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ALLA RICERCA DELLA CYBER-IDENTITÀ

La tecnologia, la realtà virtuale e la donna

di SEBASTIANO DISTEFANO

Identità e personalità nel cyberspazio


La radice “cyber” ci conduce subito all’espressione
“cybernetics” che indica la scienza delle macchine capaci di
autoregolarsi, gli automi, e che ha come obiettivo principale quello
di studiare l’interazione tra uomini e macchine, attraverso il
meccanismo del feedback. La stessa radice ci porta poi al termine
“cybernaut”, per indicare lo scienziato cibernetico, colui che usa il
calcolatore, fino ad arrivare a quello che viene definito “cyberspace”,
luogo dell’incontro fra tecnica e comportamenti umani, considerato
anche come il luogo immateriale dove avvengono i nostri incontri
telefonici o dove si trovano i nostri fondi monetari, ma soprattutto
dove si svolgono le interazioni in rete.
Il cyberspazio possiede alcuni caratteri che hanno effetto a
livello psicologico su chi si avvale di questo ambiente. Tali tratti
influenzano la percezione, e quindi l’esperienza che l’utente ha della
comunicazione in rete. La loro pertinenza interviene su diversi
piani, portando in primis all’annullamento delle distanze spazio
temporali; il cyberspazio assurge a non-luogo, almeno nel senso
delle distanze geografiche: punti lontanissimi fra loro nella
geografia materiale possono essere raggiunti in pochi secondi con
un click di mouse. Questo carattere permette l’interazione fra
individui appartenenti a nazioni o addirittura a continenti diversi,
uniti però da interessi e scopi che li accomunano. Eliminando
progressivamente la fatica dell’attraversamento dei luoghi, i media
contemporanei hanno abolito la differenza fra i luoghi stessi e,
quindi, i loro rispettivi significati. Le tecnologie comunicative
elettroniche hanno riportato l’intero mondo alla condizione di una

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vecchia comunità premoderna, fondando quel che McLuhan ha
definito “villaggio globale”.
Come scrive G. Marrone nel suo Corpi sociali del 2001, «i
media elettronici influenzano il comportamento umano eliminando
dalla sensibilità culturale condivisa il senso del luogo: si perdono i
confini tra sfera pubblica e sfera privata, sfuma la differenza fra
maschile e femminile, si confondono infanzia e maturità, e
soprattutto si attenua la differenza fra luogo fisico e spazio virtuale.
Ma sono sempre i media che producono il fenomeno
diametralmente opposto: quello della frammentazione infinita,
dell’invenzione continua di identità non controllabili». Si assiste
inoltre a una commistione dei luoghi, con la creazione di spazi di
ritrovo appositamente studiati, i cosiddetti “internet-point”, che,
grazie a un inedito mix di intrattenimento, telematica e ristorazione,
si evolvono in cyber-pub, cyber-ristoranti e cyber-café. Questi
luoghi sono diventati un vero fenomeno di costume e sono un
chiaro esempio della dimensione acquistata dal Web negli ultimi
tempi: tra i panini e le bibite, tra i tavolini e i giornali ecco spuntare
come funghi computer da affittare, per navigare o inviare e ricevere
e-mail1.
La comunicazione mediata dal computer, per di più, può
liberare i soggetti da molti vincoli di natura sociale e culturale, dato
che si tratta solitamente di una comunicazione testuale, in cui è
possibile fingere di essere chiunque o, in alternativa, rimanere
nell’anonimato più totale. Risulta impossibile svelare l’identità di un
soggetto in rete e pure gli status sociali non sono percepibili. Da
questo punto di vista, tutti i soggetti partono alla pari e si trovano
nella stessa situazione iniziale, a meno che alcuni di essi non si
siano già costruiti una reputazione in rete con un numero più o
meno ristretto di utenti. Le differenze in termini di influenza sugli
altri devono essere conquistate necessariamente sul campo,
attraverso qualità come l’abilità nel comunicare, la capacità di

1 Cfr. E. SULLEROT, Desiderio e tecnologia. Il problema dell’identità nell’era di Internet,

Feltrinelli, Milano 1995.

