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COMMENTARIA ET LEXICA GRAECA

IN PAPYRIS REPERTA
(CLGP)
COMMENTARIA ET LEXICA GRAECA
IN PAPYRIS REPERTA
(CLGP)

ediderunt
Guido Bastianini · Daniela Colomo
Michael Haslam · Herwig Maehler
Fausto Montana · Franco Montanari
Cornelia Römer
adiuvante Marco Stroppa

De Gruyter
COMMENTARIA ET LEXICA GRAECA
IN PAPYRIS REPERTA
(CLGP)

PARS I
COMMENTARIA ET LEXICA IN AUCTORES
VOL. 2
CALLIMACHUS – HIPPONAX
FASC. 6
GALENUS – HIPPONAX

De Gruyter
ISBN 978-3-11-058250-5
e-ISBN (PDF) 978-3-11-058576-6

Library of Congress Control Number: 2006482798

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Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen
Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet
über http://dnb.dnb.de abrufbar.
© 2019 Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston
Druck: Hubert & Co. GmbH & Co. KG, Göttingen
www.degruyter.com
Prefazione

La struttura dei volumi I.1 e I.2 dei Commentaria et Lexica Graeca in Papyris
reperta è ora la seguente, a seguito dell’avanzamento delle ricerche sui materiali
relativi agli autori presi in considerazione:

CLGP I.1: AESCHINES-BACCHYLIDES


Fascicolo I.1.1 Aeschines-Alcaeus (2004)
Fascicolo I.1.2 Alcman-Antipho
I.1.2.1 Alcman (2013)
I.1.2.2 Alexis-Anacreon (2016)
I.1.2.3 Andron-Antipho (in preparazione)
Fascicolo I.1.3 Apollonius Rhodius-Aristides (2011)
Fascicolo I.1.4 Aristophanes-Bacchylides (2006; 20122)

CLGP I.2: CALLIMACHUS-HIPPONAX


Fascicolo I.2.1 Callimachus
Fascicolo I.2.2 Cercidas-Cratinus
Fascicolo I.2.3 Demosthenes
Fascicolo I.2.4 Dionysius Thrax-Eupolis
Fascicolo I.2.5 Euripides
Fascicolo I.2.6 Galenus-Hipponax (2018)

Anche per il volume I.2 si è resa necessaria la divisione in più fascicoli.


Viene ora pubblicato il fascicolo I.2.6 Galenus-Hipponax, curato da Daniela
Manetti, Elena Esposito, Fausto Montana, Michael Haslam, Gabriele Burzac-
chini e Anika Nicolosi. La preparazione del fascicolo I.1.2.3 Andron-Antipho
è giunta alla sua fase conclusiva e ne prevediamo la pubblicazione nei primi
mesi del 2019: con questo sarà completato il volume I.1.

Gli Editors
Criteri editoriali

I Commentaria et Lexica Graeca in Papyris reperta (CLGP) sono divisi in quat-


tro parti:
I) Commentaria et Lexica in auctores. Testi papiracei che contengono testi-
monianze dell’esegesi ad autori identificati. Tali testi possono appartenere alle
seguenti tipologie: hypomnemata; hypotheseis; syngrammata; glossari e lessici a
singoli autori; voci di lessici riportabili a un autore; marginalia (scholia e glosse).
Sono stati tralasciati i papiri che presentano segni marginali e varianti senza
che si riscontri alcun commento e quelli di contenuto esclusivamente biogra-
fico, mentre sono inclusi i testi comprensivi di elementi sia esegetici che bio-
grafici. A discrezione del curatore, inoltre, potranno essere considerati altri
materiali di carattere esegetico.
La parte I sarà costituita da quattro volumi, a loro volta suddivisi in fasci-
coli:
1. Aeschines-Bacchylides
2. Callimachus-Hipponax
3. Homerus
4. Hyperides-Xenophon
II) Commentaria in adespota. Testi esegetici riferiti a opere e autori non iden-
tificati, raggruppati secondo il genere letterario del testo commentato (epica,
lirica etc.).
III) Lexica. Prodotti di carattere lessicografico generale (i glossari e i lessici
a singoli autori rientrano nella parte I; non sono compresi i lessici bilingui). Si
osservi che i termini ‘glossario’ e ‘lessico’ non sono usati come sinonimi: il glos-
sario presenta i lemmi nell’ordine in cui compaiono in una determinata opera
di un autore; nei lessici, invece, i lemmi seguono l’ordine alfabetico e possono
essere tratti da autori e opere diversi.
IV) Concordantiae et Indices. Un articolato sistema di riferimenti incrociati
permetterà il reperimento dei materiali secondo diverse “chiavi” di accesso
(per es. le citazioni degli autori e dei grammatici).

In generale nel CLGP i papiri sono disposti per autori commentati, in or-
dine alfabetico secondo la forma latina del nome. Per ogni autore si prevede
un’introduzione generale, quindi l’esame dei papiri che conservano materiali
esegetici relativi alle opere, presentate in ordine alfabetico secondo la forma
Criteri editoriali VII

latina del titolo (quelle non identificate si trovano in fondo); quando questo
criterio non risulta applicabile i testi seguono l’ordine alfabetico per collezione
papirologica.
Un punto interrogativo dopo il numero assegnato a un determinato papiro
contraddistingue, di norma, i reperti attribuiti a un autore in forma dubitativa.
Se nessuna attribuzione risulta accettata dal curatore, il papiro sarà pubblicato
fra i Commentaria in adespota. Se il carattere esegetico dell’opera non è sicuro, il
punto interrogativo seguirà il titolo che identifica il genere dell’opera. Non
sono numerati autonomamente, ma solo descritti in brevi schede, individuate
da una lettera, i frammenti sulla cui natura permangono incertezze radicali.

Le sigle dei papiri sono tratte dalla Checklist of Editions of Greek, Latin, De-
motic and Coptic Papyri, Ostraca and Tablets, Ed. J.F. Oates – R.S. Bagnall – S.J.
Clackson – A.A. O’Brien – J.D. Sosin – T.G. Wilfong – K.A. Worp, BASP Suppl.
9, 20015. Una versione continuamente aggiornata si trova on line all’indirizzo:
http://papyri.info/docs/checklist.
Le riviste sono abbreviate secondo le sigle de L’Année Philologique. Biblio-
graphie critique et analytique de l’antiquité gréco-latine, Paris 1928-.
Per i nomi e le opere degli autori greci si utilizzano le abbreviazioni del Vo-
cabolario della lingua greca di Franco Montanari (= GI, 20133), pp. 15-63: in caso
di autori omonimi ivi diversificati con esponente o di opere indicate con un
numero, si è ricorso ad abbreviazioni perspicue, confrontando il LSJ ed even-
tualmente il Thesaurus Linguae Graecae. Canon of Greek Authors and Works, by L.
Berkowitz-K.A. Squitier, New York-Oxford 19903 (versione on line aggiornata
al sito http://stephanus.tlg.uci.edu). Per le opere e gli scrittori latini si segue
l’Oxford Latin Dictionary, Ed. by P.G.W. Glare, Oxford 20122 (versione on line
aggiornata al sito www.oxfordscholarlyeditions.com/page/abbreviations).
All’inizio di ogni scheda si forniscono una serie di indicazioni così suddi-
vise:
Prov.: Provenit (luogo di ritrovamento, secondo la denominazione latina).
Cons.: Conservatur (luogo di conservazione).
Ed./Edd.: Edidit/Ediderunt (edizioni del testo; le abbreviazioni bibliografiche
che compaiono in questa sezione possono trovarsi anche sotto la voce
Comm.).
Tab./Tabb.: Tabula/Tabulae (indicazioni delle immagini esistenti).
Comm.: Commentationes (numerazione in MP3 e in Pack2, se differente; quindi
il numero di LDAB. Le sigle MP3 e LDAB rimandano ai repertori disponibili
on line, rispettivamente agli indirizzi:

web.philo.ulg.ac.be/cedopal/base-de-donnees-mp3
www.trismegistos.org/ldab.
VIII Criteri editoriali

Segue la bibliografia in ordine cronologico e in forma abbreviata: le indica-


zioni bibliografiche complete si trovano nel Conspectus librorum).

Per ciò che concerne i commentari, dopo un’introduzione sul papiro, si offre
la trascrizione letteraria dell’intero testo con i lemmi in grassetto. Il grassetto
è usato anche per contraddistinguere i lemmi nelle voci di lessico e nelle an-
notazioni marginali. Riguardo a queste ultime, si valuta caso per caso se fornire
la trascrizione sia del testo letterario (a volte solo parziale), sia delle note, ri-
producendo fedelmente la posizione dei marginalia, oppure se indicare unica-
mente il lemma a cui le note marginali stesse si riferiscono.
Se nel papiro vi è iota mutum, nell’edizione del testo viene ascritto; in caso
contrario, nel testo è sottoscritto. Le scritture anomale sul papiro sono riportate
in apparato papirologico e normalizzate nel testo secondo gli usi correnti (ad
es.: nel testo givnomai, in apparato geinomai pap.).
Sono usati i numeri romani per le colonne, i numeri arabi per i righi. Si
adotta la numerazione dei righi per colonne, anche quando nell’edizione di ri-
ferimento compare la numerazione continua.
La traduzione, se presente (vi sono casi in cui il curatore non ha ritenuto
opportuno inserirla), è posta generalmente dopo gli apparati; a discrezione del
curatore può trovarsi anche nelle note di commento.
Le diverse lingue in cui potranno essere scritti i contributi inevitabilmente
determineranno alcune difformità e/o necessari adattamenti redazionali.
Per la citazione del CLGP si utilizzerà il seguente criterio: il nome dell’au-
tore, accompagnato dal numero che contrassegna il papiro, quindi la sigla della
raccolta (ad es. Aeschylus 1 CLGP). Per i rimandi interni si usa il simbolo di
una freccia (⇒) in unione alle indicazioni della parte (in numero romano: ⇒
III, a significare CLGP III Lexica) o del nome dell’autore, cui si aggiunge il nu-
mero identificativo del papiro (ad es. ⇒ Aeschylus 1). All’interno della sezione
su un autore, il richiamo a un papiro della stessa sezione è realizzato con il
solo simbolo ⇒ seguito dal numero.

MARCO STROPPA
Curatori

Galenus
DANIELA MANETTI

Herodotus
ELENA ESPOSITO
FAUSTO MONTANA

Hesiodus
MICHAEL HASLAM

Hippocrates
DANIELA MANETTI

Hipponax
GABRIELE BURZACCHINI
ANIKA NICOLOSI

Gli Editors sono citati in sigla:


GB GUIDO BASTIANINI
DC DANIELA COLOMO
MH MICHAEL HASLAM
HM HERWIG MAEHLER
FaM FAUSTO MONTANA
FM FRANCO MONTANARI
CR CORNELIA RÖMER
Edd. Editores omnes
Revisori dei papiri

or = originale
imm = immagine a stampa o digitale

Galenus 1 Daniela Manetti imm


Galenus 2 Daniela Manetti imm

Herodotus 1 Elena Esposito or


Herodotus 2 Elena Esposito or
Herodotus 3 FaM imm
Herodotus 4 FaM/Raffaella Cribiore or
Herodotus 5 FaM imm
Herodotus 6 FaM/Chiara Meccariello or
Herodotus 7 FaM/DC/Chiara Meccariello or
Herodotus 8 Elena Esposito imm

Hesiodus 1 MH imm
Hesiodus 2 MH imm
Hesiodus 3 MH/DC imm/or
Hesiodus 4 MH imm
Hesiodus 5 MH imm
Hesiodus 6 MH/GB imm/or

Hippocrates 1 Daniela Manetti imm


Hippocrates 2 Daniela Manetti imm
Hippocrates 3 Daniela Manetti imm
Hippocrates 4 Daniela Manetti imm
Hippocrates 5 Daniela Manetti imm
Hippocrates 6 Daniela Manetti imm
Hippocrates 7 Daniela Manetti imm
Hippocrates 8 Daniela Manetti imm
Hippocrates 9 Daniela Manetti imm
Hippocrates 10 Daniela Manetti imm
Hippocrates 11 Daniela Manetti imm
Revisori dei papiri XI

Hippocrates 12 Daniela Manetti imm


Hippocrates 13 Daniela Manetti imm
Hippocrates 14 Daniela Manetti imm
Hippocrates 15 Daniela Manetti imm
Hippocrates 16 Daniela Manetti imm
Hippocrates 17 Daniela Manetti imm
Hippocrates 18 Daniela Manetti imm
Hippocrates 19 Daniela Manetti imm

Hipponax 1 Anika Nicolosi imm


Hipponax 2 Anika Nicolosi imm
Hipponax 3 Anika Nicolosi imm
Hipponax 4 Anika Nicolosi imm

Si ringraziano per la disponibilità in occasione dell’esame degli originali D.


Obbink e D. Colomo (Sackler Library di Oxford).
Siglorum et compendiorum explicatio

ãaaaà litterae coniectura additae


ªaaaº litterae coniectura restitutae
·aaa‚ litterae a librario deletae
(aaa) litterae per compendium a librario omissae
øaaaØ litterae delendae
a≥a≥a≥ litterae valde incertae
ª≤≤≤º numerus litterarum quae perierunt
º≤≤≤ª litterarum vestigia dubia
õaaaÕ litterae ex testimonio alio antiquo allatae
| versus finis

add. addidit, addiderunt


adesp. adespotum, adespota
ad l. ad locum
agn. agnovit, agnoverunt etc.
ap. apud
app. apparato
app. crit. apparato critico
app. pap. apparato papirologico
ca. circa
cet. ceteri
cf. confer
cfr. confronta
cit. citazione
cl. collatus
col., coll. colonna, colonne
coni. coniecit, coniecerunt etc.
comm. commento
del. delevit, deleverunt
Siglorum et compendiorum explicatio XIII

dub. dubitanter
Ead. Eadem
ed., edd. editio/editiones, edidit/ediderunt, editor/editores
ed. pr. editor/editio princeps
e.g. exempli gratia
es. esempio
fin. finis
fort. fortasse
fr., frr. frammento, frammenti
Id. Idem
inf. inferiore
init. initium
inv. inventario
mg. margine
n., nn. nota, note
nr., nrr. numero, numeri
p., pp. pagina, pagine
pap. papiro
p.c. post correctionem
poss. possibile, possis
pot. potius
r., rr. rigo, righi
s., ss. seguente, seguenti
sc. scilicet
sch. scholium, scholia
saec. saeculum
sup. superiore
suppl. supplevit, suppleverunt, etc.
susp. suspicans, suspicatur, suspicantur etc.
s.v., s. vv. sub voce, sub vocibus
tent. tentavit
v., vv. verso, versi
vd. vedi
veri sim. veri simile, verisimiliter
vol. volume
Conspectus librorum

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PARS I
COMMENTARIA ET LEXICA IN AUCTORES

VOL. 2
CALLIMACHUS – HIPPONAX

FASC. 6
GALENUS – HIPPONAX
GALENUS

C’è stato un momento, più di una trentina di anni fa, in cui la scarsità di te-
stimonianze antiche su Galeno ha costituito un argomento nel dibattito sul-
l’attendibilità di quanto Galeno affermava di sé e del proprio prestigio1. La
rivalutazione delle notizie fornite da Galeno coincise temporalmente con un
arricchimento delle testimonianze papiracee della sua opera: a quegli anni in-
fatti risale la editio princeps di un frammento superstite del De placitis Hippocratis
et Platonis2 databile al sec. IIIp e dunque piuttosto vicino alla vita dell’autore.
Un altro testo già noto come adespoto, P.Flor. II 115 ⇒ Hippocr. 1, databile alla
fine del sec. IIIp o all’inizio del IVp, contenente un commento al trattato ippo-
cratico De alimento, fu riedito negli stessi anni e attribuito al commento perduto
di Galeno da D. Manetti.3 Altri pezzi si sono poi aggiunti ma certamente le te-
stimonianze non sono numerose e si concentrano nei secoli V-VIp, quando la
fortuna di Galeno si consolidò e si espanse sia verso il mondo latino occiden-
tale, sia verso oriente attraverso le traduzioni siriache4.
Ad oggi la tradizione papiracea di Galeno è costituita da: P.Münch. 43 +
P.Berol. inv. 21141 = BKT IX 42 (Placit.), sec. IIIp; P.Flor. II 115 ⇒ Hippocr. 1 (In
Hipp. Alim.), sec. III-IVp.; P.Berol. inv. 21178 = BKT IX 81 ⇒ 2 (cit. Nat. Fac.), sec.
IV-Vp; PL III/296C = LDAB 8247 (Comp. Med. Loc.), sec. Vp; P.Ant. III 186 +
P.Ant. III 1395 (Comp. med. gen.) sec. Vp; P.Lond.Lit. 169 + P.Bodl. MS. Gr. Class
g 69(P) = LDAB 1072 (Antid.) sec. VIp; P.Berol. inv. 11739A ⇒ 1 (Prolegomena in
Gal. De sectis), sec. VI-VIIp; Codex Monac. inv. 610,6 (Meth. med.), sec. VII-VIIIp.
Il volume LXXX degli Oxyrhynchus Papyri ha aggiunto altri tre testimoni: 5227
(Loc. aff.), sec. V-VIp, 5228 (excerpta dal De sanitate tuenda), sec. VIp e 5229 (Comm.
in Hipp. Epid. III), sec. VIp.6

1
Scarborough 1981, pp. 1-30, a cui offrì una risposta Nutton 1984, pp. 305-314.
2
Manetti 1986, pp. 97-101.
3
Manetti 1985 e 1995b.
4
Cfr. p. es. Boudon-Millot 2010, pp. 321-364.
5
La proposta di identificazione è in Morelli 2010, pp. 203-207.
6
A questi si possono aggiungere anche P.Oxy. 5230 del sec. III d.C. che riporta una ricetta dal Nar-
thex di Heras citata anche in Gal. Comp. med. gen. (vedi Leith 2014, pp. 38-42) e P.Berol. inv. 16111
(inedito) menzionato da Leith 2014, p. 38.
4 Galenus

Nessuno di questi testimoni reca traccia di un lavoro erudito, grammaticale


o esegetico, a parte P.Berol. inv. 11739A ⇒ 1. Ciò è coerente con il fatto che Ga-
leno diventa fra IV e VI secolo il filtro dell’Ippocratismo e l’autorità di riferi-
mento delle scuole, specie ad Alessandria, in un contesto in cui la filologia,
applicata ai testi medici, è ormai solo un fatto residuale negli studi sugli autori
‘classici’ della disciplina.7 È tuttavia interessante il caso di P.Oxy. LXXX 5228,
che mostra una ricezione selettiva del testo di Galeno, forse adattata a scopi
più pratici8.
P.Berol. inv. 11739A ⇒ 1, unico testimone rilevante per la storia dell’esegesi
galenica, conserva solo l’introduzione al De sectis. È probabile, anche se non
dimostrabile, che i Prolegomena, impostati secondo i criteri argomentativi delle
introduzioni neoplatoniche alla filosofia (vedi infra), fosse un’introduzione ge-
nerale all’opera di Galeno, magari in un piano editoriale che riunisse in uno
stesso codice, nell’ordine del cosiddetto ‘Canone’, le opere del primo gradino
del curriculum di studi galenico ad Alessandria fra V e VII secolo d.C. (De sec-
tis, Ars medica, De pulsibus ad introducendos, Ad Glauconem de methodo medendi).

DANIELA MANETTI

7
Cfr. Manetti 2015, pp. 1197 ss.
8
Leith 2014, pp. 29-32.
1

P.Berol. inv. 11739A saec. VI/VIIp

Prolegomena di un commentario a De sectis

Prov.: Hermupolis.
Cons.: Staatliche Museen zu Berlin, Preußischer Kulturbesitz.
Edd.: NACHMANSON 1925, pp. 204-208; MANETTI 1995a.
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p. 62.

Un foglio quasi intero di un codice papiraceo (P.Berol. inv. 11739A = fr. 1) e


12 frammenti più piccoli raccolti nella stessa cornice (P.Berol. inv. 11739B), pro-
venienti dagli scavi di Hermupolis del 1906/7, contenenti poche tracce, salvo
il fr. 3 e il fr. 8, che sono della stessa mano, ma contengono un’altra opera,
ignota: comunque sembrano far parte dello stesso codice (pubblicati da Ma-
netti 1995a, pp. 25-30).
Il fr. 1, cm 22 × 40 (Turner 1977, p. 14: gruppo 1), contiene una sola colonna
di scrittura per un’area di cm 13 × 27: i margini superiore, inferiore ed esterno
erano pressoché della stessa ampiezza (cm 6,3; 6,7; 6), mentre quello interno è
circa la metà (cm 3), cosicché la colonna risulta spostata a sinistra nel lato A $
e a destra nel lato B %. La colonna del recto contiene 38 righi più 3 del titolo,
quella del verso 42 righi. Nel margine superiore della prima pagina, sopra il ti-
tolo a destra, compare l’indicazione a, che può indicare sia il primo fascicolo
del codice, sia il primo foglio. Il lato A $ mostra l’inizio dell’opera con il titolo
centrato rispetto alla colonna di scrittura, scritto su tre righi e accompagnato
sopra e sotto da trattini ornamentali: fra titolo e testo è lasciata una interlinea
più ampia. La prima lettera del testo è in ekthesis e notevolmente più grande.
La scrittura è una maiuscola inclinata, con accentuato chiaroscuro, databile
fra la fine del VI e gli inizi del VII sec. d.C. (per confronti v. Manetti 1995a, p.
6 Galenus 1

21). La scrittura è stilizzata e si serve dell’abbreviazione della nasale con un


trattino sopra la lettera precedente per mantenere l’allineamento a destra del
rigo: di solito questo accade con fine di parola, ma in A 6 si ha abbreviazione
eô per ej(n)ûdeiknumevnoi‡ e in B 12 si ha kriô per kri'(n)ûai.
Segni di interpunzione e di lettura nel titolo e a B 19; dieresi sopra i e u ini-
ziali. Lo iota mutum non è mai segnalato. La divisione in sillabe segue le regole
consuete salvo in A 7, 25, 42; B 22. Frequenti errori fonetici: più particolari aun
per ou\n in A 26 e outh per au{th in B 4; per errori di copiatura cfr. Nachmanson
1925, pp. 202-203.
Il testo conservato, pubblicato da Nachmanson 1925 e poi riedito da Ma-
netti 1995a, contiene l’inizio dei Prolegomena di un commento al De sectis di Ga-
leno: il titolo, su tre righi, è conservato salvo nella parte che riguarda l’autore
di cui si legge solo arcå˙˙çdou ‡ofi‡tou exhgh‡i‡. Paragonando la formula ai
contemporanei titoli di commentari neoplatonici (Manetti 1995a, pp. 23-24) si
può interpretarla come l’indicazione dell’autore del commento puntuale, men-
tre rimarrebbe non menzionata la paternità dei Prolegomena. Il nome incom-
pleto dell’autore, nonostante i molti tentativi (Manetti 1995a, p. 24), non si
lascia identificare in nessun personaggio noto fra i docenti della scuola di Ales-
sandria, che hanno contribuito alla formazione del canone delle opere di Ga-
leno1.
All’epoca a cui il papiro risale, fra VI e VII secolo d.C., l’omologazione del-
l’insegnamento superiore della medicina e della filosofia era ormai un dato di
fatto e l’esegesi di un autore adottava le stesse procedure2 nelle due discipline.
Il De sectis era la prima opera nel gradino iniziale del curriculum galenico, in-
sieme con Ars medica, De pulsibus ad introducendos, Methodus medendi ad Glau-
conem, e perciò è naturale che fosse preceduta da Prolegomena generali sulla
medicina come techne, strutturati sugli stessi argomenti dei Prolegomena philo-
sophiae: molti i paralleli con i commentari neoplatonici, sia per il riferimento
alla necessità di partire dalla definizione della techne, sulla base delle nozioni
di ‘materia’ (o ‘sostrato’, uJpokeivmenon) e di fine (tevlo‡), sia per confronti fra la
filosofia e le technai3. Non è possibile determinare una datazione precisa sulla
base dello sviluppo dei Prolegomena nei secoli V-VII d.C., perché il testo si in-
terrompe troppo presto (Manetti 1995a, p. 22), tuttavia la struttura della di-
scussione sembra collocare P.Berol. più vicino al modello di Ammonio (V-VI
sec. d.C.), che a quello dei commentatori più tardi (Manetti 1995a, pp. 27-30).

1
Sul canone Lieber 1981, Iskandar 1976; sui personaggi che formarono il canone ancora utili, pur
se da aggiornare, Meyerhof 1930, Temkin 1932, pp. 51 ss. Cfr. anche Garofalo 2003, pp. 203-208.
2
Westerink 1964, Duffy 1983, Wolska-Conus 1992, Roueché 1999, Ieraci Bio 2003.
3
Sullo sviluppo dei Prolegomena agli autori, e in particolare degli octo capitula, Plezia 1949, Richard
1950, Hadot 1987, Mansfeld 1994 (i primi tre capitoli).
P.Berol. inv. 11739A 7

Nella tradizione greco-latina sono conservati altri testi, che hanno strette
affinità fra di loro e con P.Berol.:
— un commento greco frammentario alla prima frase di De sectis attribuito
a un certo Archelao, altrimenti ignoto, nel codice Bon. Gr. 3632 f. 43r4;
— un excerptum greco da un commento di Palladio (VI sec. d.C.) a De sectis
che conserva un’introduzione generale alla medicina e l’inizio del commento
puntuale, conservato in Laur. plut. 74, 11, ff. 200r-211v5;
— una versione latina di un commento a De sectis, preceduto da Prolego-
mena, attribuita dalla subscriptio a un certo Agnello, conservata nel codice
Ambr. G 108 inf., facente parte di una serie di 4 commenti alle opere del primo
gradino del curriculum di Galeno (vedi supra), che risale ad un esemplare co-
piato a Ravenna nel VI secolo d.C.6;
— una versione identica a quella precedente nel Pal. lat. 1090, in cui il com-
mento è però attribuito a Ge(s)sios7;
— un’altra versione latina di un commento a De sectis preceduto da Prole-
gomena, in un gruppo di codici medievali, attribuita a Giovanni Alessandrino,
ma in modo dubbio, e che presenta un testo vicino a quello di Agnello8.
Il fatto che il testo di P.Berol. in un punto sia quasi letteralmente uguale ad
un passo dei Prolegomena di Giovanni Alessandrino dimostra che, anche se at-
testata in codici più tardi, questa versione latina risale a fonti altrettanto antiche
di quelle della versione di Agnello (Manetti 1992 e 1995a), a cui peraltro è molto
vicina.

Fr. 1
A$
a
__ __ __ __ __ __ __ __
prolegovmena touù peri; aiJrev‡ewn
Galhnouù: ¦Arcå˙˙çdou ‡ofi‡touù
__ ejxhvgh‡i‡ : __ __ __

Toi'‡ th'‡ ijatrikh'‡ ejra‡tai'‡ kai; tauv-


5 th‡ ejfiemevnoi‡ tucei'n kai; dia; tou'-

4
Baffioni 1954.
5
Baffioni 1958.
6
Westerink 1981. Sull’identità di Agnello, problema aperto, vedi Palmieri 2001, pp. 237-246 con
bibliografia precedente. Per De sectis Palmieri 1981, 1989.
7
Palmieri 1989, pp. 27-46.
8
Pritchet 1982; cfr. anche Nutton 1991, 511 ss.
8 Galenus 1

to pollh;n ‡poudh;n kai; proqumivan ej(n)-


deiknumevnoi‡ peri; th;n tauvth‡ ka-
tovrqw‡in a[xion prw'ton maqei'n tiv‡ hJ
tauvth‡ fuv‡i‡. e{ka‡ton ga;r tw'n o[n-
10 twn ijdivan th;n fuv‡in e[cei kaq¦ h}n èaä
ajfwvri‡tai kai; perigevgraptai kai;
oiJonei; tw'finÝ a[llwn kecwvri‡tai: oujkou'n
kai; hJ ijatrikh; tw'n o[ntwn ou\‡a fuv-
‡in tina; kai; aujth; oijkeivan ejkthv˚å‡ça˚t˚o˚ h}˚n˚ aj˚-
15 lovgi‡tovn ej‡tin ejpiceirh'‡ai m˚aqei'n
kai; kåaçt˚o˚rqw'‡ai pri;n h] gnw'nai tiv‡ auj-
th'‡ åhJç fåuvç‡i‡: ajlla; tauvthn hJmi'n ouj-
dei;‡ e{tero‡ para‡th'‡ai dunhv‡etai
h] movno‡ oJråi‡çmov‡. tiv gavr ej‡tin oJri‡mov‡Ëï
20 oJri‡mov‡ ej‡t˚åiçn lovgo‡ ‡uvntomo‡ pan-
to;‡ pravgm˚a˚t˚o˚‡ ejkdidav˚‡˚kwn kai; pe-
rigravfwn th;n fuv˚‡˚i˚n. eåi[lhçptai˚ åde;
ou|to‡ ejk tw'n ejn to˚i˚'‡ a[groi‡ kaåtw/ki-
‡mevnwn èmenwnä. ejkei'noi ga;r o{rw/ tin˚i;˚
25 crwvåmeçnoi tou;‡ eJautw'n ajgrou;‡ aj-
p¦ ajl˚ålhvçlwn cwrivzou‡in. tiv m˚åe;nç ou\n
ej‡tin åoJçri‡mo;‡ kai; povqen ei[l˚åhpçtai
kai; o{˚åti dçi¦ aujtou' ta;‡ tw'n pragmavtw(n)
fuv‡åeiç‡ ej‡ti; gignwv‡kein eijrhvkame(n).
30 lamåbavçn˚ontai˚ de; o˚i˚J åoJçr˚i‡moi; ej˚k˚ t˚w'˚n
uJpa˚r˚covntwn˚ tai'‡ tevcnai‡. duv˚o dev ej-
‡tin ta; lambanovmena, to; uJpokeivmenovn
te kaåi;ç to; tevlo‡: kai; uJpokeivmåençon mev(n)
•n¶ ej‡tin ejn w|/ ponou'‡in oiJ ta;‡ åtçe˚vcna‡
35 metiovnte‡, tevlo‡ de; ou| e{nåeçken po-
no˚u˚'‡in. ‡afe;‡ de; to; legovmenon ejpi;
paradeivgmato‡ poihv‡omen: nau-
phgikh; tevcnh ti‡ ou\‡a uJpokeivme-
non me;n e[cei xuvla kai; h{lou‡˚ ka˚i;˚ pivt-
40 tan kaåi;ç o{˚å‡aç toiau'ta kai; peri; tau'ta po-
nei' kai; ejnergei', tevlo‡ de; poih˚'‡˚a˚i˚ p˚l˚o˚åi'ço˚(n)
P.Berol. inv. 11739A 9

B% di¦ ejpimixivan tw'n povlewn i{na eJkav‡-


th kai; ta; leivponta eij‡avghtai kai; ta;
pleonavzonta ejn aujth'/ ejkkomivvzh-
tai. ajll¦ au{th me;n bavnau‡o‡ hJ tevcnh.
5 ejpideivxomen de; aujta; kai; ejpi; logikw'(n)
tecnw'n. hJ grammatikh; uJpokeivme-
na me;n e[cei ojnovmata kai; rJhvmata
kai; aJplw'‡ eijpei'n ta; ojktw; mevrh tou'
lovgou, tevlo‡ de; to;n th'‡ fwnh'‡ eJllhni‡-
10 movn: kai; pavlin hJ rJhtorikh; uJpokeivmena
me;n åe[cçe˚i˚ènä ta; politikav te kai; ijdiwti-
ka; pravgmata, tevlo‡ de; poiåh'‡çai kri'(n)-
ai tou;‡ dika‡tav‡. oJmoivw‡ de; k˚åai;ç hJ fi-
lo‡ofiva hJ pa‡w'n tw'n tecn˚åw'nç mhv-
15 thr uJpokeimevnhn e[cei ka˚i; aujt˚h; ouj
mivan tina; u{lhn w{‡˚p˚e˚r åeJçkav‡tåhç tw'n
tecnw'n, ajlla; pavnta ta; o[˚n˚ta ‡åuçlla-
bou'‡a e[cei, tevlo‡ de; t˚o;˚ oJ˚m˚o˚i˚wqh'nai
q˚e˚w'/˚ kata;˚ t˚åo;ç dunato;˚n ajnqrwvp˚w˚/. ouj-
20 åkou'nç ej˚p˚e˚idh; pa'‡an ejdeivxameånç tev-
cnhn e[cou‡an uJpokåeçivmenåovçn åtçe kai;
tevlo‡, kai; oiJ oJri‡moi; aujt˚w'n åuJp¦ ajçnav-
gkh‡ åh] ejxç eJtevrou touvtwn laåmbavçnon-
tai h] åejk tçou' ‡unamfotevrou, åoi|oçn˚ eja;n
25 bouvlh˚åtaiç th;n grammatikh;n˚ åoJrivç‡a‡-
qai ejk me;n tou' uJpokeimevnou åou{tçw, o{ti
grammatåiçkhv ej‡tin t˚evcnh åperçi; ta; ojk-
tw; m˚e˚vrh tou' lovgou ka˚t˚a˚gigånoçmevnh,
ejk de; tou' tevlou‡ tevcnh th;n åglçw't-
30 tan eJllhnivzein didavå‡kçouå‡ça, kai; pav-
lin hJ rJåhçtorikh; ejk˚ me;n åtçou' uJ˚p˚o˚keimev-
nou oJråivçzetai tevc˚nh peri; t˚a;˚ p˚o˚li-
tika; kai; ijdiwtika; pravgmat˚a˚ k˚ata-
gigno˚mevnh, ejk de; tou' tevlou‡ hJ pei-
35 qou'‡ dhmiourgov‡, ajlla; kai; hJ fåiçlo‡o-
fiva ådçuvo tina;‡ o{rou‡ e[cei, ejk me;n tou'
10 Galenus 1

uJpokeimevnou to;n levgonta o{ti hJ fi-


lo‡ofiva ej‡ti;n gnw'‡i‡ tw'n åo[çntwn h|/

$ 1 ere‡ewn pap. 2 galhnou: pap. 3 exhgh‡i‡: pap. 4 i>atrikh‡ pap. 6 proqumianeô


pap. 10 i>dian pap. 12 oionitwallwn pap. 14 oikian pap. ektåh‡çato hn a ed.
pr. 20 e‡åtçin ed. pr. 22 fåu‡içn ed. pr. 24 ekinoi, orwtini pap. 25 crwåmençoi 26 aun
pap. 28 pragmatwô pap. 29 eirhkame ôpap. 32 upokimenoô pap. 33 upokimå˙˙çonmeô
pap. 34 n≠, enw˚ponou‡in pap. 37 paradigmato‡ pap. 38 upokime pap. 41 p˚l˚o˚å˙ço˚ô pap.
% 1 eina pap. 2 liponta pap. 4 outh pap. 5 epidixomen≠, logikwô pap. 6 upokime
pap. 7 eci pap. 10 upokimena pap. 11 poltgika pap. 12 kriô pap. 19 ka˚tåa tço ed.
pr. anqrwp˚w˚: pap. : anqrwpåoçn ed. pr., Manetti 1995a 20 eçp˚åeçidh ed. pr. 25 gralimmatikhn
pap. 26 upokimeno pap. 31 u˚p˚o˚kime pap. 35 allakw pap. 37 upokimenou
pap. 38 å˙çntwnh pap.
——
$ 2 ¦Arcåimhvçdou vel ¦Arcåwnivçdou ed. pr. in comm., longiora spatio : Baffioni 1954, contra vestigia
: fort. Arcåeaçdou errate pro ¦Arcåelçavou legendum, Manetti 1995a 14 oijkivan ed. pr.
% supplementa sunt editionis principis 11 n del. ed. pr. 25 fort. bouvlh˚åtaiv fiti‡Ýç? Haslam

Introduzione a Sulle scuole di Galeno. Esegesi di Arch[ ].


Per coloro che sono amanti della medicina e desiderano diventare medici e per
questo motivo dimostrano grande sollecitudine e impegno per il suo successo,
è giusto in primo luogo imparare quale sia la sua natura. Infatti ciascuno degli
enti (5) ha una natura peculiare, secondo la quale esso è delimitato e circoscritto
e per così dire separato dagli altri. Dunque anche la medicina, che è fra gli enti,
(10) ha anch’essa una sua propria natura: è assurdo tentare di imparare (15)
ed esercitare pienamente la medicina, prima di conoscere quale è la sua natura.
Ma questa non ce la potrà rivelare nessun altro se non la sola definizione. Cosa
è la definizione (oJri‡mov‡)? (20) La definizione è un discorso sintetico che inse-
gna e circoscrive la natura di ogni cosa. Il termine è desunto da coloro che si
sono stabiliti nelle campagne: quelli infatti usando un confine (o{ro‡) (25) se-
parano gli uni dagli altri i propri campi. Cosa è dunque definizione e da dove
deriva e che è possibile per mezzo di essa conoscere le nature delle cose lo ab-
biamo detto. (30) Le definizioni sono desunte da ciò che appartiene alle technai.
Due sono i criteri che vengono usati: il sostrato e il fine. Il sostrato è ciò in cui
lavorano coloro che coltivano le technai; (35) il fine è ciò in vista del quale la-
vorano. Renderemo chiaro il significato per mezzo di un esempio. L’arte di co-
struire le navi, per il fatto di essere techne, ha come sostrato la legna, i chiodi e
la pece (40) e quante cose simili e su queste opera e produce. Il fine è costruire
una nave ûû per il commercio fra le città, affinché ciascuna da una parte importi
ciò che manca, dall’altra esporti ciò che possiede in eccesso. Ma questa è una
techne manuale. (5) Mostreremo il significato anche nel caso di technai intellet-
tuali. La grammatica ha come sostrati i nomi e i verbi e in generale le otto parti
del discorso, per fine la correttezza della lingua greca. (10) E ancora, la retorica
ha come sostrati i fatti politici e privati, come fine il far giudicare i giudici. Allo
P.Berol. inv. 11739A 11

stesso modo anche la filosofia, che è madre di tutte le technai, (15) ha un so-
strato anch’essa, non una sola materia specifica, come ciascuna delle technai,
bensì ha raccolti insieme tutti gli enti: il suo fine è che l’uomo si assimili a dio
per quanto gli è possibile. Dunque (20) poiché abbiamo dimostrato che ogni
techne ha un sostrato e un fine, anche le loro definizioni sono necessariamente
desunte o da uno di essi o da ambedue. Per esempio, se (25) si vuole definire
la grammatica dal sostrato, è così: “la grammatica è l’arte che riguarda le otto
parti del discorso”, oppure dal fine: “è la techne (30) che insegna a parlare cor-
rettamente greco”; e ancora, la retorica dal sostrato si definisce “techne che ri-
guarda i fatti politici e privati”, dal fine “techne (35) artefice della persuasione”.
Ma anche la filosofia ha due definizioni, dal sostrato quella che dice “la filoso-
fia è conoscenza delle cose che sono in quanto (sono) …”.

Il commento puntuale al testo riprende e aggiorna Manetti 1995a, pp. 35-


38.
A 4-9 Cfr. Amm. In Porph. Isag., CAG IV 3, p. 1, 2-4, e, in particolare, Gio-
vanni in Galeni De sectis 1ra 30-32 “amantes igitur medicinam et desiderantes
eam cognoscere, et propterea multam festinationem et desiderium habentes
circa ipsius rei cognitionem, dignum est prius inquirere que sit eius natura”.
4-5 Per l’uso metaforico del concetto di ‘amante’ (ejra‡thv‡ e simili) cfr. già
Platone Phdr. 228c, Ti. 46d, ma l’espressione diventa comune in autori cristiani,
cfr. Lampe, s.v. A 4; nei commentari neoplatonici vd. Elia In Porph. Isag., CAG
XVIII 1, p. 1, 19; David In Porph. Isag., CAG XVIII 2, p. 1, 4; Amm. in Arist. Cat.,
CAG IV 4, p. 4, 27 sempre con filo‡ofiva. Il verbo ejfivemai trova paralleli in
Amm. In Porph. Isag., CAG IV 3, p. 24, 2 e 5; Elia In Porph. Isag., CAG XVIII 1,
p. 1, 3 ecc.; David In Porph. Isag., CAG XVIII 2, p. 8, 16.
17-22 Passi molto simili in Amm. In Porph. Isag., CAG IV 3, p. 1, 5-7; Elia
In Porph. Isag., CAG XVIII 1, p. 4, 5; David In Porph. Isag., CAG XVIII 2, p. 11,
17 sulla definizione di oJri‡mov‡.
17-26 Il testo del papiro si trova pressoché tradotto in Giovanni, in Galeni
De sectis 1ra 32-38: “sed istam nullus potest nobis ostendere nisi sola diffinitio.
est enim diffinitio sermo adunatus omnium rerum discernens naturam, fines
autem vel distinctiones accipiuntur ab illis qui in agris morantur. Sicut vero
fine aliquo utentes suos agros ad semet ipsos discernunt, sic etiam philosophi
diffinitione communia secernentes rem, quam diffiniunt, ad finem proprium
ducunt”: cfr. Agnello 10, 16-20. Il richiamo ai confini dei campi per l’etimologia
di oJri‡mov‡ è attestato anche in Amm. In Porph. Isag., CAG IV 3, p. 1, 6-10 e David
In Porph. Isag., CAG XVIII 2, p. 15, 12 e anche in prolegomena retorici, p. es. Prol.
Vat. A (Gr.Gr. I 3, p. 108, 12-16, ma tutto risale ad Alessandro di Afrodisia in
Arist. Top. (CAG II 2, p. 41, 24-26).
30-36 Passi paralleli in Amm. In Porph. Isag., CAG IV 3, p. 1, 18-2, 1, Elia
12 Galenus 1

In Porph. Isag., CAG XVIII 1, p. 5, 21-23, David In Porph. Isag., CAG XVIII 2, p.
16, 14-19.
A 31-B 4 Cfr. Giovanni in Galeni De sectis 1ra 38-44: “in fine autem duo que-
dam sunt, scilicet subiacentia et perfectio. subiacentia est in qua omnes, qui vo-
lunt artem suam exercere, laborant; perfectio autem quando perficitur opus, ut
nautica ars subiacentia habet ligna acutos picem et stupam et hiis similia, et
circa hec laborat et operatur perfectionem quando perficitur navis ut, quod una
civitas plus habet, ad aliam deferat indigentem; sed ista ars opifica est”.
36-37 L’uso degli esempi fa parte dell’impostazione scolastica di questi
scritti, cfr. David In Porph. Isag., CAG XVIII 2, p. 3, 19-20; 11, 21 ecc. Comincia
qui una serie di esemplificazioni tratte da altre technai, tutte con paralleli neo-
platonici, anche se in ordine variato: per la grammatica cfr. Agnello, 14, 6-9;
Elia In Porph. Isag., CAG XVIII 1, p. 5, 23-31; per la retorica Agnello 14, 9-12;
Elia ibid. 5, 24-27; per la filosofia vedi infra.
37-41 L’esempio della costruzione delle navi si ritrova in Agnello 6, 10-
12. Anche David lo usa, ma dopo aver citato architettura, astronomia e filosofia
(In Porph. Isag., CAG XVIII 2, p. 21, 29-22, 2).
B 1 ss. L’identificazione del fine della nautica nel permettere il commercio,
inteso come scambio fra chi ha beni in eccesso e chi invece ne manca, non ha
paralleli neoplatonici, ma ha la sua origine probabilmente in Plat. Resp. II 370d
ss. e Aristot. Pol. 1256b40-1257a42.
6-38 Ancora una volta il testo di Giovanni in Galeni De sectis (1ra 45-1rb
17) è molto vicino al testo del papiro e sembra presupporre un modello co-
mune.
13-15 La filosofia come madre di tutte le technai e di tutte le scienze: cfr.
Amm. In Porph. Isag., CAG IV 3, p. 6, 27 che rimanda a Aristotele; David In
Porph. Isag., CAG XVIII 2, p. 8, 24-28 e 9, 7-11 ecc.; Agnello 14, 13-17 e 16, 31-
32. Manetti 1995a, p. 37.
15-19 Tutti gli enti costituiscono il substrato della filosofia, cfr. Amm. In
Porph. Isag., CAG IV 3, p. 2, 12-15; Elia In Porph. Isag., CAG XVIII 1, p. 6, 27;
David In Porph. Isag., CAG XVIII 2, p. 16, 23-24. La definizione del fine della
filosofia, come assimilazione dell’uomo al dio per quanto possibile, deriva da
Plat. Tht. 176b1-2: la frase platonica, interpretata come la definizione del telos
dell’uomo secondo Platone, ha avuto una larga fortuna, ma nei commentari
neoplatonici costituisce una delle sei definizioni della filosofia ricorrenti nei
prolegomena: cfr. p. es. Amm. In Porph. Isag. CAG IV 3, p. 3, 7-9; Elia In Porph.
Isag. CAG XVIII 1, p. 8, 10; David In Porph. Isag. CAG XVIII 2, p. 34, 16; Manetti
1995a, p. 38. La nuova lettura ajnqrwvpw/ avvicina il papiro al testo di Giovanni
(1rb 17-22) che fornisce l’interpretazione tradizionale dell’espressione “se-
condo la possibilità dell’uomo”.
34-35 La definizione della retorica, sulla base del fine, come ‘artefice della
P.Berol. inv. 11739A 13

persuasione’ trova paralleli in David (CAG XVIII 2, p. 20, 5-7) e Elia (CAG
XVIII 1, p. 5, 24-27), ma risale a Plat. Grg. 453a. Nel commento di Giovanni (ci-
tato sopra) si attribuisce alla retorica, contro il papiro, un fine specificamente
giudiziario: “rethorica ... ‘ex perfectione ut adducat iudicem et iudicet ad quod
ipse voluerit’ ”, cfr. B 12-13.
35-38 La filosofia come ‘conoscenza degli enti’ è una delle sei definizioni
canoniche nella scuola neoplatonica, cfr. Amm. in Porph. Isag. CAG IV 3, p. 2,
22 “filo‡ofiva ej‡ti; gnw'‡i‡ tw'n o[ntwn h|/ o[nta ej‡tiv”. to; h|/ ajnti; tou' kaqo; o[nta ej‡tiv.
Questa volta il testo di Giovanni, 1rb 14-16, dà una definizione un po’ diffe-
rente dal papiro, anche se risale anch’essa a Ammonio (ibid. p. 3, 1), cfr. Manetti
1992, p. 232.

DANIELA MANETTI
2

P.Berol. inv. 21178 saec. IV/Vp

Citazione/parafrasi di De naturalibus facultatibus I 2

Prov.: Fayum ?
Cons.: Berlin, Ägyptisches Museum und Papyrussammlung.
Edd.: BKT IX, pp. 108-109, nr. 81; HANSON 1998, pp. 156-157; HANSON 2001, pp. 101-106.
Tab.: BKT IX, pl. 37; HANSON 1998, Ill. 5; HANSON 2001, IX; CPF IV.2 (2008), fig. 37;
http://berlpap.smb.museum.
Comm.: MP3 456.01; LDAB 1071 HANSON 1985, 40 n. 38; ANDORLINI 1993, nr. 5; IERACI
BIO 1993, p. 19; HANSON 1997b, p. 162; HANSON 1998, 154-159; HANSON 2001, pp. 104-
106; POETHKE 2002, p. 181; HANSON 2008, pp. 48-50.

Tre frammenti di un codice di papiro con resti di scrittura (ma A% è bianco)


dal tratto spesso e sbavato. Non restano tracce di margini laterali; il margine
inferiore è forse percepibile al di sotto del r. 9 di A$, ma molte fibre sono sal-
tate. Il papiro è di acquisto, ma potrebbe provenire dal Fayum (Hanson 1985,
p. 40 n. 38: “housed with other papyri whose origin is the Fayum”). La mano,
professionale, di difficile datazione, trova confronti con documenti assegnati
al tardo IV o al V secolo d.C. (confronti dettagliati in Hanson 2008, p. 49).
I frammenti conservano resti di un testo medico ignoto, difficilmente rico-
struibile, in cui Ann Hanson ha identificato la citazione di Galeno, De natura-
libus facultatibus I 2 (Galeni Scripta minora, III, ed. G. Helmreich, Leipzig, BT
1893, 102, 1-4,) in B$ 1-4: il frammentino è mutilo da tutti i lati e conserva
poche lettere centrali sul rigo. Il contesto è oscuro ma l’identificazione della ci-
tazione galenica è probabile.

B$
‡çafw' ‡ ˚ å e{ k a‡ton tw' n oj n omav t wn oi| ‡ û 2 crhç‡˚ o v m eqa åkata; tov n de to; n lov g on
kai; ej f ¦ û 3 o{ t iç fev r omeån pra' g ma. genhv ‡ etai de; tou' t ¦ euj q u; ‡ û4 çn˚ fuv‡i‡ ˙
å û5 çforou˚n˚t˚å û6 ç‡wndeå û7 çp˚a˚n˚d˚e˚å

5 çf˚ononå ed. pr. 6 çtw˚n de˙å ed. pr. 7 çt˚o˚n˚ d˚eå ed. pr.
——
3 post pra'gma add. tou[noma L
P.Berol. inv. 21178 15

(Prima bisogna distinguere e spiegare) con chiarezza ciascuno dei termini che
useremo in questo discorso e a quali cose li applichiamo. E questo sarà su-
bito … natura …

Dopo il testo riportato a r. 3 del papiro il testo di Galeno nella paradosi me-
dievale così prosegue: genhv‡etai de; tou't¦ eujqu;‡ e[rgwn fu‡ikw'n dida‡kaliva ‡u;n
tai'‡ tw'n ojnomavtwn ejxhghv‡e‡in. o{tan ou\n ti ‡w'ma kata; mhde;n ejxallavtthtai tw'n
uJparcovntwn ktl ed è quindi divergente dalle tracce çn˚ fuv‡i‡ ˙å di r. 4 e da quelle
dei righi seguenti. Se le corrispondenze riscontrate nei rr. 1-3 non sono casuali,
può trattarsi di una parafrasi o di una rielaborazione.

DANIELA MANETTI
HERODOTUS

La documentazione di un’attività critico-esegetica antica sul testo delle Sto-


1
rie inizia in modo per noi fortunato e spettacolare con un testimone della tra-
dizione diretta, la porzione estrema dell’hypomnema P.Amh. II 12 (⇒ 4), del IIIp,
che la subscriptio qualifica come “commentario di Aristarco al libro I di Ero-
doto”. Grazie soprattutto a questo reperto abbiamo motivo di credere che la
stagione aurea della filologia alessandrina, nella prima metà del IIa, nutrisse
un interesse per il testo e l’interpretazione di opere in prosa e, nello specifico,
dell’opera erodotea2. Dall’hypomnema ricaviamo che al tempo di Aristarco per-
lomeno il primo libro delle Storie aveva la stessa estensione che ha pure nei
manoscritti medievali (è noto che la divisione dell’opera preferita dagli Ales-
sandrini non si impose universalmente: mentre Diodoro Siculo la segue, Pau-
sania cita passi di Erodoto con rimando a lovgoi e sezioni tematiche)3. Tra le
peculiarità del commentario, almeno nella sua facies attuale, vi è l’accostamento
a passi delle Storie di paralleli tratti dalla poesia contemporanea (Sofocle) e
dall’epos eroico (omerico). Il confronto di Erodoto con Omero diventerà cano-
nico nella ricezione ellenistica e posteriore dello storico4. Questo tipo di raf-

1
La bibliografia essenziale include Jacoby 1913, coll. 513-515; Rosén 1962, pp. 211, 217-234; Dickey
2007, pp. 53-54; Matijašić 2013, p. 220 con la n. 17; Montanari 2013, pp. 3-18; Wilson 2015b, pp.
XXI-XXII; Matijašić 2018, passim.
2
Per una sintesi della questione: Montana 2015b, pp. 94-97, con bibliografia precedente. Sui dubbi
sollevati sulla paternità aristarchea dell’hypomnema vd. l’introduzione al papiro.
3
Diod. XI 37, 6 tw'n de; ‡uggrafevwn ŞHrovdoto‡ ajrxavmeno‡ pro; tw'n Trwikw'n crovnwn gevgrafe koina;‡
‡cedovn ti ta;‡ th'‡ oijkoumevnh‡ pravxei‡ ejn bivbloi‡ ejnneva. Paus. e.g. III 2, 3 ejn tw/' lovgw/ tw/' eij‡ Kroi'‡on;
III 25, 7 ejn th/' Ludiva/ ‡uggrafh/.' Dopo la subscriptio dell’hypomnema aristarcheo, la più antica citazione
delle Storie con preciso rimando a un libro, il II, è nella Cronaca di Lindo del 99 a.C. (FGrHist 532
C 29, 38-39, riferimento a Storie II 182, 1). In Luciano (De hist. conscr. 42; Herod. 1) leggiamo le più
antiche attestazioni della designazione dei nove libri con i nomi delle Muse. Legrand 1942, p. 226;
Baldwin 1984, pp. 31-33.
4
In col. II 3-10, Aristarco accosta la tecnica militare equestre dei Massageti descritta nelle Storie
all’assetto di battaglia degli eroi dell’epos. Nell’iscrizione in distici da Alicarnasso del II/Ia (Isager
1998), al r. 43 lo storico è definito to;n pezo;n ejn iJ‡torivai‡in õOmhron, “l’Omero in prosa nel campo
della storiografia”; per il conterraneo Dionigi di Alicarnasso, Erodoto “volle comporre la propria
opera in modo variegato, perché era un ammiratore di Omero” (Pomp. 3, 16 poikivlhn ejboulhvqh
poih'‡ai th;n grafh;n ŞOmhvrou zhlwth;‡ genovmeno‡); in Subl. 13, 3 lo storico è qualificato ŞOmhrikwvtato‡;
per Filemone, vd. oltre nel testo. Cfr. Rosén 1962, p. 233; Pfeiffer 1968, p. 224; Boedeker 2002; Ma-
rincola 2006, pp. 13-14 con le nn. 8-9; Pelling 2006; Rengakos 2006; Kazanskaya 2014; Berruecos
18 Herodotus

fronti suggerisce che la comparazione di opere della poesia e della prosa ai di-
versi piani della lingua, dello stile e del contenuto sia stata tra i fattori fecon-
danti della filologia alessandrina sui prosatori, notoriamente sorta assai più
tardi rispetto alla filologia sui poeti5.
Resta una supposizione che Aristarco abbia commentato anche il secondo
libro delle Storie6. L’ipotesi è suggestiva, perché fa assaporare possibili impli-
cazioni culturali e ideologiche di un eventuale commentario alessandrino al
grande affresco erodoteo della civiltà egizia7.
Un passo del secondo libro (II 171, 2) era l’oggetto di un intervento di anag-
nosis (‘lettura’, nel senso di divisione di parole) da parte di un contemporaneo
e avversario di Aristarco, il grammatico chorizon Ellanico, riferito in uno scolio
al Filottete di Sofocle (v. 201, p. 357 P.; Hellanic. fr. 5 M.; cfr. Sud. e 3753 A.). Il
fatto che nel testimone l’opinione di Ellanico sia messa in relazione con uno
stilema sofocleo potrebbe non essere un puro caso, ma rispondere a un’idea
critica corrente sui modelli linguistico-culturali di Erodoto. Omero e la poesia
tragica di Sofocle, come si è appena ricordato, erano contemplati da Aristarco
nel proprio orizzonte esegetico nel commentare le Storie8.
Mentre la possibilità che Didimo Calcentero, in età augustea, abbia realiz-
zato un proprio hypomnema alle Storie si inscrive nel campo delle pure ipotesi9,

Frank 2015. Sulla ricezione postclassica di Erodoto: Murray 1972, specialmente pp. 202-204; Horn-
blower 2006, pp. 312-316; Priestley 2014; Priestley-Zali 2016.
5
Rosén 1962, p. 231; Pfeiffer 1968, p. 224 con la n. 6; Montana 2009b, pp. 166-170; Montana 2012b,
pp. 25-26, 53; Montana 2015b, pp. 95-97 e 138-140.
6
Matijašić 2013, sulla base di St.Byz. m 269 B. Mwvmemfi‡: povli‡ Aijguvptou. ŞHrovdoto‡ deutevra/ (II 163,
2 dat. -fi; II 169, 1 acc. -fin). klivnetai Mwmevmfew‡, wJ‡ ¦Ariv‡tarco‡; cfr. Montanari 2013, p. 5; Mon-
tanari 2016, p. 74 n. 2; Matijašić 2018, p. 151 con la n. 135. È tuttavia possibile che le due parti della
spiegazione presente negli Ethnica derivino da fonti distinte: vd. l’introduzione a P.Amh. II 12 (⇒
4) e Montana 2016.
7
L’esistenza di un’ekdosis aristarchea delle Storie era ritenuta verosimile da Jacoby 1913, col. 515,
e sicura da Hemmerdinger 1981, pp. 154-164 e 176. L’argomento ritenuto decisivo da Hemmer-
dinger (pp. 155-156), e cioè la presenza di due presunte lezioni di Aristarco nel commentario
P.Amh. II 12, è definitivamente superato (pace West 2011, p. 79; Priestly 2014, pp. 224-225; Wilson
2015a, p. 126 apparato; Wilson 2015b, pp. XXI, 24) da quando si è appurato che l’unica lezione
eventualmente determinante delle due (I 215, 1 a{mippoi contro a[nippoi dei mss. medievali) non
ricade nel commento ma è ricompresa nel lemma e pertiene dunque alla paradosis ricevuta dal
commentatore (Vannini 2009). L’altra presunta lezione aristarchea nel commentario (I 215, 2 ‡idhvrw/
de; oujd¦ ajrguvrw/ cråw'çntai, lemma al termine del quale manca oujdevn presente invece nella paradosis
medievale) può spiegarsi facilmente come omissione non intenzionale ma erronea, intervenuta
nella tradizione del commentario (così anche West 2011, p. 79). La mancanza di notizie esplicite
circa un’ekdosis aristarchea di Erodoto è rimarcata, fra gli altri, da Pfeiffer 1968, p. 225 con la n. 3.
8
Questo il testo del frammento di Ellanico secondo lo scolio al Filottete: εὔ‡τομ᾽ ἔχε παῖ· eijwvqa‡in
ou{tw levgein ajnti; tou' “‡iwvpa”: to; de; toiou'ton keciva‡tai o{ti ŞEllavnikov‡ pote ajnaginwv‡kwn ta; ŞHro-
dovtou e[legen “peri; de; tw'nde moi eu[‡toma keiv‡qw” ouj diairw'n eij‡ duvo levxei‡ ajll¦ wJ‡ a[n ti‡ ei[poi tau'ta
“eu[‡toma”. Cfr. Montanari 1988, p. 52.
9
Un parere del grammatico è citato nel commentario P.Oxy. LXV 4455 (⇒ 7), col. I 13, a quanto
Herodotus 19

abbiamo invece positiva notizia di un’attività sul testo di Erodoto per il secolo
iniziale della nostra era. L’atticista Didimo Claudio (se non invece, come qual-
cuno sospetta, proprio il Calcentero10) nel Peri; th'‡ para; ŞRwmaivoi‡ ajnalogiva‡
sosteneva la formazione analogica della lingua latina su quella greca, in parti-
colare nelle sue varianti ionica e attica; e, tra gli esempi che portava, metteva
a confronto il sostantivo latino sestertius < semis tertius con l’espressione h{mi‡u
trivton usuale in ionico-attico nel significato di duvo h{mi‡u, adducendo come pa-
rallelo Storie I 50, 3 ‡taqmo;n e{bdomon hJmitavlanton e II 106 pevmpthn ‡piqamhvn
(Did.Chalc. frr. 4-5 Sch. = frr. 4-5 F., rispettivamente in Prisc. De fig. num. pp.
13, 25-14, 4 e 17, 17-18, 1 P.)11. Alla stessa epoca o poco più tardi devono risalire
i commenti a Erodoto composti da un Ireneo, che alcuni identificano con l’at-
ticista Minucio Pacato Ireneo12, e dal retore Erone di Atene figlio di Kotys, au-
tore di commenti anche a Tucidide e Senofonte13.
Alla corte degli Antonini, e nel cuore stesso del loro progetto culturale, ci
introduce la figura di Alessandro, nato a Cotieo in Frigia (ca. 70/80-150 d.C.),
che ebbe tra i suoi allievi Elio Aristide (cfr. la sua orazione 12 D. = 32 K.: Alex.
Cot. test. 1 D.) e fu scelto da Antonino Pio come precettore dei propri figli adot-
tivi Lucio Vero e Marco Aurelio (cfr. Pensieri I 10: Alex. Cot. test. 2 D.)14. Porfirio
nel libro I delle Quaestiones Homericae (I 8, p. 286, 19 ss. Schrader = p. 35, 9 ss.
Sodano: Alex. Cot. fr. 15 D.) riporta un lungo estratto dai ’uvmmikta peri; ŞHro-
doteivou diorqwvmato‡ del lessicografo atticista Filemone (circa 200 d.C.)15, nel
quale questi difendeva la paradosi delle Storie opponendosi a una correzione
di Alessandro (qualificato dapprima come qerapeuvwn del passo erodoteo in
questione, poi come to;n diorqwthvn). Il passo discusso era Storie I 92, 2. Qui
Alessandro correggeva ejn Bragcivdh/‡i th/‡' i Milh‡ivwn con ejn Bragcivdh/‡i th'‡ Mil-
h‡ivwn (sc. cwvrh‡/gh'‡), ritenendo inaccettabile un uso di Bragcivdai al femminile
e giudicando perciò l’articolo th/'‡i una corruttela (grafiko;n aJmavrthma, ‘errore

pare a proposito di un dato fattuale riportato in Storie V 52, 2. Vd. l’introduzione al papiro e il
commento ad l.
10
Sul problema: Montanari 1997a, 1997b; Braswell 2013, pp. 90-92 nr. 50; Montana 2015c.
11
Schmidt 1854, pp. 347-349; cfr. Braswell 2013, pp. 91-92.
12
Fr. 16 Haupt Eijrhnai'o‡ de; ejn tw'/ ŞUpomnhvmati eij‡ ŞHrovdoton, citato da Claudio Casilone (vd. Uc-
ciardello 2006) per una spiegazione del termine a[ggaro‡ (in Hdt. VIII 98, 2 è attestato ajggarhvion;
la stessa forma è varia lectio in III 126, 2, forse generata da una glossa proveniente da Ireneo e poi
intrusa nel testo: Miletti 2006-2007). Su Minucio Pacato Ireneo e sul problema dell’identificazione
con il commentatore di Erodoto vd. Regali 2007; Matthaios 2015, p. 240 n. 261.
13
Cfr. Sud. h 552 Adler; Kroll 1912; Matthaios 2015, p. 246.
14
Testimonianze e frammenti di Alessandro: Dyck 1991; Alpers 1998. Su Alessandro negli scolii
omerici: Erbse 1960, pp. 36, 53-54, 96-98. Profili: Montanari 1996; Montana 2005; Matthaios 2015,
pp. 238-239; Montana 2018.
15
I frammenti lessicografici di Filemone sono editi da Reitzenstein 1897, pp. 392-396; Cohn 1898.
Per l’identificazione dell’autore dei ’uvmmikta con l’atticista: Cohn 1898, pp. 363-366. Recente sin-
tesi in Ucciardello 2007.
20 Herodotus

di scrittura’). Filemone ammetteva di avere nutrito la medesima perplessità,


prima di essersi imbattuto in Storie II 159, 3 ajnevqhken eij‡ Bragcivda‡ ta;‡ Mil-
h‡ivwn: qui – osservava Filemone – l’espressione è kata; th;n aijtiatikh;n ptw'‡in,
cioè, si deve intendere, è immune dalle ambiguità e dalle corruttele grafiche
che possono prodursi o essere sospettate riguardo a forme ioniche come l’ar-
ticolo al dativo femminile plurale th/‡' i. Il grammatico concludeva giustificando
questo comportamento linguistico come un ¦Iwniko;n ... ijdivwma, cioè la prefe-
renza degli Ioni per il genere femminile dei nomi; e pertanto, diversamente da
Alessandro, lasciava intatto il passo erodoteo. Al di là del contesto, della con-
sistenza e dell’ampiezza dell’attività diortotica condotta da Alessandro e da
Filemone sulle Storie, che purtroppo ci sono ignoti, questa discussione tecnica
su un problema testuale circoscritto suona come un esempio delle questioni
di natura dialettologica (definire la correttezza linguistica dello ionico) ed ec-
dotica (fare i conti con gli errori degli scribi) che dovevano impegnare lettori
cólti e grammatici del tempo. Se da un lato possiamo supporre, infatti, che le
osservazioni di Alessandro non fossero estranee ma strettamente collegate ai
suoi documentati interessi e alle sue competenze di omerista16, dall’altro File-
mone nei ’uvmmikta muoveva dalla prospettiva complementare (leggere Ero-
doto alla luce di Omero) e metteva a frutto la celebrata “omericità” delle Storie
in funzione sia ecdotica sia esegetica. La testimonianza porfiriana è chiara in
proposito, in quanto esordisce osservando che ejn toi'‡ Filhvmono‡ ‡ummivktoi‡
peri; ŞHrodoteivou diorqwvmato‡ oJ grammatiko;‡ dialegovmeno‡ peira'tai kai; ŞOmhrikav
tina ‡afhnivzein17 – un’affermazione che, sulla ‘bocca’ di Porfirio, non può non
suonare come una sorta di õOmhron ejx ŞHrodovtou ‡afhnivzein (e viceversa)18.

16
Erbse 1960, pp. 53-54, non ravvede la necessità di stabilire questa connessione; ma vd. la n. se-
guente.
17
Il passo porfiriano contiene una considerazione sulle corruttele che inficiano la qualità testuale
sia delle opere degli storici, sia dei poemi omerici, seguita da un’esemplificazione di errori in te-
stimoni del testo omerico: tou'to [sc. il passo sospetto in Storie I 92, 2] dh; qerapeuvwn ti‡ [sc. Ales-
sandro] oujc ŞHrodovtou fh‡i;n aJmavrthma gegonevnai, ma'llon de; to;n ‡uggrafeva [corr. grafeva? Schrader]
fh‡i; diamartei'n parembalovnta to; ‡ôiô, polla; de; fevre‡qai mevcri nu'n aJmarthvmata kata; th;n ŞHrodovtou
‡uggrafh;n kai; e[ti th;n Qoukudivdou kai; Filiv‡tou kai; tw'n a[llwn ajxiolovgwn ‡uggrafevwn. tiv d¦ oujci;
kai; ta; poihvmata ‡cedo;n ajnavplew pavnta tugcavnei aJmarthmavtwn grafikw'n kai; tw'n a[llwn paradior-
qwmavtwn pavnu ajgroivkwnï (seguono gli esempi omerici). Dall’articolazione sintattica si ricava che
la riflessione, almeno nella sua parte iniziale sulla tradizione degli storici (polla; de; fevre‡qai–
‡uggrafevwn) se non integralmente, appartiene ancora ad Alessandro. Ad ogni modo, il fatto che
prima Filemone e poi Porfirio la riportino testimonia che questa visione critica era comune e con-
divisa.
18
Si ricordi che dobbiamo alla testimonianza di Porfirio il precetto õOmhron ejx ŞOmhvrou ‡afhnivzein,
di concezione aristarchea (QH I 11, p. 297, 16 Schrader = p. 56, 3-4 Sodano; cfr. l’incipit dell’epistola
prefatoria del libro I indirizzata ad Anatolio, p. 281, 2-3 Schrader = p. 1, 12-14 Sodano). Per il di-
battito sulla paternità dell’espressione vd. Montanari 1997c, p. 51 n. 282.
Herodotus 21

Non sorprende che lo stesso Porfirio, pur dichiarando di non voler entrare nel
merito della discussione sul passo erodoteo19, trovasse congruo darle ampio
spazio nella propria opera per esemplificare il tipo di problemi posti anche
dalla tradizione omerica20.
Al tempo di Porfirio, nel III secolo, in Egitto circolavano copie di hypomne-
mata come quello ricordato di ascendenza aristarchea (P.Amh. II 12) e inoltre
P.Oxy. LXV 4455 (⇒ 7; resta una porzione inerente a Storie V 52-55). I due re-
perti sono accomunati dalla scrittura in stile severo, una koine grafica del pe-
riodo21 che da sola non consentirebbe di stabilire connessioni privilegiate, se
non fosse che i due hypomnemata sono comparabili anche per un altro aspetto,
cioè l’indole cólta di marca filologica. Nei resti del commentario ossirinchita
questa qualità è rintracciabile sia nell’impegno critico applicato ai dati forniti
da Erodoto circa la lunghezza della Strada del Re fra Sardi e Susa (Storie V 52-
55), sia nella citazione di un parere di Didimo Calcentero (col. I 13)22. Nel qua-
dro documentario complessivo alquanto avaro dell’esegesi a Erodoto, la
sopravvivenza di ben due hypomnemata dai tratti piuttosto specializzati, pro-
venienti da centri diversi dell’Egitto ellenizzato del IIIp, difficilmente può es-
sere frutto del caso, ma verosimilmente attesta che rispetto all’opera erodotea
esisteva all’epoca una domanda culturale di carattere settoriale e di livello piut-
tosto elevato. Il dato contribuisce a delineare la sfaccettata ricezione delle Storie
in un’epoca caratterizzata, da un lato, dal revival della lettura dell’opera e,
dall’altro, dal sorgere di una pubblicistica e di una storiografia d’impronta
“erodotea” sotto l’impulso della propaganda romana imperiale, interessata a
diffondere un’immagine dei Parti come i Persiani dei tempi attuali23.
Niente sappiamo del sophistes Sallustio, vissuto probabilmente fra il IVp e
il VIp, a parte il fatto che fu autore di commentari a Demostene e a Erodoto
(Sud. ‡ 60 Adler) e di hypotheseis di drammi di Sofocle di tenore scolastico24.
I lessici bizantini conservano ampia memoria della riflessione linguistica e
dialettologica antica sul testo delle Storie. La documentazione permette di trac-
ciare le grandi linee della campionatura lessicografica dell’opera erodotea

19
Porfirio commenta l’excerptum con queste parole: toiau'ta de; tou' Filhvmono‡ levgonto‡, a} me;n pro;‡
¦Alevxandron peri; tou' ŞHrodoteivou diorqwvmato‡ ei[rhken, oujk oijkei'on krivnw th/' parouv‡h/ uJpoqev‡ei ejxe-
tavzein. Dopodiché si concentra su uno degli esempi omerici addotti (Il. XV 680).
20
Per un’analisi più dettagliata della testimonianza porfiriana vd. Montana 2018.
21
Su caratteristiche ed evoluzione dello stile severo: Del Corso 2006, pp. 99-100; Cavallo 2008, pp.
105-116.
22
Vd. supra, n. 9.
23
Hornblower 2006, p. 316, ricorda in tale prospettiva l’¦Indikhv di Arriano e il De dea Syra di Lu-
ciano, e inoltre il De Herodoti malignitate di Plutarco. Il tentativo plutarcheo di screditare le Storie,
fra l’altro smascherandone la presunta attitudine filopersiana (cfr. Hershbell 1993), ben si inserisce
nel contesto di un ritorno d’interesse per l’opera di Erodoto.
24
Ucciardello 2005; Meccariello 2014, pp. 13-15.
22 Herodotus

lungo l’intero arco cronologico e culturale che – per limitarci ad alcuni pas-
saggi-chiave – muove a quanto pare dalle Lexeis di Aristofane di Bisanzio25,
entra nella riflessione linguistico-etimologica e dialettologica di Filosseno (Ia)26,
supera la strettoia della codificazione atticista27 e infine approda oltre l’anti-
chità agli scritti Peri; ¦Iavdo‡ di Gregorio di Corinto e Manuele Moscopulo28.
Non è possibile soffermarsi qui in dettaglio su questo lungo itinerario, salvo
ricordare che uno dei suoi capitoli terminali è rappresentato dalla raccolta ano-
nima di Lexeis trasmessa in manoscritti medievali, che elenca parole erodotee
e relative spiegazioni con criterio glossografico, cioè presentando le glosse se-
condo l’ordine in cui esse compaiono nelle Storie (Lexeis A). Una redazione po-
steriore, leggermente più ricca e testimoniata da un maggior numero di
manoscritti, ridistribuisce il medesimo materiale in ordine alfabetico secondo
la lettera iniziale delle glosse (Lexeis B)29. Datazione e origine delle due raccolte
sono ignote; i pochi riscontri possibili escludono la loro derivazione dalla
¦Exhvgh‡i‡ tw'n ŞHrodovtou glw‡‡w'n composta forse al principio dell’era cristiana
da un Apollonio30. Benché nelle Lexeis non manchino indizi di un utilizzo di

25
Ar.Byz. fr. 277 Slater fa riferimento all’attestazione di patrou'co‡ in Erodoto (VI 57, 4). Non faceva
parte invece delle Levxei‡ di Aristofane (come riteneva Nauck 1848, p. 163, su cui deve basarsi
Pfeiffer 1968, p. 197), ma era lo scritto di Suetonio, il Peri; bla‡fhmiw'n contenente la glossa ajggar-
hvion con rimando a Erodoto (VIII 98, 2): Taillardat 1967, p. 59, 24-27; cfr. Miller 1868, p. 422, 12-13.
Cfr. supra, n. 12.
26
Peri; mono‡ullavbwn rJhmavtwn, frr. *79b e 173 (cfr. Orion Et. p. 149, 7-12 S.) e fr. dub. **652 Th.;
Peri; th'‡ ¦Iavdo‡ dialevktou, frr. 301 (cfr. Orion Et. p. 121, 21-30 S.) e 339 Theodoridis.
27
Erodoto come modello dello ionico letterario: Dion.Hal. Pomp. 3, 16 (vd. supra, n. 4). Erodoto
come termine di confronto con l’attico nella lessicografia atticista: e.g. att. qrualliv‡ vs erodoteo
ejlluvcnion (II 62, 1) in Phryn. Ecl. 134 e 404 F.; Moer. q 12 H.; cfr. Antiatt. e 83 V.; Philem. p. 394, 36
R.; Hsch. q 784 L.; S q 115 C. (dal lessico di Cirillo); Phot. Lex. e 653 Th. Comportamenti linguistici
comuni all’attico e a Erodoto: e.g. Moer. l 18 H.; Orus frr. A6a, A27, A56, B46 A. Erodoto come
modello negativo da evitare in contrapposizione all’attico: e.g. ajnevkaqen con valore locativo in
att., temporale in Erodoto (per esempio a V 55 ⇒ 7, P.Oxy. LXV 4455, col. II 15) in Phryn. Ecl. 235
F. Nel punto più stretto del passaggio, l’Atticismo del II secolo d.C., emergono due tendenze della
ricezione della lingua di Erodoto, forse riconducibili anche a differenze di approccio (prescrittivo
vs descrittivo), una più intransigente (rappresentata da Frinico e Meride) e una più inclusiva (ri-
conoscibile in Elio Dionisio, Polluce e, più estesamente, l’Antiatticista): cfr. Tribulato 2016, pp. 180-
191, che spiega la persistenza di Erodoto nella lessicografia atticista sia con la sua reputazione di
pater historiae, sia con la riconosciuta prossimità linguistica delle Storie e della poesia omerica.
28
Cfr. e.g. Montanari 2013, p. 17.
29
Edizioni delle Lexeis: Stein 1871, pp. 441-482 (il testo delle Lexeis A è alle pp. 449-461, quello
delle Lexeis B alle pp. 462-470); Rosén 1960, pp. 218-231 (che fonde insieme le due redazioni). Vd.
Montana 2015a.
30
Orion Et. s.v. provkro‡‡oi, p. 134, 34-35 S. (¦A. ejn ejxhghv‡ei glw‡‡w'n) e s.v. wJrologei'on, p. 170, 27-28
S. (¦A. ejn Glwv‡‡ai‡ ŞHrodovtou); EM. s.v. kwfov‡, p. 552, 5-6 G. (¦A. ejn tai'‡ glwv‡‡ai‡ ŞHrodovtou) e s.v.
‡ofi‡thv‡, p. 722, 22-23 G. (¦A. ejn ejxhghv‡ei tw'n ŞHrodovtou glw‡‡w'n). Resta non confermata la suppo-
sizione di Jacoby 1913, col. 514, secondo cui questo Apollonio “nicht Dyskolos ist, wie Stein [1871,
p. 482] glaubte, aber vielleicht identisch mit dem Verfasser des Homerlexicons, ¦Apollwvnio‡ ¦Ar-
Herodotus 23

materiale ipomnematico antico31, la compilazione della redazione A sembra


da situare in età bizantina, grosso modo fra la grande lessicografia della fine
dell’antichità (lessici di Cirillo e di Esichio, nelle cui redazioni a noi pervenute
materiali affini a quelli delle Lexeis sono presenti) e la Suda32.

Alle poche notizie e agli scarsi frammenti riferibili ad attività lato sensu fi-
lologica sulle Storie, ora ricordati, si affianca la documentazione diretta papi-
racea piuttosto generosa della lettura di Erodoto in Egitto fra la tarda età
ellenistica e la fine dell’antichità. I papiri delle Storie sinora editi documentano
45 copie dell’opera, oltre a un’epitome o rielaborazione di parti del libro VII
(Teopompo?) e ai due hypomnemata già citati33. Tra le notizie di papiri inediti34,
crea particolare aspettativa quella relativa a reperti in possesso della Egypt Ex-
ploration Society35. Se si esclude P.Dura 1 (MP3 478), i reperti editi sono o ri-

cibivou saec. I n. Chr.” (i.e. Apollonio Sofista). Cohn 1895 si dichiarava aporetico sulla cronologia
di Apollonio.
31
A giudizio di Rosén 1962, p. 218, le Lexeis sarebbero state estrapolate da un commentario risa-
lente a un’epoca in cui il testo di Erodoto non era provvisto di spiriti e accenti. Per Montanari
2013, p. 16, la redazione A delle Lexeis “potrebbe includere materiali derivanti da un commentario,
dato che in qualche caso rivela uno scopo esegetico puntuale sul passo interessato: per esempio
una lexis a 3.156 discute il significato della forma verbale kataproi?xetai e cita due passi di Archi-
loco e gli epimerismi di Erodiano”.
32
Jacoby, 1913, col. 514: “Ihr Wert für den H.-Text ist ziemlich gleich Null, da sie nicht ins Altertum
zurückreichen und keine Beziehungen zu den antiken H.-Lexika haben”. In precedenza Stein
1871, pp. 474-482, aveva argomentato che le Lexeis, da un lato, sono il prodotto della compilazione
di materiali lessicografici che si ritrovano in massima parte nei grandi lessici tardoantichi e bi-
zantini, dall’altro sono tra le fonti del lessico Suda (che attinse dalla redazione A, almeno in parte
tramite la Synagoge: Stein 1871, pp. 476-477; cfr. Adler 1928, p. XVIII, e 1931, specialmente pp. 689
e 699); da cui la conclusione di Erbse in Latte-Erbse 1965, p. XII, a proposito della redazione A:
“wir eine mechanische, wahrscheinlich erst byzantinische Kompilation vor uns haben”.
33
I dati si ricavano dai repertori on line Mertens-Pack3, LDAB e Trismegistos (ultima consultazione:
ottobre 2017), a cui si deve aggiungere almeno PSI inv. 2228v, del Ip ex., testimone di Storie V 92z,
2.3 (Messeri 2014). La bibliografia in materia include, ovviamente con grado crescente di attualità,
Jacoby 1913, coll. 515-516; Viljoen 1915; Paap 1948; Rosén 1962, pp. 212-217; Hemmerdinger 1981,
p. 175; Cavallo 1986, pp. 86 e 130-132 (note pp. 261-262); Pacella 1986, p. 89 n. 2; Krüger 1990, pas-
sim; Mertens-Strauss 1992; Bandiera 1997; Pellé 2010; Pellé 2011, pp. 25-34; Pellé 2013, pp. 115-116;
West 2011; Liuzzo 2014, pp. 80-85; Matijašić 2018, pp. 206-210. In generale sui papiri contenenti
esegesi a opere in prosa: McNamee 2007, pp. 117-125 (sugli storici: pp. 120-121 e 125).
34
PSI XVII 1660 (inv. 4196), frammento del libro I delle Storie, che apparteneva al medesimo codice
di P.PalauRib.Lit. 10 (vd. infra, n. 37) e sarà pubblicato a breve a cura di Francesca Maltomini;
Paris, Bibliothèque Nationale, Suppl. grec 1382.4, frammento del libro VI (edizione di Ch. Förstel
annunciata da Blouin 2016, p. 872); P.Mich. inv. 5987 da Karanis, frammento del libro VII (notizia
in Renner 1997, p. 834).
35
S. West (2007, p. 31) cita quattro papiri ossirinchiti inediti con parti dell’VIII libro delle Storie,
conservati alla Sackler Library di Oxford; a uno o più di questi papiri verosimilmente si riferisce
N.G. Wilson, nella propria edizione critica delle Storie, con la dicitura “P.Oxy. ined.” in relazione
a passi del libro VIII: Wilson 2015a, apparato critico alle pp. 757, 765-766; cfr. Wilson 2015b, p.
24 Herodotus

sultano tutti di provenienza egizia e, per più di metà, ossirinchita. L’arco tem-
porale interessato va dalla fine dell’età ellenistica36 al V/VIp, con marcata con-
centrazione nei secoli IIp e IIIp (tre quarti del totale). Quasi tutti i frammenti
pertengono a rotoli37, in parte realizzati con buona cura editoriale e avvalen-
dosi con frequenza e regolarità di segni lezionali38.
La massiccia preponderanza di reperti del I libro delle Storie (20 papiri) ri-
spetto ad altri libri è intesa usualmente come indizio della sua maggiore dif-
fusione nell’ambito della formazione39, forse anche in ragione dell’appeal
esercitato dalla ricchezza di miti e leggende in esso contenuti40. Non è da scar-
tare la possibilità che solo in alcuni casi i papiri attestino copie di libri completi
delle Storie, mentre in altri può trattarsi di selezioni o excerpta (il dubbio si pone
ad esempio per P.Oxy. I 19 ⇒ 3), collegati in parte con la domanda di istru-
zione41. Verso una fruizione di àmbito privato, finalizzata alla formazione o
alla lettura personale di soggetti istruiti, conduce anche il numero piuttosto
elevato di copie scritte sul verso di rotoli, che interessa prevalentemente proprio
il libro I (5 copie su 6 totali; sul verso di un registro di conti è scritto pure P.Amh.

172. Ancora Wilson (2015a, pp. VIII-IX) informa che “there will soon be a notable addition to the
tally, since another 45 [papyri] are due to be published in a forthcoming volume of the Oxyrhyn-
chus series; two of these come from commentaries”. Purtroppo non è stato possibile accedere a
questi materiali né acquisire informazioni più precise riguardo al loro contenuto e alla loro pub-
blicazione.
36
P.Duke inv. 756 + P.Mil.Vogl. inv. 1358 (MP3 474.11) è datato II/Ia dall’editore del frammento
milanese, Soldati 2005; l’editrice del frammento americano, Hatzilambrou 2002, data il papiro
Ip ex./IIp in..
37
Provengono da codici membranacei P.PalauRib.Lit. 10 (inv. 60) (MP3 469.1, V/VIp) + PSI XVII
1660 (inv. 4196), in maiuscola biblica (Orsini 2005, pp. 81 e 223), e P.Lond.Lit. 103 (MP3 475, III/IVp
o IVp: datazione di E.G. Turner e G. Cavallo), testimoni rispettivamente di parti del libro I e del
libro V delle Storie, cui si aggiunge P.Oxy. VI 857 (MP3 484, IVp), la menzionata epitome o rielabo-
razione di parti del libro VII.
38
Si distinguono per l’alta qualità libraria P.Oxy. XVII 2096+XLVIII 3374 (MP3 463, II/IIIp), P.Ryl.
I 55 (MP3 472, IIp), P.Oxy. XVII 2098 (MP3 480, II/IIIp; scritto sul verso) e P.Dura 1 (MP3 478, IIp).
Vd. Pellé 2011, pp. 32-34; Pellé 2013, pp. 116-117. Messeri 2014, p. 7, qualifica come “prodotto di
lusso” anche P.Lond.Lit. 103 (vd. n. precedente).
39
E.g. Cavallo 1986, pp. 130-131.
40
Montevecchi 1988, p. 377; West 2011, p. 71.
41
West 2007, p. 31; cfr. Messeri 2014, pp. 7-8. West 2011, pp. 72-77, ripete l’invito alla cautela
espresso da Turner 1977, pp. 9-10, segnalando il rischio di equivocare fogli isolati o raccolte di ex-
cerpta come frammenti di opere intere o di libri interi di un’opera. I dubbi della studiosa investono
(p. 74) anche il piccolo frammento P.PalauRib.Lit. 10 (vd. supra, nn. 34 e 37), che riporta una piccola
parte di I 196, 2 sul lato carne e di I 196, 3 sul lato pelo. Il frammento, tuttavia, è compatibile con
un formato analogo a quello ricostruito per il codice P.Lond. Lit. 103 (vd. supra, n. 37; Turner 1977,
p. 105, nr. 86): due colonne per pagina, con ciascuna colonna comprendente [30/31] righi e ampia
da [14] a [16] lettere, cosicché il testo sul lato carne può appartenere alla colonna più esterna del
recto e il testo sul lato pelo alla colonna più esterna del verso; cfr. Orsini 2005, pp. 81 e 223. Anto-
logie di Erodoto su papiro non sono note.
Herodotus 25

II 12, il commentario di Aristarco al libro I)42. Il gradimento riscontrato dal libro


iniziale dell’opera trova conferma nel dato concernente gli “abbandoni”: dei
15 papiri da rotoli contenenti sul recto parti di questo libro, quelli riutilizzati
sul verso sono tre soltanto, per di più databili tra la fine del Ip e il IIp, cioè alla
vigilia e all’inizio del periodo per cui è documentata la massima disponibilità
libraria dell’opera erodotea43. La stessa percentuale si riscontra, ma con numeri
assoluti sensibilmente più bassi, per i libri II (una copia riutilizzata su 6)44 e V
(una su 7)45. In termini puramente percentuali, e per quel che può valere una
statistica basata su numeri assoluti davvero minimi, per altri libri delle Storie
risulta al momento la tendenza a un maggiore riutilizzo: una copia su 2 per il
libro III, una su 4 per il VII46.
Con la crescente diffusione di esemplari delle Storie in Egitto a partire dal-
l’età antonina, e con il parallelo risveglio d’interesse erudito per l’opera ero-
dotea desumibile dalle fonti, contrasta la penuria di papiri corredati di esegesi.
Quanto è stato finora rinvenuto e pubblicato, pur ricadendo nel picco statistico
del II-IIIp, assomma a ben poca cosa: i due frammenti di hypomnemata già ri-
cordati; un’esigua manciata di marginalia esplicativi (o ipoteticamente tali) su
resti di tre copie delle Storie; e quattro voci di lessico in due papiri. Il fram-
mento di commentario aristarcheo fu rinvenuto a El Ashmunein (Hermopolis)
e la provenienza di uno dei due lessici è sconosciuta; tutti gli altri reperti pro-
vengono da Ossirinco.
I due frammenti ipomnematici del IIIp (P.Amh. II 12 ⇒ 4; P.Oxy. LXV 4455
⇒ 7) sembrano dichiarare interessi diversi e più elevati rispetto alle necessità
del livello medio (“grammaticale”) d’istruzione generalmente documentato
per l’Egitto greco-romano. Almeno a quanto è dato di constatare dal poco che
ne rimane e a giudicare dal loro assetto attuale (che facilmente sarà il risultato
di adattamenti conformi alla domanda culturale di fruitori privati dell’epoca
dei reperti), vi prevalgono osservazioni inerenti alla Sprach- e alla Sachphilologie
consone a lettori eruditi. Ci si può domandare se il contesto d’uso fosse l’istru-
zione superiore, nel quale le opere storiografiche trovavano spazio come testi

42
Cavallo 1986, pp. 130-131; Lama 1991, p. 115.
43
P.Cairo inv. JE 45623 (MP3 463.01, IIp), P.Oxy. X 1244 (MP3 467, IIp in.), P.Monac. II 40 (inv. 89) (MP3
468, I/IIp). Cfr. Capasso-Hickey 2007, p. 76.
44
P.Fackelmann inv. 7 del IIIp (MP3 472.2). Ai fini del computo, si tenga presente che P.Oxy. XLVIII
3376 (MP3 468.2) restituisce frammenti del I e del II libro delle Storie.
45
P.Oxy. IV 695 del IIIp (MP3 477).
46
P.Oxy. XLVIII 3378 (MP3 474.1) e P.Oxy. XVII 2098 (MP3 480), del IIp ex./IIIp in.. Non sono noti fram-
menti con segni di riutilizzo dei libri IV (due papiri rinvenuti), VIII (quattro papiri) e IX (un pa-
piro); ad oggi non sono stati pubblicati papiri del libro VI. La percentuale di copie abbandonate
di Erodoto (7 su 45: 15,5%) è comparabile a quella di copie tucididee (12 su 96: 12,5%). Per Seno-
fonte si registra un solo caso di riutilizzo fra le 11 copie papiracee note delle opere storiche (9%).
26 Herodotus

di riferimento del futuro oratore e come repertori sia di usi linguistico-lessicali


e stilistici, sia di modelli ed exempla retorico-argomentativi, culturali ed etico-
comportamentali47. Una possibile chiave di lettura è considerare i due reperti
come prodotti derivati di opere originariamente concepite nell’alveo stesso o
comunque nel solco della filologia alessandrina di età ellenistica, poi riadattate
a specifiche esigenze di ambienti cólti ellenizzati dell’entroterra egizio di età
romana48.
Dei pochissimi marginalia noti, gli unici di natura sicuramente esegetica si
leggono nei resti del bel rotolo del III libro delle Storie P.Oxy. XIII 1619 (⇒ 6),
che fu copiato dallo scriba di Ossirinco A7 e di cui si conservano 25 frammenti
pertinenti ai capitoli 26-72. Il testo è accompagnato occasionalmente da corre-
zioni e, in tre punti, da brevi annotazioni esplicative dovute a due mani di-
verse: una nota glossografica (III 54 2 ejpi; th'‡ rJavcio‡ spiegato ejpi; tou'
ajkrwthrivou); una di carattere sintattico (III 60, 3 peri; limevna indicato come equi-
valente a p˚aråa;ç limevna); e una terza, frammentaria, apposta nel margine su-
periore, forse intesa a segnalare che i ba‡ilhivoi dika‡taiv, a proposito dei quali
a III 31, 2-3 Erodoto apparentemente si esprime come se non ne avesse ancora
parlato (tou;‡ ba‡ilhivou‡ kaleomevnou‡ dika‡tav‡), in realtà sono già menzionati
in un punto precedente dell’opera (III 14, 5). Se rapportiamo queste magre note
di mani diverse alla quantità non piccola di testo letterario e di spazi marginali
e intercolonnari attigui conservati del rotolo, esse ci appaiono come episodi
estemporanei, certo non inquadrabili in contesti nei quali la lettura e la spie-
gazione fossero iterate o sistematiche49.
Sulla natura dei restanti marginalia gravano dubbi sostanziali. In P.Oxy. I 19
(⇒ 3), scritto sul verso di un testo documentario e indiziato di essere un excer-
ptum, al di sopra della forma oJrmh'‡ai verso l’inizio di Storie I 76, 3 si legge

47
E.g. Morgan 1998, pp. 97 e 220; Cribiore 2001, p. 144; McNamee 2007, pp. 58-59; Nicolai 2007 e
2008; Pellé 2010; West 2011, p. 76; Pellé 2013, p. 120; Matijašić 2018, pp. 173-179. All’inizio dell’età
imperiale, il retore alessandrino Elio Teone nei Progymnasmata offre numerosi paradeigmata ero-
dotei e raccomanda all’aspirante oratore la lettura degli storici e di Erodoto (p. 104 P.-B.; cfr. Miletti
2008). Citti 2015 studia un caso di riuso nella letteratura moralistica di ambito romano (Seneca fi-
losofo) di riscritture declamatorie di episodi delle Storie (cfr. Setaioli 1988). Che il buon oratore
debba avere una conoscenza approfondita di Erodoto, oltre che degli altri storici, è implicato da
Libanio, Epist. 1036, 5 ei[poi d¦ a]n ŞHrovdotov‡ te kai; Qoukudivdh‡ kai; pa'‡ ejkeivnwn oJ coro;‡ ei\nai cwvran
kai; auJtoi'‡ ejn th/' ‡h/' dianoiva/ kai; touvtou mavrtura‡ ei\nai tou;‡ pepoihmevnou‡ ‡oi lovgou‡ tou;‡ pollouv‡ te
kai; kalouv‡. Sulla presenza di Erodoto nelle meletai di Coricio di Gaza vd. Lupi 2014 e 2017.
48
Cfr. Turner 19802, p. 113 (in relazione a P.Amh. II 12): “I have little doubt that many of the exam-
ples of hypomnemata among the papyri were the property of the successors in Roman times of our
scholars, professors at the Museum”. Il commentario aristarcheo è collegato al contesto formativo
da Cavallo 1986, p. 131; Nicolai 1992, pp. 272-273; Bandiera 1997, p. 49 n. 5; McNamee 2007, p.
120; West 2011, pp. 80-81.
49
Pellé 2011, p. 30, si esprime comunque per un utilizzo del rotolo in contesto di studio.
Herodotus 27

un’enigmatica noticina kô˚oôÐ ôå (ut videtur), che potrebbe avere a che fare con la
correzione o il controllo del testo. In P.Oxy. VIII 1092 (⇒ 5), rotolo contenente
il libro II delle Storie vergato dallo scriba di Ossirinco A5, nel margine al di
sopra della col. IX è riportata una diversa versione di una pericope di testo ri-
cadente in Storie II 162, 5: benché qualificato, a quanto sembra, come variante
testuale dall’annotatore stesso (ouenta˚å = ou{(tw‡) e[n t(w')/ a˚åj (ntigravfw/)?), il passo
potrebbe essere stato concepito in origine come metafrasi in ausilio alla lettura,
per risolvere asperità oggettive della sintassi erodotea. È rimarchevole che
P.Oxy. VIII 1092 e P.Oxy. XIII 1619, gli unici due papiri erodotei provvisti di si-
gnificative annotazioni, provengano dal medesimo cospicuo giacimento ossi-
rinchita riportato in luce da Grenfell e Hunt nel 190650.
L’ambito lessicografico, che sommariamente abbiamo riconosciuto attivo
dall’età ellenistica all’età bizantina, al momento non offre un quadro più ge-
neroso di reperti papiracei. Soltanto due lessici del IIp concedono spazio a pa-
role erodotee. In P.Berol. inv. 13360 (⇒ 2) due passi dello storico erano citati in
riferimento all’espressione ejk nevh‡ (V 116 e I 60; cfr. Hsch. e 1533 Latte ejk neva‡:
ejx ajrch'‡); l’unico altro lemma riconoscibile nel papiro è åejkçn˚efiva‡, a proposito
del quale è riportato il fr. 58 Kassel-Austin del commediografo attico Teleclide:
troppo poco per inferire alcunché sulla natura del lessico, salvo rimarcare la
compresenza di esemplificazione ionica e attica, da prosa e da poesia. P.Oxy.
XVII 2087, frammento contenente parole ed espressioni inizianti in alpha atte-
state in autori della prosa classica (oltre a Erodoto, anche Tucidide, Platone,
Eschine Socratico, Demostene, Aristotele), conserva tre glosse erodotee (da I
32, 8 ⇒ 1; VI 12 e V 74 ⇒ 8) non reperibili nella tradizione esegetica medievale
conservata (Lexeis e scolii). Per il contenuto e per le caratteristiche paleografiche
(ricchezza di abbreviazioni sia di tipo documentario sia di origine dotta e
ipomnematica), il lessico è da ritenersi un prodotto di buon livello culturale,
forse realizzato nell’ambito della formazione di stampo retorico51.
Volendo tentare un bilancio di questo magro patrimonio, si può concludere
che si profilano labilmente due direttrici. Da un lato, le testimonianze indirette
sulla filologia antica e i due hypomnemata frammentari consentono di cogliere
le grandi linee storiche della lettura cólta di Erodoto, dalla matura stagione ales-
sandrina (Aristofane di Bisanzio?, Aristarco, Ellanico, Didimo, Filosseno) all’età
degli Antonini (Alessandro di Cotieo) e oltre (Filemone, in un certo senso Por-
firio): un processo contrassegnato da aspetti di continuità e trasformazione sotto
l’impulso, probabilmente reciproco e combinato, dell’ottica filologico-testuale

50
Houston 2014, p. 168.
51
Esposito 20122, p. 250 n. 1 (⇒ Aristoteles 2 CLGP).
28 Herodotus

ed esegetica (anagnosis, diorthosis, Sach- e Sprachphilologie) e dell’approccio stili-


stico-retorico legato al livello superiore della formazione delle élites ellenizzate
di età greco-romana (Filemone?, i due hypomnemata nel loro assetto tràdito, il
lessico ossirinchita sui prosatori)52. D’altro lato, i papiri nel loro complesso in-
dicano una buona circolazione delle Storie nell’Egitto romano, segnatamente
per i secoli IIp e IIIp, in copie sostanzialmente sprovviste di una particolare pre-
mura ecdotica e solo assai raramente guarnite di occasionali ausilii esplicativi:
una situazione interpretabile come indice di lettura privata svincolata dai cur-
ricula formativi o, quanto meno, da questi non strettamente dipendente; in-
somma, letteratura di consumo di buon livello culturale53.

In questo quadro assai frastagliato e povero di documentazione non sor-


prende, e resta scarsamente indicativo, che al momento non sussistano casi ri-
levanti di contiguità fra l’esegesi trasmessa dai papiri e quella tramandata nei
manoscritti medievali (Lexeis, scolii), pure assai modesta in termini relativi.
Del resto, neppure in rapporto al testo erodoteo sono emerse fino ad oggi strin-
genti evidenze congiuntive fra i papiri e la tradizione medievale bipartita (fa-
miglia a o a, stirps Florentina; e famiglia d o b, stirps Romana). Il graduale
incremento dei reperti ha via via rafforzato l’impressione che in età romana il
testo delle Storie dovesse essere piuttosto fluido e oscillante e che solo in parte
la varietà delle lezioni sia confluita e sia rispecchiata nella tradizione medievale
pervenuta54. Il testo erodoteo riportato o presupposto nell’esegesi su papiro
venuta in luce fino ad oggi conferma questo scenario. Vale la pena di porre qui
in evidenza un paio di situazioni particolarmente interessanti da questo punto
di vista.
Si è fatto cenno al fatto che nel margine superiore di P.Oxy. VIII 1092 (⇒ 5),
col. IX, la mano di un lettore, forse del diorthotes, ha trascritto una versione di
Storie II 162, 5 diversa da quella che si legge nel corpo della colonna e, a quanto
pare, ha espressamente segnalato che si tratta di variante frutto di collazione
(r. 5). In un punto di questo passo erodoteo, la versione annotata nel margine

52
Vd. supra, n. 47.
53
Questo tipo di fruizione è testimoniato da Gal. De administrationibus anatomicis III 9 (II, p. 393
K. = I, pp. 336-337 G.): ‡e; d¦ oujc wJ‡ ŞHrodovtou th;n iJ‡torivan e{neka tevryew‡ ajnagnw'nai pro‡hvkei, ajlla;
th/' mnhvmh/ paraqev‡qai tw'n ojfqevntwn e{ka‡ton, o{pw‡ eijdh'‡/ aJpavntwn tw'n merw'n aujth'‡ ajkribw'‡ th;n fuv‡in.
Cfr. West 2011, p. 77.
54
Il fenomeno è stato osservato, e interpretato in termini diversi, da Jacoby 1913, coll. 516-517;
Viljoen 1915, p. 56; Grenfell 1919, pp. 181-182; Pasquali 1952, pp. 310-313; Rosén 1962, pp. 212-
217; Chambers-Cockle-Turner-Parsons 1981, p. 22; Hemmerdinger 1981; Alberti 1983; McNeal
1983; West 2007, p. 31; Bravo 2012; Wilson 2015b, pp. XIII-XV. Situazioni comparabili nel rapporto
fra papiri e manoscritti medievali sono discusse da Haslam 1978 (Apollonio Rodio), 1991 (Platone,
Repubblica) e 1995, pp. 59-60 (Tucidide).
Herodotus 29

(aujtou' thvn te rJi'naç kai; ta; w\ta) disegna un ritmo trocaico ed è per questo pu-
tativamente difficilior e dunque più probabilmente genuina contro quella che
si legge nella colonna di testo principale del papiro e pure nei manoscritti me-
dievali (aujtou' tav te w\ta kai; th;n rJin' a, interpretabile come una riscrittura operata
allo scopo di eliminare il ritmo trocaico)55. Saremmo in presenza, perciò, di una
concordanza in errore del testo principale del papiro e dei manoscritti medie-
vali. Tuttavia, vi è motivo per vedere nella versione aggiunta nel margine non
una variante testuale, ma un episodio di metafrasi: un intervento concepito
per dissipare la difficoltà sintattica e la potenziale equivocità del dettato ero-
doteo, forse con un intento genuinamente esplicativo (grammaticale) o emu-
lativo (retorico), non invece di riscrittura a scopo di “miglioramento” o
contraffazione del testo56. Se questa è stata la genesi della versione alternativa
del passo, allora quest’ultima perde lo statuto di variante testuale e dobbiamo
pensare che colui che la annotò nel papiro ossirinchita, avendola rinvenuta in
un altro rotolo delle Storie, scritta in margine al testo principale o intrusa in
esso, la equivocò per una variante e come tale infine la riprodusse e la qualificò
nella copia che andava leggendo o correggendo.
In Storie III 31, 2 tou;‡ ba‡ilhivou‡ kaleomevnou‡ dika‡tav‡, il participio, attestato
in P.Oxy. XIII 1619 (⇒ 6) e nella famiglia b contro la famiglia a, è stato ritenuto
erroneo da alcuni perché di tali dika‡taiv lo storico ha già fatto menzione in III
14, 557. È tuttavia opinabile che kaleomevnou‡ sia erroneo, in quanto, dopo il
primo cenno a questi giudici nel capitolo 14 del III libro, soltanto nel capitolo
31 Erodoto ne approfondisce le funzioni con una certa dovizia di particolari58
– senza contare che contraddizioni e ripetizioni nelle Storie devono essere con-
siderati alla luce della genesi e della natura stessa dell’opera59. È possibile che

55
Paap 1948, p. 53, che si basa su Snell 1929, pp. 2-4. Snell aveva supposto l’esistenza di una antica
Grammatikerrezension delle Storie caratterizzata dalla normalizzazione linguistica del testo, realiz-
zata con la manipolazione dell’ordo verborum al fine di eliminare sistematicamente lo iato e se-
quenze prosodiche equivocabili come metrico-poetiche (da cui le frequenti varianti nell’ordine
delle parole nei testimoni medievali). La tesi è stata sottoposta a critica da Saerens 1990, pp. 186-
192.
56
Rudberg 1941, p. 147; Paap 1948, p. 53; McNamee 2007, p. 258; Stephanie West e Jürgen Ham-
merstaedt apud Bravo 2012, p. 43. Sulla parafrasi di testi storici nella formazione retorica: Morgan
1998, p. 220.
57
Fra gli altri, da Pasquali 1952, pp. 309-310, e da Hemmerdinger 1981, p. 178.
58
Alberti 1983, p. 194.
59
Secondo l’approccio pragmatico ispirato alla cosiddetta “grammatica funzionale”, i comporta-
menti linguistici e stilistici di un autore non sono riconducibili a standard di composizione scritta
meccanicamente regolari, uniformi e sistematici, cioè indifferenti e indifferenziati rispetto a spe-
cifiche funzioni loro annesse in contesti e occasioni diversi (come invece, per esempio, intende
Dunn 1988 occupandosi dell’ordine delle parole in Erodoto). Nel caso delle Storie, ciò si declina
in rapporto all’origine dell’opera dall’unione di logoi destinati, almeno in parte e in prima istanza,
a una comunicazione di tipo aurale e performativo: Dik 1995.
30 Herodotus

della genuinità di kaleomevnou‡ in III 31, 2 fosse convinto anche un attento let-
tore antico, che nel margine al di sopra della col. V di P.Oxy. XIII 1619 annotò
ba‡içlhivoi dika‡taåiv, cioè forse, e.g., proeivrhntai oiJ ba‡içlhivoi dika‡taåiv (sc. in
III 14, 5). In altre parole, si può supporre che il lettore del rotolo, al pari dei let-
tori moderni, vedesse un problema in kaleomevnou‡, ma lo ritenesse non un er-
rore tradizionale da emendare, bensì un’incongruenza o una disattenzione da
parte dell’autore, meritevole di essere segnalata. Se kaleomevnou‡ è lezione ge-
nuina, e dunque priva di cogenza congiuntiva, allora la nota marginale del pa-
piro, come qui ricostruita, si colloca al di fuori della dicotomia tradizionale dei
testimoni medievali, anzi a monte di essa: possiamo riconoscervi cioè l’ante-
fatto, e il movente involontario, dell’eliminazione erronea del participio poi
operata nel filone tradizionale proseguito dalla famiglia a.

FAUSTO MONTANA

AVVERTENZA
Ove non diversamente precisato, nelle introduzioni e nei commenti ai pa-
piri il testo di Erodoto è citato secondo l’edizione di Wilson 2015a.
1

P.Oxy. XVII 20871, col. II 31-33 saec. IIp


[⇒ III: Lexica]

Voce di lessico (Hdt. I 32, 8)

a[llon: aj(nti;) tou' tina. “ej‡ p˚l˚h‡ivon fia[llonÝ”. ŞHrodovt(ou) bô


k˚(ai;): “a[llo m(e;n) e[cei eJtevrou d˚(e;) ej(pi)dei'tai”, Dhmo<
‡˚q(evnh‡) ejn tw'/ p(ro;‡) Boiwtovn: “w{˚‡˚p(er) a[llw/, calkw'/”.

31 il lemma è in ekthesis di una lettera circa dopo allon spazio bianco non molto rilevante
a vÐ , hrodot pap. 32 kv, mv, d˚ v, ev pap. 33 ‡˚qentwp · pap.; le lettere precedenti allw sono di difficile
interpretazione anche perché il papiro presenta una lacerazione: sul bordo sinistro della frattura,
all’altezza del rigo di base, traccia puntiforme; sul bordo destro resti di inchiostro seguiti, nel rigo
di scrittura, da un tratto curvo, interpretabile quale p, reso come archetto in sospensione, all’interno
di un’abbreviazione
——
31 ej‡ p˚l˚h‡ivon legi : e‡t˚i˚ åpçl˚h˚‡ion ed. pr. (Hunt 1927) fia[llonÝ MH ŞHrodovt(ou) MH dub. :
ŞHrovdot(o‡) ed. pr.

a[llon: vale tina. “A fiun altroÝ vicino”; il II libro di Erodoto e: “possiede (sc.
cwvrh) una cosa, di un’altra manca”; Demostene nella Contro Beoto: “[sulla] ta-
voletta di bronzo come su un altro oggetto”.

1
P.Oxy. XVII 2087 (MP3 2120; LDAB 4806) è un frammento che contiene lemmi inizianti per a,
ordinati alfabeticamente non oltre la seconda lettera. Nel papiro (cm 12,6 × 16,5), mutilo su tutti
i lati, si distinguono tre colonne: la meglio conservata è quella centrale che reca 44 righi di testo;
della I e della III rimangono, rispettivamente, alcune lettere finali e iniziali di rigo (nella col. III si
hanno resti di scrittura solo all’altezza dei rr. 34-42 della col. II). In alcuni punti la superficie è
erasa. La scrittura, molto simile a quella di PSI XI 1219 (Diegeseis degli Aitia di Callimaco), è una
informale rotonda di piccole dimensioni, ad asse verticale, dal tratto veloce e sicuro, non parti-
colarmente accurata, né nella realizzazione grafica, né nel trattamento dei contenuti. Al pari di
quanto si osserva in PSI XI 1219 è innegabile, invece, una notevole attenzione nell’utilizzo, all’in-
terno della scrittura, del sistema delle abbreviazioni (su cui si veda Esposito 2005, p. 82 e ⇒ Ari-
stoteles 2, n. 2, p. 250). Ad essere registrate sono parole attestate in scrittori di prosa (tra gli autori
citati Erodoto, Platone, Tucidide, Eschine Socratico, Aristotele, Demostene). Si riconoscono infine
consonanze con diversi lessici di tradizione medievale – in particolare con Frinico, Polluce, Ar-
pocrazione, Timeo, Esichio, le Lexeis Rhetorikai, la Synagoge, Fozio, Suda – con gli Etymologica e con
Eustazio ⇒ Aristoteles 2, n. 2, p. 250. Cfr. pure Esposito 2009a, pp. 289-290.
32 Herodotus 1

Nella presente glossa si legge che a[llon equivale a tina, una valenza che
non è testimoniata unicamente dal nostro papiro, cfr. Sb a 906 C. a[llo‡: ajnti;
tou' e{tero‡. õOmhro‡ (I 313): “o{‡ c¦ e{teron me;n keuvqei ejni; fre‡ivn, a[llo de; ei[ph/”.
tav‡‡etai de; kai; ajnti; tou' ti‡: (l 127) oJppovte ken fidhv toi xumblhvmeno‡ a[llo‡ oJdivth‡Ý
= Phot. Lex. a 1009 Th. = Sud. a 1334 A.
Segue la citazione, incompleta, della formula comune in Omero ἐ‡ plh‡ivon
fia[llonÝ2 – probabile fonte della glossa – in cui a[llo‡ significa evidentemente
‘un altro’ (a[llo‡ ti‡), ma poteva anche essere inteso da un esegeta antico come
equivalente al semplice ti‡3; istruttivo appare lo sch. D Il. II 271/Zs v. Th. ijdw;n
ej‡ plh‡ivon a[llon: eij‡ a[llon tina; tw'n ejggu;‡ parovntwn ajpoblevya‡ ZYQX èeij‡ä
a[llon tina; ejggu;‡ pare‡tw'ta blevya‡ Y(QX).
Successivamente vengono registrati il riferimento al II libro di Erodoto
(dove si possono trovare vari casi di a[llo‡ = a[llo‡ ti‡), quindi la citazione di
una pericope tratta, questa volta, dal I libro delle Storie (32, 8) in cui a[llo‡ è
correlato, nel costrutto distributivo, ad e{tero‡ e significa ‘una cosa’. Si noti che
nei manoscritti medievali il passo di Erodoto (I 32, 8) è trasmesso nel modo se-
guente: ajlla; a[llo me;n e[cei eJtevrou de; ejpidevetai (così la maggioranza dei codici
erodotei; MQ recano a[llou devetai, A di Stobeo ejpideuvetai; V ejpidev*etai, vd.
Rosén 1987, app. crit.).
È addotto, infine, un passo di Demostene (Contra Boeot. I 10). Colpisce la
differenza tra il testo del papiro (w{‡˚ p ˚ (er) a[llw/, calkw')/ e quello della tradizione
indiretta (eij ‡hmei'on, w{‡per fia]nÝ a[llw/ tiniv, tw'/ calkivw/ (calkeivw/ ScF) ktl). Si po-
trebbe sospettare che il tiniv dei codici medievali fosse un’interpolazione deri-
vata da una glossa a[llw/: tiniv, ma il fatto che nel P.Oxy. manchi anche il tw'/
induce, in realtà, a ritenere che il suo testo sia soltanto riportato in maniera im-
precisa.
Una certa difformità, del resto, è riscontrabile anche nel modo in cui, all’in-
terno del nostro repertorio, vengono indicati i libri delle opere, laddove segna-
lati. In col. I 22 si legge, infatti, ejçn th'/ ©, in col. II 25 Qoukud(ivdh‡) ejn th'/ ©, mentre,
per le citazioni di Erodoto, al nome dello storico segue direttamente il numero
del libro, ciò che suggerirebbe di sciogliere l’abbreviazione ŞHrodovt(ou), come
occorre di norma nei titoli librari.
L’impressione generale, comunque, è che la voce di partenza potesse avere
un carattere più articolato e composito4 e il redattore abbia decurtato e mala-

2
Cfr. Hom. Il. II 271, IV 81, XXII 372, Od. VIII 328, X 37, XIII 167, XVIII 72, XVIII 400, XXI 396.
3
La questione deriva dal fatto che a[llo‡, di per sé, significa ‘un altro’ (cioè a[llo‡ ti‡), mentre
‘l’altro’ in greco si dice e{tero‡.
4
Cfr., e.g., Ep. Hom. a 300 D. a[llo‡: to; a[llo‡ ei[dou‡ tw'n uJpopeptwkovtwn ejpimerizomevnou. tetracw'‡
de; ejpimerivzontai ta; ejpimerizovmena: 1) ei|‡ ejk duvo, wJ‡ e{tero‡: 2) duvo kaq¦ e{na, wJ‡ eJkavtero‡: 3) ei|‡ ejk
pollw'n, wJ‡ a[llo‡: 4) polloi; kaq¦ e{na, wJ‡ e{ka‡to‡ ktl.
P.Oxy. XVII 2087, col. II 31-33 33

mente riadattato i materiali originari, in base alle proprie esigenze, come si


può osservare per altri casi in questo papiro. In cosiderazione di ciò sarei pro-
pensa ad intendere il k˚(ai;) precedente a[llo me;n e[cei ktl non tanto come parte
del testo erodoteo5, quanto piuttosto quale kaiv di raccordo – presente nella
fonte lessicografica – tra la citazione erodotea del II libro, eliminata dallo scri-
vente, e un altro passo del I libro, quello che qui compare e di cui, tuttavia, il
compilatore non avrebbe specificato, come del resto avviene di frequente in
prodotti del genere, la diversa provenienza all’interno dell’opera dello storico.
Cfr. l’analogo valore di k˚(ai;) in col. II 43 ⇒ Aristoteles 2, ma cfr. pure col. II 12
e 16 e 24.

