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Winnicott e l'attaccamento

Secondo Winnicott, la madre già nei primi mesi di gravidanza entra in uno stato
psicologico che lui definisce preoccupazione materna primaria; si tratta di una
condizione di particolare sensibilità che porta la donna a mettere in primo piano
il bambino, sintonizzandosi con i suoi bisogni prima ancora che egli venga alla
luce.
Così Winnicott descrive questa condizione:

«Questo stato organizzato (che sarebbe una malattia se non vi fosse il fatto della
gravidanza) potrebbe essere paragonato ad uno stato di ritiro, ad uno stato di
dissociazione, ad una fuga o perfino ad un disturbo più profondo, quale un
episodio schizoide in cui uno degli aspetti della personalità prende temporane-
amente il sopravvento. Vorrei trovare un nome adatto a questo stato e proporlo
come qualcosa da prendere in considerazione tutte le volte che si parla della
primissima fase della vita infantile. Non credo che si possa comprendere la fun-
zione della madre all’inizio della vita del bambino senza ammettere che essa
deve essere capace di raggiungere questo stato di elevata sensibilità, quasi una
malattia, e di guarirne. (Uso il termine «malattia» perché una donna deve essere
sana per poter sia raggiungere questo stato sia uscirne, quando il bambino la
lascia libera. Se il bambino morisse lo stato della madre si rivelerebbe immedia-
tamente patologico. È il pericolo che la madre corre)».
Lo psicanalista inglese sostiene, inoltre, che non tutti sono adatti ad essere ge-
nitori, anche se la capacità delle madri di prendersi cura ha permesso lo sviluppo
della nostra specie, e che le madri che non sono capaci di offrire un’assistenza
sufficientemente buona non possono essere rese efficienti con delle semplici
istruzioni. Le madri spontaneamente capaci di fornire un’assistenza adeguata,
però, «possono essere messe nelle condizioni di farlo meglio se esse stesse sono
assistite in un modo che riconosca la natura essenziale del loro compito». Tale
assistenza deve venire soprattutto dal padre, che ha la funzione di trattare con
l’ambiente al posto della madre, impegnata nell’accudimento del nuovo nato.
Insomma, il padre che è capace di prendersi cura, e si prende cura della madre
e del bambino di questa.
Vi sono due concetti elaborati nello studio dello sviluppo dell’individuo che
appaiono come fondamentali: quello di holding e quello di contenimento. En-
trambi si riferiscono alla funzione esercitata dalla madre.
Il termine «holding» utilizzato da Winnicott (in inglese, holding significa sia il
tenere in braccio sia sostenere in senso lato) indica una funzione non solo fisica
ma soprattutto psichica, fondamentale per lo sviluppo dell’individuo, tanto da
permettergli di sviluppare la necessaria sicurezza per esplorare il mondo e in-
staurare un rapporto sano con gli altri.
Il termine «holding» indica non solo il tenere fisicamente in braccio, ma riguarda
tutte quelle esperienze che, se dall’esterno possono apparire determinate da fe-
nomeni puramente fisiologici, in realtà «si svolgono in un campo psicologico
complesso». Fisicamente, ciò si manifesta nell’accompagnare, da parte della

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madre, la spinta del bambino verso l’oggetto del proprio interesse, e continua
con la mano pronta al sostegno quando il piccolo muove i primi passi, prose-
guendo poi con quella forma di attenzione vigile verso tutte le esperienze della
prima infanzia.
Per Winnicott ci sono «madri capaci di tenere in braccio un infante e madri che
non ne sono capaci; queste ultime producono rapidamente in lui un senso di
insicurezza, e un pianto disperato».
La sicurezza che l’abbraccio materno fornisce (la base sicura) permetterà all’in-
dividuo di sviluppare le proprie potenzialità, secondo i propri talenti, e in rela-
zione con la realtà del mondo.
La funzione di chi si prende cura e che permette all’individuo di impadronirsi
del mondo e farlo proprio, non si risolve però in una facilitazione dello sviluppo
di talenti naturali: si tratta di qualcosa di ben più complesso, e che possiamo
meglio descrivere per mezzo del concetto di contenimento, perché la madre in-
terviene sul disagio non solo agendo su di esso per risolverlo ma anche in modo
da trasformarlo, contenendolo, appunto. Il bambino piange perché prova un
disagio, ma non sa quale, né come porvi rimedio, né verbalizzarlo; la madre non
si limita a trasformare le sensazioni e le emozioni correlate da malessere a be-
nessere provvedendo le cure relative ai fattori che avevano generato il disagio:
il suo intervento permette al bambino di rappresentarsi una differenza, un
prima e un dopo.
Le sue parole, gradualmente, permetteranno al bambino di riconoscere le proprie
emozioni, di dare loro un nome, di stabilire i necessari collegamenti tra sensa-
zioni, parola e pensiero.

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