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esprimere le proprie idee, la propria coerenza intrinseca.
Considerando l’esperienza della chat, l’assenza di indizi sensoriali
permette una conoscenza ristretta e condizionata di colui con il
quale si sta svolgendo la comunicazione. Pur persistendo altre
caratteristiche tipiche della comunicazione interpersonale, viene
infatti a mancare il canale sensoriale per eccellenza, quello al quale
ci affidiamo quotidianamente in maniera decisiva: la vista.
È suggestivo notare che nelle reti le persone si trasformano
in “personae”, cioè in “maschere” che nascondono individui in carne
ed ossa, la cui identità reale non può essere scandagliata. Il caso
emblematico è rappresentato dai giochi di ruolo, di cui in rete
esistono molteplici versioni, nei quali i partecipanti possono
ricoprire la parte di personaggi inventati, come cavalieri, fate,
gnomi, dame di corte o viaggiatori spaziali. Anche in altri ambienti
di comunicazione, come le chat-rooms o i muds, ciascuno può
scegliere un nome qualsiasi e crearsi l’identità che più preferisce.
Per quanto riguarda la donna, la sua identità e personalità
risultano strettamente connesse con l’ambiente domestico, la casa,
che può essere anche un luogo di segregazione anziché di
consolazione, di esclusione dal mondo anziché di rifugio, di
violenza e di abusi anziché di comprensione. Se la casa è il luogo
della famiglia, l’atteggiamento può essere ambivalente: da un lato
essa diventa un ambito di ricchezza affettiva, dall’altro rappresenta
un intreccio di rapporti vincolanti non revocabili che richiedono
assunzioni di responsabilità. La donna – tra carriera e famiglia,
lavoro e figli – spesso si trova a dover rinunciare alla propria
mobilità; mobilità questa alla quale può sopperire assumendo
diverse identità in rete2. Tale escamotage è una valvola di sfogo che
permette di esprimere alcune parti del sé normalmente tenute
represse o nascoste nella vita di tutti i giorni e consente alle varie
componenti della personalità di uscire allo scoperto senza timore.
Questa è una delle motivazioni addotte per fornire una spiegazione

2 Cfr. C. GIACCARDI, M. MAGATTI, La globalizzazione non è un destino. Mutamenti


strutturali ed esperienze soggettive nell’età contemporanea, Laterza, Roma/Bari 2001.

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al fenomeno chiamato “gender swapping”, cioè il cambiamento di
genere o il passaggio da un genere all’altro in rete.
Dal punto di vista della rappresentazione del sé, l’identità
assume un’altra caratteristica peculiare: essa diviene reticolare.
Esprime efficacemente questo concetto Sherry Turkle: «Nel web,
l’idioma per costruire l’identità di una casa [si intende di un
soggetto – N.d.A.] consiste nell’assemblare una home page di
oggetti virtuali corrispondenti ai propri interessi. La home page
viene realizzata componendovi oppure incollandovi parole,
immagini, suoni e indi collegandola ad altri siti Internet o sul web.
[…] L’identità emerge grazie a coloro che conosciamo, dalle
reciproche associazioni e connessioni. Si collega la propria home
page ad altre pagine su argomenti quali musica, pittura spettacoli
televisivi, vignette comiche e modelli di moda»3.
La home page di una donna manager, ad esempio, è
qualcosa di più che un
semplice biglietto da visita.
Essa è una rappresentazione
emblematica del tipo di
identità presente nel web. Si
tratta di un’identità che può
esser definita proteiforme,
capace di trasformazioni
fluide, ma allo stesso tempo
fratturata. Le identità
appaiono contraddittorie,
parziali e strategiche: diversi
studi empirici hanno
dimostrato come l’identità
frammentata in rete sia un
fenomeno più tipicamente
femminile che maschile. Genere, razza e classe non possono essere

3Cfr. S. TURKLE, La vita sullo schermo, a cura di B. PARRELLA, Apogeo, Milano


1997.