ELENA ESPOSITO

5
Così Hunt 1927, p. 113 che, confrontando il testo erodoteo citato nel nostro papiro con quello di
tradizione medievale, annota: “the citations are inexact; ajlla; (not kai;) a[llo me;n ... ejpidevetai comes
from the first book of Hdt. (i. 32)”.
2

P.Berol. inv. 133601, 1-5 saec. IIp


[⇒ III: Lexica]

Voci di lessico (Hdt. V 116, I 60)

åejk nevh‡: ŞHrovdoto‡: “Kuvprioiç


åme;n dh; ejniauto;n ejleuvqeroi ge<ç
1 ånovmenoçi au\åti‡ ejk nevh‡ kat<ç
åeçdedouvlwnåto”. kai; pavlin: “oiJ de;ç
åejçxelav‡ante‡ Peåi‡iv‡tratonç
åaçu\ti‡ ejk nevh‡ ejπ̣¦ åajllhvloi‡i eJ<ç
5 å‡çta‡iva‡an”. (vac.) å

2 çdeaoulwnå pap.: a errore dello scriba, forse barrato da un tratto diagonale di cui parrebbe ve-
dersi l’estremità inferiore 3 alla fine del rigo, dopo ‡, tre tracce puntiformi: la prima al di sotto
del rigo di base; la seconda al di sotto del rigo di base, ma meno distante da esso e incurvata; la
terza pressocché sul rigo di base e incurvata. Tali tracce sono identificabili con i resti di due lettere:
ta Müller 1974 e Gronewald 1981. Secondo quest’ultimo, come nei rr. 2 e 6, deve trattarsi di un er-
rore dello scriba 4 i ripassato
——
omnia suppl. Gronewald 1981

[ejk nevh‡: Erodoto. “I Ciprioti dunque, divenuti liberi per un anno,] di nuovo
[furono ridotti in] schiavitù” [e ancora: “frattanto coloro che avevano] cacciato
[Pisistrato cominciarono] di nuovo a farsi guerra [l’un l’altro”].

1
P.Berol. inv. 13360 (MP3 2122.1; LDAB 4560), di provenienza sconosciuta, è stato acquistato a
Ihnasya el-Medina (Ehnâs) ed è ora conservato a Berlino, presso l’Ägyptisches Museum. Il papiro
(cm 5,3 × 9,7) è scritto da una mano informale sul lato perfibrale (il retro è bianco); è rotto in alto,
mentre, al di sotto del r. 8, è presente un ampio margine inferiore (cm 5,2). Nel testo non si osser-
vano segni, eccetto un punto in alto dopo il termine åejkçn˚efiva‡ (r. 6); successivamente a å‡çta‡iva‡an
(r. 5), inoltre, il rigo è lasciato bianco. Lo spazio interlineare è regolare (mm 2 circa), mentre l’am-
piezza della colonna di scrittura, in base alle integrazioni proposte da Gronewald 1981, doveva
misurare cm 5,6 circa (21/23 caratteri circa). Il frammento, che conserva resti di un lessico i cui
lemmi appaiono in successione alfabetica (a åejk nevh‡] segue infatti al r. 6 åejkçn˚efiva‡), tramanda
due citazioni di Erodoto (rr. 1-5) e una terza (rr. 6-8) tratta dal commediografo del V sec. Teleclide
(fr. 48 K.-A.), mostrando la compresenza di esemplificazione ionica e attica, per un totale di 8
righi di scrittura. Tali glosse, in particolare ejknefiva‡, trovano riscontro nella tradizione lessico-
grafica. Cfr. pure Esposito 2009a, pp. 288-289.
P.Berol. inv. 13360, 1-5 35

Le citazioni di Erodoto – i cui minimi resti rispecchiano quanto ci è giunto


per tradizione medievale – intendono illustrare il valore dell’espressione ejk
nevh‡, che significa ‘di nuovo’ e, nella forma ionica, è usata dal solo Erodoto; ejk
neva‡ occorre, invece, in diversi altri autori. Cfr. e.g. Plat. Rp. 409a, Plut. 959b 8,
Aristid. Or. p. 307, 34 J., [Gal.] HPh. 17, 10, Philostr. Gymn. 27, 8, Syn. Epist. 68,
3, Porph. Aph. 15, 2, Stob. IV 5, 96.
Si noti che tale lemma, nei materiali eruditi, trova riscontro in Hsch. e 1533
L. ejk neva‡: ejx ajrch'‡. In Esichio, peraltro, una delle glosse successive a ejk neva‡
è proprio ejknefiva‡, che si può individuare al r. 6 del papiro.

ELENA ESPOSITO
3

P.Oxy. I 19 saec. II/IIIp

Nota interlineare (diortotica?) a I 76, 3

Prov.: Oxyrhynchus.
Cons.: Princeton, University Library (P.Princ. AM 1093).
Edd.: GRENFELL-HUNT 1898, pp. 45-46; VILJOEN 1915, pp. 1-5 (nr. I); PAAP 1948, pp. 16-18
(nr. IV); ROSÉN 1987, I, pp. XLIV, LXVI, 50 (apparato).
Tab.: http://pudl.princeton.edu/collections/papyri; ⇒ Tab. I
Comm.: MP3 465; LDAB 1144 CRÖNERT 1901, p. 114; ROSÉN 1962, p. 217; MCNAMEE
1981, p. XXVI; KRÜGER 1990, p. 236; LAMA 1991, p. [62] (tabella); MERTENS-STRAUSS
1992, p. 972; JOHNSON 1994, p. 65 n. 3; BANDIERA 1997, pp. 52 e 55 (tabella); JOHNSON
2004, pp. 141, 171, 194, 231, 252-253; PELLÉ 2011, pp. 27.

Frammento di rotolo di cm 8 × 12,5. Sulla faccia principale ($) conserva


resti di otto righi di uno scritto documentario inedito di mano corsiva datata
dai primi editori al IIp. Sulla faccia opposta (%) si leggono sedici righi di testo
erodoteo, in parte mutili, tratti da Storie I 76, 2-4, in una scrittura di stile severo
realizzata senza accuratezza, con contrasto modulare e chiaroscurale non esa-
sperato, ad asse leggermente inclinato, databile forse al IIIp più che al IIp, se
l’esitazione di Grenfell e Hunt in proposito può essere ora superata confron-
tando P.Oxy. LXXIII 4942 (GB). I righi constano di 23/28 caratteri. La prima
mano ha omesso di segnare spiriti e accenti; un correttore ha ascritto lo iota
muto al nome proprio Kroiv‡w/ ai rr. 4 e 10. Punti in alto (rr. 8, 12) e paragraphoi
(rr. 7/8, 8/9, 12/13) sono apposti a scandire l’articolazione della narrazione1.
La colonna di testo è preceduta in alto da non meno di cm 5 di margine supe-
riore, mentre su entrambi i lati verticali la scrittura corre in prossimità della
linea di frattura. Le lettere finali dei rr. 1-12 sono quasi illeggibili e uno strappo
ha causato la perdita della metà destra dei rr. 13-16. Questo insieme di circo-
stanze, unito al fatto che il testo trascritto coincide precisamente con l’inizio
di una pericope della narrazione storica (la reazione del re Ciro alle operazioni
militari di Creso, presentate subito prima dallo storico come un’aggressione
alla Persia: I 75-76, 2), dà adito all’ipotesi che il frammento costituisca parte di

1
Johnson 1994, p. 65 n. 3.
P.Oxy. I 19 37

un ritaglio di rotolo, ricavato a scopo di riuso nel verso per trascrivervi un ex-
cerptum2. In tal caso, il testo escerpito poteva concludersi poco dopo l’attuale
lacuna inferiore, includendo cioè ancora, in un rigo e mezzo, la sola clausola
epanalettica con cui termina il capitolo 76 del libro I delle Storie, kai; åta; me;n
‡tratovçûåpeda ajmfovtera ou{tw‡ hjgwniv‡atoç (con il r. 16 e il seguente, perduto, ri-
spettivamente di 25 e 26 caratteri). Una diversa possibilità, suggerita dal fatto
che la scrittura corre molto prossima ai bordi laterali del frammento, è che esso
fosse parte di un foglietto di restauro destinato a riparare un punto guasto di
un rotolo delle Storie – un’ipotesi argomentata, per esempio, riguardo a
P.Mil.Vogl. IV 205 (MP3 1518), ritaglio di papiro del IIp, riutilizzato sul verso
per copiare Thuc. II 73, 1-74, 13.
Una mano diversa dalla principale – forse la stessa che ha aggiunto gli iota
muti ai rr. 4 e 10? – ha scritto al di sopra delle due lettere finali del r. 4 una pic-
cola nota, di cui non si arriva a stabilire se abbia natura diortotica o esegetica.

(%)
rr. 4-5

I 76, 3

kô˚oô åô
pri;n de; ejxelaåuvçnein oJr-
mh'‡ai to;n ‡trato;n

Scrittura nell’interlinea, prossima alla frattura, sopralineata con tratto orizzontale molto spesso
che copre la parte inferiore dell’ultima lettera di hjntiou'to alla fine del rigo precedente.
——
k˚oô ô aut i˚‡˚oô ô Grenfell et Hunt

Dopo l’incertezza dei primi editori circa la lettura e l’interpretazione della


nota (Grenfell e Hunt stampano k˚oô ô nel testo, i˚‡˚oô ô come possibile alternativa
nel commento), Viljoen (p. 3) stampò k˚oô ô sciogliendo k(ai;) oJ(rmh'‡ai), correzione
o variante intesa a interporre la congiunzione copulativa tra i due infiniti ejxe-
lauvnein oJrmh'‡ai (per kô = k(aiv) vd. P.Ryl. I 27, r. 53 (IIIp): McNamee 1981, p. 46).
Paap (p. 17; cfr. Rosén 1987, I, p. 50, apparato) preferì invece i‡oô = i\‡o(n), inteso

2
Johnson 2004, p. 231,
3
Ed. Bartoletti 1960, con foto, e 1967; cfr. Cavallo 1986, p. 133; Puglia 1997, pp. 37-38 e 101, Tav. 8.
38 Herodotus 3

come segnalazione della sinonimia dei due verbi. Entrambe le interpretazioni


presuppongono che la sequenza dei due infiniti creasse difficoltà al correttore
o a un lettore antico: una supposizione non peregrina, se anche i moderni
hanno faticato a riconoscere la plausibilità della costruzione di oJrmavw incoativo
con infinito, pur confortata da paralleli a partire da Omero: e.g. Il. XIII 64; XXI
265-266 (ove gli scolii attestano varianti di oJrmhv‡eie, nate verosimilmente per
risolvere l’impasse interpretativa, e respinte da Aristarco); XXII 194-195 (qui lo
scholium exegeticum 194a tenta di risolvere spiegando oJrmhv‡eie con dialogiv-
zoito); Hdt. VII 150, 1 (Xevrxh‡ e[pemye khvruka ej‡ öArgo‡ provteron h[ per oJrmh'‡ai
‡trateuve‡qai ejpi; th;n ŞEllavda); cfr. Viljoen 1915, p. 1, apparato; Paap 1948, p.
17 con n. 5.
Si deve riconoscere che la posizione nell’interlinea depone a favore del ca-
rattere diortotico, e non esegetico, dell’intervento. Se si ammette la lettura kôoô ,ô
che sembra paleograficamente preferibile a iô‡ôoô ô, lo scioglimento proposto da
Viljoen è il più plausibile. Una possibilità alternativa è intendere kôoô ô = ko(inovn)
oppure ko(inhv), con riferimento rispettivamente all’usus erodoteo oppure a una
“vulgata” delle Storie4. Una nota del genere costituirebbe un hapax nella tradi-
zione testuale di Erodoto e potrebbe voler prevenire l’eventuale dubbio del
lettore, valendo come “visto” o positiva certificazione che, da un lato, il passo
è stato sottoposto a controllo per confronto con il modello o un’altra copia e
che, dall’altro, questa costruzione di oJrmavw gode della conformità all’usus del-
l’autore o è confortata da una paradosi prevalente.

FAUSTO MONTANA

4
La possibile esistenza di una “vulgata” prealessandrina delle Storie era evocata da Aly 1909. È
o
noto che in alcuni papiri omerici di età imperiale l’espressione hJ koinhv (abbreviata ko, k , koi, hk)
designa un certo assetto standardizzato del testo omerico: P.Berol. inv. 11759 (= BKT X 4), P.Bodl.
Ms. Gr. Class. a. 1 (P) (l’Iliade di Hawara), P.Oxy. III 445, P.Oxy. IV 685. Vd. McNamee 1981, pp.
50-51; 1985, p. 214; 2007, p. 37 n. 123, lettera [c]; Pagani-Perrone 2012, pp. 113-118 e 124; Haslam
2013. Haslam 1997, p. 71, ha mostrato che questa koinhv non è da identificare con la “vulgata” ome-
rica dei manoscritti medievali.
4

P.Amh. II 12 saec. IIIp

Aristarco, Commentario a I 171, 4?-215, 2

Prov.: Hermopolis Magna.


Cons.: New York, Pierpont Morgan Library.
Edd.: GRENFELL-HUNT 1901, pp. 3-4; VILJOEN 1915, pp. 17-22 (nr. V); PAAP 1948, pp. 37-40
(nr. X); ROSÉN 1987, I, pp. XLIV, 121-122, 135-136 (apparato).
Tab.: P.Amh. II, Pl. III; WEST 2011, Pl. 7; https://www.themorgan.org/manuscript/348317.
Comm.: MP3 483; LDAB 337 DE RICCI 1902, p. 440; RADERMACHER 1902, p. 139; VIERECK
1902, col. 716; CRÖNERT 1903, pp. 358-359 nr. 108; JACOBY 1913, coll. 515-516; LEGRAND
1942, p. 226; PASQUALI 1952, p. 314; ROSÉN 1962, pp. 211, 231; TURNER 1962, pp. 147-
148; PFEIFFER 1968, pp. 224-225; TURNER 19802, p. 121; FRASER 1972, I, p. 462; MURRAY
1972, pp. 203-204; MCNAMEE 1977, pp. 141-143; RADT 1977, p. 396 (Soph. fr. 500); DEL
FABBRO 1979, pp. 70 n. 2, 83, 94, 95 n. 82, 124 (nr. 3), 128, 132; HEMMERDINGER 1981,
pp. 154-156, 176; ALBERTI 1983, p. 195; MCNEAL 1983, pp. 125-127; BALDWIN 1984; CA-
VALLO 1986, pp. 130-131; MALITZ 1990, p. 343; HORAK 1992, p. 230 nr. 22; NICOLAI
1992, pp. 272-273; MONTANARI 1993, p. 248; HASLAM 1994, p. 45 n. 169; IRIGOIN 1994,
pp. 50, 54, 88; MCNAMEE 1995, p. 405 con la n. 15; BANDIERA 1997, pp. 49 n. 5, 52, 55
(tabella); MESSERI-PINTAUDI 2002, p. 43 con la n. 1; MCNAMEE 2007, p. 120; WEST 2007,
p. 32; MONTANA 2009b, pp. 166-170; VANNINI 2009b; PELLÉ 2010, p. 168 n. 39; SCHIRONI
2010, pp. 64, 71, 235; PELLÉ 2011, p. 27; WEST 2011, pp. 77-81; MONTANA 2012a; MON-
TANA 2012b, pp. 25, 53; VISENTINI 2012-2013, pp. 112, 144, 187; MATIJAŠIĆ 2013; MON-
TANARI 2013, pp. 4-8, 15-16; LIUZZO 2014, pp. 100-102; PRIESTLY 2014, pp. 223-229;
MONTANA 2015b, pp. 138-140; WILSON 2015a, pp. 114, 126 (apparato); WILSON 2015b,
pp. XXI, 24; MONTANA 2016; MONTANARI 2016, pp. 74-76; TRIBULATO 2016, p. 175; MA-
TIJAŠIĆ 2018, pp. 150-151, 157, 159, 202, 206.

Questo frammento di rotolo fu acquisito da Grenfell e Hunt sul mercato


antiquario egiziano e risulta di provenienza ermopolitana1. Misura cm 22,7 ×
16,5 e riporta sul recto ($) resti di un registro di conti inedito del IIp o IIIp2, sul
verso (%) parte delle due colonne finali di un commentario al primo libro delle
Storie di Erodoto. Per il reimpiego del papiro, il volumen è stato capovolto sul-

1
Nella prefazione a P.Amh. I (London 1900), i due editori informano che “the Greek papyri have
been bought for Lord Amherst by us at various places in Egypt during the last three years”. L’in-
dicazione “Ashmunên” come luogo di provenienza di P.Amh. II 12 in Grenfell-Hunt 1901, p. 3,
pertanto, deve basarsi su informazioni fornite dal venditore del reperto, giudicate attendibili dagli
editori.
2
Grenfell-Hunt 1901, p. 3. Immagine: https://www.themorgan.org/manuscript/348317.
40 Herodotus 4

l’asse orizzontale, cosicché la scrittura del recto e quella del verso procedono
nella stessa direzione anziché in direzioni opposte (tête-bêche). Della prima co-
lonna superstite del commentario, particolarmente martoriata, rimangono
tracce della porzione destra di 25 righi; è possibile che l’ultimo rigo attestato
sia anche l’ultimo della colonna, perché è seguito in basso da un brandello di
papiro privo di scrittura alto poco meno di cm 1, ben più dell’interlinea con-
sueta. La seconda colonna, conservata in condizioni migliori della prima, è se-
parata dalla precedente da un intercolumnio di cm 2 circa ed è attraversata
verso metà da una kollesis; è ampia poco più di cm 9,5 e consta di 16 righi di
testo comprendenti 24/29 caratteri; è suggellata da una coronide e dalla sub-
scriptio ¦Ari‡tavrcou ŞHrodovtou aô uJpovmnhma, “hypomnema di Aristarco al primo
libro di Erodoto”. Il margine superiore corre privo di scrittura per tutta la lun-
ghezza del frammento, con un’altezza massima attuale di cm 2,3. A destra della
col. II rimane una porzione di papiro non scritto ampia cm 6. Considerando la
forma, l’andamento e le dimensioni, decrescenti procedendo verso destra, delle
due serie di buchi maggiori che attraversano il papiro in orizzontale, si può
desumere che il volumen, o quanto ne restava, quando subì queste perforazioni
era arrotolato in posizione iniziale di lettura dalla parte del verso; che l’avvol-
gimento era più serrato nella parte superiore e meno in quella inferiore, cosic-
ché il rotolo disegnava una forma non esattamente cilindrica, ma a tronco di
cono allungato; e che, alla base superiore del rotolo, la voluta più interna aveva
pressappoco la circonferenza di cm 3,5 e dunque il diametro di un centimetro
circa. La somma di questi dati fa pensare che il frammento corrisponda alla
sezione finale del rotolo o, meglio, della porzione di rotolo fatta oggetto del
reimpiego, dalla quale era stata recisa la parte inutilizzata (nel recto la linea di
frattura o taglio sul lato destro attraversa in verticale la colonna di testo).
La scrittura del commentario è una libraria informale ad alternanza di mo-
dulo, databile al IIIp, più precisamente riferibile alla metà del secolo per le ana-
logie con il manuale di tecnica stilistica P.Oxy. VII 1012, scritto sul verso di un
volumen recante sulla faccia principale un registro di imposte del 204/205p,
P.Oxy. VII 10453. Mancano spiriti e accenti e, nell’unico caso riscontrabile con
sicurezza (col. II 14), lo iota muto. La mise en texte prevede la successione con-
tinua di lemmi e spiegazioni, senza andare a capo; ogni nuovo lemma è sepa-
rato da ciò che lo precede mediante un dicolon (col. I 3; col. II 2, 3, 10, 13) e,
almeno in un caso riscontrabile, anche con la paragraphos sottesa al rigo (col. II
10). I rr. 12-16 della col. II sono stati scritti in eisthesis di una lettera per lasciare
spazio alla coronide combinata con la paragraphos forcuta posta a suggello del

3
Hunt 1910, p. 84; cfr. Vannini 2009b, p. 93 n. 3; riproduzioni di P.Oxy. VII 1012: frr. 1-3 in Hunt
1910, Pl. IV; frr. 6 e 9 in CPF IV 2, figg. 152-153.
P.Amh. II 12 41

testo4. La dovizia di questo semeion, sommata ad altri aspetti sopra menzionati,


segnala la cultura libraria e la sensibilità editoriale di chi trascrisse l’hypo-
mnema, notevole in un testo ricopiato per finalità personali di tipo pragmatico.
Aristarco, autore dell’hypomnema secondo la subscriptio, è concordemente
identificato con il filologo alessandrino originario di Samotracia. Se si ritiene
veridica l’attribuzione del commentario5, questa è l’unica attestazione di un’at-
tività esegetica aristarchea sulle Storie, nonché sull’opera di uno storiografo e
di un prosatore in assoluto, e costituisce un documento eccezionale dell’inte-
resse della matura filologia alessandrina per la prosa di età classica6. Inoltre, il
frammento testimonia che al tempo di Aristarco il libro I delle Storie aveva la
stessa estensione che ha anche nei manoscritti medievali7. Che Aristarco abbia
commentato altri libri delle Storie è una supposizione plausibile, che però al
momento può valersi solo di un labile indizio relativo al libro II (non sfuggono
le implicazioni culturali e ideologiche di un eventuale commento alessandrino
al libro erodoteo sull’Egitto): St.Byz. m 269 B. Mwvmemfi‡: povli‡ Aijguvptou. ŞHrov-
doto‡ deutevra/ (II 163, 2 dat. -fi; II 169, 1 acc. -fin). klivnetai Mwmevmfew‡, wJ‡
¦Ariv‡tarco‡8.

4
Horak 1992, p. 230, nr. 22.
5
Scettico sull’attribuzione Haslam 1994, p. 45 n. 169; cfr. Haslam 1998, p. 55; McNamee 2007, p.
120. A parere di Stephanie West (2011, pp. 80-81), si tratterebbe di un modesto prodotto di scuola,
in cui il riecheggiamento di una discussione aristarchea sul combattimento degli eroi omerici con
la synoris (col. II 3-10) avrebbe generato l’attribuzione pseudoepigrafa del commentario ad Ari-
starco: ma sembra poco economico pensare che il tenore di una singola spiegazione, posta verso
la fine di un commentario presumibilmente piuttosto lungo, possa avere suggerito o determinato
la contraffazione della paternità dell’opera intera.
6
Per Jacoby 1913, col. 515, l’esistenza dell’hypomnema rende “sehr wahrscheinlich” che Aristarco
avesse realizzato anche un’edizione delle Storie; possibilista in tal senso Rosén 1962, pp. 211, 231;
convinto Hemmerdinger 1981, pp. 154-164. Contra Pfeiffer 1968, p. 225 n. 3; Alberti 1983, p. 195;
Baldwin 1984, p. 32; West 2007, p. 32; West 2011, pp. 79-80. Reticente Irigoin 1994 (vd. pp. 50, 54,
88).
7
Legrand 1942, p. 226.
8
Matijašić 2013; cfr. Montanari 2013, p. 5; Montanari 2016, p. 74 n. 2. Un motivo di perplessità
circa la pertinenza di questa testimonianza all’esegesi aristarchea a Erodoto nasce dal fatto che il
genitivo del toponimo associato al parere di Aristarco non è in forma ionica ma attica (Mwmevmfew‡,
e.g. Strab. XVII 1, 23) e implica il confronto con il più diffuso Mevmfi‡, il cui gen. in attico è Mevmfido‡
(in ionico i casi obliqui mantengono il tema in vocale: e.g. Hdt. II 12-14 gen. Mevmfio‡; II 2, 5 dat.
Mevmfi). Nel lessico di Stefano di Bisanzio potrebbero essere confluite due notizie originariamente
indipendenti: (1) l’informazione prosodica circa i nomi propri in -fi‡ più che bisillabici, con la re-
lativa attestazione letteraria più rilevante, cioè quella erodotea: cfr. Hdn. Pros.cath. III/1, p. 107,
5-6 Lentz to; de; öOnoufi‡ wJ‡ kuvrion proparoxuvnetai kai; Mwvmemfi‡. ŞHrovdoto‡ deutevra/ (kai; Mwvmemfi‡
adiecit L. ex St.Byz.: l’integrazione è resa necessaria dal riferimento al secondo libro di Erodoto);
(2) la precisazione sulla peculiarità flessionale, ricondotta ad Aristarco: cfr. Hdn. Klis.onom. III/2.2,
p. 699, 18-25 L. ta; eij‡ i‡ô ojnovmata Aijguvptia wJ‡ ejpi; to; plei'‡ton dia; kaqarou' tou' o‡ô klivnetai oi|on... kai;
Mwvmemfi‡ Mwmevmfew‡ wJ‡ ¦Ariv‡tarco‡. prov‡keitai “wJ‡ ejpi; to; plei'‡ton“ dia; to; Mevmfi‡ Mevmfido‡, o{per
parav ti‡i kai; Mevmfio‡ ei[rhtai oujk ajkribw'‡. ... kai; tau'ta ga;r Aijguptivwn ej‡ti;n ojnovmata kai; o{mw‡ dia;
tou' doô‡ô klivnetai (anche in questo caso, Lentz integra kai; Mwvmemfi‡–¦Ariv‡tarco‡ riscontrando la
42 Herodotus 4

Un’attribuzione così autorevole del commentario può ingenerare l’aspet-


tativa di un‘esegesi particolarmente analitica ed erudita, che tuttavia resta in
gran parte delusa, e non soltanto per le ridotte dimensioni del frammento. Da
un lato, il commento si caratterizza per una spiccata selettività. All’inizio della
col. II leggiamo la conclusione di una spiegazione di difqevra‡ ‡tega‡trivda‡ di
Storie I 194, 2; dei quattri lemmi che seguono, il primo è tratto ancora da I 194,
i tre seguenti da I 215, dunque con un salto di venti capitoli comprendenti gran
parte dell’excursus etnografico sui Babilonesi e del racconto della campagna
militare persiana contro i Massageti. Questa indole desultoria e selettiva si con-
ferma nella col. I, che nella parte alta contiene la parola eJor˚thvn (r. 4), riferibile
a una nota su Storie I 183, 2 (più probabilmente che su I 191, 6), e nella parte
inferiore ospitava l’inizio della spiegazione di difqevra‡ ‡tega‡trivda‡ (I 194, 2),
coprendo così non meno di undici (o, nell’altra ipotesi, non meno di tre) capi-
toli dell’opera erodotea, e non uno soltanto, come a lungo si è creduto9. D’altra
parte, le spiegazioni vertono su aspetti puntuali e denotano un interesse di
tipo non storiografico ma prettamente linguistico-letterario di marca erudita10:
in particolare, la nota su a{mippoi (I 215, 1) – che fra l’altro documenta nel lemma
una variante del testo erodoteo rispetto ad a[nippoi della tradizione medievale
– porta a confronto la prassi di combattimento degli eroi rappresentata nell’epos
omerico; e l’espressione ‡idhvrw/ de; oujd¦ ajrguvrw/ crevwntai (ibidem) è illustrata con
un parallelo dai Pastori di Sofocle (fr. 500 R.). Testimonianze di questo tipo fa-
voriscono l’opinione che il confronto e la critica intertestuale di opere della
poesia e della prosa, a scopo di delucidazione linguistico-dialettale, stilistica e
contenutistica, siano stati tra i fattori fecondanti della filologia alessandrina
sui prosatori11; e che in seguito, quando questa stessa prospettiva fu nuova-
mente adottata su presupposti diversi come risposta alle istanze formative
delle scuole retoriche dell’Impero Romano, ciò abbia costituito un salvacon-

concordanza della fonte del frammento erodianeo, Giorgio Cherobosco, con la voce Mwvmemfi‡ di
Stefano e inoltre m 137 B. Mevmfi‡: ... klivnetai kai; Mevmfio‡ kai; Mevmfido‡). Aristarco potrebbe essere
intervenuto sulla questione in un contesto estraneo allo studio delle Storie, per esempio in riferi-
mento ad Aeschl. Pers. 36 Mevmfido‡ (passo addotto in Phot. Lex. m 270 Th. come exemplum del gen.
att. in opposizione al gen. ion.): non penso necessariamente (come invece Matijašić 2018, p. 151
con la n. 135, mi attribuisce) a un commentario aristarcheo a Eschilo, che non è attestato. Del resto,
per le conoscenze di Aristarco e degli Alessandrini in materia di toponomastica greca d’Egitto
non è necessario postulare la mediazione di Erodoto. Sulla questione vd. Montana 2016.
9
Montana 2012a.
10
Lo rilevano Pfeiffer 1968, p. 225; Turner 19802, p. 121; cfr. Malitz 1990, p. 343; Schironi 2012, p.
429; Montanari 2013, pp. 7-8. Murray 1972, p. 204, sottolineando l’interesse anche per dati fattuali,
conclude che “this is not a purely linguistic, stylistic, and textual commentary”: si tratta pur sem-
pre, tuttavia, non di una prospettiva storiografica, ma di Sachphilologie.
11
Rosén 1962, p. 231; Pfeiffer 1968, p. 224 con la n. 6; Montana 2009b, pp. 166-170; Montana 2012b,
pp. 25-26, 53; Montana 2015b, pp. 95-97 e 138-140.
P.Amh. II 12 43

dotto per la sopravvivenza e la trasmissione di strumenti esegetici più antichi,


riadattati a esigenze attuali12.
Non si ravvisano motivi cogenti per attribuire all’autore dell’hypomnema i
salti nel commento13. Tutt’al più, la combinazione di selettività, taglio erudito
e interesse per l’intertestualità nei confronti della tradizione poetica potrebbe
suggerire che Aristarco si limitasse a discutere questioni di Sprach- e Sachphi-
lologie sollevate da passi erodotei nei quali si era imbattuto in funzione d’altro,
per esempio nel suo lavoro di costituzione testuale e di spiegazione di opere
poetiche14. D’altro lato, evidenti brachilogie espressive e vacua argomentativi,
in aggiunta alla collocazione del testo sul verso di un rotolo documentario (caso
in sé non insolito nei papiri erodotei, specialmente per il primo libro delle Sto-
rie15), sono indizi forti di una manipolazione e rielaborazione dell’opera origi-
nale in senso selettivo16, funzionale a una fruizione pragmatica e a un obiettivo

12
Paralleli poetici, prevalentemente da Omero (una decina di citazioni) e da Callimaco (due cita-
zioni), illustrano ad esempio il testo di Tucidide nel commentario P.Oxy. VI 853, del IIp (cfr. Gren-
fell-Hunt 1908, p. 110), testimone della tendenza dell’esegesi di età imperiale a privilegiare le
istanze stilistiche e retoriche nella lettura degli storiografi: Luschnat 1954, p. 49; Cribiore 2001, p.
144; McNamee 2007, pp. 58-59 e 117-125; Montanari 2013, pp. 30-31; Matijašić 2018, passim.
13
“Salti d’autore” sono persuasivamente argomentati da Luzzatto 2012 per il commentario didi-
meo a Demostene BKT I pp. 4-73 (P.Berol. inv. 9780).
14
Secondo la sintetica definizione di Turner 19802, p. 113, gli hypomnemata “in fact consist of an
interpretation […] of the author in the form of an explanation of selected passages – those marked
by the critical sign”.
15
Sei rotoli oltre a P.Amh. II 12, fra i quali P.Oxy. I 19 (⇒ 3): Bandiera 1997, p. 52. Per il fenomeno
di testi letterari scritti sul verso di rotoli reimpiegati in ambito ossirinchita cfr. Lama 1991, pp. 114-
115. Il contesto scolastico è evocato in proposito da Cavallo 1986, p. 131. West 2011, pp. 72-77, so-
spetta in generale che molti frammenti papiracei delle Storie documentino non rotoli contenenti
libri interi dell’opera, ma excerpta e selezioni prodotti anche in rapporto alla domanda di istru-
zione.
16
Dopo lo scetticismo in proposito dei primi editori (Grenfell-Hunt 1901, p. 3, ritennero “not very
likely” che il papiro contenga solo excerpta del commento originario), così si sono espressi Rader-
macher 1902, p. 139; Viereck 1902, col. 716; Crönert 1903, p. 359; Jacoby 1913, col. 515; Viljoen 1915,
pp. 19 e 21; più di recente, Pfeiffer 1968, pp. 224-225; McNamee 1977, p. 141, e 1995, p. 405 con la
n. 15; Radt 1977, p. 396 (apparato); Del Fabbro 1979, p. 94 n. 78; Montevecchi 1988, p. 377; Mon-
tanari 1993, p. 248; Messeri-Pintaudi 2002, p. 43 con la n. 1; Vannini 2009b, p. 93 n. 1; cfr. Montana
2012a; Montanari 2013, pp. 6-7. Paap 1948, pp. 39-40, attribuiva il salto nel commento dal cap. 194
al cap. 215 a una lacuna nel modello: un’evenienza non esclusa da Pfeiffer 1968, p. 224. West 2011,
pp. 80-81, è propensa a intendere i salti come omissioni intenzionali dell’autore e dipinge que-
st’ultimo come un solerte maestro di scuola (non Aristarco) agitato da scrupoli morali. A ragioni
di censura morale nel contesto educativo si attribuisce l’omissione dei capp. 197-205 nel ms. Vat.
gr. 2369 (D) e del cap. 199 negli altri mss. della famiglia b (RSV): Pasquali 1952, p. 307; Wilson
1983, p. 16. Invece parti del cap. 196 (mercato delle spose) sono conservate in P.Lit.Palau Rib. 10,
codice membranaceo del Vp (MP3 469.1); resti del cap. 199 si leggono in P.Ross.Georg. I 15 del IIIp
(MP3 469) e in PSI X 1170 del IIp (MP3 470), scritto sul verso di un registro di immobili (e per questo
motivo assegnato all’ambito scolastico da Cavallo 1986, p. 130).
44 Herodotus 4

culturale o formativo orientato e circoscritto di buon livello17. È condivisibile,


pertanto, quanto Eric Turner ebbe a concludere in termini generali, partendo
dall’osservazione del nostro hypomnema: “I have little doubt that many of the
examples of hypomnemata among the papyri were the property of the succes-
sors in Roman times of our scholars, professors at the Museum”18.

Verso (↓)
Col. I

ç˙o‡oc˚å˙çnou ej‡t˚i de˚å ±2?ç I 171, 4?


çapo tw˚n artwn˚˚å ±2?ç
ç katavl˚u‡i‡Ð ć a˚å ±4?ç I 181, 4?
ç˙an eJor˚th;n an˚a˚å ±2?ç I 183, 2?
5 ço˚å˙˙˙˙çh˚m˚en˙b˚å ±3?ç
eujçp˚et˚evw‡ to˚ut˚oup˚å ±2?ç I 189, 2?
pçollåoçu' crovn˚oåuç I 189, 4?
ç˙˙r˚˙en˚ei‡˚dun˚å˙ç˙˙
ç˙˙˙n˚to˙r˚oe‡˚å ±2?ç I 190, 2?
10 ç˙˙å˙ç˙˙˚å˙˚ç˙˚t˚å˙˙˚çon
çn˚å˙˙˙˙˙˙ç˙˚
çt˚å
çr˚å˙çu˚å
çq˚å˙ç˙˙a˚i˚å ±3?ç
15 ç‡˚t˚å˙çi˙a˚w˚å ±3?ç
çn˚˙taå˙˚çantoå ±2?ç
ç˙˙˙˚a˚å˙çn˚o˚unå ±3?ç˚
çnto˚‡˚å˙çw˚

17
Cavallo 1986, p. 131, inferisce “un’origine tutta scolastica, e verosimilmente da una scuola su-
periore metropolitana: la stessa Alessandria, ove i continuatori della tradizione del Museo si ser-
virono di materiali del genere?”; “una serie di lezioni sull’autore, o l’interpretazione di passi
scelti”; cfr. Bandiera 1997, p. 49 n. 5. A un livello formativo modesto pensano McNamee 2007, p.
120 (“It is likely to have been a school text, and was perhaps a student’s copying exercise”) e West
2011, pp. 80-81 (vd. n. precedente).
18
Turner 19802, p. 113. Ringrazio Raffaella Cribiore di avere ispezionato per mio conto l’originale
in alcuni punti.
P.Amh. II 12 45

‡tegaç‡˚åtçr˚iv˚da‡˚å˙ç˙ I 194, 2
20 çonte‡˚å˙˙ç˙
çp˚a˚å˙˙ç˙a˚
çn
ç‡˚i
çt˚˙
25 çe

Scrittura illeggibile in più punti per lacerazioni e, specialmente nella parte destra della colonna e
in basso a sinistra in prossimità dello strappo, per consistenti abrasioni 4 ç˙ tracce puntiformi:
e? 5 prima di b, sul bordo di un foro, estremità superiore di asta verticale lievemente inclinata
a destra: h? 6 p˚å traccia delle due aste verticali in prossimità di un foro; p˚r˚å Grenfell e
Hunt 6/7 nello spazio interlineare alla fine dei due righi è dislocato un piccolo frammento
quadrangolare con tracce di due lettere (o˚m˚?) apparentemente scritte lungo le fibre 14 ç˙ tratto
a metà rigo leggermente obliquo discendente, possibile n a˚i˚ legati, cfr. II 5 e 7 kai;, II 14 cråw'çntai,
II 16 a{pteûtai 15 çi˙ dopo i, piccolo resto di tratto obliquo ascendente 19 ç‡˚å dopo superficie
abrasa, labile traccia compatibile per forma e per modulo con ‡ çr˚i˚ traccia d’inchiostro sul bordo
destro di un foro, seguita da breve asta verticale ‡˚å traccia curvilinea ç˙ asta verticale 20 ç˙
asta verticale
——
1 çe˚o‡ ojcå˚ avçnou? (ad I 171, 4) : ço‡ou˚å˙˙çnou Grenfell et Hunt : ço‡ ou˚j Paap, åNivçnouÐ Viljoen 2 makrw/'
ajriv‡thç (lemma) Viljoen, ajriv‡th:ç Paap (ad I 193, 2) 3-4 lemma a[åmpeûlon Viljoen, Paap (I 193,
3) 4-5 eJor˚th;n ajna ˚ ûv ågw‡i legi et suppleverim (ad I 183, 2) : ç˙aneoi thn m˚a˚ Grenfell et Hunt : oi|ça
nevoi Viljoen, Paap 5 h˚J båa‡içûålhivh? (I 187, 3) 6 eujçp˚et˚ewv ‡ legi et supplevi (I 189, 2) : çn˚e‡ew‡
Grenfell et Hunt : a[r‡eçne‡ e{w‡ Viljoen, Paap (ad I 193, 5) 8 a˚r[ ‡˚ e˚ n˚ Viljoen, a[çr˚å‡çen˚ Paap (ad I 193,
5) 9 p˚r˚oe‡åavx˚anto suppleverim (I 190, 2) : cçr˚ove‡Ð å Viljoen 15 ‡tegaç‡˚t˚årçivd˚a˚? (ad I 194,
2) 16 t˚aålçantoå Viljoen, Paap (ad I 194, 3) 17 a˚å[ cçr˚oun Viljoen : fort. ˙å˙çn˚‡u˚ na˚˙ (ad I 194, 2
‡unavgonte‡ ?) 18 çnto ‡˚å˙˚çw˚ Viljoen, Paap 19 ‡tegaç‡˚åtçr˚id v˚ a‡˚ legi et supplevi (ad I 194, 2)

Col. II

non oi|a nu'n forou'‡in oiJ ‡akoforou'n-


te‡ ć o[no‡ zw;‡ e[‡tåiçn oi|oi kai; ejn toi'‡ I 194, 3
ploivoi‡ ojnå ±7 çai ć iJpp˚åovtai dçev˚ e˚ij- I 215, 1
å‡çi˚ k˚aåi;ç a{mipåpoi ˙˙˙ i{çppoi d˚åuvo˙˙˙˙ça-
5 gwgoi iJma'‡i d˚e˚demevnoi kai; åejp¦ç aujtw'n
tine‡ ojcouvmåeçnoi: oiJ h{rwe‡ toi'‡ a{rma-
‡i pro‡hvlaåuçnon kai; ou{tw‡ ajpevbaåiç-
non: oiJ˚ de; pr˚åo;‡ç ejlav‡‡o‡in, oJ me;n ajpev-
bainen, oJ de; åmçevnwn pareivce˚to th;n
10 tou' hJniovcou creivan ć ‡agavri‡ pevle-

ku‡ ’kuqikåo;‡ oi|çon åaçiJ˚ ¦Amazo˚vn˚e‡
46 Herodotus 4

f˚åorçou'‡in å˙˙˙ ojçrqw'‡ ejleåg˙˙˙çn˚˙‡˚


m˚å˙çnwg˚a˚å˙˙˙˙ça˚ro˚n ć ‡idhvårw/ç de; ouj- I 215, 2
d¦ ajrguvrw/ cråw'çntai ’ofoklh'‡ ejn Påoiç-
m˚ev‡i “ouj calkov‡, ouj ‡ivdhro‡ a{pte-
tai croov‡”.

¦Ari‡tavrcou
ŞHrodovtou

uJpovmnhma

3 ça˚i alpha un poco al di sopra del rigo e legato a iota, come nella sequenza tai (col. II 14 cråwçntai;
col. II 16 apteûtai) 5 uma‡i pap.? (i>˚ma‡i Grenfell e Hunt) autwn pap. 8 ela‡‡•w¶‡in, a
quanto pare con :o: soprascritto a w 11 dopo çon tracce puntiformi attorno a fori, spazio per
una lettera: åaçi Grenfell e Hunt; oppure d i.e. (de;)Ð ? 11-12 in corrispondenza dell’interlinea ha
inizio la coronide, che affianca la parte finale del commento e la subscriptio 12 çn˚˙‡˚ quanto resta
della seconda lettera (o? a?) è scritto tra due fibre distanziate in un punto difettoso del papiro,
dunque sul retro di fibre orizzontali del recto; l’ultima traccia è un tratto arcuato aperto verso de-
stra; çn˚h Grenfell e Hunt 13 g˚a˚å forse piuttosto p˚a˚å Cribiore per litteras dicolon: lettura di Van-
nini 14 åw'ç difficilmente in lacuna vi era più di una lettera (la paradosi erodotea ha crevwntai)
——
3 fort. o[nåoi levgontçai aut ojnåomavzontçai : o[nåoi ±5 ç˙˙ Vannini : o[nåoi ˙˙˙˙˙Ð ç an˚˚ (initium lemmatis
an˚ipp˚åoi) Grenfell et Hunt : o[nåoi xuvlouç an˚˚ Radermacher 3-4 ç˙˙ ć iJpp˚åovtai dçev˚ e˚˚ijûå‡çi˚ k˚aåi;ç
a{mipåpoi (lemma) Vannini : ç a[n˚ipp˚åoi oujç d˚e˚i', û åajçl˚l˚a; a{mipåpoi Hemmerdinger 4 ˙˙içppoi d˚åuo
Grenfell et Hunt wJ‡ i{çppoi Viljoen : oiJ i{çppoi Blass ap. Viljoen : o{per i{çppoi Hemmerdinger : fort.
a{miçppoi ? 4-5 eujçavûgwgoi Radermacher cl. Poll. I 195 : an potius eujparçavûgwgoi ? 5 åejp¦ç suppl.
Grenfell et Hunt 11 åaçi Grenfell et Hunt : an potius d i.e. d(e;)Ð ? 12-13 å˙˙˙˙oçrqw‡
eleåge˙˙çn˚hûm˚åeçnw g˚aå˚ r falça˚ro˚n Grenfell et Hunt : åoJ öIwn ojçrqw'‡ e[leåge: ejwçn˚hûm˚åevçnw g˚aå˚; r favlça˚ro˚n
ad I 215, 2 favlara Viljoen

Col. I
... (3) ... sosta (I 181, 4?). ... (4) festa (I 183, 2?) ... (6) ... facilmente (I 189, 2?) di
questo ... (7) ... molto tempo (I 189, 4?) ... (9) accumularono (?) (I 190, 2?) ... (19)
... (pelli) di rivestimento (I 194, 2) ...

Col. II
... come oggi (li) portano i facchini. c’è un asino vivo (I 194, 3): come anche
nelle navi ... sono cavalieri e usano cavalli appaiati (I 215, 1): ... (due) cavalli
docili (?) legati insieme con tiranti e alcuni che li cavalcano; gli eroi avanzavano
con i carri e così scendevano a terra (per combattere); ma, quando essi (si tro-
vavano) dinanzi a nemici in numero inferiore, uno di essi scendeva, mentre
l’altro restando a cavallo assolveva il compito di auriga. sagaris (I 215, 1): ascia
scitica del tipo portato dalle Amazzoni ... bene diceva (?) ... . di ferro e di ar-
P.Amh. II 12 47

gento non fanno uso (I 215, 2): Sofocle nei Pastori (fr. 500 Radt): “non bronzo,
non ferro scalfisce la (sua) carne”.

Col. I
La superficie di questa parte del frammento è estremamente tormentata da
fori e lacerazioni, dalla caduta di fibre, dalla scomparsa d’inchiostro; in più
punti la decifrazione è molto problematica. Nell’editio princeps, Grenfell e Hunt
si limitarono prudentemente alla trascrizione diplomatica, solo restituendo
pçollåoçu cronoåu al r. 7. Dobbiamo a Viljoen (1915) il primo tentativo di rico-
struzione organica del contenuto della colonna. Le sue conclusioni furono in
gran parte recepite da Paap (1948), con l’aggiunta di qualche contributo mi-
nore.
Partendo dalla constatazione che all’inizio della col. II si conclude una spie-
gazione di difqevra‡ ‡tega‡trivda‡ (I 194, 2)19, Viljoen riferì la porzione di testo
da e‡t˚ide fino al dicolon di r. 3 a I 193, 2, dove lo storico decanta l’eccezionale
feracità e l’abbondanza della produzione cerealicola della piana babilonese:
e[‡ti de; cwrevwn au{th pa‡evwn makrw/' ajriv‡th tw'n hJmei'‡ i[dmen Dhvmhtro‡ karpo;n ejk-
fevrein. In e‡t˚ide Viljoen era propenso a vedere l’inizio di un lemma, benché
non preceduto da dicolon contro il comportamento usuale dello scriba (cfr. col.
I 3 e col. II 2, 3, 10 e 13)20. Nella prima parte superstite del r. 1, quindi, Viljoen
restituì il nome della città assira di Nino-Ninive (o‡ou åNivçnou), cui Erodoto fa
riferimento alla fine del periodo sintattico precedente (I 193, 2): ej‡ to;n Tivgrhn,
par¦ o}n Nivno‡ povli‡ oi[khto21. A seguire, lo studioso propose ulteriori, correlate
integrazioni: a r. 3 a[åmpeçûålon (I 193, 3)22; ai rr. 6 e 8 rispettivamente a[r‡eçne‡ e
a[˚r˚‡˚e˚n˚ eij‡dunå, in riferimento a I 193, 5, dove lo storico antico, esponendo la tec-
nica impiegata dai Babilonesi per favorire la maturazione dei datteri, menziona
“le palme che i Greci chiamano maschi” (foinivkwn tou;‡ e[r‡ena‡ õEllhne‡ ka-
levou‡i) e indica l’innesco naturale di questo processo nel cinipe, un insetto che
si annida nel frutto (i{na pepaivnh/ tev ‡fi oJ yh;n th;n bavlanon ej‡duvnwn)23; e così via

19
Viljoen 1915, p. 19.
20
Viljoen 1915, pp. 19-20. Ispirato da Verdenius, Paap 1948, p. 39 con la n. 3, immaginava una
spiegazione del tutto inane: “(terra) praeclara panibus, quos caupones hospitibus apponunt”.
21
Viljoen 1915, p. 20. Il ritocco apportato da Paap 1948, p. 39, ço‡ ouj˚ åNivçnou, non reca alcun effettivo
incremento di senso.
22
Viljoen 1915, p. 20: “Valde probabile est Aristarchum vitis culturam in nota erasa tractare. Hoc
minime pro certo habere possumus, sed non aliud verbum ab alpha incipiens apud Herodotum
hic invenio quod probabilius sit Aristarchum hoc loco explicasse”. Del sentimento di insoddisfa-
zione dello studioso non v’è più traccia in Paap 1948, p. 39: “Cum Viljoenio de lectione a[åmpelonç
consentio. Probabile est Aristarchum de cultura vitis quaedam annotasse”.
23
Viljoen 1915, p. 20; Paap 1948, p. 39.
48 Herodotus 4

(vd. sopra, apparato critico al testo). Questa ricostruzione e l’idea che il com-
mento contenuto nella col. I vertesse su lemmi del libro I delle Storie compresi
fra 193, 2 (Nivno‡ povli‡) e 194, 2 (difqevra‡ ‡tega‡trivda‡) – un solo capitolo del-
l’opera erodotea coperto dalla prima colonna di testo del commentario, in to-
tale contrasto con l’elevata selettività della col. II – hanno per lungo tempo
appagato e assopito l’impulso ad approfondire la questione24. Il quadro, tutta-
via, è stato messo in seria discussione da una nuova lettura in col. I 4, e da altre
ipotesi di restituzione e identificazione testuale che ne scaturiscono.
Al r. 3, katavlu‡i‡ ha buone probabilità di essere una spiegazione di ka-
tagwghv (Storie I 181, 4), il ‘punto di sosta’ sulla salita della torre di Babilonia:
me‡ou'nti dev kou th'‡ ajnabav‡iov‡ ej‡ti katagwghv te kai; qw'koi ajmpau‡thvrioi, ejn toi'‡i
kativzonte‡ ajmpauvontai oiJ ajnabaivnonte‡. Così Hsch. k 1042 L. katagwghv:
katavlu‡i‡ ktl; Phot. Lex. k 238 Th. katagwvgion: to; katavluma: kai; katagwghv: hJ
katavlu‡i‡: kai; katavge‡qai: to; kataluvein: ou{tw‡ fa‡i;n ¦Attikoiv. L’afferenza del-
l’interpretamentum alla tradizione atticista è comprovata da Moer. k 65 H. ka-
tagwvgion kai; katavge‡qai ¦Attikoiv: katavluma kai; kataluvein õEllhne‡; Antiatt.
k 46 V. katagwvgionć ajnti; tou' katavlu‡in25.
Al r. 4 si legge ç˙an eJor˚thvn an˚a˚å 26, che, in ragione della forma attica del so-
stantivo (eJo-), è da ritenere parte di una spiegazione più probabilmente che di
un lemma (anche se non possiamo escludere un fenomeno di atticizzazione
del testo di Erodoto). Sono possibili due connessioni puntuali con il testo an-
teriore a Storie I 194, 2 difqevra‡ ‡tega‡trivda‡. In I 183, 2, nell’ambito della de-
scrizione degli edifici e dei riti sacri annessi alla torre di Babilonia, Erodoto
riferisce che ejpi; ga;r tou' cru‡evou bwmou' oujk e[xe‡ti quvein o{ti mh; galaqhna; mou'na,
ejpi; de; tou' mevzono‡ bwmou' kai; katagivzou‡i libanwtou' civlia tavlanta e[teo‡ eJkav‡tou
oiJ Caldai'oi tovte ej p ea; n th; n oJ r th; n a[ g w‡i tw/' qew/' touvtw/. In Storie I 191, 6, nel
contesto della narrazione della caduta della città di Babilonia nelle mani dei
Persiani, l’autore osserva che uJpo; de; megavqew‡ th'‡ povlio‡, wJ‡ levgetai uJpo; tw'n
tauvth/ oijkhmevnwn, tw'n peri; ta; e[‡cata th'‡ povlio‡ eJalwkovtwn tou;‡ to; mev‡on
oijkevonta‡ tw'n Babulwnivwn ouj manqavnein eJalwkovta‡, ajllav (tucei'n gavr ‡fi
ej o u' ‡ an oJ r thv n ) coreuvein te tou'ton to;n crovnon kai; ejn eujpaqeivh/‡i ei\nai, ej‡ o} dh;
kai; to; kavrta ejpuvqonto. La possibilità di una scelta sicura fra questi due passi è

24
Le principali restituzioni operate da Viljoen e Paap nella col. I sono state recepite da Rosén 1987,
I, pp. 120-121 (apparati). N.G. Wilson (2015a e 2015b) non entra nel merito.
25
katagwghv riceve spiegazione anche nelle Lexeis erodotee, dove è glossato pandokei'on. Si noti che
katagwghv è vox erodotea riconosciuta come attica nella lessicografia citata e pertanto si aggiunge
ai casi della ricezione atticista delle Storie (sul tema, vd. l’Introduzione).
26
Per questa lettura vd. Montana 2012a. Di r rimane una porzione sottile della parte superiore,
ben staccata dal successivo t, forse anche per effetto della caduta di una fibra di papiro. Se in col.
I 2 artwn le lettere rt sono strettamente contigue, in col. II 6 armaû la distanza fra r e m è compara-
bile a quella fra r e t nella grafia qui in esame.
P.Amh. II 12 49

vanificata dall’incertezza sulla lettera che nel papiro, in col. I 4, precedeva an


(sono attesi e come in ejpeavn di I 183, 2, oppure ‡ come in ejou'‡an di I 191, 6).
L’assenza dell’articolo davanti al sostantivo deporrebbe a favore di una spie-
gazione di I 191, 6, dove pure l’articolo manca: in tal caso nel commentario sa-
rebbe da ricostruire ou\ç‡˚an eJor˚th;n an˚a27. Altri aspetti, tuttavia, sembrano
accordare maggior peso all’altra opzione. In primo luogo, le tracce di scrittura
che vengono dopo eJor˚thvn si confanno a una forma composta, come per esem-
pio ajn˚avûågw‡i, omologo di a[gw‡i che segue oJrthvn in I 183, 2 e suo potenziale si-
nonimo in sede esplicativa: si restituirebbe allora (ejp)çe˚an; eJor˚th;n ajna ˚ ûv ågw‡i28. In
secondo luogo, a favore di I 183, 2 gioca la dimensione della lacuna che cade
fra r. 3 e r. 4, valutabile in 15/20 lettere: se in così poco spazio avevano posto
sia il lemma sia l’inizio della spiegazione, siamo in difficoltà a trovare per il
lemma una soluzione compatibile con I 191, 6 (ajållav? vd. n. 27), mentre per I
183, 2 disponiamo di a[llo‡ bwmo;‡ (mevga‡) oppure a[gw‡i. Nonostante queste in-
certezze, la nuova lettura eJor˚thvn consente quanto meno di stabilire che nella
sua penultima colonna il commentario copriva una quantità di testo erodoteo
equivalente non a un capitolo soltanto (I 193, 2-194, 2), come si è creduto da
un secolo a questa parte, ma a un numero di capitoli non inferiore a undici (I
183, 2-194, 2) o, come minimo, a tre (I 191, 6-194, 2).
Al r. 9 è plausibile restituire pçr˚oe‡åavçûåxanto (con questa o altra divisione di
parola), una forma impiegata dallo storico a I 190, 2, dove riferisce che gli abi-
tanti di Babilonia “fecero provviste” in previsione dell’assedio persiano:
oJrevonte‡ aujto;n (sc. Ku'ron) panti; e[qnei oJmoivw‡ ejpiceirevonta, proe‡avxanto ‡itiva ej-
tevwn kavrta pollw'n. La forma del secondo preverbio (-e‡-) depone a favore del
lemma, piuttosto che di una spiegazione.
Il r. 19 cade in un punto del papiro particolarmente martoriato. Poiché è
probabile che il r. 25 sia l’ultimo della colonna29, in questi righi finali si trovava
il lemma la cui spiegazione termina in col. II 1-2 (... oi|a nu'n forou'‡in oiJ ‡ako-
forou'nûte‡Ð ć), e cioè (difqevra‡) ‡tega‡trivda‡, le ‘pelli di rivestimento’ o ‘coperture
in pelle’ (l’aggettivo è tradotto ‘imperméable’ in Chantraine 1968-1980, p.

27
A titolo d’ipotesi, potremmo figurarci ai rr. 3-4 un lemma ajålla;ç û åtucei'n gavr ‡fi ejou'ç‡˚an eJorthvn
(I 191, 6, con att. eJorthvn al posto di ion. oJrthvn); ma, a parte il problema della forma attica, le tracce
che nel papiro vengono dopo eJorthvn, non essendo compatibili con coreuvein, che nel passo erodoteo
segue oJrthvn, dovrebbero essere considerate inizio della spiegazione: e allora la sintassi del testo
erodoteo preso a lemma risulterebbe tronca.
28
Nelle Storie oJrthvn si accompagna tanto con a[gein (oltre al passo qui in esame, e.g. I 147, 2; I 148,
1), quanto con ajnavgein (e.g. II 40, 1; II 48, 2). Qualora nel papiro ci fosse stato ajnavågw‡i in sede di
lemma, saremmo in presenza di una varia lectio rispetto ad a[gw‡i della paradosi medievale ero-
dotea.
29
Così “possibly” Grenfell-Hunt 1901, p. 4. Sotto l’ultima traccia di scrittura al r. 25 rimane un
frammento di papiro privo di scrittura alto circa 1 cm.
50 Herodotus 4

1046b) con cui i Babilonesi usavano foderare le loro imbarcazioni da carico (I


194, 2): periteivnou‡i touvtoi‡i difqevra‡ ‡tega‡trivda‡ e[xwqen ejdavfeo‡ trovpon, ou[te
pruvmnhn ajpokrivnonte‡ ou[te prw/vrhn ‡unavgonte‡. Non ci sono controindicazioni,
in effetti, a ripristinare al r. 19 ‡tegaç‡˚åtçr˚i˚vda‡˚å, citato dal commentatore come
lemma o da lui ripetuto nella spiegazione. Dietro çonte‡˚å del r. 20 può celarsi
allora uno dei due participi che seguono di poco ‡tega‡trivda‡ nel passo ero-
doteo, ajpokrivnonte‡ e ‡unavgonte‡, o un loro sinonimo in sede di spiegazione.
La notazione sull’utilizzo “attuale” di abiti in pelle come vestiario dei facchini
(col. II 1 nu'n) sembra trovare un’eco in Poll. X 180, dove occorre l’unica altra
attestazione nota del termine ‡tega‡triv‡: kai; ‡tevga‡tron de; o{‡ti‡ ejqevloi ojnomav-
zein, h|/per hJ pollh; crh'‡i‡, th;n ‡tega‡trivda difqevran, to;n ‡kuvtinon tou'ton
citw'na, katafeugevtw ejpi; to;n Aij‡cuvlon, eijpovnta (fr. 367 R.) “oj‡tevwn ‡tevga‡tron”.
La congruenza del vocabolo con il greco parlato dell’Egitto ellenistico trova
conferma nell’uso di ‡akkofovro‡, ‘facchino’, in P.Lond. I 44, 34 (petizione di
Tolomeo figlio di Glaucia dal Serapeo di Menfi, 161 a.C.). La comparazione di
un uso o di un’espressione documentati nelle Storie con quelli attuali (nu'n) è
un espediente esegetico attestato anche nelle Lexeis erodotee, s.vv. ajnaxurivda‡
(Storie I 71, 2) e aiJma‡iav (Storie I 180, 2-3). La prima di queste due lexeis, in par-
ticolare, intrattiene qualche familiarità con il passo in esame dell’hypomnema,
in quanto è tratta dalla descrizione erodotea dell’uso persiano di indossare
capi di cuoio (a[ndra‡..., oi} ‡kutivna‡ me;n ajnaxurivda‡, ‡kutivnhn de; th;n a[llhn
ej‡qh'ta forevou‡i) ed è spiegata anche ricorrendo all’uso linguistico “odierno”:
ta; baqeva kai; ba‡ilika; tw'n uJpodhmavtwn, h] ta; nu'n brakiva legovmena. Tuttavia,
poiché le più antiche attestazioni di brakivon, diminutivo di bravkai (Lat. bracae;
D.S. V 30), non sono anteriori al IIp (O.Florida 23, 9, poi papiri e iscrizioni del
IVp: cfr. DGE e LSJ s.v.), sarebbe imprudente ricondurre l’origine di questa lexis
al commentario aristarcheo30.
Queste riconsiderazioni incoraggiano a tentare ulteriori ipotesi sul testo la-
cunoso circostante. Può essere utile proporle, sia pure con la massima cautela,
come mero corollario e semplici ipotesi di lavoro.
Al r. 1 è ipotizzabile ç˙o‡ ojcå˚ avçnou, da riferire a Storie I 171, 4 o[cana aj‡piv‡i
ou|toiv (sc. oiJ Ka're‡) eij‡i oiJ poih‡avmenoi prw'toi: tevw‡ de; a[neu ojcavnwn ejfovreon ta;‡
aj‡pivda‡ pavnte‡ o{‡oiper ejwqv h‡an aj‡piv‡i cra'‡qai. Anteriormente a Erodoto, questa
tradizione sull’origine caria degli o[cana, i dispositivi in cuoio e metallo applicati
all’interno degli scudi per imbracciarli e manovrarli, è testimoniata da Anacre-
onte, PMG 401 = fr. 47 G. dia; dhu\te Karikourgevo‡ ÷ ojcavnou cei'ra tiqevmenoi (²ti-

30
Montana 2015a, pp. 432-433. Sull’interesse dei grammatici greci per il parlato, anche come fonte
di usi linguistici: Pfeiffer 1968, p. 317 (Aristofane di Bisanzio); Montanari 1988, p. 39 (Agatocle di
Cizico); Cassio 1993, pp. 81-82; Tosi 1994, pp. 148, 207-208; Dettori 2000, pp. 36-37 con la n. 105
(Filita di Cos); Ascheri 2010, p. 135.
P.Amh. II 12 51

qevmenoi² Page), citato da Strab. XIV 2, 27 (661) come prova dello zh'lo‡ cario per
la sfera militare e poi ripetutamente nell’esegesi antica a Il. VIII 193 in merito
allo scudo di Nestore fabbricato interamente d’oro, inclusi i kanovna‡, i ‘manici’:
sch. D Il. VIII 193 van Thiel (mss. ZYQAR) kanovna‡ć rJab v dou‡, ai|‡ ejkravtoun ta;‡
aj‡pivda‡. ou[pw ga;r ejcrw'nto toi'‡ povrpaxin, ou}‡ o[cana ejkavloun. u{‡teron ga;r ou|toi
ejpenohvqh‡an uJpo; Karw'n, wJ‡ kai; ¦Anakrevwn fh‡ivn: Karioergevo‡ ojcavnoio31. Cfr.
EGud. s.v. kanovna‡, p. 297, 41-44 S.; EM. s.v. kanovna‡, p. 489, 36-39 G. con la nota;
Eustath. ad Il. I 579, 4-6 (su Il. II 867), III 394, 7-11 (su Il. XII 294-297) e III 671, 9-
11 V. (su Il. XIV 404). Alla luce di questa tradizione esegetica sul passo iliadico,
non stupirebbe che l’omerista Aristarco si fosse soffermato sulla testimonianza
di Erodoto I 171, 4 circa l’evoluzione dell’armamento greco in età arcaica a con-
fronto con gli usi precedenti (omerici) e avesse citato il sintagma anacreonteo
Kari(k)oergevço‡ ojcå˚ avçnou a commento della notizia sull’invenzione degli o[cana
da parte dei Cari. Il ricorso del filologo alessandrino a paralleli tratti dalla sfera
poetica è documentato in questo commentario in col. II 4-10 e 14-16, nel primo
caso precisamente per il raffronto di una tecnica equestre dei Massageti descritta
da Erodoto con gli usi bellici propri del mondo eroico testimoniati nell’epos.
Ammettendo l’ipotesi ora formulata, al r. 2 una forma di ajrtavw converrebbe
a un contesto esegetico in cui si discutesse la testimonianza erodotea sui modi
di imbracciare lo scudo e di portarlo a tracolla (peri; toi'‡i aujcev‡i te kai; toi'‡i
ajri‡teroi'‡i w[moi‡i perikeivmenoi), e.g. ajpo; tw'n ajrtwvnåtwn, “da quelli che appen-
dono/allacciano”. Il verbo ajrtavw occorre, in riferimento al modo degli eroi
omerici di portare lo scudo, nella redazione del citato sch. D Il. VIII 193 presente
nel ms. Escor. Gr. W.I.12 (509), siglato E4 (un’osservazione definita “originis in-
certae, fort. sch. ex. vel Porphyrii fr.” da Erbse 1971, p. 338, apparato): ejpei; oujd¦
ejk povrpako‡ ei\con ta;‡ aj‡pivda‡ hjrthmevna‡, ajll¦ ejk telamovnwn; similmente sch.
ex. Il. XIV 405b E., a proposito dello scudo di Aiace: kai; to; ‡avko‡ de; povrpaka
oujk ei\cen, ajlla; telamw'ni h[rthto kai; kanovni methvgeto: Ka're‡ de; tou;‡ povrpaka‡
eu|ron (cfr. Eustath. ad Il. III 671, 8-9 V.).
Le tracce all’inizio di quanto rimane del r. 6 incoraggiano a integrare eujpe-
tevw‡, che nel primo libro delle Storie ricorre in 189, 2 (Ciro si propone di punire
la hybris del fiume Gyndes riducendone la portata al punto che in futuro gu-
nai'kav‡ min eujpetevw‡ to; govnu ouj brecouv‡a‡ diabhv‡e‡qai) e in 193, 3 (la chora di

31
Gentili 1958, pp. 150-151, commentando il frammento di Anacreonte, osserva che “il termine
o[canon […] designa in generale, almeno in arcaico, il sistema dell’imbracciatura dello scudo, cioè
la lista di cuoio spesso rivestita di metallo […] fissata diametralmente, e la presa laterale di cuoio.
Attraverso il manicotto praticato nell’ o[canon il soldato infilava il braccio sinistro, poi con la mano
afferrava la presa di cuoio, fissata lateralmente, per manovrare lo scudo”. Su conformazione e
funzione degli ochana, anche in rapporto ai porpakes (le prese laterali di cuoio) e sulla loro perti-
nenza all’evoluzione dell’armamento oplitico: How-Wells 19282, I, pp. 132-133; Lorimer 1947, 128-
130; Snodgrass 1964; Asheri 1988, p. 364.
52 Herodotus 4

Babilonia produce frumento e orzo di cui ta; ... fuvlla ... to; plavto‡ givnetai te‡-
‡evrwn eujpetevw‡ daktuvlwn). Considerata la frequenza dell’avverbio nelle Storie
(27 volte), è possibile che la prima occorrenza assoluta (appunto in I 189, 2) ri-
cevesse una specifica attenzione da parte di Aristarco32.
Per r. 7 pçollåoçu' crovnoåu, lettura dei primi editori, si può pensare a parte di
una spiegazione ancora di I 189, 2-4, dove Erodoto si sofferma sulle opere
idrauliche fatte realizzare da Ciro sul fiume Gyndes durante l’avanzata verso
Babilonia, che impegnarono l’esercito per così tanto tempo che th;n qereivhn pa'-
‡an aujtou' tauvth/ dievtriyan ejrgazovmenoi (I 189, 4).
In conclusione, questo insieme di letture e ipotesi d’integrazione nella col.
I restituisce un quadro apparentemente non meno desultorio ed erudito di
quello che si riscontra nella col. II. La selettività dell’esegesi, che si limita a
pochi lemmi presi da svariati capitoli delle Storie, pare coesistere con la delu-
cidazione di carattere glossografico e antiquario (e, per ipotesi, con la menzione
di un parallelo poetico, da Anacreonte).

Col. II
1-2 Vd. supra, commento a col. I 19.
2-3 La compresenza nel lemma delle lezioni zwv‡ (come nei mss. medievali
RSV della famiglia b, contro zwov‡ di ABCP della famiglia a) ed e[‡tin (contro
e[ne‡tin di tutta la tradizione medievale) ha alimentato speculazioni circa la tra-
dizione antica del testo erodoteo, favorendo l’idea di una pluralità di edizioni
o “redazioni” anteriori alla recensio bizantina (e.g. Viljoen 1915, p. 22; Rosén
1962, p. 211). Quanto al commento, per primo Radermacher (1902, p. 139) vide
che esso ha il suo epicentro nell’aggettivo zwv‡, che Erodoto appone per evitare
l’equivoco con gli argani denominati per analogia o[noi (cfr. Aristot. Mech. 853b
12), come ampiamente documentato dall’erudizione antica fiorita attorno alla
forma verbale w[neuon usata in Thuc. VII 25, 6 (w[neuon ajnadouvmenoi tou;‡ ‡tau-
rouv‡): Ael.D. w 9 E. (ap. Eustath. ad Il. 862, 38 [III, pp. 252, 22-253, 1 V.], ad Il. XI
558): w[neuon: para; Qoukudivdh/ to; ejkivnoun kai; perih'gon: o[no‡ ga;r tou' muvlou to;
kinouvmenon, kai; aiJ toiau'tai mhcanai; o[noi; cfr. sch. Thuc. VII 25, 6 H.; Sud. w 108
A., s.v. w[neuon; Phryn. Praep. soph. p. 99, 10-13 De B.; Lex. Vindob. w 4 N. Questo
tipo di argano è menzionato da Erodoto stesso in Storie VII 36, 3, o[noi‡i xuliv-
noi‡i: da cui l’integrazione o[nåoi xuvlou ?ç in questo punto del papiro dubitati-

32
Un interesse lessicologico per l’avverbio nella sua forma ionica è attestato in Galeno, In Hippo-
cratis Prognosticum comm. XVIIIb, p. 170 K. to; d¦ eujpetevw‡ ajnti; tou' rJad / ivw‡ te kai; eJtoivmw‡ oiJ õEllhne‡
levgou‡i. Per att. eujpetw'‡ vd. S e 977 C. eujpetw'‡: rJa/divw‡, eujcerw'‡, eujkovlw‡, euj‡talw'‡ = Phot. Lex. e
2286 Th.; Sud. e 3647 A.; cfr. Hsch. e 7072 L.
P.Amh. II 12 53

vamente proposta da Radermacher, accolta a testo da Viljoen e da Paap. Tut-


tavia, il riassetto della seconda parte del r. 3 operato da Vannini 2009b ( ç˙˙ ć
iJppåovtai ktl, vd. sotto) ha chiarito che le tracce subito a destra della lacuna ap-
partengono ancora alla spiegazione di o[no‡ zw;‡ e[‡tin e ne costituiscono le let-
tere terminali. Il loro tratteggio pare collimare con quello delle lettere ai
precedute da t come in II 14 cråw'çntai e II 16 a{pteûtai (cfr. inoltre I 14 a fine
rigo: ça˚i ?) e dunque depone a favore dell’integrazione o[nåoi levgontçai, “come
pure sono chiamati ‘asini’ (quelli) sulle imbarcazioni”; oppure ojnåomavzontçai,
“come pure si chiamano (quelli) sulle imbarcazioni”; o anche ojnåeuvontçai,
“come (si chiamano) pure quelli che sono manovrati sulle imbarcazioni” (ma
la lacuna sembra estendersi per più di cinque lettere). La posizione di alpha,
sollevato rispetto alla base del rigo, sconsiglia invece o[nåoi mhcançaiv. Qualun-
que integrazione si preferisca, non sembrano esservi dubbi sul carattere bra-
chilogico della spiegazione, interpretabile come effetto di un’azione di epitome
o compendio.
3-10 Il riassetto testuale dei rr. 3-4 effettuato da Vannini 2009b dimostra
che la parola a{mipåpoi è parte del lemma tratto da I 215, 1, contro a[nippoi del-
l’intera tradizione medievale conservata. Ciò dimostra che Aristarco doveva
leggere a{mipåpoi nell’esemplare delle Storie a sua disposizione e lo riteneva le-
zione genuina (Wilson 2015a, p. 126, presta credito alla variante e la stampa a
testo). A rigor di termini, dunque, non possiamo qualificare a{mipåpoi come le-
zione “aristarchea”, nel senso di prescelta da Aristarco e da lui difesa nel com-
mento, o in quanto variante tradizionale preferita ad altre (Grenfell-Hunt 1901,
p. 4; Viljoen 1915, p. 21; Hemmerdinger 1981, pp. 155-156, 176) oppure come
sua congettura originale (Radermacher 1902, p. 139; Jacoby 1913, col. 516, cfr.
1954, II, p. 252 n. 14; Paap 1948, p. 40; Pasquali 1952, p. 314; Rosén 1987, I, p.
135, apparato critico; cfr. ancora West 2011, p. 79; Priestly 2014, pp. 224-225;
Wilson 2015a, p. 126 apparato; Wilson 2015b, pp. XXI, 24).
È vero, d’altra parte, che la generosa spiegazione riservata ad a{mippoi può
suonare come un’implicita difesa di questa lezione contro un’alternativa tra-
dizionale sottaciuta, almeno nell’assetto attuale dell’hypomnema, ma nota e per-
cepita come competitiva (in tal caso, inevitabilmente, a[nippoi; cfr. Priestley
2014, p. 225 n. 8). Il commento si apre con una spiegazione del senso letterale
di a{mippoi, il cui dettaglio ci sfugge a causa delle lacune, ma il cui senso gene-
rale è chiaro; al r. 5 eujçavûgwgoi proposto da Radermacher gode del sostegno di
Poll. I 195 B. e, inoltre, Hsch. e 6850 L. eujhrv ea‡ i{ppou‡: eujagwvgou‡ (cfr. le discus-
sioni di eujhvreia ed eujh're‡ in EM. p. 390, 50 ss. G.); la dimensione della lacuna
sembra poter ammettere anche eujparçavûgwgoi (eventualmente preceduto da
d˚¦å), che ha attestazioni letterarie (non però in relazione ad animali o cavalli:
e.g. a proposito di riduzione di fratture, in Hp. Fract. 6; di persona, con acce-
zione negativa di ‘credulone’, in Aristoph. Eq. 1115, cfr. lo scolio ad l. 1115a;
54 Herodotus 4

Poll. VIII 12, 4 B.; Sud. e 3636 A.; Ps.-Zon. Lex. p. 901, 20 T.)33. Il commentatore
prosegue istituendo un confronto tra gli usi equestri dei Massageti e la prassi,
desumibile dalla tradizione epica, degli eroi che vanno in battaglia in assetto
di ‡unwriv‡ (la coppia di cavalli aggiogati). Il trait d’union fra le due tecniche,
per quanto reso labile e opaco dallo stato compendiato del passo ipomnema-
tico (da cui la perplessità di West 2011, p. 79, alla quale il riferimento agli eroi
dell’epos “seems hardly relevant to Herodotus”), sta nel fatto che entrambe le
formazioni consistono di una coppia di uomini (il guerriero e il suo auriga) e
di una coppia di cavalli. Parte della tradizione erudita, del resto, istituisce
l’equivalenza semantica di a{mippoi e ‡unwriv‡: Paus.Att. a 87 E. (ap. Eustath. ad
Od. p. 1539, 26-28, p. 222, 4-7 S.; cfr. ad Il. III 785, 9-10 V.) a{mippoi: duvo i{ppoi ‡u-
nezeugmevnoi toi'‡ trachvloi‡ cwri;‡ divfrou, kata; to; palaio;n kai; “xunwri;‡” kalouv-
menoi. h\n de; ejpi; me;n tou' eJtevrou hJnivoco‡, ejpi; de; tou' eJtevrou oJplivth‡. ajpo; ou\n tou'
a{ma ajmfotevrou‡ kaqevze‡qai a{mippoi ou|toi ejlevgonto; cfr. Phot. Lex. a 1212 Th.;
Sud. a 1600 A.; sch. ex. Il. XV 679b E.; AG I, p. 205, 5 B., s.v. a{mippo‡. È degna di
nota la prospettiva non ellenocentrica del raffronto istituito dal commentatore
alessandrino fra il costume di una popolazione “barbara” e quello degli eroi
greci. Priestley 2014, pp. 226-227, enfatizza le possibili implicazioni ideologiche
di a{mippoi, spingendosi a considerare questa lezione una “textual emendation”
aristarchea orientata al superamento dell’opposizione tradizionale fra Greci e
barbari perseguito dai sovrani ellenistici.
L’insidiosa variante minima a{mippoi / a[nippoi (e.g. Aristot. Ath.Pol. 49, 1) è
all’origine dello zetema testuale, semantico e storico-culturale che, nell’ambito
della produzione storiografica e della sua ricezione in campo retorico, trova
attestazione nell’appena citato “primo lessico retorico di Bekker”, AG I, p. 205,
5, s.v. a{mippo‡: eja;n dia; tou' n gravfetai hJ ‡ullabhv, a[nippo‡, ‡hmaivnei tou;‡ i{ppou‡
mh; e[conta‡ ajlla; pezouv‡. eja;n de; dia; tou' m, a{mippo‡, o{per kai; ma'llon, ‡hmaivnei
tou;‡ duvo e[conta‡ ejzeugmevnou‡ i{ppou‡ iJma'‡i cwri;‡ zugou', kai; to;n me;n hJniocou'nta,
to;n de ; macovmenon (cfr. Sud. a 1213, s.v. ajlivbue‡, e 1600 A.); ne fu direttamente
interessata l’interpretazione di passi di Tucidide, di Senofonte (nelle cui Elle-
niche si ripete il sintagma pezoi; a{mippoi) e di Filocoro, che registra soluzioni
diverse rapportabili, in ultima analisi, a usi differenti della stessa denomina-
zione in luoghi e tempi diversi. La summa in materia si legge in Harpocr. Lex.
a 91 K. (~ Sud. a 1601 A.), s.v. a{mippoić ¦I‡ai'o‡ Temenikw/' (fr. 125 S.). oiJ ‡u;n i{ppoi‡
‡trateuovmenoi (cfr. Phot. Lex. a 1213 Th.). e[nioi dev fa‡in o{ti zeuvgnuntaiv tine‡
pro;‡ ajllhvlou‡ i{ppoi kevlhte‡, oJ d¦ ejlauvnwn aujtou;‡ to;n e{teron me;n parevlketai, ejpi;

33
Poll. I 131 elenca denominazioni di ruoli combattenti e la lista si chiude con specialità equestri,
le ultime due delle quali sono iJppagwgoiv (non registrato nei lessici moderni in riferimento a per-
sona) e a{mippoi; segue la descrizione di questi ultimi. L’accostamento suona suggestivo, ma senza
frutto, in relazione alle rr. 4-5 del papiro.
P.Amh. II 12 55

de; tou' eJtevrou ojcei'tai. ou|toi a{mippoi levgontai. tou't¦ e[‡ti to; par¦ ŞOmhvrw/ (Il. XV
684) “qrw/v‡kwn a[llot¦ ejp¦ a[llon” (cfr. Poll. I 131 B.; Hsch. a 3677 L.-C.). pezoi;
d¦ eij‡i;n oiJ a{mippoi, wJ‡ dh'lovn ej‡tin ejk tw'n Qoukudivdou (V 57, 2; a[nippoi codd.)
kai; Xenofw'nto‡ ejn th/' zV tw'n ŞEllhnikw'n (VII 5, 23-25; ajnipp- codd.; cfr. Hipparch.
5, 13; Aristot. Ath.Pol. 49, 1). kai; mhvpote provdromoiv tinev‡ eij‡in oiJ a{ma toi'‡ iJppeu'‡i
tetagmevnoi: Filovcoro‡ gou'n ejn th'/ i©V34 (FGrHist 328 fr. 71) fh‡i; “kai; prodrovmou‡“
(i provdromoi, ausiliari a cavallo, sono menzionati nello stesso contesto degli
a{mippoi pure da Aristot. Ath.Pol. 49, 1: su di essi e sul loro rapporto con gli
a{mippoi vd. Jacoby 1954, I, p. 348 con la n. 5, II, p. 251). Un assetto militare an-
cora diverso, designato con i termini a{mippoi e dimavcai, è attribuito ad Ales-
sandro Magno in Poll. I 132 B.; cfr. Hsch. d 1848 L.-C.
Possiamo tentare di districare la complessa varietà degli usi del termine
a{mippo‡ testimoniati, non senza errori e fraintendimenti, nelle fonti erudite. Si
distinguono almeno quattro assetti diversi, di cui tre a cavallo (nrr. 1, 2, 4 qui
sotto) e uno a piedi (nr. 3) e di cui soltanto gli ultimi due sono collocabili con
buona precisione storica:
1) un certo numero di cavalli imbrigliati assieme e governati da un unico
cavaliere, come descritto in Il. XV 679-684 (Harpocr. Lex. a 91 K., prima parte;
Poll. I 131 B.; Hsch. a 3677 L.-C.); probabilmente, però, i testimoni citati con-
fondono l’immagine iliadica, che parla di un cavaliere per quattro cavalli e
sembra evocare una prodezza di tipo circense (cfr. sch. ex. Il. XV 683-684 E.),
con la tecnica propriamente militare che prevedeva l’utilizzo di due cavalli da
parte di un solo cavaliere, denominato perciò a[mfippo‡: Jacoby 1954, I, p. 350,
con la n. 17, II, p. 253;
2) la coppia di cavalli, o synoris, su cui montano il combattente e il suo auriga
(Paus.Att. a 87 E.; Phot. Lex. a 1212 Th.; Sud. a 1213 e 1600 A.; sch. ex. Il. XV 679b
E.; Bekker, AG I, p. 205, 5), secondo un costume che Aristarco trovava attestato
per i Massageti nel proprio testo di Storie I 215, 1 (a{mippoi); da tale accostamento
comparativo doveva scaturire per Aristarco l’opportunità di descrivere l’uso
degli eroi dell’epos di andare in battaglia aggiogando una synoris al carro con-
dotto dall’auriga (da cui la sovrapposizione metonimica di synoris e harma, e.g.
S x 23 C. xunwriv‡: ‡uzugiva. h] a{rma ejk duvo i{ppwn ‡unezeugmevnon; cfr. ‡ 381; Hsch.
‡ 2748-2750 H.); il brusco passaggio, al r. 6, dalla spiegazione della synoris alla
descrizione del combattimento con il carro è da imputare plausibilmente a un
intervento di riduzione del commento originario;
3) in età classica, un corpo di fanteria leggera ausiliario della cavalleria do-
cumentato dapprima per l’esercito tebano (Thuc. V 57, 2, nella guerra di Agide
contro Argo nel 418 a.C.; Xen. Hell. VII 5, 23-25, nella battaglia di Mantinea nel

34
Ovvero ejn th'i ©V (come stampa Keaney): Jacoby 1954, I, p. 349 con le nn. 9 e 10 (II, p. 252).
56 Herodotus 4

362 a.C.; Xen. Hipparch. 5, 13 elogia questo tipo di assetto) e poi nei ranghi mi-
litari ateniesi (Is. fr. 125 S.; Aristot. Ath.Pol. 49, 1; Philoch. FGrHist 328 fr. 71;
cfr. Harpocr. Lex. a 91 K., seconda parte; Sud. a 1601 A.); vd. Jacoby 1954, I, pp.
348-349; Gomme-Andrewes 1970, pp. 79-80;
4) nell’esercito di Alessandro il Macedone, un corpo militare speciale, ar-
mato e addestrato per combattere a piedi o a cavallo a seconda delle esigenze,
motivo per cui i suoi effettivi erano anche chiamati dimavcai (Poll. I 132 B.; Hsch.
d 1848 L.-C.); vd. Jacoby 1954, I, p. 350.
Il confronto dei Massageti con gli eroi dell’epos istituito nel commentario
attiene anzitutto alla speciale sensibilità e competenza di Aristarco come
omerista, che in quanto tale si era occupato del carro da guerra eroico pren-
dendo posizione contro quanti sostenevano l’impiego del tethrippon, la qua-
driga, da parte degli eroi iliadici (per una recente discussione: Montana
2012c). In secondo luogo, il parallelo acquista significato e valore sullo sfondo
dell’immagine tradizionale di Erodoto come scrittore ŞOmhrikwvtato‡, secondo
la definizione di Subl. 13, 3 (che va intesa in riferimento sia alla concezione
estetica generale che accomuna i poemi e le Storie, come sottolinea Rosén
1962, p. 233, sia naturalmente agli aspetti di lingua e di stile): una qualità
pubblicamente celebrata nella patria dello storico al tempo di Aristarco, come
testimonia l’iscrizione elegiaca di Alicarnasso edita da Isager 1998 (to;n pezo;n
ejn iJ‡torivai‡in õOmhron), quindi fatta propria dagli esponenti dell’élite cultu-
rale greco-romana (cfr. Dion.Hal. Pomp. 3, 16 ŞOmhvrou zhlwth;‡ genovmeno‡;
Porph. QH I 8 ejn toi'‡ Filhvmono‡ [ca. 200 d.C.] ‡ummivktoi‡ peri; ŞHrodoteivou
diorqwvmato‡ oJ grammatiko;‡ dialegovmeno‡ peira'tai kai; ŞOmhrikav tina ‡afhniv-
zein). In generale su questa materia vd. Pfeiffer 1968, p. 224; Rosén 1962, p.
233; Boedeker 2002; Pelling 2006; Rengakos 2006. In particolare sulla rice-
zione postclassica di Erodoto, anche in riferimento al modello omerico: Mur-
ray 1972; Hornblower 2006, pp. 312-316; Priestley 2014; Priesley-Zali 2016;
Matijašić 2018, passim. È questo tipo di raffronti a suggerire la gemmazione
della filologia alessandrina sui prosatori da istanze strumentali e compara-
tive nei riguardi della poesia (e.g. Rosén 1962, p. 231; Pfeiffer 1968, p. 224 n.
6; cfr. Montana 2015b, pp. 95-97 e 138-140).
Al r. 8, pro;‡ ejlav‡‡o‡in è esito di correzione. Lo scriba, forse tradìto dal pre-
cedente pro‡hvlaunon e aspettandosi in questo punto una forma verbale (il con-
giuntivo pro‡elav‡w‡in), aveva scritto pr˚åo‡çela‡‡w‡in; poi, lui stesso o un
correttore/lettore, ha barrato w con un tratto verticale e al di sopra ha scritto,
a quanto pare, :o: (per questo tipo di correzione cfr. Turner-Parsons 1987, p.
16). Una possibilità alternativa è ammettere in effetti una seconda forma di
pro‡elauvnw e correggere o{fitanÝ de; (oppure oiJ de; fio{tanÝ) pr˚åo‡çelav‡{‡}w‡in, che
consentirebbe di superare la debolezza di pr˚åo;‡ç ejlav‡‡o‡in sul piano del signi-
ficato. L’espressione cade all’interno di una pericope dal fraseggio paratattico
P.Amh. II 12 57

molto scabro, che probabilmente costituisce l’effetto di un intervento di abbre-


viamento e semplificazione del dettato originario.
10-13 L’interpretamentum pevleku‡ ricorre nella tradizione esegetica e lessi-
cografica inerente a questo passo erodoteo, nella quale però ‡agavri‡ è spesso
volto in attico e sempre correttamente glossato al plurale: Lex. B ‡agavrei‡: pe-
levkei‡ (le Lexeis A hanno invece ‡agavrei‡: ta; ejk ceiro;‡ o{pla, ripreso in Sud. ‡ 16
A.; le due spiegazioni trovano poi fusione in Greg.Cor. Dial. Ion. 99 Schaefer
‡agavrei‡: tou;‡ pelevkei‡ h] ta; ejk ceiro;‡ o{pla: cfr. Montana 2015a, p. 435); sch. B2
b ad l. kopivda‡. eij‡i; de; ei[dh macairw'n plateiw'n ouj tov‡on o{‡on aiJ ‡pavqai mh'ko‡
e[cou‡ai: ‡hmaivnei kai; pelevkea‡ (Cantore 2013, p. 75; cfr. Rosén 1987, I, p. 136,
apparato; Asheri 1988, p. 250). Le spiegazioni kopivda‡ e pelevkea‡, documentate
nello scolio erodoteo, costituiscono una coppia consolidata nella lessicografia,
dove seguono ‡agavri‡ nella lemmatizzazione e sono perciò flesse al nominativo
singolare: S ‡ 3 C. (dal lessico di Cirillo) = Phot. Lex. ‡ 12 Th. = Sud. ‡ 15 A. =
sch. Xen. An. IV 4, 16 e V 4, 13 D. ‡avgari‡: kopi;‡ h] pevleku‡ (invece soltanto ‡av-
gari‡: pelevkion monov‡tomon ktl in Hsch. ‡ 16 H.). A parere di Rosén 1962, p. 211,
la spiegazione al singolare pevleku‡ nell’hypomnema dimostrerebbe che anche
qui il termine erodoteo è lemmatizzato: l’ipotesi è scarsamente compatibile
con l’usus impomnematico in genere ed è pertanto da preferirle l’idea di una
brachilogia del commentatore oppure quella dello sfrondamento di un dettato
originariamente più disteso, del tipo: ‡agavri‡ <‡avgariv‡ (ej‡ti)> pevleku‡ ’kuqikov‡
ktl.
Gli interpretamenta scoliastici e lessicografici mavcaira (presente nello scolio
a Hdt. I 215, 1) e kopiv‡ sembrano discendere da passi senofontei, dove a turno
formano “coppia contigua” con ‡avgari‡: Xen. Cyr. I 2, 9 kopivda h] ‡avgarin; II 1,
9 kopi;‡ de; h] ‡avgari‡; II 1, 16 mavcaira de; h] ‡avgari‡; IV 2, 22 kopivda‡ kai; ‡agavrei‡.
L’influenza di Senofonte, del resto, è palese nel seguito della spiegazione ari-
starchea oi|çon åaçiJ˚ ¦Amazo˚nv e˚ ‡ û f˚åorçou'‡in, riecheggiante An. IV 4, 16 kai; ‡avgarin
oi{anper kai; fiaiJÝ ¦Amazovne‡ e[cou‡in, un passo che non sorprende trovare espli-
citamente citato in Sud. ‡ 15 A. a corredo della menzionata spiegazione ‡avgari‡:
kopi;‡ h] pevleku‡.
Il testo che segue f˚åorçou'‡in ai rr. 12-13, fino al nuovo lemma ‡idhvårw/ç de;
ktl, deve fare parte ancora della spiegazione di ‡agavri‡: nella lacuna com-
presa tra f˚åorçou'‡inå e çrqw‡ sono caduti non più di 4/5 caratteri; se l’ultimo
di essi è la lettera iniziale dell’atteso ojçrqw'‡, non vi è spazio sufficiente a con-
tenere alcun termine del passo erodoteo che abbia senso immaginare qui in
funzione di lemma, ancor più se preceduto dal dicolon. È completamente alea-
toria la proposta di Viljoen (1915, pp. 18, 22; cfr. Paap 1948, pp. 38, 40) di rico-
struire una spiegazione, priva di lemma, sui favlara aurei con cui i Massageti
adornavano i propri cavalli (Storie I 215, 2), consistente nella citazione di un
fantomatico frammento di Ione (di Chio): åoJ öIwn ojçrqw'‡ e[leåge: ejwçn˚hûm˚åevçnw
58 Herodotus 4

g˚a;˚år favlça˚ro˚n, “bene diceva Ione: [due Massageti] avendo acquistato un pha-
laron [d’oro]...”.
Volendo sondare fino in fondo la possibilità che ai rr. 12-13 trovasse posto
un commento sui favlara, si deve tenere presente che Aristarco intervenne cri-
ticamente sul testo di Il. XVI 106 ka;f favlara (si tratta delle piastre dell’elmo
di Aiace) e che il suo allievo Dionisio Trace definiva kov‡mo‡ tali favlara (sch.
ex. Il. XVI 106b E.; cfr. sch. D Il. XVI 106/Zs van Th. kov‡mou cavrin ejntivqetai; Eu-
stath. ad Il. II 187, 8-9 V.; EM. p. 787, 9 G.). La finalità solamente estetica – e
dunque non pratica in senso strettamente militare – dei favlara aurei applicati
ai cavalli è un dato forse implicato anche da Erodoto nel passo (I 215,
1 ko‡mevontai) e trova spazio nella tradizione posteriore, specialmente in riferi-
mento all’apparato dei cavalli nisei (detti keko‡mhmevnoi in Storie VII 40, 2): il
metallo dei favlara definisce il rango di appartenenza dei cavalieri nisei se-
condo Polibio XXX 25, 7; cfr. Charit. VI 4, 2 kaqh'‡to ga;r i{ppw/ Ni‡aivw/ kalliv‡tw/
kai; megiv‡tw/ cruv‡eon e[conti calinovn, cruv‡ea de; favlara; e inoltre Dion.Hal. AR
V 34, 4 dwrei'tai th;n kovrhn i{ppw/ polemi‡th'/ falavroi‡ keko‡mhmevnw/ diaprepev‡i (il
participio in dativo sarebbe un buon suggerimento per il passaggio tra r. 12 e
r. 13 nel papiro, se potessimo leggere çm˚hûm˚åevçnw: ma la lacuna che precede è
troppo esigua per ospitare keko‡); X 24, 2 i{ppou‡ ... falavroi‡ keko‡mhmevnou‡ ejk-
prepev‡i; X 38, 1 ‡tefavnoi‡ kai; falavroi‡ kai; ‡kuvloi‡ kai; toi'‡ a[lloi‡ ejpinikivoi‡
kov‡moi‡ uJperbalovmeno‡. Tuttavia neppure seguendo questa traccia si perviene
a una conclusione valida, per la difficoltà di restituire sia un testo dotato di
senso, sia un lemma congruo nella lacuna dopo f˚åorçou'‡in al r. 12.
Si dovrà allora battere una strada diversa, a partire dalla constatazione che
in questo punto non c’è spazio se non per la continuazione del commento su
‡agavri‡. Si può proporre qualche ipotesi di lavoro. Una buona possibilità per
la prima lacuna del r. 12 è integrarvi oujk ojçrqw'‡, un sintagma ricorrente negli
scolii omerici, anche e soprattutto in pareri riconducibili ad Aristarco, a pro-
posito di opinioni di altri commentatori o del testo poetico stesso: e.g. sch. Ari-
ston. Il. I 50a E. o{ti oujk ojrqw'‡ tine‡ oujrh'a‡ tou;‡ fuvlaka‡; sch. Ariston. Il. I 195-6a
E. o{ti oujk ojrqw'‡ ejk tou' poihtikou' pro‡wvpou levgontai; sch. Ariston. Il. V 310 E.
o{ti oujk ojrqw'‡ ejpi; õEktoro‡ (sc. XI 356) levgetai metenecqei;‡ ejnteu'qen; sch. Ariston.
Il. XVI 44-5 E. oiJ aj‡teriv‡koi, o{ti uJpo; Nev‡toro‡ oujk ojrqw'‡ levgontai (sc. XI 802-
803). La forma negativa è preferibile in astratto a una positiva (e.g. oJ d¦ ojçrqw'‡,
wJ‡ ojçrqw'‡) perché “in der gelehrten Kritik überwiegen negative Ausdrücke.
Manchmal werden sie in verneinter Form positiv gebraucht (etwa ouj kakw'‡),
häufigen die positive Ausdrücke negativ (etwa ouj kalw'‡)” (van Thiel 2014, I
p. 57, a commento di oujk ojrqw'‡ nel citato scolio Il. I 50a). È dunque plausibile
che in questo punto Aristarco esprimesse un giudizio (negativo) su un’affer-
mazione di Erodoto riguardo alle ‡agavri‡ (ma questa è la prima occorrenza del
termine nelle Storie e ciò contrasta con l’imperfetto e[leåg-Ð ); altrimenti, per ipo-
P.Amh. II 12 59

tesi, si potrebbe pensare a un richiamo a Storie VII 64, 2, dove del popolo scitico
dei Saci si dice che pro;‡ de; kai; ajxivna‡ ‡agavri‡ ei\con (Wilson 2015a, p. 616, ac-
coglie l’espunzione di ajxivna‡ operata da Naber), da cui nel papiro e.g. r. 12 oujk
ojçrqw'‡ e[leågen ajxivçn˚a‡˚ ) oppure su qualche aspetto della tradizione, appena evo-
cata nel commento, concernente l’uso di questa arma da parte delle Amazzoni.
A questa seconda opzione potrebbe soccorrere Lys. Epitaph. 4, dove a proposito
delle Amazzoni si afferma che nessun altro al loro tempo portava armi di ferro,
movnai me;n wJpli‡mevnai ‡idhvrw/ tw'n peri; aujtav‡, da cui nel papiro, e.g., oujk (nisi a}‡)
ojçrqw'‡ e[leågon movçn˚a˚‡ û m˚å˙çnwg˚a˚å˙ ‡ivdçh˚ro˚n (ma çh˚ al r. 13 non sembra godere di
chances paleografiche).
13-16 La piccola lacuna al r. 14 non pare ammettere l’atteso crevwntai della
paradosi. Si deve postulare pertanto la forma attica cråw'çntai (non variante
erodotea nella copia di Aristarco né, plausibilmente, errore di Aristarco stesso,
ma errore tradizionale del commentario).
Il dramma I pastori di Sofocle, forse satiresco, intitolato dal Coro composto
da pastori frigi (fr. 515 R.), aveva per soggetto uno o più episodi subito suc-
cessivi allo sbarco acheo in Troade all’epoca della seconda spedizione degli
Atridi e con ogni probabilità contava fra i personaggi Cicno, il figlio di Posei-
done alleato di Priamo (vd. Radt 1977, pp. 395 e 396 ad fr. 501). In tal caso, al-
l’invulnerabilità di Cicno deve riferirsi il fr. 500 qui citato da Aristarco
(Grenfell-Hunt 1901, p. 4; cfr. Radt 1977, p. 396 apparato). Il motivo dell’invul-
nerabilità del corpo “al bronzo e al ferro” ritorna in Acusil. fr. 22 J. a proposito
di Ceneo: poiei' aujto;n Po‡e˚åiçdevwn a[ndra a[trwton, ij‡cu;n e[conta åmeçg˚iåv ‡çt˚åhçn tw'n
ajnqrwvpwn tw'n tovte, kai; o{te ti‡ aujto;n kentoivh ‡idhvrw/ h] calkw'/, hJliv‡keto mavli‡ta
crhmavtwn. Al di là della mera somiglianza espressiva del passo erodoteo e di
quello sofocleo, che presentano la coordinazione negativa di una coppia di
nomi di metallo, un trait d’union più stretto e circostanziato fra il passo com-
mentato e la citazione poetica è atteso, ma resta oscuro verosimilmente a mo-
tivo dell’epitomazione subita dall’hypomnema in questo punto (Viljoen 1915,
p. 22; Radt 1977, p. 396 apparato; West 2011, p. 79).
La scarsa attinenza reciproca dei due passi, dal punto di vista tanto del con-
tenuto (i Massageti ancora nel V secolo non praticano la metallurgia del ferro
e dell’argento; Cicno è invulnerabile ai metalli delle armi eroiche, bronzo e
ferro – con tipico anacronismo proprio già dell’epos arcaico) quanto dei contesti
rispettivamente presupposti (l’area iranica popolata dai Massageti al tempo
dell’espansione persiana; la Troade invasa dagli Achei, per i fatti legati a
Cicno), sconsiglia di credere che Aristarco li accomunasse in un rapporto d’in-
tertestualità diretta, nel senso che Sofocle avrebbe riutilizzato l’espressione ero-
dotea (così Paap 1948, p. 40; contra Radt ad Soph. fr. 500; West 2011, p. 79 n. 41)
ovvero nel senso contrario, se il dramma citato nel commentario è lo stesso
menzionato nella didascalia eschilea P.Oxy. XX 2256, fr. 3, 7 (Poiçmev‡in: DID C
60 Herodotus 4

6, 7 S. ⇒ Aeschylus 3) accanto a titoli di opere teatrali andate in scena fra il 467


e il 456 a.C. (così ritiene Pfeiffer 1968, pp. 21 n. 7 e 225 n. 2; scettico Radt 1977,
p. 395, cfr. Snell 1971, p. 45 apparato; Arata-Bastianini-Montanari 2004, pp. 48-
49).
Altre supposizioni possono essere avanzate, forse più plausibili per quanto
solo speculative. Una di queste è che Aristarco adducesse il passo sofocleo, a
partire da un’associazione puramente formale dei due enunciati, per soffer-
marsi sull’uso sintattico delle negazioni nei due loci similes: da un lato, la lineare
correlazione anaforica asindetica (ouj... ouj...); dall’altro, la dura costruzione sin-
detica, non correlativa, con oujdev interposto, poi rafforzato da oujdevn dopo il pre-
dicato (l’assenza, nel lemma del commentario, di oujdevn, che nella paradosi
delle Storie segue crevwntai, è assai probabilmente un banale errore di omis-
sione occorso nella tradizione, come ritiene West 2011, p. 79, anziché l’espres-
sione di una scelta ecdotica del commentatore, come vuole Hemmerdinger
1981, pp. 156 e 176). Nell’esegesi omerica di Aristarco non mancano interventi
sull’uso di avverbi di proibizione (ajpagovreu‡i‡, e.g. mhv) e di negazione (ajpovfa‡i‡
o a[rnh‡i‡, e.g. ouj; frr. 165-167 M.; il fr. 166 verte sulla costruzione correlativa
negativa ouj... oujde;... in Il. I 262) e sull’impiego di oujdevn avverbiale nell’Iliade
nel senso e con la funzione di ouj (sch. Ariston. Il. I 244c E. oujde;n e[ti‡a‡ć pleonav-
zei to; dôeônô: ij‡odunamei' ga;r tw/' oujk e[ti‡a‡; cfr. sch. ex. (?) Il. I 244d E.; sch. Ariston.
Il. XVI 274a1-2 E.; Lehrs 18823, p. 306). In questo contesto devono essere ricor-
date altre osservazioni conservate negli scolii omerici, per quanto non diretta-
mente rapportabili ad Aristarco, sull’uso pleonastico della negazione oujdev (sch.
D Il. V 22b van Th. oujde; ga;r oujdev ken aujtov‡ć hJ miva peri‡‡h; ajpovfa‡i‡: “oujde; ga;r
oujde; bivh” (XVIII 117) ktl; cfr. sch. ex. Il. XVIII 117d1-2 E. peri‡‡h; hJ miva ajpovfa‡i‡;
sch. ex. Il. XII 212 E.), cui si può accostare il caso rappresentato dalla doppia
negazione nel passo erodoteo (oujde; ... oujdevn).
Si deve aggiungere che il trimetro sofocleo citato richiama un ricco reticolo
intertestuale che sfrutta l’immagine dei metalli in rapporto ad armi e corpi
umani a scopo parenetico, includente il motivo iliadico del negare l’invulne-
rabilità fisica del nemico per incoraggiare alla battaglia: in Il. IV 510-511 Apollo
incita i Troiani rassicurandoli che ou[ ‡fi livqo‡ crw;‡ oujde; ‡ivdhro‡ / calko;n aj-
na‡cev‡qai tame‡ivcroa ballomevnoi‡in, “la loro [degli Achei] pelle non è pietra
né ferro, tale da reggere al bronzo tagliente quando sono colpiti”; in Il. XXI 568
il troiano Agenore si fa coraggio ad affrontare Achille riflettendo che kai; gavr
qhn touvtw/ trwto;‡ crw;‡ ojxevi calkw/,' “anch’egli in fondo ha una pelle vulnerabile
al bronzo acuto”. Uno scolio esegetico al primo passo (sch. ex. Il. IV 510a E.)
cita come parallelo un apophthegma di Agesilao, kai; ¦Agh‡ivlao‡ parata‡‡ovmeno‡
uJpemivmnh/‡ken o{ti pro;‡ ajnqrwvpou‡ kai; trwtou;‡ hJ mavch, non attestato altrove
(nell’apparato di fonti ad l., Erbse rimanda a Xen. Ag. 2, 8 e 6, 1-2, dove si ri-
corda genericamente che il re spartano incoraggiava i propri uomini nell’im-
P.Amh. II 12 61

minenza della battaglia contro nemici in forze superiori) e interpreta il passo


iliadico come iperbole per significare la paura eccessiva del nemico (uJperbolh;
de; devou‡, ei[ ge toiouvtou‡ uJpeilhvfa‡i tou;‡ polemivou‡). Qualunque fosse il motivo
per cui citava il verso sofocleo commentando il passo di Erodoto, è fuor di
dubbio che Aristarco fosse a conoscenza della problematica omerica collegata
ed è possibile che nel commentario la presupponesse o vi facesse riferimento.
17-20 La subscriptio elenca nell’ordine: nome del commentatore, nome
dell’autore commentato, libro dell’opera commentata. La sequenza rispetta lo
standard dei titoli finali negli scritti grammaticali ed eruditi: Schironi 2010, p.
64. La coronide è combinata con la paragraphos forcuta ed è censita in Horak
1992, p. 230 nr. 22. Il semeion è sormontato da ricciolo, come per esempio in
P.Oxy. XVII 207635 (Saffo con marginalia e titolo finale), del IIp, assegnato allo
scriba di Ossirinco A6 (Johnson 2004, p. 21): cfr. Horak 1992, p. 231 nr. 44; Schi-
roni 2010, p. 230. Per il ricciolo sommitale si può comparare anche P.Oxy.
LXXXI 5277 (Opp. H. IV 683-693), della prima metà del IIIp: cfr. Schironi 2010,
p. 159 nr. 37.

FAUSTO MONTANA

35
Segnalazione di M. Stroppa.
5

P.Oxy. VIII 1092 saec. IIp ex.

Nota marginale (v.l.?) a II 162, 5

Prov.: Oxyrhynchus.
Cons.: Oxford, Bodleian Library (inv. Bodl. Ms. Gr. Class. d.114 (P)).
Ed.: HUNT 1911, pp. 127-135; VILJOEN 1915, pp. 26-43 (nr. VII); PAAP 1948, pp. 43-54 (nr.
XII); ROSÉN 1987, I, pp. XLIV, LXVI, 242 (apparato); MCNAMEE 2007, p. 258.
Tabb.: P.Oxy., Pl. V (col. IX); JOHNSON 2004, Pl. 3.
Comm.: MP3 473; LDAB 1139 SCHMIDT 1912, p. 648; JACOBY 1913, col. 515; SITZLER 1922,
p. 3; LINNÉR 1941; RUDBERG 1941; LOBEL 1951, p. 49; PASQUALI 1952, p. 310; TURNER
1956, pp. 144, 146; ROSÉN 1962, pp. 210, 213-214; REA 1974, p. 15 (nr. 27); LOBEL 1977,
p. 14 con n. 1; MCNAMEE 1981, pp. 70 con n. 53, 74, 98; ALBERTI 1983, pp. 194-195;
KRÜGER 1990, pp. 193, 232; SAERENS 1990, pp. 179-182; FUNGHI-MESSERI SAVORELLI
1992, pp. 75-79; MERTENS-STRAUSS 1992, p. 975; JOHNSON 1994, p. 65 n. 2; BANDIERA
1997, p. 55 (tabella); DEGNI 2002; JOHNSON 2004, pp. 20-21, 48-49, 61, 133, 137, 162,
187, 202, 213, 221; MCNAMEE 2007, pp. 37 n. 123, 121; ESPOSITO 2009b, p. 10; HOUSTON
2009, p. 252; PELLÉ 2011, pp. 28-30; WEST 2011, p. 81; BRAVO 2012, pp. 42-44, 60-61;
PELLÉ 2013, pp. 115-116; HOUSTON 2014, pp. 160, 163, 168; LIUZZO 2014, p. 88; WILSON
2015a, p. 255 (apparato).

