Quando si parla di tumore, difficilmente lo si associa ad un bambino.
Una diagnosi di tumore fatta ad un bambino è più che mai una diagnosi fatta ad un’intera famiglia. È un momento critico in cui il bambino si trova ad affrontare un qualcosa più grande di lui, un momento in cui essendo un individuo in fase di crescita e formazione, non possiede strumenti adeguati ad elaborare ciò che gli accade, un periodo caratterizzato da grande vulnerabilità. Il bambino infatti, proprio a dispetto del suo essere bambino, è comunque in grado di capire che qualcosa di negativo gli sta accadendo, di conseguenza va supportato e coinvolto, in relazione alla sua età e per tutto quel che lo riguarda. È anche un momento in cui i genitori cercano di trovare il giusto compromesso tra il dolore, i sensi di colpa, l’incertezza per il futuro e la consapevolezza della forza che il loro ruolo impone nei confronti di quel figlio da proteggere. L’infermiere, in quanto professionista che più di tutti è a contatto con il piccolo paziente e la sua famiglia, si fa carico di sostenerli, di saper esporre loro la realtà dei fatti mantenendo la giusta sensibilità anche quando la porta del medico “è già chiusa”, di spiegare loro gli esami e le terapie che dovranno affrontare di giorno in giorno e di farsi carico di tutte quelle problematiche connesse a quella che fino a quel momento ha costituito a tutti gli effetti la loro sfera sociale. Prendersi cura del bambino oncologico è uno degli ambiti più difficili dell’intera assistenza infermieristica, in cui ci si trova non solo a doversi rapportare con un bambino malato che potrebbe non farcela, ma ci si trova anche a doversi rapportare con i suoi familiari, rassicurandoli e supportandoli in un momento delicato quale quello che stanno vivendo ed è proprio l’infermiere a dover fare da trait d’union tra il bambino e i genitori, da coinvolgere come partner preziosi riguardo ciò che li attenderà da quel momento in avanti. È un ambito in cui l’infermiere si trova a dover garantire al piccolo paziente un benessere che sia fisico, psichico e sociale, trovandosi contemporaneamente anch’egli a fare i conti con quanto tutto ciò sia per lui gravoso, fisicamente e psicologicamente; si trova a dover mobilitare tutte le sue strategie di adattamento, che si ripercuotono a lungo termine anche sul suo stato d’animo. L’infermiere diventa infatti l’interlocutore privilegiato del bambino che affida a lui quelle che sono le sue paure, che vanno quindi accolte, così come la fiducia che ne è alla base per essere poi reindirizzate in termini di voglia di reagire e combattere la malattia, fungendo da raccordo con gli altri professionisti del team multidisciplinare e sviluppando una corretta mentalità palliativa che gli permetta di garantire durante tutto il percorso una buona qualità di vita al piccolo paziente.
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