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posti alla base di un’unità
essenziale. Non c’è nulla
nell’essere “femmina”, nota
Donna J. Harway, che
costituisca un legame naturale
tra le donne; non esiste
neppure lo stato di “essere”
femmina: anche questa è una
categoria altamente complessa,
costruita attraverso controversi
discorsi sessuali e scientifici4.
Questa debole
appartenenza in-group del
genere femminile produce
un’identità multipla che però
non può esser considerata
come simbolo di una instabilità psichica; da questo punto di vista,
anzi, la coerenza non pare più essere un valore ma un fattore
limitante rispetto a una più salutare espressione delle varie
sfaccettature del sé. Il fenomeno del gender swapping è un insieme di
aspetti comunicanti e convertibili l’uno nell’altro, dei quali nessuno
ha una predominanza preponderante. Tale esigenza di presentare sé
stessi in maniere difformi nasce dalla volontà di sperimentare
situazioni e comportamenti non consueti. L’identità subisce dunque
un processo di decentralizzazione; di conseguenza utilizziamo la
tecnologia del nostro tempo per dare forma a un’immagine
alternativa, ma spesso complementare, di noi stessi. Il fatto che
sullo schermo del computer ci siano tante finestre e che siamo
abituati a spostarci agilmente tra loro, può essere interpretato come
una metafora della visione molteplice di noi stessi e della nostra
possibilità di visionare a rotazione differenti aspetti della nostra
personalità con un click.

4D.J. HARWAY, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli
Milano 1995.

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Quando in una conversazione in rete scegliamo un
determinato nome, compiamo un passo decisivo verso la creazione
di un’identità grazie alla quale potremo esplorare diversi aspetti del
nostro io. Come suggerisce Turkle, se siamo stati abituati a
concepire l’identità come unica, oggi si guarda piuttosto all’identità
come a una realtà molto fluida, che risulta dall’insieme dei tanti che
coesistono all’interno dell’uno: il concetto di identità si evolve man
mano che il singolo approfondisce la conoscenza di sé stesso
attraverso l’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione.

Ruoli e azioni in rete


Il cyberspazio risulta spesso terreno privilegiato di
sperimentazione. Nelle reti è diffusa la pratica di giocare “ai ruoli” e
di frequente se ne interpretano di fantasiosi all’interno di spazi
virtuali ludici oppure forgiando identità del tutto nuove. Ma l’atto
di rivestire un ruolo viene compiuto con il fine di ottenere la
prerogativa di comportamenti che normalmente sarebbero negati.
In rete l’assunzione di nuovi ruoli è favorita da caratteristiche
tecniche peculiari del medium e in particolare dall’opportunità di
uscire in qualsiasi istante dal ruolo che si sta ricoprendo e di
mantenere l’anonimato: tali circostanze offrono la garanzia di non
dover temere le conseguenze delle proprie azioni. Nell’azione in
rete il genere ricopre una certa importanza.
Si può affermare che la cultura informatica canonica sia
maschile o per lo meno che lo sia stata fino agli anni ’80, quando il
boom del personal computer e la relativa introduzione delle
interfacce ad icona hanno sconvolto e rivoluzionato totalmente la
situazione: il calcolatore diviene personal medium. È stato il femminile
ad aprire un approccio alternativo e innovativo all’informatica e
all’utilizzo pratico del pc, servendosi di modi per così dire
“morbidi” in opposizione a quelli seguiti fino ad allora,
caratterizzati da una maniera di rapportarsi all’elaboratore più
difficoltosa e sicuramente meno interattiva. Dagli stili di scrittura
alla programmazione del software, all’odierna navigazione web, ci si
muove per associazione, saltando da un link attivo all’altro,