Hunt pubblicò come P.Oxy. VIII 1092 svariati frammenti di un rotolo di pa-
piro contenenti sul recto ($) resti di quindici colonne con parti di Storie II 154-
175, bianchi sul verso. L’editore avvertiva (p. 127) che altri frustuli, scaturiti
dallo stesso rinvenimento ma da lui non identificati, e a quanto risulta tuttora
inediti, potrebbero appartenere al medesimo volumen ed essere testimoni di
altre parti dell’opera erodotea1. Il rotolo doveva essere alto non meno di cm 23
e, supponendo che il contenuto si limitasse al solo libro II, poteva arrivare in
lunghezza a m 8,52; la colonna di testo, sensibilmente inclinata verso destra,
aveva un’altezza di circa cm 16,6 e constava di 41/42 righi (41 nella col. IX),
ciascuno dei quali comprendente tendenzialmente 22/24 lettere per una lar-
ghezza di circa cm 4. Le porzioni residue di intercolumnio (ampio circa cm 2

1
Si tratta di frammenti contenenti parti del libro III delle Storie, a cui E. Lobel fa riferimento nelle
edizioni di P.Oxy. XXI 2297 (Lobel 1951, p. 49 n. 1) e XLV 3213 (Lobel 1977, p. 14 n. 1). Cfr. Fun-
ghi-Messeri Savorelli 1992, p. 75 n. 3; Johnson 2004, p. 61; Esposito 2009b, p. 10 con la n. 2 (P.Oxy.
ined., Hdt. III).
2
Stime di Johnson 2004, rispettivamente pp. 137, 187, 213 e p. 221.
P.Oxy. VIII 1092 63

in coll. VIII/IX) e dei margini (restano cm 3,1 di margine al di sopra della col.
IX e cm 3,5 al di sotto di essa) sono prive di scrittura, salvo per quanto si legge
nel margine superiore della col. IX, di cui qui ci occupiamo, e per le tracce di
un paio di lettere scritte nell’intercolumnio a destra della col. VIII (r. 3 çn:, r. 12
çe˚, resti di varianti testuali per Hunt3). La mano del testo principale, una ma-
iuscola libraria non formale ad asse inclinato, con debiti nei confronti dello
stile severo ma da esso distinta per la tendenza ad attenuare il contrasto mo-
dulare, datata verso la fine del IIp4, è quella dello ‘scriba di Ossirinco’ A5, ac-
creditato di almeno altri sette volumina frammentari di opere in versi e in
prosa5: quattro rotoli sono veicolo di esegesi antica e almeno tre di questi, più
il nostro, sicuramente provengono dal medesimo kôm e sono riferibili con
buona probabilità a una stessa biblioteca ossirinchita6. L’articolazione del testo
è affidata a stigmai e vacua accompagnati nel margine sinistro da frequenti pa-
ragraphoi7. Lo iota muto è regolarmente segnato. Un riempitivo (Ý) colma il rigo
in col. IX 10. Alla mano coeva di un correttore si devono poche rettifiche e ag-
giunte al testo principale e ancora, forse, il ricordato intervento in scrittura cor-
siveggiante nel margine al di sopra della col. IX. Pur dichiarandosi
espressamente, a quanto sembra, come diortotico, il marginale ha i requisiti per
poter essere stato concepito in origine per fini di tipo esegetico ed è qui incluso
per questo motivo8.

3
Hunt 1911, p. 134.
4
Hunt 1911, pp. 127-128; Lobel 1951, p. 49 (P.Oxy. XXI 2297), e 1977, p. 14 con n. 1 (P.Oxy. XLV
3213); Turner 1956, p. 144; Rea 1974, p. 15 (nr. 27); cfr. Funghi-Messeri Savorelli 1992, p. 76. Invece
Johnson 2004, p. 49 n. 31, propende per l’inizio del IIp. Qualche affinità è riscontrata da Degni
2002 con la scrittura di PSI X 1170 (Storie I 196, 4-199, 2 sul verso di un registro amministrativo).
5
Cfr. Turner 1956, pp. 144, 146; Krüger 1990, p. 193; Funghi-Messeri Savorelli 1992, pp. 75-79;
Johnson 2004, pp. 20-21 e 61: P.Mich. inv. 4913, opera storica (MP3 2180); P.Oxy. XXI 2297, Alceo
con marginalia (⇒ Alcaeus 8 CLGP); P.Oxy. XLV 3213, versi lirici in dorico (Alcmane?); P.Oxy. LII
3676, Platone, Fedone; P.Oxy. LIII 3710, commentario al libro XX dell’Odissea, cui potrebbero ap-
partenere anche i frammenti di PSI Com8 3 (proecdosis: Esposito 2009b); PSI XIV 1390, Euforione
con marginalia (su cui vd. Ciampi 2007); PSI XIV 1391, commentario a poesia lirica corale (cfr.
Pind. fr. 346 M.; nuovi frammenti del papiro sono editi da Vannini 2007; cfr. D’Alessio 2007). Si
aggiungano i frustuli inediti con testo del libro III di Erodoto menzionati supra, n. 1, che potrebbero
far parte dello stesso rotolo di P.Oxy. VIII 1092.
6
P.Oxy. VIII 1092, P.Oxy. XXI 2297, PSI XIV 1390, PSI XIV 1391: Funghi-Messeri Savorelli 1992,
pp. 78-79. Nell’edizione di P.Oxy. XXI 2297, il papiro alcaico con note, Lobel include come fr. 41
un minuscolo frustulo contenente resti di tre righi interpretabili come annotazione (çe˚piå û ç˙twå û
çpoq˚åÐ : Alc. fr. 242 L.-P.), la cui scrittura “is slightly larger than that of the other notes” (Lobel 1951,
p. 57) e che pertanto “is more likely to belong to 1092 than to this manuscript” (ibidem, p. 58). La
supposizione di Lobel non ha trovato finora riscontri oggettivi: cfr. Funghi-Messeri Savorelli 1992,
p. 75 n. 3; Porro 2004, pp. 141-142.
7
Johnson 1994, p. 65 n. 2.
8
Questa annotazione e gli interventi correttivi presenti nel papiro sono giudicati da Pellé 2011, p.
28, come indizi della circolazione del rotolo “dans des contextes d’étude”.
64 Herodotus 5

Recto ($)
Col. IX 8-14

II 162, 5
wJ ‡ dçe; aj p ikev ‡ qai
auj t o; n pro; ‡ to; n ¦Aprçiv h n ouj k a[ -
10 gonta to; n öAma‡in oçuj d ev n a lov -
gon auj t w' i dov n ta aj l çla; periquv -
mw‡ e[ c onta pro‡tav x çai perita-
mei' n auj t ou' tav te w\ t a kçai; th; n rJ i ' -
na ktl ç

Col. IX 1-5 (mg. sup.)

ajpikomevnou de;ç touvtou kai; oujk a[-


gonto‡ to;n [Ama‡içn˚, ¦Aprivh‡ oujdev-
na lovgon aujtw/' dou;‡ç ajlla; periquv-
mw‡ e[cwn levgetai tavçxai peritamei'n˚
5 aujtou' thvn te rJi'naç kai; ta; w\ta. ou{(tw‡) e[n t(w'/) a˚jå(ntigravfw/)

mg. sup. l’ultimo rigo della nota dista circa cm 0,5 dalla colonna di testo 2 çn˚ asta verti-
cale 5 ouent pap. a˚jå traccia di scrittura interpretabile come la parte centrale dell’occhiello di
a, tracciato in diagonale e piuttosto compresso
——
mg. sup. 1 ajpikomevnou Schmidt de;ç Rudberg : d¦ ejkç Schmidt 1-2 a[ûågonto‡ Schmidt :
a[ûågonta Hunt 2 to;n [Ama‡içn˚ Hunt 2-3 oudevûåna lovgon Hunt 3 autwi dou‡ç Hunt in comm.,
Schmidt : autwi dontaç Hunt in ed. 3-4 periquûåqumw‡ç perperam Hunt in ed. 4 ecwn Hunt
in comm., Schmidt : econta Hunt in ed. levgetai tavçxai Schmidt : pro‡tavçxai Hunt : ² pro‡tavçxaiÐ ²
leg. pro‡evtaxe Bravo : an potius levg(etai) pro‡tavçxai? 5 ou{(tw‡) e[n t(w'/) a˚jå(ntigravfw/) temptavi :
ou{(tw‡) e[n t(i‡in) a˚[åll(oi‡) Hunt

(sc. Si dice) che, non appena egli (i.e. Patarbemis) fu giunto presso Aprie
senza portare con sé Amasi, (Aprie) non gli concesse alcuna facoltà di parlare
ma, estremamente adirato, comandò che gli tagliassero le orecchie e il naso.

Quando costui fu giunto senza portare con sé Amasi, si dice che Aprie non gli
concesse alcuna facoltà di parlare ma, estremamente adirato, ordinò che gli ta-
gliassero il naso e le orecchie. Così (è scritto) nella [copia.

Se la lettura e l’interpretazione delle tracce sono corrette, il testo è stato ri-


portato nel margine dichiaratamente come variante frutto di collazione. Hunt
P.Oxy. VIII 1092 65

interpretava le ultime parole leggibili del r. 5 così: ou{(tw‡) e[n t(i‡in) a˚[åll(oi‡)
(sc. ajntigravfoi‡ gravfetai). È legittimo domandarsi con McNamee 1981, p. 70
con la n. 53 e p. 98, se t( ) sia da sciogliere non al plurale t(i‡in) o t(oi'‡)9, ma
al singolare t(w/'); in tal caso, l’annotazione vale ou{(tw‡) e[n t(w/') a˚jå(ntigravfw/)10 e
l’operazione del lettore/correttore consistette nel raffronto della copia con l’an-
tigrafo usato dallo scriba principale (dove pure, allora, la variante testuale do-
veva trovare posto nel margine) oppure con un altro esemplare (un’ipotesi
preferibile se l’annotatore non era il diorthotes del papiro ma un lettore). Per
una lista di papiri con marginalia diortotici contenenti ou{tw‡, vd. McNamee
2007, p. 37 n. 123, lettera (b).
Le differenze testuali rispetto al passo erodoteo copiato dallo scriba princi-
pale nella colonna non sono di ordine contenutistico, ma concernono aspetti
di ordo verborum (r. 5 thvn te rJi'naç kai; ta; w\ta) e soprattutto l’articolazione del
discorso indiretto. È dunque possibile che ci troviamo dinanzi a una variante
antica, come in effetti molti hanno ritenuto11. Se volessimo ragionare secondo
quest’ottica e ricorressimo a categorie familiari alla moderna filologia erodotea,
la versione annotata nel margine avrebbe maggiori possibilità di essere quella
autentica, dal momento che disegna un ritmo trocaico (aujtou' thvn te rJi'naç kai;
ta; w\ta: ÞÞÞùÞùÞùÞù); allora l’altra versione, presente nel testo principale del
papiro e nella tradizione medievale, potrebbe essere frutto di una manipola-
zione concepita precisamente allo scopo di eliminare quel ritmo (così Paap
1948, p. 53). La nota marginale consentirebbe dunque di portare in luce un epi-
sodio di concordanza in errore del testo principale del papiro e dei manoscritti
medievali delle Storie12. Secondo la stessa logica, la sequenza (pro‡)tavxai peri-
tamei'n, che ricorre in entrambe le versioni presenti nel papiro contro l’ordine
inverso concordemente tràdito nei manoscritti medievali, dovrebbe essere in-

9
Lo scioglimento al plurale sembra inevitabile nell’annotazione e[n t(i‡in) ou{(tw‡) fevretåaiç che
accompagna una varia lectio nel mg. inf. di P.Oxy. VI 874, MP3 106 (⇒ Apollonius Rhodius 7), del-
l’inizio del IIIp, richiamata da Hunt 1911, p. 135. Altri casi di e[n t(i‡in) mi sono segnalati da MH,
fra i quali mi limito a ricordare un’annotazione a Od. III 490 in P.Lond.Lit. 30+P.Vindob. inv.
26746+26754-26760, del Ip, e una a Il. II 665 nell’Iliade “di Hawara”, P.Bodl. Libr. Ms. Gr. class.
a. 1 (P), del IIp (vd. McNamee 2007, rispettivamente p. 281 e p. 270).
10
Non è indispensabile postulare testo mancante dopo a˚å , come fa Hunt, se Colomo-Del Corso
2013 sono nel giusto, sulla scorta dell’usus documentario, sciogliendo ou{(tw‡) aj(ntivgrafon) nel fr.
19 di P.Oxy. XVIII 2181 (Platone, Fedone), IIp. D’altra parte, neppure si possono escludere ipotesi
diverse, come la caduta di un nome proprio iniziante per A- in genitivo (MH).
11
Hunt 1911, p. 128; Schmidt 1912, p. 648; Jacoby 1913, col. 515; Viljoen 1915, pp. 26 e 41; Sitzler
1922, p. 3; Pasquali 1952, p. 310; Rosén 1962, p. 210, cfr. pp. 213-214 e 1987, I, p. 242, apparato;
McNamee 1981, p. 70 n. 53; Saerens 1990, p. 179; West 2011, p. 81; Liuzzo 2014, p. 88; Wilson 2015a,
p. 225 apparato.
12
Il caso è assimilabile a quelli discussi da Hemmerdinger 1981 (fautore della tradizione “aperta”
delle Storie), p. 178, e Alberti 1983.
66 Herodotus 5

tesa come lezione deteriore, introdotta per neutralizzare lo iato che si produce
in pro‡tavxai aujtou' (Linnér 1941; Paap 1948, p. 53).
Rispetto a questa interpretazione, tuttavia, sembra non meno plausibile che
l’aggiunta marginale attesti un episodio di metafrasi inizialmente concepito
non come riscrittura o contraffazione del testo, ma con intento genuinamente
esplicativo (consono eventualmente a un contesto di lettura e commento di li-
vello “grammaticale”) o emulativo (in un ambito di tipo retorico?) per dissi-
pare l’oscurità del dettato erodoteo originale (così Rudberg 1941, p. 147; Paap
1948, p. 53; McNamee 2007, p. 258; Stephanie West e Jürgen Hammerstaedt
apud Bravo 2012, p. 43). In effetti, la versione marginale, che esibisce una co-
struzione indubbiamente più piana, potrebbe essere stata sollecitata dal-
l’asprezza sintattica prodotta in Storie II 162, 4-5 dal brusco passaggio all’oratio
obliqua, in assenza di un verbo reggente13, ed essere stata concepita allo scopo
di disinnescare la potenziale equivocità della pericope in conseguenza dell’af-
fastellarsi di accusativi nominali (aujtovn, ¦Aprivhn, öAma‡in, lovgon) e participiali
(a[gonta, dovnta, e[conta), mediante due accorgimenti:
(1) la trasposizione in genitivo assoluto della temporale wJ‡ de; ajpikev‡qai auj-
tovn e, con aggiunta della coordinazione, del participio congiunto a[gonta (rr. 1-
2 ajpikomevnou de;ç touvtou kai; oujk a[ûågonto‡);
(2) l’introduzione della costruzione personale con verbum dicendi passivo
(r. 4) e soggetto espresso ¦Aprivh‡ (r. 2), in luogo dell’infinitiva con soggetto sot-
tintenso in accusativo, e il conseguente passaggio al nominativo dei due par-
ticipi congiunti dovnta ed e[conta (rr. 3-4, in lacuna): una possibilità evocata
dubbiosamente da Hunt nel commento, p. 135, e accolta da Schmidt, Viljoen,
Rudberg e Paap. Al r. 3, con levgetai tavçxai proposto da Schmidt compete
levg(etai) pro‡tavçxai, che, a parità di lettere, consentirebbe di mantenere il verbo
composto, più adeguato al contesto oltre che unanimemente tràdito dalla pa-
radosi, all’unico prezzo dell’abbreviazione di levgetai.
Se questa fu la genesi della versione alternativa del passo erodoteo, allora
possiamo supporre che colui che la trascrisse nel papiro ossirinchita la rinve-
nisse in un’altra copia delle Storie, scritta in margine al testo principale o in-
trusa in esso, apparentemente la recepisse come variante e come tale la
riproducesse e la qualificasse nella copia che andava correggendo.

FAUSTO MONTANA

13
Il passaggio all’oratio obliqua è uno stilema erodoteo (Rudberg 1941, p. 146, e Paap 1948, p. 53,
richiamano in primo luogo I 86 e il commento ad l. di H. Stein) per denotare implicitamente l’uti-
lizzo di informazioni di seconda mano (Lloyd 1989, p. 381).
6

P.Oxy. XIII 1619 saec. IIp in.

Note marginali a III 31, 2; 54, 2; 60, 3

Prov.: Oxyrhynchus.
Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: GRENFELL 1919, pp. 180-189; PAAP 1948, pp. 54-72 (nr. XIII); ROSÉN 1987, I, pp. XLIV,
LXVI, 272, 289, 292 (apparato); JOHNSON 2004, pp. 260-262; MCNAMEE 2007, p. 259.
Tabb.: P.Oxy., Pl. V (fr. 10, coll. VII, VIII, IX); JOHNSON 2004, Pl. 2 (frr. 9-11); ⇒ Tab. II
Comm.: MP3 474; LDAB 1122 SITZLER 1922, pp. 2-4; LOBEL 1954, p. 24; TURNER 1956,
pp. 144, 146; ROSÉN 1962, p. 212; MCNAMEE 1977, p. 141; MCNAMEE 1981, pp. 54, 81;
ALBERTI 1983, pp. 194-195; KRÜGER 1990, pp. 193, 230; MCNAMEE 1992, pp. [30], 73,
78; MERTENS-STRAUSS 1992, p. 975; JOHNSON 1994, p. 65 n. 2; BANDIERA 1997, p. 56 (ta-
bella); JOHNSON 2004, pp. 21-22, 61-62, 127, 141, 170, 189, 204, 222, 234, 260-262;
MCNAMEE 2007, p. 121; HOUSTON 2009, p. 252; PELLÉ 2011, p. 30; HOUSTON 2014, pp.
159, 168.

I 25 frammenti di rotolo pubblicati da Grenfell come P.Oxy. XIII 1619, tor-


nati alla luce nel 1906 nello stesso consistente rinvenimento che includeva
anche P.Oxy. VIII 1092 (⇒ 5), recano sulla faccia interna ($) resti di Storie III
26-72. Il verso è bianco. Il fr. 10, il più cospicuo, misura cm 13,5 × 10,8. Ulteriori
frammenti, fra quanti il primo editore aveva lasciato da parte perché difficil-
mente attribuibili a questo rotolo o ad altri rinvenuti insieme con esso1, in se-
guito sono stati identificati da E. Lobel e editi in parte e in forma provvisoria
da W.A. Johnson2. Si trattava di un manufatto librario di buona qualità. La
colonna di scrittura era alta più di cm 20 e ampia cm 7 circa (fr. 10, col. VIII);
si ricostruiscono un’ipotetica altezza originaria del rotolo di cm 28 circa e una
lunghezza, necessaria a comprendere l’intero libro III, approssimativamente
di 11 metri3. La porzione delle Storie documentata dai frammenti era distri-
buita su 37 colonne; la singola colonna constava di 39/40 righi e i righi su-
perstiti comprendono un numero di lettere oscillante fra 21 e 27; il riempitivo
in forma angolare (Ý) colma la fine dei righi più corti (un esempio nella parte

1
Grenfell 1919, p. 180.
2
Lobel 1954, p. 24 (introduzione a P.Oxy. XXII 2313, Archiloco, della stessa mano: vd. infra, n. 5);
cfr. Johnson 2004, pp. 260-262: frr. 1a, 2a, 3a, 7a-b, 18a, 21a, 22a.
3
Stime di Johnson 2004, pp. 189 e 222.
68 Herodotus 6

che qui interessa, col. V 68). Restano intercolumni integri ampi cm 2 circa (frr.
10, 12, 18a-18-19, 21-21a; parziale nei frr. 3-6) e porzioni residue di margine
superiore alte fino a cm 4 circa (frr. 7-7a-8, 10; cm 1,5 nei frr. 3-6; cm 2,8 nel fr.
20); cm 1,2 di margine inferiore rimangono nel fr. 144. La scrittura del testo
erodoteo è l’elegante maiuscola rotonda di medie dimensioni dello ‘scriba di
Ossirinco’ A75. Questi ha affidato l’articolazione del testo a vacua e a paragra-
phoi semplici e forcute6 (ai rr. 142/143, 210/211, 330/331 il semeion è realizzato
affrettatamente, quasi alla maniera di una diple), occasionalmente combinate
con coronidi a segnare pause più forti; una mano diversa ha inserito punti in
basso e a metà altezza nel rigo. Lo iota muto è regolarmente segnato, mentre
altri segni di lettura (spiriti, accenti, dieresi) occorrono episodicamente. Oltre
a interventi correttivi sul testo erodoteo, si registrano tre brevi note esplicative
imputabili a due mani diverse. Questa esigua manciata di marginalia, pur ri-
saltando nello scarno quadro dell’esegesi a Erodoto su papiro finora recupe-
rata, se rapportata alla quantità di testo letterario e di spazi marginali e
intercolonnari conservati del rotolo attesta una domanda di ausili di lettura
decisamente estemporanea ed episodica7.
Una di queste note, tuttavia, offre un piccolo contributo al dibattito sul rap-
porto fra il papiro e i manoscritti medievali per quanto riguarda il testo delle
Storie. La critica si è divisa fra la tesi di una maggiore affinità del papiro con
manoscritti della cosiddetta famiglia ‘fiorentina’ a8 e l’opinione opposta, che
ha enfatizzato le consonanze testuali con la famiglia ‘romana’ b9. D’altro lato,
il progressivo incremento del contingente di papiri erodotei tornati in luce ha
evidenziato il rapporto oscillante e contraddittorio della tradizione di età im-
periale con i manoscritti medievali e, dunque, della varietà e fluttuazione del
testo anteriormente alla formazione delle due famiglie10. Per il papiro ossirin-

4
Ringrazio Chiara Meccariello per avere riscontrato questi dati sull’originale. La misura “≥ 4,2”
data per il margine inferiore del fr. 14 da Johnson 2004, p. 189, deve essere un refuso.
5
Turner 1956, pp. 144 e 146; Krüger 1990, p. 193; Johnson 2004, pp. 21-22. A questo scriba si ricon-
ducono anche: P.Oxy. II 231 + PL III/284 A (Pintaudi 1994) (MP3 287; LDAB 618; Demostene, De
corona); P.Oxy. XXII 2313 (MP3 128; LDAB 317; Archiloco, tetrametri trocaici), provvisto di aggiunte
interlineari e marginali (Lobel 1954, p. 24; cfr. Johnson 2004, p. 22: “In both 1619 and 2313, scho-
liastic marginalia of some sort survive, added, apparently, by different hands”; ma che per il pa-
piro archilocheo si tratti di marginalia esegetici non è preso in considerazione da Lobel ed è escluso
da Porro 2011, p. 157 con la n. 1); e ancora tre P.Oxy. inediti (cfr. Johnson 2004, p. 62), contenenti
rispettivamente Il. XIII-XIV (inv. 123/48+123/97(b); MP3 913.001; LDAB 9674; p1285 West); Hdt.
II, IV, VII; prosa non identificata.
6
Johnson 1994, p. 65 n. 2.
7
Pellé 2011, p. 30 riconduce questi pochi marginalia a “des milieux d’étude”.
8
Rosén 1962, p. 212.
9
Pasquali 1952, pp. 309-310; Hemmerdinger 1981, p. 178. A questa tesi ha opposto critiche puntuali
Alberti 1983, p. 194.
10
Jacoby 1913, coll. 516-517; Viljoen 1915, p. 56; Grenfell 1919, pp. 181-182; Rosén 1962, pp. 212-
P.Oxy. XIII 1619 69

chita, una conferma indiretta in proposito viene dalla riconsiderazione dei resti
dell’annotazione marginale scritta sopra la col. V. Della nota si recuperano sol-
tanto le parole ba‡içlhivoi dika‡taåiv, che ripetono al nominativo quanto detto
nella pericope erodotea riportata nella colonna sottostante: una prima volta ai
rr. 69-70 in accusativo, (Storie III 31, 2) tou;‡ ba‡ilhivou‡ kaçleomevnou‡ û ådika‡tav‡ç,
dove il participio al r. 69 è seguito dal semeion ÷÷ nell’intercolumnio, e una se-
conda volta ai rr. 72-[73] in nominativo, (Storie III 31, 3) oiJ de; ba‡ilhçivo˚ i˚ ˚ ådiçûåka‡-
taiv. La presenza e la posizione del semeion impongono di collegare la scrittura
marginale alla prima delle due occorrenze erodotee e in particolare a kaleomev-
nou‡; e si può ricostruire che l’annotazione segnalasse come i giudici reali per-
siani siano menzionati dallo storico già in III 14, 5 (e.g. proeivrhntai oiJ ba‡içlhivoi
dika‡taåiv) e pertanto additasse implicitamente il participio kaleomevnou‡ come
una svista o un’incongruenza da parte dell’autore: dunque una stranezza del
testo genuino su cui attirare l’attenzione, non un errore tradizionale da emen-
dare. Ora, kaleomevnou‡ nel passo erodoteo è precisamente una delle lezioni che
alimentano la discussione moderna sulla tradizione antica delle Storie: essa,
infatti, è presente sia nel papiro sia nella famiglia medievale b, ma è assente
nella famiglia a, e così si presta a essere intesa come errore congiuntivo del pa-
piro e di b11. Se tuttavia al contrario, come pare, kaleomevnou‡ è lezione genuina
e dunque non congiuntiva12, allora l’osservazione dell’antico lettore del papiro,
come qui ricostruita, si colloca al di fuori e a monte della dicotomia tradizionale
dei testimoni medievali, documentando piuttosto per via indipendente la prei-
storia e il possibile movente dell’eliminazione del participio operata nel capo-
stipite della famiglia a.

Recto (→)

Col. V
Frr. 7-7a-8, rr. 64-72

III 31, 2-3

217; Chambers-Cockle-Turner-Parsons 1981, p. 22; Alberti 1983; West 2007, p. 31; Wilson 2015b,
p. XIII.
11
Hemmerdinger 1981, p. 178.
12
Alberti 1983, p. 194. L’editore più recente, N.G. Wilson, stampa kaleomevnou‡ a testo.
70 Herodotus 6

hj r av å ‡qh
65 mih' ‡ tw' ç n aj d elfew' n Kambuv ‡ h˚ å ‡
kai; e[ p eiçta boulov m eno‡ auj t h; n
gh' m ai, o{ t i oçuj ˚ k ej w qov t a ej p enov e -
e poihv ‡ ein, ei[ r eçt˚ o kalev ‡ a‡
tou; ‡ ba‡ilhiv o u‡ kaçleomev n ou‡ ÷÷
70 dika‡ta; ‡ ei[ ti‡ e[ ‡ ti kçeleuv w n nov -
mo‡ to; n boulov m enon aj ç delfeåh' i
‡unoikev e in. oiJ de; ba‡ilhçiv ˚ o ˚ i ˚ ådi-
åka‡tai; lacuna di 16 righe ç

Col. V, mg. sup.


Frr. 7-7a-8, r. 49

ba‡içlhivoi dika‡taåiv

Testo 68 riempitivo (Ý) a fine rigo.


Nota La scrittura corre nel margine superiore subito sotto il bordo, circa cm 3,5 sopra le lettere
superstiti della colonna di testo principale.
——
Nota e.g. ÷÷Ð Ð proeivrhnt(ai) oiJ ba‡içlhivoi dika‡taåiv

Col. XXIII
Fr. 18, col. I 355 + Fr. 18a

III 54, 2

kata; de; to;çn˚ ejpav-

355 nw puvrgon to;n ejpi; th'‡ rJavcçi˚o‡ ejpi; tou' aj-


krwthrivou
tou' o[reo‡ ejpeovnta ejpexh'çl˚qon

oi{ te ejpivkouroi kai; aujtw'nç ’a-

mivwn ‡ucnoiv ktl ç


υ
mg. dx. Le due righe si estendono per tutta l’ampiezza dell‘intercolumnio 2 o pap.
P.Oxy. XIII 1619 71

Col. XXVI
Fr. 21, rr. 406-411 + Fr. 21a, col. I

III 60, 2-3

› › ›
phgh' ‡ . aj r citev k twn de; tçou' oj r uv ˚ å -

gmato‡ touv t ou ej g ev n etoç Mega-

reu; ‡ Euj p ali' n o‡ Nau‡trov ç fou.

tou' t o me; n dh; e} n tw' n triw' ç n ej -

410 ‡ti, deuv t eron de; peri; liçm˚ e v n a p(eri; ) limev ( na)å
wJ ‡ ei; p˚ a råa; ç
cw' m a ej n qalav ‡ ‡h/ , bav q o‡ç kata; limev n a
› › ›

Testo 410 trattino di circa cm 0,1 a metà rigo dopo liçm˚evna: “The supposed stop after liçmena,
wich is not wanted, might be the bottom of a critical sign referring to the marginal note” (Grenfell
1919, p. 189)
mg. dx. Nota nell’intercolumnio 1 pvlimeå pap.

III 31, 2 Alla mano che ha registrato questa nota si deve anche la seguente
(Grenfell 1919, p. 187). Le parole ba‡içlhivoi dika‡taåiv (i “giudici reali”, che, se-
condo il racconto erodoteo in III 31, 2, furono consultati da Cambise sull’am-
missibilità del matrimonio tra fratelli nel nomos persiano) ripetono al
nominativo quanto è detto nel testo, venti righi più sotto, una prima volta in
accusativo (Storie III 31, 2: rr. 69-70 tou;‡ ba‡ilhivou‡ kaçleomevnou‡ û ådika‡tav‡ç,
con il semeion ÷÷ tracciato dopo il participio alla fine del r. 69; su questo semeion
vd. McNamee 1992, 17-18), poi di nuovo in nominativo (III 31, 3: r. 72 oiJ de; ba-
‡ilhçivo˚ i˚ ˚ ådiûka‡taivç). L’esiguità di quanto resta del marginale, la flessione del sin-
tagma in nominativo (per cui è incluso da McNamee 1992, p. 78, fra le
“marginal notes inflected anomalously”) e la presenza del semeion a fianco del
r. 69, dove lo storico usa l’espressione nel caso accusativo, alimentano il dubbio
circa la natura dell’intervento.
Il fatto che il semeion affianchi direttamente kaleomevnou‡ può offrire una
chiave d’interpretazione. Il participio è lezione, oltre che del papiro, anche
72 Herodotus 6

della famiglia b dei manoscritti medievali, mentre è assente nella famiglia a


(C ha una rasura in questo punto). L’omissione in un ramo della tradizione
manoscritta può essere il frutto di un intervento intenzionale, ispirato dalla
constatazione che i giudici reali persiani, che sono menzionati in III 31, 2 e le
cui funzioni sono spiegate subito dopo (in III 31, 3), erano stati però evocati
dallo storico per la prima volta già in III 14, 513: cosicché l’espressione tou;‡
ba‡ilhivou‡ kaleomevnou‡ dika‡tav‡, che sembra proporsi come prima menzione
di questi giudici nell’opera, si presta ad apparire inappropriata e dunque er-
ronea. Tra i moderni, infatti, Pasquali 1952, pp. 309-310, e Hemmerdinger
1981, p. 178, per esempio, giudicano kaleomevnou‡ un errore (dunque lezione
congiuntiva del papiro e della famiglia b). È possibile, tuttavia, difendere la
genuinità del participio, sia osservando che soltanto nel capitolo 31 Erodoto
approfondisce le funzioni dei giudici (Alberti 1983, p. 194), sia valutando que-
sto genere di “imprecisioni” d’autore alla luce delle modalità di pubblicazione
aurale delle Storie (Dik 1995).
È verosimile che un antico lettore non disattento del papiro ossirinchita vi
segnalasse il carattere in un certo modo pleonastico di kaleomevnou‡, contras-
segnando la parola e annotando nel margine superiore, e.g.: ÷÷ proeivrhnt(ai) oiJ
ba‡içlhivoi dika‡taåiv, “i giudici reali sono stati già menzionati” (per la fraseo-
logia cfr. e.g. Philo De migratione Abrahami 70, II, p. 282, 1 Wendland duvo me;n
au|tai dwreai; proeivrhntai; Gal. De morborum temporibus 8, VII, p. 433, 3 Kühn
oiJ me;n ou\n ajkribw'‡ aJploi' proeivrhntai; Ael.Arist. Or. 10, I, p. 120, 11-12 D. ... tai'‡
rJivzai‡ tou' gevnou‡, ai} dh; proeivrhntai). Non si tratterebbe pertanto di un inter-
vento di tipo diortotico, volto a espungere il participio (del resto, come osserva
Grenfell 1919, p. 187, seguito da Paap 1948, p. 65, se lo scopo dell’intervento
fosse l’espunzione di kaleomevnou‡, non ci spiegheremmo il passaggio al nomi-
nativo, nella nota, del sintagma usato da Erodoto in accusativo), ma di un’os-
servazione esegetica, intesa a rilevare la presunta inaccuratezza dell’autore e
a disinnescare una possibile fonte di equivoco: questi dika‡taiv sono gli stessi
di cui lo storico ha già parlato in precedenza.
III 54, 2 Questa breve nota è della stessa mano della precedente (Grenfell
1919, p. 187). L’esigenza di una spiegazione deve essere scaturita dall’uso me-
taforico di rJacv i‡ (‘cresta’, ‘crinale’, ‘dorsale’), che ricorre anche in Storie VII 216.
Nel senso proprio di ‘dorso’, già in Il. IX 208 in riferimento a cinghiale, il ter-
mine è comunemente glossato oj‡fuv‡ nella tradizione lessicografica, e.g. S r 18
C. L’equivalenza rJavci‡ (tou' o[reo‡) = ajkrwthvrion trova qualche consonanza in

13
Dopo la conquista dell’Egitto, Cambise fece mandare a morte duemila Egiziani per rappresaglia
dell’uccisione di duecento Mitilenesi avvenuta a Menfi: tau'ta ga;r ejdivka‡an oiJ ba‡ilhivoi dika‡taiv,
uJpe;r ajndro;‡ eJkav‡tou devka Aijguptivwn tw'n prwvtwn ajntapovllu‡qai.
P.Oxy. XIII 1619 73

Hsch. r 159 H. rJavci‡: a[kra; cfr. D.S. X fr. 4 Vogel = Oldfather (ap. Eustath. ad
Od. 1390, 21-22, p. 18, 13-14 S.) kai; Diovdwro‡ a[kran tina; tw'n öAlpewn, korufh;n
tou' ‡uvmpanto‡ o[rou‡ dokou'‡an, oujranou' rJavcin iJ‡torei' para; tw'n ejgcwrivwn
kalei'‡qai. Inoltre, in considerazione del nesso etimologico stabilito dagli an-
›ci‡ e rJaòciva, ‘costa battuta dai flutti’, ‘scogliera’ (cfr. sch. Lycophr. Al.
tichi fra rJa
376 L.; sch. Thuc. IV 10, 5 H.; EM. p. 702, 55-56 G.; ma vd. Chantraine 1968-
1980, p. 969: “Tout rapprochement [de rJacv iς] avec rJacò iva,ò rJa‡vò ‡w reste douteux”),
possiamo includere fra i paralleli della glossa del papiro anche sch. Aeschl.
Prom. 726 D. hJ ’almudh‡‡iva ej‡ti; rJaciva ajkrwthriwvdh‡ ejoikui'a o[nou gnavqw/; e,
nell’accezione metaforica, sch. rec. Soph. OT 876-878a L. (ajkrovtata gei'‡¦ ajna-
ba'‡¦ ajpovtomon ktl) eij‡ ajkrotavthn ajpovtomon k(ai;) rJacivan ajnaba'‡a, h[toi eij‡ a[kron
kakiva‡ ejlav‡a‡a kai; korufwqei'‡a.
III 60, 3 L’individuazione dei frr. 21 e 21a, col. I, operata da E. Lobel po-
steriormente all’editio princeps, ha permesso la piena restituzione di questa nota
marginale. La mano, diversa da quella che ha scritto le due note precedenti, a
parere di Grenfell (p. 187) potrebbe essere la stessa che ha annotato la corre-
zione ektrw‡a‡(an) a fianco di ektrwç‡an in col. VII, fr. 10.i 131. La presenza del
lemma costituisce forse l’indizio della derivazione della nota da un hypomnema.
Le abbreviazioni nel lemma, la prima di tipo dotto (pv: McNamee 1981, p. 81),
la seconda usuale nelle scritture documentarie (lime: McNamee 1981, p. 54),
denotano la levatura culturale non trascurabile dell’annotatore. Questi, come
ricaviamo dalla congiunzione wJ‡eiv, intendeva proporre non la correzione di
periv con parav – è noto che le due preposizioni/preverbi sono spesso oggetto
di scambio erroneo nella tradizione manoscritta, per ovvie ragioni di affinità
paleografica – ma la sostanziale equivalenza sintattica dei due costrutti (dire-
zione o estensione: ‘nei pressi di’, ‘lungo’), il secondo dei quali è più usuale:
vd. Schwyzer-Debrunner 1950, pp. 504 (periv), 495 (parav). Per questa ragione,
il breve trattino segnato dopo liçm˚env a, che non avrebbe senso come segno d’in-
terpunzione (come invece è interpretabile quello, simile ma più spesso, segnato
alla fine del r. 177 dopo w\ pai' Kuvrou), vorrà evidenziare non tanto una corre-
zione (cfr. · deÐ · aggiunto sopra il r. 143), quanto più probabilmente il dubbio
semantico e sintattico a cui la nota risponde (cfr. Grenfell 1919, p. 189).

FAUSTO MONTANA
7

P.Oxy. LXV 4455 saec. IIIp

Commentario a V 52-55

Prov.: Oxyrhynchus.
Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Ed.: HASLAM 1998, pp. 55-59.
Tabb.: P.Oxy., Pl. IX; http://www.papyrology.ox.ac.uk/.
Comm.: MP3 484.01; LDAB 1155 LENAERTS 2000, p. 349; LUPPE 2001, p. 2; DEL CORSO
2006, p. 92 (nr. 207); MCNAMEE 2007, p. 120; MONTANA 2009a; MONTANA 2009b, pp.
167-168; PELLÉ 2010, p. 168; WEST 2011, p. 81; BRASWELL 2013, p. 40 n. 48; HORNBLOWER
2013, pp. 169-171; MONTANARI 2013, pp. 8-11, 13; LIUZZO 2014, pp. 103-106; WILSON
2015b, pp. XXI, 100.

Frammento molto rovinato e di forma alquanto irregolare, con misure mas-


sime di cm 16 × 16, bianco sul verso (%) e recante sul recto ($) resti di un com-
mentario concernenti Storie V 52-55. Il testo superstite corrisponde alla parte
inferiore di due colonne (l’ultimo rigo conservato della col. I, il 19, affianca col.
II 10), per un’estensione totale in altezza che assomma a 25 righi in 13 cm; la
larghezza della colonna è ricostruibile con approssimazione in cm 9, equiva-
lenti a righi di circa 30 lettere. L’intercolumnio misura cm 2. Rimane parte del
margine inferiore bianco in corrispondenza di entrambe le colonne, fino a cm
3,5 sotto la seconda.
La scrittura è simile, ma più curata, rispetto a quella coeva di P.Amh. II 12
(⇒ 4) e ricade nella variante dello stile severo ad asse inclinato e contrasto chia-
1
roscurale dei tratti, che indirizza a una datazione al IIIp . È segnato lo iota muto.
I lemmi si susseguono all’interno della colonna, senza ekthesis; il lemma è se-
gnalato dalla paragraphos sotto il rigo (col. II 4/5 e 12/13; ma non a 7/8, dove
è attesa). Nei rari punti in cui è possibile osservare l’articolazione del com-
mento all’interno del rigo, si riscontra unicamente il ricorso occasionale al va-
cuum per dividere lemma e spiegazione (col. II 15, forse anche II 6).
La gran parte del testo leggibile consiste di lemmi, anche piuttosto estesi (5
righi in col. I 14-18), tratti da Storie V 52-55. In questo punto dell’opera, a co-

1
Haslam 1998, p. 55; cfr. Del Corso 2006, p. 92 nr. 207.
P.Oxy. LXV 4455 75

rollario del racconto della missione diplomatica di Aristagora di Mileto a


Sparta per richiedere un intervento militare in difesa della Ionia contro i Per-
siani (49-51), prendendo spunto dall’informazione riferita dal Milesio al re
Cleomene che per coprire la distanza da Sardi a Susa occorrono tre mesi di
cammino, Erodoto dà spazio alla dettagliata anametresis della Strada del Re
(52-54, 1: un computo che consta di somme e moltiplicazioni nonché di “the
two most difficult correct divisions done in the Histories”2) integrata con il tra-
gitto compreso fra la costa egea a Efeso e Sardi (54, 2: un tratto coperto con-
venzionalmente in tre giorni di cammino, secondo Xen. Hell. III 2, 113). Gli
ultimi due lemmi della seconda colonna sono tratti dal capitolo 55, nel quale
dalla menzione di Atene come seconda tappa della missione di Aristagora lo
storico prende spunto per la digressione sull’uccisione di Ipparco e sulla fine
della tirannide dei Pisistratidi. Il papiro attesta nei lemmi tre varianti rispetto
alla paradosi medievale delle Storie: eij‡iv contro e[pei‡i, in V 52, 2 (col. I 12); te
kaiv anziché solo kaiv, e ou{twi (i.e. ou{tw) contro kai; ou{tw, in V 54, 2 (col. II 8-9;
negli stessi righi si registrano oscillazioni di minor conto: te‡‡ar- per te‡‡er-,
scambio ricorrente e attestato in questo stesso punto anche nella paradosi; e
tri‡in˚ invece del tràdito tri‡iv).
Nel poco che rimane del commento, accanto a una menzione di Didimo
(Calcentero) in col. I 13 per la spiegazione, sembra, di un dato fattuale (la pre-
senza di porte sul ponte che attraversa il fiume Halys lungo il tracciato della
Strada del Re: Did., fr. novum4) e ad alcune note lessicali (II 6-7 ajpartiv; 12-14 ej-
narge‡tavthn; 14-16 ajnevkaqen) che mostrano strette affinità con la lessicografia
a noi pervenuta, spiccano le tracce di una cospicua discussione delle distanze
fornite dallo storico nei capitoli 52-53. Nella prima parte conservata, a quanto
pare il commentatore stabilisce un confronto con informazioni riferite da una
fonte diversa, Senofonte nell’Anabasi secondo la ricostruzione proposta da Ha-
slam (un’alternativa, purtroppo non verificabile, sarebbero gli ¦A‡iva‡ ‡taqmoiv
di Aminta, FGrHist 122). È possibile isolare termini, concetti e metodi propri
della ricerca storico-geografica antica: il confronto delle fonti in materia di mi-
surazione terrestre, la presa d’atto della loro dissonanza (diafwniva) e, forse, la
valutazione e l’applicazione del grado di affidabilità (ajxiopi‡tiva) delle fonti
stesse come criterio-guida per l’opzione fra misurazioni diverse. Se le restitu-
zioni operate e suggerite dal primo editore colgono nel vero, emerge l’atteg-
giamento critico del commentatore nei confronti del computo erodoteo, forse
con punte di ipercriticismo (vd. il commento a col. I 2-11 e II 8-12).

2
Così Keyser 1986, p. 233.
3
Cfr. Keyser 1986, pp. 233-234 con la n. 21.
4
Braswell 2013, p. 40 n. 48.
76 Herodotus 7

Un’attestazione tanto malridotta e incentrata su una porzione del testo


erodoteo così circoscritta e decisamente monotematica non consiglia certo di
avventurarsi in conclusioni generalizzanti circa l’indole complessiva
dell’hypomnema. Ignoriamo, fra l’altro, se l’assetto attuale del commentario
ne rispecchi i contenuti originari, oppure sia l’esito di manipolazioni e sfron-
damenti realizzati nel corso di vari passaggi di copia e di mano. Limitandoci
dunque a giudicare il poco che rimane, è sotto gli occhi l’insistenza in queste
righe su un aspetto decisamente tecnico come le distanze terrestri, affrontato
a quanto sembra con approccio critico (iper)razionalistico e libresco, met-
tendo a confronto dati di natura testuale ed eleggendo a criterio di valuta-
zione la coerenza interna e forse l’affidabilità delle fonti. Per contro, lemmi
e spiegazioni concernenti altri argomenti dimostrano un atteggiamento ese-
getico molto selettivo e desultorio nei confronti del testo commentato.
Non vi sono elementi per avanzare ipotesi valide di attribuzione5. La men-
zione di Didimo offre il terminus post quem della composizione, documenta la
conoscenza della tradizione erudita alessandrina da parte del commentatore
e può essere considerata un indizio, per quanto fragile e isolato, che Didimo
avesse composto un hypomnema a Erodoto6; uno scritto di cui non si ha positiva
notizia, ma la cui presenza nella sterminata produzione del grammatico non
stupirebbe, anche alla luce del fatto che l’esistenza del commentario aristarcheo
attestato da P.Amh. II 12 è sottaciuta in tutta la tradizione superstite7.

5
Oltre al frammento di commentario aristarcheo al I libro delle Storie P.Amh. II 12 (⇒ 4), sappiamo
di commenti a Erodoto composti all’inizio dell’era cristiana da un certo Ireneo, che alcuni identi-
ficano con l’atticista Minucio Pacato Ireneo (Fr. 16 H. Eijrhnai'o‡ de; ejn tw'/ ŞUpomnhvmati eij‡ ŞHrovdoton;
vd. Regali 2007), e dal retore Erone di Atene figlio di Kotys, autore di commenti anche a Tucidide
e Senofonte (cfr. Sud. h 552 A.; Kroll 1912).
6
McNamee 2007, p. 120, non esclude che il frammento attesti una rielaborazione di materiali ari-
starchei rivisitati da Didimo.
7
Cfr. Haslam 1998, p. 57. Ringrazio Michael Haslam per numerose osservazioni (per litteras, 15 e
22 febbraio 2010); Daniela Colomo per l’ispezione dell’originale; Chiara Meccariello per altri ri-
scontri sul papiro, specialmente a II 6-7 e 15.
P.Oxy. LXV 4455 77

Recto ($)
Col. I
› › ›
ç˙˙˙˙å
ejn tçh˚'i˚ aô t˚h˚'‡˚ ¦A˚n˚åa- (V 52, 1)
bav‡ew‡ dia; Ludiva‡ kaçi˚; Fr˚u˚ågçi˚va˚‡˚ ‡˚t˚a˚åq-
mou;‡ me;çn˚ e{na˚ ka˚åi; eçi[˚k˚o˚‡˚i˚ åpaçr˚a‡avg˚g˚a˚‡˚ de;
5 duvo kai; tçe˚‡‡aravkonta k˚a˚åi; rô tçav˚c˚a ajxi˚å
± 9 ç˙˙˙˙n˚e˚peikaÐ ˚å ± 5 çmal˚-
± 7 ç˙˙a˚n˚ tauvthn ei˚˙å ± 4 çw˚n de˚
± 8 ç˙˙ a˚jp˚o˚; tou' e˚jl˚a˚vt˚t˚on˚åo‡ ajrçi˚qmou'
± 9 ç˙˙˙åpça˚r˚a˚ge˚n˚ev˚‡˚q˚åai ˙çamen
10 ± 8 çtwn˚ åejçn˚e˚n˚h˚vk˚o˚nta˚ å˙˙˙ç˙et˙˙
± 8 çe˚t˚a˚å˙ç˙˙t˚a˚d˚e˚o˚n au˚å˙˙ç˙rota
± 3 oJ õAlçu˚ ‡ ˚ p˚ å oçt˚ a ˚ m ov ‡ ˚ , ej ˚ p ¦ w| i pu˚v å laiç t˚ e eij ‡ iv V 52, 2
± 6 geçf˚u˚vr˚a˚‡ fh‡i;n˚ oJ D˚åivçdu˚mo˚‡˚ p˚u˚-
± 8 diabav ç n˚ t ˚ i d¦ ej ‡ th; n Kappado- V 52, 2
15 kiv h n kai; tauv t hi pçore˚ u ˚ o ˚ m ev n w˚ i me˚ v c ri
ou[ r wn tw' n Kilikiv w çn˚ ‡˚ t ˚ a ˚ q moi; duw' n dev -
onte‡ eij ‡ i; trihv k onta,ç pa˚ r ˚ a ‡av g gai d˚ e ; tev ‡ -
‡are‡ kai; eJ k atov n çt˚a˚u˚'ta˚ diavfwna
ç˙˙å˙˙˙ç˙˙˙
› › ›

5 k˚a˚å sul bordo traccia dell’estremità inferiore della seconda lettera, mm 3 a destra dell’asta ver-
ticale di k; k˚å Haslam 6 e˚p˚ (Haslam in ed.) è preferibile ad a˚p˚ (dubbio di Haslam per litteras), a
motivo dell’altezza del tratto della prima lettera che si accosta alla seconda (taglio di e piuttosto
che tratto obliquo discendente di a: Colomo per litteras) 8 e˚l˚a˚t˚¦t˚on˚å pap. 10 della penultima
lettera resta un breve tratto curvilineo in prossimità della base del rigo: e ? (Haslam per litteras),
o ? (Colomo), a (benché la traccia sembri salire troppo in verticale, per corrispondere all’anello di
questa lettera)? 11 t˚a˚d˚e˚o˚n Haslam ç˙rota: dopo la lacuna, tracce compatibili con l’angolo
destro di p, lievemente abraso 19 l’ultima traccia è un tratto obliquo ascendente, piuttosto alto
sul rigo (a causa della traccia che precede, più bassa, si possono escludere k e c) segue ampia
lacuna di circa 4 cm., equivalenti a 6 righi nella col. II
——
2-5 suppl. Haslam (5 k˚åai; rô dub. in comm.) 5 tça˚vca aj˚xi˚å (e.g. ajxiåopi‡tovtera) Haslam in
comm. 6 ç˙˙˙˙n˚ep
˚ e˚ i˚ka å˚ Haslam in ed., çe˚‡t˚ i˚ n˚ ˚ ejp ˚ e˚ i;˚ in comm., ei[h a]n? et ejpeika‡å (aut ajpeika‡å ?)
per litteras 9 åpça˚ra ˚ g˚ i˚ n˚v e˚ ‡˚ q˚ å˚ ai Haslam in ed., åpça˚ra ˚ g˚ e˚ n˚ e˚ ‡˚v q˚ å˚ ai per litteras 10 (di)o{çt˚i˚ ej‡t˚ i˚ ˚ aut
e[ti Haslam in comm., aut ete˚ (i.e. eJte˚ûr- ?) per litteras : åleivçp˚eta˚i˚ ? 11 t˚ad ˚ e˚ o˚ n˚ au˚å Haslam çp˚rota
Haslam in comm. 12-18 suppl. Haslam 18 e[pei‡i codd. 18 kai;ç t˚au ˚ t'˚ a Haslam in comm.
78 Herodotus 7

Col. II
› › ›
˙˙˙˙çe˚i˚å
˙˙ç˙ei‡˚i˚n˚å
˙˙ç˙˚nta˙å hJ oJ- V 53
d˚o˚;‡˚ hJ˚ ba‡˚i˚lh˚i˚vh˚ å ajn- V 53

5 •n¶ai‡imou'nt˚ai˚ åhJmevrai ajparti; ejnenhv-
konta ajpar˚åtçi; a˚p˚hå˙çt˚å
nei ti˚: e˚[‡˚ti ga;r ajn˚ti;˚ to˚u'˚ ˙˙˙˙˙å
te‡‡aravkontav t˚e˚ k˚a˚i˚; p˚e˚n˚åtakov‡ioi ‡tav- V 54, 2
dioi: ou˚{tw{i} tri‡i;n˚ åhJmevrhi‡i mhkuvnetai
10 h˚J t˚r˚i˚vm˚hno‡ oJdo˚vå‡˚ç k˚a˚i˚; to˙å
e˚j‡˚t˚i˚vn˚: e˚i˚j ga;r rônô ‡˚åtçavdi˚o˚i˚ e˚jn˚ å
˙å˙ç˙o˚n˚t˚ai, ejn t˚r˚i˚å‡çi; uônô ˙˙c˚˙å ejnar- V 55

ge˚‡tavthn e[kdhl˚åoçn˚ ˙a˙˙å
‡an a} e[paqon. ge˚vnåoç‡˚ ejovnte˚å‡ ta; ajnevkaqen V 55
15 G˚e˚fu˚r˚a˚i'oi ajnevkaqe˚n˙˙å
˙˙˙ç makro˚vqen G˚efuraivou‡ då

3 ç˙ traccia orizzontale compatibile con e ˙å tratto verticale, probabile i 5 n apparentemente


cancellato con breve tratto obliquo 6 forse vacuum dopo konta 6-7 nella parte destra, scrittura
molto o interamente sbiadita 9 ou˚twi pap. 13 ˙a˙˙ prima di a, estremità inferiore lievemente
obliqua di un tratto verticale: possibile k; prima della lacuna a destra, tratto compatibile con la
parte superiore di e 15 vacuum dopo G˚e˚fu˚r˚a˚i'oi dopo ajnevkaqe˚n, asta verticale (i ?) subito se-
guita da lacuna, al di sopra della quale rimane la parte superiore di un tratto arcuato verso destra
(w ?)
——
2 oujçk˚ eij‡˚i˚n˚ temptavit Haslam 4-5 suppl. Haslam 6 “after ajpartiv perhaps ajphrti‡mevnw‡”
Haslam in comm. 6-7 ajpar˚åtçi˚; aj˚p˚h˚årçt˚åi‡mevnw‡. diafwçûnei' ti. e[˚‡ti ga;r a˚jn˚t˚i;˚ t˚o˚u˚' Haslam per
litteras : fort. ajpar˚åtçi˚; ajp˚ h
˚ å˚ rçt˚åi‡mevnon ‡hmaivçûnei ti, e[‡˚ ti ga;r a˚nj t˚ i˚ ˚; t˚ou ˚ å˚ w'‡. eij‡i; 8 te‡‡eravkonta
˚ '˚ ajk˚ r˚ i˚ b
kai; codd. 9 kai; ou{tw codd. tri‡i; codd. 8-9 suppl. Haslam 9 corr. Haslam : fort. outwi
perperam scriba pro outw‡ ? 10-12 kai; tou˚'åto diavfwnovnç û e˚j‡˚t˚i˚n˚: e˚ij˚ ga;r rônô ‡˚åtçavdi˚o˚i˚ e˚jn˚ åmia/' (vel
eJkav‡th/) hJmevra/ (di)oJçûd˚åeçu˚vo˚n˚t˚ai, ejn t˚r˚i˚‡˚i;˚ uônô, o˚u˚jc˚i˚; åfômô e.g. suppl. Haslam 12 suppl. Haslam 13-
14 k˚ai; ej˚åkfaivnouçû‡an aut ej˚åmfanivzouçû‡an aut ej˚åmfanh' poiou'çû‡an temptavit Haslam : k˚ai; ej˚ånargh'
aut ‡˚åafh' poiou'çû‡an ? 14 suppl. Haslam 15 fort. i˚w˚å, i.e. öI˚w˚åne‡ aut ¦I˚w˚ånikovn aut ¦I˚w˚ånikw'‡ ? :
k˚a˚åta; temptavit Haslam 15-16 fort. ¦I˚w˚ånikw'‡ ajnti; û tou'ç makrovqen 16 makro˚vqen. G˚efuraivou‡
dåe; Haslam

Col. I
... [Senofonte] nel primo libro dell’An[abasi attraverso la Lidia e] la Frigia ven-
tuno stazioni e [cento]quarantadue parasanghe ... (8) dal numero inferiore ...
P.Oxy. LXV 4455 79

(9) venire ... (10) novanta ... (12) (V 52, 2) il fiume Halys, sul quale sono porte
... pont(i?) Didimo dice po[rte] ... (V 52, 2) per chi passa in Cappadocia e la at-
traversa fino ai monti della Cilicia sono ventotto stazioni e centoquattro pa-
rasanghe ... [anche?] questi (sono) discordi ...

Col. II
... (2) sono ... (3) (V 53) ... la Strada del Re ... (V 53) si impiegano esattamente
novanta giorni: “ajpartiv” (“esattamente”) ... è infatti ... (V 54, 2) e cinquecen-
toquaranta stadi, così il tragitto di tre mesi si allunga di tre giorni: anche
[questo?] ... è: se infatti 150 stadi [si percorrono ogni giorno], in tre [giorni si
percorrono] 450 (stadi), [non 540] ... (V 55) vividissima: chiara ... che subirono.
(V 55) che erano Gefirei di antica stirpe: “ajnevkaqe˚n” ... da lungo tempo. Gefirei
...

Col. I
2-11 I primi righi superstiti vertono sui dati riferiti dallo storico in V 52, 1,
relativi al segmento più occidentale della Strada del Re, attraverso la Lidia e
la Frigia. Ammettendo la ricostruzione testuale dei rr. 2-3 proposta da Haslam,
il commentatore metterebbe a confronto i dati erodotei con quelli che si rica-
vano dall’Anabasi senofontea come somma delle distanze coperte da Ciro il
Giovane nell’avanzata militare da Sardi verso Cunassa nel 401 a.C. La tradi-
zione diretta medievale delle due opere storiche riporta computi che suonano
fra loro sensibilmente diversi: Erodoto dà le cifre aggregate di 20 stazioni di
sosta (‡taqmoiv) per un tratto di 94,5 parasanghe dia; mevn ge Ludivh‡ kai; Frugivh‡
sino al fiume Halys; dal resoconto senofonteo (An. I 2, 5-19) si ottengono 21
stazioni per 142 parasanghe, sommando il parziale lidio (3 stazioni e 22 para-
sanghe) e le diverse tappe in cui fu frazionato il tratto frigio (per un subtotale
di 18 stazioni e 120 parasanghe) fino a Iconio, th'‡ Frugiva‡ povlin ej‡cavthn. Se la
differenza tra i due storici quanto al numero dei luoghi di sosta è minima (20
contro 21), la distanza lineare che si ottiene da Senofonte è superiore di oltre il
50% rispetto a quella registrata da Erodoto. La differenza è troppo elevata per-
ché la si possa addebitare a diverse condizioni contingenti di due rilevazioni
del medesimo percorso o a oscillazioni delle unità metrologiche di riferimento8.
La discrepanza si spiega in altro modo, e cioè con il carattere reticolare della
viabilità regia nelle satrapie occidentali dell’Impero persiano, che consentiva

8
Ciò resta valido anche se si considera la difficoltà di stabilire la precisa entità del parasanghe,
equivalente a 30 stadi e.g. secondo Hdt. V 53: Hultsch 1882, pp. 476-478; cfr. Manfredi 1986, p. 16
e Debord 1995, p. 93 in relazione proprio alle testimonianze di Erodoto e Senofonte messe a con-
fronto nell’hypomnema.
80 Herodotus 7

itinerari diversi e non univoci e collegava anche località periferiche rispetto


alla direttrice più breve o più prossima all’asse longitudinale fra Sardi e Susa.
Mentre la distanza erodotea di 94,5 parasanghe da Sardi al fiume Halys deve
riferirsi al tragitto più breve fra questi due estremi, invece l’itinerario seguito
da Ciro, a quanto si evince da Senofonte, risalì il corso del fiume Phryx, af-
fluente dell’Ermo, si snodò verso Sud-Est lungo l’alta valle del Meandro da
Kolossai fino a Kelainai e da qui ritornò verso Nord fino a Keramōn agora per
poi puntare decisamente a Oriente fino a Iconio (circa km 180 in linea d’aria a
Sud-Ovest del corso meridionale dell’Halys)9. Ovviamente le scelte di Ciro
(come quelle di Serse nella marcia speculare verso l’Ellesponto ottanta anni
prima: cfr. Hdt. VII 26-30) dovevano essere dettate da una logica militare ri-
spondente alla convenienza strategica (esigenze di rifornimento, consolida-
mento di rapporti con realtà locali, arruolamento di truppe) e non erano
condizionate dalla viabilità principale né in generale dalla necessità di proce-
dere per la via più spedita e diretta10. Dunque disponiamo oggi di argomenti
storici adeguati a spiegare la discrepanza dei due computi e ad accordare at-
tendibilità a entrambi11.
Resta da chiedersi se l’antico commentatore erodoteo fosse consapevole di
questo aspetto della questione e per quale motivo a proposito di Storie V 52, 1
si rifece ai dati che leggiamo in Senofonte (sempre che l’ipotesi di Haslam sia
corretta). Che l’oggetto del commento ai rr. 2-11 della col. I del papiro ossirin-
chita fosse esattamente la discordanza dei dati è suggerito dal r. 18, dove, a
proposito della misura fornita da Erodoto (V 52, 2) sul tratto della Strada del
Re che dal fiume Halys attraverso la Cappadocia arriva ai confini della Cilicia,
si osserva (forse a confronto con Xen. An. I 2, 20-23): çt˚a˚u˚t˚a˚ diavfwna, con ogni
probabilità da integrare con Haslam kai;ç tau'ta diavfwna, in riferimento a ulte-
riori dissonanze nelle fonti, in aggiunta a una (o più d’una) già presentata e
discussa nell’hypomnema12. L’aggettivo diavfwno‡, riconducibile al lessico della
disciplina geografica in materia di divergenza (diafwniva) nel computo di di-

9
Manfredi 1986, pp. 23-64; del dibattito concernente il dettaglio dell’itinerario dà conto Debord
1995.
10
Debord 1995, pp. 91-96, specialmente la conclusione (p. 96): “Dans les régions bien contrôlées
de l’Asie Mineure occidentale, il n’y a pas lieu de douter que les distances aient été calculées en
mesure de longueur et cela implique, si l’on accorde quelque crédibilité au texte d’Hérodote, de
déterminer un tracé direct pour la route dans son trajet le plus occidental. Les itinéraires choisis
par Xerxès et Cyrus le Jeune relèvent d’un autre type de problématique: ils sont liés à des diffi-
cultés conjoncturelles (particulièrement dans le deuxième cas) mais aussi à des impératifs fonda-
mentaux qui sont la constitution et l’intendance de l’armée”.
11
Haslam 1998, p. 57, notava succintamente che nel commentario “it is apparently assumed that
the route is the same in either case”. Sul carattere relativo e soggettivo della rilevazione “odolo-
gica” nell’antichità vd. Janni 1984 (un cenno al passo erodoteo qui in esame è a p. 154).
12
Vd. commento ai rr. 14-18.
P.Oxy. LXV 4455 81

stanze terrestri (specialmente Strab. II 1, 8), è una spia del tenore qualitativo
della discussione contenuta in questo punto del commentario13. Una conse-
guenza di questa constatazione è che per la ricostruzione delle parti di testo
cadute in lacuna ai rr. 2-11 e per l’interpretazione generale del passo può ri-
sultare utile tenere presente la koine terminologica e i dati concettuali connessi
con quella problematica tecnica.
Nella lacuna centrale di r. 5 è da ripristinare un numerale delle centinaia,
inevitabilmente kai; eJkatovn in ragione del contesto: la cifra di 142 parasanghe,
che così si ottiene, coincide con quella nota dalla tradizione diretta medievale
dell’Anabasi. La dimensione ridotta della lacuna costringe a restituire il nume-
rale nella forma simbolica rô. Haslam (1998, p. 57) esita a mettere a testo questa
integrazione, perché nel resto del papiro lo scriba esprime i numeri o intera-
mente in parole (col. I 4-5 e 10) o interamente in simboli alfabetici (col. II 11 e
12); ma questo genere d’incoerenza sembra ammissibile nella copia di un testo
d’uso.
Alla fine dello stesso r. 5, le tracce autorizzano l’ipotesi di Haslam “tça˚vca
aj˚xi˚- (e.g. ajxiåopi‡tovtera)” e abilitano a restituire, ipoteticamente, ai rr. 5-6 duvo
kai; tçe˚‡‡aravkonta k˚åai; rô tça˚vca ajxi˚åoûpi‡tovterov‡ç e˚j‡˚t˚i˚n˚ e˚j˚pei;˚ ka˙å , con soggetto
Xenofw'n divinabile prima di r. 2. Altrimenti: duvo kai; tçe˚‡‡aravkonta k˚åai; rô tça˚cv a
ajxi˚åoûpi‡tovtera.ç e˚[‡˚t˚i˚n˚ e˚j˚pei˚ka‡˚å , ove il comparativo al neutro plurale si riferi-
rebbe ai dati numerici forniti e il nuovo periodo sintattico segnerebbe l’avvio
della discussione dei dati stessi (ej˚p˚ei˚kav‡˚åai? cfr. Hdt. IX 32, 2 wJ‡ de; ejpeikav‡ai,
v.l. ajp-, in unione con dati numerici congetturali). Una forma comparativa di
ajxiovpi‡to‡ è seriamente accreditata dal passo straboniano citato sopra, nel
quale il problema della diafwniva in materia di misurazioni terrestri è ricon-
dotto esattamente a una questione di affidabilità dei geografi (Strab. II 1, 8-9:
ajxiopi‡tiva, pi‡tovteron, ajpi‡totevrou‡, ajpi‡tei'n a[xion).
Ai rr. 8-10 restano frammenti di un possibile computo aritmetico: 8 a˚jp˚o˚; tou'
e˚jl˚a˚vt˚t˚on˚åo‡ ajrçi˚qmou', 9 åpça˚r˚a˚ge˚n˚ev˚‡˚q˚åai14, 10 åejçn˚e˚n˚h˚vk˚o˚nta. Le tracce finali del r.
10 sembrano poter ammettere una forma di leivpomai (åleivçp˚eta˚i˚ ?), altro verbo
congruo con il lessico matematico (‘restare/avanzare’ o ‘essere inferiore’; cfr.
Nicom. Intr. arithm. I 13, 13; II 21, 6); e un contesto analogo si evince a r. 11, se
vi si legge ç˙˙t˚a˚d˚e˚o˚n au˚å e si integra k˚a˚t˚a˚d˚e˚o˚n, ‘mancante’. È dunque possibile
che qui il commentatore mettesse in rapporto e a confronto dati parziali o ag-

13
Montana 2009a, pp. 244-248. Lo stesso aggettivo è ripristinato in lacuna da Haslam a col. II 10,
su cui vd. il commento.
14
“of numerical accrual?” (Haslam 1998, p. 57). La forma aoristica è preferibile a åpça˚r˚a˚giv˚n˚e˚‡˚q˚åai
(Haslam nell’ed. pr.) per motivi sia paleografici (Id. per litteras), sia linguistici, dato che il verbo
cade nella spiegazione.
82 Herodotus 7

gregati dei due diversi ‡tadia‡moiv15. Se nella parte finale di r. 11 leggiamo çp˚rota
con Haslam (1998, p. 57: “au{˚åth hJç provtaûå‡i‡?”), fra le integrazioni possibili va
considerata p˚rotaûåkteva / -evon, “devono essere preferiti”, “si deve preferire”
(per il significato cfr. Aeschn. 3, 170; Luc. Pro lapsu inter salutandum 6), confa-
cente a una conclusione in cui si prendesse posizione in merito alla dissonanza
delle fonti.
Volendo tentare un’interpretazione organica di questa pericope del com-
mento, benché solo generica e fondata in massima parte su basi congetturali,
si può concludere che il commentatore metteva a confronto i due çtadiaçmoiv
riferendoli erroneamente a un identico iter microasiatico; che ne metteva in
evidenza la dissonanza; e che accordava maggiore credibilità a Senofonte, in
questa materia in generale oppure su questo specifico dato (rr. 5-6 tça˚vca
ajxi˚åoûpi‡tovterov‡ç e˚j‡˚t˚i˚n˚?), sulla base di un’argomentazione (r. 6 ejpeiv? ejpeika‡å ?)
di carattere aritmetico (rr. 8-11).
12-14 Il lemma, preso da Storie V 52, 2, dà la variante eij‡iv contro e[pei‡i dei
manoscritti medievali; un caso comparabile, richiamato da Haslam (1998, p.
57), è in P.Amh. II 12 (⇒ 4), col. II 2, dove il lemma riporta ej‡tin contro il com-
posto e[ne‡ti della tradizione medievale (Storie I 194, 3). La spiegazione consta
della citazione letterale (fh‡i;n˚) di un’osservazione di Didimo (Calcentero: fr.
novum, cfr. Braswell 2013, p. 40 n. 48). Al r. 13, pur con qualche esitazione, il
primo editore restituisce geçf˚u˚vr˚a˚‡ sulla scorta di Storie I 75, 3 (wJ‡ de; ajpivketo ejpi;
to;n õAlun potamo;n oJ Kroi'‡o‡, to; ejnqeu'ten, wJ‡ me;n ejgw; levgw, kata; ta;‡ ejouv‡a‡ ge-
fuvra‡ diebivba‡e to;n ‡tratovn ktl) e ipotizza di ripristinare ajnti; tou' geçf˚u˚vr˚a˚‡
fh‡i;n˚ oJ D˚åivçdu˚mo˚‡˚ p˚u˚vûåla‡ levge‡qai – ritoccato da Luppe 2001, p. 2, ajnti; tou'
geçf˚urv˚ a
˚ ‡˚ , fh‡i;n˚ oJ D˚åivçdu˚mo˚‡,˚ p˚uûv˚ åla‡ levgei (sc. ŞHrovdoto‡), con un numero di lettere
all’inizio di r. 14 più confacente alla lacuna. È scarsamente probabile, tuttavia,
che l’attenzione di Didimo e dell’anonimo commentatore fosse attirata da un
uso, peraltro non attestato, di “porte” come metonimia di “ponte”, dal mo-
mento che la difficoltà posta dal passo erodoteo è semmai nella brachilogia
che localizza le porte direttamente sul fiume (potamov‡, ejp¦ w|/). Se le porte cui
Erodoto si riferisce erano edificate in muratura a presidio delle imboccature
del ponte (cfr. Strab. X 1, 8 ejpi‡thv‡ante‡ th'/ gefuvra/ puvrgou‡ kai; puvla‡ kai; tei'co‡,
a Eretria), nel papiro si può resituire e.g. ejpi; th'‡ geçf˚u˚vr˚a˚‡ fh‡i;n˚ oJ D˚åivçdu˚mo˚‡˚
p˚u˚vûåla‡ ei\nai (ovvero p˚u˚vûålai eij‡ivn se intendiamo fh‡i;n˚ oJ D˚åivçdu˚mo˚‡˚ in inciso,
come nell’ipotesi di Luppe). La spiegazione didimea concernerebbe allora non
un uso linguistico o una singola parola (che poi, nel caso, sarebbe il comunis-
simo puvlai, non certo una “glossa”), ma il dato reale ricordato nel passo ero-

15
Altre forme comparative possono essere intraviste, con Haslam, a rr. 6-7 malûå (ma'lûålon?) e r. 7
ç˙˙a˚n˚ ( çtevran?).
P.Oxy. LXV 4455 83

doteo, e in tal caso ci sarebbero buone probabilità che essa provenga non da
un lessico, ma da un hypomnema alle Storie. All’ipotesi non nuoce il fatto che
di un’opera di questo tipo non abbiamo notizia, considerato che nella tradi-
zione nota non resta memoria esplicita del commentario aristarcheo attestato
da P.Amh. II 12 (⇒ 4).
14-18 Il lungo lemma è tratto ancora da V 52, 2 e concerne il tratto della
Strada del Re compreso tra il fiume Halys e i confini della Cilicia passando per
la Cappadocia, relativamente al quale Erodoto fornisce le cifre di 28 stazioni e
104 parasanghe. Quanto resta dell’inizio della spiegazione ( çt˚a˚u˚t˚a˚ diavfwna)
incoraggia a ipotizzare che il commentatore confrontasse i dati con quelli of-
ferti da altre fonti e riscontrasse un’ulteriore discrepanza dopo quella discussa
ai rr. 2-11; perciò Haslam (1998, p. 57) integra kai;ç t˚a˚u˚'t˚a˚ diavfwna. In questo
caso manca qualsiasi appiglio per tentare di individuare il termine di confronto
addotto; si può soltanto rilevare che i dati erodotei sono comparabili in parte
con quelli riferiti da Senofonte, An. I 2, 20-23 in relazione all’avanzata di Ciro
il Giovane da Iconio (circa km 180 a Sud-Ovest dell’Halys, da dove parte il
computo erodoteo di questo segmento viario) attraverso la Licaonia (5 stazioni,
30 parasanghe) e la Cappadocia (4 stazioni, 25 parasanghe) fino a Tarso in Ci-
licia (di nuovo 4 stazioni, 25 parasanghe), per un totale da Iconio a Tarso di 13
stazioni e 80 parasanghe.

Col. II
3-4 Le parole hJ oJçûd˚o˚;‡˚ h˚J ba‡˚i˚lh˚iv ˚h˚ provengono dal periodo iniziale di Storie
V 53 e, stante la forma ionica, sono parte di un lemma. La sequenza ç˙nta˙å al-
l’inizio del r. 3 è estranea al dettato della paradosi erodotea (a meno di leggervi
la parola finale del capitolo 52, ajnabaivûnço˚nt{a}i˚, postulando errore dello scriba
con Haslam 1998, p. 58; ma la traccia iniziale dopo la lacuna non si confà a omi-
cron). Se la paragraphos sotto il r. 4 è ben posizionata, essa segnala che in questo
rigo ha inizio un nuovo lemma (cfr. rr. 12/13). Da questo insieme di circostanze
consegue che la spiegazione di hJ oJçûd˚o˚;‡˚ hJ˚ ba‡˚i˚lh˚iv ˚h˚ constava di una quindicina
di lettere circa. Il capitolo 53, dedicato alla conversione in stadi greci e in gior-
nate di viaggio della misura complessiva dell’iter, calcolata fino a quel punto
in parasanghe persiani, esordisce con la cauta riserva eij de; ojrqw'‡ memevtrhtai hJ
oJdo;‡ hJ ba‡ilhivh toi'‡i para‡avggh/‡i. Proprio questa riserva prudenziale espressa
dallo storico antico potrebbe avere ispirato la discussione dell’anametresis
svolta nella prima colonna dell’hypomnema e ripresa poco oltre nella seconda.
A questo punto del commento difficilmente c’era ancora bisogno di chiarire la
denominazione o gli estremi del percorso (come invece sospetta Haslam 1998,
p. 58; ma ci si può attendere che una spiegazione di questo tipo fosse riservata
piuttosto alle parole iniziali del capitolo 52, e[cei ga;r ajmfi; th'/ oJdw'/ tauvth/ w|de). È
plausibile, dunque, che il commentatore fosse qui interessato a interloquire
84 Herodotus 7

con l’espressione erodotea di cautela, a valle del computo delle distanze; e che
avesse riportato come lemma l’intera frase eij de; ojrqw'‡ memevtrhtai hJ oJçûd˚o˚;‡˚ h˚J
ba‡˚i˚lh˚iv ˚h˚ (r. 3 ≤28 lettere) e l’avesse accompagnata con un breve giudizio, più
probabilmente negativo, del tipo (oujk) ojrqw'‡, wJ‡ ei[rhtai oppure o{ti (oujk) ojrqw'‡
ei[rhtai (con queste diverse ipotesi, il r. 4 conterebbe da 27 a 31 lettere, escluso
il n alla fine del r. 3, che si deve supporre aggiunto in un secondo tempo per
modificare la sillabazione di ajûnai‡imou'ntai).
4-7 Per quanto argomentato sopra, ajnçû•n¶ai‡imou'nt˚ai˚ deve essere la pa-
rola iniziale del lemma. Quest’ultimo nella sua interezza comprende le parole
conclusive del capitolo 53, che traducono la distanza da Sardi a Susa in 90
giorni di cammino, un risultato coincidente con la stima riferita da Aristagora
al re Cleomene.
Il trattino visibile sulla diagonale di n all’inizio del r. 5, se non è una sbava-
tura d’inchiostro (come dubita Daniela Colomo, dietro ispezione dell’origi-
nale), può essere inteso, con Haslam, come correzione della divisione di parola
nel senso di un ripristino del criterio morfologico, basato sulla formazione les-
sicale (ajn<ai‡imou'ntai), contro quello fonetico-sillabico (aj<nai‡imou'ntai). Cfr.
e.g. P.Berol. inv. 9782 (commento al Teeteto di Platone, ed. Bastianini-Sedley
1995), col. XXIX 11-12 e `k´ çû•c¶qh‡e‡qaåi (con consonante non assimilata resti-
tuita nella correzione in lacuna, sull’esempio di col. XXVIII 19 e `k´ •c¶qei‡). D.
Colomo mi segnala correzioni operate nella direzione opposta, cioè divisioni
morfologiche emendate in divisioni sillabiche, in P.Mich. inv. 918 (MP3 266; co-
dice membranaceo del IVp; Demostene, Terza Filippica; ed. Winter 1925), col. II
6-7 e•n¶ûneinai; e P.Oxy. V 844 (MP3 1263; I/IIp; Isocrate, Panegirico), col. XXXIV
598-599 e•f¶ûåfexh‡.
La spiegazione che occupava i rr. 6-7 non si lascia ricostruire facilmente, a
causa della lacuna e della cattiva condizione della superficie del papiro. Uno
spunto promettente è offerto dall’attenzione del commentatore per ajpartiv,
hapax erodoteo nella paradosi medievale delle Storie. Il commentario restituisce
una delle più antiche testimonianze dell’interesse erudito, ampiamente docu-
mentato, per l’uso erodoteo di questo avverbio. Si ricostruisce un filone lessi-
cografico risalente almeno fino a Diogeniano, che spiega ajpartiv con
ajphrti‡mevnw‡, ajkribw'‡, ‘perfettamente’, ‘precisamente’: Hsch. a 5815 L. (dove
è citato Aij‡cuvlo‡ ¦Aqavmanti, fr. 4 R.), S’’’ a 1636 C.; Sb a 1637 C.; Phot. Lex. a
2268, 2270 Th.; Levx. rJht. p. 210, 23 B.; Erotian. Vocum Hippocr. coll. a 12, p. 13,
19-20 N.; cfr. Gal. Vocum Hippocr. explic., s.v. ajpartivw‡, XIX, pp. 82, 18-83, 7 K.
Una diversa accezione di ajpartiv, ‘all’opposto’, ‘al contrario’, derivazione an-
tifrastica della precedente, è registrata in alcune delle fonti ora citate più altre,
che la documentano con esempi tratti dalla commedia attica. Il testimone di
riferimento è la lunga voce a 1637 C. nella redazione aucta (cod. B) della Syna-
goge: qui in primo luogo è ricordata l’accezione ajkribw'‡ kai; ajphrti‡mevnw‡,
P.Oxy. LXV 4455 85

esemplificata dalla citazione per esteso di Erodoto, Storie II 158, 4 ajpo; touvtou
eij‡i; ‡tavdioi civlioi ajparti; eij‡ to;n ¦Arabiko;n kovlpon (l’avverbio è assente nella
paradosi medievale del passo e in P.Oxy. VIII 1092; N.G. Wilson stampa l’av-
verbio a testo nella sua edizione delle Storie; cfr. Wilson 2015b, pp. 44-45); segue
l’altra accezione, para; de; toi'‡ kwmikoi'‡ to; ejk tou' ejnantivou, documentata con ci-
tazione di passi di Ferecrate (frr. 98 e 77 K.-A.), Platone (fr. 59 K.-A.; vd. Pirrotta
2009, pp. 149-150) e, ancora, di Teleclide (fr. 39 K.-A., a proposito del quale però
si esprime il dubbio che l’avverbio vi possa avere l’accezione erodotea; vd. il
commento al frammento di Bagordo 2013, pp. 188-189); la piccola trattazione
si chiude congetturando che ai due significati corrispondano due prosodie di-
stinte, ajpartiv per il primo e ajpavrti per il secondo16. Lo stesso materiale erudito
affiora nello scolio antico ad Aristoph. Pl. 388a Ch., in Sud. a 2928 A. e, più suc-
cintamente, nelle Levx. rJht. p. 210, 23-24 B. (‡hmaivnei de; kai; to; kat¦ ejnantivon kai;
a[ntikru‡); cfr. Gal. Vocum Hippocr. explic., s.v. ajpartivw‡, XIX, pp. 82, 18-83, 7 K.
(Dio‡kourivdh‡ de; e[fh o{ti kai; pa'n to; ejnantivon dhloi' ktl); potrebbe essere frutto
di cattivo compendio, ma restituisce un’ulteriore testimonianza comica, Phot.
Lex. a 2267 Th. ajpartiv: tou'to para; toi'‡ ¦Attikoi'‡ ojxutovnw‡. ‡hmaivnei de; to; aj-
phrti‡mevnon. Eu[poli‡ (fr. 429 K.-A.; vd. il commento di Olson 2014, pp. 195-196)
kai; ŞHrovdoto‡ (l.c.). In definitiva, la Synagoge aucta attesta la conflazione del fi-
lone lessicografico incentrato sull’usus erodoteo, riconducibile a Diogeniano e
forse a Didimo17, con discussioni linguistico-esegetiche di area atticista munite
di exempla dell’usus e della prosodia peculiari dei commediografi. L’assenza di
Aristofane tra gli autori citati nella voce della Synagoge (e nel Lessico di Fozio)
potrebbe essere indizio della provenienza della disquisizione da un commen-
tario dedicato appunto a una commedia di questo autore – forse al Pluto, dove
si trova l’unica occorrenza aristofanea conservata dell’avverbio.
Sulla base di queste informazioni esegetiche ed erudite e del testo residuo
nel papiro, Haslam (1998, p. 58) plausibilmente si attende ai rr. 6-7 un com-
mento su ajpartiv e ipotizza di riconoscere al r. 6, nelle tracce che seguono l’av-

16
La linguistica moderna associa la prosodia parossitona all’accezione temporale ‘d’ora in poi’,
la cui più antica attestazione diretta è neotestamentaria (Chantraine 1968-1980, p. 117, s.v. a[rti).
D’altra parte, l’accezione temporale dell’avverbio in rapporto con a[rti era discussa da Didimo
nel Peri; diafora‡' levxewn, anche con il ricorso a esempi da Callimaco (fr. 609 Pfeiffer) e da Platone
filosofo (Lys. 215c), nei quali figura a[rti, a quanto si può evincere dallo scolio antico ad Aristoph.
Pl. 388b Ch. (cfr. gli scolii recenti 388a-b): Braswell 2013, pp. 41-42. Inoltre, Antiatt. a 68 V. attri-
buisce ad ajpavrti (ajpartiv corr. Valente) valore temporale e ne attesta l’uso nei Sofisti del comme-
diografo Platone (fr. 155 K.-A.).
17
Lo scolio ad Aristoph. Pl. 388b Ch., menzionato alla nota precedente, sembra implicare che nel
Peri; diafora'‡ levxewn Didimo discutesse le diverse accezioni di ajpartiv (‡unwnumei' hJ levxi‡: e[‡q¦ o{te
ga;r kai; croniko;n ejpivrrhma dhloi' ktl). In tal caso, è del tutto verosimile che, per esemplificare l’ac-
cezione ‘precisamente’, già Didimo ricorresse alla citazione del passo di Erodoto, divenuto cano-
nico nella letteratura erudita posteriore.
86 Herodotus 7

verbio, l’inizio di ajphrti‡mevnw‡. Come supposto in un secondo tempo ancora


da Haslam (per litteras; vd. l’apparato critico), è probabile che il commento di
ajpartiv si estendesse su entrambi i rr. 6-7 e riprendesse in tutto o in parte la
coppia di sinonimi ajphrti‡mevnw‡ e ajkribw'‡ consolidata nella gran parte dei les-
sici bizantini. Sfruttando queste proposte, ipotizzerei ajpar˚åtçi˚; aj˚p˚h˚årçt˚åi‡mevnon
‡hmaivçûnei ti, e[˚‡ti ga;r a˚jn˚t˚i;˚ t˚o˚u˚' aj˚k˚r˚i˚b˚åw'‡ (r. 6 di 28 lettere; ‡hmaivçûnei è in Haslam
1998, p. 58; l’autopsia conferma la plausibilità di a˚jn˚t˚i;˚ t˚o˚u˚' aj˚k˚r˚i˚b˚å . Alla fine del
rigo vi sarebbe spazio per la parola iniziale del lemma seguente: eij‡i;ç û te‡‡erav-
konta ktl (r. 7 di 27 lettere, più vacuum prima del lemma).
Alcune soluzioni alternative proponibili sono meno soddisfacenti. Degli
altri termini contenuti nel lemma, un ulteriore candidato alla spiegazione è aj-
nai‡imou'ntai. Il verbo gode di svariate attestazioni nelle Storie ed è registrato,
lemmatizzato all’infinito, in entrambe le redazioni delle Lexeis erodotee, dove
è spiegato dapana'n, ajnaliv‡kein = Hsch. a 4339 L.-C.; Phot. Lex. a 1486 Th.; Sud.
a 2203 A.; Ps.-Zon. Lex. p. 206 T. L’identica forma ajnai‡imou'ntai ricorre la prima
volta nelle Storie a I 72, 3, dove gli scolii spiegano dianuvontai ajnalou'ntai R1A2
: ajnalou'ntai Z : dianuvontai B2 (Cantore 2013, p. 74, con rimando in apparato
a scolii a Erodoto comparabili; cfr. Asheri 1988, p. 244). Tuttavia, i tentativi di
decifrare e restituire una spiegazione di ajnai‡imou'ntai plasmata su forme di
dapana'n e ajnaliv‡kein sull’esempio degli scolii medievali non danno buoni
frutti. Ancora, nel passaggio fra il r. 6 e il r. 7 si potrebbe vedere con Haslam
una nota critica sull’esattezza del computo pretesa da Erodoto (diafwçûnei' ti),
in linea con quanto si legge poco dopo, ai rr. 10-12 del commentario. In tal caso,
il testo delle Storie riportato ai rr. 8-10 potrebbe essere non lemma – sotto il r. 7
manca la paragraphos – ma citazione all’interno di un’unica pericope di com-
mento iniziata al r. 6. Con questa possibilità sembra contrastare, però, la lettura
ajn˚ti;˚ to˚u'˚ al r. 7, che segnala piuttosto chiaramente un’osservazione di carattere
lessicale e semantico.
8-12 Lievi dissonanze testuali rispetto alla lingua erodotea e alla tradizione
medievale di questo passo delle Storie (r. 8: te‡‡aravkonta invece di te‡‡er-, uno
scambio però usuale nella tradizione in generale e attestato in questo punto
anche dalla paradosi medievale; te kaiv in luogo del solo kaiv; r. 9: ou˚twi [sic]
anziché kai; ou{tw; tri‡in˚ per tri‡iv), oltre all’assenza di paragraphoi in corrispon-
denza dei rr. 8-10, potrebbero far sospettare che almeno le parole te‡‡aravkontav
t˚e˚ k˚a˚i˚; p˚e˚n˚åtakov‡ioi ‡tavçûdioi appartengano non al lemma, ma alla conclusione
della spiegazione che occupa i righi precedenti: per esempio all’interno di una
precisazione sul fatto che per ottenere la distanza totale esatta (ajpartiv) neces-
saria a muovere guerra alla Persia partendo dai territori greci d’Asia Minore
manca ancora di sommare – come in effetti lo storico fa subito dopo, smen-
tendo da solo il proprio ajpartiv – i 540 stadi che separano Sardi da Efeso. D’altro
lato, che invece il lemma comprenda tutto il testo da r. 8 te‡‡aravkonta a r. 10
P.Oxy. LXV 4455 87

oJdov˚å‡˚ç pare assicurato dalla spiegazione che occupa i rr. 10-12 come ricostruiti
exempli gratia, ma con esito convincente, da Haslam 1998, p. 58: kai; tou˚'åto
diavfwnovnç û e˚j‡˚t˚i˚n˚: e˚ij˚ ga;r rônô ‡˚åtçavdi˚o˚i˚ e˚jn˚ åmia/' (aut eJkav‡th/) hJmevra/ (di)oJçûd˚åeçu˚vo˚n˚t˚ai,
ejn t˚r˚i˚‡˚i;˚ uônô o˚u˚jc˚i˚; åfômô, “anche [questo] è [discrepante]: se infatti in [un giorno si
percorrono] 150 stadi (cfr. V 53), in tre [giorni se ne percorrono] 450, non [540]”.
Il commentatore si conferma ipercritico nel vaglio dei dati erodotei, se in que-
sto caso il totale di tre giorni è da considerare non un errore, ma “the conven-
tional travelling time from Ephesus to Sardis”, come attesta Xen. Hell. III 2, 11
ajph'lqen eij‡ öEfe‡on, h} ajpevcei ajpo; ’ardevwn triw'n hJmerw'n oJdovn (Keyser 1986, p.
234; cfr. Asheri 1988, p. 235). Diversamente da col. I 18, qui il restituito diavfw-
non sarebbe da intendere nel senso di “dissonante (con se stesso)”, “contrad-
dittorio”, perché rileverebbe non un dissenso di fonti diverse, ma
un’incongruenza interna al testo di Erodoto (V 54, 2 vs V 53).
12-14 Gli ultimi due lemmi del frammento sono tratti dal capitolo di aper-
tura della lunga digressione erodotea sulla fine della tirannide dei Pisistratidi
(Storie 55-96). Malgrado rimanga ben poco dei quattro righi finali di testo della
colonna e dell’intero frammento, questo poco basta intanto per constatare che
il commentario nel suo stato attuale omette qualsiasi considerazione esegetica
introduttiva e generale sul contenuto della digressione e sulle sue rilevanti im-
plicazioni storico-politiche, per tacere di quelle metodologiche, e, invece, sem-
bra concentrarsi su questioni puntuali di carattere strettamente lessicale ed
espressivo: il significato del superlativo ejnarge‡tavthn riferito al sogno avuto
da Ipparco (narrato nel successivo cap. 56) e la frase con la quale Erodoto af-
ferma l’antica origine gefirea (fenicia) dei due tirannicidi (su cui lo storico si
sofferma distesamente più avanti, nei capp. 57-61).
La qualifica della o[yi‡ ejnupnivou di Ipparco come ejnarge‡tavth nel testo delle
Storie riprende il lessico linguistico e concettuale omerico, dove la ejnavrgeia,
‘evidenza’ o ‘vividezza’, è una qualità distintiva del sogno premonitore “og-
gettivo” inviato dalla divinità, come nel caso dell’ ejnarge;‡ o[neiron suscitato da
Atena a Penelope nell’Odissea (IV 841; in Aeschl. Pers. 179, Atossa definisce
ejnargev‡ il proprio sogno; vd. Lieshout 1980, pp. 18-19, 24-27). Per il senso e
l’espressione cfr. anche Hdt. VII 47, 1 ei[ toi hJ o[yi‡ tou' ejnupnivou mh; ejnargh;‡ ou{tw
ejfavnh ktl18. A sua volta, la relazione sinonimica ejnarge‡tavthn ~ e[kdhlon stabi-
lita dal commentatore applica l’equivalenza ejnarghv‡ ~ dh'lo‡ diffusa nella koine
esegetica e lessicografica, e.g. Hsch. e 2661 L. ejnargh': dh'la, fanerav ktl.
Il papiro conferma la lezione ejnargh‡tavthn concordemente attestata dai te-

18
Sulla “omericità” di Erodoto, un topos già antico, vd. e.g. Rosén 1962, p. 233; Pfeiffer 1968, p.
224; Boedeker 2002; Pelling 2006; Rengakos 2006; Kazanskaya 2014.
88 Herodotus 7

stimoni medievali. L’aggettivo mal si concilia per il senso con tw/' eJwutou' pavqei
che lo precede nella paradosi medievale; mentre la gran parte degli editori mo-
derni espunge tw/' eJwutou' pavqei, N.G. Wilson corregge ejnargh‡tavthn con ejmfe-
re‡tavthn (Wyttenbach)19. Ammettendo che anche l’antico commentatore
leggesse nella propria copia delle Storie tw/' eJwutou' pavqei ejnargh‡tavthn, si può
supporre che la ragione del suo interesse puntuale per l’aggettivo fosse esat-
tamente il problema di conciliarne il significato con il complemento in dativo
(spiegato perifrasticamente a} e[paqon, r. 14). Haslam 1998, p. 59, propone ejå˚ kfaiv-
nouçû‡an o ej˚åmfanivzouçû‡an o ej˚åmfanh' poiou'çû‡an (r. 13 rispettivamente di 26, 27 o
29 lettere). Ulteriori possibilità sono ej˚ånargh' poiou'çû‡an (r. 13 di 29 lettere) op-
pure anche ‡˚åafh' poiou'çû‡an (r. 13 di 27 lettere): cfr. EM. p. 337, 52 G. ejnargev‡:
‡afev‡, kai; pro; ojfqalmw'n, una catena sinonimica che, non meno di ejnarghv‡ ~
dh'lo‡, appare tributaria delle definizioni poetiche e retoriche dell’enargeia (e.g.
Aristot. Poet. 17, 1455a 23-24 pro; ojmmavtwn ... ejnargev‡tata; in generale su questa
materia: Rispoli 1985, pp. 88-91; Manieri 1998, pp. 51-60).
In luogo del plurale e[paqon, che implica come soggetto entrambi i Pisistra-
tidi Ipparco e Ippia, ci si aspetterebbe il singolare e[paqen, riferito al solo Ip-
parco, a spiegazione di tw/' eJwutou' pavqei della paradosi medievale del testo
erodoteo. e[paqon può essere un errore dello scriba del commentario per e[paqen,
oppure (così Haslam 1998, pp. 58-59) l’indizio di una variante tw/' eJwutwn' pavqei
nel testo delle Storie utilizzato dal commentatore. Si può anche supporre che
questi non leggesse nella propria copia tw/' eJwutou' pavqei, che è sospettato dai
moderni di essere una spiegazione intrusa nel testo (vd. qui sopra). In tal caso,
a} e[paqon nel commentario (r. 14) e tw/' eJwutou' pavqei nella tradizione diretta delle
Storie sarebbero due modi diversi di esprimere la stessa spiegazione di ejnar-
gh‡tavthn: la visione onirica è detta estremamente vivida nel senso di profetica
in rapporto a quanto sarebbe poi accaduto ai Pisistratidi/a Ipparco.
14-16 La ripetizione di ajnevkaqen all’inizio del commento suggerisce che
il significato dell’avverbio rappresenti la priorità del commentatore. Phryn.
Ecl. 235 F. stigmatizza l’uso erodoteo di ajnevkaqen con valore temporale (‘da
molto tempo addietro’, ‘dal lontano passato’), rimarcando che invece l’uso at-
tico ammette soltanto il significato locativo (cfr. Tribulato 2016, p. 181). Questa
dottrina sembra presupposta nel commentario dalla spiegazione makrovqen, che
esplicita l’accezione temporale dell’avverbio nel passo erodoteo – e forse anche
la pertinenza di questa accezione allo ionico, se al r. 15 è lecito leggere ajnevkaqe˚n
i˚w˚å, i.e. öI˚w˚åne‡, ¦I˚w˚ånikovn, ¦I˚w˚ånikw'‡: e.g. ajnevkaqe˚n ¦I˚w˚ånikw'‡ ajnti; û tou'ç makrovqen.
Il commentatore attinge dalla stessa tradizione che attraverso il lessico di Ci-

19
Wilson 2015a, p. 467; cfr. Wilson 2015b, p. 100.
P.Oxy. LXV 4455 89

rillo fluisce in Esichio (a 4844 L.-C. ajnevkaqen: makrovqen h[toi ejk pollou'. h] ajp¦
ajrch'‡. eJka;‡ dev ej‡ti makrovn) e nella Synagoge (a 582 C. ajnevkaqen: makrovqen = Sud.
a 2231 A.).
Specularmente, il valore locativo attico lodato da Frinico (‘all’indietro’,
‘verso l’alto’) è censito nella filiera lessicografica relativa ad ajnekav‡, spiegato in
Sb a 1254 C., Phot. Lex. a 1797 Th. e Sud. a 2234 A. con to; a[nw levgou‡in, kai; ajnev-
kaqen to; a[nwqen, seguito dalla citazione di attestazioni in drammi di Eupoli (fr.
57 K.-A.), Cratete (fr. 12 K.-A.) e Cratino (fr. 287 K.-A., omesso nella Suda); più
succintamente Sb a 1276 C. Questo secondo filone lessicografico è ricondotto
da Haslam (1998, p. 59) a un commentario ad Aristofane (e.g. Ve. 18): la suppo-
sizione è avallata sia dalla menzione di paralleli comici non aristofanei, sia da
Erotian. Vocum Hippocraticarum coll. a 24, p. 42, 6 N. ajnekav‡: ajnti; tou' ajnwtavtw.
‡uvgkeitai ga;r ejk tou' a[nw kai; tou' eJkav‡. wJ‡ kai; ¦Ari‡tofavnh‡ ejn Daidavlw/ fh‡ivn (se-
quitur fr. 192 Kassel-Austin); cfr. sch. (VAld) Aristoph. Ve. 18c K. eJkav‡: ajnti; tou'
a[nw kai; pavnu eJka;‡ kai; eij‡ u{yo‡. Infine, ancora Sud. a 2231 A., oltre all’accezione
temporale, contempla ajnevkaqen: kata; th;n a[nwqen ajkolouqivan, che ispira ad Ha-
slam “perhaps k˚aå˚ ta;” al r. 15.
Come lo stesso Erodoto riporta più avanti (cap. 57, 1), i Gefirei di Atene ri-
vendicavano la propria provenienza da Eretria, ma ricerche personali avevano
convinto lo storico della loro remota origine fenicia – un’opzione criticata da
Plutarco, De Herodoti malignitate 860e-f tou;‡ de; Gefuraivou‡ oujk ajp¦ Eujboiva‡ oujd¦
¦Eretriei'‡, w{‡per oi[ontaiv tine‡, ajlla; Foivnika‡ ei\naiv fh‡in, aujto;‡ ou{tw pepu‡mev-
no‡. È presumibile che il seguito perduto del commento si soffermasse sulla
questione.

FAUSTO MONTANA
8

P.Oxy. XVII 20871, col. II 27-30, 40-41 saec. IIp


[⇒ III: Lexica]

Voci di lessico (Hdt. VI 12, V 74)

27 ajlazovna‡: tou;‡ yeudom(evn)ou‡ m(etav) tino‡


tevcnh‡ k(ai;) gohteiva‡. ŞHrodovt(ou) ©ôô: “ajndri; Fw<
kaevi> ajlazovni”, Aij‡civnh‡ ej(pi;) Prodivkou:
“to;n m(e;n) g(a;r) ‡ofi‡t(h;n) k(ai;) ajlazovna hJgo(u'n)tai”.

40 ajmfivbolåoçi: ajmfotevrwqåenç ballovm(en)oi.


ŞHrovdot(o‡): “¦Aqhnai'oi d˚(e;) k˚(aiv)per ajmåfiçbolivh/ ejcovm(en)o˚i˚”.

I lemmi sono in ekthesis di una lettera circa 27 z è corretto su altra lettera dopo alazona‡
spazio bianco yeudomvou‡ m; pap. 28 kv gohtia‡ hrodot pap. 29 e v pap. 30 mv gv ‡ofi‡τ; kv,
hgoVtai pap. 40 dopo amfibolåoçi spazio bianco ballomvoi pap. 41 hrodot d˚ô
kv˚per amå˙˙çbolih ecomvo˚i˚ pap.
——
28 ŞHrodovt(ou) MH dub. : ŞHrovdot(o‡) ed. pr. (Hunt 1927)

ajlazovna‡: coloro che ingannano con una qualche arte e incantamento. Il VI


libro di Erodoto: “a un fanfarone di Focea”; Eschine in riferimento a Prodico:
“costui, infatti, viene ritenuto un sofista e un ciarlatano”.

ajmfivboloi: attaccati da entrambe le parti. Erodoto: “ma gli Ateniesi pur tro-
vandosi tra due fuochi”.

Nelle glosse in questione – seppur venga citato Erodoto – lemma e spiega-


zione non sono tratti dai passi erodotei. Per lo scioglimento del nome di Ero-
doto al r. 27 ⇒ 1.
La glossa dei rr. 27-30 chiarisce il significato del sostantivo ajlazwvn e reca
due luoghi esemplificativi, uno tratto da Erodoto (VI 12), il secondo da Eschine
socratico. Quest’ultima citazione, in realtà, appartiene all’Erissia (399c 2-3), uno
scritto che rientra nella serie dei novqoi che Trasillo registrava in appendice al
corpus delle nove tetralogie di Platone (Diog. III 62). Del resto tale testimo-

1
Per le caratteristiche del papiro ⇒ Herodotus 1.
P.Oxy. XVII 2087, col. II 27-30, 40-41 91

nianza non è isolata: nella Suda (a 346 A.), infatti, l’Erissia è ugualmente ascritto
al filosofo platonico. Si può, pertanto, ipotizzare che “nel II sec. d.C. il dialogo
circolasse con il nome del più famoso autore attico di dialoghi socratici dopo
Platone”2.
Rispetto alla tradizione manoscritta medievale la voce del papiro mostra
di accordarsi con la maggioranza dei codici nella citazione di Erodoto (nel solo
Laurenziano T tra ajndri; e Fwkaevi si legge dev, vd. Wilson 2015a, app. crit.); si
notano invece due varianti nel passo dell’Erissia (dopo to;n me;n nel papiro è ag-
giunto ga;r; la forma verbale figura al presente, in luogo di hJgou'nto dei codd.).
La voce non mostra precise coincidenze formali con altri testi scoliastici e
lessicografici. Non mancano, tuttavia, paralleli a livello contenutistico, in cui
la parola ajlazwvn risulta accostata a un vocabolo legato alla famiglia di yeuvdw3
o, meno frequentemente, a quella di ajpavth4 o ad entrambi (cfr. Ps.-Zon. Lex. p.
18 T. s.v. ajguvrta‡).
Poiché il lemma è in accusativo plurale, laddove nelle citazioni allegate il
termine compare in altri casi sintattici e al singolare, è ragionevole supporre
che il lessicografo – come per altre glosse in questo papiro ( ⇒ 1, ⇒ Aristoteles
2) – abbia decurtato una voce originariamente più ampia. Si osservi che ajla-
zovna‡ occorre in vari testi letterari greci antecedenti o coevi al papiro5. Consi-
derato che nel papiro le glosse conservate sono tratte esclusivamente da autori
dei secoli V e IV a.C., appare verosimile che il locus classicus dal quale deriva
il lemma possa individuarsi in Aristofane (Nub. 102, Av. 1016), o in Platone
(Ch. 173c, HipMi 371d), oppure in Senofonte (Cyr. II 2, 12). Non esistono ele-
menti cogenti che inducano a prediligere uno di questi autori, anche se sembra
più plausibile ipotizzare che lo scrivente, nel redigere un lessico di prosatori
quale è P.Oxy. XVII 2087, difficilmente, escerpendo la propria fonte, avrebbe
decurtato citazioni da Platone e Senofonte6, mentre più facilmente avrebbe

2
Carlini 1999, p. 486; cfr. i riferimenti bibliografici ivi citati.
3
Cfr., tra i passi più significativi, sch. vet. Aristoph. Nub. 102c H. ~ Sud. a 1057 A., sch. anon. rec.
Aristoph. Nub. 102c a K., Erot. a 45 N., Ael.D. a 72 E. = Phot. Lex. a 890 Th. ~ Sb a 832 C., Tim. a
22, a 32 V. = Sb a 833 C. = Sud. a 1058 A., Phot. Lex. a 891 Th. = Sb a 948, Phot. Lex. ‡ 44 Th. = Sud.
‡ 45 A., Hsch. r 160 H.
4
Cfr. EGen. a 391 L.-L., Et. Sym. a 460/65 L.-L. = Ps.-Zon. Lex. p. 117 T. s.v. ~ EGud. a 78, 11-13 S.,
EM. p. 55, 42-47 G., nonché Phot. Lex. a 889 Th., Ael.D. a 30 E., Et. Sym. a 107/11 L.-L.
5
Aesop. 107, 1, 17, Aristoph. Nub. 102, Av. 1016, Plat. Ch. 173c, HipMi 371d, Xen. Cyr. II 2, 12, Ari-
stox. fr. 31, 15 W., Callicr. p. 105, 1 Th., Antioch. Astr. VII 113, 2, Strab. XV 1,70, Phil. Leg. IV 88,
Ios. BI VI 395, 4, NT Rom. 1, 30, 2, Plut. 81b 7, 588c 6, 1117d 5, Dio Chrys. 70, 8, Ach. V 12, 1, Artem.
IV 56, 16, Luc. Rev. sive pisc. 29, 9 e 37, 9, Fug. 22, 7, Dial.mort. 1, 2, 6.
6
In realtà nella voce dei rr. 40-41 (vd. infra) è stato omesso anche il nome di Tucidide, ma in quel
caso è possibile che ciò sia dovuto a trascuratezza (e comunque non si pone il problema di loci in
competizione fra loro come sorgenti della glossa).
92 Herodotus 8

escluso Aristofane. In definitiva propenderei per identificare la fonte della


glossa in ajlazovna‡ di Aristoph. Nub. 102, dove il termine è riferito a Socrate,
Cherefonte e in generale ai sofisti, maestri nell’incantare e nel persuadere con
le parole7. È opportuno sottolineare, altresì, che anche il lemma ajnarrica'‡qai
di col. II 42-44 traeva origine, con ogni probabilità, da un passo aristofaneo (⇒
Aristoteles 2) il quale, non interessando all’interno della compilazione di
P.Oxy., era stato evidentemente eliminato.
Il locus classicus da cui è tratta la glossa dei rr. 40-41 deve essere Thuc. IV
32, 3 ajll¦ ajmfivboloi givgnwntai tw'/ plhvqei, eij me;n toi'‡ prov‡qen ejpivoien, uJpo; tw'n
katovpin ballovmenoi, eij de; toi'‡ plagivoi‡, uJpo; tw'n eJkatevrwqen paratetagmevnwn,
passo in cui lo storico sta narrando la strategia bellica degli Ateniesi a Sfacteria,
che prevede di accerchiare i nemici, per non lasciare loro via di scampo. Cfr.
sch. ABFM2 Thuc. IV 32 ajmfivboloi: eJkatevrwqen ballovmenoi ~ Hsch. a 3963 L.-C.
ejkatevrwqen periballovmenoi wJ‡ Qoukudivdh‡. Cfr. pure sch. Patm. Thuc. IV 36
ou|toiv te, ajmfivboloi h[dh o[nte‡: ajmfivbolon, to; ajmfotevrwqen bavlle‡qai.
Il redattore di P.Oxy., però, ha omesso l’indicazione della fonte e ha segna-
lato un’ulteriore attestazione in cui non compare propriamente il termine ajm-
fivboloi, bensì una locuzione desunta da Erodoto, dal significato equivalente
e costituita dal verbo e[cw, al passivo, con il vocabolo ajmfibolivh (lo storico sta
descrivendo la spedizione di Cleomene contro gli Ateniesi e in particolare la
situazione di questi ultimi, che si trovarono a dover fronteggiare Beoti e Cal-
cidesi).
La glossa si inserisce nella seguente costellazione lessicografica: Ael.D. a
104 E. ajmfivboloi: pantacovqen ballovmenoi åh] ajporouvmenoi, diafovroi‡ ‡unecovmenoi
logi‡moi'‡ ajgnoiva/ tou' aiJretou' kai; ei[te tou'to ei[te ejkei'no poihv‡ou‡inç, S a 419 C. =
Sb a 1080 C. ~ Phot. Lex. a 1309 Th. ~ Sud. a 1707 A. ~ Ps.-Zon. Lex. p. 144 T.
s.v. ajmfivboloi, EM. p. 87, 46 G., Eustath. ad Od. II 290, p. 1445, 52.

