» delle una sostanziale connivenza tra «giovani» e
sottoculture non tende forse a sottovalutare industria culturale, soprattutto adesso con
la «connivenza» (anche questa originaria, e le nuove tecnologie dell’informazione e
non posteriore) tra le sottoculture e quelle della comunicazione.
dinamiche di spettacolarizzazione e merci- Del resto, a considerare meno «in-
ficazione che sembrerebbero essere sempre nocenti» e «puri» i giovani impegnati nelle
lì in agguato per appiattirle e omologarle? loro pratiche sottoculturali non si fa loro un
Ora, è chiaro che la vulgata della «purezza gran torto: belli, magari, vista l’importanza
perduta» delle sottoculture originarie ha attribuita al capitale fisico. Ma pur sempre
un che di fascinoso e di seducente, ma pur «sporchi e cattivi».
dando debito conto, nel corso del volume,
di prospettive diverse che hanno messo Federico Boni
seriamente in discussione tale narrazione,
nel momento in cui si presentano i nuovi
modelli sottoculturali giovanili tali letture
alternative vengono lasciate da parte per Lupano, Mario e Vaccari, Alessandra
sposare quelle più tradizionali, evocative (a cura di)
certo, ma forse un po’ troppo romanzate.
Del resto, come si è detto, nel volume Una giornata moderna
la prospettiva dei post-subcultural studies Moda e stili nell’Italia fascista
viene presentata, e anche in maniera esau- Bologna, Damiani, 2009, 400 pp.
stiva. Gli autori sottolineano come la stessa
contrapposizione manichea tra sistema Quello curato da Mario Lupano e Alessan-
dominante (ivi compreso quello dei media, dra Vaccari è ciò che possiamo definire,
naturalmente) e «rifiuto controculturale» con le parole degli stessi autori, un «saggio
da parte dei giovani sia stata da più parti visuale»: una curatissima raccolta iconogra-
(e pesantemente) stemperata in favore del fica, per gran parte inedita, che offre un ap-
riconoscimento di un sistema gerarchico e profondimento scientifico sulle forme della
— 324 —
RECENSIONI
— 325 —
RECENSIONI
macrocategorie narrative fanno della loro queness and separatedness del body politic
intelligibilità una riflessione scientifica sul coloniale. «Terra Australis infirma, raffigura
raccontare lo spirito e gli stili del tempo, fin lo “stato di movimento”, evoca fondamenta
nei suoi interstizi più quotidiani, proponen- acquee, porta in sé il riferimento alla Terra
do alcune cornici interpretative nuove e di nullius: la terra di nessuno, non posseduta,
forte impatto descrittivo. Come ad esempio terra vuota, la premessa incerta che fonda,
quella intitolata «griglie», che giustappone qui, il progetto colonizzatore [...]. La figura
velette di cappelli a sfondi geometrici per dell’isola incornicia l’apparente vacuità e
figurini di moda, o semplicemente griglie verginità dell’interno, conferendole signi-
prospettiche per progetti di arredi interni, ficato e difendendola da quella mostruosa
mettendo in luce, in una continua traduzio- geografia, “Australasia” che minaccia di
ne intersemiotica, una ricorrenza pertinente sovrastarla e inghiottirla. Contro l’inco-
e significativa dell’«impaginazione» moder- noscibile vastità interna ed esterna, l’isola
na. Nonostante il libro parli di modernismo è la forma che definisce e rassicura. [...].
in un periodo rigidamente scandito da due L’atto del territorializzare, mentre evoca la
eventi politici, credo che ci faccia capire che confortante sensazione del legame che ci
quel tipo di modernismo (se forse inizia con unisce, in un infinito temporale, alla terra
il fascismo) non finisce di certo con l’8 set- come fonte di sostentamento, è allo stesso
tembre 1943. In qualche parte, libero dalle tempo un atto di esclusione e di cancella-
grossolane, violente e criminose dettature zione» (ibidem).
del regime, esso darà vita a quella proficua L’insularità naturalizzata – che viene
epoca del design industriale italiano degli avvertita ed esperita attraverso i luoghi
anni cinquanta e sessanta. simbolo della «separazione», l’oceano, le
Certo è che in un volume così organiz- spiagge e la costa – in realtà, manifesta
zato si corre il rischio di sfuggire al giudizio continuamente il proprio carattere fitti-
storico: si parla, ad esempio, della «prima zio, rendendo necessaria una perenne
signora Mussolini», Ida Dalser, come di una ri-asserzione e delimitazione dei suoi
delle pioniere dei saloni di bellezza e si confini. Questa reiterata operazione di
tace che, seppur non certo a causa di ciò, «escissione» produce e riproduce l’imma-
lei sarà una delle prime persone a pagare gine antropologica di una singola identità
duramente il suo privato rifiuto al fascismo. (razziale, geografica, politica) separata
Ma credo anche che un libro di questo tipo dalle altre – quelle «interne» e precedenti,
è pienamente legittimato ad esimersi dal e quelle «esterne», le quali comunicava-
sottolineare le atrocità del fascismo, perché no storicamente tra loro intessendo una
guarda quel tempo da tutt’altro punto di fitta trama di contatti tra Asia, Australia e
vista, evidenziandone la complessità. Pacifico. Fin dalle prime narrazioni colo-
niali della terra australe – riecheggianti la
Luca Acquarelli mooriana Utopia – l’oceano, da luogo di
pratiche alternative, di contatto, di storie
sommerse e di immaginari anti-nazionali
divenne confine, limite, ponte attraversato
Perera, Suvendrini e attraversabile da soggettività pericolose e
Australia and the Insular Imagi- mortifere – catastrofi naturali, conflitti e ne-
nation mici della razza. L’interruzione dell’intenso
rapporto commerciale tra il porto di Ma-
Beaches, Borders, Boats, and kassar nell’odierno Sulawesi in Indonesia
Bodies e le popolazioni aborigene delle coste set-
New York, Palgrave & MacMillian, 2009, 212 pp. tentrionali dell’Australia – la fiorentissima
«Malay Road» – e il tentativo di cancellarne
L’ultimo lavoro di Suvendrini Perera la memoria, furono in tal senso il primo
esplora il significato della forma geogra- passo verso la formalizzazione di un’idea
fica del continente-isola – «entità sovra- di isola-Stato che attraverso la Federazione
stante, unica e chiusa in sé» (p. 2) – nella (1901), l’Immigration Restriction Act, il
rappresentazione contemporanea dello Pacific Islands Labourers Act, la Franchise
Stato-nazione australiano e la funzione che e i Naturalizaion Acts (1901), operava la
essa assume nel naturalizzare l’idea di uni- rimozione dell’Australia dal Pacifico per
— 326 —
RECENSIONI
— 327 —
RECENSIONI
— 328 —
RECENSIONI
— 329 —