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giocando con i vari elementi presenti, andando avanti e poi
tornando indietro, perdendosi chissà dove, naufragando
dolcemente all’interno di quella distesa immensa di informazioni e
dati, quasi si trattasse di un “bricolage multimediale”.
A volte si sente dire che le donne incontrano maggiore
difficoltà degli uomini a lavorare con il computer e che quindi tale
problema oggettivo comprometta l’azione in rete da parte del gentil
sesso. Per molti anni negli Stati Uniti si è parlato di “computer-
fobia” da parte della donna, ma la situazione è mutata rapidamente
dopo la nascita dell’America On Line e in seguito alla diffusione di
Internet. Le mamme hanno imparato a mandare e-mail ai loro figli
nei college e la computer-fobia femminile è andata via via
scemando. Madri, nonne, fidanzate si sono collegate alla rete per
poter comunicare e hanno cominciato a rendersi conto della varietà
di tematiche e informazioni messe a disposizione dal World Wide
Web. Il problema quindi non risiede tanto nella paura delle donne
di usare il computer, quanto nel fatto che si è trattato fin dall’inizio
di una cultura e di un tipo di macchina elaborati dagli uomini per
gli uomini o, meglio, dagli ingegneri per gli ingegneri. Nei primi
computer Ibm in circolazione, per fare un esempio, il messaggio
che chiedeva all’utente se voleva annullare il programma in uso
usava il termine “abort”, che letteralmente significa ucciderlo o
finirlo. Evidentemente questo non risulta un linguaggio familiare
per le donne, che non riuscivano a comprendere perché venissero
utilizzati termini violenti come aborto e uccisione… e giustamente
non ne vedevano la necessità. Risultava per loro naturale rifiutare
tale sistema semantico di significazioni e spegnere di conseguenza il
computer. Successivamente, man mano che le donne hanno
cominciato ad intraprendere il lavoro di programmazione, si è
notato un graduale mutamento all’interno del linguaggio
dell’informatica e un aumento assolutamente rilevante del numero
delle donne che desiderano fare parte di questo mondo.
Indubbiamente il rapporto fra donne e tecnologia sta cambiando
ed è in continuo assestamento. Internet significa comunicazione,
collaborazione e gruppi di interscambio e queste attività sono di un

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certo interesse per le donne e le stimolano ad affrontare la sfida
della tecnologia5.
Come abbiamo visto, data l’impossibilità di verificare la reale
identità di chi si cela dietro agli pseudonimi in rete, dove
l’anonimato è garantito in modo assoluto, è anche impossibile
stabilire con certezza il sesso di qualsiasi interlocutore. Di
conseguenza è frequente il caso di coloro che, per varie ragioni, si
presentano come appartenenti all’altro genere sessuale; questo è il
fenomeno solitamente definito con l’espressione che abbiamo già
incontrato, gender swapping. Sarebbe fuorviante e riduttivo, nonché
fuori luogo, affermare che si tratta di un semplice esempio di
devianza sessuale. Le motivazioni che possono indurre al
camuffamento di genere sono molte e spesso è necessario
osservare che queste agiscono in modo combinato e in proporzioni
diverse su ogni soggetto. Per quanto concerne le donne, i motivi
che spingono a un comportamento di questo tipo possono essere il
tentativo di comprendere come le altre donne interagiscono con gli
uomini, per trarne “utili insegnamenti” per propiziare il proprio
successo con l’altro sesso; il desiderio di ottenere maggiore autorità
in un gruppo e partire alla pari con concorrenti maschi in una
determinata competizione; la brama di potere e di autorità che
spesso le donne non possono avere nella vita reale. Possono
sembrare, a prima vista, motivazioni banali, ma si tratta invece di
reazioni inconsce che si attivano nella nostra mente. Si tratterebbe
in sostanza del desiderio di scoprire come ci si sente ad essere
dell’altro sesso, di esplorare aspetti della propria personalità che
hanno a che fare con l’appartenenza all’altro sesso o soltanto di
vivere virtualmente un flirt dal punto di vista opposto… Per molti,
questo atteggiamento può essere interessante e può persino
diventare una forma di presa di coscienza.
Alcune ricerche hanno mostrato che molte studentesse,
collegandosi alla rete con un nome maschile, scoprono di non

5Cfr. R. SCHIELDS (a cura di), Cultures of Internet. Virtual Spaces, Real Stories,
Living Bodies, SAGE, London 1996.