ELENA ESPOSITO

7
Cfr. il peculiare uso di gohteiva ad es. nell’Elena di Gorgia (fr. 11, 61-64 D.-K.).
HESIODUS*

Hesiod goes hand in hand with Homer, Homer generally taking the lead,
big brother and little brother, “Homer and Hesiod.” Xenophanes attacked the
two conjointly,1 rhapsodes discoursed on them both,2 a singing contest between
them was invented (won by Hesiod!),3 Aristotle wrote Aporemata of each of
them (Hesiod in one book, Homer in six),4 Chamaeleon, Heraclides of Pontus,
Hecataeus of Abdera, and Antidorus of Cyme all wrote treatises on the two
poets as a pair,5 cosmological allegory was discovered in both alike.6 And
Alexandrian criticism on the Hesiodic poems was conducted on exactly the
same lines as on the Homeric, as evidently was Pergamene too. But very little
of the Hesiodic side of this work survives. Ancient scholarship on Hesiod has
fared far worse than that on Homer.
For Alexandrian scholarly activity on the Hesiodic poems, the scholia on
Theogony, Erga and Aspis are informative, as are the scholia on Iliad and

* In this section Erga, Op(era), and Works and Days refer to one and the same work; likewise Aspis,
Scut(um), and Shield. Theog. is the Theogony.
1
21 B11 D.-K. Cf. Heraclitus 22 B40, B57 D.-K. (Hesiod without Homer). Hdt. 2.53 “Hesiod and
Homer” hoc ordine, but he will have had Theog. principally in mind. (Cf. Koning 2010, 52-53.)
2
Pl. Ion 531a, Isoc. Panath. 18; West 1978, 63.
3
The contest is self-evidently based on the competition of Op. 654-657—and Hesiod’s victory pre-
determined by it. 657 was doctored to identify Hesiod’s opponent as Homer—the biographical
impulse at work. (Nagy 2009, 304, does not recognize this, nor the primacy of the transmitted
657.) Bibliography and discussion in Koning 2010, 239-268. In the opposite direction, the Hesiodic
lines were athetized, perhaps by Aristarchus; knowledge of the athetesis is owed to one 15th-cen-
tury manuscript. (The athetesis is said to be of ten lines, presumably 651-660; Plutarch held that
the whole episode was interpolated, down to 662; the atheteses could be identical if devka should
be fidwvÝdeka.) — In verses quoted apparently by Philochorus (sch. Pind. Nem. 2.1, Hes. fr. 357 M.-
W.), Hesiod also sang of himself and Homer (ejgw; kai; õOmhro‡) singing hymns on Delos.
4
Düring 1957, 86-87, items 106 and 143.
5
Cham. ta; peri; ŞH‡iovdou kai; ŞOmhvrou (DL 5.92; perhaps implying Hesiod’s chronological priority,
but not certainly a single work); Her.Pont. peri; th'‡ ŞOmhvrou kai; ŞH‡iovdou hJlikiva‡ in two books, al-
legedly plagiarizing Cham. (DL 5.87, 92); Hecat. peri; th'‡ poihv‡ew‡ ŞOmhvrou kai; ŞH‡iovdou (Suda);
Antid. peri; ŞOmhvrou kai; ŞH‡iovdou (sch. Dion.Thr. p. 448.6 Hilgard). With the exception of Cha-
maeleon, which may not be an actual title, Homer is named first.
6
E.g. by Crates, and by Stoics, who found their own doctrines anticipated in the poets. Ramelli
2004, 79-203. Zeno is mentioned a number of times in the Hesiodic scholia (Theog. and Erga both),
not at all in the Homeric; Chrysippus in both Hesiodic (Theog., twice) and Homeric (Il. 21.484,
23.66, otherwise for textual points). For Homer, cf. Heraclitus Hom. Qu., ps-Plut. de Hom., and Por-
phyry Hom. Qu.
94 Hesiodus

Odyssey, but the Hesiod scholia are less easily sorted out than the Homeric
(Hesiod has no Venetus A) as well as much less rich in content. As with Homer,
we know of critical and/or editorial work by Zenodotus of Ephesus, Apollo-
nius of Rhodes, Aristophanes of Byzantium, and Aristarchus, continued by
Aristonicus and Didymus and Seleucus. But the poverty of evidence, as com-
pared with what is available for Homer, is stark and startling. There are only
a handful of notices for the big third-century names (they mostly concern ques-
tions of authenticity), which have to be milked for all they are worth.7
It is on the basis of a single scholium that an edition of Theogony by Zeno-
dotus is inferred.8 Likewise with Aristophanes.9 The threads could not be more
slender. Did they tackle Erga too? We can only guess. Only from a
hypothesis to the Aspis do we learn that Apollonius wrote a work in at least
three books,10 only from their respective Suda entries do we learn that
Demetrius Ixion and Zenodotus of Alexandria, both scholars best known as
Homerists, both wrote exegetical works on Hesiod.11 Aristarchus is mentioned
by fewer than ten Hesiodic scholia, mostly reporting atheteses; both an edition
of Theog. and Erga and a commentary have been inferred, the latter less securely
than the former.12 Aristarchus gave Homer chronological priority over Hesiod,
but the notion that he wrote a treatise “On the date of Hesiod” is ill-founded.13

7
As was effectually done by Jacoby 1930, 44-48, cf. also Pfeiffer 1968, West 1978, 64-65, Schroeder
2006, Montanari 2009.
8
Sch. Th. 5, carried by a single 14th-cent. manuscript, attesting Termh‡(‡)oi'o not Permh‡‡oi'o ejn toi'‡
Zhnodotivoi‡ (sc. ajntigravfoi‡; Di Gregorio 1975 without good reason accepts tai'‡ for the transmit-
ted toi'‡, as—perhaps unwittingly—did Pfeiffer 1968, 117 n.5 and Nickau 1972, 5-6 n.16). In con-
trast with the hundreds of citations of Zenodotus in the Homeric scholia, the number of citations
in the Hesiodic scholia is precisely two—and the other is in all likelihood a different Zenodotus
(Nickau 1972, 20-23, Schroeder 2006, 25-26, Montanari 2009, 334; the scholium is on Th. 116, this
too carried by a single 14th-century manuscript). Just as with Homer, when it is said (as it often is)
that Zenodotus “produced an edition” or the like, that may mean no more than that he marked
up a text with obeloi, perhaps a wayward Ionian one (cf. West 2001, 40-44, on Iliad), subsequently
used directly or indirectly by his successors at the Museum, who noted its textual peculiarities.
9
Sch. Th. 68, referring apparently and vaguely to an unspecified critical sign (ejpe‡hmhvnato tau'ta);
Ar.Byz. fr. 405 Slater.
10
Title unknown. Both a commentary and an edition have been posited for him, implausibly.
11
Zenodotus’ was on Theog.
12
West 1978, 65, contests the notion that Aristarchus left his own commentary on the grounds
that if he had, there would have been no need for Aristonicus’, an argument which if valid will
apply equally to Homer.
13
A Homeric scholium (sch.A/Arn. Il. 10.431; Hes. fr. 334 M.-W.) ends with the note pro;‡ ta; peri;
hJlikiva‡ ŞH‡iovdou, which led Schroeder 2006, 41-52, id. 2007, 138-141, to infer a monograph Περὶ
hJlikiva‡ ŞH‡iovdou by Aristarchus. This has been accepted by several scholars, but pro;‡ ta; peri; is a
conventional way of referring to a much debated topic, a zetema; we may understand zhtouvmena
(as explicitly at sch.A/Arn. Il. 23.638-42), and the meaning is “with reference to the question of
Hesiod’s date.” Cf. Nünlist 2012, 123-124. For the Peripatetics’ interest in the question, see n.5.
An independent treatise by Aristarchus is not impossible, but improbable.
Hesiodus 95

Meanwhile at Pergamum, or at Rome, Crates concerned himself with Hesiod


as with Homer; but again, the traces are slight.14
This sketch perhaps downplays the fact that the trajectories of the two
poets’ works were far from identical, but Hesiod was almost invariably viewed
in relation to Homer, implicitly where not explicitly, and one of the two most
notable phenomena is the consistency of critical treatment which was evidently
accorded them both. The other is how little is left of the work on Hesiod.
In the Roman period, which is when most of our papyrus evidence begins
to come into play, Aristonicus wrote explaining the rationale for the presump-
tively Aristarchan critical signs in Theogony (and Erga and Catalogue too, one
would like to think),15 just as he did with the Homeric poems, and the me-
dievally transmitted Hesiodic scholia show many traces of what is taken to be
this work;16 far fewer that can be confidently assigned to Didymus. Nicanor
and Herodian, the other two authors of the four treatises that constitute the
Homeric Viermännerkommentar (VMK) represented in Venetus A, have no
clear presence;17 it seems to be from works compiled in the first century that
the main body of the Hesiod scholia derives. Seleucus “Homericus,” cited for
a number of conjectures and atheteses in all three of Theog. Erga Aspis, was
evidently an important way-stage.18 For the Aspis, about whose authenticity
the third-century Alexandrians had disagreed, another way-stage seems to
have been a commentary on that poem by Epaphroditus (who likewise wrote
commentaries on Il. and Od.), twice cited in the Etymologicum Gudianum;19
this underlies at least some of the older scholia.20 In the first century CE, then,
despite continued querying of its authenticity, the Aspis was established in the

14
A total of three scholia, counting è¦I‡oäkravth‡ at Op. 530, discounting fiNikoÝkravth‡ at Th. 5; two
textual, one cosmological (F 79-81 Broggiato, cf. F 78). Broggiato 2001, xxiii, entertains the possi-
bility of commentaries, as do Montanari 2009, 340, and others, but Diorthotika and/or Hesiodic
Questions would be more consistent with what is known of his work on Homer.
15
Suda, with no mention of Erga.
16
Scholia introduced by to; ‡hmei'on o{ti and suchlike. Flach 1876, 1877. The inference is slightly
precarious.
17
A marginal reference to Nicanor is doubtfully recognized in ⇒ 6, however.
18
West 1978, 66-67. Six conjectures (for that is what they obviously are) are mentioned, at Th. 160,
270 (perhaps only endorsing, not originating), Erga 96, 151, 549, Aspis 415 (approved by modern
edd.); and atheteses of Th. 114f. (115 already ath. Aristarchus) and 573-584 (to partial approval by
modern edd.: 574-584 damn. Jacoby, 576-577 West, 578-584 Solmsen); all accompanied by Alexan-
drian-style rationale. Seleucus is the only scholar named in the Shield scholia in the manuscripts,
but cf. Epaphroditus, next n.
19
EGud. 91.17 and 177.21 De Stefani (Epaphrod. frr. 54-55 Braswell-Billerbeck). The former cites
the authority of Hieronymus of Rhodes (kaqav fh‡in ŞIerwvnumo‡ kai; ¦Epafrovdito‡ ejn uJpomnhv(mati)
¦A‡pivdo‡ ŞH‡iovdou, i.e. Hieron. ap. Epaphrod.’s commentary). Martano 2004b associates Hierony-
mus with the main Aspis hypothesis.
20
Martano 2005, 489, countering Luenzner 1866.
96 Hesiodus

corpus and received the same kind of critical attention accorded the more au-
thentic works.21 Perhaps the fact that a roll could conveniently accommodate
Aspis appended to Erga (cf. n.26 below) was instrumental in gaining it a secure
transmissional place in the Hesiodic corpus even while its authenticity re-
mained under a cloud. I find no evidence of earlier commentaries, which is
not to say there were none.
Plutarch wrote an apparently four-book commentary on the Erga, in which
he characteristically condemned certain verses on moral or educational
grounds.22 His commentary is partially recoverable through Proclus’ Neopla-
tonic one, which itself is largely preserved in the Hesiod scholia.23 Just one
other Hesiod commentary is attested, one “on Hesiod” listed in the Suda
among the works of a Corinthian epic poet Dionysius.24
Papyri have the potential to improve the picture significantly, as they have
with Homer; but to date cannot be said to have done so. No commentaries, no
treatises have yet emerged (unless to be recognized among the Schede, pp.
139-143 below), not even any significant scholia, with the possible exception
of ⇒ 6. Papyrus commentaries on various books of Homer, by contrast, now
number more than twenty. The Homeric works are longer in sum than the Hes-
iodic (Catalogue included), but the disproportion is striking nonetheless, and
should not be put down to chance alone. That Hesiod received less attention
overall is reflected in the less important place he occupied in the educational
system and in the culture at large,25 and in the sheer number of ancient man-
uscript survivals of each author (more than two thousand Homeric, well under

21
Ps.-Longinus expresses doubt (de subl. 9.5), and for sch.Dion.Thr. p. 124.4 Hilgard the poem is
pseudepigraphic, passed off under Hesiod’s name so as to fool people into thinking it was worth
reading. Russo 1965, 36-37.
22
Aul.Gell. 20.8.7 “in quarto in Hesiodum commentario,” fr. 102 Sandbach. Should commentario
perhaps be genitive, or might the phrase mean “in chapter 4” rather than implying a commentary
in four (or more) books as it is normally taken? (For Gellius’ usage of commentarius meaning
“chapter” see Holford-Strevens-Vardi 2004, 162-163.) Since the citation evidently refers to a com-
ment on Erga 765-768 (Schultz 1910, 68), the fourth was presumably the last. — Plutarch’s appro-
ach to poetry is best exemplified by his treatise de audiendis poetis; Hunter 2011, 2-17. In the Hesiod
commentary he “expels” (ejkbavllei) or “strikes out” (diagravfei) or “scratches” (caravttei) verses
that he deems morally unworthy of his author (frr. 38, 51; 77v.l., 98 [diagravfei wJ‡ eujtelh' kai; ajnavxia
paideutikh'‡ mouv‡h‡]; 56; cf. fr. 84); all these terms will be effectively synonymous, I take it, and
will represent merely his expression of their inappropriateness, without implying an actual edi-
tion. — Both Plutarch and Epaphroditus, his slightly older contemporary, were natives of Chae-
ronea. Did this give them a special interest in their fellow-Boeotian?
23
West 1978, 67-68; Faraggiana di Sarzana 1978. Remains of Plutarch’s comm.: Sandbach 1967 and
1969 frr. 25-112. Proclus’ comm.: Marzillo 2010.
24
Sud. d 1177. Pre-Plutarchan, if to be identified with the Dionysius quoted in Plut. Amat. 17
(761ab). Cf. ⇒ Alcman 4 = P.Oxy. 2392.
25
On Hesiod’s presence in school contexts see Cribiore 2001, 197-198.
Hesiodus 97

two hundred Hesiodic). All we have by way of Hesiodic exegesis in papyri is


what is presented here—by no means negligible, but not what it might have
been. What survives for the most part are specimens of relatively low-level ex-
egetical activity: Hesiod manuscripts to which glosses or brief notes were
added, and one actual glossary.
The glossary (⇒ 4), of which only a small piece remains, is to the Aspis, a
fifth-century parchment codex written in narrow columns, a professional piece
of work, evidently a copy of an already existent glossary. It looks very different
from the multitudes of Homeric glossaries churned out in schools in earlier cen-
turies. By this date the Aspis had long enjoyed a transmissional status on a par
with Theog. and Erga, while the Catalogue itself was now left behind. The single
sheet represented may have been the codex’s end-sheet, and it could well be
that the glossary covered Theog. and Erga as well as Aspis, just as some Hesiod
manuscripts themselves carried all three poems; it is possible that this codex
carried the poems themselves as well.26 In one place (v. 245, vexed in antiquity),
the lemma is interestingly corrupt and the entry as a whole seriously incoherent.
I find little discernible correspondence with the glosses transmitted in the me-
dieval manuscripts, but one or two significant points of contact are to be found.
Two Theogony codices of relatively late date appear to have been systemat-
ically glossed. Each exemplifies a different method of textual glossing. One (⇒
1, papyrus) squeezes in the glosses above the words they gloss, while the other
(⇒ 2, parchment), keys the Hesiodic words to their glosses by means of small
notational marks placed above the words in the text, with the gloss itself put
in the margin (or so it may be presumed: the margins are in fact lost). The first,
interlinear method requires no keying but can awkwardly clutter the primary
text, the second puts the margins to use. Several of the medieval manuscripts
have glosses above the line and scholia in the margin, with a clear distinction
between the two classes of annotation. In the first of these two ancient codices
the glosses were not a component of the original manuscript but were added
subsequently, by a teacher perhaps, drawing on existing glossaries or lexica.
In the second it may be the copyist himself who entered the notations.
And then there are a couple of 2nd-century Catalogue manuscripts which
also received subsequent annotation. One (⇒ 5), an informally written manu-
script furnished generously with accents, has a note several lines in length in

26
West 1966, 51-52, West 1978, 77-78. It was probably only in codices that the three poems became
a set (Theog.-Erga-Aspis). P.Oxy. XLV 3220, early 2nd cent., has fragments of Erga and Aspis, quite
possibly, though far from certainly, from a single roll. These two poems together amount to about
1300 lines, a good length for a papyrus roll. A roll is unlikely to have carried Theog. too, another
thousand. Cf. p. 94 above. Cingano 2009, 108-109, sees the size of the Aspis as being “a better
match” than the Catalogue for the Theog. and Erga.
98 Hesiodus

the upper margin; the side margins are lost, and it is impossible to say whether
this was an isolated note or just one of many. The other (⇒ 6), a highly calli-
graphic text with only a few diacritics, seems to have received a good number
of notes, which may have exhibited learning. (I hesitantly recognize a reference
to Nicanor.) But disappointingly little of them survives.
That is all we have in the way of the more conventional forms of textual
exegesis. But also included here is a curious text on poets’ knowledge of the
constellations, with references to particular passages in Erga (⇒ 3). Besides
very interesting statements on the cosmological and compositional significance
of cross-referenced Homeric verses, it illustrates how the poets were used as
authorities on practical knowledge, specifically, in this case, on the use of star
signs. When he turns to Hesiod, the author fastens on the poet’s giving instruc-
tions on the proper time of year for the various agricultural tasks by reference
to the constellations (harvesting when the Pleiades rise, etc.). If my understand-
ing of the text is on the right lines, Hesiod (not Homer, as ed. pr.) is given the
poetic and stylistically significant epithet hJduephv‡, aligning him simultaneously
with his own Muses (hJduevpeiai Cat. 1.1 = Th. 1021, Th. 965) and with Homer’s
Nestor (Il. 1.247-249); ἡδυεπὴς Nestor, whose voice flowed sweeter than honey,
was the archetype of the “middle” style of which Hesiod was the prime poetic
exemplar. Additionally, Hesiod is said to have been Aratus’ model for the
Phaenomena, and Callimachus’ epigram on Aratus (27 Pf.) is quoted in support
of the dogma. There are affinities here with a number of different texts which
were later brought into service as introductory material in a few manuscripts
of Aratus’ poem, but the papyrus is alone in saying something about Hesiod.
The “Schede” briefly discuss items whose claim to be considered fragments
of Hesiodic commentaries or exegesis is either untenable or not at all strong.
Of the six, five contain certain or possible Hesiodic quotations. While they are
mostly too fragmentary to allow firm conclusions as to their nature, in no case
does there seem to me sufficient reason to think that their primary concern
was Hesiod. The sixth is a Hesiod manuscript with remains of a marginal ad-
dition which most probably was not an annotation but verses omitted by the
copyist of the Hesiod text.
The pieces presented here, from various cities in Egypt (Oxyrhynchus, An-
tinoopolis, perhaps Arsinoe), all illustrate continuing engagement, in one way
or another, with the Hesiodic poems. But in the absence of commentaries, the
most salient evidence of Alexandrian (and Roman) text-critical activity is pro-
vided by poem manuscripts carrying critical signs prefixed to individual
verses. Such manuscripts ought in principle imply an accompanying but
bibliographically independent commentary that explained the rationale for
the siglum in each instance. The Homeric A-scholia preserve Aristonicus’ run-
ning explications of the Aristarchan sigla in the text of Homer (the sigla them-
Hesiodus 99

selves are transmitted in the same manuscript), and there is good evidence
that he did the same with Hesiod. It is possible however that the sigla became
part of the manuscript paradosis, copied along with the text regardless of the
availability of a commentary explicating them. Since these manuscripts contain
no actual exegesis, they are not given their own entries in the Corpus. But the
following are noteworthy and revealing.
(1) P.Oxy. XLV 3224, two fragments of papyrus roll written in a distinctive
informal hand assigned by E.G. Turner to the later 2nd century, displays an ex-
traordinary plethora of sigla alongside Erga 181-186, the only verses whose line-
beginnings are preserved. 181 is obelized (if there was another siglum in front
of the obelos, as at 185, it will be lost), 182 and 184 have an asteriskos, plus a diple
in front of that, 185 has obelos with apparently an asteriskos in front of it, 186 has
what may be a diple periestigmene (ed. pr. takes it as a chi siglum, or possibly a
diple or an asteriskos). 183 is the only verse of the six to be spared a siglum of
any kind. These sigla, Alexandrian in origin, are presumably used with the
same signification as in Homeric manuscripts: diple (182, 184) to mark some-
thing noteworthy, simple obelos (?181) to signal athetesis, obelized asteriskos (185)
to mark authentic verses recurring elsewhere and judged out of place here, com-
plementary to the simple asteriskos (182, 184), used to mark verses recurring
elsewhere but appropriate here. The conjunction of diple with asteriskos (182,
184) is unparalleled but intelligible if the sigla are to be understood separately.
Obelization of 181 is perhaps unsurprising. But none of the verses 182, 184, and
185 is found elsewhere; it is not impossible that they occurred in e.g. the Cata-
logue, but doubt must attach to the meaning of the sigla here. No sigla on 181-
186 are carried by any of the medieval manuscripts, and the scholia have
nothing reflecting their presence. The papyrus thus shows up the defectiveness
of the scholia in this regard, and is a significant augmentation of our knowledge
of critical activity (possibly but not certifiably Aristarchan) on the Erga.
(2) P.Oxy. XVII 2075, another late 2nd century papyrus roll but this one a de
luxe product carrying bk.1 of the Catalogue (fr. 25 M.-W.), has obeloi marking a
series of eight verses. The verses in question (26-33) describe Heracles’ posthu-
mous status as a god, and they recur, with some textual variation in the first
three (especially in the first two), in different context in P.Oxy. XXVIII 2493 (fr.
229 M.-W.; vv. 6-13). It may be suspected that the latter block of verses was
athetized too (the papyrus is missing the verse-beginnings and any attendant
sigla), consistently with the athetesis of the verses referring to Heracles’ apo-
theosis both in Theogony (947-955) and in Homer (Od. 11.602-604).
(3) P.Oxy. XXVIII 2487, another professionally written Catalogue manuscript
of slightly later date (fr. 129 M.-W.), contains another succession of obeloi (four,
possibly more), but in context too badly damaged to be recovered. The Cata-
logue seems to have dropped out of circulation in the course of the fourth cen-
100 Hesiodus

tury, together with any commentaries that may have existed along with it. Its
authenticity was not in question (except at Helicon!),27 and its disappearance
is unexplained (as is the detachment from it, many centuries earlier, of the eoie
that opens the Aspis). I would guess that such works as ps.-Apollodorus’ Bib-
liotheca played a significant role in driving it out of circulation.28 But these man-
uscripts with critical signs indicate that it had been accorded just the same sort
of critical attention as the works which continued to be copied and studied.
(4) P.Berol. inv. 9774 (LDAB 1276, Homer P51), a professionally written ear-
lier 1st-cent. BCE papyrus of Iliad 18 with critical signs.29 The reason for men-
tioning it here is that after v. 608, the end of the description of the shield of
Achilles, it incorporates a block of verses which closely approximate some
verses in the Hesiodic description of the shield of Heracles (Aspis 207-213, or
presumably 207-215 before loss), and these verses all have diplai prefixed to
them (plus an apparent obelos placed beneath the first—meant to apply to the
following verses too?). This manuscript is the sole attestation of the verses’ pres-
ence in the Homeric text; in transmissional terms it is a freak, uniquely expand-
ing the Homeric shield description by adding this extra scene of the sea harbour
we find depicted on the Hesiodic shield. The diplai (if they are correctly so iden-
tified: they take the form of an obelos with a diagonal hanging from it) pertain
to the verses as they stand in the Homer manuscript (603-604 are given diplai
too, a plus-verse 606a is obelized, and 607 is dotted), and there is no knowing
whether sigla were ever attached to the corresponding verses where they oc-
curred in the Shield. If the verses had been present in the Homeric text known
to Alexandrian scholars, the replication would certainly have been signalled in
both poems (and perhaps deemed out of place in Il. 18), cf. on (1) above; but
evidently they were not. — A comparable recurrence is Aspis 156-159 = Il.
18.535-538 (with one small textual variation), this time universally transmitted
in both poems (though editors expel them from both!). Again, there are as yet
no Shield papyri in evidence for this passage, and whether the verses were
marked, and if so how, is unknown. It would be surprising if they were not,
but it is remarkable that the textual replication is not registered in the Iliad scho-
lia; one might have expected condemnation of the verses in the Iliad as being

27
Paus. 9.31.4-5: Hesiod wrote nothing other than the Erga—minus the proem.
28
Cf. the epigram prefixed to the Bibliotheca (quoted by Photius 142b), inviting the reader to find
all “the ancient myths” here rather than resorting to the poetic texts themselves. In the case of the
Hesiodic Catalogue the invitation must have been especially hard to resist, given that the Bibliotheca
closely follows the poem’s mythological and genealogical content and organization; in fact it may
seem rather surprising that the Catalogue (and/or the Great Eoiai) lasted as long as it did. Cingano
2009 suggests rather that it was displaced by the Aspis.
29
West 1967, 123-126, with plate 4 (a better plate in Cavallo-Maehler 2008, no.73); a digital image
(high resolution) is available at: http://ww2.smb.museum/berlpap/.
Hesiodus 101

interpolated from the Shield. Did they perhaps not get into the Homeric text
until later?30 This case would be parallel with the one evidenced by the Berlin
papyrus, except for their differing success in permeating the tradition.
Hesiod is quite frequently cited in papyrus commentaries or marginal an-
notations on other authors,31 though nothing like as frequently as Homer.
These citations add substantially to those found in medievally transmitted
scholia and exemplify the use to which the Hesiodic texts were put in such
works; the points at issue are often grammatical, sometimes mythological or
factual or moralistic. They too are excluded here. So also are a dictionary of
mythological metamorphoses in which three of the four surviving subscrip-
tions name Hesiod as the source;32 a hexametric ethopoeia in which in 24 verses
acrostically spelling out to;n d¦ ajpameibovmeno‡ pro‡evfh Hesiod badmouths his
rustic life and hails his exalted Muse-bestowed future as poet of gods and
giant-wars, heroes and women (Theogony-Catalogue);33 and various other texts
that constitute commentary on Hesiod’s poetry in a form too broad to qualify
for consideration here. Also excluded are Hesiod papyri with variant readings
entered, providing evidence of textual collation and transmissional dynamics,
and papyri with omitted or added verses vis-à-vis the medievally transmitted
text, still further illustration of the transmissional process in action.

MICHAEL W. HASLAM

30
There are two Didyman A-scholia within the passage, but neither one necessarily indicates
acquaintance with the verses on the part of Aristarchus. One on 537 registers Aristarchus’
teqnhw'ta for teqneiw'ta, a stock notation wherever the participle occurs. The other, more intere-
stingly, records a variant in 538 in one of the city-texts, the Massaliotic. West 2001, 46-85, has argued
that such notices derive not from Aristarchus but from Didymus himself, a view that has engen-
dered fierce debate. If that is correct, the city-text notice cannot be adduced as evidence for the
presence of these verses in the Homeric text known to the Alexandrians. Solmsen 1965, cogently
argued for the primacy of the verses in the Shield. (He supposed, less cogently in my view, that the
verses were a mid-sixth-century rhapsodic interpolation first in the Shield, then in the Iliad.)
31
On Homer (P.Oxy. VIII 1087 [Pap.VI Erbse] ii 52-54, 55-56; P.Oxy. II 221 [Pap. XII Erbse] iii 3?),
on Alcman (P.Louvre E. 3320 ⇒ Alcman 5, [fr. 1 PMGF] ad i 14), on Stesichorus (P.Oxy. XXIX 2506
fr. 26 i 6 and ii 5), on Anacreon (P.Oxy. LIV 3722 ⇒ Anacreon 3, fr. 17 i 14-19), on Antimachus
(P.Mil.Vogl. I 17 ii 11 and 32), on Theocritus (P.Oxy. L 3548 ad 3.40), on Callimachus (P.Oxy. XX
2258 ad fr. 110.52 and 67 Pf.), on Cercidas (P.Oxy. VIII 1082 fr. 1 iii 20), on Nicander (P.Oxy. XIX
2221 i 18-20).
32
P.Mich. inv. 1447 verso (LDAB 1219). Actaeon, Arethusa, Halcyon, frr. 10(d), 188A, 217A M.-W;
the arrangement is alphabetical to the first letter.
33
P.Oxy. L 3537 recto (3rd or early 4th cent.). The acrostic, like Aratus’ lepthv and Nicander’s signa-
ture, long went unspotted. It enhances the technopaegnium that the Homeric tag has 24 letters
(and hence the poem 24 lines), the same number of letters as the alphabet, that is to say, as the
number of books of each of the Homeric poems (On the α-ω partitioning of each epic see Haslam
1997, 58.). For discussion of the piece see G.W. Most in Bastianini-Casanova 2008, 64-70, Koning
2010, 282-283; but it should not be forgotten that this is an ethopoeia, taking its cue from Theog.
22-33 and its contents conditioned by that passage.
1

P.Ant. III 178 saec. V/VIp

Interlinear glosses on Theogony

Prov.: Antinoopolis.
Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: BARNS 1967, 117-119.
Tabb.: www.papyrology.ox.ac.uk.
Comm.: MP3 496.3; LDAB 1268 MCNAMEE 2007, 259; AUSTIN 2008, 72.

Scanty remnants of two leaves of a codex of poor-quality papyrus, ill-written


in an ungainly and irregular bookhand which tends to ligatures and uses occa-
sional documentary letter-forms. The hand was assigned by ed. pr. to the 4th or
5th century, but Marco Stroppa (per litt.) proposes 5th/6th cent. on the basis of
Cavallo-Maehler 1987, tab. 16 (P.Oxy. XI 1371 [⇒ Aristophanes 13 CLGP] and
the “Cairo Menander”) and tab. 19b (P.Laur. IV 141) and c (PSI inv. 535), less
formal scripts assigned to the second half of the 5th century, and the “h”-like
form of eta.
One small fragment, fr. (a), has ends of vv. 367-371 and beginnings of 394-
402, no more than a few letters of each line; no annotation to be seen. I cannot
be sure that this fragment is in fact from the same codex as the others. The
other leaf is represented by two small scraps, frr. (b) and (c). The larger of these,
fr. (c), has ends of 503-506 and beginnings of 532-536, with column foot.1 The
smaller, fr. (b), unproblematically has parts of 531-533 on the (codicological)
verso, fixing its position in relation to fr. (c), but on the recto, 503 is anom-
alously preceded by what appears to be 511 (poikivloçn aijolovmå˚ htin). This gives
a nonsensical sequence of verses and must be due to some mistake, but cannot
be a simple case of an originally omitted verse added in the upper margin of

1
506, the last of the column, looks as if it is by a different hand, though when there is so little text
remaining it is hard to be sure. Had the copyist inadvertently passed over it when shifting from
one column to the next? The homoioteleuton (505 -qeiû, 506 -‡eiû) could have facilitated the slip.
Alternatively 506 was absent from the copyist’s exemplar; it is a syntactically dispensable verse.
In either case the column will have originally ended with 505.
2
Perhaps it is such a case, only at a remove. We may posit a manuscript in which 511 had been
skipped by homoeoteleuton (510 -mhqevaû, 511 -mhqevaû) and the omission repaired by adding the
verse in the upper margin, as was normal practice. When that manuscript was copied in turn, the
P.Ant. III 178 103

the page, since column foot comes only a few lines later.2 So far as can be seen
this was a plain text with few diacritics. Theogony would have taken up prob-
ably eight sheets. Whether the codex carried Works and Days and Shield along
with the Theogony (the standard order was Theog. Op. Scut., see intro.) there is
nothing to show.
Over these small patches of surviving text four supralinear glosses are in
evidence, translating the antique epic lexeis into their quotidian (or perhaps
by now more their traditional) equivalents. It looks as if the manuscript was
extensively glossed. They may be by another hand, though it is difficult to be
certain; they are written smaller (necessarily, since the space is very tight) and
more cursive, evidently executed at some speed. Except for one more clearly
and less cursively written gloss on a word at the end of the verse, with the
margin in convenient reach, they are uncomfortably squeezed in above the
line—the manuscript was not written with a view to receiving them; but some-
one not fully at home in the epic vocabulary wanted to make the text intelligi-
ble. A teacher, perhaps, importing the glosses from a glossary or dictionary for
use in class? Or a student equipped with his own book, scribbling in the
meanings he was given?
I report scholia from Di Gregorio 1975, manuscript glosses more precari-
ously from Flach 1876.

(1) v. 503 ajpemçnhv‡an˚åto ajçpem˚n˚h˚˙˙˙å

The gloss is written above the lexis, çpe above çn ç˙eo˚ ˙˙˙˙å ed. pr. m˚n˚η≥ uncertainly read ˙˙˙å
hard to decipher, compatible with m˚o˚n˚å
——
ajçpem˚n˚h˚ov˚n˚åeu‡an exspectasses, haud scio an scriptum sit

(2) v. 505 keçkeuvqei e[krupteå

The gloss is written in the margin to the right of the line-final lexis, at supralinear level
——
e[krupte vel <eån

verse was mistaken for the first verse of the column. This accounts for what is otherwise an in-
comprehensible displacement. (This new error could have been corrected in turn, by putting dele-
tion brackets around the verse, but it is odd that it should be glossed.) The textual questions
pertaining to 511-514 and other verses in the vicinity will not be relevant. — There are apparent
letter-foot traces of the line preceding 511, which if this hypothesis is right will have been 502.
These are perhaps compatible with Oujranivda‡, oçu˚]‡˚ d˚åh'‡e (502), but this is most uncertain. There
are also traces of the line following 503, compatible with 504.
104 Hesiodus 1

(3) v. 511 aijolovm˚åhtin poåikilo<

The gloss is written above, commencing above m˚ Not transcribed in ed. pr.
——
poåikilovboulon?

(4) v. 532 ajridçe˚ivketon a[˚g˚an eujdåokim<

The gloss is written above, commencing above e˚ (eiv with accent) ç˙‡˚uneu˚d˚å ed. pr.
——
eujdåovkimon vel eujdåokimou'nta

(1) The expected gloss is ajpemnhmovneu‡an (“they remembered”): so BMV


(M2 has the simple ejmnhmovneu‡an), and a scholium in TXB (it may or may not
be inherited) paraphrases oi{ oiJ ajpemnhv‡anto cavrin with oiJ Oujranivdai
ajpemnhmovneu‡an th;n cavrin tw'/ Diiv; cf. e.g. D-sch. Il. 24.428. In the papyrus the
traces at the end do not really suggest m˚o˚n˚å but perhaps allow it.
(2) The imperfect is used to render the Hesiodic pluperfect, aptly enough
and unexceptionally, cf. e.g. Ap.Soph. s.vv. dedhvei, ejbebruvcei, ejkecavndei, ejtev-
talto. (McNamee 2007, 259 strangely expects a perfect.) kruvptw is routinely
the word chosen to gloss keuvqw when it is deemed worth glossing at all, e.g.
sch. Theog. 192 (Kuvqhra derived para; to; keuvqein kai; kruvptein to; ai‡crovn),
Ap.Soph. 98.20 B. (keuqmw'ne‡ ... para; to; keuvqein, o{ ej‡ti kruvptein), D-sch. Il. 1.363,
9.313. The medieval manuscripts do not bother to gloss.
(3) poluvklopon ta;‡ frevna‡ B, panou'rgon V, to;n poikilovboulon nou'n M2, and
the scholia comment on Promhqeva aijolovmhtin, levgei to;n poikivlon ta;‡ frevna‡
a[nqrwpon. poikilo< is the standard glossographic rendering of aijolo< (and cf.
Ap.Soph. in aijollhv, 15.29-33 B.), and I expect the papyrus’ gloss was
poåikilovboulon. The idiosyncratic glosses in B and V are context-sensitive (in-
formed by the fire-stealing), while poikilovboulon is more of a dictionary defi-
nition (M.L. West at Th. 521 suspects poikilovboulon of being an intrusive gloss
there). The fact that the word before aijolovmhtin is itself poikivlon makes no dif-
ference to the glossator.
(4) ejpifanh' BM, e[ndoxon M2. At 543 BM and M2 give the corresponding su-
perlative forms (“most”). Glosses on ajrideivketo‡ are somewhat variable, cf. e.g.
D-sch. Il. 11.248, 14.320, Od. 8.382. The papyrus’ a[gan renders ajri<, as often,
just as it is used to render other intensifier prefixes such as ejri< and za<. It just
means “very.”

MICHAEL W. HASLAM
2

P.Mich. inv. 4270 saec. VIp

Marginal glosses (now lost) on Theogony

Prov.: Unknown (Fayum?).


Cons.: Ann Arbor, Michigan University Library.
Edd.: RENNER 1978, 5-13.
Tabb.: ⇒ Tabb. III-IV.
Comm.: MP 500.7; LDAB 1266 MCNAMEE 2007, 259.

A fragment of a parchment codex leaf with broken remains of Th. 809-826


(recto) and 834-851 (verso) written in a sloping uncial of familiar type which
may be assigned to the 6th century (4th-5th ed. pr.).1 At several places in the text
there are small notational marks added above the line, possibly by the copyist
himself. They take the form ·|·, the left dot linked to the short vertical. (The
form is clear at 840, less so at other places.) Ed. pr. suggested that these refer
to marginal notes which “might cite or discuss variant readings (842; 843), ex-
plain the text, or draw the reader’s attention to corruptions” (p. 6). More prob-
ably they simply keyed lexeis to glosses, and are to be taken not so much as
evidencing “scholarly or critical interest” in the Hesiodic text (ed. pr. p. 9) as a
token of the elementary help that contemporary readers needed with epic vo-
cabulary. For the use of this sign McNamee 2007, 259, compares an annotated
Juvenal parchment codex (MP3 2925), cf. Turner-Parsons 1987, p. 14 and Renner
1978, n. 4. P.Oxy. XV 1790 (Ibycus) has a note attended by a more slanting ver-
sion of the sign (a more familiar form), where no doubt the same sign marked
the verse in the main text to which the note applied; similarly in P.Oxy. XI 1371
(⇒ Aristophanes 13) ad Nub. 3. Very similar kinds of keying systems are found
in medieval manuscripts. This style of glossing—the glossed words marked
in the text to facilitate lexis-gloss matching and the margins put to use to ac-
commodate the glosses themselves—may be contrasted with the interlinear
glossing exemplified by ⇒ 1.
In our piece the reference sign in evidence, not altogether certainly in some
cases, over the following words (I underline the particular letter over which

1
There is not quite so much of it now as when Renner read it (the edges have suffered more da-
mage), so I rely on his transcript where there has been subsequent loss.
106 Hesiodus 2

the sign is placed): 815 ejri‡maravgoio, 836 ajmhvcanåon, 841 tavrtara, 842
pelemivzet¦, 843 uJpe‡tenavcize, 845 ajpo; toi'o pelwvroåu,2 849 e{no‡i‡. (Those in 815
and 841 were not discerned by ed. pr.) And no doubt other words in the lost
portions of the lines will have been similarly flagged.
The margins are lost, and the glosses along with them. But in one case a
remnant of the marginale is reported (said to be “now on a detached piece,” it
is now missing?). In the right margin, on a level between 839 and 840, in a hand
described as “a small bookhand”:

hu˚å

I guess that this referred to 840 konavbh‡e (of which only çh˚‡e survives in the
main text) and that the gloss was in fact h[ch‡e. The lefthand sides of υ and χ
are very similar in this hand. The same gloss is given by BMM2, but it is a stan-
dard gloss (cf. e.g. D-sch. Il. 2.334, sch.b Il. 2.465, Cyr. > Hsch. k 3489 L.), hardly
a significant affinity.
There is nothing too surprising about what words were deemed in need of
glossing, but there is very little correspondence between them and the words
chosen for glossing in the scholia vetera (which, like the scholia maiora to Homer,
incorporate numerous glosses along with weightier notes). The only item ap-
parently in common is 845 ajpo; toi'o pelwvrou (referring to Typhon), which PX
incompetently gloss ajpo; toiouvtou ‡hmeivou.3 Like such glosses, however, this
manuscript’s too may have been drawn from a lexicon with little regard to
context. On the evidence of this scrap it is reasonable to assume that the entire
poem—or all three poems, if the codex carried them all—was comprehensively
glossed. Cf. ⇒ 1.

MICHAEL W. HASLAM

2
Some confusion here: apo appears to be miswritten apa, and to the right of the supralinear ·|· is
another notation, for which H.C. Youtie ap. ed. pr. suggested ejx(evta‡on), “examine,” written cur-
sively. As an equivalent of the normal zhvtei or zhv(tei) this seems doubtful, but the notation may
well have some bearing on the textual error. (If right, ejx(evtaze) might be preferred for the resolu-
tion.) — I take it that the phrase as a whole was glossed, see below.
3
toiou'to‡ is a dictionary definition of toi'o‡ (and toi'o was sometimes treated as if it were toivou,
archetypally sch.A/Arn. Il. 24.164), and ‡hmei'on÷‡hmei'a of pevlwr÷pevlwra, cf. e.g. Hsch. t 1069 and
p 1368 H. (Hesychius also has a locus-specific pelwvrou = qhrivou entry, however, p 1373, evidently
not found by or not available to the glossator.) The gloss, unique to PX, is not necessarily ancient.
3

P.Oxy. LXVIII 4648 (⇒ Aratus scheda CLGP I.1.3 p. 155) saec. IIIp ex.

Discourse on poets’ knowledge of constellations, with references to Works and


Days

Prov.: Oxyrhynchus.
Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: OBBINK 2003, 52-63; MOST 2006, 274-276 (T151; lines 14-28).
Tabb.: P.Oxy. LXVIII, pl. VI; http://www.papyrology.ox.ac.uk.
Comm.: MP3 2036.01; LDAB 10224; HUNTER 2009, 258-259; LUISELLI 2011, 155.

33 lines of a single column, missing their beginnings and ends, written in a


practised informal bookhand of conventional ‘mixed’ type on the back of a 3rd-
cent. petition to the prefect of Egypt. (Was the petition a discarded draft, or
was it sent to Alexandria and recycled for our treatise, whether at Alexandria
or at Oxyrhynchus?) The script is assigned to the later third century. Punctua-
tion is largely eschewed (none at e.g. 23, 28, 30); there are possible but uncertain
high stops at 4, 9, 16, 26. The orthography is not perfect: occasional iotacism
(ei for long i 6, 14, 30, i for ei 13), once f for p (11).
What appears to be under discussion is the importance of the constellations
and of the understanding of their movements, as recognized by Homer, Hes-
iod, and other poets. The section on Hesiod follows discussion of Homer, a
discussion evidently well under way already when our fragment begins.
Homer is represented as holding—but not saying in so many words (aijçnittov-
meno‡)—that everything is regulated (dioikei'‡qai) by the movements of the con-
stellations; the reference may be to Hephaestus’ depiction of the cosmos on
the shield of Achilles at Il. 18.483-9. This suggests Crates. The author proceeds
to cite two passages, one from each epic (Il. 10.252f., Od. 5.272), in which
Odysseus’ knowledge of the movements of the constellations is put to use. The
Iliad passage, if I rightly understand the text, is held to prepare the way
(proço˚i˚k˚onomw'n) for the Odyssey one, apparently implying that in composing
the Iliad Homer already had the Odyssey in mind, an interesting view of the
poet’s compositional procedures. The competence Odysseus shows in navi-
gating by the stars on his voyage from Calypso’s island is given plausibility
(10 mh; ajpiv‡tw˚å‡, 11 ajxiopiv‡tw‡) by his earlier Iliadic ability to tell the time of
night by the stars.
Then comes Hesiod (14-28). On the interpretation offered here, Hesiod un-
108 Hesiodus 3

derstood “these matters,” i.e. star-signs or the workings of the constellations,


“likewise”, i.e. like Homer. Ed. pr.’s interpretation is different: Homer knew
seafaring just as Odysseus did. Hesiod did not, but did know farming. On my
reading, our author is a lumper, not a splitter.1 He is uniting Homer and Hesiod
in their knowledge of star-signs, rather than separating the two according to
the respective spheres of sailing and farming—not driving a wedge between
them but papering over the gap. He proceeds to illustrate the importance of
the constellations for Hesiod: the rising and setting of the Pleiades mark the
seasons for ploughing and harvesting, Orion signals the time for the grape-
harvest, and it is from Hesiod that “we have learnt(?)” about various star-signs.
All the references are to the relevant parts of Works and Days. At the outset the
opening 383 is directly quoted, clear allusions to 566f. and 609-611 follow. As
a tail-piece to the Hesiod section, Aratus is said to have been his emulator
(zhlwthv‡), and Callimachus’ now wellknown epigram (27 Pf.) is approvingly
quoted to this effect. The epigram is evidently understood as referring to the
Works and Days, not to the Astronomy as some modern scholars take it.
Then, with minimal transition, other poets are turned to: first Aeschylus,
with quotation of the watchman’s words at the beginning of the Agamemnon
attesting his knowledge of the constellations as bringers of the seasons; then
Sophocles, the Nauplius, no doubt TGrF IV 432, again on knowledge of the con-
stellations. That is as far as the fragment takes us.
As often, then, Hesiod is treated in tandem with Homer, and after him; and
not (I propose) in contrast with him but in conjunction. What is said about
Hesiod is more cursory and more banal than what is said about Homer, and
no interest is shown in Hesiod’s cosmology nor in allegorical interpretation of
it, not even Theog. 126f.: star signs are the only concern. Nonetheless, the two
poets are treated as authorities on a par with one another, and familiarity with
the texts of both is presupposed, even if it is legitimate to wonder whether the
author’s was really as deep as he might wish it to appear. Naturally the con-
centration is on the part of the Works and Days that has to do with the agricul-
tural year, 383-617; that is where the star signs are mostly to be found. The
Astronomy that went under Hesiod’s name is ignored, presumably unknown.
The concluding “we have learnt” (if I have rightly restored memaqçhvkamen) is
in line with the idea of Hesiod as a didactic poet. Further, on my reading of
the text, the poet is introduced as “the sweet-tongued Hesiod,” åŞH‡ivodo‡ oJ
hJduçephv‡. (Ed. pr., on the other hand, takes the appellation as designating
Homer; I do not think that can be right.) The poetic label may carry stylistic
signification. As well as bringing Hesiod into harmony with his own Muses

1
Cf. Koning 2010, who unfortunately seems unaware of this text.
P.Oxy. LXVIII 4648 109

(hJduevpeiai, Th. 1021 = Cat. 1.1, Th. 965) it accords with ancient characterization
of Hesiodic style and rhetorically equates him with the Nestor of Il. 1.247-9
(Nev‡twr hJduephv‡, whose voice flowed sweeter than honey), a much-cited pas-
sage in stylistic and rhetorical contexts. In the tripartite classification of styles
known from Greek and Roman literary criticism, this Nestor is the archetype
of the “middle” style, in which Hesiod was awarded the palm.2
As for the author’s own style, it is rhetorically tinged, though seemingly
indifferent to hiatus (12, 13, 25), and is marked by periphrasis of familiar type
in its identifications of poets and characters. Aeschylus is “the Eleusinian” tout
court (but then Sophocles is Sophocles); this warrants the restoration “the Cyre-
nean” for Callimachus in 25. Aratus is just Aratus, but the upcoming epigram
already had him as “the Solean.” The introduction of Hesiod (on my reading)
as “Hesiod the sweet-tongued” is followed up by reference to him as “the As-
craean.” Homer’s Odysseus (again, if the restoration and interpretation offered
here are correct) is “the islander sophist” (5), both elements of this description
being picked up in what follows (“a clever man and an islander,” 12); they are
attributes relevant to the context, and “sophist” is emptied of negative conno-
tation.
Other stylistic features are less readily grouped. In a bold turn of phrase,
perhaps too bold to accept, [Homer] “handed down the constellations” sc. to
Odysseus (7). Variation in tense between aorist and present is very noticeable
in 14-21. There is a trio of clauses at 18-23. The rhythmical clausulae that occur
(23, 30) do so probably by accident (13), especially since no effort is made to
avert hiatus. The 1st-person plural “we have ?learnt” (23) merges
author/speaker and reader/listener. The transition to Aratus is effected by rel-
ative pronoun rather than by a demonstrative (23). A certain pretentiousness—
or elegance?—is in evidence. Aratus is not just a zelotes of Hesiod but “no mean
(oujk ajgçe˚nnh;‡) zelotes.” Callimachus’ epigram is introduced not by “as Calli-
machus attests” or the like but by the more elaborate “so not even the Cyre-
nean is tripped up in error when he says” (the construction is wJ‡ + infin.).
Similarly the Aeschylean speech (no more precisely identified than that) “one
could justly say is not bereft (ojrfanhvn) of knowledge of these matters.”
Such features are not particularly individualistic but are characteristic of a
certain kind of style. The composition could be a fairly high-calibre rhetorical
exercise, or it could be a less ephemeral literary work. The sophistication of
the Homeric criticism suggests the latter, but is no doubt tralaticious.
There are significant connexions with a number of other texts.

2
Quint. 12.10.58-64, 10.1.52, cf. Dion.Hal. de comp. 23, Dem. 40. On ancient analysis of Hesiod’s
style see Hunter 2014 c.6 ~ 2009.
110 Hesiodus 3

(1) One is the first of a trio of texts transmitted under the heading tw'n
¦Aravtou Fainomevnwn pro;‡ eij‡agwgh;n ejk tw'n ¦Acillevw‡ (“For an introduction to
Aratus’ Phaenomena, from the [works] of Achilles”), titled peri; tou' pantov‡ (“On
the universe”).3 It is a systematic cosmological treatise, which following custom
I shall refer to as the Isagoge.4 The points of contact with the papyrus are con-
fined to the treatise’s proem (c.1 Di Maria), whose connexion with the main
body of the treatise looks tenuous at best. This proem may be seen to fall into
two independent parts. The first is centred on the question of the “discovery”
or “invention” (eu{re‡i‡) of knowledge of the constellations and parades a slew
of quotations from the poets—Aeschylus, Sophocles, Euripides, Aratus, and
Callimachus (1.1-8)—presented in terms of competing claims of priority; this
is succeeded by a little collection of Homeric quotes concerning cosmology
and astronomy, said to be foundational for subsequent poets and astronomical
writers (1.9-11). All of the papyrus’ quotations recur in this proem—with the
exception of the Hesiodic ones and of the Callimachean epigram appended to
them. The affinity between the two texts is clear, but the orientation is different,
the papyrus text not concerning itself with eu{re‡i‡ and the Isagoge not concern-
ing itself with the agricultural year. The organization is somewhat different
too. The papyrus’ Aesch. and Soph. quotes come in inverse order in the Isagoge,
where they are preceded by another Aesch. quote (PV 454-460) and followed
by further quotes from Soph. and Eur. (TGrF IV 738, TGrF V *397b). When it
comes to the Homer quotes, the Isagoge divides them into two categories, peri;
tw'n o{lwn (i.e. on cosmology in general) and peri; tw'n a[‡trwn (on the constella-
tions). The latter consist of Od. 5.272-3, Il. 18.484-6 and Il. 10.252-3, fused as if
constituting a single passage. In the papyrus text these passages are individu-
ated and receive particularized analysis. So the relationship between the two
texts is not a simple one.
(2) Another is the second of the same trio of texts, titled gevno‡ ¦Aravtou kai;
bivo‡ (Vita Arati, “Life of Aratus”), in Aratean context now conventionally
known as Vita I.5 This is a learned Life of conventional form and has only one

3
The three were edited by Maass 1898, 25-85 (with Maass 1892, 7-59), and most recently by Di
Maria 1996, who argues, against earlier editors, that the heading applies to all three and that peri;
tou' pantov‡ is the title of the whole of the first treatise, not just of its first section. (A single-page
set of astronomical definitions intervenes between this and the other two texts; this is left out of
account.) The heading is explicated by Di Maria 1996, p. vii. I adopt her reference system.
4
Di Maria revives the old view, based on the Suda entry on ¦Acilleu;‡ ’tavtio‡ (a 4695 A.), that
this Achilles is Achilles Tatius the novelist, author of Kleitophon and Leukippe. Scepticism is in order.
I find none of the stylistic similarity that the Suda alleges. Confusion of two different Achilleses
in the Suda entry is more probable.
5
Reedited by (inter alios) Martin 1956, 152-154, with following investigation of interrelationships
with various congeneric documents, and again by Martin 1974, 6-10.
P.Oxy. LXVIII 4648 111

thing in common with the papyrus text—the notice that Aratus is a zelotes of
Hesiod, with the quoted Callimachus epigram adduced in support (gevgone de;
oJ öArato‡ zhlwth;‡ ŞH‡iovdou, wJ‡ kai; Kallivmaco‡ pare‡hmhvnato ètou'toä ... : Mar-
tin 1974 p. 9.10-16 = Di Maria 1996 p. 61.20-25). It is unintegrated with its sur-
roundings in the Vita, and it looks as if it was a self-contained free-floating
item. Another of the Lives reveals early contestation in favor of Homer (Vita
II, Martin 1974 p.12.7-18: “… Some say he was a zelotes of Hesiod rather [than
of Homer.] … Boethus of Sidon in bk. 1 on him says he is a zelotes not of Hesiod
but of Homer, …”), but neither Vita I nor the papyrus makes any acknowledg-
ment of that.6 The papyrus is alone in inserting the item into Hesiodic context.7
(3) To these two, duly noted in ed. pr., may be added an anonymous Isagoge
edited by Maass 1898, 89-98 (Maass’ Anonymus I), carried by one of the two
13th/14th cent. manuscripts that also carry the trio assigned to Achilles (Vat. Gr.
191, c. 1296 CE). This is headed simply ejx eJtevrwn ‡colivwn eij‡agwghv (“Introduc-
tion from a second set of notes”); it seems to be the lecture-text of a teacher in
Alexandria.8 Quite closely related to Achilles’ Isagoge, its proem shows some
features which align it with the papyrus text. It kicks off with a conceit, re-
applying to Aratus Homer’s lines on Odysseus’ wakefulness in watching the
stars on his raft voyage at Od. 5.271-273 (a passage quoted both in the papyrus
and in Achilles’ Isagoge), an allusion to Aratus’ sleeplessness (ajgrupnivh) hailed
in the Callimachean epigram (not actually quoted)—a trick missed by the pa-
pyrus author; proceeds to affirm Homer’s understanding of astronomical mat-
ters by adducing first the celestial constellations (ta; kat¦ oujrano;n a[‡tra, ~ pap.
7) depicted on the Shield of Achilles (cf. pap. 1-4?) and then Odysseus’ time-
telling by the stars at Il. 10.252f. (quoted, as in the papyrus); and refers to
Homer’s cosmological allegories, albeit in a distanced and slightly distancing
manner (eij dev tw/ fivlon kai; ta;‡ par¦ ŞOmhvrw/ ajllhgoriva‡ ejxetav‡ai, ... [“If anyone
likes investigating the allegories in Homer too, …”]). So points of contact with
the papyrus text are multiple, but the shared elements are differently deployed;
the pieces can be shuffled. And unlike Achilles’ Isagoge this one uses the coded
system of nomenclature found in the papyrus text: not Odysseus and Calli-

6
The commentary transmitted under Achilles’ name (see n.10) again calls Aratus a zelotes of He-
siod, inasmuch as both begin from Zeus (Maass 1898, p. 83.28, Martin 1974, p. 43.22). Here the
epigram is not cited. Another of the Lives throws in a mention of the epigram at the end (Vita III,
Martin 1974, 17.27-18.4), without reference to Hesiod. Another appends the contested zelotes issue
at the very end, without mention of the epigram (Vita IV, Martin 1974, 22.7-8).
7
Ed. pr.’s suggestion that our papyrus text could be an abridgement of Vita I is not tenable.
Whatever it is, it is not a Life of Aratus.
8
A Macedonian month name is converted to an Egyptian (“Alexandrian”) one (p. 94.20-21). The
teacher uses a model sphere as a visual aid, as Achilles evidently did too (cf. c. 29 ad fin.).
112 Hesiodus 3

machus but the Ithacesian helmsman and the Cyrenean. But as in Achilles’ Is-
agoge, the Ascraean does not enter the picture.9
(4) The Homeric criticism in the first thirteen lines show connexions with
various T-scholia, as noted in the comments on the lines in question. But this
is no place for an in-depth investigation of that relationship.
While liberally citing Aratus, as any astronomical primer would, neither
Achilles’ Isagoge nor the anonymous one were originally meant as introduc-
tions to Aratus’ Phaenomena, but rather to cosmology in general.10 Their con-
tents and internal references make this clear. With our papyrus the situation is
less clear. Is this a self-contained piece on constellations in the poets, or the
proem of an astronomical treatise, or more particularly of a work on Aratus’
astronomical poem? It might be possible to argue that the very inclusion of
Aratus at all at this point suggests that it is Aratus who is the author’s primary
concern, details of his astronomical knowledge perhaps being reserved for
fuller treatment following. And the earlier mention of Aratus implied by ed.
pr.’s restoration of 23 (wJ‡ de; proeirçhvkamen, “As we have said above”) would
give considerable strength to the idea that Aratus is the main subject under
discussion (cf. Luiselli 2011, 155). But the restoration is untenable, and we are
left with no good reason to suppose that this isolated mention of Aratus, along
with the attendant epigram of Callimachus, is anything more than an inorganic
appendage to the Hesiod section, a parenthesis gratuitously thrown in as an
extra show of learning.
At the same time, there is no reason to think that Hesiod in particular is
“perhaps the focus of the author’s interest” (ed. pr. p. 53). Hesiod is fully con-
tained within lines 14-28; the discrete sections have only a minimum of con-
nexion. It is always possible that the papyrus text is the showy frontispiece of
a serious astronomical treatise, akin to the two Isagogai mentioned above, but
it hardly gives that impression. I am inclined to think that it is a stand-alone
text, drawing on a variety of sources—a display piece on early poets’ under-
standing of the movements of the constellations and of their practical functions
as clocks, compasses, almanacs.
The author confines himself to the fixed stars, at least in this preserved part
of the text, and does not look outside the poets. He is concerned less with as-
tronomy as such than with showing poets’ knowledge of it, from Homer on.

9
Except for later quotation of Th. 116-117 with regard to the fixing of Earth. Quotations from
Homer are plentiful.
10
In this they plainly differ from the third of the three items given under Achilles’ name, labelled
peri; ejxhghv‡ew‡ (de interpretatione, “on explanation”—that is, on Aratus’ explanation of the phae-
nomena). This is actually not a treatise but a hypomnema on the Phaenomena, not copied beyond
the note on v.18. Martin 1974 artificially splits it in two between the introductory notes (pp. 32-
34) and the following line-by-line ones, which he scatters among the scholia on pp. 37-61.
P.Oxy. LXVIII 4648 113

But the true scope of the work, along with its purpose and intended audience,
lies beyond secure reach.
The text offered below, while much indebted to ed. pr., differs substantially
from it in the sections on Homer and on Hesiod (1-23).

ç˙ kai; ejx e˚ij˚r˚hv˚nh‡ pavlin au\ pol˚åe<


m< ˙˙ç˙˙˙˙˙h‡in de; tw'/ oujranw'/ klei‡å ad Il. 18.485?
c.7 ç˙å˙˙ aijçnittovmeno‡ tai'‡ tw'n
a[‡trwn poreivça˚i‡ dioikei'‡qai pavnta.
5 to;n de; nh‡iwvçt˚h˚n ‡ofi‡th;n ouj movnon wå
c.7 e‡evçmnunen ajlla; kai; hjk˚ribwå<
mevnw‡ fita; peri; ta; kaÝta; oujrçan˚o;n a[‡tra parevdwken o˚åuj<
k ejn th'/ ¦Odu‡ç‡e˚åivça/ movno˚n ajlla; kai; ej˚n th'/ ¦Iåli<
avdi, tw'/ “parwv/çcw˚ken de; plevw nu;x tw'n duv˚åo Il. 10.252-3
10 moiravwn” proço˚i˚k˚onomw'n i{na mh; ajpi‡tw˚å
c.2 “Plhiavda‡ t¦ç ejå‡orçw˚'n˚ti” kai; ajxiopiv‡tw‡ p˚å Od. 5.272
c.10 ajçnådri;ç ‡ofw'/ kai; nh‡iwvth/ wå
c.11 ç˙‡ eij‡ diavpeiran plou' h{kon˚åti.
ŞH‡ivodo‡ d¦ oJ hJduçeph;‡ tau'ta oJmoivw‡ hjpåiv<
15 ‡tato: c.6 çw˚‡ ˙˙å ç oJ˚ ¦A‡kr˚ai'o‡ kai; ta; naåu<
tika; kai; ta; bebçaiovtata th'‡ gewrgiva‡ t˚åa;‡
w{ra‡ katamçetrei' “Plhiavdwn ¦Atlag˚åe< Op. 383
nevwn ejpitelçl˚omenavwn” kai; ejpi; to;n a[måh<
ton c.6 ç˙h‡en duomevnwn de; ejpi; tåo;n
20 a[roton c.4 ç k˚ai; o{te ŞW˚r˚ivwn ej‡ti;n trugåa'n cf. Op. 609-611
tou;‡ bovtrua‡ç paregågçu˚a'/, kai; o{lw‡ tivne˚å‡
aiJ Pleiavde‡ kçai; tiv‡ oJ ajkrokn˚fievÝfaio‡ parå¦ ej< cf. Op. 383 and 567
keivnou memaqçhvkamen. ou| dh;˚ öArato‡ zhl˚åw<
th;‡ oujk ajgçe˚nnh;‡ ejgevneto, wJ‡ mhde; to;n
25 Kurhnai'ço˚n ej‡favlqai eijpovnta “ŞH‡iovdåou Call. epigr. 27.1-3 Pf.
tov t¦ a[ei‡mça kai; oJ trovpo‡: ouj to;n ajoidw'ån e[‡<
caton ajll¦ç ojknevw mh; to; meli˚crovtatoån
tw'n ejpevwçn oJ ’oleu;‡ ajpemavxat˚o.” kai; th;ån
rJh'‡in thvçn˚de dikaivw‡ a[n ti‡ ei[poi mh; g˚ånwv<
30 ‡ew‡ touvçtwn ojrfa˚nhvn: oJ ¦Eleu‡ivnioå‡
gavr fh‡inç “a[[˚‡trwn kavtoåiçda nuktevrwn˚ Aeschl. Ag. 4-5
114 Hesiodus 3

oJmhvgurinç kai; tou;‡ fe˚vronta‡ cei'ma kaåi; qev<


ro‡ brotoi'‡.”ç oJ de;˚ ’ofoklevo˚u˚‡ N˚a˚åuvplio‡ (TGrF IV 432?)
› › ›

Line divisions not always entirely certain. The above transcript takes account of physical restora-
tion newly undertaken by Daniela Colomo, which has allowed the removal of some sublinear dots
and other such minor improvements. The apparatuses which follow, along with my notes on the
text, reflect my prior scrutiny of the digital image of the papyrus; in case of discrepancy the tran-
script itself should be regarded as more reliable.

2 Before h, right end of thin horizontal at letter-top level as of t or g, hardly f (“perhaps connecting
stroke” ed. pr.) 3 ç˙å , seemingly top of tall vertical, f or y; but i or ‡ ed. pr. t¦t pap. 4 After
panta, upper speck on edge, tå or high stop 5 çt˚h˚, or çg˚h˚ (right side of t÷g, left side of h, reason-
ably clear), not çto˚ as ed. pr. 6 hk˚reibwå pap. 7 o˚å not assured 8 ϊå pap. 9 After çc,
speck on left edge of hole seemingly better suited to w than to h After nux, speck above line,
high stop or casual 10 i>na pap. 11 axiofi‡tw‡ pap. p˚å, or g˚å (not t) 13 ç˙, upright on
edge, i? diapiran pap. 14 hpeåi pap. (cf. 6, 30) 15 çω≥, righthand side, o (ed. pr.) perhaps
not excluded but oddly shaped if so After çw˚‡, traces in damaged context, distribution uncertain,
first hooked vertical as of i, g, p, second unclear, third letter perhaps lost in hole 16 t˚å, left tip,
or high stop 17 g˚å shortish upright, i also possible 19 ç˙, stroke connecting to h in position
suggesting l or m 21 ågçu˚ abraded, right side of u visible 22 After ti‡, “speck of ink centred
in space” ed. pr., illusory or insignificant?; slight physical displacement 26 Perhaps tropo‡:
pap. 30 eleu‡einioå pap. 31 a˚otrwn pap. ut vid.
——
2 pça˚r˚iv˚‡˚t˚h‡in tentem: f˚h‡in Obbink (O.), obstat vestigium 2-3 klei‡åqevnta (vel klei‡qh'nai) to;n
kov‡mon tentem: klei'‡ û åta; a[‡tra eçi'å˚ nai tent. O., klei‡ûåth;n ei\naiç t˚åh;n gh'n Parsons ap. O. 4 a[‡trwn
suppl. Parsons ap. O. poreivçai‡ supplevi : ajnatolçai'‡ Parsons ap. O. : an periforça˚i'‡ (fort.
longius)? an fita;Ý pavnta? 4-5 pavnta. û åto;n de; nh‡iwvçth˚n distinxi, supplevi (intellige Ulixen):
pavnta tåa; û kaq¦ hJma'‡, w{‡teç to;˚n post Parsons O. (at to;˚n vix recte legitur) 5-6 wJå‡ û ei[wqen e.g.
possis : wj/ûåkeivw‡en kai; O. 6-7 hjkr(e)ibwåûmevnw‡ supplevi: hjkr(e)ivbwåû‡en (finem sententiae)
O. 7 lac. statui, supplevi: ta; de; kat¦ oujrçan˚on; (vel kata; to; piqçan˚on; ) O., longius 9 tw'/ supplevi:
fh‡i O. parwv/çcw˚ken an <h˚ken non satis liquet, illud vestigio aptius 10 proço˚i˚k˚onomw'n agn.
O. 10-11 ajpiv‡tw˚å‡ ei[ûph/ tentem: ajpiv‡tw˚å‡ e[ch/ to; possis nisi quod longius (a[pi‡to˚ån h\/ aegre convenit
vestigio): ajpi‡tw'å‡i û kai; (kai; ut locus hic prolatus cum illo superiori ita coniungatur) O. 11-
12 p˚åarûh'/ ejpi‡thvmh tentem: t˚åou'ûto ajnafevreiçν tent. O. 12 ajçn˚ådri;ç post O. (åajndri;ç) dedi 12-
13 wJå‡ û eijko;‡ possis: wjåfeleiva/ tent. O. 13 pollavkçi˚‡ O. : an 12-13 wJåmiûlhkovti
a[‡troçi˚‡? 14 ŞH‡ivodo‡ d¦ supplevi: ajll¦ e[gnw me;n (sc. Homerus) O. oJ hJduçeph;˚‡ Parsons ap.
O. 14-15 hjpeåivû‡tato i.e. hjpiv‡tato (finem sententiae) supplevi: hjpeåiûrwvth‡ (initium sententiae)
Parsons ap. O. 15 kateidçw;˚‡ g˚a;˚årç vel sim. tentem: de; gewrgço;‡ (vel ŞH‡ivodço‡) w]˚n˚ O. (at ço vix
recte legitur) 16 kai; ta; supplevi : ajgnow'n, ta; de; O., longius spatio 17 fere suppl.
O. ¦Atlag˚åe< an ¦Atlai˚åge< non liquet 19 tovte ejxwvrçm˚h‡en O. : parwvrçm˚h‡en fort. possis: num
diekov‡çm˚h‡en? 20 e[ti de; tentem : kaqavper O. an fimev‡o‡ ejn tw'/ oujranw'/Ý ej‡ti;n? 20-21 trugåa'n
û t. b.ç supplevi : varia tent. O. 21 p˚aregågçu˚a'/ agnovi (çp˚are ˙å˙ç˙a tantum O.) tivne˚å‡ ita dedi:
tine˚å‡ O. 22 aiJ Pl. supplevi: fa‡in, o{tan O. kai; tiv‡ agnovi : kaiv ti‡i˚ O. 22-23 supplevi: (vel
parå¦ ejûåkeivnw/ ejxeurçhvkamen possis), distinxi: paråh'./ û wJ‡ de; proeirçhvkamen, (sic puncto) O. 24 suppl.
O. an mhde;finÝ? 25 Kurhnai'ço˚n suppl. Gonis ap. O. : vel Kallivmacçon O. 29, 30 suppl. O.,
verbis dikaivw‡ < ojrfanhvn distinctis ut parenthesis fiat 31 gavr fh‡inç supplevi : tragwdei'ç
O. 33 brotoi'‡ om. O. (voce qevro‡ tota ad initium locata), fort. recte

“… and(?) from peace once again war(?); and he (sc. Homer) presents(?) [the
universe as being?] closed off(?) by ouranos (the sky, Ouranos), affirming in
P.Oxy. LXVIII 4648 115

a veiled way that everything is controlled by the [movements] of the [constel-


lations]. (5) [The islander] sophist (sc. Odysseus) he not only exalted, [as is
his wont?], but also accurately transmitted <knowledge of> the heavenly con-
stellations, not only in the Odyssey but also in the Iliad, [by means of] “the
night is more than two thirds gone” planning ahead in order that it should
not strain credulity [when he says?] “keeping his eyes on the Pleiades” and
should seem plausible for a man who was clever and an islander [familiar
with stars(?) to possess expertise(?)] when he comes to the test of a sea-voy-
age.
(14) [The sweet-]tongued [Hesiod] likewise understood these matters. [Know-
ing] both seafaring and the most reliable points of farming, the Ascraean meas-
ures [the seasons] “when the Atlas-born Pleiades rise” and he [urged on?] to
the ploughing, and when they set, to the [harvest; further,] when it is Orion
(or when Orion is <at his midpoint in the sky>?) he gives the word to gather
in [the grapes]; and all in all who [the Pleiades] are and who the “twilighter”
we have [learnt] from [him]. (23) — Of whom Aratus was [no] ignoble emula-
tor, so that not even the [Cyrenean] is (or, with mhde;finÝ, in no way is the [Cyre-
nean]) caught out in error when he says “Hesiod’s the song and the manner.
Not the ultimate of singers but—I hesitate to say it—the most honey-sweet of
verses did the Solean take an impression of.”
(28) — And the following speech one would be justified in saying is not bereft
of knowledge of these matters: the Eleusinian says “(Aeschl. Ag. 4-5).” And
Sophocles’ Nauplius … [TGrF IV 432?].

1-4 Peace leading back to war? Is this serving to exemplify the pattern of
back-and-forth recurrence shown by the movements of the constellations? Ob-
bink suggests there may be reference here to the city at peace and the city at
war depicted on the Shield of Achilles (Il. 18.490-540). Whether or not that is
so, it may be suspected that lines 2-3 are referencing the immediately preceding
depiction on the Shield (483-489), which features the constellations (Pleiades,
Hyades, Orion, Bear), ta; teivrea pavnta tav t¦ oujrano;‡ ej‡tefavnwtai (“all the signs
which ouranos encompasses as a diadem,” 485). I look for something like fh‡i;n
de; tw'/ oujranw'/ klei‡qh'nai to;n kov‡mon (“[Homer] says that the cosmos was closed
off by ouranos”), a tendentious interpretation of Homer’s words leading to rev-
elation of Homer’s real meaning, namely that the universe is controlled by the
courses taken by the constellations. The palaeographical difficulties are slight
but deterrent, see app. pal. The f of fh‡in looks impossible. I would suggest
e.g. pça˚r˚iv˚‡˚t˚h‡in; with participle klei‡qevnta? The aorist (if rightly recognized)
rather than the perfect implies cosmogony, as Hephaestus made the shield. I
cannot accommodate the apparent çf˚å or çy˚å in 3 (not enough room for
116 Hesiodus 3

‡çf˚åai'ran); ed. pr. reports only “top of upright as of i or flat tall back of ‡,”
which would suit to;n kovç‡˚åmon.
Stoic doctrine held that the cosmos was controlled (dioikei'‡qai) by nature
(e.g. SVF II.534). That it is controlled by the movements of the constellations is
rather more specific, tailored to the author’s theme.11
The idea of the ouranos as enclosing the universe accords with the Stoic
Zeno’s definition as quoted in Achilles’ chapter on the nature of ouranos (c.5
Di Maria): it “contains everything except itself” (pavnta perievcei plh;n auJtou';
c.5.10 Di Maria, Maass 1898, 36.19-23, SVF I.115)12. In Eudoxan cosmology the
ouranos is the outermost sphere, carrying the stars. Il. 18.485 was taken to show
Homer’s recognition of this. Cf. esp. Heraclit. Hom.Qu. 48.7, where ouranos is
described as a kind of roof (kaqavper tina; qeivan ‡tevghn to;n oujrano;n ejpwrovfw‡e)
and in explication specifically of Il. 18.485 (quoted) the constellations are
described as girdling the vault of heaven (ta; diezwkovta th;n oujravnion aJyi'da);
cf. also the T-sch. on 488, where ‡trevfetai (488) is adduced along with 485 ej‡te-
favnwtai as proving that the oujranov‡ is circular.13
aijçnittovmeno‡ puts our author among those who sought to uncover the
poet’s true meaning, the meaning that he veils beneath the surface of his actual
words. (Cf. e.g. Lamberton-Keaney 1996, 17-18, on ps.-Plutarch.) Here it is a
matter not of moral allegory but of physical, specifically in cosmology (cf.
Strabo 1.1.2, on geography). The Stoics notoriously retrojected their doctrines
into Homer and Hesiod (Zeno attributed to Hesiod [not to Homer?] recogni-
tion that the earth was round, acccording to DL 8.48, SVF I.276). In the context
of Homeric exegesis, however, the most obvious candidate for the interpreta-
tion we apparently have here is Crates, who unlike Aristarchus attributed a
spherical universe to Homer and saw the Shield of Agamemnon (and no doubt
the Shield of Achilles too) as a mivmhma tou' kov‡mou.14 The papyrus author im-
plicitly places himself on Crates’ side of the dispute over the shape of Homer’s
cosmos.

11
Somewhat comparable in this regard is ps.-Plut. de Hom. 2.119, where Homer is said to indicate
(uJpodeiknuvei) that the cosmos is managed (dioikei'tai) by civic law (novmw/ povlew‡), this in the inte-
rests of an expressly Stoic allegorical interpretation of the council of the gods at the beginning of
Il. 20.
12
Cf. the Orphics’ comparing the ouranos to an eggshell, again according to Achilles’ Isagoge (c.4.6
Di Maria, Maass 1898, 33.17-19, Orph. fr. 70 Kern).
13
Also pertinent is the T-scholium (again) on 607-608, “Some try to argue from this that Homer’s
cosmos is not spherical, for he put Ocean outside the constellations.” I take this to represent Cra-
tetean polemic against Aristarchus. There is more direct contact with T-scholia in the succeeding
lines.
14
F 12 Broggiato; Maass 1892, 167-207; Mette 1936, esp. 30-42; Porter 1992, 87-103; Broggiato 2001,
xvi, li-lv, 159-164, cf. esp. F 99, F 133, F 27 (where Crates’ reading ought not be called an emenda-
tion, since it merely rearticulates the given text), F 75, F 21 (with Agathocles fr. 9 Montanari); Fin-
kelberg 2004, 234-236; Ramelli 2004, 171-203. That the variants for ej‡tefavnwtai reported in the
A-scholia ad loc. (oujranw/'(?) ej‡thvriktai Zenod., oujrano;n ej‡tefavnwke Aristarchus) have bearing on
P.Oxy. LXVIII 4648 117

However that may be, the Il. 18 passage would be a natural one for our au-
thor to refer to in this context. Later in the sentence the other two Homeric pas-
sages mentioning constellations are cited, and significantly we find all three
(Od. 5.272-3, Il. 18.484-6, 10.252-3) in Achilles’ treatise, see intro. Unlike
Achilles, our author does not simply agglomerate the passages but relates them
one to another in terms of Homer’s cosmology and compositional procedures.
In Achilles the Homeric passages are said to be foundational for later authors
(tragedians are instanced, cf. 30ff. below) and for writers on astrology, and
“Crates and Apion Pleistonices attest that Homer is an astronomer.”15 Is
Achilles dependent on the work represented by the papyrus for his congeries
of Homeric passage? More probably Achilles and the papyrus are drawing on
the same stock of material, which the papyrus represents more fully.
5 Who is this “sophist”? Obbink, reading w{‡teç to;˚n ‡ofi‡th;n, presumes
one of Homer’s predecessors (Orpheus, Musaeus) or a later philosopher whom
Homer anticipated. Or one might think of Plato’s Demiurge, termed a won-
drous sophist at Rep. 596d. But in view of the rest of the sentence, or what I
take to be the rest of the sentence, I imagine the reference is to Odysseus. On
this reconstruction the author transitions from Homer’s veiled (“enigmatiz-
ing”) affirmation concerning the constellations’ regulation of everything (3-4)
to the poet’s conferring this knowledge on Odysseus, in both poems (5-13). I
suggest nh‡iwvçt˚h˚n on the basis of what follows. (çt˚on is I think a misreading.)
The pejorative use of “sophist” as applied to Odysseus is here turned around;
it corresponds with 12 ‡ofw'/ (which itself can be pejorative, but obviously not
here). The author then (14, on my reconstruction) proceeds to Hesiod.
5-6 ej‡evçmnunen (or ajpe‡evçmnunen) “exalted,” “enhanced the stature of,” not
“speaks impressively” as Obbink. The verb is used in exegetical scholia with
reference to characters textually accorded some distinction. The author prob-
ably has the immediate context of the quoted passages specifically in mind,
the praise of Odysseus put into Diomedes’ mouth at Il. 10.242-247 and the
laudatory description of Odysseus’ boat-making and boat-management at Od.
5.253-261 and 269-271. The tense will be aorist. Before it wJå‡ û ei[wqen would
make an acceptable stopgap supplement. Obbink’s wj/ûåkeivw‡en on my interpre-
tation would mean not “he appropriates the role of (the wise man)” (so Ob-
bink) but “he made [Odysseus] his own,” i.e. he assimilated Odysseus to

the Crates-Aristarchus dispute (Porter 1992 l.c.) seems to me questionable. The most significant
texts for the interpretation of Il. 18.485 are Heraclit. Hom.Qu. 43 and 47-48; cf. also ps.-Plut. de
Hom. 2.106.
15
The entire passage (1, 9-11 Di Maria) is given as Crates fr. 76 Broggiato. Cf. Mette 1936, frr. 24 b-
w. The form of citation probably means “Crates ap. Apion” (cf. e.g. ⇒ Hesiodus Intro. p. 95 n.19
above, for the formula) and will be a simplified but essentially accurate encapsulation of Crates’
views.
118 Hesiodus 3

himself: an enticing supplement (though the middle would be better) but with
kai; too long for the space.
6-7 I take the verb of the second clause to be parevdwken, sc. to Odysseus,
as evidenced by the passages then cited. Obbink ends the sentence with
hjkreivbwûå‡en, translating “is scientifically accurate”, and commences a new one
with ta; de; kat¦ oujrçan˚o;n, translating “He has related the stars in heaven.” The
restoration is too long, and it is difficult to think of one that is not. Furthermore,
“he transmitted the constellations” is a remarkably harsh expression. For both
these reasons I posit a scribal omission, by saut du même au même.
9-13 These lines instructively flesh out a cryptic T-scholium on the Iliad
passage here cited: o{qen kai; to; “Plhiavda‡ t¦ ej‡orw'nti” fh‡i; peri; tou' ¦Odu‡‡evw‡:
prooikonomei' ou\n fa‡i; th;n ¦Oduv‡‡eian (“whence he also says ‘looking at the
Pleiades’ concerning Odysseus; so he is making advance arrangements, they
say, for the Odyssey”).16 It is a pity the scholium does not identify who “they”
are. The view that the scholium reports is precisely the view that our author is
presenting.
The sense, as I understand it, is that Homer paves the way for Odysseus’
skill at navigating by the stars in the Odyssey (at 5.272ff.) by having him display
comparable ability to read the stars already in the Iliad (at 10.252-253, where
Odysseus gauges the time of night by the position of the constellations).
Homer thereby invests Odysseus’ astronomical expertise in the Odyssey with
plausibility (mh; ajpiv‡tw˚å‡). When Homer wrote the Iliad he was preplanning the
Odyssey.17
As I reconstruct the syntax, 9-13 are all controlled by the participle
proço˚ik˚ o˚ nomw'n: the Iliad quotation is dative (tw'/ equivalent to dia; tou', for which
there is no room), and the Odyssey quotation belongs to the i{na clause. Obbink
construes differently: he supplies a fh‡iv (main verb) in 9 to introduce the Iliad
quotation and then to govern the Odyssey quotation in turn (the two quotes
linked by a supplied kai; at the beginning of 11), with proço˚i˚k˚onomw'n i{na mh;
ajpi‡tw'å‡i parenthetically intervening. That is very contorted, and putting the
two quotes on a grammatically equal footing loses the point of prooikonomw'n.
Both quotations are cut down. In the first, both the opening a[‡tra de; dh;
probevbhke (“the constellations have advanced”) and the continuation (tritavth

16
Erbse attaches the comment to what directly precedes it, an interpretation of the problematic
plevw as plhvrh‡, but it seems to be an entirely separate note, o{qen referring loosely to the passage
as a whole or severed from a larger context. Cf. Porph. ad loc.
17
The idea of prooikonomiva of the Odyssey in the Iliad recurs in other T-scholia: on 2.260, and on
10.260, cf. also on 10.247. It is tempting to associate them with Crates, cf. n.13 above, though this
goes beyond our evidence. Aristarchus had notes to similar effect, in the interests of establishing
unitary authorship of both poems (explicitly so in sch.A/Arn on Il. 4.354), but not cast in terms
of prooikonomiva.
P.Oxy. LXVIII 4648 119

d¦ e[ti moi'ra levleiptai, “and a third is still left”) are dispensed with; in the sec-
ond, only the opening tag is given. Both were wellknown passages, and the
fragments quoted suffice to trigger recollection of the remainder; cf. 17-19. Por-
phyry (151.27) addresses the zetema of just what constellations Odysseus used
to calculate the time of night, evidently a very vexed question (though not the
most vexed: Aristot. AP 1461a25, Porph. 152.23); but our author does not con-
cern himself with that. Aristarchus in athetizing 253 (as had Aristophanes of
Byzantium) took exception to its astronomical exactitude (to; ajkribev‡, cf. 6-7
hjk˚ribwûåmevnw‡; w{‡per aj‡tronovmou tinov‡). Our author turns that to positive ac-
count. Achilles, after presenting his mélange of the Homeric verses on the con-
stellations, adds that Crates held that Homer was an aj‡tronovmo‡.18
In the Iliad quotation parwv/çchken (as Achilles as well as the vulgate) as
against Aristarchus’ <cwken might be expected, but the surviving trace, while
minimal, seems to suit the latter better. Perhaps Achilles’ text has been brought
into conformity with the vulgate in the course of its transmission. In the direct
tradition of the Iliad <cwken, carried by a number of papyri and important tes-
timonia, had more currency in antiquity than later. Obbink prints unaug-
mented paroic<, as prescribed by Dorotheus ap. A-sch. ad loc., but no
manuscript ever had that (even Aristarchus seems to have accepted parwvic<).
For 10-11 ajpiv‡tw˚å‡ e[ch/ to; looks too long, and the same goes for ajpi‡tw'åmen
to;÷tw'/ (cf. 23 for 1st-pers. pl.). Obbink’s ajpi‡tw'å˚ ‡i could fit at line-end, but hardly
appeals; it would be followed not by Obbink’s kai; but by the definite article
with the quotation. Perhaps ajpiv‡tw˚å‡ ei[ûph/; for eijpei'n introducing quotation cf.
25 below. Since the last letter before the break does appear to be w[ (lefthand
side) not oå , a[pi‡ton h\/ to; is probably excluded.
Restoration of 11-13 is problematic. Obbink tentatively offers kai; ajxiopiv‡tw‡
t˚åou'ûto ajnafevreiçn åajndri;ç ‡ofw'/ kai; nh‡iwvth/ wjûåfeleiva/ pollavkçi˚‡ eij‡ diavpeiran
plou' h{konåti, translating “and this utterance could be plausibly ascribed to
Odysseus, a clever man and an islander and because of profit having fre-
quently come to experience sailing”; clearly unsatisfactory (t˚åou'to not to be
read, the infinitive unexplained, wjfeleiva/ impossibly strained). More acceptable
might be something like kai; ajxiopiv‡tw‡ p˚åarûh'/ ejpi‡thvmh ajçn˚ådri;ç ‡ofw'/ kai; nh‡i-
wvth/ wJå‡ eijko;‡ pollavkçi˚‡ eij‡ diavpeiran plou' h{kon˚åti, “and so that it should be
plausible that a clever man and an islander who in all likelihood had on many
occasions come to the test of a sea voyage should possess expertise” (or, instead
of p˚åarûh'/ ejpi‡thvmh, e.g. g˚ånw'û‡in periqh',/ “so that he might with plausibility confer
knowledge on …”). I should prefer, however, to have eij‡ diavpeiran plou' h{konåti

18
Cf. nn.13 and 15 above. P.Oxy. XXXIX 2888 (Crates fr. 76 Broggiato) has commentary on Crates’
solutions to the astronomical problem of Od. 5.275 (col. i.27 – col. ii.39) and to the geographical
problem of 276f. (col. iii.1-40). Crates’ treatment of 275 saves Homer’s astronomical accuracy.
120 Hesiodus 3

refer specifically to the one-time situation of Od. 5, Odysseus’ raft voyage. (The
meaning of eij‡ diavpeiran is well illustrated by Aesop Fab. 187.1: some people
appear formidable at a distance but are found worthless o{tan eij‡ diavpeiran
e[lqw‡in, when they are put to the test, when it comes to the crunch.) In that
case the preceding gap could perhaps be filled with e.g. wJåmiûlhkovti a[‡troçi˚‡,
“familiar with constellations”; but it does not sit very happily. (There is no
room for toi'‡' a[‡troi‡.) In any event, I take kai; ajxiopiv‡tw‡ ktl (11-13) as the sec-
ond limb of the i{na clause, so that mh; ajpiv‡tw‡ and ajxiopiv‡tw‡ are in parallel,
although it could alternatively be a parenthetical addition, with the verb in-
dicative.
14-16 Who is this sweet-talker who knew these matters likewise? Homer,
according to Obbink, taking tau'ta to mean ta; nautikav and oJmoivw‡ to mean
“just like Odysseus.” Better, I propose, Hesiod: Hesiod shows familiarity with
star-signs just as Homer does. The transition from Homer to Hesiod then
comes at this point rather than only with the next sentence. If this is right, our
author is not (or not yet) differentiating the two poets but uniting them in their
practical understanding of the constellations. (This, rather than specifically ta;
nautikav, I take to be what is meant by tau'ta; it is obviously the main theme;
cf. touvçtwn in 30.)
oJ hJduephv‡ (Parsons, irresistibly) could not by itself designate Hesiod, any
more than it could Homer (pace Obbink): the name has to be supplied. But
while Pindar may apply the word to Homer (named; to;n aJdueph' ... õOmhron N.
7.21), the appellation is particularly apt for the poet whose own Muses are hJ-
duevpeiai (Cat. 1.1 = Th. 1021, Th. 965) and whose style was characterized by its
sweetness.19 It also assimilates him to Homer’s Nestor, with stylistic implica-
tion. See intro. Our author is less likely to have applied it to Homer.
Obbink has the sentence end with tau'ta oJmoivw‡ (in itself a very suitable
sentence ending), and begins the section on Hesiod with the next sentence:
hjpeåiûrwvth‡ de; gewrgço;‡ w]n˚ ˚ oJ˚ ¦A‡krai'o‡ kai; ta; naåuûtika; ajgnow'n, ta; de; bebçaiovtata
th'‡ gewrgiva‡, ktl, translating “But Hesiod, being a farmer from the mainland
and not knowing things about sailing, but rather (knowing) the most depend-
able aspects of farming.” The restoration of 16 is impossibly long, and its gram-
mar impossibly strained, but such an opposition would be a viable one in itself:
the star-signs in Homer are used for navigational purposes (except at Il.
10.252), those in Hesiod for agricultural (except at Op. 618-621). But that does
not seem to be the author’s stance. Rather, the contrast between Homer and

19
Dion.Hal. de imit. fr. 2.2 Aujac ŞH‡ivodo‡ me;n ga;r ejfrovnti‡en hJdonh'‡ ktl (cf. de comp. verb. 23);
Hunter 2009. Cf. to; melicrovtaton tw'n ejpevwn in the Callimachean epigram quoted below. Cf. also
mevliti in Alcaeus of Messene epigr. 12 G-P, on Hesiod.
P.Oxy. LXVIII 4648 121

Hesiod is elided: Hesiod was acquainted both with seagoing and with farming,
this smoothly completing the transition from the one poet to the other. As to
seafaring, the author no doubt has Op. 618-632 in mind (with Pleiades and
Orion), and could also appeal to 648-694.20 The celebrated opening of the farm-
ing section of the Erga, immediately quoted, serves to cement the affinity
(rather than the difference, as in the Contest of Homer and Hesiod) between the
two poets: both use the Pleiades. Parsons’ hjpeåirwvth‡, “mainlander,” initially
very attractive indeed, becomes less so in this context, and 14 needs a verb,
which hjp(e)åiv‡tato provides.
For the continuation I suggest e.g. kateidçw;‡˚ g˚aå;˚ rç. The somewhat highflown
word would be in keeping with the author’s vocabulary, and besides, like ojr-
fanov‡ (30), seems to have lost much of its elevation in later Greek. Obbink tran-
scribes gewrgço;‡ w]˚n˚, but (i) the first letter appears to be not ]o but çw (righthand
side, open at the top), and (ii) while it is unclear what was written after çw‡,
g˚a˚årç seems to suit the traces better than w˚n˚.
17-18 Not clear (pace ed. pr. in introduction and notes) whether
¦Atlag˚åenevwn or ¦Atlai˚ågenevwn. I assume the former.
18-23 On the reconstruction offered here, this falls into three parts, each
an independent syntactical unit: reaping and ploughing (Pleiades, ending at
ejpi; tåo;n a[roton); grape harvest (Orion, ending at p˚aregågçu˚a)/' ; and a generalizing
miscellanea clause to close (ending at memaqçhvkamen). Ploughing, reaping, and
the vintage are also the three scenes depicted on the Homeric Shield of
Achilles, but without reference to star signs, and by this point the Homeric
shield has been left behind.
18-19 ejpi; to;n a[måhûton tovte ejxwvrçm˚h‡en Obbink, translating “sallied forth to
the harvesting.” (Most 2006, accepting Obbink’s text, translates “[and has set
out just at that time] for the harvest.”) If ejxwvrçm˚h‡en is right, I would take it as
transitive, “he urged (us?, his readers?, farmers?) on to the harvesting.” Cf.
p˚aregågçu˚a'/ in 21: this is Hesiod in didactic role. tovte seems a little too long for
the space even if elided, and its position is not good, since it should not qualify
the verb but refer to the time of the harvesting. Perhaps simply parwvrçm˚h‡en?
The trace preceding h‡en, slight though it is, is constraining, see app.pal. There
seems to be insufficient room for an infinitive (e.g. trevpe‡qai) after 20 a[roton.
An alternative might be diekov‡çm˚h‡en, “he arranged (this star-sign, the Pleiades
at their rising) for the harvesting, and at their setting for the ploughing”: Hes-

20
Cf. e.g. Luc. Hesiodus 1, summing up Works and Days as parainev‡ei‡ gewrgikav‡, kai; o{‡a peri; Plei-
avdwn kai; o{‡a peri; kairw'n ajrovtou kai; ajmhvtou kai; plou' kai; o{lw‡ tw'n a[llwn aJpavntwn (“advice on
farming, all about the Pleiades and all about the seasons for ploughing and reaping and sailing
and everything else”).
122 Hesiodus 3

iod organizes (diako‡mei'n) the seasons of the agricultural year according to the
movements of the constellations. The awkwardness and ellipticality could be
due at least in part to the incorporation of the Hesiodic phrases, the first quoted
exactly, then duomevnwn prosaicizing the Hesiodic form. (duomevnwn may repre-
sent the v.l. duomenavwn rather than the direct tradition’s du‡amenavwn, but that
is not to be relied on.) But the construction would be a very strained one.
20-21 Here the reference is to Op. 609-611, eu\t¦ a]n d¦ ŞWrivwn kai; ‡eivrio‡ ej‡
mev‡on e[lqh/ û oujranovn, ..., tovte pavnta‡ ajpovdrepen oi[kade bovtru‡ (“When Orion
and Sirius come into mid-heaven, … , that’s the time to set about cutting all
the grape-clusters for home”). The passage directly precedes Hesiod’s instruc-
tions on the time to plough, “when the Pleiades and Hyades and mighty Orion
set” (614-616), reprising 384 just referenced. o{te ŞWr˚ivwn ej‡tivn tout court is very
loose, and scarcely intelligible. More fully it would be something like o{te
ŞWr˚ivwn mev‡o‡ ejn tw'/ oujranw'/ ej‡tivn (“when Orion is at his mid-point in the sky”),
and perhaps that is to be restored. Recognition of p˚aregågçu˚a'/ in 21 leads easily
to restoration of what precedes it.
21-22 Obbink, followed by Most 2006, gives kai; o{˚lw‡ tinev˚å‡ û fa‡in, o{tan
kçaiv ti‡i˚ oJ “ajkroknåevçfaio‡˚” paråh'/ (there ending the sentence), translating “and
some say entirely so, when the star ‘rising at dusk’ is also present in some
places”; patently unacceptable. Before oJ ajkrokn˚åevçfaio‡ I see only ti‡, not ti‡i,
and it is then obvious that we have here a pair of indirect questions: who/what
[X] are, and who the “twilighter.” oJ ajkroknevfaio‡ is Arktouros, Op. 566-567
(¦Arktou'ro‡ prolipw;n iJero;n rJovon ¦Wkeanoi'o û prw'ton pamfaivnwn ejpitevlletai
ajkroknevfaio‡); as a hapax the word would have attracted attention, and Ark-
touros is an important star-sign, first mentioned in Hesiod. The missing item
at the beginning of the line I suggest will be the Pleiades. The Pleiades are com-
mon to Homer and Hesiod, as the text has already itself indicated, but it is
Hesiod who identifies them as daughters of Atlas (Op. 384, already quoted).
They are actually named in Hes. fr. 169* M.-W. (there assigned to the Catalogue
of Women, if by Hesiod, assigned by others to the Astronomy), but the author’s
references, and probably his knowledge, are confined to the Erga. There may
be special point in the choice of the Pleiades if the author’s main subject is Ara-
tus, for Aratus enumerates and names them (Phaen. 257ff.);21 cf. also Phaen. 373-
382 on how “some man now dead” (ti‡ ajndrw'n oujkevt¦ ejovntwn) grouped
individual stars into named clusters. An alternative to aiJ Pleiavde‡ might be
aiJ tropaiv, “what the ‘solstices’ are” (cf. Op. 564, in the context of Arktouros,

21
Aratus is silent on their paternity, a datum to be supplied out of Hesiod. Their Hesiodic role as
seasonal and agricultural markers is tossed in at the end of the passage, with intertextual refe-
rence. Cf. Fakas 2001, 131-135.
P.Oxy. LXVIII 4648 123

663, 479), but that seems short for the space; likewise with aiJ ŞUavde‡ (Op. 615),
worth mentioning only because Hesiod himself named all five, seemingly in
the Astronomy (fr. 291 M.-W.).
22-23 parå¦ ejûkeivnou memaqçhvkamen ends the sentence. Obbink’s reconstruc-
tion, wJ‡ de; proeirçhvkamen, ou| dh; öArato‡ ktl, accepted by Most 2006, is ungram-
matical.
For Hesiod’s astronomical knowledge in the Erga see Dicks 1970, 34-38.
23-28 Aratus as zelotes (emulator) of Hesiod, as attested by the Calli-
machean epigram, godgiven fodder for anyone writing on Aratus then as now.
The papyrus’ lines are paralleled in Vita I of Aratus, see intro.
zhl˚åwth;‡ oujk ajgçe˚nnh;‡ “no mean imitator” Obbink, rightly. Most’s “not a
servile imitator” risks misunderstanding.
If mhde; is right in 24, it will mean that Callimachus is not wrong either, just
as others who take the same position are not wrong. Tenable, but barely. mhde;n
would be much easier.
to;n û åKurhnai'ço˚n in preference to to;n û åKallivmacço˚n is supported by (a) the
same form of author-identifications elsewhere in the text (15, 30), and (b) the
definite article, elsewhere omitted with actual names (23, 33, [15]).
26 ajoidw'n, conjectured by Scaliger and accepted by Pfeiffer, now has au-
thority. It is notable, provided the correctness of ajoidw'n is accepted, that the
papyrus is free of the corruption to which the manuscript of Vita I has suc-
cumbed, joining the text transmitted in the Palatine Anthology. Scholars can
continue to disagree on the gender, and on the grammar. (According to Ob-
bink, endorsed by Hunter 2009, “the antecedent of to;n e[‡caton must be trovpo‡.”
I for one would not agree.) Whether the papyrus also had the conjectured tov
t¦ rather than the transmitted tovd¦ is indeterminable; I print tov t¦ but without
any assurance.

MICHAEL HASLAM
4

P.Oxy. LXVIII 4652 saec. Vp

Glossary to Shield

Prov.: Oxyrhynchus.
Ed.: OBBINK 2003, 69-72.
Tabb.: P.Oxy. LXVIII (= OBBINK 2003), Plates II, III; www.papyrology.ox.ac.uk.
Comm.: MP3 504.03; LDAB 10228 MARTANO 2004a; STROPPA 2008a, 89-90.

Parchment codex. Lower part of a bifolium (i.e. sheet folded into two con-
jugate leaves), broken above and to either side. The text is a glossary (“scholia
minora”) to the Shield, written in very short lines (just under 5 cm wide) in the
very formal type of script conventionally known as “biblical uncial”; this spec-
imen is assigned to the fifth century. Prior to writing, rulings were made with
a stylus to mark out the boundaries of the area to be inscribed and to keep the
lines of writing straight and uniform. The basic layout of the text is fairly stan-
dard, but more formalized than glossaries and lexica tend to be. Each lexis be-
gins on a new line, marked off from its metaphrasis (what we improperly call
its gloss) by a dicolon and a short gap; the succeeding lines of the metaphrasis
are indented by a letter or two; another dicolon marks the end of the entry.
With such a format there is no need for use of paragraphi.1 Here, the lines are
so short, accommodating only between 11 and 15 or so letters (some squeezing
can occur at line end), that not only the glosses but also the lexeis themselves
are liable to spill over into the next line. So far as can be seen they are not ac-
corded accents or other diacritics.
On the first three of the four pages represented (Recto-Verso û û Recto-Verso,
û û indicating the central fold), all with the foot of the page, are glosses on select
words and phrases from (1) vv. 243 and 245, (2) 308 and 309 (with slight dis-
ruption of sequence), and (3) 387 and 389. The surviving part of the fourth is
blank, apart from the rulings:2 the end of the glossary will have been reached.
If there was only one column per page, leaf width was only around 9 cm, un-
usually narrow but not impossible. Ed. pr. postulated more than one column

1
A significant difference from the practice with commentaries, where lemmas do not habitually
start on a new line.
P.Oxy. LXVIII 4652 125

to the page, the outer columns lost, and I would guess there were two columns
per page, a fairly well attested format. The supposition yields a codex of more
normal dimensions (though height cannot be estimated) as well as allowing
for more entries to have been accommodated than with a single column.
Ed. pr. also supposed loss of at least one bifolium (two leaves = four pages)
inbetween our second and third pages, i.e. from the center of the quire. That
seems less likely. Given that 243-309 were covered in considerably less than a
single leaf, it is not likely that two full leaves plus one column were needed
for 308-389; and the fact that the foot of the fourth page is blank suggests that
our righthand leaf sufficed to cover the remainder of the poem, 389-480, unless
the glossary unaccountably stopped short. It is best to suppose that our two
leaves are consecutive, i.e. that the recto of our righthand leaf followed the
verso of our lefthand one directly, with no sheets lost inbetween. (Similarly
Martano 2004a, 130.) The bifolium’s very survival would suggest the same.
While naturally the density of gloss-requisite words is not constant over the
course of the poem, it is apparent that the entries got progressively skimpier
as the end got closer.3
Prima facie, then, this is the central bifolium of a quire. However, it seems
more likely to be a unio, a single sheet not forming part of a multi-sheet gath-
ering but bound individually. The glossary to the Shield would probably not
have taken up more than three sheets altogether. And since by this date Theog.
Op. Scut., the only works still in circulation, seem to have often been transmit-
ted together in a single codex,4 it could very well be that this singleton is the
end-sheet of a codex otherwise consisting of multiple-sheet gatherings, one
that carried a glossary covering all three works. If this is so, this scrap repre-
sents not so much a glossary to the Shield as a glossary to the extant works of
Hesiod. It could even be, as Fausto Montana per litt. suggests, that each poem’s
glossary was preceded by the text of the poem in question.
Clearly the glossary was selective. The words chosen for glossing tend to
be hapaxes or unusual forms. A little surprisingly, perhaps, with the exception
of 387 cauliovdwn the Hesiodic lexeis do not appear to have found their way
into the lexica or etymologica. As in most glossaries, they are not all single
words but can be short phrases (243, 245), strengthening the affinity with com-
mentary entries and suggesting that at least some of the entries are in fact

2
The apparent traces visible on the plate are in fact the text on the recto, showing through the
parchment.
3
This is a phenomenon exemplified on a larger scale by the scholia to the Iliad and to the Odyssey
and many other such texts, and serves to remind that compilers and copyists were human too.
4
Directly attested by Π5 (later 4th cent.; LDAB 1271) and Π3 (4th-5th cent.; LDAB 1269), cf. also Π19
(opisthographic roll, 1st cent.; LDAB 1169). West 1978, 77-78.
126 Hesiodus 4

drawn from a commentary; the dividing line between commentary and glos-
sary is here at its thinnest. A surprise entry is 308 ejpikrotevonta, where instead
of a gloss merely the contracted form is given, an odd departure from what
appear to be the glossary’s less elementary norms. The lemma at 245 appears
to be corrupt and incoherent, possibly reflecting competing ancient variants.
Far from being a schoolboy’s work, as so many papyrus glossaries are
(mostly to books of the Iliad), this codex is a professional piece of work, and as
such is presumably a copy of an existent glossary; but it is hard to tell what
sort of history it has behind it. Its entries may originally have been extracted
from a commentary; it may have started life as a glossary in school context,
much like the scholia minora to Homer only somewhat more advanced. Its ex-
istence at Oxyrhynchus suggests that the Shield was still being actively studied
there, not merely being copied, in the fifth century.
Until a proper edition of the scholia to the Shield is available, analysis of
where our glossary stands in relation to them can only be provisional. For the
time being we depend on Ranke’s 1840 edition,5 a pair of fundamental studies
by Hermann Schultz (Schultz 1910, 1913), a few additions to Schultz in Russo’s
edition of the poem (Russo 1965), and a string of preparatory articles by A.
Martano (Martano 2002, 2004a, 2004b, 2005, 2006, 2008), to whom I am in-
debted for offprints and correspondence. The glossary’s entries show little cor-
respondence with those in the manuscripts. With the renowned Ambr. C 222
inf., recognized by Schultz 1910, 13, as carrying a set of scholia isolated from
the rest of the scholiastic tradition, there is no community at all. Of our glos-
sary’s eight lexeis that manuscript glosses three (387, 389 bis), all differently. (I
draw my reports of this manuscript from Martano 2002, who follows Mazzuc-
chi in dating it to the end of the 12th century, earlier than previous datings.)
Among the rest of the scholia, the most telling point of contact is perhaps at
308 calaivnonte‡, anomalously glossed aorist both by the glossary and by the
15th-cent. Par. gr. 2708 (and Mon. gr. 91, which copies that manuscript’s scho-
liastic material); but for 309 ajuvteun their respective glosses differ. For 387
cauliovdwn the glossary and the scholiastic tradition, including the Etymolo-
gicum Genuinum, share the same metaphrasis (with various additions in the
scholia).6 This may be a less significant item than may appear at first sight,

5
For identifications of Ranke’s MSS see Russo 1965, 52, Martano 2005, 462 n.7: Mon. gr. 91, Par.
gr. 2708, 2773, 2772, and 2833. In reporting Ranke’s reports I convert Ranke’s single-letter sigla
accordingly. — There is also Gaisford’s 1823 edition of scholia attributed to Tzetzes and of a pa-
raphrase attributed to John Pediasimus. (This is the edition taken over by the TLG.) The scholia
are not by Tzetzes but are inherited from antiquity, as Ranke 1840 showed, cf. Schultz 1910, 91.
Gaisford’s MSS appear to be the same four Paris ones used by Ranke (with mostly different sigla).
6
Slightly different analysis in Martano 2006, 111.
P.Oxy. LXVIII 4652 127

since the metaphrasis is already present in Ap.Soph. (in the accusative) and in
Cyril and the Σ c 39 C.); but it is noteworthy that it is not shared by Ambr. C
222 inf. too. At the troubled 245 mevmarpon÷en there may possibly be some kind
of correspondence with Mut. gr. 51 (Mut. a T 9.14, Solmsen’s Z), but less at
243. These findings, while in no way compromising the medievally transmitted
glosses’ claim to ancient descent, may serve to qualify Martano’s preliminary
assessment that this glossary confirms their antiquity (Martano 2005, 462, cf.
Stroppa 2009, 90). Lines of transmission are hardly to be traced. What is clear
is that it would be a mistake to think in terms of a single body of inherited
glossographical material for the Hesiodic works.7 (Cf. at Ap.Rh. ⇒ 2, CLGP
I.1.3 p. 11.)
I adopt Solmsen’s sigla for the main Shield manuscripts (different not only
from Ranke’s but also from Russo’s), and use library shelfmark designations
when referring to scholia.

(1) Lefthand leaf Recto


› › ›
1 k˚åata; d¦ ejdruvpton< (243)
t˚o: katåaxuovme<
nai de; h\‡˚åan.
ghvrai te m˚evm˚åar< (245)
5 p˚on: mema˚år

2 seemingly t˚o followed by dicolon and gap, smudged ink(?) stains (blacker in colour) above
and interfering with first two letters: bow (without gap) ed. pr. 3 h‡ ˚å : h[ ed.pr. above first e
a dot, perhaps insignificant but looks deliberate, not apostrophe or diastole; m˚ irregularly
formed 5 p˚on followed by dicolon and gap
——
1 supplevi 2 t˚o˚: (finem lexeos) legi: bovwfinÝ (sine punctis et spatio, inusitate) Obbink 2-
3 katåaxuovmençûai supplevi (vel katåaxeovmençûai possis): (kat)åexe‡mevnçûai vel (kat)åexa‡mevnçûai vel
katåexu‡mevnçûai Martano : katå< et <meçûnai Obbink, de katåakragovmeçûnai (ad bovwfinÝ)
cogitans 3 h\‡å˚ an Martano 5 mema˚åramevnoi (h.e. <ammevnoi) h\‡an Martano : mema˚åv rantai Obbink,
dein fort. uJpo; tou' ghvrw‡ vel sim.

7
The traditional idea of a 2nd-cent. edition of Theog.-Op.-Scut. furnished with threefold apparatus
of scholia, variants, and glosses, this annotated edition serving as the archetype of the medieval
tradition (cf. e.g. Russo 1965, 37-38), is still in need of an overhaul in the case of the Shield. Such a
model is too rigid to account realistically for the amount of variety displayed, and is not true to
the dynamics of transmission. — Likewise questionable is Martano’s attempt, if I understand him
correctly, to derive not just some but all of the medievally transmitted Shield scholia and glosses
from Epaphroditus’ 1st-century commentary (Martano 2005, 489; cf. Martano 2002, 265f., id. 2006,
113-17).
128 Hesiodus 4

“k˚åata; d¦ ejdruvptonçt˚o˚ and they were [tearing] | ghvrai (a mistake for gh'ra‡?) te
m˚evm˚åarçpon (‘and they had laid hold on old age’) they were withered [by old
age] (??)”

(2) Lefthand leaf Verso


› › ›
calaivnonte‡:ç uJ˚p˚o< (308)
calavç‡ante‡.
ajuvteçu˚n:˚ ejyovfou˚n˚. (309)
ejpikçrotevonta: ej˚< (308)
5 piçkrotou'nta.

Dicola after 2 te‡, 3 çu˚n˚, 4 ta, 5 ta 3 ou˚n˚ squeezed to fit


——
1-5 suppl. ed. pr.

“åcalaivnonte‡ç slackening | åajutv eçun were making a noise | åejpikçrotevonta rat-


tling”

(3) Righthand leaf Recto


› › ›
0 åcauliovdwn: ke<ç (387)
1 c˚åala‡mevnou‡
e[cwn˚ t˚åoçu˚;å‡ ojdovnta‡.
docmwqeiv‡: π̣l˚åa< (389)
giav‡a‡.
5 ma‡ticovwnti: t˚r˚i˚< (ib.)

Dicola after 3 qei‡ (unless single middle point), 4 ‡a‡, 5 ti


——
0-2 post Obbink supplevi, 0-1 keçûc˚åala‡mevnou‡ spatio aptius quam ejpikeçûc˚åala‡mevnou‡ 2 ojdovn-
ta‡ fort. erat ojdovn(ta‡) 5 t˚r˚i˚ vix incertum, vix sanum : trivûåbonti reciperet Martano : privûåonti
debuit puto librarius; dein tou;‡ ojdovnta‡

“åcauliovdwnç with [slackened tusks] | docmwqeiv‡ turning sideways | ma‡ti-


covwnti gnashing [its teeth] (?)”
P.Oxy. LXVIII 4652 129

(1) Lefthand leaf Recto


1-3 ad 243 kata; d¦ ejdruvptonto. The verse runs cavlkeon (calkevwn de Pauw,
probb. edd.) ojxu; bovwn, kata; d¦ ejdruvptonto pareiav‡. At the beginning of line 2
ed. pr. read bow, taking this to represent bovwfinÝ as the word glossed, and taking
the directly succeeding katå as either the beginning of the gloss—in which case
the absence of dicolon+gap is anomalous (and a gloss on bovwn would not be
expected to begin with kat<)—or the continuation of the lemma, unaccount-
ably running on into the next clause and stopping short at kata; d¦. The cluster
of anomalies vanishes if we may take the lexis not as bovw⟨n〉 but as kata; d¦ ej-
druvptonto. And to ć , not bovw, is I think what was in fact written. Apparent ink
stains have confused the letters, but the fine cross-stroke of tau is visible, if
only faintly, and to seems clear enough, as also does the dicolon with gap fol-
lowing.
This particular lexis (ejdruvptonto or katedruvptonto) seems not to have found
its way into the lexica or etymologica, but cf. Hsch. d 2434 L. druvpte‡qai:
kataxuve‡qai, which could well refer to this Hesiodic locus (the prefix of the
gloss representing Hesiod’s kata;, and druvpte‡qai infin. itself having no attested
literary occurrence to which the entry could be referred). The verb kataxuve‡qai
is apter than others that could come into question (<xaivne‡qai, <xeve‡qai,
<muv‡‡e‡qai, <‡parav‡‡w), and nicely fits the space. The distinction between xuvein
and xevein may have collapsed by this period, however, so I would not exclude
<xe<. Martano 2004a, p. 133, reports ejxevonto in a paraphrase in Mut. gr. 51. The
middle form is accounted for by the lexis. Imperfect rather than pluperfect
(Martano) is what is wanted for correspondence with the lexis. Νo exception
can be taken to the periphrastic form.
4-5 ad 245 ghvrai(Á) te mevmarpon. An intriguingly problematic entry. ghvra/
te mevmarpon is new and nonsensical; and what was the metaphrasis?
The editorially accepted and indubitably correct Hesiodic text of 245 is
a[ndre‡ d¦ oi} pre‡bh'e‡ e[‡an gh'rav‡ te mevmarpen (“the men who were elders and
[whom] old age had taken hold of”). In the manuscript tradition this is report-
edly carried only by the 14th-cent. F (Par. gr. 2773), whether by conjecture or
drawing on other sources.8 The singular is implied also by a scholium on the
verse (the lemma stops short at a[ndre‡ d¦ oi} pre‡bh'e‡) reported by Ranke 1840,
34 as oiJ pre‡buvtai. oiJ pre‡beutai;, ou}‡ to; gh'ra‡ katevlaben (“the elders, the coun-
sellors, whom old age had laid hold of”)·9 oiJ dev: mevmarpten (mevmarfipen oi||on
e[marÝpten?) aujtou;‡ to; gh'ra‡ ajnti; tou' katelavmbane (“According to others, old

8
The MS was written by a scholar who “quae in exemplari invenit non caeca mente transcripsit
sed et proprio ingenio et aliis fontibus usus esse videtur,” Solmsen 1990, xxiii, cf. Rzach 1898, 591-
625, esp. 607-608 (“eine alte Variante oder bloss ein gute Conjectur”); and cf. next note.
9
Was F’s mevmarpen in the Hesiodic text inferred from the scholium?
130 Hesiodus 4

age memarpten them, for ‘was laying hold of’ ”). The disagreement here is over
the tense: aorist (i.e. 2nd aor. with reduplication) or imperfect(?!). The peculiar
form of the verb understandably caused difficulty.10
Our glossary had mevmarpon, plural, and this was evidently the paradosis. It
is shared with nearly all the main MSS, J (Ambr C 222 inf.), S (Laur. 32.16), and
RL. The atrociously copied B has mevmarptwn i.e. <pton. mevmarpton will be sec-
ondary to mevmarpon, I take it. The m group of manuscripts have mevmarpto (<
<pto(n), I would guess). All have gh'ra‡ (gh'ra B). The plural, <pon or <pton,
makes gh'ra‡ the object rather than the subject of the verb. Presumably this
originated in discomfort over the unsignalled switch of subject in the relative
clause. Od. 24.390 kata; gh'ra‡ e[maryen v.l. e[marpten validates the singular. Our
glossary certifies the premedieval currency of the erroneous plural.
But while all the MSS have gh'ra‡, whether as subject or as object, our glos-
sary has ghrai = ghvra/, as if the verb were passive. This might simply be a copy-
ing mistake. Yet the dative is not entirely unknown to the scholiastic tradition.
Reports are confusing, but ghvra/ te memarptai÷memartai is an attested v.l., and
Martano 2004a reports a comparable gloss, but in a more acceptable tense, in
the 15th-cent. Mut. gr. 51: uJpo; tou' ghvrw‡ h\‡an memaramevnoi (= memarammevnoi),
“they were wasted by old age.” This raises the possibility that the glossary’s
dative owes its existence to some such reading as ghvra/ te memartai. (Was memar-
tai taken as a collapsed form of memavratai 3 pl.?—it was evidently not taken as
equivalent to ei{martai.) Yet our glossary’s mevma˚årçp˚on is incompatible with ghvrai.
Either <ai is just an error for <a‡, or this is a case of contamination in the lemma.
The metaphrasis itself complicates matters further. Obbink proposed
memav˚årantai as given as a gr. variant in Mon. gr. 91, perhaps followed by uJpo;
tou' ghvrw‡ as there. Perfect singular: uninviting, even if it had authority. Mar-
tano 2004a, following Mut. gr. 51, counterproposed mema˚åramevnoi h\‡an, which
at least has the advantage of mitigating the discrepancy of tense and number.
That metaphrasis might just about be compatible with gh'rav‡ te mevmarpon (“old
age had laid hold of them” = “they were wasted by old age”), but the coinci-
dence of having one verb (mavrptein) glossed by a different one that just hap-
pens to be so alphabetically close but is so very different in meaning (maraivnw)
is suspicious to say the least; and it leaves the glossary’s dative in the lemma
unaccounted for. I venture to suggest that the verb-form of the lemma was re-
ferred not to mavrptein but to maraivne‡qai, accompanied by ghvrai. As engen-
dering memara(m)mevnoi h\‡an one could imagine memarto, perhaps (analyzed as
a syncopated form of memavrato, epic 3 pl. plpf.?), or mevmarnto (analyzed, if at

10
And continues to do so: LSJ takes it as perfect, which the context surely disallows. Despite the
participle memarpw‡ at Op. 204 I take it to be a reduplicated aorist, an old formation built on the
zero-grade root, like e.g. pevpiqe. Cf. 252 memavpoien (which LSJ does recognize as aorist).
P.Oxy. LXVIII 4652 131

all, as 3 pl. plpf. formed on mevmarmai ~ memavra(m)mai?).11 The process of cor-


ruption could be memarpo(n) > memarto or memarpton > memarpto > memarnto; in
either case only the last stage is unattested in the tradition. ghra‡ would have
become ghrai accordingly.
However that may be, I think the least implausible way of accounting for
what stands in the glossary, in light of the reported variants and metaphrases,
is to suppose that the original verb in the lemma has been displaced by mevmar-
pon from the main tradition, but ghvra/ left untouched, resulting in an impossible
lemma and an inapplicable metaphrasis. Given what is left of the metaphrasis,
which seems to exclude the possibility that ghrai is just a mistake for ghra‡,
no simpler solution presents itself.
In any event, the glossary’s entry as it stands must be deemed both corrupt
and incoherent.
In the medievally transmitted scholia, no glosses are reported for 252
memav(r)poien, which I find surprising. 231 mapevein is glossed katalabei'n kai;
mavryai in the main scholia; more idiosyncratically Ambr. C 221 inf. gives
krath'‡ai both at 231 and 304, Mon. gr. 91 patei'n.

(2) Lefthand leaf Verso


1-2 ad 308 calaivnonte‡. Naturally the hapax is glossed. Discrepancy of
tense between lexis and gloss (here aor. rendering pres.) is unusual, but this
instance is matched in the scholium carried by Par. gr. 2708 (followed by Mon.
gr. 91), glossing rJuta; calaivnonte‡ with ta; calina; calav‡ante‡. This may be co-
incidence but looks like a significant conjunction, even though the scholium
gives only the simplex. — For this uJpo< compound applied to verbs not so com-
pounded cf. e.g. Sud. e 3858 A. ejfevnte‡ (cf. ejfive‡an Scut. 307): ejndovnte‡,
uJpocalav‡ante‡, sch. Ap.Rh. 2.584-585 ad ajgcalav‡a‡, sch. Aristoph. Vesp. 396
kaqima'/, 646-647 pepa'nai. In later Greek uJpo< quite often adds little or nothing
to the sense of the verb with which it is compounded. Ambr. C 222 inf. glosses
rJutav (ta; calinav; likewise Par. gr. 2708) but not the participle.
3 ad 309 ajuvteun. This entry or the next is out of position; such minor dis-
ruptions of sequence are not uncommon, but see on 4-5. The gloss is context-
sensitive: ajutei'n is normally glossed by boa'n or fwnei'n or the like, words
implying vocal sound. Par. gr. 2708 and Mon. gr. 91 give h\con ejpoivoun, Ambr.
C 222 inf. nothing.
4-5 ad 308 ejpikrotevonta. A startlingly elementary gloss, quite out of keep-
ing with the other entries, and applying not to the meaning but merely to the
uncontracted form found everywhere in epic. No gloss is reported for the scho-

11
Quint.Smyrn. 9.371 has memavranto, regularly formed 3 sing.
132 Hesiodus 4

lia. Perhaps it has crept in from a marginal addition in the exemplar: that could
explain its being slightly out of sequence here.

(3) Righthand leaf Recto


0-2 ad 387 cauliovdwn. Another Hesiodic hapax. The restoration seems se-
cure enough. The commentary that underlies the transmitted scholia (both in
MSS and in the Etymologica) evidently gave the same metaphrasis: EGen.B s.v.
adds ejxevconta‡ at the end, while versions in the direct tradition variously insert
fanerw'‡ or append kai; ejkkremamevnou‡ (Martano 2006, 111; unlike Martano I
take all these to be mutually independent clarificatory expansions). The
metaphrasis may derive from Ap.Soph.’s entry on cauliovdonta (167.3-5 B.), a
lexis which I have suggested is to be recognized as an otherwise lost v.l. at Il.
9.539 (Haslam 1992, 324-325): Ap.Soph. gives to;n ejpikecala‡mevnou‡ e[conta tou;‡
ojdovnta‡. (Apion’s wayward kauliovdonta, called laughable by Ap.Soph. [Apion
fr. 155 Neitzel], will not be relevant to our glossary.) The cauliovdwn metaphra-
sis, whether or not drawn from Ap.Soph., passed via Cyril to the Σ c 39 C.;
Synag. adds ejxevconta‡, > EGen.).
A different metaphrasis is offered by Ambr. C 122 inf.: e[xwqen uJpofaivnwn
tou;‡ ojdovnta‡, deriving ultimately I imagine from Aristotle (Ar.Byz. epit. ap. Ael.
NH 11.37). Hesychius (c 236) gives Ap.Soph.’s gloss in expanded or fuller form,
to;n ejpikec. e[c. tou;‡ ojd. e[xw tw'n a[llwn ojdovntwn kai; tou' ‡tovmato‡, and appends
another, oiJ de; ajmfovdonta‡ (leg. ajmfwvdonta‡); cf. also Eustath. ad Od. 19.450. The
metaphrasis is rather odd in itself, for one hardly expects kecala‡mevnou‡ to
mean “protruding” (hence, I presume, the various amplifications in Synag. >
EGen., scholl., Hsch., Eustath.). It should be seen as carrying etymological im-
plication (caul< ~ cal<).
3-4 ad 389 docmwqeiv‡. docm< words are routinely glossed with plagi< words.
Ambr. C 222 inf. gives plagiwqeiv‡ (Martano 2002, 186); the paraphrase edited
by Ranke 1840, 41-65, gives plagivw‡ ‡trafeiv‡ (p. 64); Ranke’s poem
manuscripts pass over it. plagiav‡a‡ is elsewhere used to gloss ajpodocmwv‡a‡
Od. 9.732 (sch.BPV and Hsch.; sch. continues dovcmion ga;r to; plavgion).
5 ad 389 ma‡ticovwnti. It is unclear how this hapax was glossed. With tri,
which is almost certainly what is written, nothing less inept than trivûåbonti tou;‡
ojdovnta‡ seems to offer itself (championed by Martano 2004a, 134-5, but it gives
quite the wrong meaning). It is tempting to suspect corruption, with ed. pr.,
who offered a number of e.g. suggestions, privonti, ptuvonti, tuvptonti, to which
one could add traûåcuvnonti. I would suppose privûåonti presumably followed by
tou;‡ ojdovnta‡: minimal error, requisite sense. Ambr. C 222 inf. gives ma‡‡wmevnw/,
Ranke’s manuscripts do not gloss.

MICHAEL W. HASLAM
5

P.Oxy. XXVIII 2484 saec. IIp

Note on Catalogue of Women fr. 30 M.-W. (20 H., 27 Most)

Prov.: Oxyrhynchus.
Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: LOBEL 1962, 22; MERKELBACH-WEST 1967, 20 ~ HIRSCHBERGER 2004, 100.
Tabb.: P.Oxy. XXVIII pl. IV; www.papyrology.ox.ac.uk.
Comm.: MP 517.1; LDAB 1196 MCNAMEE 2007, 259.

A note added in the upper margin of a column of an early 2nd-cent. manu-


script of bk.1 of the Catalogue. The poetic text, furnished by the copyist with
plentiful accents and other diacritics, is written in an uncalligraphic but clear
and proficient bookhand assigned to the first half of the second century. The
note was added by another not much later hand in a smallish informal script
characteristic of such marginal annotations. The column above which the note
is written begins with fr. 30.12 and continues to at least fr. 30.33, where the pa-
pyrus breaks off; it may have continued for several more lines. These are the
lines which recount Zeus’ retributive actions against Salmoneus and his people
(12-23) and then proceed to tell the subsequent history of his daughter Tyro,
spared because she had opposed her father’s vying with the gods (24-35 and
beyond).
We give the first line of the main text in order to show the approximate po-
sition of the remains of the note relative to the lines of verse. It is not to be
thought that the note applied to this particular verse.

› › ›
çe˚pi˚å
çe˚i de; ’aålmwn<Á
çe˚i Turw; kai; ˙å
c. 9 çn: oJ d¦ ajga't˚åo path;r ajndrw'n te qew'n te

There may have been one or two lines lost above the three partially sur-
viving lines of the note, but probably not. Quite a lot could be missing to the
right.
134 Hesiodus 5

It is unclear what the character of the note was, but it does not look as if it
was pinned to a specific verse. It might simply be mythological summary.

MICHAEL W. HASLAM
6

PSI XV 1465 + P.Oxy. XXX 2511 saec. IIp in.

Marginal notes on Catalogue of Women fr. 96 H. and fr. 212(b) M.-W. (99
H., 152 Most)

Prov.: Oxyrhynchus.
Cons.: Florence, Istituto Papirologico “G. Vitelli” (PSI); Oxford, Sackler Library, Papy-
rology Rooms, (P.Oxy.).
Edd.: PSI: MANFREDI 1979, 37-39; MARCH 1987, 13-14; HIRSCHBERGER 2004, 131; PERNIGOTTI
2008.
P.Oxy.: LOBEL 1964, 10-12; MERKELBACH-WEST 1967, 108; MARCH 1987, 14, 18-19;
MERKELBACH-WEST 1990, 183; HIRSCHBERGER 2004, 132-3; MOST 2007, 216-18.
Tabb.: MARCH 1987 pl. 13bc; PSI XV tav. VIII (much reduced); www.psi-online.it (PSI);
P.Oxy. XXX pl. II; www.papyrology.ox.ac.uk (P.Oxy.).
Comm.: MP3 527.1 and 527.2; LDAB 1205 MARCH 1987, 13-20 ~ MARCH 1988;
HIRSCHBERGER 2004, 377-379 (PSI) and 384-386 (P.Oxy.); MCNAMEE 2007, 260; West
2008, 40.

Marginal annotations added to a de luxe 2nd-cent. manuscript of bk. 4 of


the Catalogue, a papyrus roll. Found in two separate excavations, the fragments
probably belong in the same vicinity in the poem (cf. West 1985, 39-41 for the
principle), and may indeed come from the same column, the PSI one preceding
the P.Oxy. ones. They are written in the calligraphic round upright strictly bi-
linear kind of script conventionally known as “Roman Uncial”; this specimen
I would assign to the earlier second century (I/II Pernigotti, arguably rightly).
The PSI fragment, broken above and below, has the ends of thirteen otherwise
unknown verses (fr. 96 H., omitted by Merkelbach-West 1990 and by Most
2007), the P.Oxy. ones more substantial remains of ten or eleven (fr. 212(b) M.-
W., 99 H., 152 Most, uniting with fr. 211 M.-W., 100 H.). The annotations, by a
clearly different but not much later hand, are written in a small informal script,
positioned as conventionally to the right of the verses to which they pertain.
Three are in evidence in the PSI fragment, just one (doubtfully) in the P.Oxy.
ones. They are not simple glosses—one of them gives the epic form Phlh''o˚‡,
another may just possibly cite Nicanor, another just possibly Il. 2—but there is
not enough of them left to reveal much about their nature.
For the PSI fragment I give the section of the text where the annotations are
found, vv. 4-7. Since most of the other verses reach closer to the broken edge
136 Hesiodus 6

of the papyrus, it cannot be assumed that they had no attendant notes (the
same applies to the P.Oxy. piece); but the next two verses (8-9) did not, at least.

PSI 1465, vv. 4-7


çg˚wν̣ ˙å (a)
¦Iaçwlkw'˚i th'/ b˚ aå (b)
Kçuqevr˚eia
çoi‡in: Phlh˙˙å˙ç˙å (c)

P.Oxy. 2511, v. 9
ejn eujrçu˚c˚ov˚r˚wi˚ ¦I˚a˚wålçk˚åw'i ç˙˙å (d)

(a) a˚˙å˙˙ç˙å ed. pr., a˚˙å March, g˚å˙˙ç˙[ Pernigotti: an  i.e. Νι(κάνωρ)?
(b) in textu <wi corr. in <on pap. (ed. pr.) th'/ baå‡ileiva/ ed. pr. tacite: an ejnç û th'/ b ajå< vel ¦Aå<?
(c) Phlh'o‡ åqçu˚ågavthr ed. pr., Phlho˚˙å˙ç˙å March, sim. Pernigotti
(d) çk˚f˚å vel çk˚y˚å ed. pr.: ejçk˚f˚åevrwn March

It is possible that (a) and (b) represent a single three-line note, with the sec-
ond line missing between them (the papyrus is torn away).
(a) For the poetic text I expect ajçgw'n˚ (Manfredi) is right, though the putative
n looks oddly formed and oddly aligned. The beginning of the note is dam-
aged, and decipherment uncertain. Manfredi proposed a˚y˚å , a˚ff˚å , or a˚r˚e˚å . If
the first letter is in fact α, the position of the following tail suggests arå , which
makes ¦A˚r˚å(iv‡tar)c(o‡) a possibility. But the short stubby slightly curved up-
right at the beginning does not suggest alpha. Pernigotti suggests gamma. A
better reading might be the compendium Ni (an elongated iota dropped
through the centre of a squat n), the conventional abbreviation for the scholar
Nicanor. Nicanor is cited in quite a number of Oxyrhynchus papyri of similar
date (cf. McNamee 2007, 39, for marginalia occurrences). Unlike Aristonicus,
with whom he is sometimes associated, he is not expressly attested as having
worked on Hesiod, but on the basis of the papyrological evidence for his work
on other poets and of his known work on Homer one would guess that he did.
If this reading is right (the damage precludes certainty), he is probably cited
for a v.l.
(b) In the primary text it does not look to me as if ¦Iaçwlkw'i has been cor-
rected to ¦Iaçwlkovn, as Manfredi thought. Pernigotti likewise expresses doubts,
both about the putative nu and the cancellation of the iota, but still follows
Manfredi in transcribing ¦Iaçwlkovn˚•i˚¶. It may be that there is just a dab of un-
wanted ink in the righthand half of the omega, so that the intention was simply
¦Iaçwlkw'i. — In the note, a gap of a full letter’s width separates a from β˚, mak-
ing it look as if the α begins a new word. The putative beta, while it is very
PSI XV 1465 + P.Oxy. XXX 2511 137

loosely formed (two more or less vertical strokes, the second taller and bent
inwards at top and foot), is not easily taken as anything else, but if the articu-
lation is th'/ baå , the gap between b˚ and aå is most anomalous. The spacing sug-
gests rather th'/ b, which would be a reference to bk. 2 of Il. or Od. (sc.
rJaywdiva/—the normal way of referring to what we inaccurately call Homeric
“books”).1 Against this is the fact that there is no trace of the supralinear bar
which usually signals a numeral—yet it is in fact in bk. 2 of the Iliad that the
sole Homeric mention of Iolkos is found (712). If that is right, another line will
be lost above (the spacing is suitable), and we could restore … õOmhro‡ ejnç û th'/
b v. The following α[ could be i.a. Admetos, or Akastos.
That is the interpretation I would propose. But if the articulation is th'/ baå
after all, perhaps th'/ baå‡ileiva,/ whether “the queen” (so Manfredi) or “the king-
dom.” If th'/ baå‡ileiva/ refers to (?ejn eujrucovrwi) ¦Iaçwlkw'˚i, it might mean the
kingdom as a whole as distinct from the city itself. More likely would be a ref-
erence to Akastos’ wife, who made sexual overtures to Peleus which he
spurned. Was she named in the verse? It may be relevant that different author-
ities knew her by different names (Hippolyte in Pindar, but Astydameia in
Apollodorus; also Kretheis; refs. at Hirschberger 2004, 377).
(c) phlh< in the context of Iolkos (v.5) strongly suggests Peleus (cf. v.2
çl˚h˚eih‡˚:, probably Phçlheivh‡, and frr. 207-212(b) M.-W.); but the form, unex-
pectedly, is epic. The traces following Phlh are vestigial; Manfredi’s Phlh'o‡
åqçu˚ågavthr, accepted by McNamee 2007, seems unwarranted. It was informed
by Il. 16.175 (o}n tevke Phlh'o‡ qugavthr kalh; Poludwvrh) and an attendant T-
scholium stating that according to Zenodotus Peleus’ daughter was Kleodora,
while “Hesiod and the rest” call her Polydora (fr. 213 M.-W.). All we can be
sure of is that the papyrus note quotes a verse fragment mentioning Peleus (in
oblique case, probably gen.). Why that should be we cannot tell. An adduced
quotation (whether from Hesiod or Il. 16)? A spelling correction? A variant for
e.g. ba‡ilh'<?
McNamee 2007 mistakenly refers this note to P.Oxy. 2511 v.9, cf. (d).
(d) If the damaged thin strokes do in fact represent letters, a note in the right
margin, or something in the left margin of the next column? Vv. 8-9 largely co-
incide with P.Stras. inv. 55 (fr. 211 M.-W., 100 H.) vv. 1-2, only P.Stras. inv. 55
has not ejn eujrucovrou ¦Iawlkw'/ but ejx eujrucovrou ¦IfiaÝwlkou', preceded by a[gwn.
If they represent the same verses, as is very tempting to suppose (March 1987
and Most 2009 effect the combination), we have an ancient textual variant (one
among several known), but whether that is relevant to the apparent marginale

1
Correct Dickey 2007, 119.
138 Hesiodus 6

in P.Oxy. 2511 there is no knowing. March 1987 supplies eJlwvn in the P.Oxy. text,
and proposes ejçk˚f˚åevrwn for the note; that would better suit present-tense a[gwn
than eJlwvn. The reading is really too uncertain to warrant speculation.
In addition, ed. pr. reported a marginal aå to the right of PSI 1465 v.11 (ç t˚¦
eij‡ •‡¶fil˚ovt˚h˚t˚a:),2 taking this to be the first letter either of a verse in the next
column or of a marginal note. Similarly Pernigotti. It looks to me, however, as
if the putative marginal alpha is in fact the final letter of fil˚ovτ̣η̣τ̣α̣, extending
to the broken edge of the papyrus.

MICHAEL W. HASLAM

P.S. After inspection of the PSI fragment, Guido Bastianini approves the read-
ings here proposed for (b), Νι(κάνωρ) (Ni compendium) and th'/ b; the numeral
bar above b could very well be lost to abrasion.

2
The putative sigma with cancellation dot between eij‡ and filovthta is perhaps rather an aborted f.
Hesiodus - schede 139

SCHEDE

(a)

P.Oxy. LXVIII 4649


Saec. IIIp. Oxyrhynchus. Ed.: OBBINK 2003. Comm.: MP3 493.01, LDAB 10225; STROPPA
2008a, 84-85.
Two papyrus scraps, written in a small sloping version of the “severe style.”
One of them (fr. 2) gives a quotation, in non-stichic form, of Th. 6-7. The quo-
tation may have continued into v. 8, but no further than mid-verse, ka˚ålou;‡
iJmeroventa‡ û, for there is a paragraphos below the beginning of the line, indi-
cating that the quotation ends in that line; ka˚å could alternatively be ka˚åiv, the
quotation terminated at the end of v. 7. There the papyrus breaks off. The quo-
tation is introduced by fh˚å‡içn; what preceded that (ŞH‡ivodo‡, perhaps?) is lost.
The other scrap (fr. 1) appears to be wholly prose: 1 ç˙å û 2 ç˙a‡par å û 3 ç‡˚a‡ oJdemå
(with trace of tip of apparent paragraphos beneath ç‡˚) û 4 ejçpi; tou' pe˚r˚å û 5 çfh‡˚å .
(Some of these lines could in principle be hexameter or other verse, but appar-
ently unattested if so.) Ed. pr. suggests “a commentary or prose discussion on
the Hesiodic passage,” noting that çpi tou pe˚rå could be ejçpi; tou' Pe˚råmh‡‡ou', a
comment on v. 5. (Alternatively ejçpi; tou' “Pe˚råmh‡‡oi'o”?)
The quotation is most unlikely to be the lemma of a commentary, however,
not so much on account of its length (so ed. pr.) as on account of the directly
preceding fh˚å‡içn, with no gap or stop to indicate transition from comment to
lemma, and with no paragraphos; and it is not set in ecthesis, as lemmas in
commentaries customarily are. It is evidently a quotation embedded in a
longer sentence (cf. ⇒ scheda (d) below). And with or without Permessos, quo-
tation of this Hesiodic passage need not imply that the text primarily concerns
Hesiod. It could just as well be e.g. a treatise on the Muses (fr. 1.3 e.g. oJ de; Måivm-
nermo‡, cf. Mimn. fr. 13 W.?); a treatise on Boeotia (such as fiNicoÝcrates’, cited
in a scholium on Th. 5); a commentary on Nic. Ther. (cf. Ther. 12, ŞH‡ivodo‡
katevlexe par¦ u{da‡i Permh‡‡oi'o); or a number of other things.

***

(b)

P.Oxy. LXVIII 4650


Saec. IIIp. Oxyrhynchus. Ed.: OBBINK 2003. Comm.: MP3 495.01, LDAB 10226; STROPPA
2008a, 86.
A narrow and darkened strip of papyrus with remains of 21 lines written
140 Hesiodus - schede

in a small round informal bookhand, only a few letters of each line surviving.
In lines 8-9 ed. pr. hesitantly recognized a quotation of Th. 218-219, Klçwqwv dåe
(for te) Lavce‡ivn te kai; öAtropon, ai{ te brotoi'‡i û geiçnomevånoi‡i didou'‡in e[cein aj-
gaqovn te kakovn te (a pair of verses generally regarded as interpolated, appar-
ently unknown to the scholia but already in at least some copies of the text by
the third century; cf. Th. 905-906). It would be an isolated quotation, since the
adjacent lines do not correspond to the Hesiodic text. Line 1 (seemingly the
first of the column) is transcribed as ç K˚erbeår<, a possible link with Th. 311. As
a possibility for the type of text represented ed. pr. proposes “a commentary
or prose discussion of Hesiod, with his mythology or eschatology as a topic.”
The basis for such speculation is disconcertingly fragile. Lines 8-9 may not
in fact be Th. 218-219. The surviving letters, only four in each line, do not ac-
tually match the Hesiodic text (de for te is a common confusion, but perilous
to postulate without compelling cause); the putative verse-beginnings are in
alignment, as they would be in a verse text but in a prose text only by coinci-
dence, and lines of prose are generally shorter than lines of verse; and çnomeå
may be thousands of things besides geiçnomevånoi‡i. If the two lines were in fact
the Hesiodic verses, or modelled on them, it may be, as ed. pr. alternatively
suggests, that this is a verse text recycling bits of Hesiod; but what little re-
mains of the rest of the lines does not at all suggest a hexameter text, but looks
more like prose. No confidence can be felt in 1 K˚erbeår<, either. The putative
kappa is a very forced reading; as ed. pr. acknowledges, it looks more like an
eta; or if it is pi (which looks not impossible; at any rate better than kappa),
uJçp˚erbeåbhk< offers itself. The remainder of the broken lines contain a few po-
tentially telling letter sequences, but nothing pointing in the direction of Hes-
iod. Klçwqwv itself certainly cannot be regarded as assured, especially if this is
a prose text, and even if it is correct may have no direct connection with Hes-
iod. What the text as a whole had to do with Hesiod is quite unclear; very pos-
sibly nothing.

***

(c)

P.Ant. II 60
Saec. Vp (?). Antinoopolis. Comm.: MP3 1952, LDAB 5364; CLGP II.4 p. 115.
A scrap of a papyrus codex with poetic quotations, among them possibly
Erga 30, once taken to be a commentary, but in fact from a Herodianic treatise
on nouns (Meliadò 2006, 49-54).
Hesiodus - schede 141

***

(d)

P.Oxy. LXVIII 4651


Saec. IIIp. Oxyrhynchus. Ed.: OBBINK 2003. Comm.: MP3 488.01, LDAB 10227; STROPPA
2008a, 85-86.
A papyrus scrap with quotation of Op. 219-224(?) embedded in an evidently
prose text; remains of 9 lines in total, written in an small informal spiky book-
hand, all but the first two occupied by the quotation. The traces of line 9 are
consistent (pace ed. pr.) with oi{ û tev minç ej˚x˚åelav‡w‡i, extending the quotation at
least as far as 224. What is left of the first two lines, the presumed prose, is
largely lost to abrasion: line 2, before the quotation begins at aåujtivka, ed. pr.
transcribes go˚˙˙˙˙, suggesting n for the last of these letters. The letter after g
might be r rather than o, but there is not enough room for gravfwn. The quota-
tion is not put in ecthesis, and is not attended by a paragraphus at the outset.
This should indicate that the quotation is incorporated in a sentence already
under way, and makes it unlikely that it is a lemma in a commentary (cf. ⇒
Scheda (a) above); in any case it is unusually long for a commentary lemma.
Ed. pr. alternatively suggests that the lines may have been quoted as part of a
commentary on another of the passages mentioning dwrofavgoi kings, Op. 39
or 264. That is conceivable (in which case the reference is more likely to have
been forward from 39, not backward from 264), but again the quotation seems
too extended for that. There is no good reason to postulate a hypomnema on
Hesiod at all. There are other contexts in which Hesiod’s lines on crooked Jus-
tice could have been quoted.

***

(e)

P.Berol. inv. 17042


Saec. IVp. Hermoupolis. Ed.: MÜLLER 1968. Comm.: MP3 491.4, LDAB 1263; STROPPA
2008a, 87-88 (with poor photo; digital image online at http://berlpap.smb.museum).
Published as a “Kommentar zu Hesiod, Erga?”, the text on this scrap of pa-
pyrus is less likely to be that than something else, though precisely what is not
clear. It has the ends or latter parts of thirteen abraded lines written in a small
hand with cursive tendencies assignable to the 4th century CE, perhaps the first
half; blank below as if column foot. The writing is against the direction of the
fibres, but the other side is reportedly blank. So it is possible that this is a frag-
ment of a codex, a recto page, the verso blank because the end of the text has
142 Hesiodus - schede

been reached; or it may be the back of a papyrus roll whose front happens to
have no written text just here (the width is c. 6 cm. at its widest point). The
lines are very irregular in length, yet to all appearances are not verse. Line 3 is
ç aiJ Pleiavde‡, line 5 kçat˚apontizou ˙å (<‡˚åi?, <‡˚åai?) (“the Pleiades … they sub-
merge in the sea”). That not unreasonably led ed. pr. to think of the setting of
the Pleiades, and he proposed a commentary on Erga 614ff. (614-616 aujta;r ejph;n
dh; û Plhiavde‡ q¦ ŞUavde‡ te tov te ‡qevno‡ ¦Wrivwno‡ û duvnw‡in, cf. 619-620 eu\t¦ a]n Pl-
hiavde‡ ‡qevn. o[brimon ¦Wr. û feuvgou‡ai pivptw‡in ej‡ hjeroeideva povnton). But as
Stroppa 2008a pointed out, the irregularity of the line ends tells heavily against
the idea of a commentary; commentaries normally justify the right margin just
as ordinary texts do. The layout is characteristic of lexica and glossaries. An
apparent gap left before aiJ Pleiavde‡ and perhaps before one or two of the other
prospective glosses (7, 10?) suggests the same.
A modification of ed. pr.’s suggestion, accordingly, might be that our text
is a glossary to the Hesiodic passage, 3 aiJ Pleiavde‡ glossing 614 Plhiavde‡, 5
kçat˚apontivzou‡˚åin glossing 620 pivptw‡in (ej‡ hjeroeideva povnton). Indic. glossing
subj. would not be too exceptional, and supplying eJautav‡ would save the active
of katapontivzein from being intransitive as ed. pr. postulated. But the remain-
ing lines do not accommodate themselves at all readily to the notion that it is
the Hesiodic text that is in question (pace ed. pr., for whom the intervening line
4 kçlh'ro‡ “würde sich diesem Sachverhalt gut einfügen”). Line 9 ajp˚eq˚evri‡en
(“he/she/it cut off”) could refer to reaping (but of individual ears rather than
the harvest as a whole) but the aor. indic. fits nothing in Hesiod other than the
castration of Ouranos at Theog. 181.
Instead of the Erga one could think of the Astronomy that went under Hes-
iod’s name: three mentions of the Pleiades (spelt Peleiavde‡) are the sum total
of what is attested for that poem, one of them running th'mo‡ ajpokruvptou‡i
Peleiavde‡ (fr. 290 M.-W.). A glossary to the shadowy Astronomy is thus a pos-
sibility worth considering. But really there seems no adequate reason to refer
the fragment to Hesiod at all; it is not as if the Pleiades are unique to him. It
may be some kind of lexicon: 3 in Plhiavde‡, 4 in pavlo‡?, 5 in pontou'‡i?—but
spacing does not commend, and 9 ajp˚eq˚evri‡en does not suggest a lexis in p< un-
less prodelided, (aj)phvmh‡e v. sim. Or it may be a glossary to a probably un-
known and presumably poetic text.
Apart from aiJ pleiavde‡, I do not find the specific glosses (if that is what
they are) in lexicographical works where they might have landed up, though
other forms of the same verbs are so found, e.g. katapontivzein glossing
katapontou'n Phot. k 334 Th., ajpoqeriv‡ei glossing ajpamhv‡etai Hsch. a 5764 L.,
cf. a 6155, e 1230 L.
Hesiodus - schede 143

***

(f)

P.Oxy. XXXVII 2822, fr. 1


Saec. I-IIp. Oxyrhynchus. Ed.: LOBEL 1971, 102-103; HIRSCHBERGER 2004, 93 (fr. 6).
Comm.: MP3 515.2, LDAB 1180; WEST 1983, 30; HIRSCHBERGER 2004, 195-196.
One of two scraps from a papyrus roll of bk. 1 of the Catalogue. The other
of them, fr. 2, was recognized by West 1983 as combining textually with
P.Turner 1; the conglomerate is now fr. 10(a) 17-28 M.-W. This one (Cat. fr. 6
Hirschberger, omitted from Merkelbach-West 1990) is unplaced, but is likely
to belong in the same vicinity. In what is presumably the upper margin are re-
mains of two lines written in an ungainly bookhand of much the same size as
the main text.
We give what survives of the primary text in order to show the position of
the addition relative to the verse ends.

Fr.1 › › ›
m. 2 ç˙ab˚r˚w˙å
ça å
m. 1 poihv ç ‡at¦ a[ k oit˚ å in
<qçev o io
çn˚ e v c ou‡a˚ å
ç å
› › ›

Ed. pr. cautioned that the added lines “may have nothing to do with the
verses,” but the likelihood is that they do. They could be a marginal note, writ-
ten unusually large. But more probable is West’s suggestion that they are the
line-ends of a couple of verses omitted from the main text, the first ending
lavbrwi. They will have been keyed to their correct position in the column
below. The omission is likely to have been inadvertent, but since it is not the
copyist himself who added the verses, textual discrepancy with a collated man-
uscript is a possibility.

MICHAEL W. HASLAM
HIPPOCRATES

L’interesse erudito nei confronti dei testi ippocratici è cominciato molto pre-
sto, dal punto di vista linguistico forse prima che da quello medico1, ma la
prima testimonianza di uno studio sistematico del linguaggio di Ippocrate ri-
sale al Lessico di Bacchio di Tanagra (IIIa), medico di scuola erofilea che visse
ad Alessandria. Ad Alessandria per tutto il periodo ellenistico si confrontarono
due scuole mediche, la scuola Erofilea, definita ‘razionale’ o ‘dogmatica’, e la
scuola Empirica. Entrambe derivano storicamente da Erofilo di Calcedone, il
grande medico anatomista. Fu infatti proprio un allievo di Erofilo della prima
generazione, Filino di Cos, a staccarsi e a fondare un’altra scuola, che chiamò
Empirica, perché proclamava inutile ogni speculazione sulle cause e ogni ri-
cerca anatomica, in polemica con le dottrine del maestro. La rivalità fra queste
due scuole si esercitò in grande misura anche nello studio delle opere di Ippo-
crate, ma esse furono costantemente oggetto di interesse anche di grammatici
e intellettuali eruditi e di filosofi, come Demetrio Lacone (150-75 a.C.)2. Questi,
secondo Erotiano3, sarebbe fra coloro che si sono interessati al lessico di Ippo-
crate e le citazioni ippocratiche identificate in una sua opera conservata in
P.Herc. 1012 (⇒ 18) confermano la plausibilità della notizia4.
Nel vivace ambiente alessandrino entrambe le scuole mediche adottarono
i metodi di analisi del testo dei filologi del Museo, studiarono con grande cura
il lessico di Ippocrate (in pochi anni due Erofilei, Callimaco e Bacchio, e un
empirico, Filino di Cos, scrissero opere lessicografiche su Ippocrate in polemica
fra loro) e approntarono, a quanto pare, almeno una ekdosis: Bacchio ha infatti
sicuramente fatto un’edizione di Epidemie III5, ma non possiamo estendere
l’ipotesi a tutte le opere ippocratiche a lui note (dal suo Lessico se ne ricostrui-
scono almeno 18). È probabile che siano state fatte edizioni in epoca ellenistica,
cioè si siano prodotti testi ‘corretti’, ma le successive edizioni di cui le fonti
parlano, quelle di Artemidoro Capitone e Dioscuride risalgono ai primi de-

1
Manetti 2014.
2
Per le notizie su Xenocrito di Cos, Aristarco e Euforione vedi Manetti 2015. Su Demetrio Lacone
vedi infra.
3
Erot. p. 5, 12-14 N.
4
Roselli 1988 e infra.
5
Gal. In Hipp. Epid. III, CMG V 10.2.1 p. 87, 10-11 = T7 von Staden.
146 Hippocrates

cenni del II secolo d.C. Sembra singolare che non sia rimasta alcuna notizia di
un’attività editoriale, ma ciò è probabilmente dovuto all’assenza, per la medi-
cina, di un contesto particolarmente autorevole come il Museo, che fece del-
l’edizione omerica di Zenodoto un testo di riferimento imprescindibile:
l’interesse per Ippocrate era condiviso dagli Empirici e dagli Erofilei che si
combattevano ad armi pari. È lecito chiedersi cosa volesse dire concretamente
fare un’edizione (ekdosis) di un testo medico. Secondo Montanari6, nel caso
omerico non si trattava della produzione ex novo di un testo completo, ma della
scelta di una delle copie a disposizione, giudicata migliore, e della successiva,
progressiva e lunga correzione (diorthosis) con annotazioni, nel testo o in mar-
gine, cancellazioni, apposizione di segni. Tale copia diventava poi il modello
e il punto di riferimento per i successori. Bacchio (come forse altri a noi ignoti)
potrebbe aver seguito una prassi analoga: sappiamo che una copia della sua
edizione era a disposizione di altri e ancora consultabile ad Alessandria per
Apollonio Byblas (I secolo a.C), che la cita per un passo di Epid. III7.
La documentazione papiracea ci può dare qualche indizio sulle prassi edi-
toriali e di lettura, perché presenta tipologie variegate, da edizioni accurate a
fogli forse occasionali, anche se è per lo più di epoca romana8. Si riscontra ov-
viamente la presenza di correzioni di prima o seconda mano, che sono il con-
torno della produzione di copie di ogni scriptorium9, ma raramente si trovano
interventi più importanti come varianti10 o titoletti marginali11. Negli esemplari
più accurati sono testimoniati segni di lettura e interpunzione, come stigmai,
diple, diple obelismene12, paragraphos, ekthesis e spazi bianchi13. Non si riscontra

6
Montanari 2011, pp. 1-15, con bibliografia precedente; Montanari 2015, pp. 641-660.
7
La menzione nel passo (Gal. In Hipp. Epid. III, CMG V 10.2.1, p. 87, 1-12), in sequenza coordinata,
della biblioteca reale, dei libri ‘dalle navi’ e della ekdosis di Bacchio autorizza l’ipotesi che vi po-
tesse essere una copia della ekdosis di Bacchio nella biblioteca del Museo.
8
La revisione di tutti i papiri ippocratici noti fino al 2008 è in CPF I.2, in seguito c’è stata la pub-
blicazione di un gruppo di papiri medici in P.Oxy. LXXIV, London 2009: in esso sono pubblicati
un frammento che conserva Art. 57-58, 60 (4969) e uno che menziona il Giuramento (4970). Altri
papiri ippocratici sono stati pubblicati nel volume LXXX dei P.Oxy. (2014).
9
Correzioni di una seconda mano p. es. in P.Dubl. 1 (Epid. VII, I-IIp); cancellazione con puntini in
P.Köln I 19 (IIIp); aggiunta di prima mano in margine di una frase omessa per errore in P.Ant. I 86
ecc.
10
P.Ryl. I 56 (Acut. IIp.) in CPF 2008, pp. 134-137.
11
P.Ant. I 28 (Vp), che contiene la fine di Prognostico e l’inizio di Aforismi: CPF 2008, p. 80.
12
La definizione diple obelismene è oggi discussa, in quanto non citata nelle fonti più antiche e inol-
tre non adatta a designare un segno il cui uso e la cui funzione si confondono spesso con la para-
graphos semplice. È quindi chiamata ‘paragraphos forcuta’ (calco dall’inglese ‘forked paragraphos’,
cfr. Schironi 2010, pp. 10 e 19-20). Tuttavia se ne mantiene l’uso per il suo valore descrittivo.
13
Una diple all’inizio di storia clinica in PSI II 116 (Epid. III, fine IIIp), CPF 2008, pp. 144-148; para-
graphoi e ekthesis in P.Berol. inv. 21137v + 6934v (Epist., fine IIp), CPF 2008, pp. 162-167; diple obeli-
smene e paragraphos in P.Oxy. LXXIV 4969 (Art., II/IIIp).
Hippocrates 147

però un valore di segno critico in nessuno di essi (nemmeno la diple). Nel-


l’esemplare più antico conservatosi, un frammento di rotolo di Epidemie II (Ia)
non sono riscontrabili segni diacritici marginali, a causa delle lacune sul lato
sinistro, ma si può notare l’uso costante di spazi bianchi per dividere unità te-
stuali, che in vari casi non corrispondono alla interpunzione conservata nei
codici medievali14. Questo documento potrebbe rappresentare una ekdosis, per-
ché la segmentazione (cioè l’interpretazione sintattica) di testi compositi ed el-
littici come Epidemie o Aforismi era una dei principali problemi critici: lo spazio
bianco può dunque costituire di per sé un intervento critico15. Ma al momento
questa rimane una pura ipotesi16.
Raramente si trovano varianti marginali, come in P.Ryl. I 56v e in un solo
caso si può ipotizzare una pratica di collazione con un altro modello17. Occa-
sionalmente si ha traccia dell’influenza della tradizione glossografica. In P.Köln
I 19 (⇒ 5) infatti sembra probabile – per ricostruire il testo in un punto che di-
verge dalla tradizione medievale – l’intrusione nel testo di una glossa del ter-
mine ippocratico qwvrhxi‡.
Della ampia e lunga storia dei commenti a Ippocrate, che inizia probabil-
mente già con Bacchio di Tanagra e si sviluppa per tutta la fase ellenistica e
romana18, nella tradizione diretta medievale rimane soltanto l’imponente in-
sieme, seppure mutilo, dei commenti di Galeno; i testi posteriori a Galeno
arrivati fino a noi sono composti nelle scuole mediche tardoantiche, cioè ad
Alessandria, fra V e VII secolo d.C. La documentazione papiracea ci fornisce
tuttavia pochi ma importanti frammenti di testimoni scampati al naufragio:
tra quelli più recentemente pubblicati, P.Oxy. LXXX 5231 (⇒ 10, I/IIp), con-
tenente un commento adespoto a Epidemie I19, ha segnato una nuova tappa
nella conoscenza della storia dell’esegesi ippocratica, facendoci conoscere
anche un commento non altrimenti noto di Asclepiade di Prusa. Anche P.Flor.
II 115 (⇒ 1, III-IVp), identificato come un commento a Ippocrate Sul nutri-
mento da Manfredi 1974 è stato poi riedito da Manetti 1995b, con la proposta
di identificare in esso il perduto commento di Galeno, sulla base di alcune
consonanze filosofiche e retoriche. L’identificazione è stata generalmente ac-
cettata, ma, se si considera il grande debito, non sempre da lui riconosciuto,
che Galeno ha con i suoi predecessori, non si può escludere del tutto anche

14
P.Schøyen inv. MS 2634/3 + P.Princ. inv. AM 15960A, CPF 2008, pp. 137-143, v. infra. Spazi bian-
chi, di misura diversa, sono usati anche in P.Köln I 19.
15
Hanson 1997a, 310-314; Montanari 1997c, pp. 279-280.
16
Il caso della doppia redazione in P.Oxy. IX 1184 (Epist., Ip), CPF 2008, pp. 150-157, ci informa sul
lungo processo di formazione del corpus delle Epistole di Ippocrate ma non ha riferimento con un’at-
tività esegetica.
17
È il caso di P.Oxy. LXXX 5223.
18
Manetti 2015.
19
Leith 2014, pp. 43-52.
148 Hippocrates

un commentatore come Sabino (I-II secolo d.C.), che ha una analoga impo-
stazione dogmatica20.
Per i secoli immediatamente successivi a Galeno le fonti ci danno pochis-
sime notizie di un’attività esegetica su Ippocrate, perciò la nuova edizione di
P.Ryl. III 530 (⇒ 7, III-IVp), a cura di Luiselli-Manetti 2008, ha illuminato un
po’ un angolo buio. Il testo risulta essere una sorta di ‘edizione commentata’
di Aforismi (restano brani relativi a IV 77-78, V 7-22), infatti il testo ippocratico
è intervallato da pezzi di parafrasi-commento di ampiezza non molto supe-
riore. Inoltre l’organizzazione della pagina è complessa e usa una serie di segni
per la scansione testuale (paragraphos, diplé obelismene all’interno del rigo, ek-
thesis dei lemmi), rivelando così una certa accuratezza. L’equilibrio quantita-
tivo fra testo e parafrasi-commento (molto sintetica e semplice) fa pensare ad
una fruizione del tutto diversa da quella dei grandi commentari galenici, da
parte di lettori di livello medio interessati soprattutto alla pratica.
Alla tradizione dei commentari tardoantichi rimanda invece P.Ant. III 183
(⇒ 6, VIp) un codice papiraceo dai grandi margini, nei quali una seconda mano
ha vergato dei marginalia, il cui contenuto è autonomo rispetto alla tradizione
galenica o a quella scoliastica medievale, ma ha tratti confrontabili con l’uso
dei commentari bizantini (p. es. il reverenziale epiteto di “divinissimo” per Ip-
pocrate). È notevole che in un caso l’annotatore riporti nel margine una se-
quenza di lemmi con relativi commenti, evidentemente attingendo ad un
commentario continuo. La scrittura delle annotazioni marginali, vista la di-
mensione molto ampia di tutti i margini, sembra aver fatto parte del progetto
editoriale, anche se è eseguita da una seconda mano.
Sono state qui registrate anche le ‘citazioni’ di brani ippocratici in testi di
altri autori o adespoti21. In effetti dietro ogni citazione sta un modo di lettura,
una manipolazione che rivela un’interpretazione collegata al carattere e agli
scopi dell’autore che cita. È dunque interessante l’interpretazione empirica
data ad Aph. I 1 in P.Berol. inv. 9764 (⇒ 2), forse risalente al medico di scuola
empirica Archibio (citato più oltre nel papiro), o anche l’adattamento ad un in-
segnamento chirurgico di Giuramento 3-5 in P.Oxy. III 437 (⇒ 12), o la genera-
lizzazione di significato operata su Art. 8 (una frase strettamente inserita nel

20
Manetti-Roselli 1994, pp. 1607-1614.
21
Un caso dubbio, ma per cui si è suggerita la possibilità di un commento a Vict., è P.Tebt. III 897,
che viene dunque riportato. Non sono invece qui riportate altre testimonianze: P.Br.Libr. inv. 137,
il cosiddetto Anonimo Londinese, che cita Ippocrate due volte, la prima (V 35-VI 43) riprendendo
la sua fonte aristotelica, la seconda (VI 43-VII 40) affermando la superiorità della propria cono-
scenza, appartiene al genere dossografico ed è stato ampiamente commentato altrove (CPF 2008,
pp. 209-225). In P.Münch. II 24, sec. Ip, (Fausti 1986, pp. 25-30) si può forse identificare un’allusione
a Epid. VI (V 314, 3 L.), mentre in P.Ryl. III 531 (III-IIa) gli editori hanno ravvisato somiglianze con
Mul. II (VIII 382, 15-18 L.).
Hippocrates 149

contesto chirurgico), in una discussione sulla mescolanza naturale del corpo


(P.Stras. inv. G 26, ⇒ 9), o quella realizzata su Prog. 15, in un autonomo trattato
sulla prognosi (P.Tebt. III 678, ⇒ 17).
Ma la testimonianza più rilevante proviene dai frammenti ercolanesi di
opere di Demetrio Lacone, il filosofo ed erudito epicureo vissuto fra II e I secolo
(150-75 a.C.), perché conferma che l’esegesi ippocratica non si è realizzata
esclusivamente ad Alessandria, ma ha visto un intreccio e uno scambio di in-
teressi fra Atene, Cos ed Alessandria fin dal III secolo a.C.22. Demetrio infatti,
più che a Mileto, lavorò per questa sua opera probabilmente ad Atene, dove
poteva consultare i diversi manoscritti di Epicuro e contare su ricche bibliote-
che di scuola23.
Le citazioni ippocratiche utilizzate da Demetrio Lacone si appoggiano in-
fatti su una conoscenza approfondita dei testi e su una salda cultura gramma-
ticale di tradizione alessandrina: è ovvio che egli dovesse possederla, visto che
si occupò del linguaggio di Ippocrate (sia scrivendone un lessico o in altra
forma, vedi ⇒ 18). Perciò è probabile che Demetrio nel comporre il testo con-
servato da P.Herc. 1012 abbia utilizzato dei glossari o altri strumenti elaborati
come i commentari,24 perché essi gli mettevano a disposizione un’ampia casi-
stica di problemi di interpretazione dei testi. Essi cioè gli fornivano un prezioso
supporto argomentativo nel discutere alcuni passi controversi di Epicuro.

DANIELA MANETTI

22
Manetti 2014.
23
I manoscritti ercolanesi delle opere di Demetrio, come P.Herc. 1012, sono molto vicini alla vita
dell’autore e furono probabilmente portati in Italia da Filodemo attingendo ad una biblioteca
ricca come quella della scuola di Epicuro ad Atene (Cavallo 1984).
24
Roselli 1988, pp. 56 s.
150 Hippocrates

Testimonianze dell’esegesi a Ippocrate

Secolo Papiro Tipologia di esegesi e opera

IIa P.Herc. 1012 Citazione di Epid. VI 5.15 e 7.9


e Prorrh. I 1-2 in opera di Demetrio Lacone
a difesa di Epicuro
IIa ex P.Herc. 831 Citazione di Prog. 7 in testo attribuito
a Metrodoro o a Demetrio Lacone
Ia P.Schøjen inv. MS 2634/3+ Segni critici? Spazi bianchi in Epid II 6.7-22
P.Princ. inv. AM 15960A
Ip P.Berol. inv. 9764 Citazione di Aph. I 1 in testo su
insegnamento di chirurgia
I-IIp P.Oxy. LXXX 5231 Commento a Epid. I (con menzione
(sul verso di P.Oxy. 78 5162) di Asclepiade di Prusa)
I-IIp P.Tebt. II 678 Citazione di Prog. 14-15 in testo su prognosi
p in.
II P.Ryl. I 56 Variante marginale a Acut.(sp.) 24?
p
II P.Oxy. LXXIV 4970 Menzione di Giuramento
II-IIIp P.Oxy. III 437 Citazione di Iusj. 3, 5
II-IIIp P.Oxy. LXXX 5232 Citazione di Aph. VI 12 e nome
di Ippocrate in testo su emorroidi
II-IIIp P.Stras. inv. G 26 Citazioni di Art. 8, Nat.hom. 4, Morb. I 2
in testo su salute e malattia
IIIp P.Köln I 19c Glossa penetrata nel testo? Aph. II 21
IIIp ex. P.Bingen 1 = P.Tebt. III 897 Altra versione o commento di Vict. II 49?
IIIp P.Oxy. LXXX 5221 (adden-
dum ad P.Köln VII 311) Variante o nota marginale a Mul. I 1?
III-IV p
P.Flor. I 115 Commento a Alim.
p
III-IV P.Ryl. III 530 Aph. IV-V con parafrasi-commento
Vp P.Ant. I 28 Titoletti marginali Aph. I 2 e 3
VIp P.Ant. III 124 Citazione di Aph. I 16 in testo sulla dieta
p
VI P.Ant. III 183 Scolii marginali a Aph. III-IV
1

P.Flor. II 115 saec. III-IVp

Commentario a De alimento 38-39 (Galeno?)

Prov.: ignota.
Cons.: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana.
Edd.: COMPARETTI 1908, pp. 34-38; MANFREDI 1974, pp. 154-184; MANETTI 1985, pp. 176-
177; MANETTI 1995b, pp. 39-51.
Tab.: COMPARETTI 1908, p. 36; MANFREDI 1974, p. 164; DEGNI 1998, XLVI (lato →); CPF
IV.2 (2002), fig. 75; ANDORLINI 2003, IV; http://www.psi-online.it
Comm.: MP3 456.22; LDAB 1069 CRÖNERT 1908, pp. 1201-1202; KÖRTE 1913, pp. 240-
241; EDWARDS 1929, pp. 98-99; ROBERTS 1954, pp. 184-185; MANFREDI 1974, pp. 154-
184; TURNER 1977, p. 122, nr. 411; MARKOVICH 1978, p. 38; MARGANNE 1981, pp.
156-158; MANETTI-ROSELLI 1982, pp. 102, 104; FOWLER 1984, p. 241 n. 19; DI BENEDETTo
1984, pp. 41-43; CAVINI 1985, pp. 76-78; MANETTI 1985, pp. 175-206; BARNES 1986, pp.
93-94; MARGANNE 1986a, pp. 179-180; HANSON 1987, p. 349; LINGUITI 1987, p. 491;
SCARBOROUGH 1987, p. 298; GOUREVITCH 1988, pp. 216-217; HANKINSON 1988, pp. 296-
297; BACCANI 1989, p. 147; GIGANTE 1990, pp. 73-75; HANSON 1990, p. 54; ANDORLINI
1993, p. 477 nr. 8; IERACI BIO 1993, pp. 15-16, 21-22; MANETTI-ROSELLI 1994a, pp. 1530
n. 2; 1627 n. 373; MANETTI 1995b, pp. 42-51; GEMELLI MARCIANO 1996, p. 306; LENAERTS
1996, 352; LONGO 1996, p. 201; TRABATTONI 1996, p. 121; MESSERI 1996-1997, pp. 259-
260; DARIS 1997, p. 149; DEGNI 1998, nr. 58; MARGANNE 1998b, pp. 105 n. 2; 112; AN-
DORLINI 2000, pp. 40 e 48; IHM 2002, nr. 273; ANDORLINI 2003, p.18; MARGANNE 2004,
p. 65; MANETTI 2008, pp. 51, 197-198, 206-207; STROPPA, 2008b, p. 51.

Foglio di codice papiraceo (cm 10,5 × 9,8) di dimensioni non ricostruibili


(cfr. Manfredi 1974, p. 154 n. 4), che conserva resti della parte superiore di una
pagina (il margine superiore è di cm 2,2). La scrittura è una libraria non calli-
grafica a tratteggio uniforme, di modulo irregolare, riferibile alle fine del III o
all’inizio del IVp (Manfredi 1974, p. 155; Manetti 1995b, p. 40).
La datazione è stata a lungo controversa: dopo la prima proposta di Com-
paretti e di Roberts, al I-IIp, quelle di Manfredi 1974 e Manetti 1995b per il III-
IVp, e di Turner 1977 al IIIp, Degni 1998 ha proposto una datazione fra la fine
II e inizi IIIp, ma portando a confronto P.Berol. inv. 9968 (Seider 1967-1970, II,
taf. XVI, nr. 32) del IIIp. In realtà si tratta di una scrittura composita affine al
tipo di P.Bodmer XX sicuramente databile agli inizi del IVp: quindi si ritiene di
mantenere la datazione proposta della fine III o inizio IVp.
Su u iniziale è posto un punto isolato in sostituzione della dieresi; lo iota
152 Hippocrates 1

mutum è assente. Le caratteristiche editoriali ne indicano chiaramente la natura


di commentario: la fine di una sezione di commento (A 9, fine del commento
a Alim. 38) è separata dal lemma successivo sia da un doppio punto seguito
da uno spazio bianco sia da una paragraphos fra i rr. 9-10. La citazione di Alim.
39 a r. A 10 è separata dal commento relativo da un punto in alto (o un colon?):
per una simile combinazione di segni di scansione del testo vedi p. es. P.Oxy.
XXV 2429.

[38 (145, 10-11 Joly) zwou'tai ta; mh; zw/'a, zwou'tai ta; zw/'a, zwou'tai ta; mevrh tw'n
zwv/wn]

A→
oujç û kurivw‡ ei[rhtai m˚e˚vårh zçw/vwn ta˚; ˙˙å
mena. pw'‡ ga;r a]n eåi[h mçevrh zwv/wn åou[-
pw zw'nta; katacårh‡tiçkwvteron oåi\mai
kevcrhtai th'/ fwnåh'/: kçai; ga;r frevaår ojruvt-
5 tein fame;n kai; iJmavåtioçn uJfaivånein, ajll¦
ou[pw me;n frevar oujd¦ iJmavtion åe[‡tin, ge-
nh‡ovmenon d¦ u{‡teron, w{‡te kai; tåa;
zwouvmena mevrh zw/vwn oujk e[‡tin, åajl-
›la; givnetai kai; e[‡tai mevrh. fåuv‡ie‡ 39 (145, 12 Joly)
10 pavntwn ajdivdaktoi: pavnu moi ådokei'
tou'to pro‡ecw'‡ kai; ajkolouvqw‡ åe[cein
kai;ç pepaiwniv‡qai toi'‡ lelegmevånoi‡. lev-
gçw˚n ga;r o{ti på ca. 7 ç˙tagmå
e{çka‡ta tw'n kå
———

B↓
çh˚n˚å ca. 8 aujçt˚h; eJa˚u˚åth;nå ejdizhv-
‡atço˚ kata; to;n˚ åŞHravçkleiton, ma'llon
de;ç kata; to;n ŞIp˚åpokravthn o}‡ kajn tai'‡
å¦Epiçdhmivai‡ åeujpaivçdeuton ei\pen ei\-
5 ånça˚i˚ th;n fuv‡iån eJçkou'san ouj maqou'‡an,
ta; dçe˚vonta påoioçu'‡an: katarkei'n aujth;n
åde; pçavn˚ta pa'‡in. ou[koun pepaivdeutai
åoujdçe;˚n hJ fuv‡i‡, eåi[çper kai; eujpaivdeuto‡ h\n
P.Flor. II 115 153

åaJpçlw'‡, mh; uJf˚¦ åeJçtevrou maqou'‡a. mhkev-


10 ti dh;ç zhtw'men, w\ Dhmovkrite kai; ¦Al-
kmevçw˚n, pw'‡ kai; pou' maqw;n eujqu;‡
a{maç tw'/ tecqh'nai qhlavzetai kai; ma-
‡teuvçei tou;‡ måaç‡˚åtoçu;å‡ to;ç paidivon .å
ç˙ou˙å ca. 7/8 çai h e[ndon å
çu˙˙de di˚a˚˙å
———

A 1 ta˚˙˙å alla fine del rigo alcune lettere incerte; si vede quello che sembra l’estremità destra di
a; quasi sopra di essa una traccia tondeggiante, un po’ più in alto del rigo: o, ‡, meno probabile e;
più a destra sulla linea di frattura minima traccia non identificabile 4 f•e¶reaår, e espunto con
un puntino sopra la lettera 5 eima˚åtioçn 6 f•l¶reaår, l è stato prima adattato a r, poi can-
cellato mentre un altro r è stato inserito nella parte inferiore del rigo
eimation 9 geinetai merh: vac. 10 adidaktoi:
B 1 al posto di çh˚n˚å possibile anche çi˚l˚å 13 l’ultima traccia forse a, ma anche h è possibile
——
A 1 oåu\n Haslam per litteras 1-2 ej˚‡˚åovçûmena De Lacy ap. Manetti 1995b : g˚e˚åinovçûmena vel
z˚w/˚åouvçûmena (cf. v. 9) Manetti 1995b 2-5 suppl. Manfredi 6-7 åej‡tin, geçûnh‡ovmenon Turner ap.
Manfredi 8 zw/w v n˚ Manetti : zw/åv oçn Manfredi 10 post dokei' add. kai; Manfredi 13-14 levûgçw˚n
Manfredi : ådh'ûlço˚n dubitanter Manetti : eijûpçw˚;n Haslam per litteras
B 1-2 cf. Heraclit. 22B101 DK (= fr. 15 Marcovich) 3-6 kata;-poiou'‡an cf. Hipp. Epid. VI 5.1, 3-
4 Manetti-Roselli 4 åeujpaivçdeuton Manfredi, cf. r. 8 5 eJkou'‡an pap., Hipp. codd., Dioscurides
ap. Gal. in comm. : ejou'‡an Gal. in lemmate 6-7 cf. Alim. 15 (141, 24 Joly) fuv‡i‡ ejxarkei' pavnta
pa'‡in 6 katarkei'n pap. : ejxarkei' Hipp. codd. 8 oujdçe;˚n Manfredi eujpaivdeuto‡ pap., Hipp.
codd. Gal. : ajpaivdeuto‡ Gal.(U) [Gal.] In Hipp. Alim. (XV 404, 1 K.) 9 aJpçlw'‡ Manetti : o{çlw‡
Manfredi 9-10 suppl. Manfredi dh; suppl. Manetti 10-11 suppl. Manfredi 12 åa{maç
Manfredi, cf. Hierocl. El. mor. I 38; D.H. III 61. Arr. Epict. I 2, 30 12-13 maû‡teuvçei suppl. Manfredi
Di Benedetto

A [prendono vita quelli che non sono esseri viventi, prendono vita gli es-
seri viventi, prendono vita le parti degli esseri viventi] [... Non] sono definite
in modo appropriato parti di esseri viventi quelle che (saranno vive). Infatti
come potrebbero esistere parti di esseri viventi non ancora vive? Io penso che
usi la parola in modo piuttosto improprio. E infatti diciamo ‘scavare un pozzo’
e ‘tessere una veste’, ma non esiste ancora un pozzo né una veste: lo divente-
ranno in seguito. Cosicché anche le parti di esseri viventi che prendono vita
non ‘sono’ ma ‘divengono’ e ‘saranno’ parti.
Le nature di tutti non ricevono istruzione: sono dell’opinione che questa frase
sia strettamente connessa e conseguente e sia ‘cantata a gloria’ di quanto è stato
detto. Infatti dicendo che [...] ciascuno dei [...]
B [...] “ha investigato se stessa da sola”, secondo Eraclito, o meglio, secondo
Ippocrate, che anche nelle Epidemie disse che “la natura è ben istruita, in
quanto spontaneamente, non per avere appreso, compie quanto è necessa-
154 Hippocrates 1

rio”; ed essa è “autosufficiente in tutti i campi e in tutte le relazioni”. Dunque


la natura non ha ricevuto alcuna istruzione, se è vero che è ben istruita in as-
soluto, senza avere appreso da altri. Non cerchiamo dunque più, o Democrito
e Alcmeone, come e dove abbia appreso il bambino appena partorito a suggere
e a cercare le mammelle [...] dentro [...]

Per l’analisi del contesto in cui il commento può essere inserito, in relazione
alla cultura retorica (il concetto di ‘catacresi’) e filosofica (rimandi a Eraclito,
Democrito e Alcmeone, nonché uso di argomentazioni logico-dialettiche) ri-
velata dall’autore, vedi Manetti 1985 e 1995b. L’ipotesi di una paternità di Ga-
leno, proposta da Manetti fin dal 1985, è largamente accettata e tuttavia la
cautela è d’obbligo, visto il grande naufragio di tutta l’esegesi pregalenica (in
particolare dell’opera di Sabino).
Il commento, che considera il trattato come ippocratico, pare senza pro-
blemi1, si preoccupa di discutere la correttezza del linguaggio usato, ricorrendo
sia a concetti provenienti dalla retorica sia ad argomentazioni proprie di una
certa tradizione filosofica (Manetti 1985 e 1995). Inoltre sembra seguire il cri-
terio di ‘spiegare Ippocrate con Ippocrate’, utilizzando citazioni di passi pa-
ralleli (Alim. 15 e Epid. VI 5, 1).
Per Epid. VI 5.1 il testo conferma l’antichità della lezione eujpaivdeuto‡ della
tradizione diretta di Ippocrate e di Gal. PHP IX 8 (CMG V 4.1.2, p. 596, 22 De
Lacy), contro ajpaivdeuto‡ del manoscritto greco del commento di Galeno a Epi-
demie (U) e del commento spurio a De alimento (XV 404, 1 K.): inoltre testimonia
la variante eJkou'‡a ouj, attribuita da Galeno a Dioscoride e riportata anche, nei
codici medievali, da V e in modo corrotto da MIH (ejk tou' ‡avou), mentre Galeno
scrive ejou'‡a kai; ouj nel lemma, ejou'‡a ouj in PHP V 790, 17 K (CMG V 4.1.2,
p. 596, 23).
Se si accetta l’ipotesi di paternità galenica del commento conservato in
P.Flor., ne consegue che Galeno si servì dell’edizione di Dioscoride nel com-
porre questo commento, nonostante le pesanti critiche che gli rivolge altrove.

1
Il trattato entra ufficialmente a far parte del Corpus di Ippocrate con il Lessico di Erotiano (I secolo
d.C.). Galeno è a conoscenza di una discussione sulla sua autenticità (De septim. partu 345, 56; 65-
67 Walzer), che vedeva fra le proposte di autore il figlio di Ippocrate, Tessalo, oppure un Erofileo
o altro autore ignoto, ma considera il testo ippocratico (tanto da dedicargli un commento che non
è passato nella tradizione medievale) e lo cita spesso nelle sue opere. Prima di lui, oltre che da
Erotiano, il testo era utilizzato come ippocratico da Areteo, Marcello De puls. e Gellio (vedi Ana-
stassiou-Irmer 2006, pp. 40-45). La sua datazione è molto discussa, con ipotesi che vanno dal V
secolo a.C. alla fine del I secolo a.C.: per una veloce sintesi vedi Anastassiou-Irmer 1997, p. 53. In
P.Oxy. LXXX 5220, un rotolo datato al II-IIIp, si conservano la fine di Alim. in fr. 1 e l’inizio di Liqu.
in fr. 2, probabilmente nell’ambito di una raccolta di opere ippocratiche.
P.Flor. II 115 155

Che Galeno possa fare riferimento a varianti ippocratiche diverse in luoghi di-
versi (nel commento a Epidemie e nel commento a De alimento qui testimoniato),
non è fatto anomalo, ma si spiega perfettamente con il suo modo di lavorare
sulla base, di volta in volta, di materiale esegetico diverso, cfr. Manetti 1995b,
p. 50. D’altra parte Galeno ha cambiato il suo giudizio sull’edizione di Diosco-
ride con il tempo e ha permesso di riconoscerne i meriti2.

DANIELA MANETTI

2
Roselli 2012a e 2012b.
2

P.Berol. inv. 9764, II 7-12 saec. Ip

Citazione di Aph. I 1

Cons.: Berlin, Staatliche Museen zu Berlin, Preußischer Kulturbesitz.


Edd.: SCHÖNE 1905, pp. 22-26; DEICHGRÄBER 1930, pp. 209-210 (col. II, fr. 282); MARGANNE
1998a, pp. 13-14.
Tab.: BKT III 6; CPF IV.2 (2008), fig. 32; http://berlpap.smb.museum.
Comm.: MP3 2354; LDAB 4275 KÖRTE 1913, p. 262; DEICHGRÄBER 1930, pp. 209-210 nr.
282; KUDLIEN 1970, 15 e 33; MARGANNE 1981, nr. 4; MARGANNE 1988, pp. 862-866; AN-
DORLINI 1993, nr. 93; MANETTI-ROSELLI 1994a, 1536 n. 17; MANETTI-ROSELLI 1994b,
pp.106-107 n. 19; MARGANNE 1996, p. 2721; MARGANNE, 1998a, pp. 13-34; MARGANNE
1998b, p. 112; ANDORLINI 1999, p. 435; IHM 2002, nr. 17 (p. 67); REITER 2003, 380; AN-
DORLINI-MARCONE 2004, p. 111; MARGANNE 2004, pp. 77-78, 110; ANASTASSIOU-IRMER
2006, p. 52; INDELLI 2008, p. 473; MANETTI 2008, pp. 176-178.

Frammento di rotolo (il verso è bianco) che misura cm 16 × 12 e contiene


resti di tre colonne di scrittura. È conservato il margine superiore (2 cm) e l’in-
tercolumnio misura 1,5 cm, mentre i righi (sulla base di col. II) sono lunghi in
media 8 cm. Una scrittura informale, ma accurata, con elementi corsiveggianti
come le legature di ai, ar, ei, en, databile al secolo Ip.
Si scorgono paragraphoi a II 5, 23, III 11, una diple obelismene a II 2 e un segno
obliquo, ascendente da sinistra a destra, nel margine sinistro di II 18.

Col. II 7-12
dei' de; ejn toi'‡ q˚em
˚ e˚ fi˚lÝivo˚ i˚ ‡˚ ˚ ejn˚ di|atrivbein kai; tou;‡ n˚eov˚ u‡ ejx ajrch'‡ | ‡u˚na‡kei'n toi'‡
åajçnaågçkaio˚t˚evroi‡ pårçav|10gma‡in “tou' biv˚ou bracevo‡ o[ntåoç‡˚ kai; | th'‡ tevcnh‡ ma-
krh'‡” w{‡ fh‡in oJ ŞIp|pokravth‡.

7 toi‡q˚e˚m˚h˚å˙çi˚oi˚‡e˚n˚ Marganne 1998a : toi‡q˚e˚l˚g˚e˚i˚o˚n˚w˚n˚ ed. pr. 8 atreibein pap.


——
7 toi'‡ åbelteivo‡içn Wilamowitz ap. ed. pr. : toi'‡ q˚e˚m˚efi˚lÝiv˚o˚i˚‡ Marganne 1998a 10-11 cf. Aph. I 1

Bisogna soffermarsi sui fondamenti e far esercitare i giovani fin dall’inizio nelle
cose più necessarie, perché “la vita è breve ma l’arte è lunga”, come dice Ip-
pocrate.
P.Berol. inv. 9764, II 7-12 157

Il famosissimo aforisma ippocratico (IV 458, 3 L.: oJ bivo‡ bracuv‡, hJ de; tevcnh
makrhv) è senz’altro una delle frasi più citate nell’antichità (cfr. Nachmanson
1933): qui è citato in un trattato adespoto sull’insegnamento della medicina,
secondo un’interpretazione di tipo empirico, che esalta la necessità di una for-
mazione pratica chirurgica, in opposizione ad un’educazione dei medici
troppo ‘filologica’, caratteristica della tradizione dogmatica (cfr. rr. 5-7: oJ de;
p˚er˚ i˚ ˚; åth'‡ cçeirourgiv|a‡ ka˚ta;˚ to; fi˚låovçl˚åogon eijç‡˚ke˚ k˚ uv|˚ kl˚htai). La frase ippocratica
è dunque interpretata come un invito a concentrarsi sulle cose veramente es-
senziali, lasciando da parte – secondo quanto si intuisce essere dietro l’espres-
sione dei rr. 5-7 – una formazione di tipo ‘letterario’, basata su un’educazione
ampia e sulla lettura e il commento degli auctores medici. Rappresentante ec-
cellente di questa educazione fu Galeno. Tuttavia anch’egli amava ripetere di
disprezzare quei medici che si disperdevano in dispute di carattere puramente
linguistico (cfr. Manetti-Roselli 1994a, pp. 1557-1569). E in effetti egli offre
un’interpretazione simile, ma meno ideologizzata, dello stesso aforisma in
SMT XI, 793, 3 K. kaiv moi dokei' pro;‡ ŞIppokravtou‡ eujqevw‡ ejn ajrch'/ tw'n ajfori‡mw'n
eijrh'‡qai oJ bivo‡ bracuv‡, hJ de; tevcnh makra; cavrin tou' mh; katanaliv‡kein tou;‡ crovnou‡
eij‡ a[crh‡ta, ‡peuvdein de; wJ‡ oi|ovn te th;n ejpitomwtavthn ijevnai di¦ aujtw'n tw'n
crh‡iòmwtavtwn th'‡ tevcnh‡. L’intero brano della col. II è attribuito da Deichgräber
al medico empirico Archibio (citato a col. II 25: tau'ta me;n oJ ¦Arcivbio‡ peri; pro-
keimevnou ajpefhvnato th;n pro;‡ ta; eijrhmevna ajkolouqivan = fr. 282 Deichgräber), che
viene datato al I secolo d.C. e costituisce dunque il terminus post quem del pa-
piro, ma Marganne, 1998a obietta con ragione che è impossibile definire l’esten-
sione del riferimento all’autore empirico.
Al r. 7, la lettura ejn toi'‡ q˚e˚m˚e˚fi˚lÝiv˚o˚i˚‡ proposta da Marganne (ma criticata da
Reiter 2003 come non sufficientemente fondata sulle tracce) recupera un con-
cetto importante, ‘le fondamenta’ della chirurgia, che vengono opposte alle so-
vrastrutture culturali con cui si esercitava la scuola dogmatica. Per confronti
pertinenti sull’uso della parola cfr. Marganne 1998a, pp. 14-15.

DANIELA MANETTI
3

P.Ant. I 28 saec. Vp

Titoletti marginali di Aph. I 2, 3

Prov.: Antinoupolis.
Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: ROBERTS, 1950, pp. 69-75; FABRINI-MANETTI 2008, pp. 80-81.
Tab.: CAVALLO, 1975 (2005), 5 (46a); ANDORLINI, 2000, 5ab; ANDORLINI 2003, Va, Vb; MAR-
GANNE 2004, p. 6; CPF IV.2 (2008), fig. 10.

Comm.: MP3 543 (= P2 543); LDAB 1306 FLEISCHER 1969, p. 641; ALEXANDERSON 1963,
pp. 68-69; GRENSEMANN 1965, pp. 261-263; CAVALLO 1975 (2005), p. 36 (186);
MCNAMEE 1977, pp. 154-155; TURNER 1977, nr. 98 (Group XI); MARGANNE 1981, p.
41; NUTTON 1983, p. 97; LAMBERTI, 1984, p. 111; MARGANNE 1984, p. 118; KÜHN-FLEI-
SCHER 1989, XI (P7); ANDORLINI 1993, p. 27; MAGDELAINE 1994, pp. 213-214 (P7);
HANSON-GAGOS 1997, p. 128 n. 15; MARGANNE 1998b, p. 109 nr. 13; ANDORLINI 2000,
pp. 41-42 e 49-50; IHM 2002, nr. 274; ANDORLINI, 2003, pp. 20-24; MARGANNE 2004,
pp. 110, 112; ANASTASSIOU-IRMER 2006, p. 48; MC NAMEE 2007, p. 261; FABRINI-MA-
NETTI 2008, pp. 77-82; INDELLI 2008, p. 471; JOUANNA 2013, pp. cxxvi-cxxviii; HAN-
SON, 2016, pp. 52-53.

Frammento di un foglio di codice pergamenaceo (cm 11,4 × 15), estesamente


macchiato e aggrinzito, contenente resti di una colonna per pagina, intera nella
parte alta ma con poche lettere iniziali o finali nella parte bassa: la pagina A
(lato carne) conserva la parte finale del Prognostico (capp. 24-25 = II, 188, 4-190,
7 L.), quella che segue (B, lato pelo) l’inizio degli Aforismi (I 1-3).
La larghezza dell’area di scrittura può essere valutata in cm 8 ca.; i righi
conservati interi contengono da 25 a 33 lettere, ma si deve tener conto anche
dallo spazio occupato dal punto in alto. Ogni pagina doveva contenere almeno
33/34 righi: ai resti dei 30 di A (cfr. i 32 di B) si devono aggiungere altri 3-4
righi di testo per arrivare alla fine del trattato. I margini conservati sono: su-
periore in A cm 2,7, in B cm 2,2; interno in A cm 1,3, in B cm 1,1; esterno in A
cm 2,3, in B cm 2,4.
Delle dimensioni originarie del codice, risulta soltanto la larghezza (cm
11,4); l’altezza è difficilmente valutabile poiché non sappiamo se alla conclu-
sione del testo sul recto seguisse un normale margine inferiore o ci fosse uno
spazio bianco più esteso: nel primo caso, l’altezza sarebbe almeno cm 19,5, cfr.
Group XII di Turner 1977, p. 29. Degna di nota la cura dell’allineamento a destra
(eccetto che in A 22).
P.Ant. I 28 159

La scrittura è una maiuscola alessandrina unimodulare, da assegnare al sec.


p
V (Fabrini-Manetti 2008, p. 78). La paragraphos in B ricorre 4 volte per segna-
lare la conclusione di singole sezioni testuali (rr. 4-5, 7-8, 12-13, 18-19): in due
casi, tale conclusione coincide con la fine di un aforisma (rr. 7 e 18). In conco-
mitanza delle paragraphoi, all’interno dei righi le pause sono evidenziate da
stigmai e spazi bianchi: rr. 4, 7, 12, 18; ai rr. 24 e 27, dove ricorre la stigme, non
è verificabile, a causa dello stato lacunoso, la presenza della paragraphos. Sulla
faccia A, la paragraphos non compare, ma figura invece la stigme seguita da spa-
zio bianco (rr. 2 e 4).
Nella pagina B 4 la punteggiatura, accompagnata dalla paragraphos in mar-
gine, segnala pause forti, fra un aforisma e l’altro. Qui e a B 12 la pausa non
trova corrispondenza nella tradizione medievale; siamo infatti in mezzo a Aph.
I 1 e Aph. I 2. Magdelaine 1994, p. 213, segnala tracce di uno sdoppiamento del
primo aforisma nel commento di Galeno ad loc. (XVIIB, 346, 1-3; 347, 9-11 K.),
che è peraltro testimoniato anche in testi di epoca bizantina (p. es. il commento
anonimo ad Aph. I 1, in Paris. gr. 2237 f. 316v, studiato da Ieraci Bio 2006, pp.
264-265 (= Ihm 2002, p. 280). Si tratta della divisione e numerazione in sezioni
e della segmentazione testuale, la cui storia meriterebbe una ricerca specifica;
già nel IV sec. d.C. comunque circolava un’edizione divisa in sezioni e con afo-
rismi numerati, come risulta da uno scolio redazionale di Oribasio (CMG VI
2.1, p. 96 ajpo; tou' ©ò tw'n ¦Af., tmhvmato‡ ©,ò rJhtou': ta; peri; mavdara e{lkea kakohvqea,
che corrisponde nelle edizioni moderne a VI 4. Per l’indicazione numerica dei
singoli aforismi, cfr. P.Ant. III 183 (⇒ 7), fr. B ↓ 4 D˚a˚ (= IV 1) in ekthesis.
Nella pagina B appaiono inoltre, forse della stessa mano ma di modulo più
piccolo, anche titoletti marginali sulla sinistra (una sorta di kefavlaia), che
hanno qualche riscontro nel resto della tradizione (vedi sotto apparato critico)
e che indicano una impostazione editoriale volta al supporto del lettore. La
tecnica è quella di ricavare le parole chiave, tecniche, dal testo stesso di Ippo-
crate, con piccoli interventi parafrastici, che hanno riscontro nella tradizione
esegetica (Galeno, ma anche i commenti più tardi di Stefano e Teofilo, cfr. An-
dorlini 2003, pp. 21-22; tavv. Va e b).

B (pelo)

rr. 7-11 (Aph. I 2)


ej [ n] th' / ‡ i
tarach' / ‡ i th' / ‡ i koi[l]iv h / ‡ [i] kai; toi' ‡ in ej -
mev t oi‡in toi' ‡ in auj t omav t oi‡ gignomev -
noi‡in

nel margine sinistro dei rr. 8-11


160 Hippocrates 3

peçri; th'‡ auj-


toçmavtou ta-
raçch'‡ th'‡ ga‡-
trovç‡

peri; < ga‡trov‡ pap. C’ Gal(P)mg : peri; tarach'‡ koiliva‡ kai; ejmevtwn Va : om. cett.

Sull’evacuazione spontanea dello stomaco

rr. 18-22 (Aph. I 3)

[ej n toi' ‡ i gum]na‡tikoi' -


‡in aiJ ej p ¦ a˚ [ [ kron euj e xiv a i ‡fal]eraiv , h] n
ej n tw' / ej ‡ [cav t w/ e[ w ‡in: ouj ga; r ] duv n an-
tai mev [ nein ej n tw' / auj t w' / ouj d ]e; aj t re-
mev e in

nel margine sinistro dei rr. 19-21

åpeçri; th'‡ tw'(n)


åguçmna‡tikw'(n)
åluv‡çe˚w˚‡ k(ai;) kenwv-
å‡eçw˚‡

peri; < kenwv‡ew‡ pap. : peri; gumna‡tikw'n Va : om. cett. luv‡çe˚w˚‡ Andorlini : åptçw‡ ed. pr., sc.
ptwv‡(io‡)

Sullo svuotamento ed evacuazione negli esercizi ginnici

DANIELA MANETTI
4

P.Ant. III 124, fr. 1b, 7-13 saec. VIp

Citazione di Aph. I 16

Prov.: Antinoupolis.
Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: BARNS 1967, pp. 39-45.
Tabb.: CPF IV.2 (2008), fig. 14; On line sul sito The Imaging papyri Project.
Comm.: MP3 2380.1; LDAB 6316 FLEISCHER 1969, p. 642; UEBEL 1971, p. 179 (nr. 1451);
KOLLESCH 1978, p. 144; MARGANNE 1981, pp. 124-125, nr. 67; MARGANNE 1984, p. 117
n. 8, 118; ANDORLINI 1993, nr. 85; IERACI BIO 1993, p. 13; MARGANNE 2004, p. 111; IN-
DELLI 2008, p. 472; MANETTI 2008, pp. 178-180.

Un codice di papiro (di cui rimangono 18 frammenti, ma solo i frr. 1-3 sono
di una certa ampiezza), scritto da una mano accurata, del tipo di ‘onciale copta’
(Barns 1967, p. 39) del secolo VIp, che conserva parti di un trattato adespoto
sulla dieta, in connessione con la febbre. Sono conservate parti del margine su-
periore (fr. 1 cm 2,7), inferiore (frr. 2, 4, 5, cm 2,7 max.), esterno (fr. 1b cm 2,7).
Si cerca di mantenere un certo allineamento a destra con l’uso del n soprali-
neato (fr. 1b 2, 11, 12 ecc.) e di un riempimento in forma di linea orizzontale
con serpentine ornamentali alle estremità, dove il rigo è più corto (fr. 1b 4).
Compaiono segni di lettura (pevt¦tetai fr. 1a 2) e cancellature di prima mano
con correzioni sopralineari (frr. 1b 8; 5b 7, 8).
Il suggerimento di Johnson, citato da Barns, che l’autore del testo conser-
vato da P.Ant. III 124 potesse essere Galeno, non ha trovato conferma docu-
mentale. Allo stato attuale dello studio si può dire che la menzione di
Ippocrate interveniva subito dopo una capitulatio su due righi, come si ricava
da fr. 1 5-6, tiv‡in ejpi; tw'ånç pure‡‡ovn|twn trofai'‡ åcrh‡tevço˚n, “quali cibi bisogna
usare per i febbricitanti”, disposta a quanto appare in eisthesis di 3-4 lettere
(tracce di una simile organizzazione testuale anche in fr. 2b (ii) 10 dove si legge
ti‡å in eisthesis).

åkai; oJ me;çn ŞIppokravth‡ ejn toi˚'å‡ç ¦Afo|åri‡moi'ç‡˚ fh‡in o{t˚i˚ t˚a˚i'˚‡˚ uJgrai'‡ ta|å˙˙˙˙˙çi˚
toi'‡ puretaivnou‡in |10 å‡umfevroçu‡in, uJgra;‡ de; levgwn ta;‡ | å˙˙˙˙çt˚wdei‡ kaqolikwv-
teron | å˙˙˙˙˙ç kai; aJplouv‡teron hJmi'n | å˙˙˙˙˙çtai oia˚d˚e˚ å˙˙ç˙ro‡ tecni| ktl
162 Hippocrates 4

8 sopra ta, nell’interlineo, tracce di due lettere (forse ai) secondo ed. pr., ma in realtà non sono vi-
sibili tracce (Colomo) 9 puretenou‡in pap. 11 teroò pap. 12 hmeiò pap.
——
7 supplevi 8 suppl. ed. pr. 8-9 ugrai‡˚ • ;ta v¶ ed. pr. in textu : ;ai˚{ v•ta¶|åde dh; pa'‡çi? ed. pr.
in comm. : fortasse uJgrai'‡ å ;diaiv vçta|åi‡ pa'‡çi? 10 supplevi 11 çwdei‡ ed. pr. : çt˚wdei‡ dopo
restauro di D. Colomo, åuJdaçt˚wvdei‡ Haslam 12 in initio ålevgeiç Haslam 13 an oi|a de;?

[…] e Ippocrate dice negli Aforismi che con i [regimi] umidi [si giova] a [tutti]
i pazienti febbricitanti, ma dicendo ‘umidi’ […] in senso più generale […] e
più semplice per noi […]. Ma quali …

Il testo rimanda ad Aph. I 16 (IV, 466, 17-18 L. = 383, 4-5 Magdelaine) aiJ
uJgrai; divaitai pa'‡i toi'‡i puretaivnou‡i ‡umfevrou‡i, mavli‡ta de; paidivoi‡i, frequen-
temente citato anche da Galeno (Thras. I 114, 4-5 K.; San. tuenda VI 34, 9-11 K.;
Meth.med. X 591, 11-13 K.; Ad Glauc. XI 42, 1 K., parafrasato anonimamente).
Qui il testo è un po’ modificato perché il soggetto dell’aforisma compare al da-
tivo (se si accetta l’integrazione proposta), di conseguenza si dà un valore più
impersonale al verbo ‡umfevrou‡i (riferito ad un soggetto sottinteso “i medici”?).
Talvolta l’aforisma è citato in questa forma (Thras. e Ad Glauc.), tavolta è invece
unito alla prima frase di Aph. I 17 (IV, 466, 18-19 L.) kai; toi'‡in a[lloi‡i toi'‡in eij-
qi‡mevnoi‡i diaita'‡qai (San. tuenda e Meth. Med.), così come lo scrive anche Littré.
Nella forma ‘breve’ è citato anche da Celso (III 6.10), Areteo (CA I 1, 6, CMG
II, p. 93, 6) e Alessandro di Afrodisia (in Top., CAG II, 2, p. 73, 21) e in un testo
retorico anonimo (Rh. III 741, 22 Waltz). Nel commento agli Aforismi (XVIIB
425, 11-428, 5 K.) Galeno cita e conferma la versione ‘lunga’ dell’aforisma, con-
nettendo chiaramente l’indicazione sui pazienti febbricitanti con quella sull’età
e sulle abitudini. In questo testo tuttavia non pare di scorgere traccia di una
menzione di abitudini, ma neanche di bambini. Sembra dunque che l’autore
rimandasse solo alla prima parte di Aph. I 16: quello che pare interessargli è
solo la relazione fra tipo di dieta e febbre, come emerge dal fatto che subito
dopo egli introduce una spiegazione: “ma dicendo ‘umidi’ …”. Il contesto è
lacunoso, ma sembra che si volesse trarre dalla citazione un senso generale (r.
11 e 12 kaqolikwvteron, aJplouv‡teron). Una tale impostazione trova qualche con-
fronto nell’esegesi galenica, che riporta spesso la frase ippocratica al principio,
anch’esso ippocratico, della cura per opposti (cfr. e.g. I 114, 12 K. qewvrhma ka-
qolikovn). Al r. 13 dopo un verbo di cui si conserva solo la desinenza di terza
persona singolare, çtai, certo riferito a Ippocrate, c’era probabilmente pausa e
con oia˚d˚e iniziava una nuova frase: e.g. oi|a de; ktl.

DANIELA MANETTI
5

P.Köln I 19 saec. IIIp in.

Glossa a Aph. II 21 penetrata nel testo?

Prov.: ignota.
Cons.: Köln, Institut für Altertumskunde, inv. 641.
Edd.: FEYERABEND 1973, pp. 122-128; FEYERABEND 1976, pp. 54-57.
Tab.: FEYERABEND 1973, Ia; www.uni-koeln.de; CPF IV.2 (2008), fig. 66.
Comm.: MP3 543.2; LDAB 1303 KOLLESCH 1978, p. 142; MARGANNE 1981, p. 175 nr. 97;
KÜHN-FLEISCHER 1989, XII (P15); ANDORLINI 1993, nr. 13; MAGDELAINE 1994, pp. 214-
215; 389-391; HANSON 1995, pp. 26-27; MARGANNE 1996, p. 2720; HANSON-GAGOS
1997, p. 128 n. 15, 131; MARGANNE 1998b, 110, nr. 15; INDELLI 2008, p. 471; LAMBERTI-
MANETTI 2008, pp. 85-88.

Frammento di rotolo papiraceo (il verso, poiché il pezzo è montato su car-


tone, non è visibile) di cm 3,8 × 15,9. Conserva resti di 29 righi per circa un
terzo della larghezza ricostruibile della colonna (26-30 lettere per rigo), mutila
da tre lati: è conservato soltanto il margine inferiore di cm 2,2. La scrittura è di
stile severo, leggermente inclinata a destra, con lieve contrasto chiaroscurale,
cfr. anche P.Med. inv. 71.77 (cfr. CPF IV.2 [2008], nr. 90) del sec. IIIp. Segni di
lettura sono un apostrofo al r. 7 e puntini di cancellazione sopra le lettere al r.
19; spazi bianchi di misura variabile segnano la fine di un aforisma o una pausa
forte di senso (simili spazi vanno ipotizzati in lacuna ai rr. 4, 9, 11, 13, 16, 20).
Lo iota mutum è apposto (cfr. rr. 1, 28).
Il testo conservato – Aph. II 14-24 – è stato edito per ultimo da Lamberti-
Manetti 2008, a cui si rimanda. Al r. 21 il testo di Aph. 21 è più lungo di quello
a noi noto, probabilmente perché incorporava una spiegazione di qwvrhxi‡.

21 liçmo;n qwvrhåxi‡ luvei. Aph. 21


22 ç kekrhmenå

22 post luvei textum longiorem pap. habuisse videtur, sc. glossema ad qwvrhxi‡, fort. oi\no‡ mh;ç ke-
krhmevnåo‡ : oi\no‡ç kekrhmevnåo‡ Feyerabend 1973 et 1976

Dopo luvei il papiro evidentemente conteneva un’ulteriore frase: il sugge-


rimento di Feyerabend di intendere oi\no‡ç kekrhmevnåo‡ si basa sulla lettura dei
164 Hippocrates 5

numerosi glossemi della parola tipicamente ippocratica qwvrhxi‡, ‘ubriachezza’:


Erotiano (76, 8 N. s.v. qwrh'xai) e Galeno (XIX 105, 2 K.). Tuttavia, nei lessici ci
si limita a definire il senso generale della parola senza specificare a quale tipo
di vino si debba ricollegare il fenomeno (cfr. Hsch. s.v.). Nei commenti più
tardi, come quello di Teofilo, si specifica che l’ubriachezza di cui si parla deriva
piuttosto dal bere vino non miscelato (Dietz 1834, II 317: ajkratopo‡iva) e si dà
una spiegazione tecnica della sua capacità di estinguere la fame: oJ ga;r oi\no‡ oJ
a[krato‡ wJ‡ qermo;‡ ajnaluvei kai; diaforei' tau'ta (Dietz 1834, II 537). Se ci si attiene
a questa linea, supponendo che il testo contenesse un riferimento al significato
di qwvrhxi‡, bisogna allora integrare oi\no‡ mh;ç kekrhmevnåo‡. Resta da notare, se
si accetta questa integrazione, che il tipo di esegesi dei commenti tardoantichi
risale almeno all’epoca di P.Köln.

DANIELA MANETTI
6

P.Ant. III 183 saec. VIp

Note marginali a Aph. III 24, 27; IV 1, 4-5

Prov.: Antinoupolis.
Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: BARNS 1967, pp. 126-129; ANDORLINI, 2008b, pp. 90-94.
Tab.: ANDORLINI 2000, tav. 6 (frr. B-C); ANDORLINI 2003, tav. 6 (frr. B-C); MCNAMEE 2007,
XXXI; CPF IV.2 (2008), fig. 15; on line sul sito The Imaging papyri Project.
Comm.: MP3 543.3; LDAB 1308 FLEISCHER 1969, pp. 640-641; UEBEL 1971, p. 179 (nr.
1442); IRIGOIN 1975, p. 14 (2003, p. 262); TURNER 1977, nr. 99a; KOLLESCH 1978, p. 142;
MARGANNE 1981, nr. 66; MARGANNE 1984, p. 118; KÜHN-FLEISCHER 1989, p. XI (P10);
ANDORLINI 1993, nr. 14; IERACI BIO 1993, pp. 7, 13-14; MAGDELAINE 1994, pp. 215-216;
HANSON-GAGOS 1997, pp. 128 n. 15, 132 n. 22; MARGANNE 1998b, p. 110, nr. 16; AN-
DORLINI 2000, pp. 42-43; IHM 2002, nr. 275; ANDORLINI, 2003, pp. 24-26; MCNAMEE
2007, pp. 262-264; ANDORLINI, 2008b, pp. 89-96; INDELLI 2008, p. 471; MONTANA 2014,
pp. 28, 32; HANSON 2016, pp. 53-54.

Quattro frammenti (A: cm 3,4 × 2,2; B: cm 4,4 × 5,6; C: cm 7,5 × 5,5; D: cm


1,3 × 2,1) di una stessa pagina di codice papiraceo, di media qualità, che con-
serva tracce di Aph. III 20, marginalia a III 24 e 27; III 29, 31; IV 1 con marginalia;
IV 5 con marginalia a IV 4-5: i frammenti del codice sono piccoli e in precario
stato di conservazione, perciò non è possibile ricostruire le dimensioni origi-
narie del foglio, né l’ampiezza dello specchio scrittorio. Il codice presentava
una colonna unica. In B si conserva, su entrambi i lati, un margine laterale di
ca. 3 cm, mentre il margine inferiore di C misura cm 5,6. Per quanto la dimen-
sione del foglio non sia ricostruibile, la mise en page con ampi margini si avvi-
cina a quella di P.Ant. II 86 (contenente anch’esso Aforismi, cfr. CPF I.2, pp.
96-106 e CPF IV.2, 2008, tavv. 12-13), di poco posteriore.
L’ampia marginatura della pagina, laterale esterna ed inferiore, risulta qui
occupata, a differenza che in P.Ant. II 86, da note ad alcuni Aforismi dei libri III
e IV. Essi sono vergati da una mano diversa in una grafia informale, fitta e di
piccole dimensioni, spesso disordinata e difficilmente decifrabile, di epoca più
o meno contemporanea all’epoca di copia dell’opera ippocratica. Un segno a
serpentina ricorre in C% 2, come segno di abbreviazione, e, in funzione di stacco
tra lemma e commento in C% 7. La scrittura del testo principale, di cui restano
pochissime lettere in A e B, è una libraria del tipo ogivale inclinato databile
166 Ippocrate 6

alla metà del secolo VIp. (cfr. Andorlini 2008b, p. 90). Il testimone fa parte del
gruppo dei papiri medici bizantini della cosiddetta ‘collezione medica di An-
tinoupolis’ (Marganne 1984, pp. 117-126) e il suo interesse risiede nella dispo-
sizione della pagina con un ricco apparato di marginalia, strutturato sia come
‡covlion (B$) di richiamo al lettore delle varie sezioni del testo di Aforismi, sia
come annotazioni esegetiche precedute da lemmi estesi, forse indizio di deri-
vazione diretta da un commentario (C↓). I contenuti esegetici, hanno qualche
riscontro in Galeno e nella tradizione esegetica medievale ma mostrano una
completa autonomia, a testimonianza forse di una prassi scolastica locale (per
i passi paralleli, cfr. Andorlini 2003, tav. VI, e Andorlini 2008b, pp. 94-96): Han-
son 2016, p. 54, accosta la nota marginale in C↓ ad un commento latino agli
Aph.
La prima mano ha aggiunto in ekthesis nel margine sinistro del r. 4, le lettere
da (da interpretarsi come “4.1”), testimoniando così l’articolazione tradizionale
dell’opera, che fa iniziare in questo punto la quarta sezione.
Il testo dei marginalia non è registrato nell’apparato di Magdelaine, che tut-
tavia tiene conto del papiro tra i testimoni (P10); è invece riportato da McNamee
2007, pp. 262-263. Testo e apparato sono sostanzialmente quelli di Andorlini
2008b.

B$ Del testo di Aph. III 24 sono conservate solo le ultime lettere di ogni rigo
(rr. 3-4). La nota corre sul margine destro esterno degli stessi righi.
[ad Aph. III 24 ejn de; th'/‡in hJlikivh/‡i toiavde xumbaivnei: toi'‡i me;n ‡mikroi'‡i kai;
neognoi'‡i paidivoi‡in, a[fqai, e[metoi]

‡˚c˚o˚v(lion)
telev‡a‡ oJ qfieÝiovtaåto‡
ŞIppokravth‡ to;n påe-
ri; tw'n wJrw'n kai; ka˚t˚a˚‡˚åtav-
5 ‡ewn lovgon a[rceta˚åi tou'
åperçi˚; tw'n hJlikiw'n t˚åmhv-
åmato‡

1 ‡˚c˚o˚ sigla abbreviata di ‡covlion Andorlini 2000, p. 25 e n. 32 : “e or ‡ followed by an unidentified


sign” ed. pr. 2 qiotaå
——
1 ‡˚c˚o˚v(lion) Andorlini 2003, 2008 6-7 t˚åmhv|mato‡ Andorlini 2000, 2003, 2008 : t˚å ed. pr.

Scholion: avendo concluso il discorso sulle stagioni e le loro costituzioni il di-


vinissimo Ippocrate inizia la sezione relativa alle età.
P.Ant. III 183 167

C$ Si conserva solo il margine inferiore: in alto tracce illeggibili dell’ultimo


rigo della colonna.
[ad Aph. III 27? toi'‡i de; e[ti pre‡butevroi‡i kai; pro;‡ th;n ἥbhn pro‡avgou‡i, toutevwn
te ta; pollav, kai; puretoi; crovnioi ma'llon, kai; ejk rJinw'n ai{mato‡ rJuv‡ie‡]

— — —
ç˙˙˙˙˙å

1 ç˙˙n˚˙å
çd˚o˚n˚ t˚h'˚‡˚ uJgrovt˚åhto‡
ç˙w˚fo˚n˚ ta z˙å
ç˙˙˙˙˙ait˚i˚‡˚i˚n˚ ai|ma e˚p˚å
5 ça˚k˚i˚a˚i˚ ej˚p˚i˚fevretai kata; t˚auå
ç˙˙˙˙t˚o˚ ei\˚na˚i˚ a˚˙ e˚x˚e‡o˚m˚e˚å
ç˙˙˙˙˙t˚w˚n a[˚rc˚etai ˙ a˚i˚wrw˚n˚å

2 ç˙o˙h˚‡˚u˙ro˚˙å ed. pr. 3 ç˙wf˙ntaz˙å ed. pr. 4 ç˙˙˙˙˙˙˙a˚i˚ ˙ i˚‡˚i˚n aima ˙˙å ed. pr. 5 çm˚h˚˙˙˙
feretai kata touå ed. pr. 6 ç˙˙˙t˙ein˙d˚e˚˙˙˙e‡˙n˚˙å ed.pr. 7 ç˙˙˙˙˙tw˚n˚˙˙r˙t˙˙˙˙˙a˚i˚w˚r˚˙å ed. pr.
——
3 ta; zw'˚åa ? 5 farmça˚k˚fieÝi'˚a˚i˚ ? 7 fort. a˚ij˚wrw'˚n˚ å ? vel k˚ai; wJrw'˚n˚ å ?

... umidità ... sangue ... è mosso ... inizia ....

D$ Margine non identificabile; anche il passo commentato non è identifica-


bile

— — —
1 ç˙˙å
çenta˚i˚˙å
ç˙iqari˚˙å
ç˙mon å
5 çe˚thnå
ç˙rofh˚å
çn˚ gun˚å
ç˙å
— — —
7 ç˙eu˙å ed.pr.
——
6 t˚rofh˚å- vel rJofh˚åm- ? 7 çn˚ g˚un˚åaik- ? cf. Aph. III 28 vel IV 1
168 Ippocrate 6

B% Di Aph. III 31 si conservano le prime due lettere iniziali nei rr. 1-4, da ka-
cexivai a baruhkoi?ai; anche di Aph. IV 1 si conservano solo le tracce iniziali ai
rr. 5-6. La nota si trova nel margine sinistro esterno, anche al di sopra del primo
rigo di testo conservato.
[ad Aph. III 31? toi' ‡ i de; pre‡buv t h/ ‡ i, duv ‡ pnoiai, katav r rooi, bhcwv d ee‡,
‡traggouriv a i, du‡ouriv a i, a[ r qrwn pov n oi, nefriv t ide‡, i[ l iggoi, aj p oplhxiv a i,
kacexiv a i, xu‡moi; tou' ‡wv m ato‡ o{ l ou, aj g rupniv a i, koiliv h ‡ kai; oj f qalmw' n
kai; rJ i nw' n uJ g rov t hte‡, aj m bluwpiv a i, glaukwv ‡ ie‡, baruhkoi? a i].
[ad Aph. IV 1 ta; ‡ kuouv ‡ a‡ farmakeuv e in, h] n oj r ga' / , tetrav m hna kai; a[ c ri eJ p ta;
mhnw' n , h| ‡ ‡on de; tauv t a‡].

— — —
1 ç˙˙å
ç å
çqathwn ˙˙˙˙˙˙å
ç˙l˚i˚˙˙˙˙f˚u˚‡˚˙˙e˙˙å
5 ç˙˙˙˙˙˙˙˙f˚i˚a˚
ç˙an˙˙˙˙i yucra;˚ t˚å
ç˙˙˙˙˙˙˙˙c˚q˚e˚
ç˙taå˙˙˙ç˙˙˙˙˙ou‡i
ç˙ å
10 ç ˙å
ç˙˙
ç˙˙˙˙˙e tetramh˚ån ad Aph. IV 1
çi˚a˚ ——— teia
ç uJpavrcou‡in kai; to; h˚|‡˚å‡on
15 ç˙a˙
ç‡iton —— ˙˙å
———

13 e 16 un tratto lungo in alto sul rigo, Andorlini 2008b: in realtà poco visibile il tratto a r. 13

... fredda (oppure freddi) … di quattro mesi .... esistono e ciò che è meno....

C% Si conservano poche tracce dell’ultimo rigo del testo (in corpo maggiore)
e la nota nel margine inferiore
P.Ant. III 183 169

— — —
1 uJ p o; kuv n a kçai; pro; k˚ å uno; ‡ ej r gwv d ee‡ aiJ farmakei' a i Aph. IV 5

1 ço˚u aiJ de; dra‡˙˙˙å ad Aph. IV 4?


çτ( ) ka˚i;˚ gavr ej‡t˚åin
farmçav˚kwn keno˚u˚m˚å
ejn dçe;˚ ceimw'ni th;n kavtw ga‡tevåra
5 çcron kai; tw'n a[llwn epå
ç˙tai ˙˙˙˙˙˙˙ fuv‡ew‡ ˙˙˙˙å
pro; kuno; ç ‡˚ ej r gwv d ee‡ aiJ farmakei' a i ć epå Aph. IV 5
ç˙˙ ejpeidh; qermovtato‡ w]n k˚åai;
ç kai; xhro;‡˚ kai; to; kaqarthvårion
10 ç˙ peribavllei to; zw'on å

1 çu˚ai˙edr˙˙˙å ed. pr. 2 τ pap.: il segno a serpentina per abbreviazione forse chiude la citazione
del lemma di Aph. IV 4 (φαρμακεύειν θέρεο‡ μᾶλλον τὰ‡ ἄνω, χειμῶνο‡ δὲ τὰ‡ κάτω): çt(ai) ko˚i˚l˚i˚a˚n˚
e‡˙˙å ed. pr. 3 çakwn ken˙˙å˙ç˙˙˙˙˙˙å ed. pr. 4 çe˚cimwni Andorlini : çe˚cinwni˚ ed. pr. 5 çkron
ed. pr. 7 farmakeiai qui il segno separa il lemma dal commento 8 epidh 9 kai to ka˙˙å
ed. pr. 10 periballi ed. pr.
——
1 fort. dra‡t˚i˚k˚åaiv vel dra‡t˚i˚k˚åwtevrai (sc. qerapei'ai, farmakei'ai) 2 an kavçt(w) fort. in lemmate,
ceimw'no‡ de; ta;‡ kavçt(w) ? (Aph. IV 4) 3 keno˚u˚m˚åevnwn ? 5 yuçcrovn ? 6 p˚e˚r˚i;˚ t˚h'˚‡˚ fuv‡ew‡ ?

le (purghe, terapie?) più drastiche ... svuotandosi le purghe .... in inverno il


basso ventre ... degli altri ... natura; “prima del sorgere del Cane le purghe
sono efficaci”: dal momento che essendo molto caldo ... e secco e il farmaco
evacuante .... circonda la persona

D% Margine non identificabile; passo commentato indefinibile

— — —
5 çtracceå
çmat˙å
çi˚nt˙å
ç˙feron˚å
çna‡t˚å
10 çet˚˙å
— — —

4 çfero˙å ed. pr.


170 Ippocrate 6

B$ L’annotazione marginale che affianca il testo principale nel punto di


passaggio da Aph. III 23 a 24 è formulata come nei commentari tardoantichi
(p. es. Steph. In Hipp. Aph. comm. II.1 [CMG XI 1.3.1, p. 138, 4 Westerink]
ejntau'qa tou' deutevrou tmhvmato‡ ajrcovmeno‡ oJ ŞIppokravth‡ ktl.): è esplicitamente
menzionata l’autorità di ŞIppokravth‡ (r. 3), accompagnata dall’appellativo re-
verenziale qeiovtato‡ che diventa comune in epoca bizantina (Ieraci Bio 1993,
pp. 13-14), e si fa riferimento ad una partizione tematica interna. La parola che
precede tutto, ‡χό(λιον), recuperata dalla lettura di I. Andorlini, va ad arricchire
il piccolo numero di attestazioni di questo termine (soprattutto al singolare)
molto discusso: per una analisi accurata delle fonti, cfr. Lundon 1997, pp. 73-
86. Sembra ormai assodato che la parola deve intendersi come “breve annota-
zione”, o “piccola lezione” (per il riferimento etimologico a ‡χολή) e non ha
alcuna relazione con la sua posizione nel margine (cfr. Montana 2014, p. 28).
In effetti in questo caso la nota si trova nel margine di un codice che aveva
un’organizzazione di pagina che prevedeva ampi margini, come se fossero
predisposti all’accoglimento di materiale esegetico. Però le caratteristiche dei
marginalia ricostruibili dai frammenti di P.Ant. III 183 sembrano differire dalla
tecnica scoliografica propriamente detta, attestata nella tradizione medievale
(cfr. Montana 2011, pp. 105-110), perché forse hanno alla base un commentario
continuo, come sembra dedursi dal fr. C% (vedi infra). La nota richiama l’atten-
zione del lettore su una più analitica articolazione di questa parte del libro
terzo di Aforismi e in fondo ha una funzione non lontana da quella dei titoletti
marginali che si trovano in P.Ant. I 28 (⇒ 3). Tale articolazione è recepita anche
da Gal. In Hipp. Aph. comm. (XVIIB, p. 627, 5-6 K.) e da Steph. In Hipp. Aph.
comm. (CMG XI 1.3.2, p. 158, 13-15 Westerink): conclusa l’argomentazione (oJ
lovgo‡) ‘sulle stagioni’ (peri; tw'n wJrw'n) e ‘sulle costituzioni’ (peri; tw'n kata‡tav-
‡ewn), cioè Aph. III 1-23, inizia, con Aph. III 24, la sezione ‘sulle età’ (peri; tw'n
hJlikiw'n, r. 6). L’anonimo annotatore mette inoltre in rilievo le kata‡tav‡ei‡ (rr.
4-5) come uno dei soggetti della parte appena conclusa (cfr. Aph. III 15-17). Il
vocabolo tmh'ma, inoltre, se l’integrazione di Andorlini è corretta, è impiegato
qui per una delle sottodivisioni dell’opera (come nelle citazioni di Aforismi
negli scolii a Oribasio: p. es. Coll. XLVIII, CMG VI 2.1, p. 96, 8 ajpo; tou' ©ò tw'n
jAff., tmhvmato‡ ©ò, rJhtou': ta; peri; mavdara e{lkea kakohvqea, che testimonia una
articolazione interna più precisa e corrisponde a VI 4), e non per designare il
raggruppamento di Aforismi in 7 sezioni, già fissato al tempo di Galeno. Lo
stacco di argomento tra w|rai e hJlikivai è comunque sempre segnalato dall’ese-
gesi tradizionale (vedi passi in Andorlini 2008b, p. 95).

C$ La decifrazione delle tracce è del tutto insicura. Le nozioni di uJgrovth‡


e di ai|ma potrebbero rientrare in un commento ad Aph. 27 (toi'‡i de; e[ti pre‡bu-
tevroi‡i kai; pro;‡ th;n h{bhn pro‡avgou‡i, toutevwn te ta; pollav, kai; puretoi; crovnioi
P.Ant. III 183 171

ma'llon, kai; ejk rJinw'n ai{mato‡ rJuv‡ie‡). Andorlini 2008b porta a confronto l’ar-
gomento svolto nel commento di Galeno (In Hipp. Aph. comm. XVIIB, 638, 5-10
K. ajlloiou'ntai ga;r aiJ diaqev‡ei‡ tw'n paivdwn tavci‡ta, dia; th;n uJgrovthta tou' ‡wvma-
to‡ kai; th;n th'‡ fu‡ikh'‡ dunavmew‡ ajrrw‡tivan. ai{mato‡ de; rJuv‡ei‡ ejk tw'n rJinw'n giv-
nontai toi'‡ thlikouvtoi‡, ejpeidh; pleonavzein a[rcetai kata; th;n hJlikivan ejkeivnhn oJ
cumo;‡ ou|to‡).

B% I righi dell’annotazione, difficilmente decifrabili, si prolungano nell’in-


terlineo del testo principale e lo scriba ne tenta un rozzo allineamento, in fun-
zione delle rispettive associazioni con gli Aforismi, disegnando alcuni tratti di
collegamento: perciò yucrav è sopralineare rispetto al r. 2, tetramh˚˚ån- rispetto
al r. 5 e to; h|˚‡˚å‡on rispetto al r. 6.

C% Le annozioni contenute nel margine inferiore della pagina del codice


riguardano gli Aph. IV 4-5 dei quali il commentatore riporta, almeno in parte,
il lemma (sicuramente a r. 7 e, forse, a r. 2, dove la fine del lemma potrebbe, se-
condo Andorlini 2008b, essere evidenziata dal piccolo segno a serpentina: tut-
tavia l’inizio di un commento con καὶ γάρ è problematico). Lo scriba sembra
quindi avere avuto a disposizione un commentario continuo, di cui riporta qui
un segmento includendone anche i lemmi, ma che può essere la fonte di tutte
le annotazioni marginali del codice. L’argomentazione sui tempi stagionali e
sull’intensità delle purghe dall’alto o dal basso sembra utilizzare materiali ese-
getici tradizionali e privilegiare l’interpretazione ‘fisiologica’ del passo ippo-
cratico, focalizzandosi sulle reazioni della physis alla somministrazione dei
rimedi purganti: per i passi si veda Andorlini 2008b, p. 96. Per l’espressione hJ
kavtw ga‡thvr con cui il commentatore glossa ta;‡ kavtw di Aph. IV 4, cfr. anche
Orib. Coll. VII 23, 18; 25 (CMG VI 1.1, p. 222, 9; 32 Raeder), che cita specifica-
mente questo aforisma.

DANIELA MANETTI
7

p
P.Ryl. III 530 saec. III/IV

Aph. IV 77-78, V 7, 8 (?), 9, 10 (?), 11 (?), 12-14, 16-22 con parafrasi-com-


mento

Prov.: ignota.
Cons.: Manchester, The John Rylands Library.
Edd.: ROBERTS 1938, pp. 162-165; LUISELLI-MANETTI 2008, 184-191.
Tab.: The John Rylands Library website; CPF IV.2, (2008), fig. 146.
Comm.: MP3 543.4 = Pack2 2338; LDAB 5323 HOMBERT 1939, p. 177; SNELL 1939, p. 543;
KÖRTE 1941, p. 45; TURNER 1977, p. 120 nr. 386; MARGANNE 1981, pp. 281-282 nr. 154;
ANDORLINI 1981, nr. 76; MAGDELAINE 1994, p. 218; MARGANNE 2004, p. 113; LUNDON-
MATTHAIOS 2005, p. 99 n. 17; ANASTASSIOU-IRMER 2006, p. 87; INDELLI 2008, p. 472; LUI-
SELLI-MANETTI 2008, pp. 180-197; STROPPA 2008b, pp. 51-52; MONTANA 2012d, p. 112,
n. 6; HANSON 2016, pp. 54-57.