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trovare nessuno pronto ad aiutarle, cosa invece che si verifica
abbastanza frequentemente quando compaiono come donne.
D’altro lato, tanti uomini si presentano come donne e trovano
persone che flirtano con loro e si ripropongono continuamente.
Sperimentando questa identità si acquisisce una coscienza diversa
dell’altro sesso. Ci sono poi persone che, assumendo di volta in
volta la propria identità sessuale o quella opposta, intrattengono in
rete una sorta di corrispondenza erotica con altre persone
altrettanto fittizie, arrivando paradossalmente a straordinari livelli di
coinvolgimento emotivo. Molti sono gli utenti che si lanciano in
questo tipo di relazioni, abbandonandosi alla fantasia. Spesso però
le persone con cui sono entrate in contatto si affezionano realmente
a loro, provando sentimenti profondi: bisognerebbe comunque
riflettere sul fatto che dall’altra parte c’è un altro essere umano, a
volte indifeso, e non una gelida macchina da calcolo. L’aspetto
davvero sorprendente di questo fenomeno è che il computer e
Internet diventano una specie di prolungamento dell’uomo anche
nella sfera affettiva e/o sessuale – sorprendente, appunto, se si
pensa che il computer è nato come estensione della mera sfera
cognitiva. Da macchina pensante è diventata la macchina che aiuta
a sentire, a provare emozioni, ad accrescere la propria
consapevolezza sessuale.
Fra tutte le possibili motivazioni il denominatore comune
pare essere il desiderio di sperimentare un ruolo diverso dal solito
e, nel caso del ruolo sessuale, mettere in discussione le aspettative
culturali che specificano come dovrebbero interagire uomini e
donne, quali valori dovrebbero condividere, quali compiti
dovrebbero preferire. Ecco quindi che il gender swapping sembra
essere finalizzato a “sperimentare” le aspettative e gli stereotipi che
ci riguardano e non può esser considerato come un fenomeno
esclusivamente legato all’ambiente del cyberspazio. Il travestimento
sessuale è del resto un meccanismo naturale comune a molte
specie, presente nelle società umane fin dalla notte dei tempi. Le
reti danno solo la possibilità di rendere più semplice il mutamento
di genere sessuale in quanto è sufficiente digitare un nome da

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uomo invece che da donna o viceversa, offrendo la possibilità di
sfuggire alle conseguenze che invece potrebbero esserci nel mondo
reale, sottraendosi al giudizio della collettività e potendo inoltre
tornare in qualsiasi momento sui propri passi.

Donne e internet
Le donne che navigano in Internet aumentano di continuo.
I dati statistici ci mostrano che esse, pur essendo tecnicamente
molto capaci, non hanno molto tempo da dedicare allo strumento
multimediale, sono scettiche negli acquisti on-line e preferiscono
discutere in rete. Lo dicono ormai molte ricerche: il mondo di
Internet è sempre meno maschile. Secondo le ultime indagini, le
donne, pur essendo ancora una minoranza, crescono con ritmo
vorticoso: tra il ’98 e il ’99 sono quasi raddoppiate le donne che
usano Internet per lavoro o per divertimento. In Canada e negli
Stati Uniti sarebbero il 34%; la voglia di Internet è cresciuta a vista
d’occhio in Italia, con un incremento fino al 59% delle donne.
Saranno gli appelli a tappeto lanciati dai media, sarà il fascino
irresistibile del virtuale, sarà la voglia delle donne di non rimanere
indietro per nessun motivo.
Su un totale di 8 milioni di cyber-navigatori in Italia,
spiegano i ricercatori, sono ancora i giovani uomini, tra i 18 e i 34
anni, a guidare le truppe degli appassionati, rappresentando il 58%
del totale; le donne, nonostante il significativo incremento
registrato, rimangono un po’ indietro, al 33%.
Il cambiamento e le trasformazioni epocali che
attraversiamo hanno determinato l’apertura di nuove prospettive
del pensiero femminista: placate le stravaganti affermazioni del
cosiddetto “post femminismo”, si è aperta una fase molto più
positiva: il “cyber-femminismo”, un movimento che offre risposte
innovative, energiche e anche fantasiose alla crisi dei vari “post”.
Lungi dal considerare il movimento femminista come morto e
sepolto, le cyber-femministe danno prova di grande vitalità teorica
e politica e dimostrano indubbiamente che le generazioni più

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giovani non mancano affatto di spirito critico. Le cyber-femministe
condividono la certezza che il patriarcato è ormai condannato.
I libri di Donna J. Haraway sono una delle principali fonti di
ispirazione di questo movimento e hanno dato inizio a una nuova
forma di coscienza femminile; mentre in precedenza la donna si
sarebbe identificata con una specie di “Madre Terra”, rifiutando in
maniera sprezzante l’idea di macchina, ora si propone un modello
che non rifiuta la tecnologia. Il Manifesto Cyborg contiene una critica
radicale della contrapposizione tra natura e cultura, i termini base da
cui parte la riformulazione della soggettività femminile, e una forte
denuncia dell’uso ideologico di queste categorie compiuto dai
soggetti che incarnerebbero precisi interessi sociali e politici. Ad
esser messa in discussione è l’idea per la quale le donne sarebbero
sempre in qualche modo prossime allo stato di natura; arrivando
così a una rivoluzionaria filosofia del cyborg in cui sarebbe
possibile l’ibridazione uomo-macchina, riproducendo l’originaria
unità di natura e cultura, separate dal pensiero umano nel corso dei
millenni in una dicotomia radicale. Dal superamento di quella
dicotomia al concetto di “sessualità neutra” il passo per la Haraway
è breve: il cyborg supererebbe i concetti tradizionali di relazione
sessuale tra i due generi e i relativi rapporti di violenza e dominio
insiti in essi, attraverso una comunione dell’umano con l’artificiale.
Al fine di delineare il ritratto della cyber-donna di questo
scorcio di secolo è utile richiamarsi ai dati che emergono dalla
ricerca sponsorizzata da Apple nel 1999. L’80% delle intervistate ha
indicato la scarsità di tempo come barriera principale all’utilizzo di
Internet. Pochissime hanno parlato di difficoltà tecnologiche,
smentendo l’ipotesi secondo cui vi sarebbe una certa distanza fra
donne e tecnologia. Altro dato sorprendente, almeno per chi
considera le donne in veste di compratrici impulsive, è quello che
concerne gli acquisti on-line, che figurano in realtà all’ultimo posto
della classifica degli interessi. È la comunicazione a spingere le
donne a collegarsi, la possibilità e il fascino irresistibile di
scambiarsi messaggi via posta elettronica e di discutere con altre
persone di argomenti che interessano loro particolarmente. Stanno

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riscuotendo enorme successo i gruppi “di sole donne”, che
sembrano attirare la maggior parte delle utenti che mal sopportano
il clima rissoso, a volte connotato politicamente, delle conferenze
on-line dominate dagli uomini. Scarso interesse mostrano inoltre
per la navigazione fine a se stessa che diventa un girovagare da un
link all’altro.
La signora in rete vuole trovare rapidamente ciò che le serve
e si trova a suo agio fra bits e processori, ama le chiacchierate
pacate, è spesso un po’ affannata per la mancanza di tempo:
insomma, la “donna-Internet” è forse un po’ più tecnologica della
media, ma per il resto è ancora una donna normale… nonostante
che spesso ci si immagini la rete come un mondo popolato da
alieni!
Secondo le riflessioni di C. Galimberti e C. Riva, il corpo
non sarebbe semplicemente un dato biologico, bensì un campo di
iscrizioni e di codici socio-culturali dotato di una certa materialità6.
Sarebbe cioè il “sito” di una duplice conoscenza: da un lato il corpo
sarebbe soltanto un concetto empirico, un organismo vivente
inteso come la somma delle sue parti organiche; dall’altro non
potrebbe essere ridotto alla somma dei suoi componenti organici.
È questa la chiave di volta di una metafisica del soggetto, per la
quale vivremmo ormai all’incrocio fra il corporeo e il tecnologico e
dovremmo quindi pensare il nostro corpo come una superficie di
incrocio di molteplici codici di informazione, da quelli genetici a
quelli informatici.
La commistione fra elementi organici, fisiologici, caratteriali,
emotivi e codici informatici porta al concepimento di una corporalità
virtuale. Come scrive Donna Harway: «il corpo non c’è più, restano
momenti di vissuto biotecnologico, cioè resta il fattore temporale
come traccia dell’esperienza». Il cyber-femminismo che abbiamo
incontrato è proprio un nuovo modo di pensare l’identità sessuata,
superando l’approccio dualistico che contrappone il maschile al