Tre frammenti di un codice papiraceo di cui due (a-b) sono contigui e for-
mano parte di uno stesso foglio. Il terzo frammento (c), che reca resti di poche
lettere, pressoché indecifrabili della parte centrale di una colonna, risulta per-
duto (ed è qui omesso). Oltre a questi frammenti, si conservano tracce evidenti
di lettere a ricalco (non riconosciute nell’ed. pr.), lasciate sul lato A dalla pagina
precedente (= Z).
La porzione superstite del foglio (per la ricostruzione cfr. Luiselli-Manetti
2008, p. 181) è costituita, su ciascuna faccia (A$, B%), da 33 righi assai mutili.
I margini esterni sono perduti, mentre del margine interno sembra sussistere
soltanto un piccolo lembo sulla faccia perfibrale (A). Il margine superiore con-
servato è di cm 1,9-2; perduti sono i margini inferiori. L’altezza complessiva è
di ca. 20,9 cm. A giudicare dai casi di più estesa coincidenza con gli aforismi
ippocratici, sono ricostruibili righi di ca. 49 lettere. Di conseguenza, sebbene
non sia possibile calcolare le dimensioni del foglio, si può affermare con cer-
tezza che il testo era disposto a piena pagina. Il punto d’attacco del primo rigo
di ciascuna citazione ippocratea è in ekthesis: cfr. A 5, 12.
Il codice è vergato in una libraria non elegante, di modulo non uniforme e
ad asse leggermente inclinato a destra, databile ai secoli III-IVp: per la discus-
sione e i confronti cfr. Luiselli-Manetti 2008, pp. 181-182.
Sono testimoniati segni di scansione testuale. La paragraphos ricorre una
volta, apparentemente all’interno di una sezione parafrastico-esegetica (A 7/8).
P.Ryl. III 530 173

La diple obelismene1 è impiegata dentro il rigo con tre funzioni: separa l’aforisma
ippocratico dalla parte esegetica in Z 1, A 13 e B 10, ma sembra essere stata
omessa dopo il testo di Aph. V 7 (A 6, app. pap.) e V 18 (cfr. il commento a B 7-
10); in altri casi distingue la fine della parafrasi dall’inizio del lemma succes-
sivo [A 4, 19 (?), B 7 (?)]; una volta è inserita (per errore?) all’interno di uno
stesso aforisma (B 26). Nei commentari la diple obelismene è ben testimoniata
come segno di scansione testuale, ma è apposta, di consueto, nello spazio in-
terlineare in corrispondenza dell’inizio dei righi: bibliografia in Luiselli-Ma-
netti 2008, p. 182.
All’interno del rigo la diple obelismene ricorre invece in MPER NS I 34 +
29833C verso ($) 5 (⇒ Aristophanes 17, CLGP I 1.4, p. 109), datato al sec. Vp
(resti di un commentario alla Pace di Aristofane), ma non è chiara la sua esatta
funzione (cfr. Montana 2012d, p. 112). L’uso della diple obelismene all’interno
del rigo è testimoniato occasionalmente in papiri di altro genere letterario, sem-
pre con la funzione di scansione testuale: per i confronti vedi Luiselli-Manetti
2008, p. 182.
Il papiro conserva un testo contenente gli Aforismi di Ippocrate citati in suc-
cessione nella stessa sequenza della paradosi medievale e intervallati da una
parafrasi / commento: sulla faccia perfibrale si ricostruiscono lemmi (con brevi
pezzi di esegesi parafrastica) relativi a V 7-14, su quella transfibrale a V 16-22.
Poiché resta fuori solo Aph. V 15, non deve mancare molto, forse una decina
di righi, al completamento della pagina, considerando che la citazione del testo
completo di V 15 doveva occupare ca. 3 righi e che, anche in presenza di ese-
gesi, si tratta sempre, a quanto appare, di brevi parafrasi interpretative (il caso
più lungo, il commento a V 20-21, occupa ca. 8 righi in B 18-25). La presenza
del testo ippocratico completo (apparentemente, ma cfr. A 8-11), senza alcuna
selezione, l’organizzazione della pagina (lemmi in ekthesis, oppure, con una
ottica inversa, commento in eisthesis rispetto ai lemmi, che sono chiaramente
distinti), la proporzione fra testo e commento (il commento è molto ridotto)
riconducono P.Ryl. ad altri casi di esegesi definiti ‘edizione commentata’ (Mon-
tanari 2006, pp. 11-14; Stroppa 2008b, p. 52), che non rimanda affatto ad una
fase ‘primitiva, iniziale’ della filologia ippocratica, ma risponde ad una fruibi-
lità diversa dai commentari continui di tradizione ‘alessandrina’ testimoniati
da Galeno.
Gli Aforismi sono il testo del Corpus Hippocraticum più letto e studiato nei
secoli e quindi anche quello con la tradizione diretta più ricca (Magdelaine
1994, pp. 87-161). Sono stati commentati (ibid., pp. 61-70) a partire da Bacchio
di Tanagra (sec. III a.C.), l’allievo di Erofilo che ad Alessandria dette inizio al-

1
Cfr. Introduzione, p. 146, n. 12.
174 Hippocrates 7

l’attività esegetica su Ippocrate. Prima di arrivare a Galeno, essi furono oggetto


dell’esegesi degli empirici Zeuxis (sec. II/I a. C.) ed Eraclide di Taranto (sec. I
a.C.), di Asclepiade di Bitinia (sec. I a.C.), di Rufo di Efeso, probabilmente di
Sorano (sec. I/II d. C.), autore della divisione del trattato in tre sezioni; e poi
di Quinto (sec. I/II d. C.), Sabino (inizi sec. II d. C.) e Marino (sec. II d. C.), di
Numisiano e Pelope (sec. II d. C.), il maestro di Galeno a Smirne, infine di Lico
e del metodico Giuliano (sec. II d. C.). Di tutta questa tradizione esegetica, per
la maggior parte, dà notizia Galeno all’interno del suo commentario, l’unico
che sia passato nella tradizione medievale (disponibile solo nella edizione di
Kühn; per la tradizione manoscritta cfr. Magdelaine 1994, pp. 225-264). Dopo
di lui, le notizie sulla lettura e la ricezione degli Aforismi sono molto più spo-
radiche. A parte la notizia in Suda (f 295 A.) che Filagrio (sec. IV d.C.) avrebbe
commentato Ippocrate, un solo caso concreto si trova nel trattato Sulla medicina
di Cassio Felice (sec. V d.C.), che cita undici volte gli Aforismi di Ippocrate, con
la mediazione del commento di Magno di Nisibe (sec. IV d.C., citato due volte
a 29.1 e 76.3), cfr. Luiselli-Manetti 2008, p. 183. Magno operò ad Alessandria,
dove pare avesse un grande seguito come professore. Ancora ad Alessandria,
ma più tardi, gli Aforismi conquistarono il primo posto nel canone delle opere
ippocratiche del curriculum medico, e furono di nuovo commentati per la
scuola (cfr. Magdelaine 2003, pp. 321-334; Magdelaine 1996, pp. 289-306). Di
questa attività esegetica rimane il commento di Stefano del sec. VI/VII d.C.
(ed. L.G. Westerink, CMG XI 1.3.1-3, Berlin 1985-1995). Più tardo, ma di data-
zione incerta, è il commento del bizantino Teofilo (Dietz 1834, II, pp. 236-544;
sulla tradizione manoscritta, cfr. Magdelaine 1994, pp. 273-284), che lavorò a
Costantinopoli, attingendo alla tradizione esegetica alessandrina di Stefano.
Il testo di P.Ryl. 530 non sembra avere nessuna relazione riconoscibile con
la lunga storia esegetica dell’opera: offre nei suoi scarni resti una parafrasi con
qualche osservazione esplicativa di livello elementare (per cui si può trovare
qualche confronto in Galeno) e di carattere esclusivamente medico, che utilizza
il testo con una certa libertà. Tuttavia, la sua testimonianza, essendo approssi-
mativamente contemporanea all’attività di Magno ad Alessandria, costituisce
un tassello ulteriore nella storia della ricezione degli Aforismi. Esso costituiva
con tutta probabilità un testo destinato a fini preminentemente pratici e testi-
monia una fruizione da parte di lettori (o scolari?) di livello medio. Ciò ci am-
monisce a non immaginare che i commentari di Galeno o quelli più tardi della
scuola alessandrina rappresentassero il livello standard della formazione dei
medici. Affinità nella tradizione esegetica latina superstite degli Aforismi aveva
colto A.E. Hanson nel suo intervento al XIIIth Colloquium Hippocraticum a
Austin, University of Texas, 11-13 August 2008, identificando qualche lieve
concordanza del commento di P.Ryl. a V 16-17 con il commento a Aforismi con-
servato in MS Bern. 232, ff. 31v-33r, la cui edizione è in preparazione da parte
P.Ryl. III 530 175

di K.D. Fischer (che ringrazio per avermi messo a disposizione il suo testo
provvisorio). In seguito Hanson 2016 ha rinunciato a questa ipotesi, poiché in
effetti vi sono anche divergenze, per es. nel commento a Aph. V 12-13 e 16-17,
20-21, che qui sono scritti come un lemma unico, seguito da un commento co-
mune (A 23-29, B 1-7, 14-26), mentre nel Bern. i due lemmi sono separati e com-
mentati ciascuno per sé (f. 32v-33r). Il parallelo però mostra che il commentario
latino corrisponde, come P.Ryl., ad un livello più basico (la parafrasi) di esegesi
rispetto al filone galenico. I due commenti avrebbero dunque una imposta-
zione analoga ma niente si può dire sulla loro fonte.
Sul piano linguistico è notevole la completa assenza di ionismi nei lemmi
tratti dagli Aforismi: dove si può fare un confronto (Z 4, fr. A+B $ 12, 25, 26, %
1, 2, 15, 30, 31), si constata che ad uno ionismo nella tradizione medievale cor-
risponde una forma attica in pap.; di conseguenza, le integrazioni exempli gratia
sono state fatte tenendo presente questo aspetto del testo.
Il testo dei lemmi è stato collazionato con l’edizione di Magdelaine (431-
435), di cui si utilizzano le sigle dei codici, e di Littré (IV 534-540). Ho qui
omesso il ricchissimo apparato papirologico, per cui vedi Luiselli-Manetti 2008,
pp. 188-191.

Z (pagina perduta prima del fr. A+B $)

margine?
ç y˚ w ˚ r ia'/˚ >— ˙å IV 77
ç vestigia å
ç˙˙˙ kai; p˚i˚t˚urw˚åd
ç˙ o˚ u j ˚ r ou˚ ' ‡ in t˚ o uv ˚ t ˚ o ˚ å i‡ IV 78
5 çaå ± 7 ç >— å
ç˙å
desunt c. 16 vv.
23? çh˙˙å

omnia dispexerunt L.-M. (at v. 23? = ed. pr., v. 45) 2 post y˚w˚ria spatium vacuum 4 oujrou'‡in
pap. : oujrevou‡in C’M Gal(MP) Steph Theo(UV) : oujrevetai Va touvtoi‡in Ermerins : toutevoi‡in
codd. Gal(MP) Steph. Theo(UV) Littré
176 Hippocrates 7

A$
margine
(fr. a) ˙å ± 5 çou å˙ç˙˙˙å
˙˙o vestigia å
å˙çu˚d˚i˚a˚˙˙˙r˚eiå
åaçu˚x˚ontai >— t a ; e j å p i l h p t ik a ; o J p o v ‡oi‡ p ro; t h' ‡ h{ b h‡ giv n et ai V7
5 m ˚ e ta v ‡ ta ‡ i n i [ ‡c ei : å o J p o v ‡ o i ‡ d e; p e v n t e k ai; ei[ k o‡in ej t w' n giv n et ai,
˙˙ a˚ p ˚ o ˚ q ˚ å nçhv ‡ ˚ k ou‡˚ å inç. h{bh‡ å ± 30
fh‡i;n metabolå ±5 ç˙i˙å ± 30
˙˙å ± 6 çea˙å˙˙ç˙å˙˙çar˚˙å ± 30
˙å˙ eçc˚o˚vm˚e˚n˚o˚n˚ ˙å˙˙˙ç˙˙˙epi‡˚å ± 30
10 ˙˙˙å˙˙ç˙å˙˙˙˙ç˙å ± 5 çk˚˙å ± 30
˙˙çeå˙ç˙ eij‡ ejmpoiå ± 29 fqiv ‡ ei‡ V (8?,) 9
g˚ i v ˚ n ˚ o ˚ n ˚ t ˚ a i hJ l ikiv a i‡ måav l i‡ta tai' ‡ aj p o; oj k twkaiv d eka ej t w' n mev c ri
triav k on-
t˚ a p˚ e v n te >— ˙taå˙çr˚ei˚˙å ± 30
a˚‡˚˙˙t˚˙a˚˙å˙ç‡˚i˚å˙ç˙p˚rwto˚å ± 27 dia- V 10?
15 fçe˚u˚vg˚ou˚å‡i ± 9 ç˙eu˚˙å ± 25
˙ç˙˙˙å ±13 ç˙˙˙å ± 29
˙˙˙ç˙å ç˙å˙˙ç˙˙å ± 40
ç å
(fr. a+b) givçnontaåi >ç— å ç . å ç . å V 11?
20 ˙˙ç˙‡˚˙å ç˙å
(fr. b) ˙ç˙eepå
˙˙ç˙å˙ç˙å ± 2 ç˙˙c˚å
th'ç‡˚ k˚e˚f˚åaçl˚åh'‡ rJçevwå‡i ± 17 oJ p ov ‡ oi‡ fqi‡iw' ‡ in V 12-13
aiJ tçr˚ å iv c e‡ aj p o; ç t˚ h˚ ' ‡ kåefalh' ‡ rJ e v o u‡in, ou| t oi, ej p igenomev -
25 nçh‡ d˚ å iaçr˚ r ˚ å oiv ç a‡˚ , aj p ˚ å oqnhv ‡ kou‡in. oJ p ov ‡ oi ai| m a aj f rw' d e‡ ± 4
ou‡i,ç touv t oi‡ ej k åtouv pleuv m ono‡ hJ toiauv t h aj n agwgh; giv n etai.
˙˙˙˙ç ejk tou' pleu˚våmonço˚å‡ ± 31
˙˙˙˙˙˙ç˙ fero˙å˙˙˙ç˙˙å ± 32
˙˙˙˙ç˙t˚oi‡ diavr˚roi˚a ejp˚åigen ± 15? uJ p o; fqiv ‡ ew‡
30 ej c oçm˚ e v n w/ dia˚ v r ˚ r ˚ o ˚ å iaç ej p iågenomev n h, qanatw' d e‡. >— ± 10 V 14
diavçrroia ‡˚untov˚m˚w˚‡ dhlå ± 30
± 12 çtai ˙å ± 33
çu˚htå
— — —
P.Ryl. III 530 177

B%
margine
(fr. a) ± 20 leipoquçm˚ i v ˚ a ˚ ‡ ˚ , t˚ a u' t a åoi| ç ‡ qav n atoå‡. to; V 16-17
de; yucrov n , ‡pa‡mouv ‡ , tetav n ou‡, melaç‡˚ m o˚ u ˚ v ‡ ˚ , rJ i v g h påuçretwv d h å >—
± 27 çt˚ai e˙˙oi‡ katab˚å˙çy˚ai taå ±3
± 23 paraç‡˚keuav‡ai gnwvmh‡ n˚avrk˚w˚å‡in
5 aiJmorragivan ± 13 leiçpoqumivan ejpi˚‡th'‡aåiç az˚å ±3
± 20 dia; ta;‡ ‡çunecei'‡ crhv‡ei‡ å˙çt˚a˚å˙ç˙˙å ± 3
± 27 çr˚on tre˙e˚i˚ >— tåo; ç y˚ u ˚ c ˚ å ro; n ± 2 V 18
± 25 ej g çkefav l w/ mhnigg˙˙å˙˙çh˙˙å ±3
± 27 ç˙ a[ri‡˚åtçon m˚˙˙˙ k˚ a ˚ t ˚ e ˚ v y ˚ u ˚ å ktai ej k - V 19
10 qermaiv n ein, plh; n o{ ‡ a aiJ m orragei' n mçev ˚ l ˚ l ei˚ >— ˙d˙å˙ç˙˙nå ±3
± 30 ç˙å˙˙ç˙ kai; ‡umfora˚å ±3
± 27 ç˙˙˙˙˙˙ tou' ‡wvmato‡˚ å ±5
± 21 aiJ m orrçagiv a n e[ ‡ t˚ i n pro‡dokåh' ‡ ai >—
e{ lke‡i to; me; n yucro; n daknw' d e‡, dçe˚ v r ˚ma peåriç‡klh˚ r ˚ u˚ vn ˚ ei, ojd ˚åuvnhn V 20-21
15 aj n ekpuv h ton poiei' , melaiv n ei, rJ i v g h pçu˚ r et˚ w ˚ v d h˚ , ‡˚ p a˚ ‡ ˚ m ouv ‡ , t˚ e åtav n ou‡.
± 31 ç˙å˙˙˙ç˙‡˚ euj ˚ ‡ ˚ a v r k˚ o ˚ u , qev ˚ å rou‡,
yucrou' pollou' katav c u‡i‡ ej p anav k lh‡in qev r çmh‡ po˚ i ˚ e åi' ç taåi: qev r mh
de; tau' t a rJ u v e tai. ± 21 çepiceå˙˙˙ç˙nå ±6
(fr. a+b) ± 34 ç˙˙i˚‡˚thå˙ç˙ta‡˙å ±4
20 ± 35 ç pure˚å 1/2 ç˙‡ tet˚a˚ån ± 3
(fr. b) ± 35 çt˚oy˙å˙˙ç˙ pote˚ å ± 4
± 34 ç˙˙ne˙˙˙ ej‡tin ˙å ±4
± 34 çm˚h ejkt˚åo;ç‡ tou' ˙˙å ± 4
± 34 ç pavntot˚åeç t˚ou˚toå ± 4
25 ± 34 ç˙˙ euj‡avårçkoi‡ kai; å ± 3
± 19 to; qermo; n ej k puçh˚ t ˚ i ˚ k o; n >— ouj å k ej p i; pan- V 22
ti; e{ l kei, mev g i‡ton ‡hmei' o n eij ‡ aj ‡ fça˚ l iv a ånç, dev r ma m˚ å açl˚ a v å ‡‡ei, ± 5
± 16 ajnwvdunon rJigw'çn ‡pa‡˚åmw'çn˚ p˙å˙ç˙˙å ± 12
± 27 çei‡˚de d˚åiça˚fevrei oj‡åtw'n ± 5?
30 ± 21 ejyilwmevçnoi‡, toåuvtçwn de; ma˚våli‡ta, toi'‡
ejn kefalh'/ e{lkh e[cou‡i: kai; a} uJpo; yçu˚vxew‡ qnh/v˚‡˚åkçei h] e˙å ± 9?
178 Hippocrates 7

± 27 çd˚reh aijdo˚åivw/ ± 13?


33 ± 28 ç˙˙ åqçe˚r˚måo;n ± 16?
— — —

A $ 11 eij‡ L.-M., deinceps fort. ejmpoivåhma (lege ejmpuvhma), coll. Aph. V 8 12 hJlikivh/‡i
cett. 13 post π̣έντε >— spatium vacuum 14 s. diafçe˚u˚vg˚ou˚å‡i L.-M. 15 an pç˙eu˚vm˚åona?
(L.-M.), sed çl˚ (pleuvmona MVa Steph Theo(V)) vel çn˚ (pneuvmona C’Gal(MP) Theo(U)) aegre legun-
tur 18-21 frr. a et b coniunx. L.-M. 19 givçnontaåi suppl. L.-M. 23-27 omnia dispexerunt
et suppl. L.-M. 24-25 diarroivh‡ ejpigenomevnh‡ cett. 26 toutevoi‡in cett. 25-26 ± 3-6ûou‡iç
pap. : ajnaemevou‡in Va : ajnemevw‡in M : ajnaptuvou‡in C’ Gal(P) Steph : vix ejmevou‡in Theo(UV) Gal(v.l.)
vel ptuvou‡in Gal(M) sp. rat. 29-30 suppl. L.-M.
——
B % 1-2 to; – tetavnou‡ suppl. L.-M. 1 oi|‡i cett. 2 rJigv ea puretwvdea cett. 3 an katab˚åfilÝavçy˚ai?
(L.-M.) 4-5 n˚avrk˚w˚å‡inç û åaiJmorragivan L.-M. 6 dia; ta;‡ suppl. L.-M. 7 tåo;ç y˚u˚c˚åro;n L.-M.,
deinde fort. poçûålevmion oj‡toi'‡, ojdou'‡i, neuvroi‡ 8 mhvnigga˚‡˚ ed. pr. 9 m˚e˚n˚ (an m˚e;˚n˚?) ed. pr., dein-
ceps fort. a˚} (L.-M.) 9-10 k˚a˚t˚e˚vy˚u˚åktai – aiJmorragei'n suppl. L.-M. (o{‡a, cum Gal, potius quam oJ-
kov‡a, cum C’MVa Steph Theo, sp. rat.) 10 an a}˚ d-? (L.-M.) 12 ç˙i˚ m˚e˚t˚a˚; ed.
pr. 13 pro‡dokåh'‡ai L.-M. 14 e{lke‡i – daknw'de‡ suppl. L.-M. ojd˚åuvnhn L.-M. 15 ajnek-
puvhton – rJivgh suppl. L.-M. puretwvdea cett. t˚eåtavnou‡ L.-M. 16 fort. eJlçk˚åwv‡eçw˚‡ L.-M. 18-
21 frr. a et b coniunx. L.-M. 19 i˚{‡˚thå‡çi˚ ta;‡? 20 pure˚åtoçu;˚‡ potius quam pure˚åtço;˚‡?
L.-M. tet˚a˚ån (an tet˚a˚vånou‡?) L.-M. 25 an -oçi˚‡˚ (toçi' ˚‡˚ ed. pr.)? 27 aj‡fça˚livaånç pap. : -leivhn
M Gal(MP) Steph Theo(V), -livhn C’ Theo(U), -leivan Va malav‡‡ei pap. cum M Gal(MP) Steph
Theo(V) : malqav‡‡ei C’Va Theo(U) 28 rJigw'çn L.-M. : rJigevwçn ed. pr. cum codd. post ‡pa‡˚åmw'çn
habent tetavnwn cett., fort. om. pap. in fine an pa˚årçh˚g˚åorikovn? L.-M. : t˚e˚t˚avånwçn ed. pr. 29 an
plçei'‡˚fitonÝ de;? L.-M. oj‡åtw'n L.-M. : oj‡åtevwn ed. pr. cum codd. 30-31 toi'‡ – uJpo; suppl. L.-
M. 30 ejyilwmevnoi‡i cett. 31 yuvxio‡ cett. eJl˚åkou'tai ed. pr., at l˚å legi nequit, ut
vid. 32 çd˚reh : lege e{çd˚rh/ ? 33 ç t˚o˚; legi potest : dçe;˚ ed. pr.

Z
1-3 La lettura ywria'/, seguita da spazio e diple obelismene, mostra che si
tratta della parola finale del lemma di Aph. IV 77 (IV 530, 8-9 L. = 428, 3-4
Magd.) oJkov‡oi‡in ejn tw'/ ou[rw/ pacei' ejovnti piturwvdea ‡unexourei'tai, touvtoi‡in hJ
kuv‡ti‡ ywria'/ (“quando in una urina spessa sono espulse anche particelle for-
forose, la vescica si desquama”). Al lemma doveva seguire una breve parafrasi
esplicativa in cui era ripetuto il termine piturwvdh‡ (r. 3).
4-5 In questi due righi si trova il lemma Aph. IV 78 (IV 530, 10-11 L. = 428
5-6 Magd.) oJkov‡oi ajpo; taujtomavtou ai|ma oujrevou‡i, touvtoi‡in ajpo; tw'n nefrw'n fle-
bivou rJhx' in ‡hmaivnei (“quando i malati orinano spontaneamente sangue, è segno
che un piccolo vaso che parte dai reni si è rotto”) come si vede dalla diple obe-
lismene a r. 5.

A$
4-6 Il testo di Aph. V 7 (534, 6-8 L.) è riportato con alcune varianti, ta;
ejpilhptika; oJkov‡oi‡i [C’M Gal(MP) : oJkov‡oi‡ Va, oJkov‡a Gal(MS), oJpov‡a Steph]
pro; th'‡ h{bh‡ givnetai (givgnontai Va), metav‡ta‡in i[‡cei: oJkov‡oi‡i (oi|‡i Va Steph) de;
P.Ryl. III 530 179

pevnte kai; ei[ko‡in ejtevwn givnetai (givgnontai V Theo(U) e[cei Gal(MV)), (toutevoi‡i
add. M Littré) ta; polla; ‡unapoqnhv‡kei. In quel poco che si legge nel papiro
compare però una variante notevole: il verbo finale a˚p˚o˚q˚ånçhv‡˚kou‡˚åinç è chiara-
mente alla terza persona plurale, e dunque si riferisce ai pazienti, e non alla
malattia. Se è così, il significato del testo è alterato e banalizzato perché afferma
che chi viene colpito da epilessia a venticinque anni e dopo, ne muore, mentre
l’aforisma ippocratico intendeva che chi era colpito dopo il limite dei venti-
cinque anni si portava con sé la malattia fino alla morte. Tuttavia le prime
tracce sul rigo non si conciliano facilmente con ‡un-. La presenza di -l˚a˚ (cfr. ta;
pollav) prima del verbo non è affatto certa, per l’eccessiva lunghezza del rigo
così ricostruito. D’altronde Gal. ad loc. sembra presupporre che il testo del
lemma non contenesse ta; pollav, visto che lo segnala come variante (XVIIB
792, 13-16 K.), ma, a quanto pare, tutti i codici di Galeno contengono l’espres-
sione avverbiale, a causa del fenomeno ben noto dell’adeguamento dei lemmi
al testo ippocratico (cfr. Magdelaine 1994, pp. 248-252).
6-7 Solo un piccolo spazio prima di h{bh‡ segna in questo caso l’inizio del
commento: il testo sembra osservare che l’età, o più precisamente la pubertà,
è un fattore di cambiamento (metabolhv) nello svolgimento della malattia, come
si ricava anche da Gal. XVIIB 791, 5-7 K. ajlla; nu'n ge oJ ŞIppokravth‡ movnh‡ th'‡
kat¦ hJlikivan mevmnhtai metabolh'‡ uJf¦ h|‡ dida‡kovmenoi kai; to; th'‡ diaivth‡ ei\do‡
a[ma toi'‡ farmavkoi‡ euJrhv‡omen.
8-11 Le scarne tracce non permettono una ricostruzione del contesto: in
questi righi doveva essere fatta menzione o parafrasi di Aph. V 8 (534, 9-10 L.
= 431, 5-6 M.) oJkov‡oi pleuritikoi; genovmenoi oujk ajnakaqaivrontai ejn te‡‡are‡kaiv-
deka hJmevrh/‡i, touvtoi‡in ej‡ ejmpuvhma kaqiv‡tatai, ma non sembra essere rimasto
niente, se non a r. 11 ei‡ empoiå , probabile grafia errata per eij‡ ejmpuvåhma. È in
teoria anche possibile, visto che lo spazio in pap. è molto limitato, che l’afori-
sma non comparisse in questa posizione, o fosse omesso (?), per quanto né Ga-
leno né altre fonti antiche testimonino questa possibilità.
11-13 Aph. V 9 (534, 11-12 L. = 431, 7-8 M.) fqiv‡ie‡ givnontai (C’Va Gal(MP)
Theo(UV), fqiv‡i‡ givnetai M Steph) mavli‡ta (ante givnontai transp. Va) hJlikivh/‡i
th'‡/ in ajpo; ojktwkaivdeka (ajpo; devka kai; ojktwv Va) ejtevwn mevcri trihvkonta pevnte (C’Va
(triav- C’Va) Gal(MP) Theo(UV), pevnte kai; trihvkonta M Steph; post pevnte add.
ejtevwn M). Il testo del papiro conferma la presenza del plurale fqiv‡ei‡ç givnontai
della maggior parte della tradizione e la sequenza trihvkonta pevnte. Il rico-
struito r. 12 è più lungo della media, forse si può ipotizzare l’omissione di
th'/‡in (tai'‡).
15-19 La lettura fçe˚u˚vg˚ou˚å‡i rimanda a V 10 (IV 534, 13-536, 2 L. = 431, 9-
432, 2 M.) oJkov‡oi‡i (Opsop. = Gal(syr) : oJkov‡oi cett.) kunavgchn diafeuvgou‡i ej‡
to;n pleuvmona (MVa Steph Theo(V) : pn- C’ Gal(MP) Theo(U)) åaujtevoi‡i MGal(M)
Steph, post trevpetai transp.C’ : toutevoi‡i Ga(P) Theo(UV), aujtevwn Va, secl.
180 Hippocrates 7

Opsop.ç trevpetai, åkai; secl. Opsop.ç ejn eJpta; hJmevrh/‡in ajpoqnhv‡kou‡in. h]n de; tauv-
ta‡ diafuvgw‡in, e[mpuoi givnontai. Una ricostruzione feuvgouå‡in eij‡ to;n pçl˚euvmona
è però troppo lunga per lo spazio. A r. 19, se la lettura givçnontaåi, seguita a
quanto sembra dalla diple obelismene, si riferisse alla parola finale di Aph. V 10,
dovremmo dedurne, vista la distanza di 4/5 righi dal probabile inizio del
lemma, che una breve parafrasi dividesse in due l’aforisma e citasse solo alla
fine h]n de; tauvta‡ diafuvgw‡in, e[mpuoi givnontai.
19-23 V 11 si ricostruisce dubitativamente solo nella parte finale, con le
tracce di r. 23 th'ç‡˚ k˚e˚f˚åaçl˚åh'‡ rJçevwå‡i: (IV 536, 3-5 L. = 432, 3-5 M.) toi'‡in uJpo;
tw'n fqi‡ivwn ejnocloumevnoi‡in (ojcloumevnoi‡i Gal(MV)), h]n åto; ptuv‡ma secl. Erme-
rins], o{ ti (o{per I Littré Ermerins) a]n (eja;n Steph) ajpobhv‡‡w‡i, baru; o[zh/ ejpi; tou;‡
a[nqraka‡ ejpiceovmenon kai; aiJ trivce‡ ajpo; (Va Gal(P) Steph Theo(UV) : ejk C’M
Gal(M)) th'‡ kefalh'‡ rJew v ‡i, qanatw'de‡ (qanav‡imon C’ Steph Theo(V)): “In coloro
che sono affetti da tisi, se ciò che espellono con la tosse ha un forte odore,
quando è gettato sui carboni, e i capelli cadono dalla testa, è un segno mor-
tale”.
27-31 Le parole ricostruibili permettono di ipotizzare che i due aforismi,
V 12 (536, 6-7 L. = 432, 6-7 M.), oJkov‡oi‡i fqi‡iw'‡in aiJ trivce‡ ajpo; th'‡ kefalh'‡
rJevou‡in, ou|toi, diarroivh‡ ejpigenomevnh‡, ajpoqnhv‡kou‡in, e 13 (536, 8-9 L. = 432, 8-
9 M.), oJkov‡oi ai|ma ajfrw'de‡ ejmevou‡in (Theo(UV) Gal(v.l.), ajvnaemevou‡in Va, ajne-
mevw‡in M, ajnaptuvou‡i C’ Gal(P) Steph Littré, ptuvou‡in Gal(M)) touvtoi‡in ejk tou'
pleuvmono‡ hJ toiauvth ajnagwgh; givnetai, fossero citati di seguito e parafrasati in-
sieme. A r. 29 si può ipotizzare infatti h]n toçuv˚t˚oi‡ diavr˚roia ejp˚åigevnhtai, che pa-
rafrasa diarroivh‡ ejpigenomevnh‡. Il contesto comune è quello della tisi che si
collega anche con la tematica di V 14 citato appena dopo. Nella ricostruzione
di rr. 25-26, per la forma verbale richiesta dal discorso i codici si dividono fra
ajnemevou‡in (-evw‡in) di MVa e ajnaptuvou‡in di C’ Gal(P) Steph., che è è lectio faci-
lior, entrambi possibili in pap.: sono da escludere, perché troppo brevi, ejmevou‡in
di Theo(UV) Gal(v.l.) e ptuvou‡in di Gal(M).
31 ‡˚untov˚m˚w˚‡ dhlåwtikovn oppure dhlåoi' (e.g.), indica che si tratta di una
frase di commento; sembra riferirsi al valore prognostico della diarrea. Si può
infatti confrontare il commento di Galeno (XVIIB 799, 5-8 K.) ejntauqi; d¦ aJplw'‡
ei\pe qanatw'de‡ diavrroian ei\nai ejpi; fqiv‡ei, mhvte tw'n tricw'n mnhmoneuv‡a‡, wJ‡ ij-
kanh'‡ ou[‡h‡ kai; movnh‡ to;n qavnaton dhlw'‡ai, in cui si scorgono vocaboli simili
(aJplw'‡, dhlw'‡ai).
35 Forse ejmpçu˚htåik-? Cfr. V 15 (IV 536, 11-13 L. = 433, 1-3 M.) oJkov‡oi ejk
pleurivtido‡ e[mpuoi givnontai ktl.

B%
1-2 Anche qui sono trascritti di seguito gli aforismi V 16 (IV 536, 14-17 L.
= 433, 4-6 M.) to; qermo;n blavptei tau'ta pleonavki‡ crewmevnoi‡i (creo- Littré), ‡ar-
P.Ryl. III 530 181

kw'n ejkqhvlun‡in, neuvrwn ajkrateivhn (M., -teian Littré), gnwvmh‡ navrkw‡in, aiJmor-
ragiva‡ (-ivhn Va), leipoqumiva‡ (-ivhn Va), tau'ta oi|‡i (ejf¦ oi|‡i Gal(v.l.), oi|‡i om. M)
qavnato‡ e 17 (IV 538, 1-2 L. = 433, 7-8) to; de; yucrovn, ‡pa‡mouv‡, tetavnou‡, mela‡-
mou;‡ kai; rJivgea puretwvdea, che sono frasi contigue anche nel testo da cui forse
derivano, cioè il trattato ippocratico De liquidorum usu 1 (VI 120, 16-19 L.). Il
fatto che il testo che segue in pap. (rr. 4-6) sembri parafrasare V 16 fa pensare
che le due frasi fossero intese come parti di un medesimo aforisma. In generale,
il problema della divisione fra gli aforismi è complesso e sono attestate molte
varianti: cfr. p. es., per la sezione IV, il commento di Gal. XVIIB 753, 13-14 K.,
che dà notizia di una variante che considerava uniti IV 69 e 70.
3-7 La parafrasi del testo di V 16-17 si sviluppa in modo relativamente
più ampio di quanto si può ricostruire in media. A r. 3 non si può non pensare
a ejånivçoi‡ katab˚åfilÝavçy˚ai, anche se la lacuna fra b˚ e y˚ ha spazio sufficiente per
una sola lettera, ma katab˚åavçy˚ai non trova riferimento nel testo ippocratico,
poiché il tema principale dei due aforismi è il danno causato da caldo e freddo,
troppo frequentemente usati.
4-7 Il testo di Aph. V 16 è parafrasato, rendendo gli effetti dannosi del
caldo, descritti nel testo ippocratico con sostantivi astratti, con verbi all’infinito,
probabilmente come apposizione del precedente katab˚åfilÝavçy˚ai: “preparare
un torpore della mente … provocare svenimento”. Si allude alla fine alla causa
vera del danno, che è un uso eccessivo del caldo. A r. 6 infatti l’integrazione
dia; ta;‡ ‡çunecei'‡ crhv‡ei‡ è suggerita dal confronto con il commento di Galeno
(XVIIB 801, 3-802, 10 K.), che parla di hJ tou' qermou' crh'‡i‡ a[metro‡ come causa
di emorragia e degli altri fenomeni. A r. 7 le tracce suggeriscono yucçr˚on; trevpe˚ i,
anche se non è chiaro il senso del discorso.
7-10 tåo;ç y˚uc˚ å˚ rovn (r. 7) è l’incipit di Aph. V 18 (IV 538, 3-4 L. = 433, 9-434, 1
M.) to; yucrovn, polevmion oj‡tevoi‡in, ojdou'‡i, neuvroi‡in, ejgkefavlw/, nwtiaivw/ muelw'./
to; de; qermo;n wjfevlimon), cui peraltro va riferito ejgçkefavlw/ (r. 8). Il termine mhvnigx
(r. 8), assente in Ippocrate, rinvia ad un contesto esegetico: probabilmente si
vuole precisare quale parte del cervello è danneggiata, sfruttando le migliori
conoscenze anatomiche postippocratiche. Se il lemma non fosse stato riportato
per intero, ma fosse stato tagliato dopo ejgçkefavlw/, con la plausibile ricostru-
zione (app. crit.) tåo;ç y˚uc˚ å˚ ro;n poçûålevmion oj‡toi'‡' , ojdou'‡i, neuvroi‡, ejgçkefavlw/, biso-
gnerebbe solo postulare l’omissione della diple obelismene fra la fine del lemma
e l’inizio della parafrasi, peraltro già testimoniata in A 6. Il testo ippocratico
sembra trattato con grande libertà, ma si noti comunque che nel passo parallelo
di Liqu. 2 (VI 122, 3-8 L.), in cui ricorrono tutti gli elementi dell’aforisma, manca
la menzione del midollo spinale, come apparentemente qui. Anche Cassio Felice
cita in modo selettivo questo aforisma in due passi diversi, in uno (32, 3) rife-
rendolo solo ai denti, nell’altro (38, 1) solo al midollo spinale; Galeno invece in
Comp. medic. per genera (XIII 565, 10-11 K.) menziona solo i nervi.
182 Hippocrates 7

9-10 La citazione di Aph. V 19 (IV 538, 5-6 L. = 434, 2-3 M.), oJkov‡a
katevyuktai, ejkqermaivnein, plh;n o{‡a (oJkov‡a M) aiJmorragei'n mevllei (aiJmorragevei
h] mevllei perp. Gal(P) I Littré Ermerins), sembra inserita in un contesto discor-
sivo con qualche modificazione. La presenza di a[ri‡˚åtçon m˚ … suggerisce infatti
l’integrazione a[ri‡˚åtçon m˚e;˚n˚ a}˚ k˚a˚t˚e˚vy˚u˚åktai, che trasforma l’aforisma in un se-
guito esplicativo di V 18 to; de; qermo;n wJfevlimon (“la cosa migliore è riscaldare
energicamente la parti raffreddate, eccetto quelle in cui un’emorragia sta per
prodursi”).
10-13 L’esegesi di V 19 si sviluppa in modo non ricostruibile (con ‡umfora˚å
si allude a circostanze specifiche?), ma aiJmorrçagivan e[‡t˚in pro‡dokåh'‡ai (r. 13)
parafrasa chiaramente la parte conclusiva.
14-15 Cfr. V 20 (IV 538, 7-9 L. = 434, 4 M.) e{lke‡i to; me;n yucro;n daknw'de‡,
devrma peri‡klhruvnei, ojduvnhn ajnekpuvhton poievei, melaivnei, rJivgea puretwvdea
(poievei add. I Littré), ‡pa‡mou;‡ kai; tetavnou‡. Si può osservare che il papiro con-
corda con la migliore tradizione manoscritta nell’omettere il poievei che si trova
nel testo Littré.
16-17 A quanto pare si rimanda ad Aph. V 21 (538, 10-12) e[‡ti de; (d¦ C’)
o{kou ejpi; tetavnou (tetavnw/ Va Gal(PV) Theo(V)) a[neu e{lkeo‡ (eJlkwv‡io‡ Gal(P)) nevw/
euj‡avrkw/, qevreo‡ mev‡ou, yucrou' pollou' katavcu‡i‡ ejpanavklh‡in qevrmh‡ (q. ej.
Gal(M) Steph) poiei'tai (Va: poievetai C’M Gal(MP) Steph Theo): qevrmh de; tau'ta
rJuvetai. Si nota però che il testo di pap. conteneva una variante perché si legge
euj˚‡˚avrk˚o˚u al genitivo. La parola precedente non può essere e{lkeo‡, perché alla
luce dell’assenza generalizzata di ionismi in pap. ci si attenderebbe piuttosto
la forma e{lkou‡. Più convincente, sulla base delle tracce, appare eJlçk˚åwv‡eçw˚‡;
in tal caso, nevw/ sarebbe stato omesso e eu˚‡j a ˚ rv k˚ou
˚ sarebbe un errore indotto dalla
serie di genitivi. Per quanto concerne la lacuna alla fine del rigo, il calcolo ap-
prossimativo dello spazio consente di ipotizzare un’omissione di mev‡ou dopo
qev˚årou‡.
18-25 Contesto esegetico o parafrastico non ricostruibile. La sequenza
pure˚å 1/2 ç˙‡ tet˚a˚ån (pure˚åtoçuv˚‡, tet˚a˚vånou‡?) al r. 20 rinvia a rJivgea puretwvdea
(rJivgh pçu˚ret˚w˚vdh˚ pap.) e a tetavnou‡ alla fine di Aph. V 20, mentre euj‡avårçkoi‡ al
r. 25 richiama euj‡avrkw/ in V 21.
18 Si può forse vedere in çepiceå una forma di ejpicevw, che spieghi le circo-
stanze in cui si realizza yucrou' pollou' katavcu‡i‡ di Aph. V 21 (versare molta
acqua fredda): cfr. p. es. l’uso del verbo ejpicevw in Gal. Temp. (I 688, 7-13 K.),
che cita appunto e commenta questo aforisma.
26-33 Cfr. Aph. V 22 (538, 13-540, 5 L. = 434, 10-435, 7 M.) to; qermo;n
ejkpuhtiko;n (ejkpoihtiko;n C’Va), oujk ejpi; panti; e{lkei, mevgi‡ton ‡hmei'on ej‡ a‡faleivhn
(-livhn C’Theo(U)pc, -leivan Va), devrma malqav‡‡ei (C’Va Theo(U), malav‡‡ei M
Gal(MP) Steph Theo(V)), ij‡cnaivnei, ajnwvdunon, rJigevwn, ‡pa‡mw'n, tetavnwn
parhgorikovn (parhgorhtiko;n Va): tw'n (to; Theo(U), ta; Littré) de; (d¦ M Gal(P)) ejn
P.Ryl. III 530 183

th'/ kefalh'/, (kai; add. Va Gal(M) Theo(UV) Littré) karhbarivhn luvei: plei'‡ton de;
diafevrei oj‡tevwn kathvgma‡i, ma'llon (mavli‡ta M Gal(M) Theo(UV)) de; (om. C’)
toi'‡in ejyilwmevnoi‡i, touvtwn (Ermerins M., toutevwn cett. Littré) de; mavli‡ta, toi'‡in
ejn kefalh'/ e{lkea e[cou‡i (e{lke‡i Gal(M)): kai; oJkov‡a (o{‡a Gal(MP) Theo(U)) uJpo;
yuvxio‡ qnhv‡kei, h] eJlkou'tai, kai; e{rph‡in ej‡qiomevnoi‡in, e{drh/, aijdoivw/ (a. e{.
Theo(U)), uJ‡tevrh/, kuv‡tei (k. uJ. Steph), touvtoi‡i (Ermerins M., toutevoi‡i cett. Littré;
me;n post t. add. Steph) to; (me;n add. Gal(P)) qermo;n fivlion kai; kri'non, to; de;
yucro;n polevmion kai; ktei'non. Qui l’aforisma sembra diviso in due dalla diple
obelismene, mentre nel resto della tradizione è presentato come un discorso con-
tinuo. Non è chiaro il motivo della divisione; la prima frase avrebbe potuto es-
sere considerata parte finale dell’aforisma precedente, ma certo è difficile fare
iniziare un aforisma con oujk: probabilmente si tratta soltanto di un errore dello
scriba. A r. 27 P.Ryl. condivide la forma in -iva, aj‡fça˚livaånç, con C’ (-ivhn) e
malav‡‡ei con M e buona parte della tradizione indiretta. A r. 28, se
pa˚årçh˚g˚åorikovn (app. crit.) è corretto, avremmo l’omissione di tetavnwn. Al rigo
successivo si può supporre un errore per omissione in plçei'‡fitonÝ de; d˚åiaçfevrei.
A r. 31 ragioni di spazio suggeriscono di integrare il semplice relativo a{ al posto
di oJpov‡a / o{‡a, mentre a r. 32 bisogna supporre una scrittura errata eçdreh per
e{çdrh/.
33 Lo spazio ricostruibile fra i rr. 32 e 33 (ca. 43 lettere) impedisce di con-
siderare åqçe˚r˚måo;n ancora parte del lemma, a meno che non si pensi ad una in-
versione di sequenza nella parte finale dell’aforisma to; yucro;n polevmion kai;
ktei'non, to; de; qermo;n fivlion kai; kri'non.

DANIELA MANETTI
8

P.Oxy. LXXX 5232 saec. II/IIIp

Citazione di Aph. VI 12 e del nome di Ippocrate

Prov.: Oxyrhynchus.
Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: LEITH 2014, pp. 52-59.
Tab.: P.Oxy. LXXX, pl. III; www.papyrology.ox.ac.uk.
Comm.: MP3 2362.530; LDAB 388539.

Resti di due colonne con intercolumnio, scritte sul retro di testo documen-
tario, vergato nello stesso senso. Della col. I restano solo alcune lettere alla fine
del rigo. È conservato in parte il margine superiore (cm 1,6) e quello inferiore
(cm 2). L’intercolumnio misura cm 0,3-0,8. La prima colonna non è completa e
conserva 46 righi, la seconda è invece completa con 51 righi. La scrittura è in-
formale, inclinata a destra e di modulo piccolo con alcune legature (ai, ei, au,
gw): l’editore principe confronta con la prima mano di P.Oxy. V 842 = Roberts
1956, 17b (II/IIIp) e Turner-Parsons 1987, 66 (II/IIIp).
Il testo è diviso in capitoli, il cui titolo è in eisthesis di due lettere, preceduto
da una diple obelismene (paragraphos forcuta) e seguito da una paragraphos (II 6-
7 e 31). Una citazione di Ippocrate, Aph. VI 12 (IV 566, 7-8 L. = 451, 2-3 M.) è
segnalata da diplai marginali (II 17-20) e chiusa da un punto in alto (altro punto
in alto a II 23). Una correzione della stessa mano compare a II 4 e un segno a
forma di àncora è visibile all’altezza di II 37-38. La dieresi compare su iota e
ypsilon iniziali. Lo iota mutum non è ascritto (16, 17).
L’unico tema ricostruibile dai pochi resti sembra quello delle emorroidi, che
compare nel titolo del capitolo a II 7 e nella citazione da Ippocrate. Quindi era
sicuramente oggetto di discussione in II 6-30: nel capitolo seguente, che inizia
a II 31 con ceir˚åourgiva, non si scorgono tracce riconducibili alle emorroidi, ma
non è escluso che la trattazione sulle emorroidi continuasse a proposito della
terapia chirurgica.
La citazione ippocratica è introdotta dal verbo fhå‡i (II 17) e la menzione
in seguito del nome di Ippocrate a 24 e un termine di merito come ajriv‡th a
25 fanno pensare che la citazione fosse seguita da un commento interpreta-
tivo. In effetti l’aforisma, per quanto commentato da Galeno (XVIIIA 21, 14-
22, 18 K) senza accenno a divergenze, deve aver avuto in una qualche fase
P.Oxy. LXXX 5232 185

antica una tradizione e una interpretazione controversa. Mentre la tradizione


medievale ippocratica offre una versione pressoché unanime e coincidente
con quella di Galeno, una fonte tarda come Aezio (sec. VIp) presuppone una
divergenza di lezioni. Secondo il testo della tradizione manoscritta, nella cura
di emorroidi croniche non si devono estirpare tutte ma lasciarne una. La
scelta viene di solito spiegata con l’idea che essa funzioni come una sorta di
canale di evacuazione della materia corrotta. Tale opinione, condivisa dagli
autori successivi (Orib. Syn., CMG VI 3, pp. 300, 28-301, 7; Steph. In Hipp.
Aph., CMG XI 1.3.3, pp. 214, 12-216, 7; Paul. Aeg. VI 79, CMG IX 2, pp. 123,
20-124, 11), è attestata anche in Acut.(sp.) 62 (II 516, 12 L.), ma non tutti la
pensavano così (cfr. Magdelaine 1994, III, 668). Infatti già l’autore di Haem. 2
(VI 436, 20-21 L) ritiene che le emorroidi debbano essere tutte estirpate e
Aezio (VII sec.) nella sua enciclopedia medica (XIV 5, passo edito da Ieraci
Bio 1999, p. 462), sostenendo la stessa posizione, fa riferimento ad una doppia
tradizione dell’aforisma, una che conteneva miva, l’altra che la ometteva.
Aezio, nel sostenere che tutte le emorroidi vanno eliminate, afferma anche
che questa pratica sarebbe appoggiata da Ippocrate, perché il vero testo del-
l’aforisma ippocratico conterrebbe l’ipotetica h]n mh; fulacqh'/ , nel senso “se
(il paziente) non sia stato curato bene”, e non, come alcuni leggono, h]n mh;
miva fulacqh'/ “se non sia stata lasciata una emorroide”. La precisione di questa
indicazione filologica indica che Aezio ha presenti fonti antiche e forse il pa-
piro ne è una conferma indiretta.
Certamente non si può essere sicuri di quale fosse la versione citata dal pa-
piro (il calcolo della misura esatta di rigo 18 è impossibile) – anche se nella ri-
costruzione è stato dato il testo della tradizione ippocratica – ma è probabile
che si affrontasse il problema della contraddizione fra le due terapie: lo sug-
geriscono la forma interrogativa del titolo (II 6, “se si debba …”) e l’accenno a
una posizione maggioritaria (8-9), contro quella di ‘alcuni’ (14).

Col. II

6 eij devon å
ta;‡ aiJmåorroi?da‡

toi'‡ pleivå‡toi‡ e[do<
xen ajnair˚åei'n
10 fuv‡i‡ paq˙å
w{‡per ajllå
prwvth‡ geå
kai; hJ dia; tw'ån
186 Hippocrates 8

oiJ de; lexaå


15 ajpo; tw'n ˙å
to logw/ t˙å
>menw/ fhå‡i aiJ m orroi? d a‡ cro<
>niv o u‡ ij h q˚ å ev n ti, h] n mh; miv a fulacqh' / , kiv n <
>duno‡ u{ d çrwpa ej p igenev ‡ qai h] fqiv <
20 >‡in. touå

thrhqh˙å
pro;‡ th;ån
‡in˙touå
¦Ippokrav ˚ å t
25 ajriv‡th då ej<
‡tin ijdå
‡ioi‡ e˙å
aiJmorrå
cqh o{ti å
30 aiJmorroåi>

18 i>h˙å pap. 19 u>då pap. 20 ‡in: pap. 23 ‡in: pap. 24 i>ppokr˙å pap. 26 i>d[ pap.
——
17-18 aiJm. cron. ijhq. pap. : aiJm. ijhq. cr. C‘MVa Gal(MP) Steph Theo(UV) Aët.: tw'/ ijhq. cron. aiJm. I
Littré Ermerins croçûnivou‡ pap. Aët. (aliqui codices) Paul. Nic. (codd.) : croniva‡ cett. 18 mh;
C‘MVa Gal(MP) Steph Theo(UV) : me;n aliqui Hipp. codd. : om. Aët. Paul. Nic.(codd.)

Se si deve … (tutte?) le emorroidi … per la maggior parte (dei medici?) … si


ritiene opportuno estirpare … la natura dell’affezione (?) … come altri (?) …
della prima (formazione?) … altri invece dicono (?) … ragione …. dice (infatti)
“[in un paziente che è stato curato per emorroidi] croniche, [se non ne viene
lasciata una, c’è] pericolo che sopravvenga idropisia o consunzione” … è
conservata (?) … allo scopo di …Ippocrate (?) … la migliore è a vedersi (?)
emorroidi … emorroidi.

6 Da integrare e. g. (ouj) pav‡a‡ ajnairei'n?


9 Per l’uso di ajnairei'n per l’estirpazione delle emorroidi, cfr. Aët. XIV 5
th'/ ajnairev‡ei tw'n aiJmorroi?dwn, meta; tw'n aiJmorroi?dwn ajnaivre‡in.
10 L’accenno alla natura può rientrare nel motivo ippocratico generale
che la natura suggerisce i modi di cura. Cfr. anche Aët. XIV 5 eij‡ to; kata; fuv‡in
a[gein tou' qerapeuomevnou to; ‡w'ma. Già ed. pr. suggerisce paqw'˚ån.
12 Ed. pr. in commento: e. g. ajpo; th'‡ç prwvth‡ geånev‡ew‡.
P.Oxy. LXXX 5232 187

13 Ed. pr. in commento: e. g. hJ dia; tw'ån farmavkwn qerapeiva.


14 Possibile sia oiJ de; lexavåmenoi sia oiJ d¦ e[lexaån.
17 ]mevnw/, come suggerisce ed. pr., può essere finale di tw'/ prokeiçmevnw/ op-
pure di eijrhçmevnw. In seguito fhå‡i(n) può essere connesso a ciò che precede o
iniziare un nuovo discorso, fhå‡i; gavr.
21 La forma verbale si può interpretare come una forma di congiuntivo
passivo thrhqh'/, che sarebbe una naturale parafrasi dell’ippocratico h]n mh; miva
fulacqh'/ nel senso di “se una (emorroide) sia stata conservata” (nota che Aët.
XIV 5 parafrasa la versione dell’aforisma da lui difesa h]n mh; fulacqh'/ con h]n
mh; pro‡hkovntw‡ diaithqh'/) e si collegherebbe ad una possibile ricostruzione dei
righi successivi.
22-23 pro;‡ th;ån ç‡in, cfr. e.g. Aët. XIV 5 pro;‡ th;n tou' ai{mato‡ e[kkri‡in: si
può alludere alla ragione per cui viene mantenuta una sola emorroide, cioè
per l’evacuazione del sangue corrotto, cfr. anche i suggerimenti di ed. pr. nel
commento.
24-25 Forse un giudizio positivo sulla terapia di Ippocrate. Cfr. ancora
Aët. XIV 5 dunato;n ga;r perigenev‡qai tou' ajriv‡tou tevlou‡ th'‡ qerapeiva‡.
28 Possibili forme di aiJmorråagiva o di aiJmorragevw.

DANIELA MANETTI
9

P.Stras. inv. G 26 saec. II-IIIp

Citazione di Art. 8, Nat. hom. 4 e Morb. I 2

Prov.: ?
Cons.: Strasbourg, Bibliothèque Nationale et Universitaire (P.gr. inv. 26).
Edd.: JOUANNA 1971, pp. 147-60, JOUANNA-MANETTI 2001, pp. 85-93: 87-89.
Tab.: GMP, tav. VII; CPF IV.2 (2008), fig. 160.
Comm.: MP3 539.2; LDAB 4917 WITTERN 1974, p. LXIII; JOUANNA 1975 (20022), pp. 114-
118 (+ 339 in II edizione); IRIGOIN 1975, p. 14 (2003, p. 262); KOLLESCH 1978, pp. 142-
143; LAMBERTI 1984, 112; MARGANNE 1981, nr. 166; POTTER 1998 (V), p. 95;
KÜHN-FLEISCHER 1989, p. XII, P13; MANETTI 1996b, p. 304 e n. 21; JOUANNA-MANETTI
2001, pp. 89-93; ANASTASSIOU-IRMER 2006, p. 128; LAMI-MANETTI 2008, pp.198-201.

Resti di un volumen di contenuto medico (un testo sulla definizione di salute


e malattia): cinque frammenti più ampi (A+B+C+D combinati a formare il fr.
A, cm 13,5 × 12, e E, cm 3,4 × 8, 3)) (più alcuni minuscoli) che restituiscono la
parte superiore di 19 rr. di tre colonne (A-D = fr. A) e la parte mediana di 15 rr.
di un’altra colonna (E: il frammento, che conserva le tracce centrali di una co-
lonna mutila anche in alto e in basso, è scritto dalla medesima mano ma non
sembra ricollegarsi direttamente agli altri). Per la descrizione e datazione della
scrittura in dettaglio cfr. Jouanna-Manetti 2001, pp. 85-86. La scrittura è una
letteraria informale abbastanza disinvolta, caratterizzata da contrasto fra let-
tere strette e larghe, assegnabile al sec. II-IIIp. Si segnala la diairesis realizzata
con un punto, non un trema, sovrapposto ad u (col. III 7, come II 7 e E 12-13).
Nella seconda e terza colonna sono conservati citazioni ippocratiche rela-
tive a De articulis 8 (IV 94, 2 L. fuv‡ie‡ – diafevrou‡in), De natura hominis 4 (VI,
38, 19 to; de; ‡w'ma – 40, 6 L. xuvmpa‡in) e De morbis I 2 (VI, 142, 13-14 L. aiJ me;n ou\n
nou'‡oi – tw'n me;n åejn tw/' ‡wvmatiç). Si tratta per la precisione di citazioni, almeno
una delle quali formalmente introdotta come tale: con qualche sicurezza, in re-
lazione a Morb. I, col. III rr. 16-17 si legge infatti kai; ejn tw'/ prwvåtw/ pçer˚åi;ç n˚ouv‡wånç
o{t˚a˚ånç lev˚ågh/ (sc. Ippocrate: ma si noti che l’espressa attribuzione dello scritto
ad Ippocrate, “quand’egli dica”, data l’incertezza della lettura, è solo assai pro-
babile, non sicura; cfr. invece Wittern 1974, p. CVIII); per quanto riguarda Nat.
hom. restano solo le lettere qr (å… ejn tw'/ peri; fuv‡io‡ ajnçqråwvpou…, Jouanna); e
quanto mai incerta è la lettura e[çf˚åh a II 9 prima della citazione di Art. 8.
P.Stras. inv. G 26 189

Il papiro è la più antica testimonianza in nostro possesso dei tre scritti ip-
pocratici (a parte la dossografia dell’Anonimo Londinese, P.Br.Libr. inv. 137,
VI 43-VII 40, del sec. Ip) ed è assai interessante per la storia della tradizione.

Fr. A

Col. II 1-11
prwvtwn kai; tw'n deutevrwn
kai; tw'ånç trivtwn: hJ me;n diamonh;
t˚h'˚å‡ fu‡içkh'‡ krav‡ew‡ uJgei'a ej‡tivn,
h˚J de; t˚r˚opåh;ç kai; metabolh; nov‡o‡.
5 a[llçw˚˚ ga;r a[llh‡˚ krav‡ew‡ kata-
4-5ç˙˙å˙˙çw˚˙å± 5ç˙‡˚ kai; tw'/ me;n
˙˙ç˙˙ xhrw'/ a˚[gan tw'/ de; uJgrw'/ kai;
˙˙ç˙˙å˙çw/ qermw'/ ‡fovdra tini; de;
˙˙ç˙r˙aut˚h‡˚ ˙˙˙˙˙ fuv ‡ ie‡
10 fuç‡˚ e v w n mev g a d˚ i ˚ å açfev ˚ r ou‡in˚ ˙˙
th;çn eujkra‡ivan ‡t˚åoicçeivwn ei
ktl

5 åa[llçw˚ coni. Jouanna-Manetti 7 fortasse o[nçt˚i˚ 9 fortasse åyuçc˚rw'/

… dei primi, dei secondi e dei terzi. La stabilità della mescolanza naturale è
salute, invece un’alterazione o cambiamento è malattia; infatti in uno una me-
scolanza in un altro un’altra … […] e a uno … troppo secco, ad uno umido e
[…] molto caldo, ad uno invece. … […] le nature sono molto diverse le une
dalle altre [per?] la buona mescolanza di elementi …

Col. III
qråwvpou ca. 10 to; ‡w' m a Nat. hom. 4
toåu' aj n qrwv p ou e[ c ei ej n eJ a utw' /
ai| m ˚ å a kçaåi; flev g ma kai; colh; n
xaånqhv ç n te kai; ˚ åmev l ainan kai;
5 taåu' t ¦ ej ‡ tçi; ˚ å n auj ç t˚ w ' / ˚ åhJ fuv ‡ i‡ tou'
‡çw˚ v m ˚ a ˚ t ˚ o ˚ å ‡ kai; ç dia; ˚ t˚ a åu' t a aj l gev -
ei kai; uJ g i˚ a iv n ei. uJ å giaiv n ei me; n
190 Hippocrates 9

mav l i‡ta åoJ ç kov t åan metriv w ‡ e[ -


ch/ tau' t a åth' ‡ ç p˚ å ro; ‡ a[ l lhla
10 du˚ n av m ewå‡ kça˚ å i; tou' plhv q eo‡,
kai; ˚ mav l i‡åta memigmev n a
h\ / ˚ : aj l gev e i d¦ åoJ k ov ç t˚ å an ti toutev -
wçn e[ l a‡‡on˚ åh] ç p˚ å lçei' o ˚ n h\ / åh] ke-
c˚ w ˚ r i‡mev n on h\ / ej n tw' / ‡˚ w v å mati
15 kaçi; mh; kekrhmev n on h\ / toi' ‡ åi
xuv ˚ m pa‡i˚ n . kai; ejn tw'/ prwvåtw/
pçe˚råi;ç nouv‡wn˚ o{tan˚ l˚evg˚åh/: aiJ Morb. I 2
noçu' ‡ oi g˚ i v ˚ g ˚ n ˚ o ˚ n ˚ å tai hJ ç mi' ˚ å n a{ p a-
‡açi tw' n me; n ˚ ej ˚ å n tw' / ‡wv m ati
— — —

1 åejn tw'/ peri; fuv‡ew‡ ajnçûqråwvpou coni. Jouanna 1971 fort. ou{tw‡ levgei vel similia in lacuna

II 1-11 Per un commento sistematico vedi Jouanna-Manetti 2001. Ai rr. 9-


10 è notevole che la brevissima frase ippocratica di Sulle articolazioni fuv‡ie‡ fu-
‡evwn mevga diafevrou‡in (Art. 8, IV, 94, 2 L.), pertinente ad un ambito
specificamente chirurgico, sia qui inserita in un più generale contesto sulla sa-
lute e la malattia e si riferisca alla mescolanza degli elementi costitutivi del-
l’uomo, cfr. r. 11 (cfr. Jouanna-Manetti 2001, p. 91). Il passo ippocratico è citato
molto sporadicamente, e per lo più all’interno del discorso chirurgico, come
in Apollonio di Cizio (passi in Anastassiou-Irmer 2006, pp. 128-131). Galeno
lo menziona, al di fuori del commento ad loc., solo una volta nel commento ad
Acut. (CMG V 9.1, p. 157, 13-15), dando alla frase un senso più generale, come
qui.
III 1-19 Per il confronto con la tradizione medievale dei due testi ippocra-
tici vedi l’apparato critico in Jouanna-Manetti 2001. La citazione di Nat. hom. 4
riserva qualche sorpresa, perché presenta alcune lezioni singolari contro il resto
della tradizione. Questi aspetti sono tutti trattati diffusamente da Jouanna 1971,
dove vengono forniti tutti i dati tradizionali disponibili (più rapida la presen-
tazione di Jouanna 1975), e da Lami-Manetti 2008, pp. 199-201.
L’anonimo autore sembra usare i due testi come testimonianze autorevoli
del suo discorso, presumibilmente sempre a proposito dei vari tipi di mesco-
lanza dei corpi, rivelandosi come un Ippocratico (aveva inoltre già citato Art.),
ma di un tipo diverso da Galeno, il quale assegna un ruolo privilegiato a Nat.
hom. differenziandolo dagli altri trattati attribuiti a Ippocrate. Qui invece i due
testi, citati di seguito, sono presentati come omologhi e sullo stesso piano, allo
P.Stras. inv. G 26 191

stesso modo in cui sono mescolati dal cosiddetto Anonimo Londinese


(P.Br.Libr. inv. 137, VI 43-VII 40), quando presenta la sua personale versione
delle dottrine ippocratiche, in contrapposizione alla sua fonte aristotelica: per
la possibile compatibilità dei due trattati sul piano fisiologico vedi Manetti
1996b, pp. 300-303.
Il titolo con cui viene introdotta la citazione di Morb. I era quello noto e
ormai stabile nel II secolo: la menzione di libri “Sulle malattie 1 e 2” compare
per la prima volta nel catalogo delle opere ippocratiche all’inizio del Glossario
di Erotiano (p. 9, 15 N.); sulla possibilità di un titolo peri; ejmpuvwn testimoniato
da Galeno vedi Wittern 1972, p. LXVIII e n. 1.

DANIELA MANETTI
10

P.Oxy. LXXX 5231 saec. I-IIp

Commentario adespoto a Epid. I

Prov.: Oxyrhynchus.
Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: LEITH 2014, pp. 43-52.
Tabb.: P.Oxy. LXXX, (controfrontespizio); www.papyrology.ox.ac.uk.
Comm.: MP3 537.020; LDAB 388538 LEITH 2014, LEITH in stampa.

Resti di due colonne consecutive (cm 12,6 × 28,2) scritte a rovescio sul verso
di P.Oxy. LXXVIII 5162 che contiene un glossario tematico greco-latino, scritto
dalla stessa mano. Il rotolo doveva quindi appartenere ad una persona di
buona cultura con ampi interessi, che non era necessariamente un medico di
professione. Si conserva il margine superiore per cm 3,3, quello inferiore per
cm 1,8, l’intercolumnio è di cm 1,3-2, l’altezza della colonna è di ca. cm 23,9.
La col. I contiene la seconda metà di 42 righi (forse ne ha perso uno?), la col. II
la parte iniziale di 43 righi, con una media di 22 lettere per rigo.
La scrittura è informale, rotonda, tendenzialmente bilineare, salvo f, che si
alza in alto e in basso, i, che scende di poco sotto il rigo e occasionalmente curva
verso sinistra, b leggermente più alto; u è a forma di v e inclinato a sinistra. Leith
accosta P.Lond.Lit. 132 (Roberts 1956, 13b), della metà del sec. IIp, e la seconda
mano di P.Lond.Lit. 108 (Turner-Parsons 1987, 60), della fine del sec. Ip; cfr. anche
Turner-Parsons 1987, 39 (P.Br. Mus. inv. 135, Eroda = P.Lit.Lond. 96) del sec. I-IIp.
Sono conservati segni di lettura: dieresi sopra iota iniziale (II 18, 36), punto
in alto (I 8, 32, II 29); paragraphos (II 4, 16, 30, 38). Il testo è stato corretto a II 23,
con la sovrapposizione di due lettere nell’interlinea. Lo iota muto non è mai
ascritto.
Il frammento conserva resti di un commentario lemmatico a Ippocrate Epi-
demie I e cita due volte lo stesso testo, cioè il caso di Sileno, che è la seconda
storia clinica della serie di Epid. I (II 684, 11 ss. L.). La prima volta, all’inizio di
col. I, è conservata la fine della storia (II 688, 4-8 L.), la seconda volta, II 4, la ci-
tazione riguarda la prima parte (II 684, 11-686, 1 L.).
I lemmi sono distinti, a quanto appare da col. II, dove si conserva l’interco-
lumnio sinistro, solo da una paragraphos all’inizio e alla fine (II 4 e 16) e da un
punto in alto alla fine (II 16).
P.Oxy. LXXX 5231 193

Probabilmente la storia clinica era citata per intero una prima volta, seguita
da un commento di carattere più generale (contenente riferimenti all’esegesi
precedente) e poi veniva citato in sezioni, a cui era dedicato un commento più
specifico. Questa caratteristica non si ritrova in Galeno, ma in commenti più
tardi (Leith 2014, 43-44). Il terminus post quem è costituito dalla citazione di
Asclepiade (di Bitinia) in I 12, la cui cronologia è discussa, ma la cui morte co-
munque si colloca agli inizi o nella prima metà del I sec. a.C.1
È la prima testimonianza arrivataci di un commento pregalenico ad Epid.
I: nel suo commento a Off. (XVIIIB 631, 15-632, 1 K.) Galeno informa che “(fra
i commentatori antichi) ce ne sono quattro, due hanno scritto commentari a
tutte le opere di Ippocrate, Zeuxis [IIa] e Eraclide di Taranto [Ia], e due (hanno
scritto commentari) non a tutte fima (solo)Ý alle difficili, Baccheios [IIIa] e Ascle-
piade [II-Ia]” (cfr.von Staden 2006, p. 18 n. 12, che propone fiajlla; ta;Ý du‡lovgi‡ta
al posto del tradito e corrotto di‡‡olovgi‡ta). Ma per Leith (in stampa), il testo
può essere emendato anche così “(fra i commentatori antichi) ce ne sono quat-
tro, due, Zeuxis e Eraclide di Taranto, hanno scritto commentari a tutte le opere
di Ippocrate, Baccheios non a tutte, Asclepiade a pochissime” (secondo la con-
gettura di I. Garofalo eij‡ ojlivgi‡ta al posto di di‡‡olovgi‡ta): per l’interpretazione
del passo cfr. von Staden 2009, pp. 153-155. Se è probabile che l’erofileo Bac-
cheios e gli empirici Zeuxis e Eraclide di Taranto, che hanno sicuramente de-
dicato cure ad altri libri di Epidemie, avessero commentato anche il primo libro,
sull’attività esegetica di Asclepiade sappiamo in effetti molto poco. Si ha noti-
zia certa che egli scrisse commenti a Off. (Gal. In Hipp. Aph., XVIIIB passim e
Erot. S 21) e ad Aph. (Cael. Aur. M.A. III 1, 5), mentre sono meno sicuramente
interpretabili come derivanti da commenti le notizie su sue osservazioni a pro-
posito di Epid. III e VI2. Qui la citazione di Asclepiade indica di per sé che con
tutta probabilità egli aveva scritto un commentario a Epid. I, visto che viene
accusato di descrivere in dettaglio la natura della malattia di Sileno e di indu-
giare troppo sulle cause e sui sintomi. Se si accetta la costituzione del testo di
von Staden del passo di Galeno citato sopra, la nuova testimonianza del papiro
non sembra confermare l’idea che Asclepiade avrebbe commentato solo le
opere difficili, visto che Epid. I e III sono considerati da Galeno i testi ippocratici
destinati alla pubblicazione e quindi più chiari.
L’autore del commento del papiro cita Asclepiade, polemizzando con lui,
e sembra rappresentare una posizione empirica, compatibile con quella di Era-
clide di Taranto (cfr. Leith 2014, p. 45, che giudica improbabile un’origine me-

1
Rawson 1982; Polito 1999 ha tentato di alzare la data della vita di Asclepiade al III-II sec. a.C.,
ma sembra più attendibile la datazione proposta da Rawson.
2
Manetti-Roselli 1994, pp. 1616-1617, Leith in stampa.
194 Hippocrates 10

todica di questo testo): infatti sembra privilegiare la terapia rispetto alla dia-
gnosi e dare importanza all’evidenza (cfr. I 13-5 e 16-17 ejnavrgeia). Sembra
anche riferirsi a confronti con Asclepiade antecedenti al passo conservato dal
papiro (cfr. col. I 12) e dunque ritenere Asclepiade un avversario di riferimento.
Ciò suggerisce a Leith che l’autore del commento non sia tanto lontano crono-
logicamente da Asclepiade: una composizione nel sec. I a.C. sarebbe in accordo
con l’ipotesi di attribuire il commento a Eraclide di Taranto3. L’ipotesi non può
però essere conclusiva, poiché la stragrande maggioranza dei commentari em-
pirici sono andati perduti.
Asclepiade, con questa nuova testimonianza, si mostra un commentatore
molto impegnato in una sorta di diagnosi retrospettiva, tentando evidente-
mente di identificare la malattia di Sileno. Leith (in stampa) pensa che Ascle-
piade interpretasse la malattia come frenite, alla luce della sua teoria
corpuscolare della materia, e porta a confronto un passo di Gal. Exp. med. 28,
3 (p.146-147 Walzer). Inoltre il suo interesse per i parossismi è attestato, ma si
collega alla sua polemica con la teoria ippocratica dei giorni critici (Leith, in
stampa). In sostanza egli avrebbe integrato il testo ippocratico con gli elementi
derivati dalle sue dottrine, con una sorta di riscrittura.
Il testo ippocratico è stato collazionato con l’edizione di Epidemie I di H.
Kühlewein (I, pp. 203, 11 ss.) e con il lemma del commento di Galeno (CMG V
10.1, pp. 130, 119-131, 12).

Col. I

u{ p noi leptoiv : aj ç po; koiliv h ‡ o{ m oi< II 688.4 L. = I 204.15 K.


a: ou[ r h‡en aj q rçov ˚ o n: uJ p ov ‡ ta‡i‡
krimnwv d h‡, lçeukhv , kai; pav l in
a[ k rea yucrav . ç eJ ˚ n dekav t h/ , aj p ev <
5 qanen. ej x aj r ch' ç ‡˚ de; touv t w/ kai;
dia; tev l eo‡, pneçu' m a aj r aiov n , mev <
ga: uJ p ocondriv o çu˚ palmo; ‡ ‡une<
chv ‡ : hJ l ikiv h peçr˚ i ; e[ t ea ei[ k o‡i:
th;n me;n kataç‡˚keuh;n tou' pav<
10 qou‡ kai; th;n kaq¦ç e{ka‡ton aijtivan

3
Edizione dei frammenti in Guardasole 1997.
P.Oxy. LXXX 5231 195

˙˙ç˙˙ tw˚ån paçr˚akolouqh‡˚av˚n<


tçw˚n ¦A‡klhpiavdh‡, wJ‡ e[fh˚n,
‡unçevgrayen: hJmi'n de; qerapeiv˚<
anç a˚ujto; movnon proqemevnoi‡
15 euJçr˚ei'n du‡kolivan eijkovtw‡ pa<
revcçei to; pra'g˚åmça˚: ejpi; me;n ga;r
th'‡ç ejnargeiva‡ ejnh'n pavntw‡
tinçi; mh; ‡afh' tina th'‡ nov‡ou
lovgçon labei'n. ajlla; ou\n paro<
20 xu‡çm˚oi'‡ kai; dialeivmma‡in
a[gaçn˚ parhkolouvqh‡en kai; ej<
keivçnoi‡ fioi|‡Ý e{ka‡ta tw'n pro‡ago<
mevçnwn dunh‡ovmeqa param˚e<
trçei'n: ejn touvtoi‡ de; toi'‡ par˚a;
25 ŞIpçpokravtou‡ eijrhmevnoiå‡ç o˚uj<
k a]çn rJa/divw‡ to‡ou'ton euJårei'çn
ejnçh''˚n, ajll¦ w{‡per ejpidra˚åmei'çn˚
tiçn˚o‡ boulomevnou ta; cale<
pwvçtata kai; ajnelovnta to;n a[n<
30 qrwçpon h] dihghv‡a‡qa˚åiç kaqav<
rw'‡ç ta; kata; th;n nov‡on e[oike˚n
ouj ‡afçh'˚ e˚i\nai. kai; mh;n kai; to;
ejktiqçevnai me;n ta; ‡umbav˚nta
tw'/ ’ilçhnw'/, levgein de; th;n ej<
35 pimçevleian wJ‡anei; kaq¦ hJmev<
ranç e˚ij‡iovnta pro;‡ aujto;n poi<
ouvmeçnon mhde;n ginwv‡kein
tw'n ajçpobavntwn, du‡wpivan
tina; kçai; du‡cevreian tw'/ lov˚gw/ tiv<
40 qh‡inç ajllom˙å˙ç˙˙koi˚å˙ç˙˙eå
gça;˚r i[‡w‡ ˙å çllå
çncå ç˙wå

Col. II
pro;‡ tw'/ kai; t˙å
pon ajnagkå
196 Hippocrates 10

filiatr˚ou‡inå
‡una˚f˚qhv‡e‡q˚åai. ’ilhno; ‡ w[ / k ei II 684.11 L. = I 203.11 Kw.

5 ej˚p i; åtço˚ u ' platåamw' n o‡ plh‡iv <
on tw' n Euj ˚ a låkiv d ew: ej k kov p wn
kai; pov t wn k˚ a åi; gumna‡iv w n aj <
kaiv r wn pu' r åe[ l aben: h[ r xato de;
ponei' n kai; oj å ‡fu' n , kai; kefalh' ‡
10 bav r o‡ kai; traåchv l ou ‡uv n ta‡i‡: aj <
po; de; ko˚ å iliv h ‡ th' / prwv t h/ colwv d ea,
a[ k rhåta, e[ p afra, katakorev a pol<
la; diåh' l qen: ou\ r a mev l ainan uJ p ov <
‡˚ t ˚ a ‡˚ i ˚ n ˚ åe[ c ço˚ n ˚ å ta, diywv d h‡, glw' ‡ <
15 ‡a ej p iv x håro‡: nukto; ‡ ouj d e; n ej k oi<
mhv q h: crå

para‡hmhån
o{‡on ij‡cuå
a‡ai tw'n adå
20 ai dovxa‡ meå ajn<
qrwvpou‡ på
kh pareic˙å
aijtiw'n a[ll˚w˚ån
‡oi‡ kata; th˚å
25 novmena kai; tå
ta‡ ejn uJgroi'‡ å
ejpoivei metemå
hJ koiliva‡ rJuv‡iå‡ kou< (Á)
fi‡mou'. ginoμ̣åen
30 de; kai; luv‡ew‡˚ å ‡un< (Á)

evbainen ou\n å
nohqh th;n å
diamartanå
na dihvmart˚åe
35 th;n ajnafor˚åa;n
ijdei'n de; tolå
twn tw'/ ’il˚åhnw'/
qh‡avntwn e˚å ajn<
P.Oxy. LXXX 5231 197


qrwvpwn ne˙å
40 gumna‡ivwn å iJ<
drw;‡˚ ajpo; th'å‡
ta de; kef˚alå
polla; epå

I 2 ç˙on:upo‡ta‡ei‡ pap. 8 eiko‡i: pap. 11 çn˚ek˚t˚å ed. pr. 13 hmein


pap. 20 ç˙oii‡ 32 einai: pap. 37 geinw‡kein 40 allom˙å˙ç˙å˙ç˙k˙iå˙ç˙˙eå˙˙ ed. pr., dopo
allom linea obliqua discendente a destra, e? 41 ç˙˙å ç˙wå ed. pr.
II 14 ecåonta ed. pr. 16 mhqh: pap. 18 i>‡cuå pap. 23 a•m¶ ;ll˚Ð vå ed. pr. 29 fi‡mou: geinomå
ed. pr., ma si tratta di un foro, non di un punto 36 i>dein pap. 37 ‡eilå pap.
——
I 1 ajpo; de; Hipp. Gal. 2 post ajqrçovon add. uJpovpacu keimevnw/ Hipp. Gal. 3 kai; om. Hipp.
Gal. post a[krea add. pavlin Hipp. Gal. 5 de; om. Hipp. Gal. kai; om. Gal. 6 mevga om.
Gal. 8 post hJlikivh add. wJ‡ Hipp. Gal. 11 o{‡oçn˚ ejk˚ t˚åw'n ed. pr. 21 suppl. Leith 22 suppl.
ed. pr. 25-26 suppl. W.B. Henry ap. ed. pr., oujåde;çn˚ Leith, p. 52 32 suppl. Leith
II 7 ajpo; tw'n Hipp.(V) 9 ponevein Hipp.(AV) Gal. kai; pap. Hipp. Gal. : kat¦ Kw 10 xuvnta‡i‡
Gal. 13 post ou\ra add. mevlana Hipp. Gal.

Sonni leggeri, dal ventre cose simili; urinò in abbondanza; sedimento fari-
noso, bianco e di nuovo estremità fredde. All’undicesimo giorno morì. (5)
Fin dall’inizio e in modo continuato ebbe respiro rado, lungo: contrazione
dell’ipocondrio continua: aveva circa vent’anni.
Asclepiade, come ho detto, ha descritto la condizione della malattia e (10) la
causa individuale … di ciò che è conseguito. Ma per noi che abbiamo il solo
scopo di trovare una terapia, (15) la cosa suscita ovviamente insoddisfazione.
Giacché, sulla base dell’evidenza, era assolutamente possibile per qualcuno
rendere conto in modo non chiaro della malattia. Dunque egli ha seguito
troppo minuziosamente parossismi (20) e pause alle quali dovremo commisu-
rare ciascuna delle cose somministrate. Ma in queste frasi (25) dette da Ippo-
crate non sarebbe possibile trovare facilmente una tale misura, ma, come per
uno che vuole trattare sommariamente le cose più difficili e che distruggono
l’uomo (Sileno) (30) piuttosto che narrare in modo chiaro, è probabile che i det-
tagli della malattia risultino oscuri. In particolare l’esporre dettagliatamente
ciò che succede a Sileno e dire (35) la cura, come se andasse tutti i giorni dal
malato, fingendo di non sapere niente degli esiti, fornisce imbarazzo e difficoltà
al discorso (40) ma …. forse …|| oltre a … necessario (?) … ai dottori dilettanti
(o agli amanti della medicina)…. sono destinati ad unirsi?...
Sileno abitava nella bassa pianura (5) vicino alla proprietà di Evalcide. In
seguito a sforzi, cibi e bevande non opportuni fu preso da febbre: cominciò
ad avere dolore anche alla parte inferiore della schiena; (10) pesantezza di
testa e tensione del collo. Il primo giorno evacuò dal ventre materie biliose,
198 Hippocrates 10

non mescolate, spumose, in grande eccesso; urine che evevano un sedimento


nero; assetato, lingua (15) disseccata; di notte non dormì mai.
bene (?) aggiungere una notazione…quanto forte (?) … (20) opinioni … uo-
mini … offrì … di cause di altri (25) … negli umidi … fece … il flusso del ventre
… del sollievo (?) … (30) della soluzione … accadde dunque … sbagliare (?)
sbagliò (35) la riparazione… vedere… per Sileno … uomini (40) esercizi …
sudore … testa… molto …

Col. I
1-8 Il testo ippocratico non ha varianti notevoli rispetto alla tradizione ma-
noscritta medievale e al lemma di Galeno, ma ha alcune omissioni, a r. 2 dove
omette uJpovpacu keimevnw/ prima di uJpov‡ta‡i‡, forse per omeoarcto (cfr. Leith 2014,
p. 51), e a r. 8 dove omette wJ‡ prima di peri; e{tea, che non è certo necessario.
9 È probabile che fra i rr. 8 e 9 (ora in lacuna) ci fosse una paragraphos a se-
gnare la fine del lemma, cfr. II 16-17.
9-10 kata‡keuh; tou' pavqou‡ (o tw'n paqw'n) è espressione frequente anche in
Galeno, cfr. p. es. Comp. med. loc. XII 925, 6 K., XIII 9, 14, In Hipp. Prorrh. (CMG
V 9.2, p. 32, 34 s.), In Hipp. Epid. III (CMG V 10.2.1, p. 131, 19) ecc.
11 La lettura (e conseguente integrazione o{‡oçn˚ ejk˚ t˚åw'n) accolta da ed. pr.
non si adatta bene alle tracce. Si scorge una prima traccia discendente da sini-
stra a destra appena incurvata (a o e), e poi una traccia rotonda aperta a destra
che non può essere parte di kappa, perché non si vede il tratto verticale prece-
dente: potrebbe forse essere sigma, che talvolta è vergato in un solo tratto (ma
talvolta in due). Segue un’asta diritta (t) e la base curva della prima metà di
omega. La traduzione di Leith sembra forzare un po’ il senso: “Asclepiades, as
I said, described the condition of the disease and the cause in each part (insofar
as these can be inferred from the) accompanying (symptoms)”. Si sente il bi-
sogno di un semplice genitivo: Haslam suggerisce eJkçav˚‡˚t˚w˚ån fitw'nÝ, con una
aplografia. Colomo scorge çn˚ eκ̣α̣å , più difficile da integrare.
12 wJ‡ e[fhn: l’espressione ci rivela che l’autore del commentario aveva pro-
babilmente un confronto continuato con il suo predecessore Asclepiade (forse
aveva già menzionato il suo approccio nel commento alla prima storia clinica):
un indizio forte che Asclepiade aveva effettivamente scritto un commentario
continuo al testo ippocratico.
13-15 La dichiarazione dell’autore rimanda ad una impostazione empi-
rica, per la quale vedi il commento di Leith 2014 ad loc.
17 ejnavrgeia è termine chiave della medicina empirica, cfr. Leith 2014, p.
44, e tuttavia l’autore del commento giudica impossibile, sulla base dell’evi-
denza, non in senso generale, ma quella fornita da Ippocrate (v. infra), la rico-
struzione tentata da Asclepiade, soprattutto nell’ottica della commisurazione
della terapia (cfr. rr. 22-24 e to‡ou'ton a r. 26) al paziente.
P.Oxy. LXXX 5231 199

18 Anche ti‡çiv Leith 2014, p. 51.


19-20 Anche Galeno parla di paroxu‡moiv nel commento al passo (p. 130,
30: nei giorni dispari), invece non menziona gli intervalli, dialeivmmata, ma i
due concetti rimandano alla sua trattazione delle febbri, in particolare nel De
differentia febrium. Anche Asclepiade aveva evidentemente interesse per le fasi
della malattia: Leith cita un passo di Celso, forse di derivazione asclepiadea:
(CML I, p. 107, 24-26) medicus non numerare dies debeat, sed ipsas accessiones intueri
et ex his coniectare quando dandus cibus est. Sul rapporto fra parossismi e inter-
valli e ciò che deve essere somministrato, cfr. Diff. febr. VII 372, 17-19 K. eu[dhlon
d¦ o{ti to;n kairo;n th'‡ trofh'‡ ei[‡etaiv ti‡ e[k te tou' kata; to;n paroxu‡mo;n kai; to;
diavleimma crovnou ktl.
21 Leith suggerisce a[gaçn˚ vedendovi ancora una critica ad Asclepiade.
Haslam suggerisce la possibilità di livaçn˚, sulla stessa linea di significato.
22 L’integrazione proposta da Leith, che presuppone una facile aplografia
non è però strettamente necessaria: il testo del papiro può essere inteso “egli
ha seguito in dettaglio i parossismi e gli intervalli e a quelli noi dovremo com-
misurare ciascuna delle sostanze somministrate”.
24 ss. L’autore vede l’impossibilità di trovare criteri di misura sulla base
del testo ippocratico, che viene quindi implicitamente criticato, e sembra ac-
cusare Asclepiade di sorvolare sugli aspetti più difficili della descrizione della
malattia, costruendo una narrazione propria del caso e della ejpimevleia, la cura
(che peraltro non è minimamente menzionata nel testo ippocratico), quasi una
finzione letteraria, come se fosse egli stesso il medico che visitava il malato e
facesse finta di ignorare l’esito mortale.
25-26 La congettura di W.B. Henry ap. ed. pr. fornisce al testo una costru-
zione migliore.
30-32 Il suggerimento di Leith, di integrare ouj ‡afçh' (o forse aj‡afçh'Á)
spinge a intendere il passo in modo un po’ diverso dalla traduzione in ed. pr.
“rather than to describe clearly the matters concerning the disease, there ap-
pear(s) to be …”. Non c’è bisogno che dihghv‡a‡qai abbia un complemento og-
getto esplicito, mentre in seguito ta; kata; th;n nov‡on è il soggetto della frase
principale, in accordo con l’opinione di W.B. Henry ap. ed. pr., che però sugge-
risce eujtelçh': ma qui sembra necessaria una valutazione negativa.
I 38-II 4 Il giudizio finale sul commento di Asclepiade, a quanto pare, è
decisamente negativo (“un discorso imbarazzante e disgustoso”). Purtroppo
il contesto lacunoso impedisce di stabilire una continuità argomentativa con i
righi iniziali di col. II (dove compaiono i termini filiatrou'‡in II 3 e di
‡una˚f˚qhv‡e‡q˚åai II 4), che costituiscono la frase finale del commento, prima del
nuovo lemma.
40 Possibile ajll¦ oJ me;˚ån.
200 Hippocrates 10

Col. II
3 Il verbo filiatrevw è attestato per la prima volta nell’opera di Apollonio
di Cizio In Hipp. Art. (CMG XI 1.1, p. 38, 11; 80, 15), in cui è una volta riferito
al re Tolemeo, cui il testo è dedicato (come anche l’avverbio filiavtrw‡ a p. 10,
3) e ha il significato positivo di “essere interessato alla, amare la medicina”.
Sia il verbo sia l’aggettivo filivatro‡ acquistano però nella prima età imperiale
anche una connotazione leggermente più negativa, quella di avere una prepa-
razione medica generale e non professionale, “dilettarsi di medicina”, e di “me-
dico dilettante”, cfr. in particolare [Diosc.], De venenis, pr. 197 Sprengel. Tuttavia
i filivatroi sono comunque una parte importante del pubblico destinatario
delle opere mediche: cfr. p. es. Galeno, Sanit. tuenda (CMG V 4.2, p. 118, 31-34)
ejn ejkeivnh/ (sc. nel Metodo terapeutico) me;n ga;r aujtoi'‡ movnoi‡ dialevgomai toi'‡ ija-
troi'‡, ejntauqoi' de; kai; toi'‡ a[lloi‡ a{pa‡in, ou}‡ ojnovmati koinw'/ pro‡agoreuvou‡in
e[nioi filiavtrou‡, ejn toi'‡ prwvtoi‡ dhlonovti maqhvma‡i gegonovta‡, wJ‡ gegumna'‡qai
th;n diavnoian; Orib. ad Eunap. prooem. (CMG VI 3, p. 326, 23-25) tw'n ga;r ejn ija-
trikh'/ pragmateiva/ o{‡a me;n ijkanh'‡ dei'tai qewriva‡ kai; th'‡ ejpi; tw'n e[rgwn aj‡khv‡ew‡,
tau'ta i[dia tou' tecnivtou movnou, ta; d¦ eujmetaceivri‡ta kai; toi'‡ filiatrou'‡in ejfiktav.
‡u; de; plevon h] pro‡hvkei toi;‡ filiavtroi‡ ejpi; th;n qewrivan th'‡ tevcnh‡ hjlhvluqa‡.
4-15 La storia di Sileno è ripetuta dall’inizio ed è selezionato il primo
giorno: forse il commento voleva seguire la partizione cronologica in modo
preciso. Il papiro conferma la tradizione medievale e Galeno portando a r. 9
kai; oj‡fuvn, che è stato corretto da Kühlewein in kaq¦. Invece omette (per ome-
oarcto?) mevlana, in ou\ra mevlana mevlainan uJpov‡ta‡in e[conta, che non è comun-
que necessario al senso.
16-18 La presenza di crå come possibile parte p. es. di crh‡tw'‡ o di crh;,
seguita da una voce del verbo parashmaivnw, che indica l’aggiungersi una no-
tazione, e da un termine legato a ij‡cuv‡ a r. 18, richiama l’inizio del commento
di Galeno al passo (CMG V 10.1, p. 130, 13-28). Qui egli apprezza la sintesi fi-
nale sul caso che aggiunge il particolare della giovane età del malato. In para-
gone con la sindrome simile del primo paziente, che muore al settimo giorno,
Galeno spiega la maggiore resistenza di Sileno proprio con la ‘forza’ (p. 130,
17, 21, 22, 27) dovuta all’età.
26 L’aggettivo neutro sostantivato può avere un senso generale (i liquidi),
ma la mancanza qui dell’articolo fa propendere per un valore aggettivale.
27 Alla fine possibile met¦ ejmåou'.
28 Un eccessivo flusso del ventre è in effetti fra i primi sintomi rilevati da
Ippocrate, cfr. p. 203, 13-16 Kühlewein.
33-34 L’autore del commento sembra identificare nel passo di Ippocrate
degli errori, ma purtroppo il contesto non è recuperabile. Dimostra comunque
un atteggiamento critico nei confronti di Ippocrate, che è compatibile con l’im-
postazione dei commentari empirici.
P.Oxy. LXXX 5231 201

40 Può essere che la menzione di gumnav‡ia si riferisca ai povnoi inopportuni


rappresentati come causa scatenante della malattia all’inizio della storia cli-
nica.
41-42 Si sta forse parafrasando un punto del testo ippocratico, dove com-
paiono il sudore e la testa, insieme al sesto giorno (204, 4 Kühlewein), solo
molto sudore diffuso all’ottavo (204, 8): nel primo giorno invece si parla solo
di pesantezza di testa, non di sudore (203, 14).

DANIELA MANETTI
11

P.Herc. 1012 saec. IIa ex.

Citazione di Epid. VI 5, 15; 7, 9

Vedi ⇒ 18.
12

P.Oxy. III 437, 7-11 saec. II/IIIp

Citazione di Iusiurandum 3, 5

Prov.: Oxyrhynchus.
Cons.: Bruxelles, Fondation Reine Elizabeth, inv. E 5929.
Edd.: GRENFELL-HUNT 1903, pp. 77, 79; DEICHGRÄBER 1933, p. 111 n. 42; WOUTERS 1977,
pp. 146-149; GOUREVITCH 1984, pp. 205; 285; MANETTI 2007, p. 308; MANETTI 2008, pp.
208-209.
Tab.: MARGANNE, Présence, 227; CPF IV.2 (2008), fig. 107.
Comm.: MP3 2359; LDAB 1301 BLASS 1906, p. 295; HEIBERG 1927, p. 4; MARGANNE 1981,
p. 132; ANDORLINI 1993, nr. 74; MARGANNE 1998a, p. 152; MARGANNE 1998b, pp. 112-
113, 227-228; MARGANNE 2004, p. 113; LEITH 2007, p. 39; MANETTI 2007, p. 308; MA-
NETTI 2008, pp. 207-209; LEITH 2017, pp. 47-49.

Frammento di rotolo (cm 8,7 × 7,1) che conserva parzialmente 15 righi della
parte inferiore di una colonna mutila ad entrambi i lati (margine inferiore cm
1,3). La scrittura è una libraria informale del cosiddetto ‘stile misto’, cfr. Tur-
ner-Parsons 1987, 27 (P.Br.Mus. inv. 3036, del IIp). L’ed. pr. propone il confronto
con Seider 1967-1970, II, taf. XVI nr. 33 (= P.Berol. inv. 9766, MP2 1424) del sec.
IIIp. Non è visibile alcun segno di lettura, lo iota mutum è ascritto.
P.Oxy. III 437 contiene un testo relativo alla pratica chirurgica. La citazione
del Giuramento 3, 5 (ouj dwv‡w de; oujde; favrmakon oujdeni; aijthqei;‡ qanav‡imon... ouj
temevw de; oujde; mh;n liqiw'nta‡, ejkcwrhv‡w de; ejrgavth/‡in ajndrav‡i prhvxio‡ th'‡de IV,
630, 7-8 e 11-12 L.) è inserita in un contesto che non si lascia individuare chia-
ramente, a causa dell’estensione delle lacune dei rr. 5-7. Tuttavia la menzione
dei malati di calcolosi è chiara ed è collegata al divieto di somministrare far-
maci mortali in una connessione abbastanza stretta: l’ordine è inverso a quello
del testo del Giuramento (p. 4, r. 15 e r. 19 Heiberg), forse perché il maggiore in-
teresse dell’autore è rivolto all’attività chirurgica, come sembra dal discorso
che segue, nel quale si definiscono le qualità che deve avere l’ottimo chirurgo,
fra le quali spicca la capacità di consolare, un elemento ‘recente’ nella caratte-
rizzazione del medico ideale (Manetti 2007). Si può inoltre notare che il riferi-
mento ai malati di calcoli renali sembra omettere ogni allusione ai tecnici
collaboratori addetti all’operazione, che sono citati subito dopo nel testo ippo-
cratico: la menzione dei liqiw'nte‡ è seguita infatti immediatamente dall’allu-
sione all’altro passo di Iusj. sui veleni mortali. Se ne può dedurre che l’autore
204 Hippocrates 12

interpreti il passo ippocratico come rifiuto di operare i calcolosi in senso asso-


luto.
Leith 2017 fa notare che l’autore definisce Iusj. un ‘precetto’ (se la ricostru-
zione è corretta, r. 8 para˚åggevlmatiç), autorevole certo ma non come un vero
giuramento, cfr. l’uso di novmou dikaiotavtou in P.Oxy. LXXIV 4970, 4 (⇒ 13), e
menziona il fatto che anche fonti più tarde (come Stefano di Atene) ritengano
Iusj. uno dei due primi testi (con Lex) da leggere e memorizzare, ma niente di
più. Si può aggiungere che anche gli Aforismi in fonti alessandrine erano defi-
niti ‘leggi’ universali utili alla vita (Roselli 1998).

rr. 7-11 å ç˙l˚i˚q˚i˚å˙˙˙˙˙˙˙ç˙å˙˙˙çliqiw' n tåa‡ wJ‡ kai;ç | åpro‡tçevtaktai ejn tw'/ autw'/
para˚åggevlmatiç | åmh; tev m çn˚ e in mhde; qanav ‡ imon fa˚ v å rmakonç |10 åmhdençi; ˚ di-
dov n ai mhde; a[llo ti p˚åoiei'n tw'nç | åejktço;‡ th'‡ tevcnh‡ kecwrhkovtåwn.

7 ç˙l˚io˚å 7 lettere ç˙å˙˙hçliqiwn t˚å ed. pr. 8 twiautwi pap. 9 çl˚ein ed. pr., fe˚å ed. pr.
——
7 suppl. Wouters 8-9 suppl. Diels ap. Wouters 10-11 suppl. Diels ap. Wouters

[…] i malati di calcoli come è prescritto nello stesso precetto, “di non tagliare”
e “non dare a nessuno un farmaco mortale” e non fare nient’altro che vada
oltre l’arte medica.

DANIELA MANETTI
13

P.Oxy. LXXIV 4970 saec. IIp

Menzione di Iusiurandum

Prov.: Oxyrhynchus.
Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: LEITH 2009, pp. 51-55.
Tab.: P.Oxy. LXXIV, pl. I; www.papyrology.ox.ac.uk.
Comm.: MP3 2354.11; LDAB 119315; LEITH 2017, pp. 41-47.

Estratto di un testo copiato sul verso di un registro agrario. Il papiro è stato


tagliato da un rotolo più largo per accogliere, a quanto pare, le sei righe del
testo copiato. Il foglio sembra mutilo sulla destra, tuttavia il testo ricostruibile
ai rr. 2-5 (con un solo problema) sembra completo, perciò deve mancare una
porzione davvero piccola di papiro La scrittura è una maiuscola rotonda non
accurata databile al sec. IIp: cfr. Turner-Parsons 1987, 22 (IIp). Presenti alcuni
errori fonetici (2, 3) e dieresi inorganica (1, 6).
Il brano è un excerptum dall’inizio di un proemio di un manuale medico,
che afferma la priorità del Giuramento ippocratico nella formazione iniziale del
medico. Stretti paralleli di contenuto in Scribonio Largo, Compositiones praef.
5, che è il primo testo a esaltare il valore del Giuramento. Leith (pp. 52-53) av-
vicina P.Oxy. LXXIV 4970 anche a PSI XII 1275, con cui condivide il carattere
di excerptum, a quanto pare occasionale, di un brano proemiale di manuale me-
dico, anche se PSI XII 1275 presenta una opinione diversa sulle priorità dei gio-
vani che iniziano la preparazione medica. Non è identificabile la ragione per
cui si è scelto di trascrivere su un foglio un testo che resta incompleto.
A parte l’inclusione del Giuramento nella lista delle opere ippocratiche da
parte di Erotiano (praef. p. 9, 19 N.), Scribonio è il primo autore che dimostra
di conoscere e valorizzare il testo ippocratico (Comp., praef. 5, p. 2.20-25 Sco-
nocchia) come testo destinato a chi inizia gli studi di medicina. Nel II secolo
ormai la sua fama è stabilita, come dimostra questo proemio, e come mostra
anche P.Oxy. III 437 (⇒ 12) che lo utilizza in un discorso sulle qualità del chi-
rurgo1.

1
Manetti 2007 e 2008.
206 Hippocrates 13

L’autore mostra di considerare il Giuramento un testo autorevole del rango


di una ‘legge’ giusta e utile alla vita, una considerazione condivisa da P.Oxy.
III 437 (vedi commento a ⇒ 12). In questo e nell’uso della metafora dell’inizia-
zione ai misteri per l’apprendimento della medicina (cfr. già Lex 5, IV 642, 3-4
L.), il papiro anticipa dei motivi che si ritroveranno in testi più tardi come un
anonimo Prolegomenon alla medicina e in commenti ippocratici riferibili alla
scuola medica alessandrina dei secoli V-VII2.

tw'n nevwn toi'å‡ kçata; lovgon eij‡ th;n ijatrikh;n˚ åeçij˚‡a˚ågçomevnåoi‡


²qewrhvmata², påroç‡˚h'kovn ej‡tin, wJ‡ e[gwge dialambavnw˚,
ejn prwvtoi‡ ajpo;˚ tou' ŞIppokrateivou o{rkou th;n ajrch;n th'‡˚
maqhv‡ew‡ poieåi'ç‡˚qai, w{‡per novmou dikaiotavtou kaåi;
5 ‡fovdra biwfeloåu'ç‡˚ kaqe‡tw'to‡. toi'‡ ga;r dia; tou'to måu-
‡tagwghqei'‡fiiÝ a[åpçt˚ai‡ton a{ma to;n ejn tw'/ iJatreuvein˚ å

1 i>atrikhn pap. 2 egwgai pap. 3 ippokratiou pap. 5 toi‡, ‡ corr. da g 6 i>atreuein


pap.
——
5 tou'to, lege touvtou dubitanter Leith : touvtofiuÝ Haslam

Per quei giovani che sono introdotti alla medicina scientificamente, è ap-
propriato, per quanto io discerno, prendere inizio in primo luogo dall’appren-
dimento del Giuramento ippocratico, poiché è stabilito come una giustissima
legge e come molto utile alla vita. Per coloro che sono stati iniziati per suo
mezzo (rende?) infallibile nello stesso tempo colui che nell’esercizio della me-
dicina ...

1 L’avvio è molto simile al testo di PSI XII 1275 tw'n nevwn toi'‡ kata; lovgoi‡
eij‡ û to; iJatreuvein pro‡avgou‡in, w\ Dhmovû‡qene‡, prwvtåoçu˚ kai; ajnagkaiotavtoåuç û pro;‡
åeijç‡agwgh;n uJpavrconto‡ tou' diû5akata‡cei'n tw˚'n ejpi; toi'‡ ejntov‡ te û kai; ejkto;‡ tovpoi‡
tou' ‡wvmato‡ keåiçûmevnwn ojnomavtwn ktl. Il confronto con P.Oxy. rafforza la pro-
posta di Manfredi 1951, p. 112, di correggere in PSI XII 1275 kata; lovgoi‡ in kata;
lovgon, da intendersi nel significato di “scientificamente”. Leith 2017, p. 41, tra-
duce “in a systematic way”.

2
Roselli 1998; Iohannes Alexandrinus, Comm. in Hippocratis Epid. VI, CMG XI 1.4, p. 28, 7 ss. Duffy.
P.Oxy. LXXIV 4970 207

2 qewrhvmata: la parola è difficilmente collegabile al resto del discorso e


sembra decisamente una zeppa. Leith ipotizza, anche a causa della sua posi-
zione in confronto con il testo parallelo di PSI XII 1275, che si tratti della cor-
ruzione del nome del destinatario. Tuttavia, pensando a un diverso tipo di
corruzione, Michael Haslam per litteras suggerisce di intendere qewrhmatikw'‡
“in modo teorico”. In ogni caso la costruzione del discorso non è soddisfacente
né chiara, a meno che non si pensi che la parola trascritta in quella posizione
risulti dall’inserzione corrotta di una glossa a ciò che precede (“coloro che sono
introdotti alla medicina scientificamente”), presente in margine o sopra la linea
nel modello. Fausto Montana suggerisce che la parola sia una corruzione da
qewrivan, sulla base del confronto con il passo di Vettio Valente citato poco sotto
(201, 19, nel commento a 5-6): per il significato cfr. GI s.v. qewriva b alla fine. È
sicuramente più economico che intervenire sulla parte precedente (eij‡ ta; ija-
trika; qewrhvmata).
5-6 dia; tou'to måuû‡tagwghqei'‡fiiÝ : la costruzione diav con accusativo mette
in luce che l’iniziazione avviene “per mezzo” (della conoscenza del Giura-
mento): Leith e Haslam propongono di correggere touvtou, più frequente con il
verbo, ma comunque è notevole l’uso di mu‡tagwgevw per l’iniziazione alla me-
dicina. Si esalta con questo il suo valore di disciplina esoterica. Il verbo non ri-
sulta comparire altrove in testi medici e non ha riscontro in PSI XII 1275. Invece
esso assume un valore analogo, vicino a ‘educare’, in Vettio Valente, per coloro
che apprendono la sua arte: oiJ me;n mu‡tagwgouvmenoi th'/ qewriva/ tauvtῃ (201, 19);
eJtevrou‡ de; ajxivou‡ ejmu‡tagwghv‡amen, ouj crhmavtwn protroph'/ qelcqevnte‡ ajlla; fi-
lomaqei'‡ kai; ejpiqumhta;‡ ejpignovnte‡ (288, 25); cfr. 332, 11 (oiJ memu‡tagwghmevnoi)
e 163, 25; 337, 28 Pingree; mu‡tagwgiva 344, 26.
6 La costruzione del discorso non è chiara: ci vuole un verbo che regga
l’accusativo a[ptai‡ton collegato, a quanto sembra, all’accusativo maschile che
segue, tovn; inoltre la presenza di a{ma fa capire che si mettono a confronto due
categorie di persone o di attività: Michael Haslam suggerisce e.g. a[ptai‡ton
a{ma to;n ejn tw'/ iJatreuvein åa[peiron poiei' kai; to;n ejmpeirovteron. L’uso dell’aggettivo
a[ptai‡to‡ trova paralleli ancora una volta in Vettio Valente, dove esso descrive
una qualità riconosciuta del buon technites o del suo giudizio, cfr. 171, 18; 179,
8; 263, 12; 313, 4; 360, 25 Pingree.

DANIELA MANETTI
14

P.Stras. inv. G 26 saec. II/IIIp

Citazione di Morb. I 2

Vedi ⇒ 9.
15

P.Stras. inv. G 26 saec. II/IIIp

Citazione di Nat. hom. 4

Vedi ⇒ 9.
16

P.Herc. 831, col. II 1-6 saec. Ip in.

Citazione di Prog. 7 in opera di Demetrio Lacone

Prov.: Herculanum.
Cons.: Napoli, Biblioteca Nazionale, Officina dei Papiri Ercolanesi.
Edd.: KÖRTE 1890, pp. 578-591.
Tab.: CAVALLO 1983, XXXVIII; www.chartes.it.
Comm.: CatPErc pp. 190-191 con bibliografia precedente; LDAB 591 PHILIPPSON 1943,
158-159; ALEXANDERSON 1963, 39; CAVALLO 1983, 54 e 75; ROSELLI 1988, p. 55; VAN
HEEL 1989; ROSELLI 1990, pp. 133-134; ANDORLINI 1993, nr. 25; DORANDI 1995; ROSELLI
1990, pp. 133-134; SANDERS 1999, pp. 17-30: 22-23; ANASTASSIOU-IRMER 2006, p. 411;
DEL MASTRO 2010, pp. 220 s.; JOUANNA 2013, p. cxxviii.

Sono conservati sette pezzi contenenti quindici colonne e altri frammenti.


Quattro colonne in più, di cui furono fatti disegni (N e O) subito dopo lo svol-
gimento sono perdute (van Heel 1989; Dorandi 1995). Una nuova “colonna 2”
è stata recuperata, da frammenti prima sovrapposti, da Sanders 1999, pp. 17
ss. Il testo è stato attribuito a Metrodoro (Körte), poi a Demetrio Lacone (Phi-
lippson in modo particolare). Se si accetta l’attribuzione a Demetrio, la pre-
senza di una citazione dal Prognostico di Ippocrate, utilizzata a fini
argomentativi non evidenti, conferma la grande familiarità del filosofo con i
testi medici e in particolare ippocratici: cfr. P.Herc. 1012 (⇒ 18).
La citazione è tratta da Prog. 7 (7.3 p. 18, 1-3 Jouanna = II 126, 5-6 L. = 201,
3-6 Alexanderson): ajlla; tou;‡ ojfqalmou;‡ ejpikatidei'n tw'n toioutevwn: h]n ga;r aiJ
o[yie‡ pukna; kinevwntai, manh'nai tou'ton eJlpiv‡. La tradizione ippocratica non pre-
senta varianti, neppure nella citazione del commento di Galeno ad loc. (CMG
V 9.2, pp. 245-246). Demetrio adatta la citazione al suo discorso decontestua-
lizzandola (“in alcune persone” ejpiv tinwn invece di “in tali pazienti” tw'n
toioutevwn), interessato solo al rapporto fra movimenti degli occhi e follia. Il di-
scorso sulla follia sembra proseguire ai rr. 7-8 kata; åde; ta; paçravkopa keinåhvûmata
åth'‡ diaçnoiva‡ (?).
Il testo è stato collazionato con l’edizione di J. Jouanna (2013).
P.Herc. 831, col. II 1-6 211

Col. II 1-6
kai; dåia; tçaåuvthn gçe th;n aijtivan û kai; oJ ijatro;‡ ŞIppokravth‡ tou;‡ û ojfåqaçlmouv‡ fh‡in
ajpokatiûdeåi'nç dei'n ejpiv tinwn: ἢν û5 åga;r aiJç o[yei‡ pukna; kinevwnûtai, m˚çanh'çnai
touvtou‡ eJlpiv‡. ktl

3-4 ejpikatidei'n Hipp. Gal. 4 ejpiv tinwn P.Herc. : toioutevwn Hipp. codd. plures Gal. : toiouvtwn
Hipp. (V) 5 åga;r aiJç o[yei‡ Sanders : fh‡ivn aiJ åo[çyei‡ Körte collato N o[yie‡ Hipp. Gal. 5-
6 keinevwnûtai 6 touvtou‡ Hipp. codd. aliqui Gal. : tou'ton Hipp. (MV)

e appunto per questa ragione anche il medico Ippocrate dice che in alcune per-
sone è necessario esaminare i loro occhi, “infatti se gli occhi si muovono fre-
quentemente, bisogna aspettarsi che siano colte da un attacco di follia”.

Il testo riprodotto segue la lettura di Sanders 1999, 23, che riduce la di-
stanza fra il testo demetriaco e quello ippocratico. Demetrio parafraserebbe il
testo originale nella prima parte (con la variante ajpokatidei'n, che è hapax), in-
serendolo nel suo discorso, e manterrebbe una maggiore fedeltà all’originale
nella seconda parte (tranne per l’attico o[yei‡).

DANIELA MANETTI
17

P.Tebt. II 678, col. IV 6-11 saec. I-IIp

Citazione di Prog. 15 in un trattato sulla prognosi

Prov.. Tebtynis.
Cons.: Berkeley, Bancroft Library, (UC 1489).
Edd.: P.Tebt. II 678, descriptum: GRENFELL-GOODSPEED 1907, p. 333; ANDORLINI 2009, pp.
15-33; JOUANNA, 2012, pp. 66-67.
Tab.: (parziale) http://tebtunis.berkeley.edu; Andorlini 2009, III.
Comm.: MP3 2368; LDAB 4617 MARGANNE 1981, no. 175; ANDORLINI 2008a, pp. 6-9;
ANDORLINI 2009, pp. 15-33; JOUANNA 2012, pp. 66-67; JOUANNA 2013, pp. cxxix-cxxxii.

Frammenti di un rotolo, descritti nel 1907 in Papyri from Tebtunis e noti nei
repertori (MP3), ma editi in forma completa solo da Andorlini nel 2009, con-
tengono resti di un trattato di soggetto prognostico. Cinque pezzi (d+a+e+c+b)
sono stati combinati a formare il fr. A, mentre due frammenti più piccoli ri-
mangono staccati (F, G). Il fr. A conserva il margine superiore per cm 2,3 e la
parte superiore di quattro colonne continue. L’intercolumnio misura cm 2; vi-
sibili tre kolleseis, che distano fra loro circa 13-14 cm. Il fr. F è mutilo da tutti i
lati, mentre il fr. G conserva il margine inferiore.
La scrittura, una maiuscola rotonda informale, corre lungo le fibre – il verso
è bianco – è datata alla fine del sec. I o all’inizio del IIp.1 Non si scorge alcun
segno di lettura.
Il testo è un manuale prognostico, che presenta in alcuni punti una stretta
affinità con Prognostico e Prognosi di Cos (coll. II e IV), anche se non si fa men-
zione di alcuna autorità. Si tratta di rielaborazione di materiali comuni nella
tradizione ippocratica (nel caso di col. II si riconosce lo stesso contenuto di
Coac. 384 = Prog. 142), ma la sequenza di argomenti ricostruibile nelle colonne
II, III, IV (kovruzai, I 5, ptuvalon, II 4, ajnavptu‡i‡, III 1) corrisponde al contenuto
dei capitoli 14-15 di Prognostico, e specialmente nella col. IV il testo è una re-
plica pressoché letterale di Prog. 15 (II 148, 9-12 L. = 212, 8-11 A., cfr. Coac. 387,
V 668, 4-7 L.). La citazione di Prog. 15 è comunque inserita in un brano che am-

1
Confronti suggeriti da Andorlini 2009: PSI inv. 3054 (MP3 2386 = LDAB 244) e PSI X 1180, en-
trambi databili alla fine del sec. I o all’inizio del IIp.
2
Andorlini 2009, p. 20 in apparato e pp. 26-29 il commento.
P.Tebt. II 678, col. IV 6-11 213

plifica il testo, anche se è di difficile ricostruzione, e sembra introdurre nuove


sfumature nel testo ippocratico. Siamo nell’ambito di una tecnica parafrastica
esplicativa: non è purtroppo utile qui il commento di Galeno che non spiega il
testo di 15, limitandosi a osservare che e[‡ti de; ta; me;n ajgaqa; toiau'ta (II 148, 9
L. = 212, 9 A. = col. IV 3-4), e annuncia l’elenco dei sintomi favorevoli3.
La citazione offre alcune varianti che sono confrontabili con il passo paral-
lelo di Coac. 387, ma ciò non indica necessariamente che il papiro ha avuto
come fonte entrambi i testi: si può trattare di tecniche correnti di parafrasi che
agiscono in modo indipendente. Il testo del papiro è stato collazionato con
l’edizione di B. Alexanderson (Göteborg 1963) e J. Jouanna (Paris 2013).

Fr. A, col. IV

åejçûûpigevnhtaiv t˚åi ‡çw˚t˚hvrion, auj- Prog. 15 (II 148, 9 L)


tw'n dialuq˚h'˚n˚a˚i˚ ‡unevbh
th;n nov‡on: e[‡t˚i˚ de; ta; me;n
ajgaqa; t˚a; t˚w'˚n˚ åijçdivwn ‡hmei'- Prog. 15 (II 148, 9 L)
5 a˚ nfioÝei'n te kaåi; proç‡˚evcfieÝin a˚ujt˚oi'‡˚:
euj p etw' å ‡ fçe˚ v r ˚ e in to; pav q o‡, eu[ - Prog. 15 (II 148, 9-12 L)
pno˚ å oçn ei\ å nai, tçh˚ ' ‡ ˚ oj ˚ d ˚ u v ˚ n ˚ h ‡ aj -
p˚ h ˚ å llav c qai, to; ptçuv e ˚ l on euj -
p˚ å etw' ‡ aj n abhv ‡ ‡eiçn, to; ‡w' m a
10 pa' n oJ m alw' ‡ qermo; ç n ei\ n ai kai;
malqakov n : çu˚˙o˚oun
ç˙n˚ t˚o˚u˚
———
1 ejûpigevnhtaiv vel pro‡eûpigevnhtaiv cf. I 8-9 Andorlini 2009 ‡çw˚t˚hvrion pap. : ajgaqovn Hipp.
codd. 4 t˚a; t˚wn˚' ˚ åijçdivwn Andorlini 2009 6 pavqo‡ pap. : nov‡hma Hipp. codd., cf. Coac. 387 8 to;
ptçuve˚lon pap. spatii gratia Hipp. codd. plures : tov te ptuvelon Hipp. codd. (GM) 8-9 eujjûp˚åetw'‡
Andorlini 2009, cf. Coac. 387 : eujjûo˚vådw‡ e.g. Colomo : rJhidivw‡ Hipp. codd. 9 to; ‡w'ma pap. Hipp.
codd. plures : tov te ‡w'ma Hipp. codd. (GM) 10 pa'n pap. spatii gratia Hipp. codd. (om. m), cf.
a{pan Coac. 387, V 668, 7 L

3
Galeno cita poi, in un passo successivo del commento, una parte del brano, In Hipp. Prog. CMG
V 9.1, p. 370, 12-13 e[‡ti de; ta; me;n ajgaqa; tau'ta: eujpetevw‡ fevrein th;n nou'‡on, eu[pnoon ei\nai, th'‡ ojduvnh‡
ajphllavcqai, to; ptuvelon rJhidivw‡ ajnabhv‡‡ein.
214 Hippocrates 17

[se] sopravviene (un sintomo) di recupero, accade che la loro malattia si risolva.
Ed è possibile conoscere i segni positivi dei fenomeni specifici e prestare loro
attenzione: “sopportare facilmente la malattia, avere buona respirazione, es-
sersi liberato dal dolore, espellere facilmente la saliva, avere il corpo uni-
formemente caldo e morbido” …

1 La frase sembra riecheggiare Prog. 15 (II 148, 7-9 L.) ejlpi;‡ de; ta; toiau'ta
ptuvonta ajpoqanei'‡qai te‡‡are‡kaidekatai'on, h]n mhv ti aujtw'/ ejpigevnhtai ajgaqovn.
Per la sostituzione dell’aggettivo ‡wthvrio‡ a ajgaqov‡ nel papiro, cfr. il commento
di Galeno a Prog. II 55 = CMG V 9.2, p. 306, 20-26 e III 37 = ibid. p. 367, 15-17),
già citato da Andorlini 2009, p. 31. Preferisco mettere la pausa dopo ‡wthvrion
e riferire aujtw'n ai pazienti: “se sopraggiunge (un segno) di recupero, accade
che la loro malattia sia risolta”.
3-5 La frase successiva nel testo di Prognostico (II 148, 9 L.) è e[‡ti de; ta; me;n
ajgaqa; tavde: eujpetevw‡ ktl. Al posto di tavde Galeno nel commento ha toiau'ta
nel lemma (CMG V 9.1, p. 307, 20 = Hipp. codd. YX) e tau'ta in una citazione
successiva (CMG V 9.1, p. 370, 12), come alcuni codici ippocratici (CSGN) Se
la ricostruzione proposta da Andorlini è corretta, il testo del papiro è stato ri-
scritto trasformando il significato di questa frase introduttiva dell’elenco dei
sintomi favorevoli in una frase più complessa che si deve intendere più o meno
così: “È possibile comprendere i segni positivi dei fenomeni specifici e farsi
guidare da loro”.
6-11 Il testo del papiro presenta alcune differenze, perché sostituisce al-
cune parole ippocratiche con sinonimi (nov‡hma > pavqo‡; rJhidivw‡ > euûp˚åetw'‡ r. 6
oppure eujjûo˚vådw‡, in alternativa, a rr. 8-9) e ha meno congiunzioni coordinanti
(te). In alcuni casi le modifiche sono simili a quelle operate dal compilatore
delle Prognosi di Cos, cfr. 387 (V 668, 4-7 L.) fevrein rJhi>divw‡ to; nouv‡hma, th'‡ ojduvnh‡
ajphllavcqai, to; ptuvalon eujpetevw‡ ajnavgein, eu[pnoon ei\nai kai; a[diyon, to; ‡w'ma
a{pan oJmalw'‡ qermaivne‡qai kai; malqako;n ei\nai (si noti l’elenco dei sintomi in
asindeto), ma in altri sono differenti (cfr. pavqo‡). Per l’equivalenza di eujjpetw'‡
con rJhidivw‡ si confronti Gal. In Hipp. Prog. 14 (CMG V 9.1, p. 293, 15-16) to; d¦
eujpetevw‡ ajnti; tou' rJa/divw‡ te kai; ejtoivmw‡ oiJ õEllhne‡ levgou‡i, cfr. anche pp. 293,
20; 388, 21. Anche la citazione isolata del brano nel commento di Galeno (sopra
nota 3) mostra piccole deformazioni analoghe.
8 La forma con e, ptuvelon, è caratteristica del trattato ippocratico, mentre
il papiro usa altrove la forma ptuvalon (fr. A, II 4 e 8): questo può essere un in-
dizio di una derivazione diretta dal testo ippocratico in questo punto.

DANIELA MANETTI
18

P.Herc. 1012, coll. XVIII 10 ss., XXI 1 s., XXIII 1-8 saec. IIa ex.

Citazione di Prorrh. I 1-2, Epid. VI 5, 15; 7, 9 in opera di Demetrio Lacone

Prov.: Herculanum.
Cons.: Napoli, Biblioteca Nazionale, Officina dei Papiri Ercolanesi.
Edd.: DE FALCO 1923, pp. 27, 29; PUGLIA 1988, pp. 156-160.
Tab.: CAVALLO 1983, XXVI; www.chartes.it.
Comm.: CatPErc pp. 222-223 con bibliografia precedente; LDAB 606 CAVALLO 1983, p.
52; ROSELLI 1988, pp. 53-57; PUGLIA 1988, pp. 209-220; FERRARIO 2000, p. 58; ANASTAS-
SIOU-IRMER 2006, pp. 246-247, 428.

P.Herc. 1012 conserva un testo anepigrafo di Demetrio Lacone (150-75 a.C.),


che è denominato da Puglia 1988 “Aporie testuali ed esegetiche in Epicuro”, sem-
plicemente per dare un’idea del contenuto dell’opera. Per la descrizione del
papiro e la datazione della scrittura vedi Puglia 1988, pp. 107-127, e Cavallo
1983, p. 52.
Il testo rappresenta uno dei più antichi esempi di difesa di un’autorità con
l’utilizzazione di argomenti e strumenti filologico-grammaticali (Roselli 1990).
In uno svolgimento con molti punti ancora oscuri Demetrio si impegna nella
difesa della correttezza del testo di Epicuro, basandosi anche sull’identifica-
zione di errori di scrittura nei manoscritti del maestro e sul confronto con
un’ampia varietà di testi letterari (Omero, Empedocle, Eschilo, Sofocle, Euri-
pide, Ippocrate, Callimaco), oltre che di testi di Epicuro e della scuola1.
Roselli 1988 identificò le citazioni ippocratiche, che sono concentrate nelle
coll. XVIII-XXIII. È probabile che esse siano connesse allo sviluppo di un unico
argomento a difesa di Epicuro e che derivino tutte da un medesimo contesto,
come suggerisce Roselli. Si tratterebbe della tradizione glossografica su Ippo-
crate, nella quale è coinvolto lo stesso Demetrio. Egli è infatti citato fra coloro
che studiarono il lessico di Ippocrate da Erotiano (I sec. d.C.), nella prefazione
al suo Lessico di Ippocrate. Non può trattarsi di un interesse occasionale, se è
vero che Lisimaco di Cos scrisse tre libri contro le interpretazioni ippocratiche

1
Sul metodo esegetico di Demetrio, Puglia 1982, Roselli 1990, Erler 1993.
216 Hippocrates 18

di Demetrio2. Anche se abbiamo pochi elementi per attribuire a Demetrio la


composizione di un Lessico di Ippocrate3 la sua conoscenza dei testi ippocratici
si rivela profonda, visto che discute della possibilità di un errore nella segmen-
tazione del testo in Prorrh. I 1-2, parla di cattiva diorthosis per un passo di Epi-
demie (VI 5.15) e si dilunga probabilmente sulla polisemia della parola korwvnh
attestata in Eschilo e in Epidemie VI.
Tutta la sezione da col. XVIII a XXIII potrebbe essere continua. La citazione
e discussione dei passi ippocratici si alterna a quella di brani poetici, fenomeno
comune nella tradizione esegetica e glossografica relativa a Ippocrate4: alla ci-
tazione di Prorrh. I 1-2 (XVIII 10-21), dopo una colonna totalmente lacunosa,
fa seguito la citazione di Euripide, Oreste 1381-1385, citato anch’esso per un
‘errore’ (XX 1-8), e poco dopo il brano di Epid. VI 5.15 (XXI 1-8), per cui si parla
di errori di scrittura prodotti da una cattiva correzione; all’inizio della colonna
successiva si introduce Aristofane di Bisanzio (XXII 1-5): “ma anche Aristofane
di Bisanzio ha trovato in Eschilo, nella Semele…”, con la citazione, purtroppo
molto corrotta, del testo eschileo5, in cui però si identificano le tracce korwnå.
Questo elemento sembra introdurre la discussione sulla parola korwvnh che è
testimoniata anche in un passo di Epidemie (VI 7.9), che era forse citato poco
dopo nella parte successiva (lacunosa) della colonna, e male interpretato da
Apollonio empirico, il quale è apparentemente criticato all’inizio di col. XXIII
1 ss. Anche se le lacune impediscono di riconoscere un discorso continuo, vi
sono alcuni indizi di uno sviluppo dell’argomentazione (Roselli 1988, p. 57).
La menzione finale di Apollonio empirico ci dà lo spunto per ipotizzare che
egli potesse essere la fonte di Demetrio per l’intera sezione. Egli sembra essere
uno dei più antichi rappresentanti della scuola medica empirica: originario di
Antiochia, è talvolta menzionato in coppia con il figlio, Apollonio Byblas (“i
due Apollonii”, fr. 6 Deichgräber). Non sappiamo molto della loro attività ese-
getica, ma Apollonio ‘il vecchio’ è citato da Erotiano nella lunga discussione
del lemma a[mbh (che si riferisce ad Art. 76), subito dopo Zenone Erofileo, con
il quale polemizzarono entrambi gli Apollonii, a proposito della interpreta-

2
Erot. p. 5, 12-14 N.: oltre al suo glossario, Lisimaco avrebbe scritto tre libri contro Kydias erofileo
e tre contro ‘Demetrio’. L’epiteto etnico che non è citato qui compare invece a p. 47, 24, dove De-
metrio è criticato per una interpretazione errata del lemma klaggwvdh‡, che si riferisce a Prorrh. I
17, un testo che Demetrio Lacone dimostra di conoscere anche in P.Herc. 1012. L’identificazione
del Demetrio della prefazione con il filosofo epicureo è generalmente accettata.
3
De Falco 1923, p. 11, sembra essere il primo a sostenerlo, senza molto seguito, ma cfr. Ihm 2002,
p. 81; Anastassiou-Irmer 2006, p. XXIV.
4
Manetti-Roselli 1994, 1571 ss., 1593 ss.
5
Amarante 1998, pp. 146-147; cfr. anche ⇒ Aeschylus 7.
6
Cfr. p. 23, 11-12 N.
P.Herc. 1012, coll. XVIII 10 ss., XXI 1 s., XXIII 1-8 217

zione dei cosiddetti ‘caratteri’ in Epidemie III (fr. 342 Deichgräber). Prima Apol-
lonio padre scrisse un libello contro il suo contemporaneo Zenone, il quale ri-
spose con un libello contro di lui. In seguito anche Apollonio figlio scrisse
ancora contro Zenone, dopo la sua morte. Per ragioni cronologiche l’avversario
di Demetrio è sicuramente il padre. Egli potrebbe avere affrontato lo studio di
Ippocrate dal punto di vista lessicografico (come potrebbe suggerire la men-
zione qui di Aristofane di Bisanzio) – per quanto il testo di Erotiano (cfr. supra)
sia insufficiente a dimostrare questa ipotesi – ma potrebbe anche avere scritto
un’opera di commento, di cui si è persa notizia. Un indizio che Demetrio po-
tesse avere di fronte un testo ampio di Apollonio potrebbe essere, se riferita a
lui, l’espressione o{te prçoba;‡ fh‡ivn åpwç‡˚ di XXIII 5 (e segue la parafrasi-com-
mento di Epid. VI 7.9), che implicherebbe un discorso piuttosto lungo su Epid.
VI e forse sui passi paralleli come quello di Eschilo.

Prorrh. I 1-2 (= V 510, 3-5 L.)


Col. XVIII 10-21

û û10 ejgravfçet¦ ajtop˚åiva ˙˙ û ??˙˙˙˙˙˙˙çai: gegrammevnou˚ åme;n û ou{çtw‡ mukth; r ej ˚ å n


touv t oi‡ û aj p ço˚ ‡ tav z wn oj l ˚ e ˚ v q ri˚ å on a[ l ûlw‡ç te dh; kai; tåetartaiv û 15 oi‡ç, meta;
tau'åta ˙˙˙˙˙˙˙ û ou{twç‡: aj r comev n oåi‡ç koi˚ å liv h ‡ peûriv p çlu‡i‡ ej x ev r åuqrço˚ ‡ ˚
åkaûko; n . mçetaqevnto‡ åga;r tou' aj r ûcomev ç noi‡ kai; poå˙˙˙˙çû 20 ˙˙˙˙çta mevcåri pro;‡
to; a[ l ûlw‡ tçe˚ dh; kai; åtetartaiv o i‡ ˙˙˙˙

omnia supplementa apud Puglia 1988 nisi aliter notatur 10 an ajtovp˚åw‡? Haslam 12 touvtoi‡
spatii causa : touvtoi‡in Hipp. 14 dh; om. Hipp. tåetartaiv|oi‡ç : h]n tetartaivoi‡in
Hipp. 15 tau'åta de; Puglia : tau'åta gravfei e. g. Haslam 16 ajrcomevnoåi‡ç spatii causa et cf.
18 s. ajrûcomevçnoi‡ : ajrcomevnoi‡in Hipp. koi˚ålivh‡ sec. Hipp. Puglia, sed fortasse melius koi˚åliva‡
19 poå, fort. poåioumen- vel similia ?

... era scritta un’assurdità ... essendo scritto così: “Un gocciolamento (di san-
gue) dal naso in questi casi è mortale, soprattutto al quarto giorno”, subito
dopo ... così “Per chi è all’inizio (della malattia) una lavanda del ventre molto
rossa è cattivo segno”. Poiché la locuzione “per chi è all’inizio” è stata trasfe-
rita (sc. alla seconda frase) e ... fino a “soprattutto al quarto giorno” ...

Epid. VI 5.15 (= V 322, 2 L. = p. 120 M.-R.)


Col XXI 1 s.

û û fçe˚rv etai hJ levxi‡ ou{tw‡: ‡ivkuûåoçn˚ a[grion ejålçathvrion fa˚gou'‡a. û diovrqw‡i‡ de; kakh;
218 Hippocrates 18

grafiûåka;‡ aJçmartiva‡ poiei': touvtw/ û5 åga;r tw'/ tçrovpw/ tw'/ å˙˙˙˙û˙˙˙˙˙˙˙ça˚ tinåaç
dihvghå‡inç û tw'n filo‡ovfwnå˙çn˚ ej˚p˚i;˚ åtouvçûtåwn tw'çn ejpw'n tå ktl

omnia supplementa apud Puglia 1988, nisi aliter notatur 1 proûûfçe˚vretai Puglia, non necessa-
rie 1-2 ejlathvrion h] ‡ikuvon a[grion Hipp. 2 fa˚gou'‡a Gal. in comm. : bebrwkui'a Hipp. Gal in
lemmate 4 post poiei' spatium vacuum

... la frase è riportata così: “mangiando ella cetriolo selvatico purgante”. Una
cattiva correzione produce errori grafici, in (questo) modo infatti ... una narra-
zione dei filosofi ... in questi versi...

Epid. VI 7.9 (V 342, 3-4 L. = p. 160 M.-R.)


Col. XXIII 1-8

... ajgnoçûûhv‡˚a‡ ¦Apollwvnio‡ oJ ejmp˚eir˚iûkov‡ ti˚vånça˚ pote; nou'n e[cei û to˚åiovnçde: kai; pro-
levgetai û tou'åq¦ o{te prçoba;‡ fh‡ivn åpwç‡˚: û5 kai; ejån tw'/ç fqinopwvårw/ xçhûraiånovmeçna
ta; fuvlla å‡ukh'ç‡ û pwå‡ katça‡chmatåivzeçtai û t˚åou;‡ th'ç‡ korwvnh‡ åpovda‡. û ˙˙˙˙˙˙˙ç
ouj˚ blevpwn å˙˙˙˙˙ç û10 kaå˙˙˙˙˙˙˙˙˙˙ç xhr˚ainovm˚åeçna å

omnia supplementa apud Puglia 1988 nisi aliter notatur 1 tou'to d¦ ajgnoçûûhv‡˚a‡ Puglia 3 post
to˚åiovnçde comma 6 å‡ukh'ç‡ supplevi : åpovdaç‡ Puglia 7 supplevi : pwå‡˙˙˙ça ‡chmatåiv-
zeçtai 8 post korwvnh‡ interpunxit Puglia åpovda‡ supplevi

… (così scrive?) Apollonio l’Empirico poiché ignora quale è il significato di


una locuzione del genere: e ciò risulta chiaramente quando, più avanti, dice
pressappoco: “anche in autunno le foglie di fico disseccandosi prendono al-
l’incirca la forma delle zampe della cornacchia”. ... non vedendo ... disseccan-
dosi ...

XVIII 20-21 Il passo ippocratico è edito come segue (V 510, 2 ss. L.): 1. oiJ
kwmatwvdee‡ ejn ajrch/'‡i ginovmenoi, meta; kefalh'‡ oj‡fuvo‡, uJpocondrivou, trachvlou
ojduvnh‡, ajgrupnevonte‡, h\rav ge frenitikoiv eij‡inï mukth;r ejn toutevoi‡in ajpo‡tavzwn
ojlevqrion, a[llw‡ te kai; h]n tetartaivoi‡in ajrcomevnoi‡in. 2. koilivh‡ perivplu‡i‡ kako;n
me;n ejn pa'‡i, ojuc h{ki‡ta de; ejpi; toi'‡i proeirhmevnoi‡in, “1. i malati che si trovano
in stato comatoso dal principio, con dolore della testa, del lombo, dell’ipocon-
drio e della cervice quando sono insonni, sono affetti da frenite? Naso che stilla
in tali condizioni è un segno fatale, soprattutto se iniziano al quarto giorno. 2.
Una lavanda del ventre molto rossa è un segno cattivo per tutti, ma soprattuto
nei casi detti sopra”. Galeno, nel suo commento al trattato, segnala problemi
di tradizione solo per la prima parte (CMG V 9.2 pp. 4 ss.), che qui non è citata,
P.Herc. 1012, coll. XVIII 10 ss., XXI 1 s., XXIII 1-8 219

e si attarda in particolare nel definire quale significato ha la parola ajrchv: egli


rimanda alla distinzione tradizionale (p. 7, 17 ss.) delle quattro fasi della ma-
lattia, ajrchv, ajnavba‡i‡, ajkmhv, parakmhv, e intende che la parola sia usata in senso
lato, indicando non il primo accesso, ma la prima fase della malattia, che arriva
fino al quarto giorno. Ciò gli permette di non prestare particolare attenzione
all’ultima parte del discorso in cui si menziona l’epistassi nasale che inizia (?
ajrcomevnoi‡in) al quarto giorno: non si tratta quindi per lui di una notazione ri-
dondante, ma forse qualcuno poteva considerare la presenza di ajrcomevnoi‡in
alla fine del discorso un problema, o una ripetizione inutile. Forse non è ca-
suale che nella versione parallela di Coac. 175 (V 622, 2-3 L.) i due momenti
siano messi in alternativa, mukth;r ejn touvtoi‡in ajpo‡tavzwn ojlevqrion, a[llw‡ te
kai; tetartaivoi‡in ejou'‡in h] ajrcomevnoi‡in. Per quanto in molti altri casi Galeno
testimoni che la segmentazione, cioè l’articolazione sintattica, di testi come il
Prorretico, o gli Aforismi, fosse incerta, con parole ora collegabili sia a ciò che
precede sia a ciò che segue7, in questo punto egli non ci dice assolutamente
niente sia qui che nel commento a Prorrh. 2 (p. 9, 9 ss.). Tuttavia era un metodo
semplice di risolvere una difficoltà testuale attaccare l’ultima parola di una
frase a ciò che segue, cambiando l’interpretazione del testo. Le ricostruzioni
testuali sono incerte e non sempre soddisfacenti (insolita la costruzione pro-
posta a r. 20 mevcåri pro;‡ to; ...: il senso in questo punto sarebbe che lo sposta-
mento del participio pone la fine della frase precedente a tetartaivoi‡in),
tuttavia il nocciolo del problema è sufficientemente chiaro. È difficile decifrare
quale fosse la posizione di Demetrio, ma sembra probabile che anch’egli leg-
gesse un testo come quello di Galeno e citasse questo caso come a[topo‡ (r.10),
cioè come un esempio di lettura errata.

XXI 1 ss. Il testo di Epidemie VI 5.15 risulta dalla giustapposizione di molte


brevi frasi di carattere molto eterogeneo: norme terapeutiche o osservazioni
di ordine dietetico o sul decorso dei brividi o della febbre ecc. La frase che qui
interessa è gunhv, ai]x ejlathvrion h] ‡ivkuon a[grion bebrwkui'a, paidivoi‡i kavqar‡i‡
“se la donna o la capra si è cibata di cocomero o di cetriolo selvatico, nei bam-
bini si ha evacuazione”, che allude alle conseguenze della dieta sul latte delle
madri e dunque sui piccoli che di esso si nutrono. Il testo menzionato da De-
metrio mostra non solo differenze lessicali (i due participi bebrwkui'a e fa˚gou'‡a,
varianti già note a Galeno, CMG V 10.2.2, p. 316, 21-22), ma anche una inter-
pretazione diversa del termine ejlathvrion, che in Ippocrate è sostantivo, mentre
qui è aggettivo dal significato tecnico di ‘purgativo’, che rimanda più ad un
intervento terapeutico che ad una indicazione dietetica. La cattiva diorthosis a

7
Roselli 1988, p. 53 n. 4.
220 Hippocrates 18

cui si allude potrebbe consistere nella perdita della particella h[ che induce a
interpretare ejlathvrion come aggettivo e a trasporlo? Ma diovrqw‡i‡ de; kakhv po-
trebbe anche introdurre un nuovo argomento, in cui si parla di ‘narrazione dei
filosofi’ e forse si introduce una citazione poetica (r. 8)8.

XXIII 1-8 Il passo di Epid. VI 7.9, toi'‡i fqivnou‡i to; fqinovpwron kakovn: kako;n
de; kai; to; e[ar o{tan ta; th'‡ ‡ukh'‡ fuvlla korwvnh‡ po‡i;n ei[kela h/\, “per i tisici l’au-
tunno è dannoso: ma è dannosa anche la primavera, al tempo in cui le foglie
del fico sono simili alle zampe di una cornacchia”, è qui fortemente parafrasato
e reintepretato. Nel testo ippocratico il paragone con la cornacchia è un modo,
probabilmente popolare (pp. 160-161 M.-R.), di indicare un momento dell’ini-
zio della primavera, quando le foglie del fico, ancora piccole, assomigliano alle
zampe della cornacchia. Apollonio dunque ignorerebbe il senso del detto po-
polare e forzerebbe il testo ippocratico a descrivere invece la fase autunnale.
Ma più probabilmente il testo di Apollonio non conteneva kako;n de; kai; to; e[ar
e la sua errata versione del passo, che Demetrio ha probabilmente citato ap-
pena sopra (perduta in lacuna), era confermata dalla parafrasi che Apollonio
ne offriva un poco oltre. È anche possibile, ma molto meno probabile, che
prçoba;‡ fh‡ivn åpwç‡˚ di r. 5 sia riferibile a Ippocrate piuttosto che ad Apollonio.
In questo caso bisognerebbe porre una pausa forte a r. 3 dopo to˚åiovnçde e la
supposta cattiva interpretazione di Apollonio si riferirebbe solo a ciò che pre-
cede. In questo caso sarebbe Demetrio ad alludere ad una versione diversa del
passo ippocratico.

DANIELA MANETTI

8
Roselli 1988, p. 54.
19

P.Tebt. III 897 (= P.Bingen 1) saec. IIIa ex.

Altra versione o commento di Vict. II 49 ?

Prov.: Tebtynis.
Cons.: Berkeley, Bancroft Library, Rare Books Collections, inv. UC 2060.
Edd.: HUNT 1938, p. 187; MARGANNE 2000, nr. 1, 1-10.
Tab.: P.Bingen, 1; APIS website; CPF IV.2 (2008), fig.40.
Comm.: MP3 539.21 (P2 2907); LDAB 1312 JOLY-BYL 2003, p. 337; MARGANNE 2004, pp.
114-117; HANSON 2005, p. 388, n. 2; ANASTASSIOU-IRMER 2006, p. 460; MARGANNE 2008,
pp. 228-233.

Il papiro misura cm 8,2 × 4,5. Mutilo sui quattro lati, il frammento offre
sul recto i resti danneggiati di due colonne (intercolumnio cm 2 ca.). Della col.
I restano solo tracce della fine di tre righi nella parte inferiore, della colonna II
solo la parte iniziale di sei righi. Il verso è bianco.
La scrittura è veloce, informale, leggermente inclinata a destra, ad alter-
nanza di modulo (notevole la piccola dimensione di o, scritto, come w, nella
parte alta del rigo) e presenta legature; la bilinearità è interrotta da y. Nella
col. II si distinguono due paragraphoi a sinistra fra i rr. 7 e 8 e tracce che sem-
brano una coronide in corrispondenza di r. 8. Per la scrittura cfr. P.Tebt. III 695
(MP3 2071), datato alla fine del sec. IIIa, P.Sorb. inv. 72 + 2272 + 2273 (MP3
1308.1), ugualmente della fine del sec. IIIa: Marganne 2008, p. 229.
I resti delle due colonne suggeriscono che si trattasse di un testo continuo
di una certa ampiezza. La scrittura e gli aspetti editoriali sono caratteristici dei
trattati tecnici. La coronide che si indovina in corrispondenza di r. 8 serviva
forse ad attirare l’attenzione su un passo importante, su una variante testuale
o su un’osservazione di commento (per un simile uso inconsueto della coro-
nide cfr. P.Sorb. inv. 72 + 2272 + 2273 = Turner-Parsons 1987, 40 e anche 59).

Col. II
ajkmavzonta tw'n˚ å ç | ma'llon tw'n ˙˙å ç | kai; da‡ei'a yåilw'n ç | piovnwn å ç |5
kai; leuka; kai; då ç |ta mavli‡ta ˙å

II 4-5 paragraphos 5 a sinistra del rigo si intravedono tracce: forse una coronide 5-6 para-
graphos
——
222 Hippocrates 19

II 2 ma'llon tw'n ˙˙å : mallon twn ek˙[ ed. pr. 3 da‡ei'a : l. da‡eva (Mayser-Schmoll 19702, I. 1, p.
42) yåilw'n Marganne : y˙˙å ed. pr. 5 dåa‡eva? : d˙[ ed. pr. 6 mavli‡ta ˙å : mavli‡ta eå ed. pr.

Le parole conservate suggeriscono un paragone (avverbio comparativo


ma'llon seguito da genitivo, e avverbio superlativo mavli‡ta) tra diversi gruppi
di esseri viventi dai caratteri opposti o differenti. Così coloro che hanno rag-
giunto la maturità (1 ajkmavzonta) si opporrebbero a coloro (tw'n å) che non lo
sono ancora o non lo sono più, cioè i giovani o i vecchi. I pelosi (3 da‡ei'a) si
oppongono ai glabri (3 yåilw'n); ai grassi (4 piovnwn) si oppongono probabil-
mente i magri (in lacuna), e i bianchi (5) si oppongono probabilmente ai neri
(in lacuna).
Marganne 2008 mette in rilievo le concordanze verbali e sintattiche con il
trattato ippocratico De victu II 49.2-3 (CMG I.2, 4, p. 172, 2-5 = VI 552, 5-10 L.),
dove, nel famoso catalogo degli alimenti, a proposito degli animali di cui si
mangia la carne (II 46.1), si legge : kai; ta; ajkmavzonta ma'llon h] ta; livhn palaia;
kai; ta; neva, kai; ta; a[r‡ena tw'n qhleivwn, kai; ta; e[norca tw'n ajnovrcwn, kai; ta; mevlana
leukw'n, kai; ta; da‡eva yilw'n: ta; d¦ ejnantiva uJgrovtera. aujtw'n de; tw'n zwvwn ij‡cu-
rovtatai me;n aiJ ‡avrke‡ aiJ mavli‡ta ponevou‡ai kai; ejnaimovtatai kai; ejn h|/‡i katakliv-
netai ktl.
Anche se le somiglianze sono incontestabili, restano fra pap. e De victu II
49 differenze così sensibili da rendere difficile qualsiasi tentativo di restitu-
zione, ad eccezione forse del r. 1 dove si potrebbe proporre p. es. ta; ajkmavzonta
tw'n ålivhn palaiw'n kai; tw'n nevwn1.
Per rendere conto delle divergenze né le varianti dei manoscritti (salvo che
per l’omissione sporadica degli articoli tav o tw'n), indicate nelle edizioni di De
victu, né le traduzioni o gli adattamenti latini tardi di questa parte del trattato
si sono rivelati utili (Marganne, 2000). Marganne 2008 propone tre ipotesi: (1)
una diversa versione di De victu II 49.2-3, non conservata dalla tradizione ma-
noscritta, oppure (2) un commento a questo passo (come possono indicare la
presenza di paragraphoi e di coronide, cfr. Marganne in P.Bingen 4 n. 11) oppure
(3) un’opera differente che tratti tuttavia la stessa materia di De victu II 49 e ne
riprenda in qualche modo dei contenuti.
Galeno non ha commentato De victu, che non riteneva ippocratico, ma ci
ha consegnato informazioni preziose, sul suo titolo, le sue suddivisioni e gli
autori presunti (cfr. Anastassiou-Irmer 1997, p. 457, e 2006, pp. 460-462): il titolo
tradizionale peri; diaivth‡ designava propriamente solo il II libro attuale, che
circolava in edizione separata – un fatto spiegabile trattandosi di un catalogo

1
I righi dovevano essere lunghi 40 lettere ca., come in P.Ryl. III 531 (MP3 2418, sec. IIIa ex.-IIa in.),
che conserva prescrizioni mediche di ispirazione ippocratica.
P.Tebt. III 897 (= P.Bingen 1) 223

completo di cibi ed esercizi, ritenuto molto utile e giudicato da Galeno degno


di Ippocrate – iniziando ora dal cap. 37 (come nella tradizione manoscritta me-
dievale) ora dal cap. 39 (Joly-Byl 2003, p. 22). L’insieme del trattato andava in-
vece sotto il titolo La natura dell’uomo e la dieta o Sulla sanità: della dieta e veniva
variamente attribuito a Ippocrate stesso, a Filistione di Locri, a Aristone, a Eu-
rifonte di Cnido o a Filita, o ad altri medici più antichi o contemporanei di Ip-
pocrate. All’epoca di Galeno esso circolava dunque sotto varie forme e titoli
differenti; in particolare, il libro II che qui interessa aveva avuto due edizioni
separate, una delle quali iniziava dal cap. 39, che corrisponde all’inizio del ca-
talogo degli alimenti. Lo stesso autore di De victu fa intendere all’inizio del
trattato che questo tipo di repertori era molto diffuso nella letteratura dietetica
del V sec. a.C. A sua volta, la classificazione zoologica presupposta dal catalogo
di alimenti, ben anteriore alla classificazione aristotelica, doveva essere il ri-
sultato di una lunga tradizione. Poiché ciascun autore si impegnava a dare la
propria interpretazione dell’insieme, modificando lievemente questa o quella
proprietà di questo o quell’alimento, è facile immaginare le variazioni dottri-
nali che si produssero, fino al momento in cui fu scelto e stabilito un testo per
così dire ‘canonico’, probabilmente negli ambienti eruditi che gravitavano in-
torno alla biblioteca di Alessandria.
P.Tebt. potrebbe conservare, di Vict. II 49, 2-3, uno stato del testo anteriore
alla ‘fossilizzazione’ che fu effetto sia dei lavori eruditi connessi al Museo di
Alessandria sia delle edizioni delle opere ippocratiche a cura di Artemidoro
Capitone e di Dioscoride in epoca adrianea, più che conservare un frammento
di un commentario a De victu, di cui peraltro non abbiamo notizia alcuna e im-
probabile per un’epoca così antica. Non si può infatti appurare se Vict. sia stato
commentato in tutto o in parte (vedi la notizia su un possibile commento al-
l’opera, desunta da Gal. in Hipp. Acut. III 59, CMG V 9.1, p. 265, 20-24).
Se si ammette l’ipotesi menzionata sopra (Anastassiou-Irmer 2006, p. 460,
sono scettici sull’ipotesi del commento, ma ammettono la possibilità di una di-
versa versione), P.Tebt. è il più antico papiro ‘ippocratico’, anteriore di più di
un secolo a P.Schøjen inv. MS 2634/3 (= P.Fackelmann inv. 4) + P.Princ. inv. AM
15960 A (MP3 0537.1 = LDAB 1311) ⇒ scheda (c), che conserva un passo di Epi-
demie II, ed è il solo papiro che si connetta a De victu.
Per un commento dettagliato del testo cfr. Marganne 2008, 230-233.

DANIELA MANETTI
224 Hippocrates - schede

SCHEDE

(a)

P.Oxy. LXXX 5221 + P.Köln VII 311


Saec. IIIp. Comm. MP3 545.110, LDAB 1299.
Il papiro è stato edito da Leith 2014, p. 8, e contiene un frammento prove-
niente dallo stesso rotolo di P.Köln VII 311 (cfr. CPF I.2*, 2008), scritto sul lato
transfibrale (dietro un testo documentario), conserva 21 righi di una colonna
con scarni resti dell’intercolumnio a destra e parte del margine inferiore (cm
2,6). Compaiono segni di lettura: dicolon (9, cf. P.Köln 311, 3) e mese stigme (8,
21). Ci sono correzioni di prima mano (4, 15) e una nota marginale all’altezza
di r. 21. La scrittura corsiva è confrontata da ed. pr. con SB XVI 12785 del 220p:
P.Köln 311 era datato al sec. II/IIIp. Il testo conservato qui si colloca subito dopo
quello conservato in P.Köln, anche se i due frammenti non si attaccano, e fa
dunque parte della stessa colonna, che conteneva più di 28 righi. Immagine in
P.Oxy. LXXX, pl. I.
Il papiro potrebbe contenere una nota marginale a Mul. I 1. In corrispon-
denza dei rr. 20-21 nel margine compare questa annotazione su due righi: eu-
ru‡toûmw. Il testo ippocratico dei rr. 19-21 si lascia ricostruire con incertezza: la
tradizione manoscritta medievale presenta il seguente testo (VIII 12, 12-13 L.
= 88, 30-90, 2 Grensemann): o{ti de; tou'to givnetai, aijei; uJpocwrevei (uJpocwrei' Gren-
semann) ej‡ to; ajneka;‡ ajpo; u{dato‡ ejn ajggeivw/ eujru‡tovmw/ ejovnto‡ ktl. Nel rigo 21 la
ristrettezza di spazio suggerisce che al posto di eujru‡tovmw/ vi fosse il più breve
termine euj‡tovmw/, che ha lo stesso significato, “di bocca larga”: 20-21 eçn˚ agûågeiw
eu‡tomw eontoç‡˚. L’aggettivo, riferito a coppe, è attestato anche in Luc. Lexiphan.
7, ma non nel Corpus Hippocraticum, dove invece è attestato più volte eujruv‡to-
mo‡: oltre che qui, in Mul. I 5 (VIII 28, 19), 39 (94, 22), e 48 (106, 18 L.), riferito a
mh'trai, e in Morb. III (VII 148, 11 L.), di un vaso detto bombylion. Non si può
escludere del tutto che siamo in presenza di una glossa, ma il confronto con
l’usus ippocratico suggerisce di interpretare l’annotazione come correzione te-
stuale, per congettura oppure frutto di collazione.

DANIELA MANETTI

***
Hippocrates - schede 225

(b)

P.Ryl. I 56v
Saec. IIp in. Comm.: MP3 539; LDAB 1294.
Edito la prima volta da Hunt 1911, pp. 181-182, poi da Lami 2008, pp. 134-
137, è un piccolo frammento papiraceo (cm 5,1 × 7,1) contenente nel verso
l’estremità destra di una colonna e l’estremità sinistra di una seconda colonna
separate dall’intercolumnio (cm 1,6). La lunghezza ricostruibile dei righi è in
media di 23 lettere e, in base alla lacuna tra la fine della col. I e l’inizio di col.
II, si ricostruisce approssimativamente una colonna di circa 54 righi (per un’al-
tezza di cm 23,5 ca.). Da segnalare l’impiego del punto in alto (I 8 e 10) e della
paragraphos in coincidenza con la fine di un capitolo (II 13). All’altezza del r. 9
della col. I è presente nell’intercolumnio una variante, scritta, sembra, dalla
stessa mano. Lo iota mutum è ascritto (I 4, 5, 12).
La scrittura, corsiveggiante, piccola ma chiara si data al sec. IIp: cfr.
P.Lond.Lit. 96, IIp, e P.Vindob. G 2321 nei marginalia (= Seider 1967-1970, II, 31),
IIp. Immagine in CPF IV.2 (2008), fig. 144.
Il frammento conserva resti di Acut.(sp.) 24-27 (10, II, 442, 8-448, 6 L. = I 159,
4-160, 20 Kühlewein = 79, 22-81, 13 Joly). È un testimone interessante: si trova
sia in accordo con A contro MV (I 6 e II 11-12), sia in accordo con MV contro A
(I 5, 13 e II 5, 7, 9), sia con AM contro V (I 12 e II 1-2), sia contro la tradizione
medievale nel suo complesso (I 7, 9, 11, 13, 15): non si lascia dunque inserire
in un particolare ramo della tradizione medievale.
A col. I 9 si leggono nel margine destro due parole, scritte su due righi (oJ-
kov‡oi û toiavde), che si spiegano forse come varianti del testo sul rigo corripon-
dente, ma hanno riscontro solo parziale nella tradizione medievale. Anche la
ricostruzione, suggerita dall’alternativa con la variante marginale, per il testo
sul rigo 9 (attualmente in lacuna), attribuisce al papiro una lezione diversa dal
resto della tradizione.

Col. I 6-10

kai;ç culoi'‡i û parafulav‡‡ein mçhde;n piû‡teuvwn th'/ aJnev‡eiç t˚åw'çn puretw'n, û


å˙˙˙˙˙˙˙˙˙ e[couç‡˚i˚ å‡çhmei'a ejpiû10kivndunoiv eij‡i qnhv‡kçe˚in ktl

I 6 culoi'‡i A Gal : cumoi'‡i MV 7 parafulav‡‡ein fort. pap. (cf. -ein L et Gal apud Chartier) : pa-
rafuvla‡‡e AMV Kw., brevius spatio 7-8 mhd¦ ejmpi‡teuvwn V 9-10 in fine v. 9 oJkov‡oi û toiavde
in mg. 9 wJ‡ oiJ (A Gal o{‡oi MV) toiavde e[conte‡ AMV Gal : o{‡oi de; toiavde e[cou‡i vulg. : fort. o{‡oi
de; (vel wJ‡ o{‡oi) tavde e[cou‡i (vel e[conte‡) pap. in textu conl. lect. in mg.

DANIELA MANETTI
***
226 Hippocrates - schede

(c)

P.Schøjen inv. MS 2634/3 + P.Princ. inv. AM 15960A


Saec. Ia. Comm.: MP3 537.100, LDAB 1311.
Il caso di PSchøjen inv. MS 2634/3 (= P.Fackelmann inv. 4) + P.Princ. inv.
AM 15960A studiato da A.E. Hanson (1997a, pp. 312-314, Hanson-Gagos 1997,
pp. 118-120, Hanson 2008), è importante per l’alta datazione del manufatto e
perché è il più antico testimone finora pubblicato del Corpus Hippocraticum che
non sia una citazione, a parte il caso problematico di P.Tebt. III 897 (⇒ 19). È
anteriore di quasi due secoli alle edizioni di età adrianea di Artemidoro Capi-
tone e Dioscoride e il suo testo differisce per alcuni aspetti in modo significa-
tivo da quello che è arrivato fino a noi nei manoscritti medievali (Hanson 2008).
Il testo conserva resti di Epid. II 6, 7-22 ed è menzionato perché esso è caratte-
rizzato da un uso particolare di spazi bianchi. Pur essendo la colonna di scrit-
tura mutila ai due lati, il che impedisce di sapere quali altri segni potessero
essere usati ai margini del rigo (una paragraphos?), gli aforismi sono tuttavia
articolati regolarmente da spazi bianchi di separazione sul rigo. Immagini in
Gronewald 1978, XIXf (P.Schøjen); Hanson-Gagos 1997, III (P.Schøjen +
P.Princ.); CPF IV.2 (2008), fig. 158 (P.Schøjen + P.Princ.). Lo stesso espediente si
trova anche in papiri e ostraca che conservano testi discontinui analoghi1, afo-
rismi o gnomai. Le partizioni del testo di Epid. II 6, 7-22 nel papiro tuttavia si
presentano frequentemente in punti diversi da quelli indicati nella tradizione
manoscritta medievale e nelle edizioni moderne. La costruzione sintattica del
testo (che cosa si concorda con che cosa), come si evince anche dal commento
di Galeno, era interpretata in modo differente in questo stadio antico della tra-
smissione di Epidemie. Le articolazioni diverse delle gnomai spesso suggeri-
scono un diverso significato da attribuire al testo: cfr. Hanson 1997,
Hanson-Gagos 1997, Hanson 2008. La fonte di queste articolazioni nel papiro
è ignota, ma il problema era importante nell’esegesi del testo e si pose ben pre-
sto nella storia dei commenti a Ippocrate2: anche Dioscoride, l’editore ippocra-
tico vissuto in epoca adrianea (cioè molto più tardi del papiro), preoccupandosi
di questo aspetto, inserì in molti casi dei segni di punteggiatura, cfr. p. es. Gal.
Hipp. Epid. VI, CMG V 10.2.2, p. 415, 11-30 Wenkebach-Pfaff. Si può anche pen-
sare che gli spazi bianchi conservati siano il frutto di una scelta filologica e

1
Dei quattro papiri degli Aforismi ippocratici, che conservano un testo sufficientemente ampio,
sia P.Fay. 204 (Aph. I 1-2, IIIp), sia P.Köln I 19 recto (Aph. II.14-24, IIIp in.), dividono anch’essi gli afo-
rismi per mezzo di spazi bianchi; stesso fenomeno anche in papiri che conservano gnomai come
O.Narm. I 129 e PSI I 120, del II/Ia.
2
Per la storia dell’esegesi di Epid. II, vedi da ultimo Hanson 2008.
Hippocrates - schede 227

possano considerarsi ‘segni critici’ di una edizione ‘erudita’, così come sugge-
risce Montanari 1997c, pp. 279-280.

DANIELA MANETTI
HIPPONAX

A dispetto dello scarso interesse riservatogli in epoca moderna1, Ipponatte


godette nell’antichità di notevole ed ininterrotta fortuna: fu autore noto e imi-
tato già nello stesso VI sec. a.C. e almeno sino al XII secolo della nostra era2.
Alla capillare diffusione dell’opera dell’Efesino si accompagna uno studio se-
colare da parte di grammatici, eruditi e poligrafi, spesso interessati alle pecu-
liarità linguistiche e grammaticali; un’attività che raggiunge il suo punto più
alto nel periodo alessandrino, favorita dalla natura ‘dotta’ della poesia del
giambografo3. In quest’epoca, egli entra a far parte del canone dei giambici ar-
caici4 e la sua opera viene fatta oggetto di un’edizione critica per le cure di Ari-
stofane o della sua scuola5, cui si deve probabilmente anche la ripartizione in
libri sulla base del metro6 nonché la compilazione di hypomnemata.
I papiri che a vario titolo concernono la produzione di Ipponatte, la data-
zione dei quali oscilla per lo più dal III-II sec. a.C. al II-III d.C., confermano in-
confutabilmente questi dati. La notorietà ab antiquo del testo ipponatteo trova
preziosa conferma già in un’iscrizione incisa su una kylix attica di V sec. a.C.
(Berol. Mus. f. Völkerk. inv. 10984), che riporta l’inizio (e]i[ moi gevnoit[o) di Hip-
pon. fr. 120 D. (= 119 W.2)7, e in un ostrakon del III sec. a.C. (O.Berol. inv. 12605

1
Tanto da essere sistematicamente escluso dalle raccolte dei lirici arcaici sino all’Ottocento, vd.
Degani 19841 (20022), pp. 117-159.
2
Degani 19841 (20022), pp. 19-115, ne ripercorre il Fortleben dall’epigono pressoché contempora-
neo Ananio sino all’interesse erudito di Tzetze ed Eustazio di Tessalonica, passando attraverso i
commediografi, i parodici, i poeti ellenistici (primi tra tutti Callimaco e Eronda, ma anche Lico-
frone, Nicandro, Rintone), i coliambografi (Fenice, Cercida), gli epigrammisti (Teocrito, Leonida,
Alceo di Messene), ma anche Plutarco, Galeno, Luciano, Ateneo, Clemente Alessandrino, Giuliano
l’Apostata, Pallada e vari altri. Sulla fortuna del testo ipponatteo, vd. anche Masson 1962a, pp.
32-51.
3
Per il recupero del nostro come poeta doctus, vd. Degani 19841 (20022), pp. 161-225.
4
Com’è noto, l’inclusione di Ipponatte, terzo dopo Archiloco e Semonide, risale ad Aristarco di
Samotracia (Quint. X 1, 59).
5
Così già Masson 1962a, p. 35; Degani 19841 (20022), pp. 35 s.
6
Solo due libri possiamo oggi postulare con certezza: vd. Degani 19912, p. V (cfr. Id. 1978-1979, p.
156 e 19841 [20022], pp. 234 s.); Morelli 2002, pp. 22 ss.
7
Il frammento è tramandato anche da Efestione (V 3, 16, 16-23 Consbr.) e da testimoni scoliografici
e lessicografici puntualmente menzionati nell’apparato ad l. dell’edizione di Degani 19912, p. 124.
Attribuisce la nostra iscrizione al poeta di Efeso Boehlau 1901, p. 329; contra Sitzler 1919, p. 37.
230 Hipponax

⇒ 4), che costituisce il più vetusto testimone diretto di un frammento di poesia


ipponattea (fr. 67 D.; 49 W.2) – è una voce di lessico o qualcosa di simile.
L’interesse per il testo di Ipponatte, come si è sopra accennato, riguarda in
particolare anche grammatici ed eruditi. L’utilizzo dell’opera del poeta di
Efeso, talora per spiegare o illustrare determinati contenuti, è prassi già anti-
ca, testimoniata da un florilegio di II sec. a.C. (P.Berol. inv. 9773v [BKT V 2 nr.
XXb, pp. 129-130] col. II rr. 9 s.)8, che ha per argomento la donna, con esempi
tratti, oltre che da poeti comici e tragici9, precisamente da Ipponatte (fr. 66 D.;
68 W.2); memore di tale florilegio, che sta forse alla base di successive compi-
lazioni gnomologiche, è senz’altro Stobeo, il quale, nella sezione Peri; gavmou
(IV 22, 1-201 [494, 1-568, 9 Hense]), cita alcuni degli stessi passi riportati dal
papiro berlinese (in particolare 22, 4 [495, 4 s. Hense], 22, 76 [526 s., 14 e 1-4],
22, 138 [551, 1-6]), compreso il frammento di Ipponatte (IV 22, 35 [515, 19-21
Hense]). Inoltre, s’incontra una citazione ipponattea (fr. 182 D.; 148b W.2) nel-
l’ampio interlineo di un papiro (BKT X 11 = P.Schub. 10 ⇒ Scheda b) di II-III
secolo d.C.
La maggior parte dei papiri pertinenti è riconducibile alla seconda metà
del II secolo d.C., a testimonianza del rilievo dato nell’epoca degli Antonini
alla poesia di Ipponatte, il cui testo viene letto, annotato e copiato in conco-
mitanza con la rinascita degli studi relativi ai poeti arcaici, in particolare ai
lirici greci. Questi materiali sono una riprova della fortuna che il testo ippo-
natteo conobbe in epoca alessandrina e post-alessandrina, quando, dopo gli
studi di Aristofane di Bisanzio e dei suoi successori, esso continuò ad essere
copiato e tramandato nella forma codificata dai dotti di Alessandria. Tutti i pa-
piri conosciuti riconducibili all’opera di Ipponatte riportano notazioni in-
terlineari e marginali, pur se di diversa natura e rilevanza, segno evidente di
una cura critica del testo. In alcuni casi si tratta di annotazioni esegetiche di
carattere erudito, in altri semplicemente di segni di lettura o di minime cor-
rezioni, indizio comunque di un’attenta opera di copiatura e revisione dei
testi10: ciò accade per P.Oxy. XVIII 2175 (II-III sec. d.C.)11, P.Oxy. XXII 2323 (II-

8
Forse un esercizio retorico ad usum scholarum, vd. Pordomingo 2007, pp. 436 s.
9
I brani vergati sul recto della col. I parrebbero essere tragici (Adesp. trag. fr. *695 S.-K.). I testi ri-
portati sul recto della col. II propongono esempi di elogio della donna (Eur. fr. 657 K. e Anax. fr.
71 K.-A.), seguiti da esempi di psogos (Eur. Hipp. 664-668 e un frammento di Antifane, ma del co-
mico è conservato solo il nome); mentre sul verso della medesima colonna si leggono un fram-
mento comico altrimenti ignoto (Adesp. com. fr. 1021 K.-A.) e il frammento ipponatteo, vd.
Schubart-Wilamowitz 1907, pp. 129 s.
10
Sono da ricordare alcuni Adespota, forse riconducibili ad Ipponatte, tuttavia privi di annota-
zioni marginali o interlineari di rilievo, come P.Oxy. XXII 2320 e 2317 (= frr. 35 e 38 W.2), rispet-
tivamente di inizio III e di II sec. d.C., nonché l’interessante caso di P.Oxy. XXII 2328 (= frr. 43-48
W.2), I-II sec. d.C., che potrebbe contenere glosse riferibili ad Archiloco e/o Ipponatte.
11
Ed. pr. Lobel 1941a, pp. 81-87.
Hipponax 231

III sec. d.C.)12 e PSI IX 1089 (II sec. d.C.)13, che riporta forse anche una nota sti-
cometrica. L’esistenza di un’edizione canonica del poeta di Efeso, tramandata,
copiata e studiata nelle epoche successive, appare in qualche misura confer-
mata dal fatto che due porzioni di testo contenute in due dei sullodati papiri
parzialmente coincidono coi materiali riportati da due frammenti di P.Oxy.
XVIII 2174: rispettivamente i rr. 6-10 di P.Oxy. XXII 2323 col fr. 27 (= Hippon.
frr. 98, 6-10 D.; 95, 6-10 W.2) e i rr. 5-9 di PSI IX 1089 col fr. 24 (= Hippon. frr. 95,
5-9 D.; 92, 5-9 W.2). Di maggiore estensione e prevalentemente di carattere ese-
getico sono le annotazioni marginali o interlineari contenute in due altri testi-
moni papiracei, P.Oxy. XVIII 2174 (⇒ 1) e P.Stras. inv. G 3a-b (= P.Argentor.
3a-b ⇒ 3)14, entrambi di II sec. d.C.: in particolare, le annotazioni marginali re-
gistrate in questi due papiri presentano dati confluiti poi nei materiali che co-
stituiscono la base delle raccolte etimologiche e lessicografiche successive (in
primis Esichio), aspetto che, oltre a confermare il buon livello di tali marginalia,
costituisce un ulteriore indizio a favore della provenienza non da una generica
selezione giambica, ma da una specifica e accreditata edizione ipponattea.
Uno hypomnema anonimo (P.Oxy. XVIII 2176 ⇒ 2), anch’esso del II sec. d.C.,
fornisce prova inequivocabile dell’interesse dell’esegesi antica nei confronti
dei testi del poeta di Efeso15. Il commentario mostra un approccio di impronta
erudita sia per la forma esteriore del manufatto, sia per la sostanza dei mate-
riali a cui l’anonimo compilatore pare attingere in modo diretto, sfruttando il
lascito consolidato di una fiorente tradizione precedente16. Vi si registrano
nomi di eruditi, grammatici ed esegeti: Aristofane di Bisanzio (fr. 8, 21); for-
s’anche Palamede di Elea (fr. 4, 5), commentatore di Pindaro e autore di studi
lessicali su testi tragici e comici, nonché ojnomatolovgo‡17; Ermippo di Smirne,
allievo di Callimaco e autore di un Peri; ŞIppwvnakto‡, ricordato da Athen. VII
327c (= FGrHist (cont) 1026 T 3 = F 55 Bollansée) a proposito dell’impiego da
parte del poeta di Efeso del termine u{kh‡ per indicare un tipo di pesce, la ijouliv‡
(fr. °205 D. = 169 W.2); infine, Polemone di Ilio (fr. 1 col. I r. 6), erudito della
prima metà del II sec. a.C., la cui attenzione per Ipponatte ci è nota grazie ad
Ateneo (XV 698b-c), che ci informa come egli nel Pro;‡ Tivmaion ritenesse il no-

12
Il testo ipponatteo è scritto sul verso, mentre il recto riporta un brano in prosa non altrimenti
identificato; vd. Lobel 1954, pp. 64 s.
13
Ed. pr. in Coppola 1929, p. 136, vd. anche Id. 1928, pp. 500 ss.
14
Da assegnare interamente – credo – al poeta di Efeso, vd. Nicolosi 2007, pp. 11-133: in partico-
lare, pp. 22-27 e 129-133.
15
Vd. Masson 1955, p. 289.
16
L’attività esegetica erudita esercitata sui testi ipponattei è esplicitamente confermata dall’e-
spressione oiJ ejxhgh‡avmenoi che si riscontra in Athen. VII 324a e in sch. Aristoph. Pac. 482d H.
17
Se lo scioglimento dell’abbreviazione in Pal(amhvdh‡) può essere ritenuto probabile, l’identifi-
cazione con Palamede di Elea rimane ipotetica: status quaestionis in Montanari 2002, pp. 80-85.
232 Hipponax

stro poeta, e non Epicarmo, l’inventore della parodia, citando a conferma del
proprio assunto il fr. 126 D. (= 128 W.2). Ad Aristofane di Bisanzio e ai suoi
studi può risalire anche la spiegazione relativa a ‡avnna‡ vel ‡avnno‡ riportata
dal commentario (fr. A rr. 2 s.) ed esplicitamente attribuita al celebre gramma-
tico da Eustazio (ad Od. XIV 350, p. 1761, 24), che probabilmente la ricavò dalla
sezione denominata Peri; tw'n uJpopteuomevnwn mh; eijrh'‡qai toi'‡ palaioi'‡ delle
sue Levxei‡ (fr. 1 Slater ‡avnna‡: oJ mw'ro‡)18. Da questa stessa opera, che testimonia
l’interesse lessicografico del dotto alessandrino, e precisamente dalla sezione
denominata Peri; ojnoma‡iva‡ hJlikiw'n, derivano anche il fr. 134 D. (= 114b W.2),
testimm. Eustath. ad Od. XVII 219, p. 1817, 18 ss. e Aelian. Nat. anim. VII 47 (fr.
197 Slater), e il fr. 106, 11 D. (= 103, 11 W.2), testim. Eustath. ad Od. XIV 81, p.
1752, 14 ss. (fr. 169 Slater). L’interesse erudito per il testo oggetto del commen-
tario è confermato dagli scholia a Nicandro di Colofone (ad Th. 470), dove la
sequenza laima'i dev ‡oi, forse erroneamente letta come laimwv‡‡ei vel laimwv‡‡wn
(Degani 19841 [20022], p. 39), è esplicitamente ricondotta ad Ipponatte (fr. 129b
D.) in una chiosa al termine maimwv‡‡wn (ajnti; tou' zhtw'n kai; oJrmw'n. gravfetai kai;
laimwv‡‡wn, ajnti; tou' peinw'n, wJ‡ ŞIppw'nax).

GABRIELE BURZACCHINI

L’edizione di riferimento, salvo diversa indicazione, è Degani 19912. Per


quelle di ogni altro editore si fa sempre riferimento alla più recente (ove non
diversamente specificato, s’intende coincidente con la/le precedente/i).

18
Vd. Degani 19841 (20022), p. 35, con rinvio a Miller 1868, p. 427; si dichiara egualmente favore-
vole ad una possibile citazione ipponattea da parte di Aristofane Slater 1986, p. 5.
1

P.Oxy. XVIII 21741 saec. IIp

Note marginali e interlineari

Prov.: Oxyrhynchus.
Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: LOBEL 1941a, pp. 68-81; LOBEL 1948, pp. 150-151; DIEHL 19523, pp. 104-109 (frr. 13,
14a, 26, 41, 47, 51, 65a, 71, I-VI); MEDEIROS 1961, pp. 107-145 (frr. 65-96); MASSON
1962a, pp. 69-81 (frr. 70-101); FARINA 1963, pp. 53-54, 61-64, 117-119, 145 e 148-149;
WEST 19892, pp. 128-141 (frr. 69-101); ADRADOS 19903, pp. 42-54 (frr. 70-101); DEGANI
19912, pp. 84-110 (frr. 68-93 e 95-104) e Addenda pp. 228-230 (vd. anche DEGANI 19831,
Addenda pp. 221-222); GERBER 1999, pp. 404-424 (frr. 70, 72-75, 77-79, 82, 84-86, 92,
95 W.2); SUÁREZ DE LA TORRE 2002, pp. 270-277 (frr. 68-75, 77-79, 81, 83, 86-88, 95, 98
D.2); MCNAMEE 2007, p. 265.
Tabb.: P.Oxy. XVIII (LOBEL 1941a), pl. X; www.papyrology.ox.ac.uk
Comm.: MP3 547; LDAB 1316 CALDERINI 1942, p. 130 (nr. 6122); HOMBERT 1946-1947,
p. 381; MASSON 1950, pp. 71-76; HOMBERT 1951, p. 172; MERKELBACH 1953, p. 88; DALE
1957, p. 8; GALIANO 1958, pp. 84-85; MASSON 1962a, pp. 140-153; MASSON 1962b, pp.
46-50; MEDEIROS 1969, pp. 41-48; WEST 1974, pp. 142-145; BOSSI 1976, pp. 27-28; MC-
NAMEE 1977, p. 409; DEGANI 19771 (20052), pp. 67-68; BOSSI 1978-1979b, pp. 149-151;
DEGANI 1980-1982, pp. 47-50; MIRALLES 1983, pp. 7-16; DEGANI 19841 (20022), pp. 261-
268; PÒRTULAS 1985, pp. 121-139; THEODORIDIS 1986, pp. 374-375; ROSEN 1990, pp. 22-
25; MCNAMEE 1992, tab. 3; DEGANI 1998, pp. 11-15; LÖFFLER 1999, pp. 35-36; DEGANI
2007, pp. 30-41 e 114-123; MCNAMEE 2007, pp. 103 e 519; GÄRTNER 2008, pp. 53-66;
NICOLOSI 2009, pp. 1-2; ALEXANDROU 2016, pp. 210-228.

Si tratta di più di una trentina2 di frustoli di papiro scritti sul recto, appar-
tenenti ad un unico volumen, proveniente da Ossirinco, che conserva 36 fram-
menti del poeta di Efeso (frr. 68-93 e 95-104 D. = frr. 69-101 W.2).

1
Il fr. 24, assieme agli additamenta proposti da Lobel 1948, pp. 150 s., viene ad integrarsi col più
ampio PSI IX 1089 col. II, edito da Coppola 1929, p. 136 (vd. già Id. 1928, pp. 500 ss.) = fr. 95 D.2;
92 W.2 Un altro papiro d’Ossirinco (P.Oxy. XX 2323) – datato alla fine del II, inizio del III sec. d.C.,
scritto sul verso di un testo in prosa (vd. Lobel 1954, p. 64) – riporta un esteso stralcio del fram-
mento ipponatteo conservato dal frustolo nr. 27 (= fr. 98 D.2; 95 W. 2).
2
In tutto 33 frammenti, secondo la disposizione codificata da Lobel nell’ed. pr. (1941a, pp. 68-81)
con i successivi Additamenta (1948, pp. 150 s.). Le dimensioni dei frammenti papiracei sono assai
differenti tra loro e variano da frustoli minimi, nei quali è possibile leggere solo poche lettere (cfr.,
ad es., frr. 20 e 28), sino a frustoli di maggiore estensione, che riportano, pur se con lacune, un di-
screto numero di versi (dai 10 ai 20 circa): cfr. frr. 1 col. II; 9; 11 col. I; 16 col. II (= frr. 69, 78, 79, 86
234 Hipponax 1

A giudicare da ciò che si può dedurre dai brandelli superstiti, il volumen


doveva presentare dimensioni abbastanza regolari3. La scrittura, curata e di
piccole dimensioni, è una maiuscola informale di modulo tendenzialmente
quadrato, probabilmente databile alla prima metà del II sec. d.C., o forse tra la
fine del I sec. d.C. e l’inizio del II4. Le note marginali e interlineari talora si pre-
sentano scritte in modo marcato e quasi della stessa dimensione del carattere
utilizzato nel rigo di scrittura (cfr. fr. 18, 2; vd. anche fr. 16 col. I 16), ma, nella
maggior parte dei casi, con dimensioni minori e tratteggiate in modo più ra-
pido e corsivo (cfr. frr. 1 col. I; 16 col. I e II, etc.). In generale, il testo pare essere
stato sottoposto a un’attenta revisione: le annotazioni potrebbero essere ricon-
dotte ad altra mano, forse ad un corrector, ma anche allo stesso scriba (vd.
McNamee 2007, p. 265). Da sottolineare l’impiego di termini grammaticali
usuali in ambito esegetico (cfr. fr. 16 col. II subter lineam 22) e di almeno un’ab-
breviazione di origine documentaria (cfr. fr. 1 col. I). Sono inoltre presenti no-
tazioni di quantità prosodica (cfr. frr. 4, 3; 8, 8; 9, 6, 9 e 11; 11 col. I 9 s.; 14, 3; 16
col. II 17; 17c, 3; 30, 9; 32, 8); in particolare si può segnalare il fr. 32 (= Hippon.
103 D.; *100 W.2) al r. 8, dove si leggono note nel sopralineo identificabili con
accento e indicazione di quantità prosodica (cfr. Lobel 1948, p. 151), per le quali
West 19892, p. 141 ad l., ipotizza, e.g., iòv ç ‡˚w˚å vel aòv(i)ç‡˚w˚ån.
Il volumen appare di buona fattura, come testimoniano la grafia, l’accura-
tezza delle notazioni e la qualità delle note esegetiche: il rotolo doveva quindi
essere una copia diligentemente annotata, forse appartenuta a un erudito e
probabilmente dipendente da un commento di ampie proporzioni. Oltre alle
chiose marginali e interlineari, sono rispettate le dieci prosodiai elencate in
P.Oxy. XLIX 3453 e 34545 con l’aggiunta della diairesis (cfr. frr. 11 col. I 3; 16 col.

D. = 70, 1-10, 78, 79, 84 W.2). Nella riproduzione fotografica del papiro disponibile on line (www.pa-
pyrology.ox.ac.uk) sono presenti frammenti minimi non catalogati da Lobel e tuttora privi di nu-
merazione, mentre non è possibile rintracciare il fr. 17a.
3
Sono verificabili sia il margine superiore (cfr. fr. 1) che quello inferiore (cfr. frr. 16 e 24). Lo spazio
vacuo tra le colonne sembrerebbe abbastanza uniforme (cfr. frr. 5, 11, 22; vd. anche frr. 1 e 23). I
frammenti di maggiori dimensioni, talvolta anche grazie alla giustapposizione con testi parzial-
mente già noti da altre fonti, permettono di ricostruire con buona approssimazione l’estensione
del rigo di scrittura, che doveva contenere circa 30 lettere (cfr., ad es., fr. 16 col. II 17 e 20 = fr. 86,
17 e 20 D. = fr. 84, 17 e 20 W.2); si può quindi supporre una dimensione abbastanza ampia della
colonna, congrua con il metro utilizzato, prevalentemente scazonti e trimetri giambici (cfr. Johnson
2004, pp. 175-184, tab. 3.2).
4
Lobel 1941a, p. 68 propende per l’inizio del II secolo: “2174 is written in a small neat rounded
hand which may be ascribed to the earlier part of the second century”. La scrittura appare però
abbastanza regolare nel tratteggio, fondamentalmente bilineare (si possono notare r e u, che spor-
gono al di sotto del rigo, nonché f e y, che prolungano leggermente l’asta verticale sia verso il
basso che verso l’alto): da segnalare e corsivo con occhiello chiuso, m arrotondato, r con tratto cor-
sivo e x bilineare.
5
Cfr. anche Dionys. Thr. GG I 1, p. 105; Sext. Emp. Adv. math. I 113 s.; Epiph. De mens. et pond. 12-14
Moutsoulas; nonché P.Amh. II 21 (vd. Bülow-Jacobsen 1982, pp. 95-96 e Parsons 1982, pp. 97-98).
P.Oxy. XVIII 2174 235

II 21; 30, 2)6; sono inoltre indicati segni critici, talora di dubbia interpretazione7.
Per i segni di scansione testuale, è attestato l’uso della paragraphos accompa-
gnata da coronis ad indicare fine di componimento (cfr. fr. 1 col. II). Nel fr. 5
viene utilizzata la paragraphos, tracciata sopra e sotto il rigo di riferimento, per
evidenziare, anche mediante la collocazione in ekthesis, il probabile titolo del
componimento (fr. 74 D. = fr. *74 W.2) o forse dell’insieme di frammenti (frr.
74-77 D. = W.2) contenuti nella sezione (e.g. ODU˚å’’E-)8; da segnalare il diverso
tratto col quale viene tracciata tale indicazione.
In generale, l’ortografia risulta abbastanza controllata9. Si possono rilevare

6
Vengono indicati spiriti (cfr. frr. 1 col. II 12; 9, 17; 11 col. I 9; 13, 3; 16 col. II 22) e segni di accento
(cfr. frr. 1 col. I; 4, 7 e 10; 6, 1 e 5; 7, 5; 8, 5; 9, 6, 9, 11, 13, 14 e 16; 10, 2 e 5; 11 col. I 7, 9, 16 e 17; forse
12, 1 [vd. Lobel 1941a, p. 74]; 14, 2 e 3; 15, 3; 16 col. II 1, 4, 5, 7 [cfr. Lobel 1941a, p. 76], 13, 15-17 e
21-22; 17c, 9; 18, 4; 19, 3; 25, 3; 30, 1); si può forse individuare l’uso dell’accento verosimilmente
per indicare fine di parola (cfr. fr. 4, 8), o l’uso dell’accento grave per evitare erronea suddivisione
di parola (cfr. frr. 14, 3 e 16 col. II r. 13, vd. Turner-Parsons 1987, p. 11). Sono presenti segni di eli-
sione (cfr. frr. 3, 5; 4, 7; 9, 16 e 17; 12, 3; 16 col. II 5 e 13; 23, 3 [vd. West 19892, p. 137 ad fr. *91, 3; De-
gani 19912, p. 102 ad fr. 93, 3]); si registra inoltre l’uso dell’hyphen (cfr. fr. 32, 2, ma anche fr. 16 col.
II r. 22). Infine, si rileva la presenza di una ano stigme (fr. 8, 11), e forse anche l’indicazione di una
kato stigme (fr. 16 col. I 16).
7
È attestato l’uso del segno ö (cfr. fr. 3, 2 e tracce nel margine destro del fr. 22), e dello stesso segno
sormontato da un punto (cfr. frr. 1 col. II 13; 23, 11); vd. McNamee 1992, p. 19; Fowler 1979, pp. 26
e 28 (cfr. anche Turner-Parsons 1987, p. 14 e Id. 19681 [19802], pp. 116-117 [= 19841, pp. 135-136]).
Nel fr. 16 col. II rr. 7-16 si riscontra una combinazione di segni, costituita da diple seguita da anti-
sigma, di dubbia interpretazione (vd. Lobel 1941a, pp. 76-77; McNamee 1977, pp. 116-117; McNa-
mee 1992, p. 14 e n. 30, nonché Tab. 3; vd. anche Diehl 19523, p. 108 ad fr. VI, 8-17 (18?); West 19892,
p. 135 ad fr. 84, 8-18; Degani 19912, p. 98 ad fr. 86, 8-18), mentre il solo antisigma sembrerebbe essere
impiegato al r. 17. Da segnalare, all’inizio del r. 18, un obelos (vd. McNamee 1992, Tab. 3 ad l.), che
parrebbe simile a quello individuabile, seppur con minor certezza, all’altezza del r. 13.
8
Così già Lobel 1941a, p. 70. Vd. anche West 19892, p. 130 ad fr. *74; Degani 19912, p. 89 ad fr. 74 e
Id. 2007, p. 116 ad l., che, sulla scorta di quanto osservato da Lobel 1941a, p. 67, avanza altre ipotesi:
“Abbiamo qui il titolo, significativo seppur mutilo, del carme: Odissea (¦Oduv[‡‡eia), Odisseo
(¦Odu凇euv‡) o qualcosa di meno semplice (Odisseo presso i Feaci = ¦Odu凇eu;‡ para; Faivhxin?, Il
ritorno di Odisseo = ¦Odu[‡‡evw‡ nov‡to‡?)”. Al titolo di un unico poemetto parodico pensa Alexandrou
2016, pp. 218-219; dubita dell’appartenenza del fr. 5 a P.Oxy. XVIII 2174 Prodi 2017, pp. 1-10, che
attribuisce il frammento a un papiro dell’Odissea.
9
Si può rilevare che nel fr. 14, 2 lo iota mutum, forse dimenticato dallo scriba (cfr., ad es., frr. 1 col.
II 12 [= fr. 70, 2 D.; 70, 12 W.2]; 9, 14 [= fr. 78, 14 D.; W.2]), viene posto in apice. È possibile indivi-
duare alcuni casi di iotacismo: nel fr. 9, 11 (= fr. 78, 11 D.; W.2) nel papiro si legge kabir˚å corretto
in Kabeivr˚åwn da Medeiros 1961, pp. 119 s., cll. Hsch. k 14 L. s.v. Kavbeiroi e 3230 L. s.v. koivh‡ (cfr.
anche Id. 1969, p. 44 n. 161), mentre nel fr. 16 col. II 16 (= fr. 86, 16 D.; 84, 16 W.2) ebeivneå è stato
corretto in ejbivneåon già da Lobel 1941a, p. 76. Si registra psilosi nel fr. 1 col. II 12 (= fr. 70, 2 D.; 70,
12 W.2), forse anche nel fr. 23, 3 (= fr. 93, 3 D.; *91, 3 W.2 k¦ wå pap., kwj corr. West) e nel fr. 3, 5 (= fr.
72, 5 D.; W.2), dove si deve leggere ejp¦, non eg¦, come registra Lobel 1941a, p. 69 (cfr. Tzetz. ad Hom.
190, che riporta completi i vv. 5-7), mentre il medesimo fenomeno è assente nel fr. 12, 3 (= fr. 81,
3 D.; *80, 3 W.2). Si individuano poi due esempi di sinecfonesi in fr. 11 col. I 6 (= fr. 79, 6 D.; W.2) e
fr. 16 col. II 11 (= 86, 11 D.; 84, 11 W.2). Talora si registrano indicazioni pertinenti all’accentazione
delle parole: vd. frr. 6, 5 (= fr. 75, 5 D.; W.2); 9, 11 (= fr. 78, 11 D.; W.2); 11 col. I 7 (= fr. 79, 7 D.; W.2);
16 col. II 21 (= fr. 86, 21 D.; 84, 21 W.2); 18, 4 (= fr. 88, 4 D.; 86, 4 W.2); nel fr. 9, 16 (= fr. 78, 16 D.; W.2)
236 Hipponax 1

alcune correzioni, effettuate mediante l’utilizzo di un punto (punctum delens)


apposto a destra e a sinistra dell’elemento da eliminare, relative all’uso del-
l’accento (cfr. frr. 6, 1; 9, 9; 11 col. I 17)10 e alla notazione della quantità prosodica
(cfr. fr. 9, 6)11; inoltre, secondo il medesimo criterio, è da espungere l’ u) del fr.
30, 9. L’accuratezza formale del testo emerge anche dall’impiego del sigma, di
modulo regolare e seguito da stigme, nello scolio costituente il fr. 16 col. I (fr.
85 D., 83a W.2) r. 7, che potrebbe essere una correzione o una variante indicata
tra due punti. Devono forse considerarsi possibili varianti testuali quelle che
si individuano nel fr. 1 col. II 4, dove il sigma, soprascritto al primo r ma da so-
stituirsi al secondo, deve essere considerato una migliore lezione (tarr˚ pap.
sed potius tar‡˚å , vd. West 19892, p. 128 ad fr. 70, 4; Degani 19912, p. 84 ad fr. 69,
4); nonché il sigma soprascritto a x (cfr. fr. 11 col. I 16)12 e l’omicron conservato
nell’interlinea sopra al r. 4 del fr. 32, che potrebbe celare ‡eço come varia lectio
di ‡çeu13. Da segnalare, infine, la presenza di lettere soprascritte da elevare a
testo14.
La pubblicazione dei frustoli, che in alcuni casi si sovrappongono in parte
a testi già precedentemente noti per altra tradizione, ha ribadito, pur rima-
nendo spesso dubbio il contenuto specifico dei singoli frammenti, la presenza
di tematiche riconducibili all’opera di Ipponatte: la parodia omerica15, con ri-
prese della cosiddetta Doloneia, Il. X 434 ss. (cfr. fr. 72 D. = W.2) e con possibili
richiami alle vicende di Odisseo (frr. 74-77 D. = W.2), e la descrizione di situa-
zioni in cui risultano implicati personaggi di dubbia fama e moralità (cfr., ad
es., frr. 69, 73, 78, 79, 86, 95 D. = 70, 1-10, 73, 78, 79, 84, 92 W.2)16. Infine, come

è da correggere l’accentazione errata edeya''t¦ (pro ejdevyat¦). Nel fr. 16 col. II 9 (= fr. 86, 9 D.; 84, 9
W.2) camaiepifå costituisce un caso di scriptio plena, per restituire il metro è necessario correggere
in camai; ¦pif˚å (un esempio di aferesi si registra al r. 20 dh; ¦pi;, dhpi pap.).
10
Nel fr. 9, 9 la correzione nel papiro (vd. Lobel 1941a, p. 72, cl. fr. 184 D. = 78a W.2; West 19892, p.
133 ad fr. 78, 9; Degani 19912, p. 91 ad fr. 78, 9) risulta errata, dovendo essere ripristinato l’accento
acuto su iota in luogo del circonflesso su eta (ç˙a‡ marivlhn ajnqråavkwn). L’accentazione marilh''n è
erroneamente conservata da Adrados 19903, p. 45; Diehl 19523, p. 105 ad fr. III, 9 stampa mari?lh'n.
Nel fr. 11 col. I 17 la correzione ripristina la forma ionica, cfr. anche fr. 24, 6; vd. Degani 19912, pp.
95 e 105 ad ll.
11
Vd. McNamee 1977, p. 113.
12
Vd. West 1974, 144 ad l.: “a word capable of being written with final x but considered more cor-
rect with ‡”; McNamee 1977, p. 530. Ipotizza ŞIppw'naçx Adrados 19903, p. 46 ad fr. 79.
13
Cfr. Lobel 1948, p. 151: “‡eu with a variant ‡eo”; vd. anche West 19892, p. 141 ad fr. *100, 4; Degani
19912, p. 109 ad fr. 103, 4.
14
Nel fr. 9, 10 il de soprascritto deve essere inserito a testo tra ‡ e k (e.g. ç‡ de; kåaçi;, vd. West 19892,
p. 132 ad fr. 78, 10; Degani 19912, p. 91 ad fr. 78, 10).
15
Vd. Galiano 1958, pp. 84 s.; Degani 19841 (20022), pp. 187-205; Pòrtulas 1985, pp. 125 ss.; Rosen
1990, pp. 22-25.
16
Sulla cifra ‘dotta’ e sui reali intenti della poesia ipponattea, spesso misconosciuta dagli studiosi
moderni, si veda in particolare Degani 19841 (20022), pp. 117 ss.
P.Oxy. XVIII 2174 237

già sottolineava Lobel 1941a, pp. 67 s., i frammenti riportati da P.Oxy. XVIII
2174 hanno evidenziato importanti elementi relativi al dialetto e soprattutto
al metro utilizzato da Ipponatte: in particolare, la possibile fine di verso con
una sequenza di cinque sillabe lunghe (cfr. frr. 11 col. I 10; 16 col. II 17); la com-
mistione tra trimetri puri e scazonti (cfr. frr. 11 col. I 17 e forse 18, 4 [= frr. 79,
17 e 88, 4 D. = 79, 17 e 86, 4 W.2]); la presenza di soluzioni (cfr. frr. 24, 13 e forse
frr. 8, 4; 9, 6; 12, 1); forse un caso di mancata correptio Attica (cfr. fr. 24 [+ PSI IX
1089], 7 = fr. 95, 7 D. = 92, 7 W.2 h{ teç k˚r˚åavçd˚åh).

Fr. 1 col. I = Hippon. fr. 68 D. (= 69 W.2)

çfu‡a'n
ajçn(ti; tou') fuv‡h‡i‡˚

marg. sin. ad col. deperditam referendum fu‡a'n pap. 2 açn pap.

“soffiare” (vel “gonfiare”) ... in luogo di “insufflamento” (vel “rigonfiamento”)

Fr. 16 col. I = Hippon. fr. 85 D. (= 83a W.2)

çt˚refei
çi‡cuw˚
. . .
ç‡.

marg. sin. ad col. deperditam referendum ‡. pap.

nutre ... sono forte (?)

Fr. 16 col. II = Hippon. fr. 86 D. (= 84 W.2)

subter l. 22
tçh˚;n aujth;n di˚avnoian ou{t˚w˚å
kçe˚fala˚i˚wå˙˙˙˙ç˙å˙˙ç˙å˙˙ç˙˙åÀ

2 ai leggermente erasi e spostati verso l’alto dopo lacuna si distinguono tracce d’inchiostro al
di sotto del rigo di scrittura
——
suppl. Lobel
238 Hipponax 1

il medesimo significato così ... in sostanza (?)

Fr. 18, 2 = Hippon. fr. 88, 2 D. (= 86, 2 W.2)

a
å ç˙˙˙å˙ç tilh˚‡a‡ b må

le lettere della nota sono tracciate con inchiostro ben marcato a breve distanza dalla fine di verso
——
ad b sscr. a pap.

Fr. 19 = Hippon. fr. 89 D. (= *87 W.2)

subter l. 3
ç eJtaivra‡ o[no˚åma

suppl. Lobel

Fr. 1 col. I = Hippon. fr. 68 D. (= 69 W.2)


L’annotazione, da riferire alla perduta col. I17 e disposta su due righi, è col-
locata nello spazio bianco tra le due colonne di scrittura. Il primo rigo, di mo-
dulo analogo al testo, probabilmente corrisponde al lemma ( çfu‡a'n)
ipponatteo18. Nel secondo rigo, la spiegazione è di modulo ridotto ed è trac-
ciata con grafia corsiva; è introdotta da ajçn(ti; tou') (Lobel 1941a, p. 68).
Per quanto riguarda il significato da attribuire al termine çfu‡a'n, si possono
solo avanzare ipotesi. Il verbo fu‡avw è già omerico (vd. Degani 2007, p. 114):
in Il. XXIII 218 caratterizza il soffio del vento, mentre in Il. XVIII 470 indica il
soffio dei mantici. Esso è utilizzato per indicare il soffiare sul fuoco per attiz-
zarlo o spegnerlo, ad es., in Dion. Com. fr. 2, 16 K.-A. fu‡a'n to; pu'r (detto di
chi si appresta a cucinare), Philipp. Com. fr. 16, 2 K.-A. e[peita fu‡a'n du‡tuch;‡
oujk hjduvnwï (riferito ad un fanov‡), Pherecr. fr. 66 K.-A. ajnevplh‡a twjfqalmw; pavlh‡
fu‡w'n to; pu'r, Aristoph. Ran. 1098, Thphr. Ign. 29, etc.19 Tale spiegazione po-

17
Non è corretto inserirne la trattazione a margine del fr. contenuto nella col. II (frr. 69-70 D.) come
fa Medeiros 1961, ad fr. 65, rr. 1 s., p. 109.
18
L’annotazione marginale probabilmente spiega l’uso sostantivato del verbo nel perduto passo
ipponatteo.
19
Cfr. anche Hsch. p 2300 H. s.v. pimpravnfiaiÝ (pimpra'n Mus.): ejmpurivzein, fu‡a'n, kaivein e 3274 H.
prh'‡ai: flevxai, fu‡h'‡ai, ejmprh'‡ai.
P.Oxy. XVIII 2174 239

trebbe apparire accreditata dall’interpretamentum fuv‡h‡i‡, attestato in Thphr.


HP V 9, 3 per indicare il soffio del mantice sui carboni. Ma la gamma semantica
di fu‡avw/fuv‡h‡i‡ comprende altri valori. In senso assoluto, il verbo indica il
suonare uno strumento musicale (cfr. Aristoph. Ach. 868, Av. 859). Ancora, in
uno scolio ad Ap. Rh. I 1167 (ajnoclivzwn, p. 106 W.) fuv‡h‡i‡ si riferisce all’in-
grossarsi delle onde del mare, pur se implicita rimane l’idea del vento che ne
è causa. Inoltre tale vocabolo ricorre, con analoga valenza semantica, nell’ex-
plicatio di Hsch. o 182 L. s.v. oi[dhma: flegmonhv, fuv‡h‡i‡, o[gkwma, ajpov‡thma, wJ‡
ejk metafora'‡ de; tw'n ‡wmavtwn, kai; ejpi; th'‡ ejpavr‡ew‡ kai; fu‡iwv‡ew‡ levgetai. Si po-
trebbe azzardare anche un valore osceno del termine, talora utilizzato per in-
dicare il rigonfiamento di parti del corpo: le gote (cfr. Aristoph. Thesm. 221, per
farsi radere la barba, mentre in Dem. 19, 314 lo stesso atteggiamento denota
orgoglio), la vescica (cfr. Aristoph. Nub. 405) o il ventre (cfr. Aristoph. Pl. 699).
In ogni caso, sia l’eventuale riferimento a parti del corpo, sia l’accenno al fuoco
come elemento rituale (cfr. Hes. Op. 733 s.), potrebbero mostrare un legame
con la pratica magica descritta in due dei componimenti conservati da alcuni
tra i frustoli superstiti (frr. 9+10 cum additamentis [= fr. 78 D.; W.2] e fr. 24 cum
additamentis + PSI IX 1089 col. II [= fr. 95 D.; 92 W.2]), volta a recuperare la vi-
rilità perduta di un personaggio20.
Si deve rilevare che fu‡a'n è attestato anche in Herond. 2, 32 (th'i genh'i
fu‡w'nte‡), detto di chi è orgoglioso del proprio lignaggio (cfr. anche Men. fr.
219, 2 K.-A. e Epitr. 913, Luc. 11, 12); mentre in Callim. Ia. 1 (= fr. 191 Pf.), 29
s. oJ yilokovr‡h‡ th;n pnoh;n ajnalwv‡ei û fu‡evwn: o{kw‡ mh; to;n trivbwna gumnwv‡hi,
il verbo denota lo ‘sbuffare’ del personaggio, forse provocato da ira (cfr. Eur.
IA 125 e 381)21.

Fr. 16 col. I = Hippon. fr. 85 D. (= 83a W.2)


Nota marginale situata nell’intercolumnio, probabilmente da riferire, se-
condo le usuali modalità di notazione a fine di rigo22, al testo contenuto nella
perduta col. I. La dimensione del carattere è ridotta: le due annotazioni occu-
pano, infatti, lo spazio equivalente a un solo rigo di scrittura della col. II. Pren-
dendo come riferimento la colonna II, tre righi sotto (vale a dire col. II 13) si
distingue un segno orizzontale ( ]-), quindi, dopo altri tre righi (col. II 16), un

20
Analisi dei due frammenti alla luce dei possibili legami con i rituali propiziatori descritti in Pe-
tronio (Sat. 131 e 138) sono state condotte da Latte 1929, pp. 385 ss. (= 1968, pp. 465 ss.), Lavagnini
1929, p. 10 (= 1950, p. 64; 1978, p. 235), Miralles 1983, pp. 12 ss. e Pòrtulas 1985, pp. 121-139 (vd.
anche West 1974, p. 142 ad fr. 78; Degani 19912, pp. 92 ad fr. 78 e 103 ad fr. 95).
21
Il luogo callimacheo testimonia peraltro una peculiarità nella scelta ionica del termine, rilevata
e stigmatizzata dai commentatori antichi (cfr. sch. ad l.), e giustamente recuperata e sottolineata
da Ardizzoni 1960, pp. 18 s. come indizio del legame del poeta con la giambografia arcaica.
22
Vd. McNamee 2007, p. 16. Eleva a testo la nota Medeiros 1961, p. 133 ad fr. 80, rr. 10 s.
240 Hipponax 1

tratto curvo rivolto verso sinistra, probabilmente un sigma lunato seguito da


un punto fermo23. Potrebbe trattarsi della lettera finale del rigo contenuto nella
col. I, ma lo spazio tra le due colonne risulterebbe ridotto in modo anomalo24;
o forse, più probabilmente, di un’ulteriore annotazione marginale, come po-
trebbe suggerire la posizione di queste tracce, alquanto spostate a destra ri-
spetto al rigo di scrittura della perduta col. I; si potrebbe forse ipotizzare una
correzione o una variante, riferita al testo della perduta col. I, posta a margine
tra due punti, il primo dei quali in lacuna.

Fr. 16 col. II = Hippon. fr. 86 D. (= 84 W.2)


Nota posta alla fine della colonna di scrittura, nell’ampio spazio vacuo la-
sciato a fondo pagina. L’annotazione è redatta con dimensione dei caratteri
minore e con ductus leggermente più corsivo rispetto al rigo di scrittura. Il
primo rigo riporta un termine grammaticale (diavnoia), spesso usato con valore
tecnico per introdurre un’osservazione semantica2. Ha valore tecnico-esegetico
anche il kçe˚fala˚iw˚ å del rigo seguente: si tratta probabilmente di (ejn) kefalaivwi,
preambolo usuale nella prosa (cfr., ad es., Plat. Resp. 576b, Thuc. III 67) e spesso
utilizzato nell’esegesi per introdurre una spiegazione riassuntiva o abbre-
viata26.

Fr. 18 = Hippon. fr. 88 D. (= 86 W.2)


v. 2 Nota marginale, posta a destra in corrispondenza del secondo rigo di
scrittura, dove si legge l’ultimo vocabolo del verso, una forma di aoristo di ti-
lavw o di un suo composto, come attestato in altri frammenti ipponattei (cfr.
frr. 73, 3 e 79, 6 D. = W.2)27. Si tratta di b con a soprascritto, seguito a breve di-
stanza da m, non completamente leggibile, ma pressoché certo. Da rilevare il
formato non molto ridotto della nota rispetto al carattere adottato nel rigo di
scrittura, aspetto che ha indotto alcuni editori a elevare erroneamente a testo
lo scolio28. Si potrebbe trattare della ripresa a margine di due termini preceduti
dalle lettere dell’alfabeto per ripristinarne il corretto ordine, evidentemente er-

23
La McNamee 2007, p. 265 omette questo sigma. Altri esempi di ano stigme sono riscontrabili nel
papiro (vd. supra).
24
Difficile pensare che si possa trattare di un segno critico da riferire alla col. II, sia per la presenza
del punto, sia perché la colonna è già contrassegnata da diple seguita da antisigma (vd. supra). In
generale, sull’uso di antisigma e sigma per indicare passi notevoli per forma o contenuto, vd.
McNamee 1977, pp. 96 ss. e pp. 114 ss.
25
Dickey 2007, p. 232 traduce il termine con “meaning”; vd. anche McNamee 1977, p. 339.
26
Talora anche in forma compendiata, vd. McNamee 1981, p. 49.
27
Per un commento ai passi vd. Degani 2007, pp. 116, 119 e 121.
28
Così Adrados, p. 49 (fr. 86); similmente Medeiros, p. 137 (fr. 82), che mette a testo la nota distan-
ziandola un poco dall’ultimo termine del rigo e annotando in apparato: “sic in pap.”.
P.Oxy. XVIII 2174 241

rato nel testo; in tal caso si dovrebbe però ammettere un richiamo non collocato
al di sopra delle singole parole, ma registrato sul margine destro29. In alterna-
tiva, McNamee 2007 (p. 265) trascrive la sequenza come ba( ) m: vale a dire con
un segno compendiato seguito da un termine iniziante con m. Potrebbe però
trattarsi di una correzione dello scriba, che ha tralasciato a e l’ha quindi ag-
giunto nel sopralineo: le tracce sarebbero così riconducibili al genuino inter-
pretamentum del verbo, vale a dire bavmåma (cfr. EM. 187, 24-26 bavmma kuzikhnovn:
th;n ajkavqarton aj‡chmo‡uvnhn ¦Attikoi; levgou‡i. Diogenianov‡, to; tivlhma. ej‡kwvptonto
ga;r ejpi; malakivai)30.

Fr. 19 = Hippon. fr. 89 D. (= *87 W.2)


v. 3 Secondo Lobel 1941a, p. 78 si tratterebbe di una nota interlineare, come
mostra la minore dimensione del carattere con cui è scritta, da riferirsi a un
nome di donna contenuto nel perduto rigo seguente (v. 4).

ANIKA NICOLOSI

29
L’uso di ripristinare l’ordine corretto di parole trasposte mediante l’indicazione sopra il rigo di
lettere dell’alfabeto è documentato da Turner-Parsons 1987, 16. Per l’indicazione sul margine si-
nistro di lettere dell’alfabeto per indicare il corretto ordine dei versi, vd. Gallazzi 1981, 45 s., con
particolare riferimento a P.Mil.Vogl. inv. 1196; anche in P.Oxy. LXIV 4414, Haslam 2011, p. 7 ipo-
tizza un ordinamento dei versi (Ap. Rh. I 139 s.) corretto mediante l’indicazione di a e b sul per-
duto margine sinistro.
30
Vd. Nicolosi 2009, pp. 1 s.
2

P.Oxy. XVIII 21761 saec. I/IIp

Commentario a frr. 129-131 D. = 118 W.2


Note marginali e interlineari

Prov.: Oxyrhynchus.
Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms + Oxford, Bodleian Library MS. Gr.
Class. b. 18 (P) fr. 29.
Edd.: LOBEL 1941b, pp. 87-96 e 184-185; LOBEL 1948, pp. 153-154; DIEHL 19523 , pp. 115-
118 (frr. X-XII); MEDEIROS 1961, pp. 170-181 (frr. 113-114); MASSON 1962a, pp. 84-87
(fr. 118); FARINA 1963, pp. 59, 64, 137 e 149; SNELL 1972, pp. 110-113; WEST 19892
(19711), pp. 151-155 (fr. 118); ADRADOS 19903, pp. 63-64 (fr. 118) e 20104, p. 350 (fr.
198); DEGANI 19912, pp. 132-141 (frr. 129-131) e Addenda pp. 231-233 (vd. anche DE-
GANI 19831, Addenda pp. 222-223); GERBER 1999, pp. 440-449; SUÁREZ DE LA TORRE 2002,
pp. 282-284 (frr. 129-130 D.2); MCNAMEE 2007, pp. 265-267.
Tabb.: P.Oxy. XVIII (= LOBEL 1941b), pl. XII; CPF IV.2, pl. 180; www.papyrology.ox.ac.uk.
Comm.: MP3 551; LDAB 1317 CALDERINI 1942, p. 130 (nr. 6124); FRAENKEL 1942, pp.
53-56; MAAS 1942, p. 133; HOMBERT 1946-1947, pp. 381 e 388; LATTE 1948, pp. 37-47
(= 1968, pp. 468-477); VOGLIANO 1948, pp. 257-259; MASSON 1949, pp. 300-319; MER-
KELBACH 1953, p. 88; GALIANO 1958, pp. 86-88; KASSEL 1958, pp. 235-236; MASSON
1962a, pp. 162-166; BÜHLER 1964, pp. 236-238; PFEIFFER 1968, pp. 199 e 248 (trad. it.
1973, pp. 313 e 380); MEDEIROS 1969, pp. 54-55; AUSTIN 1973, p. 32 (fr. 64); WEST 1974,
pp. 143 e 147-148; LUPPE 1975a, 691; DEL FABBRO 1979, pp. 82, 112-114, 125 (nr. 44) e
129; DEGANI 1980, p. 514; DEGANI 1980-1982, pp. 47-50; DEGANI 19841 (20022), pp. 271-
275; TURNER 19872, p. 134; SLINGS 1987, pp. 70-94; ROSEN 1988, pp. 24-41; LUPPE 1990,
pp. 155-158; MCNAMEE 1992, tab. 2; CPF I.1.2 1992, p. 267 (fr. 4T?); NERI 1995, pp.
11-14; DEGANI 1995, pp. 105-136 (= 2004, pp. 131-162); BOLLANSÉE 1999, pp. 98 e 428-
431; MONTANARI 2002, pp. 73-88; DEGANI 2007, pp. 50-51 e 134-137; MCNAMEE 2007,
pp. 103 e 519; NICOLOSI 2012, pp. 49-50.

Si tratta di un hypomnema a più componimenti di Ipponatte, proveniente


da Ossirinco, costituito da 24 frustoli di varia dimensione2. Alcuni di questi

1
Si deve aggiungere un frammento minimo pubblicato dubbiosamente (“that this scrap belongs
to 1233 is not certain”, p. 70) da Hunt 1914, pp. 64 s. e 70 come P.Oxy. X 1233 fr. 29, successivamente
ricondotto al commentario ipponatteo da Lobel 1941b, pp. 184 s. Una revisione dei soli quattro
frustoli di maggiori dimensioni si deve a Slings 1987, pp. 70-94.
2
Vd. Lobel nell’ed. pr. (1941a, pp. 87-96 e 184 s.) con i successivi Additamenta (1948, pp. 153 s.). I
due frammenti papiracei più estesi (frr. 1 coll. I e II; 8), conservano l’uno i resti di due colonne di
scrittura, rispettivamente di 18 e di 17 righi, l’altro il margine destro di una colonna per un totale
P.Oxy. XVIII 2176 243

frustoli (frr. 1 col. I + 9 + Addenda, Lobel 1948; frr. 3 + 4 + 5 + Addenda, Lobel


1941b; frr. 2 + 8 + P.Oxy. 1233 fr. 29 + Addenda, Lobel 1941b e 1948) sono acco-
stabili tra loro così da formare macroframmenti, oppure (frr. 1 col. II e 6) costi-
tuiscono di per sé ampi spezzoni di commentario, tutti designati con lettere
dell’alfabeto latino3: rispettivamente, frr. A, B, D D. (= frr. A, B, E W.2) e frr. C,
E D. (= frr. C, D W.2). Per ciò che riguarda la sistemazione dei frustoli e la loro
eventuale connessione, già Lobel 1941b, p. 184, riteneva che il fr. B D. dovesse
collocarsi al di sotto del fr. A D., senza però precisarne la distanza; Slings 1987,
p. 88, ha poi confermato tale ipotesi, osservando che i due frammenti, e quindi
anche il fr. C, appartengono allo stesso kollema. L’attribuzione ad Ipponatte dei
lemmi trattati nel commentario appare certa, dato che uno di essi, quello ri-
portato da fr. B, è esplicitamente ricondotto ad Ipponatte in uno scholion a Ni-
candro, Th. 470, p. 191, 9-12 Crugnola.
Il volumen era probabilmente di medie dimensioni: il margine superiore non
è verificabile, mentre lo è quello inferiore (cfr. fr. 22); lo spazio vacuo tra le co-
lonne sembra abbastanza uniforme (cfr. fr. 1, leggermente minore nei frr. 16 e
24), mentre il rigo di scrittura era abbastanza esteso e arrivava a contenere più
di 30 lettere (vd. Del Fabbro 1979, p. 86). Doveva essere una copia accurata e di
buon livello, sia per quel che riguarda la scrittura, sia per la qualità del com-
mento e delle annotazioni: sicuramente era un prodotto di scriptorium, aspetto
che evidenzia l’interesse erudito per il testo ipponatteo in ambito ossirinchita.
La scrittura, sorvegliata ed elegante, è una maiuscola libraria informale ad asse
verticale con alternanza di modulo che mostra notevoli affinità con un gruppo
di frammenti, assai simili tra loro, ascritti, pur con qualche dubbio sull’unicità
del copista, allo ‘scriba di Ossirinco’ A194. Questo aspetto permette di attribuire

di 32 righi. Da segnalare che nella riproduzione fotografica del papiro disponibile on-line
(www.papyrology.ox.ac.uk) si individua un frustolo, a sinistra del fr. 1, non considerato da Lobel:
esso riporta il margine sinistro di una colonna di testo nel quale si trovano due paragraphoi (rr. 2
e 5), la prima delle quali (r. 2) è accompagnata da coronide; il frammento è da collocare nella se-
zione conclusiva della colonna stessa, dato che si distingue anche parte del margine inferiore; il
testo consiste nell’inizio di 8 righi, l’ultimo dei quali presenta una correzione nel sopralineo, con
espunzione mediante un tratto orizzontale delle lettere da eliminare (çp˚aia‡˚i˚å , sscr. k˚ude‡‡iå ).
3
Tale criterio di suddivisione fu adottato per la prima volta da Medeiros 1961, pp. 175-181, e Mas-
son 1962a, pp. 84-87, che però ordinano i frammenti in modo differente rispetto a Degani 19912,
pp. 134-141 (frr. A, B, C, D, E, F, G, H Med. e Mass. = frr. A, B, C, E, D, H, K, N D.); analoga strut-
tura è parzialmente adottata anche da West 19892, pp. 152-155, che volutamente omette i frustoli
di minori dimensioni (frr. A, B, C, D, E, F, G, h, J W.2 = frr. A, B, C, E, D, F, K, M, V D.). Slings
1987, pp. 70-73, attribuisce a ciascun frammento numeri romani (frr. I, II, III, IV Slings = frr. A,
C, B, D D.).
4
Si tratta di P.Oxy. XXII 2318 (Archiloco?) ⇒ Archilochus 6 (?), XXII 2327 e XXV 2430 (Simonide),
XXIV 2389 + XLV 3210 (commentario ad Alcmane) ⇒ Alcman 1a e 1b, XXIV 2397 (commentario
all’Iliade), XXXIV 2694 (Apollonio Rodio) ⇒ Apollonius R. 4; vd. Johnson 2004, pp. 23 s., 62; dubbi
sull’unicità del copista sono avanzati da Porro 2011, pp. 184-185 (ad P.Oxy. XXII 2318); non consi-
244 Hipponax 2

il nostro esemplare al cosiddetto ‘stile intermedio’ (vd. Menci 1984, 53-55) e di


collocarlo tra la fine del I sec. d.C. e l’inizio del II sec. d.C.5
Nel testo dello hypomnema, di buona fattura6 e di apprezzabile valore ese-
getico, si riscontra l’uso di una sola abbreviazione, di origine documentaria,
forse relativa al nome di un grammatico (pal = Palamhvdh‡, fr. 4, 5) e di pochi,
ma mirati, segni di lettura7. I lemmi sono evidenziati mediante l’uso di para-
graphoi nel fr. 1 col. II [= C] rr. 2, 11 e nel fr. 16 [= M] col. II 2) e, in un solo caso,
mediante una paragraphos forcuta (fr. 1 col. II [= C] 14), non molto marcata,
forse scelta per distinguere il tratto dal corpo triangolare del phi soprastante8.
All’interno del testo, il lemma è posto in rilievo mediante vacuum delle dimen-
sioni di una lettera nel fr. 1 col. II [= C] 11 (lo stesso rigo al di sotto del quale si
trova anche una paragraphos) e forse anche nel frr. 2+8, 3 (= D 4)9. L’accuratezza
della revisione del testo è infine evidenziata dall’impiego di un’ancora (fr. 4, 7
= fr. B 12)10 e del segno di riempimento o, posto alla fine del rigo di scrittura
(frr. 1 col. I 5, 7, 9-11, 16-18; 6, 5 s.; 8, 7 s., 13 e 21; 24 col. I 3).
Un corrector11, fors’anche lo stesso copista, ha aggiunto note marginali e in-
terlineari, coeve (vd. Lobel 1941b) e tracciate con tratto corsivo, nelle quali si

dera P.Oxy. XXXIV 2694 parte di questo gruppo Haslam 2011, p. 17. Oltre alla scrittura e alla natura
di commentario, il nostro esemplare mostra affinità nell’impaginato, nell’accuratezza della revi-
sione, nella modalità di notazione marginale e interlineare, nell’impiego dei medesimi segni critici,
nonché nel rispetto della ‘legge di Maas’.
5
Lobel 1941b, p. 89, datava la scrittura al II sec. d.C. citando a confronto P.Oxy. X 1233 e VIII 1082.
Si possono però individuare gli stessi tratti che Cavallo 1991, pp. 25 s., riconduce allo ‘stile P.Oxy.
2359’ (al quale lo studioso ascrive P.Oxy. XXII 2327 e XXV 2430; Porro 2011, p. 185 aggiunge anche
P.Oxy. XXII 2318) come alpha con tratto discendente da destra verso sinistra meno inclinato di
quello che scende da sinistra verso destra, il phi con il corpo centrale triangolare e il my con tratti
mediani arrotondati.
6
Lo iota mutum è di norma regolarmente tracciato (cfr. frr. 1 col. I 9; 5, 2; 8, 20), ma è omesso nel
fr. 1 col. I 3. Si registra un’oscillazione tra l’impiego dello ionico toi nel fr. 1 col. I 13 (cfr. Hippon.
fr. 42a, 2 D.) e la forma ‡oi utilizzata nei frr. 1 col. II 15 e 5, 2. Errori di ipercorrettismo legato al fe-
nomeno dell’itacismo si riscontrano ai rr. 4 ss. del fr. 6, rispettivamente kamei- pro kami- e ejxeip-
pro ejxip-, mentre nel fr. 1 col. II 7 si dovrà leggere ajpovdfieÝixin.
7
Si registrano alcuni accenti (frr. 1 col. I 1; col. II 17; 6, 6 s. e 10; 12, 2; 19); uno spirito (fr. 6, 7) e due
segni di quantità prosodica (frr. 1 col. I 1; 6, 6), peraltro utilizzati per vocaboli di dubbia morfolo-
gia.
8
Non è possibile dire con certezza se il lemma posto ad inizio di verso sia evidenziato anche me-
diante ekthesis: l’omega posto all’inizio del r. 1 del fr. 1 col. I [= A], probabile incipit del componi-
mento, è parzialmente in lacuna; al contrario, l’inizio del testo del fr. 1 col. II [= C] 3 è chiaramente
allineato alla colonna di testo; unico esempio potrebbe essere l’alpha del fr. 1 col. II [= C] 15, sicu-
ramente sporgente, ma tracciato in modo analogo nel fr. 16 [= M] col. II 3 (cfr. anche fr. 1 col. II [=
C] 2); dubbio il caso del fr. 16 [= M] col. II 1.
9
Meno certo appare tale uso nel fr. 4, 6 (= B 11), mentre nel fr. 1 col. I [= A] 11 non c’è alcuno
stacco tra i due testi e nulla si può dire del fr. 5, 2 (= B 2). La fine del lemma è quasi sempre in la-
cuna, ad eccezione dei frr. 2+8, 4 (= D 5), dove si registra continuità di testo con la chiosa seguente.
10
Vd. McNamee 1977, p. 121 n. 38.
11
Cfr. Lobel 1941b, pp. 89 e 94 e McNamee 2007, pp. 265-267.
P.Oxy. XVIII 2176 245

riscontra sia l’uso di abbreviazioni di origine documentaria, come ad es. la de-


sinenza -ai ridotta a sinusoide nel fr. 24 col. II 14, sia di origine dotta, realizzate
mediante l’uso di segni non alfabetici12. Gli interventi formali non sono molto
numerosi ma sono puntuali e testimoniano l’attenta revisione del testo: si re-
gistrano due segni di quantità prosodica breve (i−) nel fr. 24 col. II 5 s., nell’am-
bito di una probabile discussione grammaticale e semantica; alcune lettere
sono espunte nel fr. 1 col. II 13 s. e nel fr. 8, 2413; nel fr. 6, 12 apå è stato corretto
in attå mediante un tratto orizzontale tracciato su p e l’indicazione nel sopra-
lineo dei due t; nel fr. 14, 1 e è stato corretto da uno i originario. Le annotazioni,
di fatto aggiunte esegetiche, hanno carattere etimologico (cfr. frr. 5, 2 e 6, 12),
oppure rappresentano una sorta di parafrasi del testo, volta non solo a spie-
garne il contenuto, ma anche a specificarlo (cfr. fr. 1, col. II 15); in altri casi esse
sono costituite da excursus di carattere etnografico (cfr. fr. 8), o da digressioni
di carattere grammaticale (cfr. fr. 24, col. II) o metrico (cfr. frr. 23 e 24, col. I). La
cura nel riesame del testo è infine evidente nel fr. 24 col. I, dove, al di sotto dei
quattro righi di scrittura conservati dal papiro, si individuano due tipi di grafie,
l’una più corsiva dell’altra, a caratterizzare due diversi tipi di annotazioni.
Il commento appare d’impronta dotta14, talora con notazioni di interesse
linguistico (cfr. fr. 1). Da segnalare la presenza di nomi di grammatici ed eru-
diti, fatto che testimonia il genere di materiali a cui il commentatore ha attinto:
si tratta di Polemone di Ilio (fr. 1 col. I r. 6), Aristofane di Bisanzio (fr. 8, 21),
forse anche Palamede di Elea (fr. 4, 5) ed Ermippo di Smirne (frr. 11 s.). Il com-
mentario costituisce inoltre un’importante testimonianza relativa alle forme
metriche utilizzate da Ipponatte; i frammenti permettono, tra l’altro, di rico-
struire, seppur solo parzialmente, almeno un componimento epodico, che al-
terna trimetri giambici e dimetri giambici acatalettici15.