6C. GALIMBERTI, C. RIVA, Il soggetto nella rete. Per una psicosociologia del cyberspazio,
Carrocci, Roma 2002.

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femminile. La rivalorizzazione delle differenze a favore di una
corporalità virtuale servirebbe innanzitutto a criticare dicotomie
quali quelle maschile-femminile, umano-meccanico, natura-cultura,
che funzionano come codici dominanti nella cultura occidentale.
Un caso di mutazione totale, di trasposizione assoluta fra donna
reale e donna cyborg è stata la creazione della protagonista del
videogame Tomb Raider, Lara Croft, vera e propria icona della
cyber-donna. In questo caso è significativo osservare come a
esaltare gli animi dei videogiocatori, amanti dell’avventura, non sia
stato un diabolico killer, bensì una trentenne coraggiosa che ha
rotto gli stereotipi di derivazione fumettistica rinnovando
radicalmente i canoni del videogame. Anche in questo caso, il
cyborg, inteso come ridefinizione della soggettività femminile,
sembra rispecchiare l’esigenza tipica della modernità di decostruire
e di disfare la presunta unità dell’essere donna. Anche il corpo
dunque si frammenterebbe spostandosi di volta in volta su
coordinate spazio-temporali differenti… Il cyber-femminismo si
situerebbe così al centro del paradosso del post-moderno.

Riferimenti bibliografici
C. CECCACCI, Alcune riflessioni su donne e nuove tecnologie, in «Sociologia
del lavoro», 1988 (33), pp. 255-277.
A.C. FRESCHI, L. LEONARDI (a cura di), Una ragnatela sulla
trasformazione, City Light, Firenze 1998.
A. GUINONI, Internet per l’antropologia. Risorse e strumenti per la ricerca
etnografica nel cyberspazio, Name, Genova 2001.
C. GALIMBERTI, C. RIVA, Il soggetto nella rete: per una psicosociologia del
cyberspazio, Carrocci, Roma 2002.
D.J. HARWAY, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo,
Feltrinelli Milano 1995.
C. GIACCARDI, M. MAGATTI, La globalizzazione non è un destino.
Mutamenti strutturali ed esperienze soggettive nell’età contemporanea,
Laterza, Roma/Bari 2001.
G. MARRONE, Corpi sociali. Processi comunicativi e semiotica del testo,
Einaudi, Torino 2001.

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R. SCHIELDS (a cura di), Cultures of Internet. Virtual Spaces, Real
Stories, Living Bodies, SAGE, London 1996.
A.R. STONE, Desiderio e tecnologia. Il problema dell’identità nell’era di
Internet, Feltrinelli, Milano 1997.
E. SULLEROT, Desiderio e tecnologia. Il problema dell’identità nell’era di
Internet, Feltrinelli, Milano 1995.
S. TURKLE, La vita sullo schermo, a cura di B. PARRELLA, Apogeo,
Milano 1997.

Feminist Teory Website


http://www.cddc.vt.edu/feminism/index.html
Sherry Turkle
http://web.mit.edu/sturkle/www/

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