12
Vd. CLGP I.1.1, pp. 20-21. Da segnalare, tra i segni di ambito corsivo documentari, il rimpiccio-
limento e l’elevazione in apice dell’ultima lettera che precede il troncamento nei frr. 5 ad r. 2, 6 ad
r. 12; 8, 29; 17, 4; nonché la resa di -ambikå, con k soprascritto a bi (frr. 23, 8 e 24 col. I 9). Probabile
la presenza di o soprascritto (nei˚o˚) in nei˚'m˚oån, come parrebbe confermare la spiegazione del com-
mentatore (fr. 1, col. II 11). Tra i segni di origine dotta: gv (fr. 24, col. II 6), kv (frr. 3 ad r. 3; 8, 26; 24
col. I 10), mv (frr. 8, 31; 24 col. II 7; 23, 8), tv (frr. 8, 27; 24 col. II 9 s.); inoltre, si riscontra l’uso di alcuni
segni convenzionali come fò, per f(h‡iv) vel f(a‡iv) (fr. 8, 27); l’impiego di t| (fr. 8, 28) e di un’asta
obliqua rivolta verso destra (/) nel fr. 24 col. 7. Da segnalare il segno di riempimento (>), presente
anche nello hypomnema, utilizzato nella nota interlineare del fr. 5, 2 = B 2.
13
Nel fr. 1 col. II 13 s. il corrector, dopo avere giustamente rettificato poiei'n in piei'n al r. 13, ingannato
dalla vicinanza dei nessi somiglianti favrmakon piei'n û favrmakon poiei'n, corregge erroneamente allo
stesso modo al r. 14, dove poiei'n è opportunamente ripristinato da Latte 1948, pp. 40 s. (1968, p. 471).
14
Discusso il valore da attribuire all’erudizione dello scriba: il commento fu ritenuto di poco valore
da Latte 1948, pp. 37 ss. (1968, pp. 468 ss.) e fu invece valutato positivamente da Vogliano 1948,
pp. 257 s., anche sulla base di un eventuale rapporto tra il supplemento ‡annçioplhvktou‡ e una
glossa esichiana (‡ 173 H. s.v. ‡an(n)iovplhkto‡: aijdoiovplhkto‡), e Pfeiffer 1968, pp. 248 s.
15
Vd. Fraenkel 1942, pp. 54 s.; Latte 1948, p. 37 n. 1 (1968, p. 468 n. 1).
246 Hipponax 2

Sul numero dei componimenti ipponattei riportati dal commentario e sulla


sistemazione degli stessi la situazione appare complessa. I primi tre frammenti
(frr. A-B-C D. = W.2 = I-III-II Slings) paiono riportare brandelli di un unico com-
ponimento (fr. 129a-e D. = fr. 118, 1-12 W.2) che ha come referente polemico un
certo Sanno. West 19892 – come già Medeiros 1961 e Masson 1962a (duce Maas
citato da Snell ap. Diehl 19523, p. 115) – pubblica il lemma riportato dal fr. B
dopo i primi due versi riconoscibili nel fr. A: in tal caso, il metro impone di se-
gnare una lacuna tra i vv. 1-3 (= fr. A rr. 1 s. + fr. B) e i vv. 5 s. (= fr. A rr. 11-14)1.
West fa poi seguire i lemmi riportati nel fr. C, ma – osserva Degani 2007, p. 134
– “unisce d direttamente ad e,1 (scrivendo cioè prw'ton me;n ejkdu;‡ nei'm˚åonç, au-
jlhv‡ei dev ‡oi), trascurando tuttavia il fatto che Sanno – come esplicitamente in-
forma il commentatore – dovrà bere anche un favrmakon, subito dopo aver fatto
ginnastica (perché in tal modo, precisa l’antico dotto, ‘più facilmente la pozione
potrà fare il suo effetto e venire assimilata’). I frr. d ed e andranno dunque se-
parati”, come opina anche Snell 1972, pp. 112 s., che suppone qualcosa come
prw'ton me;n ejkdu;‡ neoåù Þ x ceronovmei û kai; pi'ne favrmakon: to; ga;r û ou{tw‡ ejnergei'
rJeva mavl¦:ç aujlhv‡ei dev ‡oi û ktl. Gerber 1999, pp. 440 ss., pur adottando la nu-
merazione di West (fr. 118), dichiara di preferire la sistemazione adottata da
Degani. Infine, Slings 1987, pp. 70 ss. antepone i lemmi riportati nel fr. C a
quello del fr. B secondo la sequenza: a (= fr. A rr. 1 s. e 11-14), c-d-e (= fr. C rr.
2-4, 11 e 15), b (= fr. B)17. Appare però maggiormente plausibile la disposizione
dei lemmi accreditata da Degani 19912 ad fr. 129, che verosimilmente conserva
l’ordine delle citazioni recuperate dal commentario – vale a dire la sequenza a
vv. 1-4 (= fr. A rr. 1 s. e 11-14), b (= fr. B), c-d-e (= fr. C rr. 2-4, 11 e 15) – e non
contempla lacune tra i primi quattro versi, nei quali probabilmente si deve ri-
conoscere l’incipit del componimento18.
Più incerta la sistemazione degli altri frammenti. Adrados 19903, p. 63 (sulle
orme di Medeiros 1961, pp. 171-179 = fr. 113), accogliendo l’ipotesi di Lobel
1941b, pp. 95 s., ulteriormente sviluppata da Masson 1949, pp. 311 s. e 318 s.,
secondo cui nei due versi recuperabili dal fr. D D. (= E W.2) si troverebbe un
accenno al rituale del farmakov‡, ritiene che tale sorte possa essere connessa

16
West 19892, p. 153 ritiene la fine dei rr. 12 s. del fr. A (w û ç˙n, e.g. w\ û å’avnne, a[kou‡oçn) parte del
commentario e non del verso ipponatteo che ha inizio con tou\‡ moi parav‡ce‡, come invece edita
Degani 19912, p. 132 (w\å ç˙ n).
17
Tale scelta testuale implica una diversa ricostruzione del fr. 129 D. – vale a dire la sequenza a-
c-d-e-b, vd. Degani 19912, p. 231 e Id. 1984 (20022), p. 333 –, per il quale lo studioso olandese ipo-
tizza una struttura circolare (“it may be argued that the poem may have closed with such a
reference after the cure for Sannus’ aliment has been exposed”, ibid.) analoga a quella presumibile
per il fr. °194 D. (= *115 W.2).
18
Vd. anche Montanari 2002, pp. 74-77. Da segnalare tracce d’inchiostro, di difficile decifrazione,
collocate al di sopra del rigo.
P.Oxy. XVIII 2176 247

con quella di Sanno (vd. fr. D). Se si adotta l’ordinamento dei frammenti pro-
posto da Slings 1987, il fr. D D. del commentario dovrebbe riportare versi ap-
partenenti a un altro componimento epodico, in quanto il precedente,
enucleato dai frr. A-B-C, sarebbe concluso con la ripresa finale del vizio im-
putato a Sanno, la sua ghiottoneria. West 19892 isola dal fr. E (= D D.) le reliquie
di due versi, editando – dopo i frr. A-B-C – tutti gli altri frustoli di maggiori
dimensioni D-E-F-G-H-J sotto la medesima numerazione (fr. 118), precisando
per questi ultimi: “de ordine non constat” (p. 154). Degani 19912 ipotizza resti
di almeno tre componimenti: fr. 129 = frr. A, B, C; fr. 130 = fr. D; fr. 131 = frr. E-
V. Sono poi probabilmente riconducibili in modo più o meno diretto al poeta
di Efeso l’espressione ejçp˚˚i; a[mmon qaûåla燇ivan (fr. D 3 s. D.), il termine
floçg˚wvmata (fr. E 10 D.) e alcune voci ioniche come tivnu‡˚åai vel tivnu‡˚åqai (fr. D
r. 32 D.) e qurevwn (fr. k 2 D.).
Di seguito si adotta il raggruppamento dei singoli frammenti papiracei del
commentario in macroframmenti indicati dalle lettere dell’alfabeto latino, se-
guendo l’ordinamento proposto in Degani 19912, pp. 134-141 (frr. A-V), di fatto
ad oggi il più completo.

Fr. A (fr. 1 I + fr. 9 + Addenda, Lobel 1948, p. 153) = Hippon. 129a, 1-4 D. (= 118,
1 s. e 5 s. W.2)

w\ ’avnn¦, ejpeidh;˚ rJi'na qeovå‡ulin fuv-


ei‡, kai; ga‡tro;˚‡˚ o˚uj katakra˚åtei'‡: kuvri-
oçn o[noma oJ ’avnno‡, w|fiiÝ loidor˚åei'tai.
pepoih'‡qaiv fa‡in para; th;ån ‡annavda.
5 K˚r˚åh'tça˚‡˚ de; ta;‡˚ ajgriva‡ ai\ga‡ l˚evgein ‡an-
navda‡ fhç‡i;n Polevmwn ejn toi'‡ Pro;‡
¦Antivgonon kaçi; ¦Adai'on: ta;‡ de; ai\ga‡ ejpi-
çp˚oplhvktou‡ ei\nai kai˚na˚i˚
çkai; ejn tw'i bivwi to˚åu;ç‡˚ eujhv-
10 qei‡ ç˙menå˙˙˙ ajçll¦ oujde; tou
çn: w\ ’av å nçn˚ ¦ , ej p eidh; rJ i ' n a
qeov ‡ ulin ç‡˚ tou\ ‡ m˚ o i parav ‡ ce‡, w\
ç˙n ‡uv n toiv ti b˚ o uleu' ‡ ai qev -
lw ç‡˚ th;n iJ˚e˚rov‡˚ulin rJi'na
15 çnne˚å˙ça˚k˚o˚nto‡ aujtou'
çn˚ ajpo; pan-
çn tavca de
248 Hipponax 2

çne˚t˚ome
› › ›

1 al di sopra di ‡a˘vnn e hr si scorgono tracce minime di annotazioni ‡a˘vnn pap. al di sotto


di w Slings individua tracce non sicure di una paragraphos 5 çk˚rå˙ça˚‡ Slings 10 çz˚ Latte; çe˚
oppure ç‡˚ Slings 15 “for k˚o˚ perhaps i˚å˙ço” Lobel 1941b 18 “after çn, first e˚ or q˚ then t˚ or p˚”
Slings
——
1-2 = fr. 129a, 1 s. D. = 118, 1 s. W.2 11-14 = fr. 129a, 3 s. D. = 118, 5 s. W.2
s.n.l. Lobel 1941b 1 qeovå‡ulin Lobel ap. Maas; qeoåi‡ecqrh;n Fraenkel et Vogliano; qeoåmu‡h'
Latte 1 s. fuvçûei‡ West 19711, prob. Degani 2007; ‡ivçûei‡ Neri; forevçûei‡ Luppe 1975a, probb. Slings
et West 19892 qui forçei'‡ in textum recepit; û e[cçei‡ Fraenkel et Vogliano; e[ûcçei‡ Maas ap. Fraenkel;
trevûfçei‡ Latte; a[çûei‡ Ebert ap. Degani 19841; fevrçei‡ Diehl 2 katakra˚åtei'‡ Latte, praeeunte Lobel
1941b (katakra˚åtevei‡) 2 s. kuvriûåoçn Maas ap. Fraenkel, Latte 3 loidor˚åei'tai Lobel 1941b,
dein o} e[nioi Latte, fort. recte; a[lloi de; Maas ap. Fraenkel; loidor˚åei'. tou'to ga;r˚ Slings 4 th;ån ‡an-
navda Snell ap. Diehl (th;ån iam Lobel 1941b) th;ån ‡annav‡ Maas ap. Fraenkel 5 suppl. Latte
6 -navda‡ fhç‡i;n suppl. Degani 19912, praeeuntibus -navda‡ kaqav fhç‡i;n Lobel 1941b et -navda‡, w{‡
fhç‡in West 19892; aliter -navda‡ pariv‡thç‡in Latte 7 suppl. Lobel 1941b 7 s. ajçp˚oplhvktou‡
Lobel 1941b, unde ejpi; û åtw'i pavntote ajçpoplhvktou‡ Latte; ejpiûåfevrou‡in ajçp˚oplhvktou‡ vel ejpi; û åto;
plei'‡ton ajçp˚oplhvktou‡ Slings; ‡annçi˚oplhvktou‡ Vogliano, unde ejpivûå‡tatai ‡annçi˚oplhvktou‡ West
19711; ejpi; û åto; polu; daimoçn˚oplhvktou‡ West 19892 8 s. kai˚; na˚i˚ûåadolhvptou‡ç West 19892; kai˚;
fiajÝna˚i˚ûå‡qhvtou‡. i[‡w‡ç coni. Degani 19912; kai; n˙i legit Slings, de novo verbo cum nai‡ieliva conexo
cogitans (cl. Hsch. n 37 L.); åkaçl˚åou'ç‡in û åou{tw‡: oJmoivw‡ç Latte 9 s. tou;ç‡ eujhvûåqei‡ Lobel
1948 10 levge‡qai i[çzmen Latte 10 s. ‡avnnou‡ kaloçu˚'menå˙ dia; poçllou' de; tou' û åuJperbatou'
fh‡içn West 19892; tovde wjnomaç‡˚mevnåou‡: façllou' de; tou'ûåto o[nomav ej‡tiçn Slings; ejpipefhmiç‡˚mevnåou‡.
ajçll¦ oujde; tou'ûåto, ajllav fh‡içn West 19711 12 tou\‡ legit Maas ap. Fraenkel 12 s. w\ û åkatavrhton
kakovçn Latte; w\ û å’avnne, a[kou‡oçn West 19892 13 s. suppl. Lobel 1941b 14 i˚Je˚rov‡˚ulin legit
Maas; p˚rovt˚ulin dub. Lobel 1941b 15 åpçai˚våzçonto‡ aujtou' Slings, qui åfçai˚vånçonto‡ longius spatio
reicit 18 s. to;çn e˚Jp˚ovmeûånon (e.g. ‡tivcon) Slings

“O Sanno, poiché un naso sacrilego [la natura ti ha dato (?)] e il ventre non
domini”: è nome (proprio) Sanno, che (sc. il poeta) fa oggetto d’ingiuria; di-
cono sia stato coniato da ‡annav‡ (‘capra selvatica’). Che i Cretesi chiamino ‡an-
navde‡ le capre selvatiche lo afferma Polemone nello scritto Contro (Antigono e)
Adeo; le capre (diciamo) che sono ... stupide e ottuse (?) ... e anche nella vita gli
sciocchi ... ma neppure ... «O Sanno, poiché un naso [sacrilego] ... l’orecchio
a me presta, o …, voglio darti un consiglio» ... il sacrilego naso ... alludendo
egli (?) ... da ... subito (vel forse) ... il verso seguente (?) ...

Fr. B (fr. 3 + fr. 4 + fr. 5 + Addenda, Lobel 1941b, p. 184) = Hippon. 129b D. (=
118, 3 W.2)

› › ›
ç˙˙å˙ç˙å çfoå
ç˙hå çlaima' i dev ‡oi to;
P.Oxy. XVIII 2176 249

cei' ç lo‡ wJ ‡ åej r wçdiou˚': åajpo;ç tou' laimou' w‡an


˙˙˙ç˙˙‡ei˚˙å˙çe˚ levgeåi. aJrpçaktiko;n de; to;
5 o[rneoçn oJ ejrwdiovå‡, o{qenç k˚åai;ç toi'‡ peri; to;n ¦O-
d˚u˚凇çe˚va˚ ejn t˚åh'iç n˚uktåhgrçe‡ivai ¦Aqhna' ejpi-
pevmp˚åeçi˚ tåou'toçn to;n åoijçwno;n aJrpa‡omev-
noi‡ dhlonovti ga˚å
na w{‡per kai; geiå
10 ejrwdiovn. Pal(amhvdh‡) gra˚våfei
eu\. wJ ‡ ej r wdiou' wå
4 o‡ ejktiqei;‡ ta˙å
kaqhgh‡amenå
nh‡on ta˚uvthnå
15 men˚å
ka˙å
wJ‡å
a˚p˚e˚å
˙ed˚˙å
› › ›

1 çh˚h˚å Slings 4 ‡eik˚å oppure ‡eim˚å Lobel 1941b 8 ga˚å Lobel 1941b; ga˚å oppure p˚å Slings; t˚a˚å
Diehl 10 pal pap. 12 marg. sin. ancora fin. tracce di un’asta verticale, p˚å oppure n˚å
Slings 15-19 righi omessi da West e Degani, recuperati da Slings (sulle orme di Lobel e
Diehl) 15 men˚å Slings; me˙å Diehl 16 ka˙å Slings; kaå Diehl 17 wJ pap. 18 a˚p˚e˚å Slings;
˙˙˙å Lobel 19 ˙ed˙å Slings; ˙e˙˙å Lobel; edå Diehl
——
2-3 = fr. 129b D. = 118, 3 W.2
s.n.l. Lobel 1941b 3 s. wJ‡ ajnûåaidçw'‡ e[tårwgçe, levgeåi Latte; w[‡anûåto‡ brçwv‡eiå‡, a}‡ç e[legeån Diehl;
wJ‡anûåei; (vel wJ‡ ajnûåti; Führer) bçr˚w˚‡ei˚ve˚åinç e˚[legeån Slings; w\ ’avnûåneç et levgeåi‡ ? FaM 5-7 suppl.
Lobel 1941b nisi quod l. 5 ej‡ti.ç scripsit; o{qenç Latte; dio;ç Slings 8 dh'lon o{ti ga˚å‡tr˙˙˙ç Latte; dh'-
lon o{ti t˚a; åo{pla, o{te e[ktanon Dovlwçna Diehl; dh'lon o{ti vel dhlonovti Slings 10 Pal(amhvdh‡)
Lobel; palaia; (grafhv) vel oiJ palaioiv vel pavlai vel palaiw'‡ (gravfetai?) vel pavlin Montanari 10
s. gra˚våfei et mox de;ç û eu\ Lobel; oujkç û eu\ Latte, prob. West 19892 qui gra˚våfei ‘wJ‡ ejrwdiov‡’ (?), oujkç û
eu\ supplevit; gra˚våfei kaivper oiJ plei'‡toiç û eu\ wJ‡ ejrwdiou' wJå‡ kai; ... Eujfrovniçûo‡ ejktiqei;‡ ta; p˚åoihvmata
Diehl 11 wJå‡ ejrwdiou' cei'lo‡ dh'qen e.g. Slings

... è vorace il tuo labbro come (sc. il becco) d’un airone: dalla gola ... così dice.
Rapace è tale uccello, l’airone, ragion per cui anche ad Odisseo e a chi l’accom-
pagna nella Veglia notturna Atena manda questo auspicio quando si apprestano
al saccheggio, evidentemente ... come anche ... airone. Palamede (?) scrive ...
(non ?) bene. Come d’un airone: ... spiegando ... avendo insegnato ... que-
st’isola ...
250 Hipponax 2

l. 2
ç˙ dh(loi') nuvmfhn to: å
çlaima' i dev ‡oi to; >
kr˙å
k˙å

sscr. ç˙ dhnumfhnto: å pap.


——
dh(loi') nuvmfhn tou˚vå(tou) dub. Degani 19912, cl. Hsch. n 717 L. nuvmfh: ... kai; to; metaxu; tou' geneivou
kai; tou' kavtw ceivlou‡ ejn mev‡wi koi'lon (cfr. Ruf. Onom. 42); levgei th;çn˚ dh; nuvmfhn to; h˚å Slings marg.
dx. litteras c ˙˙å û kr˙å û k˙å legit Lobel 1941b, item fere c ˙ å û kr˚å û k˙å Slings

... indica la fossetta (sc. tra il mento e il labbro inferiore) ...

l. 4
k(ai;) ma˚å
çe˚ lev g eåi. aJ r pçaktiko; n de; to;

sscr. ç kvmaå pap.


——
suppl. Lobel 1941b fort. k(ai;) maåima'i (vocis laima'i falsa v.l.) Slings; k(ai;) maåivnhiç ? ad l. 4
levgeåi‡ ?, cl. Cyrill. lai 35 Dr., FaM

Fr. C (fr. 1 II) = Hippon. 129c-d D. (= 118, 7-12 W.2)

› › ›
o˙˙å
al˚å tou; ‡

braåciv o na‡ kai; to; ç n˚ t˚ r ˚ a ˚ v c ˚ å hlon
kaå˙˙˙˙˙˙˙˙˙˙ç m˚ h v ‡e ga‡triv h å ù Þ : ‡trov-
5 foå˙˙˙˙˙˙˙˙˙˙ gça˚‡tro;‡ ajlghd˙å
mwi ‡unecovmenoi eijwvqa‡˚åi
th;n ga‡tevra eij‡ ajpovdfieÝixinå nene-
krw'‡˚qai. i[de ‡ou, fh‡ivn, tou;‡ b˚åracivona‡
kai; to;n travchlon o{ti ejfqinå
10 kai; kate‡qivei‡ kai; mhv ‡e kata˚å
mov‡. prw'ton me;n ejkdu;‡ nei˚'m˚oån: parai-

nei' aujtw'i prw'ton ceironom˚åhv‡anti to;
favrmakon piei'n: rJaidivw‡ ga;r o˚åu{tw‡ to;
P.Oxy. XVIII 2176 251

favrmakon poiei'n kai; ajnadoqå



15 aujlhv‡ei dev ‡oi Kivkwn to; Kwdavålou mevlo‡:
‡keuåav‡açi de; to;n Kivkwna k˚å
› › ›

1 od˚˙å Slings 4 kat˚å Slings 5 do˚å oppure dw˚å Lobel 1941b 7 apodixin pap. 11 ne˙o˙å
pap.; ne˙oå Lobel 1941b; nei˚aå˙å Slings; pressoché certo i, segue un’asta verticale che ben si accorda
con m, le tracce d’inchiostro nel sopralineo sono compatibili con o 13 e 14 poiein corretto in
piein: sugli o è stato posto un punto e sono stati cancellati con un tratto
——
2-4 = fr. 129c D. = 118, 7-9 W.2 11 = fr. 129d D. = 118, 11 W.2 15 = fr. 129e D. = 118, 11 s. W.2
s.n.l. Lobel 1941b 2 e.g. åijdou; ù Þ þ wJ‡ ‡u; tou;‡ Snell (ijdev vel ijdouv vel simm. Id. ap. Diehl) 3 fin.
e[fqi‡ai West 19892; e[fqi‡o Snell (ejfqivnou vel e[fqi‡o Id. ap. Diehl) wJ‡ fqitoiv Luppe 1990; nekro;‡ ei\
Latte 4 init. kaåte‡qivwn per.ç m˚hv ‡e Luppe 1975a; kaåte‡qivei‡ dev:ç m˚hv ‡e West 19892; kaåt¦ hJmevrhn
ga;rç h{ ‡e Latte vix recte fin. ga‡trivh ålavbhi Snell ap. Diehl; g˙ådonei' Latte; g˙å‡trevfhi Luppe
1975a 4-6 suppl. Lobel 1941b, qui oiJ ga;r liçmw'i (ll. 5 s.) scripsit; levgei ‡trovçûfoån kai; th;n gça‡tro;‡
ajlghdåovna: oiJ ga;r ‡pa‡çûmw'i Latte; ù Þ ‡trovçûfoån levgei kai; gça‡tro;‡ ajlghdov˚åna: oiJ ga;r ‡pa‡çûmw'i Snell
ap. Diehl, prob. West 19892 qui tamen oiJ ga;r liçûmw'i praefert Lobelium secutus; ‡trevfhi: ‡trovçûfoå‡
levgetai hJ gça‡tro;‡ ajlghdwvån. oiJ de; ‡klhru‡çûmw'i Luppe 1975a 6 fin. eijwvqa‡åi cer‡i; pievzein Latte;
eijwvqa‡åin ajlgei'n Slings 7 s. åtou' pavqou‡, neneçûkrw'‡qai Latte; åtou' ajponeneçûkrw'‡qai Maas ap.
Diehl (-nefineÝ- West 19892); åtou' neneçûkrw'‡qai Slings 8 i[de ‡ou legit Maas ap. Fraenkel; -‡qai{i}
dev ‡ou Lobel 1941b 9 ejfqivnåou o{‡aper Latte; e[fqinåtai: ajlla; West 19711; e[fqinåtai oJpov‡a Luppe
1975a; ejfqinåhvka‡in, eij Slings; ejfqinåhvka‡in: ajlla; West 19892 10 s. kataålavbhi liçûmov‡ Lobel
1941b (oJ l. West 19892); kataåleivpei liçûmov‡ Latte; kataåkteivnhi ‡pa‡çûmov‡ Snell ap. Diehl, unde ka-
taålavbhi ‡pa‡çûmov‡ Masson 1962a; katav˚åplh‡on eij‡ gevçûmo‡ Luppe 1975a (cl. Hsch. g 322 L. gevmo‡);
kataålavbhi (vel -lavboi) dhgçûmov‡ Slings 11 nei'm˚åonç West 19892 11 s. paraiçûnei' Lobel
1941b 12 ceironomåei'n ei\ta to; Slings 14 ajnadoqåhv‡etai Lobel 1941b; ajnadoqåh'nai Latte; aj-
nadoqåhv‡e‡qai West 19892 15 suppl. Latte, qui in fine etiam para- (at longius spatio) 16 fin.
k˚åeleuv‡ei i{na ˙˙˙ç Latte

... le braccia e il collo [… mangiando a dismisura (?)], che una colica non [ti
colga]: colica … dolore di ventre ... (coloro infatti che sono) afflitti dalla fame
(?) sono soliti ... il ventre a dimostrazione ... esser ridotti a cadaveri. Guarda,
dice, le tue braccia e il collo, come sono emaciati (?) ... e mangi senza misura,
e che non ti [prenda la fame (?)]. Per prima cosa dopo esserti spogliato gesti-
cola a ritmo (?): ... gli raccomanda per prima cosa di muovere le mani a ritmo
e bere la pozione; facilmente infatti così la pozione fa effetto e sarà distribuita
per il corpo (?). Suonerà per te Cicone il (canto) di Codalo: (esorta ?) Cicone
ad approntare ...

l. 15
to;n Kwdavlou˚ ånovmon
to; Kwdav å lou mev l o‡

sscr. ad tokwdaå novmon Latte


252 Hipponax 2

il [nomo] di Codalo

Fr. D (fr. 2 + fr. 8 + P.Oxy. 1233 fr. 29 + Addenda, Lobel 1941b, p. 185 e 1948, p.
153) = Hippon. 130 D. (= 118, 1-24 E W.2)

› › ›
ç˙å ç˙å
a˚u˚jtou;‡ ejpi; crovnoån ˙˙˙˙˙˙˙˙ç e{w‡˚ t˚åo;
‡çw'ma yuvchtai: nu'n d˚åe; ejçp˚i; a[mmon qa-
la燇ivan e˚jåkçbavllou‡i. tråitaçi' o n ej k khv r u-
5 koç‡ aj ‡ me˚ å n˙˙˙çev min: prå˙˙ç aujta; ta; ajndr˚å
ç˙å˙˙hvnçe˚gken auj˚tåo;çn tritai'on
çn proå‡çkhru-
çt˚o kajn toi'‡
çnhmo‡ dar-
10 ejçk khvruko‡ e-
ço˚moi'on tw'i
ç˙tanh‡an
çnte‡ a\‡‡on
çg˚ravfou-
15 ‡i ejgçgu;‡ th'‡ qa-
lav‡‡h‡ ç˙w˙˙˙e
ejkbavçl˚lou‡i
ç˙˙pathvr
ç˙‡ dia‡keu-
20 çn nekro;n e-
çaiwi oj‡tevwi
ç˙¦Aråiç‡˚tofav-
n- çpolå˙çandrei
ç˙lonwn
25 ç˙˙h'

7 çn Lobel 1941b; ço Slings 16 çgwa˚i˚a˚o˚e West 19892; ç˙wm˚a˚q˚e (ç‡˚wma ?) Slings 18 ç˙u˚ oppure
ç˙r Lobel 1941b; çw˚r Slings 24 a˚onwn Slings 25 h' •e¶ pap.; h' •ei¶ Slings
——
4-5 = fr. 130 D. = 118 E v. 1 W.2
s.n.l. Lobel 1941b (ll. 4-7 fin. Lobel 1948) 2 crovnoån iJkano;nç Latte; crovnoån i{na to; ejn tw'iç q˚wm˚åw'iç
P.Oxy. XVIII 2176 253

Slings 3 s. ejçp˚i; a[mmon qaûåla燇ivan fort. Hippon. tribuendum 5 a[‡me˚ånoi dçev min Lobel 1941b;
a[‡me˚åno‡ dçev min Fraenkel; a[‡me˚ån˙˙ tçev min Diehl; a[‡me˚ånov‡ tçev min Degani 19912 5 s. pråo;‡ç aujta;
ta; ajndr˚åoûbovra khvth West 19892 6 h[nçe˚gken Latte; ejxhvnçe˚gken Degani 19912 7 s. pro;å‡ khvruûåko‡
Fraenkel 8 kajn toi'‡ fort. Hippon. tribuendum 9 s. darûåtov‡ dub. Slings 13 çnte‡ a\‡‡on
fort. Hippon. tribuendum 13 s. ijovçnte‡ a[‡‡on û åijcquve‡ç West 19892 14 s. e[nioiç g˚ravfouûå‡i West
19892 15 s. ejgçgu;‡ (suppl. Lobel 1941b) th'‡ qaûålav‡‡h‡ fort. Hippon. tribuendum 16 -lav‡‡h‡
et 17 suppl. Masson 1962a 17 ejkbavçl˚lou‡i fort. Hippon. tribuendum 23 s. çpolåuçandrei'ûåon
Slings

... quelli per un tempo ... fino a che il corpo si raffreddi; ora invece sulla sabbia
marina lo gettano. Il terzo giorno in seguito a proclama dell’araldo [con
animo lieto (?)] lui: ... stess- ... lo portò a sepoltura il terzo giorno ... proclam-
(?) ... e tra gli (?) ... scuoiato (?) ... in seguito a proclama dell’araldo ... simile al
... andando (?) più vicino ... (alcuni ?) scrivono ... vicino al mare ... gettano ...
padre ... prepar- ... cadavere ... osso ... Aristofane ... cimitero comune (?) ...

subter l. 25

çinan k(ai;) paå


vç f(a‡i) k(ai;) pro; t(w'n) å
ça˚ A˚i˚jginh't(ai) å
ç˙ d(ei') gravfåein
30 ç tivqe˚tai m˚å
çta o(u{tw) m(evn)toi oujd¦ ajp˚å
ç˙˙a˚n˚ to; tivnu‡˚ai

26 kv pap. 27 fòkprotv pap. 29 dh Lobel 1941b; dei vel dai Slings 31 minime tracce nel so-
pralineo mv pap. 32 Slings; ç˙˙˙˙toti˙˙r˚˙˙ Lobel 1941b
——
de Aegina fort. agi coni. Lobel 1941b 26 Lobel 1941b; Ai[gçinan Slings 27 f(a‡i) vel f(h‡i)
McNamee 2007; k(ai;) pro; t(w'n) å Lobel 1941b 28 Slings; ç˙l˚ai˚ ˚ givnht(ai) McNamee 2007; çl˚ai˚ g˚ in-
ht Lobel 1941b 29 fort. de˚i' gravfåein Slings 30 Slings; çpiqe˚tou˚˙å Lobel 1941b 31 Slings;
plom(en) toiouda˙å Lobel 1941b; toiou'd¦ a˙å McNamee 2007 32 tivnu‡˚åai vel tivnu‡˚åqai Slings,
fort. Hippon. tribuendum ratus

… Egina (?) e ... dicono, e in luogo dei (?) … gli Egineti … bisogna scrivere (?)
… si pone (?) … così invero né … castigare (?) …

Fr. E (fr. 6) = Hippon. 131 D. (= 118 D W.2)

› › ›
çee˚å
254 Hipponax 2

ç˙˙˙˙n˚å
ç˙å˙ç‡ chramo;n˙poioi
ijpnoi; kçaivontai: levgei de; ta;‡ kamiv-
5 nou‡. ijpçno;‡ de; ajpo; tou' ejxipo˚u˚'n
to; ‡une‡trçammevnåoçn˚ ejn tw'i ‡tati; u{-
dwr˙˙˙˙˙˙ç˙n d˚i˚t˚o˚ulh h|å˙ç fh‡in
ç˙e‡qai˚ ch˚r˚a˚å˙˙
çe˚ gunaikåopivçphn: l˚å
10 floçg˚wvmata, ta; ejnapolåeif-
qevnta tw'i kliçbavnwi perikauvma˚-
ta˙˙˙˙˙fluktça˚ivna‡, ou}‡ e[nioi ajttåa-
ravgou‡ kalou'‡inç ˙å˙˙çn˚i˚‡˚å˙çaraå˙˙çhå
ç˙å˙˙çekt˙å˙ç
› › ›

4 kamei pap. 5 exeip- pap. 6 ‡taòtiv pap. 8 çr˚ oppure çu˚ Slings ap. Degani 19912 fin.
dopo c due aste verticali parallele a breve distanza (h˚), asta verticale che scende sotto il rigo (r˚) e
occhiello di a˚, ch˚ra
˚ å˚ m West 19892; c˚hr˚ a
˚ å˚ Slings ap. Degani 19912 9 gunaikå˙˙˙çphn: pap. 10 ej-
napole˚i˚å Slings ap. Degani 19912 12 fin. attå corretto nel pap. su un precedente apå 14 te˚å
oppure to˚å Lobel 1941b
——
s.n.l. Lobel 1941b 3 o{pou oiJ Maas; oJpoioi' Slings ap. Degani 19912 4 ijpnoi; Maas 6 to; ‡u-
ne‡trçammevnåoçn˚ West 19892; to˙˙˙˙çlovmenåonç Diehl; menfioÝn malit Slings ap. Degani 19912 ‡tati;
dativum agn. Maas ap. Fraenkel (cll. Phot. Galean. 2, 174 N. et Hsch. ‡ 1657 H.) 6 s. u{ûådwr West
19892; ’tativ( ) uJûåpomnhvmati Latte vix recte 7 dwr. h]˙˙˙˙˙ço˚ West 19892; çe˚nd˚i˚t˚o˚ulh Lobel ap.
Maas; ça˚nd˚h˚å˙ço˚ulh dub. Slings h|åiç f. West 19892; h|å‡ç f. Lobel ap. Maas 8 çu˚e‡qai˚ ch˚r˚a˚åm˙
West 19892, qui e.g. h|åiç fh‡in å˙˙˙˙˙˙˙ o}‡ ajpo; tou' dçuve˚ ‡qai chramåa; û levge‡qai ejdhvlw‡çe˚ gunaikopivphn
prop. 9 Maas, qui gunaikåoçpåivçphn Hipponacti tribuit 9 s. låevûgei de; West
19892 10 floçg˚wvmata Tammaro ap. Degani 1980-1982 et 19831 Add., quem secutus kai;
floçg˚wvmata suppl. West 19892; peritçt˚wvmata dub. Latte, vix recte 10 s. ta; ejnapolåeifûåqevnta tw'i
kliçba˚nv wi Maas (kliçbavnwi iam Lobel 1941b, et kriçbavnwi possis); ta; ejnapolåeçi˚å û åpovmena tw'i kliçbav-
nwi West 19892; peritçt˚wvmata ta; ejn ¦Apovlûålwno‡ (ejn ¦Apovlû iam Lobel 1941b) iJerw'i, ta; ejn kliçbavnwi
Latte; ta; peritçt˚wvmata ta; ejnapolûåluvmena tw'i kliçbavnwi West 19711 11 perikauvmaûåta
Latte 12 h[goun vel h] ta;‡ fluktça˚ivna‡ Degani 19831 et 19912 (cll. Poll. VII 23 et Hsch. a 8189 L.),
h[goun fluktça˚ivna‡ rec. West 19892; ajcça˚ivna‡ Lobel 1941b 12 s. suppl. Maas

... cavità laddove (?) i forni ardono: indica le fornaci. Forno (ijpnov‡) deriva dal
disseccare (ejxipo˚u˚'n) l’acqua condensata nella farina ... dice ... cavità (?) ... colui
che guarda bramosamente le donne: ... croste bruciacchiate, le parti (sc. dei
pani) abbrustolite tutt’attorno lasciate nel fornetto ... bolle, che alcuni (chia-
mano) crosticine (ajttavragoi) ...
P.Oxy. XVIII 2176 255

l. 12
ç‡˚men˙ t(w'n) a[rtw˚n˚ ˙˙ter thå
ta˙˙˙˙˙ fluktça˚ivna‡, ou}‡ e[nioi ajttåa-

sscr. ç‡˚me˚n˙tvartw˚n˚˙˙te˚r˚thå Lobel 1941b artwnp˚t Slings ter, possibile anche p˚er˚
——
ç‡˚men˙ t(w'n) a[rtwn ˙˙te˚r˚( ) th( ) å Lobel 1941b; ta; keklaç‡mevna t(w'n) a[rtwn (ad ajttar. referendum)
Maas; ta; kekauç‡˚mevna˚ potius Nicolosi 2012 e.g. ta; kekauç‡˚mevna˚ t(w'n) a[rtwn a˚{p˚er thå (?)

... i pezzi bruciacchiati (?)] dei pani che …

Fr. F (fr. 7) = Hippon. 131 D. (= 118 F W.2)

› › ›
˙kk˚˙˙å
thi kaå

içmone˙å

m˚hta˚å
› › ›

1 ˙k ˚˙˙å Lobel 1941b 3 iç West 19892

Fr. G (fr. 10) = Hippon. 131 D. (om. W.2)

› › ›
çaio‡˚˙å
çt˚o‡wå
› › ›

1 an deivûlçaio‡˚?, cfr. fr. 44, 4 D. (= 36,4 W.2)

Fr. H (fr. 11) = Hippon. 131 D. (om. W.2)

› › ›
çtaito˙å
çetaidi˚å
çmippå
256 Hipponax 2

çdouec˚å
5 çdetoukå
ç˙i˚npl˚å
çpou‡i˚˙å
çmwiaå
çp˚o˚‡˚å
› › ›

6 çn˚ oppure çt˚ Lobel 1941b 7 forse n˚å


——
3 õErçmippåo‡ Lobel 1941b

l. 4
çl˚o˙
çdouec˚å

l˚o˚t˚ Lobel 1941b; possis l˚o˚g˚, fort. l˚o˚g˚(o‡)

Fr. I (fr. 12) = Hippon. 131 D. (om. W.2)

› › ›
çd˙å
çekaiko;˙å
ç‡muå
çx˚a˚å
› › ›

1 fort. dr˚å vel db˚å Lobel 1941b 3 ’muårnai'o‡ Lobel 1941b

Fr. J (fr. 13) = Hippon. 131 D. (om. W.2)

› › ›
ç˙e‡‡e˙å
› › ›

fort. ç˙e‡‡er˚å Lobel 1941b


P.Oxy. XVIII 2176 257

Fr. K (fr. 14) = Hippon. 131 D. (= 118 G W.2)

› › ›
çeko‡må
››
çqurevwnå
çu‡˙å
› › ›

1 e corretto su un precedente i 3 çu‡o˚å West 19892


——
2 qurevwn fort. Hippon. tribuendum, cfr. fr. 86,12 D. (= W.2) die;k qurevwn˚ blevåponte‡

Fr. L (fr. 15) = Hippon. 131 D. (om. W.2)

› › ›
çato˙˙a˚å
ç˙kaibl˚å
ç˙ketiå
› › ›

1 or˚ oppure ou˚, quindi t˚a˚å oppure g˚a˚å Lobel 1941b


——
2 fort. ç˙kai bl˚å dividendum, vd. ad fr. K 2 3 fort. k(ai;) e[ti vel oçuj˚kevti

Fr. M (fr. 16 coll. I e II) = Hippon. 131 D. (= 118 H W.2)

col. I col. II
› › › › › ›
ç ˙å
ç cå
››
ç o˚˙å
ç fu˚g˚o˚å
5 ç aepå
ç ˙å
› › › › › ›

col. II 3 o˚p˚å vel o˚g˚å Lobel 1941b


258 Hipponax 2

Fr. N (fr. 17) = Hippon. 131 D. (om. W.2)

› › ›
çkai ippwnå
ç

1 çkai; ŞIppw'ånax Masson 1962a, fort. recte

... anche Ippon[atte ...

subter
çk˚a˚lo‡ lakwå
ç˙˙c˙å
› › ›

1 McNamee 2007 2 c sscr.

Fr. O (fr. 18) = Hippon. 131 D. (om. W.2)

› › ›
ç rå
ç mia˚å
çtou ‡o‡ba˚å
ç˙˙ toikiå
› › ›

sch. marg. sin. ad col. deperditam referendum suppl. Lobel 1941b

Fr. P (fr. 19) = Hippon. 131 D. (om. W.2)

› › ›
ç˙‡avmå
çx å˚
› › ›

1 ‡avmåbal- possis
P.Oxy. XVIII 2176 259

Fr. Q (fr. 20) = Hippon. 131 D. (om. W.2)

› › ›
ç˙luå
ç˙˙˙å
› › ›

2 tracce della sommità di almeno tre lettere

Fr. R (fr. 21) = Hippon. 131 D. (om. W.2)

› › ›
çkå
ç˙i˚‡ å
ç˙å
› › ›

2 ç˙parte finale di una lettera che tocca i, forse ça˚ 3 parte superiore di un’asta obliqua discen-
dente verso destra

Fr. S (fr. 22) = Hippon. 131 D. (om. W.2)

› › ›
ç˙apiptei˙˙˙˙˙å
içambon poih‡hkoa˙å

alterius manus adnotationes 1 Lobel 1948 2 McNamee 2007

... giambo (?) ...

Fr. T (fr. 23) = Hippon. 131 D. (om. W.2)

› › ›
ç˙t˙˙å
çtr˚å çx˙˙
iça˚mbik˚å˙ç˙t˚ode
çh coriambikovn
260 Hipponax 2

5 çl˚w‡en povteron
ç˙˙dhlw‡enetiw‡
ç˙trh‡en ou| ajrch;
çm(e;n) coriambik
ç˙˙˙å
› › ›

alterius manus adnotationes 1-3, 6 et 8 legit Lobel 1948 4 s. et 7 legit McNamee 3 kåoçu
dub. Lobel 1948 5 an ejdhvçl˚w‡en ? 6 fort. ej˚dhvlw˚‡en e[ti wJ‡, ej˚dhvlw‡en (l et w litterae una
coniunctae) legi; ej˚dhvlo‡en ceteri 8 mvcoriambik pap.

... giambico (?) ... questo ... coriambico ... mostrò se (?) ... mostrò (?) anche come
... il cui inizio ... coriambico ...

Fr. U (fr. 24 col. I) = Hippon. 131 D. (om. W.2)

› › ›
ç˙r˚
ç˙e
ç
çp˚e

legit Lobel 1948 3 > pap.

subter
___
çaò
çn
çka
ç‡˚

ç˙˙ambik
çe k(ai;) ta 10
çetr˙
› › ›

9 ç˙˙ambik pap. 10 kv pap.


P.Oxy. XVIII 2176 261

——
alterius manus adnotationes legit Lobel 1948 10 McNamee 2007

... giambico ...


... e ...

Fr. V (fr. 24 col. II) = Hippon. 131 D. (= 118 J W.2)

› › ›
å
˙å ç˙˙å
ca˚˙˙n mhrw'nå
a˚˙i˚˙˙ai pwmav‡ai˙å

3 s. Degani 19912

di cosce ... tappare ...

subter
odh˚˙å˙ç˙˙w˚lui−nh‡˙nhla˙å
˙˙˙å ç˙nabi−da ou{(tw) g(a;r) de˚io˙å
å ç t˚rovpoi ia/ oJ m(e;n) de˙å
å ç˙˙˙ktiko‡okaå
ç˙t(w'n) ajrtivwn kå 5
ç˙˙rataxin t˚(w'n) å
ç˙‡a‡klewnå
ç˙tein˚dep˚å
ç˙f˚uvl˚a˚ka‡ al˙å
ça˚th‡tok˙k(ai;) a˙å 10

2 gv pap. 3 mv pap. 5 tv pap. 6 tv pap., forse t(w'n) 10 k¾ pap., k(aiv) McNamee 2007
——
alterius manus adnotationes 2 fort. kaçn˚nabivda ou{(tw) g(a;r) de˚io˙å McNamee 2007 an de˚i'
o˙å ? 3 McNamee 2007, quae trovpoi ia’ intellegit 4 Lobel 1948, an -ktiko;‡ oJ kaå ? 5
s. McNamee 2007 6 tavxin vel p˚a˚ravtaxin dub. McNamee 2007 7 Lobel 1948 8 Lobel
1948 9 s. McNamee 2007

... canapa (?), così infatti bisogna (?) ... tropoi 11 (?), l’uno (vel il ?) ... delle sedi
pari ... disposizione (vel paratassi ?) ... sentinelle (?) ...
262 Hipponax 2

Fr. A (fr. 1 I + fr. 9 + Addenda, Lobel 1948, p. 153) = Hippon. 129a, 1-4 D. (=
118, 1 s. e 5 s. W.2)
1 Dal fr. A recuperiamo i primi versi di un componimento epodico (rr. 1
s. = fr. 129a, 1 s. D. = 118, 1 s. W.2; rr. 11-14 = fr. 129a, 3 s. D. = 118, 5 s. W.2), il
cui incipit è costituito da un’apostrofe ad un certo Sanno, personaggio di dub-
bia identificazione19. Il termine da cui muove il nome di tale soggetto presenta
un’incerta morfologia, oscillando tra le forme ‡avnna‡ vel ‡annav‡ e ‡avnno‡. Lo
scriba annota con accuratezza la quantità prosodica breve del primo a, in sil-
laba tuttavia lunga per posizione. L’onomastico, pur esplicitato dal commen-
tatore con un nominativo ’avnno‡ (r. 3), rientra forse tra i vocativi in a altrove
attestati in Ipponatte (vd. Degani 19912, p. XXVII). Di fatto l’area semantica del
termine lo identifica come “un soprannome, coniato con intenti satirico-bur-
leschi, legato al gruppo di ‡aivnw (‘scodinzolo’), ‡annivon (‘coda’, ‘pene’), ‡avnno-
ro‡ (‘cretino’) e simili […]. Qualcosa come il nostro ‘cazzone’ ” (Degani 2007,
p. 135)20. Nel sopralineo, sopra ‡nn e hr, si distinguono tracce di notazioni
marginali che sono però di difficile decifrazione; sotto w Slings 1987, pp. 70 e
73 individua possibili tracce di una paragraphos, che confermerebbe la lemma-
tizzazione del passo.
1 s. La causa dell’empietà del personaggio è attribuita al suo naso (v. 1 ej-
peidh;˚ rJi'na qeovå‡ulin fuvçei‡) e al suo ventre (v. 2 kai; ga‡tro˚;‡˚ o˚uj katakra˚åtei'‡,
suppl. Lobel 1941b, p. 95, che ipotizza nello hypomnema la forma katakra˚åtevei‡).
West 1974, p. 143, non esclude un significato osceno del termine rJi'na, che
“anche qui […] significherebbe ‘pene’ (vedi al fr. 25 D. = 22 W.2), ma nulla in-
duce a supporre che l’incontinenza di Sanno sia anche sessuale. Egli è solo un
avido ghiottone, dal naso quanto mai portato ad apprezzare certe fragranze,
non escluse quelle provenienti dai sacri altari: è insomma un bwmolovco‡, un
kni‡othrhthv‡” (Degani 2007, p. 135)21.
Il composto qeovå‡ulin proposto da Lobel ap. Maas 1942, p. 133 n. 1 è un
hapax; tuttavia esso appare adeguato al contesto e risulta confermato dalla let-
tura iJ˚e˚rov‡˚ulin (r. 14) di Maas (ibid.)22; qeo‡uvlh‡ è attestato in Alc. fr. 298, 18 V.

19
Identificano il personaggio con Bupalo Galiano 1958, p. 88; Medeiros 1961, p. 172-174; Rosen
1988, pp. 40 s.; tuttavia non vi sono elementi per avallare tale ipotesi.
20
Cfr. Hsch. ‡ 172 ‡avnnion: to; aijdoi'on, ajnti; tou' kevrkion: para; to; th'i kevrkwi ‡aivnein (Cratin. fr. 490
K.-A.?). to; ga;r aijdoi'on ej‡q’ o{te oujra;n e[legon, wJ‡ Eu[poli‡ (fr. 471 K.-A.), 173 ‡anfinÝiovplhkto‡: aijdo-
iovplhkto‡, 175 ‡avnnoro‡: mwrov‡, para; ŞRivnqwni Tarantivnwi (fr. 20 K.-A.), 176 H. ‡avnouroi: ta;‡ oujra;‡
‡aivnonte‡, Crat. fr. 489 K.-A. ‡avnnan, assimilabile per significato alla gl. 175, e Epicur. fr. 101 Arri-
ghetti, dove il cognomen ’annivdwro‡ si sostituisce ironicamente ad ¦Antivdwro‡. Origine e morfo-
logia del nome, così come dei correlati ’avnnio‡, ’annivwn, ’avnnaio‡, ’annurivwn, ’annwv, sono
ampiamente discussi in Masson 1949, p. 301 e Id. 1962, pp. 165 s.
21
Vd. Degani 1980, p. 514, che cita Hsch. b 1389 L. s.v. bwmolovco‡: … iJerov‡ulo‡ e sch. Aristoph. Eq.
901b [I/2 p. 212, 7 s. Jones-Wilson].
22
Ciò parrebbe escludere i supplementi qeo[i‡ecqrh;n di Fraenkel 1942, p. 54 (vd. anche Vogliano
P.Oxy. XVIII 2176 263

qeço‡uvlai‡i (cfr. sch. Alc. fr. 59b, 1 s. V. iJero‡u˚ål-), e in Adesp. ia. fr. 35, 10 W.2
qeo‡uvlhi‡in ajndrav‡in, frammento che West dubbiosamente attribuisce ad Ar-
chiloco23.
Il supplemento fuvûçei‡ di West 19711, p. 151 (vd. anche Id. 1974, p. 147) è
giudicato “plausibile” da Degani 2007, p. 135. Slings 1987, p. 73 ritiene tale
proposta troppo breve per lo spazio a disposizione, così come a[ûçei‡ di Ebert
ap. Degani 19841 (20022), p. 272, e preferisce forevûçei‡ di Luppe 1975a, p. 691,
accolto da West 19892, p. 151, che ipotizza nel testo ipponatteo la forma for-
çei'‡. Neri 1995, pp. 12 ss. propone ‡ivûei‡ (= att. ‡eivei‡), intendendo che “l’affa-
mato Sanno [...] se ne starebbe presso gli altari ‘scuotendo il naso’, [...] per
individuare e fiutare le prede migliori” (p. 13). Altre integrazioni sono state
avanzate dagli studiosi: û e[cçei‡ Fraenkel 1942, p. 54 (vd. anche Vogliano 1948,
p. 257), corretto in e[ûcçei‡ da Maas ap. Fraenkel 1942, p. 55 n. 1; trevûfçei‡ Latte
1948, p. 37 (1968, p. 468); fevûrçei‡ dub. Diehl 19523, p. 116; tali proposte sono
egualmente plausibili quanto al senso, ma vengono respinte come improbabili
da West 1974, p. 147 in quanto presuppongono una o più lettere prima di -ei‡
ad inizio di rigo, dove manca del tutto lo spazio.
2 s. Il supplemento kuvriûoçn (kuvrion o[noma è usuale, nella terminologia
grammaticale, ad indicare ‘nome proprio’) è proposta di Maas ap. Fraenkel
1942, p. 55 n. 1 e, indipendentemente, di Latte 1948, p. 37 (1968, p. 468), avallato
dal confronto con un passo di Eustazio che offre una triplice etimologia del
termine ‡avnna‡ vel ‡avnno‡: ajpov tino‡ kurivou ojnovmato‡ (ad Od. X 552, p. 1669, 45
ss.), ajpo; tw'n ¦A‡ianw'n ’avnnwn (ad Od. XIV 350, p. 1761, 21, in un contesto espli-
citamente ricondotto ad Aristofane di Bisanzio, oJ de; to;n ‡avnnan tou'ton para-
‡hmhnavmeno‡ ¦Ari‡tofavnh‡ oJ grammatiko;‡ ktl, 24), oppure ajpo; tou' ‡aivnein (ad
Od. XVI 8, p. 1792, 8 s.).
3 A fine di rigo, loidor˚åei'tai è supplemento di Lobel 1941b, p. 89, accolto
da Slings 1987, p. 74, che suggerisce alternativamente anche loidor˚åei'. tou'to
ga;r˚ ktl. Se si accetta la proposta di Lobel (l.c.), a seguire o} e[nioi, congettura di
Latte 1948, p. 37 (1968, p. 468), è forse preferibile a a[lloi de; di Maas ap. Fraen-
kel 1942, p. 55 n. 1, considerato “too long” da Slings (l.c.).
4 Il supplemento th;ån ‡annavda di Snell ap. Diehl 19523, p. 116, anticipato
dal th;n ‡annav‡ di Maas ap. Fraenkel 1942, p. 55 n. 1, pare confermato dai rr. 5
s., cfr. Hsch. ‡ 171 H. ‡annavda‡: ta;‡ ajgriva‡ ai\ga‡, nonché da P.Oxy. XLVII 3329,

1948, p. 257) e qeoåmu‡h' di Latte 1948, p. 37 (1968, p. 468), così come p˚rovtu˚ lin dubbiosamente avan-
zato da Lobel 1941b, p. 95, che aggiunge “unattested”.
23
È da rilevare che il frammento riporta due espressioni (vv. 14 e 16) affini per il significato a Cal-
lim. fr. 195, 22 Pf. w}‡ d¦ a[n ‡e qwi>h; lavboi, un verso, quest’ultimo, esplicitamente attribuito ad Ar-
chiloco in EGen. (B) a 149, EM. a 394 L.-L. (= fr. 329 W.2).
264 Hipponax 2

fr. 1, un frustolo di lessico edito da Haslam 1980, pp. 44 ss., forse riconducibile
a Diogeniano24.
5-10 Segue la spiegazione del termine in relazione all’idioma dei Cretesi,
che lo impiegano per designare le capre selvatiche (sulle quali cfr. Arist. HA 9,
6 [612a 3], Mir. 4 [830b 20], Antig. Mir. 30 e Verg. Aen. XII 614)25. A conferma
del proprio assunto il commentatore cita come fonte Polemone di Ilio, erudito
della prima metà del II sec. a.C., noto per i suoi viaggi e i suoi interessi lingui-
stici26. In particolare, viene qui menzionata l’opera Pro;‡ ¦Antivgonon kai; ¦Adaio' n,
di norma citata con il secondo nome che precede il primo (Lobel 1941b, p. 95)
o con uno solo dei due nomi (vd. Slings 1987, p. 74). L’attenzione di Polemone
per Ipponatte è testimoniata da Ateneo (XV 698b-c), che ci informa come egli
ritenesse il poeta di Efeso inventore della parodia, citando a conferma del pro-
prio assunto il fr. 126 D. (= 128 W.2).
6 Davanti a fhç‡ivn Degani 19912, p. 135 elimina kaqav proposto da Lobel
1941b, p. 89, ma Slings 1987, p. 74 ritiene la sequenza così ottenuta “too short”;
la maggior parte degli studiosi accoglie il supplemento -navda‡, pariv‡thç‡in di
Latte 1948, p. 38 (1968, p. 469), che appare però troppo esteso per lo spazio di-
sponibile in lacuna; plausibile -navda‡, w{‡ fhç‡in di West 19892, p. 152.
7-10 È evidente che questi righi, pur se lacunosi, contengono la spiega-
zione del termine ‡annavda‡ in relazione alle capre e alla loro indole. Diverse le
ricostruzioni del testo proposte per i rr. 7 s.: riprendendo il supplemento
ajçp˚oplhvktou‡ di Lobel 1941b, p. 89, Latte 1948, p. 38 (1968, p. 469) ipotizza ejpi;
û tw'i pavntote ajçp˚oplhvktou‡, mentre Slings 1987, p. 75 suggerisce ejpiûåfevrou‡in
ajçp˚oplhvktou‡ (“they adduce as explanation”) vel ejpi; û åto; plei'‡ton ajçp˚oplhvktou‡.
Recupera il supplemento ‡annçi˚oplhvktou‡ di Vogliano 1948, pp. 257 s. (cl. Hsch.
‡ 173 H. s.v. ‡anfinÝiovplhkto‡: aijdoiovplhkto‡) West 19711, p. 152 ejpivûå‡tatai
‡annçi˚oplhvktou‡, mentre Id. 19892, p. 152 preferisce ejpi; û åto; polu;
daimoçn˚oplhvktou‡.
8 s. Incerta la lettura della fine dei righi. West 19892, p. 152 propone il sup-
plemento kai˚; na˚iû˚ åadolhvptou‡ç, “audacter” secondo Degani 19912, p. 135. Slings
1987, p. 75, pur sospendendo il giudizio, azzarda che il testo possa celare un
attributo connesso con nai‡ieliva, chiosato da Esichio (n 37 L. s.v.) con ajpo-
plhxiva, ejmbronth‡iva. Attraente ma problematico kai˚; fiajÝna˚iû˚ å‡qhvtou‡. i[‡w‡ç dub-
biosamente ipotizzato da Degani 19912, p. 135, cl. Hsch. a 6544 L. ajpovplhkton:

24
Discute del termine ‡annavde‡ Georgacas 1984, pp. 112-114. Per i possibili legami tra P.Oxy. XLVII
3329, che riporta anche il lemma ‡anfinÝiovplhkto‡: aijdoiovplhkto‡ (= Hsch. ‡ 173 H.), e il lessico esi-
chiano, vd. Esposito 2009a, pp. 269-271.
25
Tale denominazione è attestata in cretese nella forma ‡avnada fino al secolo scorso, vd. Hatzidakis
1923, p. 148.
26
Sulla figura di Polemone, soprannominato Perihghthv‡ e ‡thlokovpa‡, vd. Pfeiffer 1968, p. 248 e
Montana 2015, p. 147.
P.Oxy. XVIII 2176 265

qauma‡tovn, ajnaiv‡qhton. Il supplemento åkaçl˚åou'ç‡in|åou{tw‡: oJmoivw‡ç di Latte


1948, p. 38 (1968, p. 469) è escluso da Lobel 1948, p. 153, che pure nel 1941, p.
89 leggeva ˙å˙˙ç‡˚i˚n.
9 s. La proposta tou;ç‡ eujhvûåqei‡ di Lobel 1948, p. 153, che traduce “ ‘in
common parlance simpletons’ are called”, pare confermata sul piano concet-
tuale dai passi di Eustazio sopra ricordati (ad Od. XIV 350, p. 1761, 21 e XVI 8,
p. 1792, 8).
10 s. Slings 1987, p. 75 nega che nel r. 10 si possa leggere çz˚, ipotizzando
piuttosto ‡˚ (e.g. i[ç‡˚men) vel e˚, ed esclude quindi il supplemento levge‡qai i[çzmen
di Latte 1948, pp. 38 e 40 (1968, pp. 469 e 470); lo studioso olandese suggerisce
per i rr. 9-11 tou;ç‡ eujhûv åqei‡ tovde wjnomaç‡˚mevnåou‡: façllou' de; tou'ûåto o[nomav ej‡tiçn27.
Diversa la ricostruzione di West 19892, p. 153, che ipotizza ‡avnnou‡ kaloçu'menå.
dia; poçllou' de; tou' û åuJperbatou' fh‡içn, mentre nell’edizione del 19711, p. 153
proponeva ejpipefhmiç‡˚mevnåou‡ ajçll¦ oujde; tou'ûåto, ajllav fh‡içn.
11-14 Viene ripetuto il v. 1, seguito dall’invito a Sanno a prestare ascolto
ad un ammonimento (rr. 12-14 tou\‡ m˚oi parav‡ce‡, w\ å û ç˙n: ‡uvn toiv ti bouleu'‡ai
qevûålw); un simile schema formale si trova nel quinto giambo di Callimaco (fr.
195,1-3 Pf. w\ xei'ne – ‡umboulh; ga;r e{n ti tw'n iJrw'n – û a[koue tajpo; kardivh‡, û ejpeiv ‡e
ktl)28. La lettura tou\‡ si deve a Maas 1942, p. 133 n. 1, m˚oi parav‡ce‡ a Lobel
1941b, p. 89; analoghe espressioni ricorrono in Theogn. 887, Aeschl. fr. 126 R.,
Plat. Conv. 216a, Crat. 396d, Luc. Bacch. 5, Salt. 6. Degani 19912, p. 132 ritiene
che il lemma del r. 12 costituisca la parte iniziale del v. 3, dove in lacuna Latte
1948, p. 42 (1968, p. 471) tenta w\ åkatavrhton kakovçn, tradotto “o (malanno ese-
crabile)” da Degani 2007, p. 135. West 19892, p. 153 preferisce scorgervi una ri-
presa dell’apostrofe, ipotizzando w\ û å’avnne, a[kou‡oçn.
15 Lobel 1941b, p. 89 legge çnne˚å˙çak˚o˚nto‡ aujtou' e però aggiunge “for k˚o˚
perhaps i˚å˙ço“ (p. 94); Slings 1987, p. 76 suggerisce åpçaivåzçonto‡ aujtou' (trad.
“being alluding to”).
18 Slings 1987, p. 76 rileva “after çn, first e˚ or q˚ then t˚ or p˚“ e congettura
to;çn eJ˚p˚ovmeûnon (e.g. ‡tivcon).

27
La traduzione dei rr. 9 s. sarebbe “and from everyday life they adduce the simpletons who have
this nickname” (con tou;ç‡ eujhvûåqei‡ tovde wjnomaç‡˚mevnåou‡ oggetto di ejpiåfevrou‡i r. 7). Il complesso
della spiegazione conterrebbe un’ampia trattazione semantica da parte del commentatore, che,
“aware of the sexual origin of the name ’avnno‡”, analizza la polisemia del termine “referred to
the dumb wild goats of Crete, to the use of the word […] for simpletons in colloquial speech, and
added the primary meaning ‘penis’ as an afterthought” (ibid.).
28
Vd. Kassel 1958, pp. 235 s.; Bühler 1964, pp. 236-238; Livrea 2003, pp. 52 s.; Degani 2007, p. 134
(vd. anche Id. 1995, pp. 112-113 [= 2004, pp. 138-139]). Il rapporto tra i due testi appare confermato
dal metro utilizzato da Callimaco, un sistema epodico costituito da coliambo e dimetro giambico,
non altrove attestato nell’opera callimachea.
266 Hipponax 2

Fr. B (fr. 3 + fr. 4 + fr. 5 + Addenda, Lobel 1941b, p. 184) = Hippon. 129b D.
(= 118, 3 W.2)
2 s. Il lemma riportato dal frammento B (laima'i dev ‡oi to; åcei'çlo‡ wJ‡
åejrwçdiou') era già noto da uno scholion a Nicandro, Th. 470 (p. 191, 9-12 Crug-
nola), che attribuisce esplicitamente il verso ad Ipponatte: lo scoliasta, a chiosa
del termine maimwv‡‡wn, spiega ajnti; tou' zhtw'n kai; oJrmw'n. gravfetai kai;
laimwv‡‡wn, ajnti; tou' peinw'n, wJ‡ ŞIppw'nax: laima'i › ejrwidiou'. Nello stesso Ni-
candro, Al. 352, si registra laimwv‡‡onta (v.l. laimav‡‡onta), cfr. Aristoph. Eccl.
1179 laimavttou‡i29, inoltre Herond. 6, 97 laima''i tåi‡ç (cfr. anche 4, 46 laivma‡-
tron) e forse Anon. In turpil. 69 laçima'i (suppl. Knox). Per il significato, vd.
Hsch. l 137 s.v. laima'i: eij‡ brw'‡in w{rmhtai e 140 L. s.v. laima'n: ej‡qivein ajmevtrw‡
(cfr. anche l 136 s.v. laimav: lamurav, 138 s.v. laimavzou‡in: ej‡qivou‡in ajmevtrw‡,
142 L. s.v. laivmargo‡: favgo‡, a[plh‡to‡ ejpi; to; fagei'n, kai; maniwvdh‡ e Cyrill. lai
35 D. laima'i: maivnetai, ‡untovnw‡ ejpiqumei').
cei'çlo‡ è detto del labbro assimilato al becco di un uccello, in questo caso
di un airone, in Callim. fr. 194, 82 Pf. laidrh; korwvnh, kw'‡ to; cei'lo‡ oujk ajlgei'‡ï
di una cornacchia ciarliera. La forma åejrwçdiou' testimoniata nel commentario
(cfr. rr. 5 ejrwdiovå‡, 10 ejrwdiovn e 11 ejrwdiou') viene dagli editori corretta in
åejrwiçdiou' nel testo ipponatteo; entrambe le forme sono attestate (-w- ad es. in
Sem. fr. 9, 1 W.2, -wi- ad es. in Hom. Il. X 274) e, anche posto che si tratti di
errori dei copisti, la tradizione mostra comunque un’oscillazione tra le due
grafie; è possibile che il commentatore accennasse alla questione della morfo-
logia ritenuta più corretta, come parrebbero suggerire i rr. 10 s.
L’annotazione nell’interlinea superiore del r. 2 in corrispondenza di laima'i
concerne la smorfia sul volto di Sanno provocata dal suo protendere il labbro
per cercare cibo, come ha felicemente intuito Degani 19912, p. 133, che pur dub-
biosamente legge dh(loi') nuvmfhn tou˚åv (tou) con riferimento ad Hsch. n 717 L. s.v.
nuvmfh: ... kai; to; metaxu; tou' geneivou kai; touv kavtw ceivlou‡ ejn mev‡wi koi'lon, cfr.
anche Ruf. Onom. 42; non si dovrà quindi intendere “bride”, significato qui fuori
luogo, come propone invece la McNamee 2007, p. 265. La forma compendiata
più usuale per dh(loi') sarebbe dhl (vd. McNamee 1981, 22), e per tale motivo
Slings 1987, p. 78 suggerisce levgei th;çn˚ dh; nuvmfhn to; h˚å. Tuttavia tale soluzione
non spiega il fatto che l’eta sia tracciato in corpo minore ad esponente; inoltre
tale compendio, pur inusuale, potrebbe essere utilizzato anche nel fr. D 29. Po-
tremmo chiederci, con Fausto Montana, se nell’inizio della spiegazione, ai rr. 3

29
Locus difficillimus è Aristoph. Av. 1563 pro;‡ to; ²lai'ma th'‡ kamhvlou, variamente corretto dagli
editori (vd. Dunbar 1995 ad l.), né reca lumi Phot. l 30 Th. lai'ma: ajpo; tou' laima'n ei[rhtai to;
brevnquma. Per una dettagliata discussione del passo aristofaneo rinvio a Montana 2006b, pp. 131-
138, che, sulla base dello sch. ad l., difende lai'ma come paronomastico di laimov‡ e ai|ma.
P.Oxy. XVIII 2176 267

s., si debba vedere una parafrasi del verso, nella quale da un lato l’apostrofe a
Sanno (‡oi) sia resa con la ripresa del vocativo w\ ’avnûåneç (cfr. fr. A), dall’altro
l’espressione çlaima'i dev ‡oi to; û cei'çlo‡ sia spiegata åajpo;ç tou' laimou' … û … (?)
levgeåi‡. In un quadro simile, la nota s.l. 4 potrebbe essere restituita k(ai;) maåivnhiç
sulla scorta di Cyrill. lai 35 Dr. (citato supra, commento a fr. B 2 s.).
3 Subito dopo la citazione, il commentatore spiega l’etimologia del verbo
(åajpo;ç tou' laimou'), cfr. sch. Aristoph. Av. 1563. Nel margine destro si scorgono
tracce di due righi di scrittura nei quali è possibile individuare solo poche let-
tere, forse chiose riferibili a to; û cei'lo‡ (vd. Slings 1987, p. 78), ma più probabil-
mente alla parte finale del rigo.
3 s. A fine del rigo Latte 1948, p. 38 (1968, p. 469) propone wJ‡ ajnûåaidçw'‡
e[tårwgçe, levgeåi, mentre Diehl 19523, p. 116 ipotizza w[‡anûåto‡ brçwv‡eiå‡, a}‡ç
e[legeån. Slings 1987, p. 78 ritiene che dopo -ei- si debba leggere h o n, forse
anche e, e ipotizza wJ‡anûåei; (vel wJ‡ ajnûåti; Führer) bçrw˚‡ei˚ve˚åinç e˚[legeån.
4 Al di sopra del rigo in corrispondenza di e˚le si individua una nota, k(ai;)
ma˚å: il compendio fu sciolto da Lobel 1941b, p. 90; Slings 1987, pp. 78 s. ipotizza
k(ai;) maåima'i e spiega: “an (erroneous) indication that laimavw and maimavw are
exchangeable variants”.
4 s. Il commentatore assicura che il paragone con l’airone è giustificato
dalla voracità dell’uccello, anche se, come osserva Degani 2007, p. 135, “si tratta
forse, più propriamente […], della ‘berta’, in greco ai[quia, come può confer-
mare anche la fama di insaziabile voracità che a quest’ultima – più che all’ai-
rone – competeva”. La voracità dell’ ejrwidiov‡ è rilevata anche in sch. T Hom.
Il. X 274 s. (III 58, 1 E.).
5 ss. La digressione prosegue con la menzione dell’episodio iliadico (X
270 ss.) dell’airone inviato da Atena come presagio propizio per la buona riu-
scita della spedizione notturna (n˚uktåhgrçe‡ivai) di Odisseo e Diomede nel
campo troiano, tema parodiato in Hippon. fr. 23 D. (= 16 W.2). La formulazione
toi'‡ peri; to;n ¦Oûd˚u˚凇çe˚va˚ (rr. 5 s.) potrebbe essere dovuta alla compresenza di
Diomede, cfr. sch. A Hom. Il. X 299 (III 64, 10 E.). Col termine nukthgre‡iva, più
comune nella forma nukteger‡iva, era indicato l’episodio nell’antichità (cfr., ad
es., sch. A Hom. Il. X 1 [= III 1, 1 s. E.]).
8 Il supplemento dh'lon o{ti ga˚å‡tr ˚ ˚ ˚ ç di Latte 1948, p. 39 (1968, p. 469) ri-
chiamerebbe il motivo dell’ingordigia, ma non è di chiara interpretazione nel
microcontesto. Diehl 19523, p. 116, preferisce ipotizzare un prosieguo del rac-
conto dell’episodio omerico e propone dh'lon o{ti t˚a; å˚ o{pla, o{te e[ktanon Dovlwçna.
Slings 1987 (ad l.) ritiene più probabile dopo dhlonovti la lettura di Lobel 1941b,
p. 91, ga˚å o, meglio, på˙˙˙˙˙˙˙(˙)ç˙å.
10 s. Lobel 1941b, p. 94, seguito da Diehl 19523, p. 116, Masson 1962a, p.
162 n. 1 e Degani 19912, p. 232 (vd. anche McNamee 1981, p. 77), ritiene possi-
bile che il compendio sia da sciogliere con il nome di Palamede di Elea, com-
268 Hipponax 2

mentatore di Pindaro e autore di studi lessicali su testi tragici e comici, nonché


ojnomatolovgo‡. Si dichiara non del tutto persuaso di tale lettura Montanari 2002,
pp. 81-85, che evidenzia, da un lato, l’anomalia di tale abbreviazione, non al-
trimenti attestata per il nome del grammatico, dall’altro, l’assenza di notizie
riguardanti un suo interesse per Ipponatte; lo studioso ipotizza, in alternativa,
una forma dell’aggettivo palaiov‡ (palaia; grafhv? oiJ palaioiv?) o degli avverbi
pavlai o palaiw'‡ (gravfetai?), usuali scioglimenti del compendio (vd. McNa-
mee 1981, p. 77), oppure pavlin (p. 84). A seguire Lobel 1941b, p. 95 individua
in de;ç|eu\ una possibile variante testuale (in luogo di dev ‡oi) riconducibile a Pa-
lamede. Tale eventualità è contestata già da Latte 1948, p. 39 (1968, p. 469), che
ipotizza oujkç û eu\, accolto da West 19892, p. 153, il quale suggerisce, pur dub-
biosamente, gra˚åv fei ‘wJ‡ ejrwdiov‡’ (?), oujkç û eu\, mentre Diehl 19523, p. 116 azzarda
in apparato: kaivper oiJ plei'‡toiç û eu\ wJ‡ ejrwdiou' wJå‡ kai; ... Eujfrovniçûo‡ ejktiqei;‡ ta;
p˚åoihvmata. In effetti, l’ipotesi di una trattazione di tipo grammaticale relativa
a una “syntactic variant” (Slings 1987, p. 79) sembra plausibile. Il commenta-
tore avrebbe fatto riferimento al grammatico, autore di trattati concernenti
“verbal criticism” (Lobel 1941b, l.c.), per discutere sulla corretta forma del ter-
mine ejrwdiov‡ vel ejrwidiov‡ (vd. supra), fors’anche in riferimento a qualche altro
autore; l’oscurità della trattazione potrebbe essere dovuta ad un’omissione
dello scriba, indicata dall’ancora a margine del r. 12.
12 s. Si possono individuare termini tecnici del lessico grammaticale in
ejktiqeiv‡ (‘esporre’, ‘spiegare’) e kaqhgh‡amen-å (‘insegnare’).
14 Come già osservava Lobel 1941b, p. 95, il commentatore passa quindi
a trattare dell’aition relativo alle Diomedee e all’isola, detta Diomhvdeia, che
avrebbe ospitato Diomede e i compagni, trasformati poi in uccelli marini, cfr.
ad es. Callim. fr. 407, 172 Pf., Antig. Mir. 172, Aelian. NA I 1.

Fr. C (fr. 1 II) = Hippon. 129c D. (= 118, 7-12 W.2)


Il frammento riporta sei versi del componimento epodico, in cui all’insazia-
bile ghiottone Sanno “il poeta dà dei consigli sarcastici [...] invitandolo a spo-
gliarsi, a fare una sorta di ginnastica ritmata, a bere infine una pozione, mentre
Cicone, col suo aulo, gli suonerà la ‘melodia di Codalo’ ” (Degani 2007, p. 134).
2-4 La paragraphos tracciata al di sotto del r. 2 indica l’inizio del lemma,
che riporta, pur se lacunosi, tre versi dell’epodo. Ai rr. 2 s. di Sanno si menzio-
nano le braccia e il collo, forse in relazione all’eccessiva magrezza che li carat-
terizza. A fine di rigo, per completare il dimetro, Latte 1948, p. 39 (1968, p. 470)
proponeva nekro;‡ ei\, ma la ripresa del r. 9 (ejfqinå ) parrebbe accreditare piut-
tosto il supplemento di West 19711, p. 153 åe[fqi‡ai30, che Degani 2007, p. 135

30
Preceduto da Snell ap. Diehl 19523, p. 117 ejfqivnou vel e[fqi‡o (cfr. anche Snell 1972, p. 112) e seguito
P.Oxy. XVIII 2176 269

accredita, traducendo “hai consunti” e spiegando: “Sanno è in preda ad una


forma di atroce bulimia, che richiama il caso dell’Erisittone callimacheo (H.
Cer. 88 ss.), divorato da una fama inestinguibile e ridotto ‘nervi e ossa’ (v. 93)”31.
Analoghe espressioni ricorrono ad es. in Hippocr. Loc. hom. 24, 1, Callim. fr.
191, 86 Pf., Xen. Conv. 2, 16. Per ciò che precede tou;‡ç braåcivona‡, Snell 1972, p.
112 ipotizza e.g. åijdou; ù Þ þ wJ‡ ‡u; (già ap. Diehl 19523, p. 117 “ijdev vel ijdouv vel si-
mile quoddam”).
4-6 La patologia di Sanno è il risultato e contrario dell’eccesso di cibo in-
gerito. In tale direzione interpretativa si collocano le proposte di supplemento
avanzate dagli studiosi per l’inizio del r. 4: kaåt¦ hJmevrhn ga;rç h{ ‡e di Latte 1948,
p. 39 (1968, p. 470), sembrerebbe escluso dalle tracce del papiro, che dopo la
lacuna meccanica reca çm˚h, West 19892, p. 153, supplisce kaåte‡qivei‡ dev:ç, Luppe
1975a, p. 691 kaåte‡qivwn perç, approvato da Degani 2007, p. 135, come una netta
contrapposizione tra l’aspetto fisico di Sanno e la sua ghiottoneria. Il termine
ga‡trivh è hapax spiegato dal commentatore con ‡trovfo‡ (lat. tormina), cfr. Ari-
stoph. Thesm. 484 ‡trovfo‡ m¦ e[cei th;n ga‡tevr¦, w\ner, kwjduvnh. A seguire, per com-
pletare il trimetro, Snell ap. Diehl 19523, p. 117 propone ålavbhi, forse ripreso al
r. 10 kataålavbhi (suppl. Lobel 1941b, p. 95), e quindi preferibile rispetto a ådonei'
di Latte 1948, p. 42 (1968, p. 472) e a å‡trevfhi di Luppe 1975a, p. 691.
Molti i tentativi di ricostruzione del testo proposti per i rr. 4-6: å‡trovçûfoå --
- gça˚‡tro;‡ ajlghd˙å --- oiJ ga;r liçûmw'i ‡unecovmenoi eijwvqa‡åi suppl. Lobel 1941b, p.
89; levgei ‡trovçûfoån kai; th;n gça‡tro;‡ ajlghdåovna: oiJ ga;r ‡pa‡çûmw'i Latte 1948, p.
39 (1968, p. 470); Þ ù ‡trovçûfoån levgei kai; gça‡tro;‡ ajlghdov˚åna: oiJ ga;r ‡pa‡çûmw'i
Snell ap. Diehl 19523, p. 117, approvato da West 19892, p. 153, che però recupera
per i rr. 5 s. oiJ ga;r liçûmw'i proposto da Lobel; ‡trevfhi: ‡trovçûfoå‡ levgetai hJ
gça‡tro;‡ ajlghdwvån. oiJ de; ‡klhru‡çûmw'i Luppe 1975a, p. 691. In ogni caso, la spie-
gazione concerne la patologia di Sanno, consistente in uno stravolgimento
dello stomaco causato dal cibo smodato. A fine del r. 6 Latte 1948, p. 39 (1968,
p. 470) integra eijwvqa‡åi cer‡i; pievzein, un’anticipazione di quanto detto subito
dopo; mentre Slings 1987, p. 76 preferisce ipotizzare un prosieguo della spie-
gazione, e.g. eijwvqa‡åin ajlgei'n.
7 s. Il supplemento åtou' pavqou‡, neneçûkrw'‡qai di Latte 1948, p. 39 (1968, p.
470) implica che il verbo si riferisca alla trattazione successiva (si veda l’inte-
grazione nekro;‡ ei\ proposta dallo studioso per il v. 2 del fr. c D.); Maas ap. Diehl
19523, p. 117 suggerisce åtou' ajponeneçûkrw'‡qai, accolto da West 19892, p. 153 aj-

da Luppe 1990, p. 156 wJ‡ fqitoiv, supplemento, quest’ultimo, che implica una diversa interpreta-
zione, ma risulta affine dal punto di vista semantico.
31
Vd. anche West 1974, p. 147. Di diverso avviso Medeiros 1961, p. 172, che individua nella de-
scrizione contenuta nel commentario un accenno al trachli‡mov‡ (cfr. Xen. Conv. 2, 16; Plut. Cupid.
divit. 526e; Luc. Lexiph. 5, 4 ss.; Athen. I 14f).
270 Hipponax 2

ponefineÝçûkrw'‡qai, che pensa ad un errore di aplografia, mentre Slings 1987, p.


77 preferisce åtou' neneçûkrw'‡qai, forse troppo breve per lo spazio a disposizione.
8 ss. Si riprende il contenuto del lemma in riferimento a braccia e collo,
fors’anche con analoga movenza – i[de ‡ou, legit Maas ap. Fraenkel 1942, p. 55
n. 1 (-‡qai{i} dev ‡ou Lobel 1941b, p. 89) –, e lo si spiega parafrasandolo: cfr. r. 9
ejfqinå , e.g. ejfqivnåou o{‡aper Latte 1948, p. 39 (1968, p. 470); e[fqinåtai oJpov‡a
Luppe 1975a, p. 691; e[fqinåtai: ajlla; û ktl. West 19711, p. 153; ejfqinåhvka‡in, eij
Slings 1987, p. 77; da ultimo ejfqinåhvka‡in: ajlla; West 19892, p. 153.
10 s. Più che ad un lemma – come riteneva Rupprecht ap. Diehl 19523, p.
117, accogliendo il supplemento kate‡qivei‡ kai; mhv ‡e kataåleivpei liçûmov‡ di Latte
1948, p. 39 (1968, p. 470) – si deve forse pensare ancora a parafrasi. Lobel 1941b,
pp. 89 e 95 suggerisce kataålavbhi liçûmov‡, accolto da West 19892, p. 153, che da-
vanti al sostantivo aggiunge l’articolo (oJ l.); kataåkteivnhi ‡pa‡çûmov‡ Snell ap.
Diehl 19523, p. 117, sulle cui orme Masson 1962a, p. 86 ipotizza kataålavbhi
‡pa‡çûmov‡. Più eccentrico il supplemento katavå˚ plh‡on eij‡ gevçûmo‡ di Luppe 1975a,
p. 691, che introdurrebbe nel commento un termine assai raro (con rinvio a
Hsch. g 322 L. gevmo‡: gevmi‡ma, plhvrwma); mentre Slings 1987, p. 77 preferisce
kataålavbhi (vel -lavboi) dhgçûmov‡.
11 s. Altro lemma riportato dall’hypomnema nel r. 11, come evidenziano la
paragraphos e il vacuum di almeno una lettera prima di prw'ton. Alla fine del
rigo, ante lacunam Lobel 1941b, p. 89 individua, dopo e, traccia di lettera seguita
da un o scritto nel sopralineo (ne˙oå ). West 19892, p. 153 legge nei'm˚åonç; plausi-
bile, a nostro avviso, nei˚'m˚oånç: nel papiro si individuano, infatti, in modo pres-
soché certo iota, nonché un’asta verticale che ben si accorda con la presenza di
un m, inoltre tracce d’inchiostro nel sopralineo compatibili con o, forse trala-
sciato dallo scriba e aggiunto in un secondo momento. Tale lettura appare con-
fermata dal commento; osserva Degani 2007, p. 135: “il verbo usato dal
commentatore è ceironomei'n, propriamente ‘muoversi a ritmo con le mani’ ”
(cfr. Poll. II 153 tai'n ceroi'n ejn rJuqmw'i kinhqh'nai), “termine che appartiene al
vocabolario della palestra. È probabile che qui nei'm˚åon corrisponda a ceironovm-
h‡on (cfr. Hsch. n 236 L. nei'mon: o[rch‡ai)”. Inattendibile la lettura di Slings 1987,
p. 77, che nel sopralineo vedrebbe tracce di un alpha (ne˙aå˙å), da intendersi come
l’inizio di una nota marginale.
Alla fine del r. 11 paraiçûnei' è supplemento di Lobel 1941b, p. 89, di norma
accolto dagli editori; mentre alla fine del r. 12 Slings 1987, p. 78, in luogo di
ceironom[hv‡anti to; di Lobel 1941b (ibid.), preferirebbe ceironomåei'n ei\ta to;.
13 s. Il rituale cui si sottopone Sanno sarà accompagnato dal suono del-
l’aulo. Da rilevare il sarcasmo implicito nell’anomala situazione, giacché “di
norma, con accompagnamento musicale, si beveva vino; Sanno sorbisce invece
una medicina” (Degani 2007, p. 135), cfr. Amips. fr. 21, 1 s. K.-A. (ap. Athen. XI
783e). Alla fine del r. 14 ajnadoqåhv‡etai è proposta di Lobel 1941b, p. 95; Latte
P.Oxy. XVIII 2176 271

1948, p. 39 (1968, p. 470) ipotizza ajnadoqåh'nai, mentre West 19892, p. 153, opta
per ajnadoqåhv‡e‡qai.
15 s. La paragraphos, questa volta accompagnata da diple, individua l’ul-
timo lemma riportato dal frustolo C. Nel lemma vengono menzionati due per-
sonaggi già noti nell’ambito della produzione ipponattea. Cicone compare nel
fr. 3 D. (= 4 W.2) come indovino-stregone, mentre nell’epodo sembrerebbe ri-
vestire il ruolo di auleta e guaritore. Ciò peraltro non sorprende, come fa notare
Degani 2007, p. 135, dal momento che “tali attività erano strettamente con-
nesse, specie nei tempi più antichi (cfr. Strab. VII fr. 19)”; lo studioso ricorda
inoltre come anche la tradizione orfica conosca un mago (govh‡) di nome Cicone,
il quale esercitava ad un tempo la musica e la mantica (testim. 197 Kern)32. La
musica, d’altra parte, era normalmente considerata un mezzo terapeutico par-
ticolarmente efficace, tant’è vero che, come richiama ancora Degani 2007 (ibid.),
“Teofrasto assicura che i malati di sciatica (ij‡ciakoiv) guarivano ‘se uno suonava
l’aulo, sopra la parte dolente, alla moda frigia’ (fr. 87 W.)” ed “Ateneo (XIV
624b) [...] aggiunge che ‘questa moda erano stati per primi i Frigi ad inventarla
ed a praticarla, ed è per questo che anche in Grecia gli auleti hanno nomi frigi
e degni di schiavi: come Samba, Adone e Telo, menzionati da Alcmane [fr. 109
D.] e Cicone, Codalo e Babi in Ipponatte’ ” (Degani 2007, p. 136). L’inabilità di
quest’ultimo auleta dovette poi divenire proverbiale, come testimonia il fr. 153
D., ma tale sorte doveva probabilmente accomunare tutti e tre gli indovini-
cantori. L’autore stesso del mevlo‡ (r. 15 suppl. Latte 1948, p. 39 [1968, p. 470],
cfr. Aristoph. Pax 289 to; Davtido‡ mevlo‡) eseguito da Cicone, Codalo, è perso-
naggio il cui nome si ritrova in un detto proverbiale, che con ogni probabilità
risale ad Ipponatte (cfr. fr. °198 D. = *151a W.2). Per aujlhv‡ei ... mevlo‡, oltre al
già menzionato Amipsia, cfr. anche Epich. fr. 125 K.-A. La nota nel sopralineo
to;n Kwdavlou å˚ novmon (suppl. Latte 1948, p. 39 [1968, p. 470]) precisa la natura del
mevlo‡ in questione.
A fine di r. 16 il supplemento k˚åeleuvei i{na ˙˙˙ç di Latte 1948, p. 39 (1968, p.
470) implicherebbe un rilievo dato alla figura di Cicone, esortato dal poeta ad
approntare la sua performance.

Fr. D (fr. 2+ fr. 8 + P.Oxy. 1233 fr. 29 + Addenda, Lobel 1941b, p. 185 e 1948,
p. 153) = Hippon. 130 D. (= 118, 1-24 E W.2)
Fu Fraenkel 1942, pp. 54 s. il primo a riconoscere nei rr. 4 s. un trimetro.
Pare possibile che il verso, e quindi l’intero stralcio del commentario – come
già ipotizzarono Lobel 1941b, pp. 95 s., e Masson 1949, pp. 311 s. e 318 s. – con-

32
Vd. anche Miralles 1983, pp. 10 s. (≅ Miralles-Pòrtulas 1988, pp. 13 s. = Miralles 2004, pp. 158
s.).
272 Hipponax 2

tenga un accenno al funereo rituale del farmakov‡33, anche se esso non deve ne-
cessariamente essere messo in relazione con la sorte di Sanno34. Latte 1948, p.
44 n. 1 (1968, p. 474 n. 6) pensa che il commentario tratti piuttosto “de capitis
damnato”, vale a dire d’un condannato a morte destinato ad essere precipitato
in un baratro. Abbiamo invero notizia di esecuzioni capitali di farmakoiv o si-
mili in Phaen. fr. 25 W., Plut. Pelop. 21 e Ps.-Plat. Min. 315c; nulla esclude, d’al-
tronde, che Ipponatte potesse far riferimento ad aspetti del rituale puramente
leggendari (vd. Slings 1987, p. 91), o volutamente ne esagerasse i toni.
Il contenuto del frustolo è così riassunto da Degani 2007, p. 136: “il com-
mentatore parla di un corpo che si raffredda (rr. 2-3 t˚åo; û ‡çw'ma yuvchtai) e che
viene poi buttato sulla spiaggia (rr. 3-4 ejçp˚i; a[mmon qaåla燇ivan ej˚åkçbavllou‡i);
indi delle esequie, che si svolgono – come di norma – il terzo giorno dopo il
decesso”. West 1980, p. 120, suggerisce in apparato una restituzione del testo
ipponatteo qini; ... / balou'‡in ejn qala‡‡ivhi / tråitaçi'on ejk khvruåkoç‡, a[‡me˚ånoi
dçev min / åijovçnte‡ a[‡‡on åijcquve‡, ipotizzando che il cadavere venga dato in pasto
ai pesci; similmente West 19892, p. 154, dove tuttavia il restauro proposto è cir-
coscritto a due versi, da tråitaçi'on fino ad åijcquve‡.
2 s. La proposta crovnoån iJkano;nç di Latte 1948, p. 44 n. 1 (1968, p. 474 n. 6)
sottolinea la scansione temporale, precisata dal successivo e{w‡ t˚åo; û ‡çw'ma yuv-
chtai, suppl. Lobel 1941b, p. 185. Slings 1987, p. 80, trova il supplemento di
Latte troppo breve e revoca in dubbio la lettura e{w‡ ritenendo impossibile sigma
dopo w, quindi congettura crovnoån i{na to; ejn tw'iç q˚wm˚åw'i û ‡çw'ma yuvchtai.
3 s. La formula nu'n dåe; introduce il lemma, o forse la sua spiegazione –
così già Latte 1948, p. 44 n. 1 (1968, p. 474 n. 6) –, ciò che conferma la probabile
appartenenza dell’espressione ejçp˚i; a[mmon qaûåla燇ivan al testo ipponatteo, forse
nella forma ejpi; yavmmon qala‡‡ivan vel qala‡‡ivan ejpi; yavmmon ipotizzata da Adra-
dos 19903, p. 64 (Id. 2010, p. 350 accoglie a testo la prima delle due proposte
ipotizzando [= fr. 198] ejçpi; fiyÝavmmon qaålça‡‡ivan .../ tråitaçi'on ejk khvruåkoç‡
a[‡me˚ånoi dçev min)35, oppure, qala‡‡ivhn ejpi; a[mmon (Slings 1987, p. 92). Segue il tri-

33
Su tale rito di purificazione collettiva si vedano Bremmer 1983, pp. 299 ss., e Degani 2007, pp. 81
s. Sono ad esso riconducibili diversi frammenti di Ipponatte: i frr. 6 e 26-30 D. (= 6 e 5, 7-10 W.2), tra-
mandati da Tzetz. Chil. V 728-758 (pp. 196 s. Leone), inoltre i frr. 95, 4 e 107, 49 D. (= 92, 4 e 104, 49
W.2), forse i frr. 19, 46 e 126 D. (= 95a, 37 e 128 W.2), nonché i frr. 146 e °203 D. (= 153 e *152 W.2).
34
A favore di tale ipotesi si potrebbe invocare il fr. 126 D. (= 128 W.2), dove l’Eurimedontiade, per
cui ci si augura che yhfiùdi fikakh`iÝ kako;n oi\ton o[lhtai (v. 3) “presso la riva del mare infecondo”
(v. 4 para; qi'na aJlo;‡ ajtrugevtoio), mostra una colpa simile a quella di Sanno, soprattutto se si con-
sidera che nei rr. 3 s. del commentario ejçp˚i; a[mmon qaûåla燇ivan (cfr. anche rr. 15 s.) parrebbe espres-
sione riconducibile al poeta di Efeso (vd. anche Slings 1987, p. 91).
35
Lo studioso (ibid. n. 16) afferma che il referente del frammento così ricostruito è sicuramente
Sanno “arrojado por las olas a la playa de Tracia”; tuttavia, osserva Burzacchini 2010b, p. 593,
“pur comparendo il nome del personaggio in altro frammento recuperato dal medesimo com-
mentario (fr. 129 D.; 118 W.2), qui non v’è alcuna certezza che si tratti del medesimo figuro: si può
P.Oxy. XVIII 2176 273

metro tråitaçi'on › min, non separato da ciò che precede da alcun segno evi-
dente nel papiro.
5 Diverse le proposte avanzate per sanare il trimetro; a[‡me˚ånoi dçev min suppl.
Lobel 1941b, p. 185, indotto dall’ ejåkçbavllou‡i del r. 4 (e approvato da Slings
1987, p. 92); a[‡me˚åno‡ dçev min Fraenkel 1942, p. 54; a[‡me˚ån ˙˙ tçev min Diehl 19523,
p. 118; a[‡me˚ånov‡ tçev min Degani 19912, p. 138. Spiega Degani 2007, p. 136: “è forse
più probabile leggere a[‡me˚åno‡, legando cioè tritai'on a min ed adottando un
singolare (a[‡meno‡) anziché un plurale: ciò perché nel commentario si ha
h[nçe˚gken (se non ejxhvnçe˚gken, trattandosi di esequie, cfr. fr. 66, 2 D. = 68, 2 W.2)
aujt˚åo;çn tritai'on, che si riferisce con sicurezza al nostro verso, costituendone
anzi una puntuale parafrasi”.
5 s. A fine di rigo si potrebbe far cenno ad un luogo in cui avviene il rituale
o al rituale stesso (vd. Slings 1987, p. 81); West 19892, p. 154, in coerenza con la
succitata ricostruzione del passo, suggerisce pråo;‡ç aujta; ta; ajndr˚åoûbovra khvth,
proposta definita “unlikely” da Slings 1987, p. 81. Segue la spiegazione di ciò
che deve avvenire “il terzo giorno”: h[nçe˚gken è supplemento di Latte 1948, p.
44 n. 1 (1968, p. 474 n. 6); ejxhvnçe˚gken di Degani 19912, p. 138, visto con favore
da Slings 1987, p. 81, che suggerisce anche prço˚å‡hvnçe˚gken.
7 s. pro;å‡ khvruûåko‡ è supplemento di Fraenkel 1942, p. 54 n. 2, che lo intese
come spiegazione di ejk khvruåkoç‡ del lemma; preferisce pensare ad una forma
di pro‡khruv‡‡w Slings 1987, p. 81. Al r. 8 kajn toi'‡ potrebbe essere riconducibile
al testo ipponatteo, anche se Slings 1987, p. 81 sottolinea come “even in scho-
larly prose, crasis is a frequent enough phenomenon”.
9 ss. Alla fine del r. 9 Slings 1987, p. 81 ipotizza darûåtov‡, ricordando la vi-
cenda di un farmakov‡ scorticato per volontà di un oracolo riportata da Plut.
Pelop. 21. Al r. 10 ejçk khvruko‡ è ovvio supplemento di Lobel 1941b, p. 93. Al r.
11 potrebbe celarsi un paragone con un uguale rituale svoltosi in qualche altro
luogo o durante una qualche altra festività (vd. Slings 1987, p. 81). Da segnalare
per il r. 12 un discutibile confronto col fr. 106, 6 D. (= 103,6 W.2) ç˙˙hv‡anto, pro-
posto da Diehl 19523, p. 111, il quale, proprio sulla scorta del nostro luogo, sug-
gerirebbe in quest’ultimo passo kaçÓtanýhv‡anto (cl. Hdt. VI 97).
13 s. Plausibile ijovçnte‡ di West 19892, p. 154. Secondo Slings 1987, p. 92 il
senso potrebbe essere che “the procession is approaching the sea”, dove pro-
babilmente ha luogo il rito. Possibile l’appartenenza dell’espressione al testo
ipponatteo.
14 s. Potrebbe trattarsi dell’accenno ad una variante testuale (e[nioiç g˚rav-
fouûå‡i West 19892, p. 154).

soltanto ragionevolmente supporre che anche in questo contesto, come altrove nell’Efesino (cfr.
frr. 6 e 26-31 D.), entri in gioco il rituale dei farmakoiv”.
274 Hipponax 2

15 s. Che l’evento si svolga presso la riva del mare non sorprende, data la
testimonianza di Tzetze (Chil. V 728-758, pp. 196 s. Leone), il quale, attingendo
probabilmente ad Ipponatte e riferendosi quindi a una versione ionica del ri-
tuale, così ne descrive la conclusione (736 s.): tevlo‡ puri; katevkaion ejn xuvloi‡
toi'‡ ajgrivoi‡, kai; th;n ‡podo;n eij‡ qavla‡‡an e[rrainon eij‡ ajnevmou‡ (cfr. in particolare
frr. 31 e 126 D. = 65 e 128 W.2)36. Ciò che resta tra la fine del r. 15 e l’inizio del r.
16, ricostruito grazie ai supplementi di Lobel 1941b, p. 93 (ejgçgu;‡) e di Masson
1962a, p. 86 (qaûålav‡‡h‡), potrebbe essere ancora una volta un lacerto di poesia
ipponattea. Alla fine del r. 16 incerta la lettura delle tracce: çg˚wa˚ia ˚ o˚ e˚ West 19892,
p. 154; ç˙wm˚a˚q˚e Slings 1987, p. 82, che per la prima lettera contempla la possi-
bilità di çn˚ o çt˚ o forse çe˚, senza escludere nemmeno ç‡˚wma.
17 ejkbavçl˚lou‡i, suppl. Masson 1949, p. 312, è forse da ricondurre al poeta
di Efeso (cfr. r. 4). L’azione rientra nel rituale espiatorio (cfr. anche fr. 46 D. =
37 W.2), che, “pur svolgendosi in modi diversi nelle varie località, [...] presen-
tava caratteristiche fasi comuni, quali l’ a[gein, il bavllein, il leuvein nei confronti
del farmakov‡: il malcapitato, tra beffe ed offese, veniva condotto in giro per la
città, fino ad un luogo convenuto, dove subiva percosse di vario genere; qui il
popolo – stando ad alcune fonti – decideva con un voto della sua sorte” (De-
gani 2007, p. 81).
18 s. Non perspicuo l’accenno a un padre (ç˙˙ pathvr) al r. 18, forse da ri-
ferire ad una divinità. Possibile la presenza di un termine grammaticale alla
fine del r. 19 ç˙‡ dia‡keu-, ad es. una voce di dia‡keuavzw o di dia‡keuhv.
20 s. Si menziona ancora una volta un cadavere e forse si fa riferimento
alle sue ossa.
22 s. Viene qui nominato Aristofane di Bisanzio37, al quale il commentatore
doveva far riferimento per supportare quanto detto o per aggiungere nuovi
materiali eruditi alla sua spiegazione. L’interesse del grammatico per Ipponatte
è testimoniato, oltre che dal fr. A (nel quale Aristofane è referente implicito del
commentatore in relazione all’uso del termine ‡avnna‡, vd. supra ad fr. A 2 s.),
anche dai frr. 106, 11 e 134 D. (= 103, 11 e 114b W.2)38.
23 Possibile il riferimento, se non nel testo ipponatteo almeno nel com-
mento, al çpolåuçandrei'ûåon, termine usuale per indicare “a common burial-
place” (Slings 1987, p. 82), vd. il cià citato Tzetze (Chil. V 728-758: 736 s.).
25 Dopo eta si individua l’espunzione, effettuata mediante tratto obliquo,
di èeä secondo Lobel 1941b, p. 92, oppure di èeiä secondo Slings 1987, p. 82.
Successiva, forse dovuta al corrector, l’apposizione del circonflesso su h.

36
Un possibile riferimento, nel nostro frammento di commentario, alla dispersione delle ceneri
del farmakov‡ in mare è individuato da Medeiros 1959-1960, p. 144 n. 21.
37
Non si tratterà del comico ateniese, come invece ipotizza Austin 1973, p. 32 (fr. 64).
38
Cfr. anche Degani 19841 (20022), pp. 35 s., I.5.
P.Oxy. XVIII 2176 275

26-32 Si tratta di note che si collocano nel margine inferiore della colonna
di testo e se ne differenziano in quanto sono tracciate con un carattere di minori
dimensioni e un ductus più corsivo39. Probabile al r. 28, come già ipotizzò Lobel
1941b, p. 96, il riferimento ad Egina, forse in relazione ad un determinato rito
attestato in quel luogo (cfr. r. 26 Ai[gçinan suppl. Slings 1987, p. 82); al r. 28 la
lettura di a˚ (anziché l˚) davanti ad A˚ij˚ginh't(ai), suggerita da Slings 1987, p. 82,
risolve qualsiasi problema di divisio verborum. Al r. 29 Lobel 1941b, p. 93 lesse
dh, che potrebbe essere inteso come un compendio per dh(loi') analogo a quello
utilizzato nel fr. B 2; tuttavia Slings 1987, p. 82 respinge tale lettura e preferisce
dei vel dai, propendendo per la prima ipotesi: sc. de˚i' gravfåein, forse riconduci-
bile a to; tivnu‡(qai) del r. 32. Al r. 30 tivqetai potrebbe intendersi come termine
grammaticale40. La ricostruzione del r. 31 si deve a Slings 1987, p. 82; recupera
invece la lettura di Lobel 1941b, p. 93 plom(en) toiouda˙å , con il solo ritocco to-
iou'd¦ a˙å , la McNamee 2007, p. 266. Al r. 32 pare possibile la lettura tivnu‡˚åai
vel tivnu‡˚åqai ipotizzata da Slings 1987, p. 82, forma ionica forse riconducibile
ad Ipponatte; tivnumai è attestato in Hdt. V 77, 1.

Fr. E (fr. 6) = Hippon. 131 D. (= 118 D W.2)


Il contenuto del frammento non è del tutto chiaro. Difficile individuare la
presenza certa di lemmi appartenenti al poeta di Efeso, anche se alcuni termini
paiono di indubbio interesse: tra questi in particolare floçg˚wvmata (vd. r. 10).
La stessa facies del commentario appare assai lacunosa: nella parte iniziale si
parla di una cavità (r. 3), quindi di forni e fornaci (rr. 4 s.), nonché di farina im-
pastata (rr. 6 s.) e, probabilmente, di croste bruciacchiate (rr. 10 ss.). Tale con-
testo ha indotto Latte 1948, p. 45 n. 1 (1968, p. 474 n. 7) ad affermare: “agitur,
si quid video, de esuriente Sanno”. L’ipotesi fu accolta da Masson 1949, pp.
302 s. e, sia pur dubbiosamente, da Medeiros 1961, p. 172, ma – annota Degani
19912, p. 139 – “omnia incerta”.
3 Il termine chramov‡, del quale è dubbio anche il genere (cfr. ad es. Hom.
Il. XXI 495, Ap. Rh. IV 1299 e 1452, Nic. Th. 55), potrebbe riferirsi ad ijpnov‡/ijpnoiv
come spiegazione del vocabolo, accanto a kavminoi. Da segnalare che esso pare
ricorrere anche al r. 8, dove Lobel 1941b, p. 93 leggeva c˚˙o˚r˚å, ma la lettura
c˚h˚r˚a˚åm di West 19892, p. 154 è confermata da Slings ap. Degani 19912, p. 233
(c˚hr˚ a
˚ å˚ ). A fine del rigo o{pou oiJ è proposta di Maas 1942, p. 133, accolta da Diehl
19523, Medeiros 1961, e Masson 1962a (ad l.); Slings ap. Degani 19912, p. 233

39
Tali indicazioni marginali, dopo l’edizione di Lobel 1941b, sono state riesaminte da Slings 1987,
p. 82 con l’ausilio di J. Rea e R. Coles.
40
Vd. Dickey 2007, p. 120.
276 Hipponax 2

suggerisce dubbiosamente un altrimenti inattestato oJpoioi' (sic: an oJpoi'oi?), ma


sarebbe semmai preferibile o{poi oiJ.
4-7 Il vocabolo ijpnov‡ riveste un’ampia gamma semantica, come testimonia
Hsch. i 774 L. s.v. ijpnov‡: kavmino‡, fou'rno‡ (cfr. ad es. Hdt. V 92), fanov‡ (cfr. ad
es. Aristoph. Pax 842 e Pl. 815), klivbano‡, mageirei'on (cfr. ad es. Aristoph. Vesp.
139, 837 e Av. 437), kai; mevro‡ ti newv‡. ¦Ari‡tofavnh‡ de; ejn Kwkavlwi (fr. 369 K.-
A.) kai; to;n koprw'na ou{tw‡ ei\pen. Considerato il primo interpretamentum di Esi-
chio, anche alla luce della spiegazione fornita dal commentatore, il
supplemento ijpnoi; di Maas 1942, p. 133, si può ritenere sicuro. Ciò che rimane
dell’hypomnema tratta evidentemente di un significato determinato dalla pre-
senza di kçaivontai e dalla precisazione successiva levgei de; ta;‡ kamivûånou‡ç. Nei
rr. 4 s. la lettura ijpçno;‡ de; ajpo; tou' ejxipo˚u˚'n di Lobel 1941b, p. 93 riporta quella
che dovrebbe essere una spiegazione etimologica di ijpnov‡. Per ciò che segue, è
merito di Maas ap. Fraenkel 1942, p. 55 n. 1 (cll. Phot. Galean. II 174 N. ‡tav‡:
a[neu tou' iò oJ ¦Attiko;‡ levgei, oJ de; öIwn ‡tai'‡ e Hsch. ‡ 1657 H. s.v. ‡tativnh: hJ ejk
‡tevato‡ pepoihmevnh kai; aJplh') l’aver individuato in ‡tativ – vocabolo non del
tutto perspicuo nemmeno per il corrector, che si preoccupa di annotare la quan-
tità lunga di alpha – una forma di dativo di ‡tai'‡. A integrazione dei rr. 6 s. è
plausibile qualcosa come to; ‡une‡trça˚m˚m˚evnåoçn˚ ejn tw'i ‡tati; u{ûådwr proposto da
West 19892, p. 154; Diehl 19523, p. 118 si limitava a leggere un mutilo to;
˙˙˙˙çl˚o˚vm˚enåonç , mentre Slings ap. Degani 19912, p. 233, giudicando troppo esi-
guo lo spazio per -nåoç-, preferisce -m˚enfioÝn. Diversa e difficilmente sostenibile
la ricostruzione di Latte 1948, p. 45 (1968, p. 475), che ipotizzava la presenza
del compendio del nome di un grammatico Statilius vel Statius, e.g. ’tativ( )
uJûåpomnhvmati.
7 ss. Nel r. 7 h] ˙˙˙˙˙ço˚n d˚i˚t˚o˚ulh è lettura di West 19892, p. 154, sulla scorta
di çe˚nd˚i˚t˚o˚ulh del Lobel ap. Maas 1942, p. 133 (ço˚n˚d˚˙˙˙ul Lobel 1941b, p. 93),
mentre Slings ap. Degani 19912, p. 233 preferirebbe leggere, sia pur dubbiosa-
mente, ça˚nd˚h˚å˙ço˚ulh. Per ciò che segue, h|åiç f. è proposta di West 19892, p. 154,
di contro a h|å‡ç f. di Lobel ap. Maas 1942, p. 133; lo stesso Lobel lascia impre-
giudicato il testo nell’ed. pr. del 1941, p. 93 stampando h|å ˚ç.
9 Secondo Maas 1942, p. 133 il termine gunaikåopivçphn (cfr. Eustath. ad Il.
XI 385, 851, 54 [p. 218, 6 V.] oJ ta;‡ gunai'ka‡ ojpipteuvwn) sarebbe da ricondurre
ad Ipponatte; in tal caso si tratterebbe di un composto, fors’anche parodico,
modellato su forme analoge quali l’omerico parqenopivph‡ di Il. XI 385, cfr. Hdn.
P. ojrqogr. III 2, 564, 6-8 parqenopivph‡ ‡hmaivnei to;n periblepovmenon ta;‡ gunai'ka‡:
dia; tou' i gravfetai. ta; ga;r para; to; ojpipeuvw dia; tou' i gravfetai oi|on paidopivph‡.
Composti in -pivph‡ sono attestati in Aristoph. Eq. 407 e Cratin. fr. 484 K.-A.
(pur(r)opivph‡, cfr. Sud. p 3230 A.), Aristoph. Thesm. 393 (oijnopivph‡ v.l.), Athen.
XIII 563e (paidopivph‡), e Eustath. ad Il. XI 16, 827, 30 [p. 139, 2 V.] (ajrrenopivph‡).
Probabilmente il composto, di per sé eccezionale, viene qui ricondotto ad una
P.Oxy. XVIII 2176 277

spiegazione paretimologica relativa ad ijpnov‡, come ipotizza West 19892, p. 154,


che suggerisce una restituzione e.g. dei rr. 7 ss.: h|åiç fh‡in å˙˙˙˙˙˙˙ o}‡ ajpo; tou'
dçuve‡qai chramåa; û levge‡qai ejdhvlw‡çe gunaikopivphn. Se non deve essere ricon-
dotto al poeta di Efeso, il termine potrebbe essere parte di una spiegazione
grammaticale, forse desunta dallo stesso Aristofane di Bisanzio, autore noto
al commentatore, o da altro erudito, qui riportata per supportare la digressione
relativa ad ijpnov‡, che potrebbe forse essere il genuino vocabolo ipponatteo.
10 Il supplemento floçg˚wvmata, proposto da Tammaro ap. Degani 1980-
1982, p. 50 n. 8 e 19831, p. 223, e accolto da West 19892, p. 154 (kai; floçg˚wvmata),
appare preferibile a peritçt˚wvmata (suppl. Latte 1948, p. 45 n. 1 [1968, p. 474 n.
7])41. Come spiega Degani 2007, p. 137, l’ “ennesimo hapax ipponatteo, […] in-
dicava le parti bruciacchiate del pane che restavano nel forno (rr. 10-12 ta; ejna-
polåeifqevnta tw'i kliçbavnwi perikauvma˚åta h[goun fluktçaivna‡), più in generale
la crosta bruciacchiata (tw'n a[rtwn ta; ejpikekaumevna, spiega Esichio)”, cl. Hsch.
f 635 H.-C. s.v. flogwvmata. Per ciò che precede (rr. 9 s.), plausibile appare il
supplemento låevûgei de; di West 19892, p. 154.
10-12 Il supplemento ta; ejnapolåeifqevnta tw'i kliçba˚vnwi si deve a Maas
1942, p. 133, sulla scorta di Lobel 1941b, p. 95, che già aveva individuato la
presenza di kliçbavnwi, mentre perikauvmaûåta (r. 11) è integrato da Latte 1948,
p. 45 n. 1 (1968, p. 474 n. 7); ta; ejnapolåeçi˚ûåpovmena tw'i kliçbavnwi p. è affine pro-
posta di West 19892, p. 154; h[goun (vel h] ta;‡ vel simm.) fluktça˚ivna‡ è proposta
di Degani 19912 (cll. Poll. VII 23 e Hsch. a 8189 L.), accolta da West 19892, p.
154, che soppianta ajcça˚ivna‡ di Lobel 1941b, p. 95. Cfr. anche Hippon. fr. 61 D.
(= 59 W.2), dove compare il termine fw'ide‡ vel foiêde‡ (testimoni Erotian. f 19
N. s.v. fw'ide‡ e Tzetz. ad Aristoph. Pl. 535 p. 130b, 2-8 Massa Positano, vd.
anche Hsch. k 1926 L. s.v. kaucaliv‡ e f 658 H.-C. s.v. fluvktaina), “con cui si in-
dicano sia gli ‘eritemi’, le ‘scottature’ […], sia le ‘bolle della scottatura’, le ‘ve-
sciche’ […] che si formano specie quando si passa dal freddo al caldo” (Degani
2007, pp. 110 s.).
12 s. La proposta di Maas 1942, p. 133 ou}‡ e[nioi ajttåaûravgou‡ kalou'‡inç
appare convincente, accreditata dalla correzione attå per apå riscontrabile
nel papiro. La spiegazione del termine è fornita dalla nota nel sopralineo
ç‡˚me˚n˙tvartw˚n˚˙˙te˚r˚thå (Lobel 1941b, p. 92), nella prima parte della quale Maas
1942, l.c. proponeva di leggere ta; keklaç‡mevna t(w'n) a[rtwn (cfr. Phot. k 406
Th. s.v. kateagovta: kekla‡mevna e Sud. k 902 A. s.v. kateavgh), ma più confacente
al contesto sarebbe ta; kekauç‡˚mevna˚ t(w'n) a[rtwn (vd. Nicolosi 2012, pp. 49 s.),

41
Non godono più credito, pertanto, proposte di restituzione quali ad es. peritçt˚wvmata ta; ejn
¦Apovlûålwno‡ (ejn ¦Apovlûålwno‡ iam Lobel) iJerw'i ta; ejn kliçbavnwi di Latte 1948, p. 45 n. 1 (1968, p.
474 n. 7), o ta; peritçt˚wvmata ta; ejnapolûåluvmena tw'i kliçbavnwi p. di West 19711, p. 154.
278 Hipponax 2

affine all’interpretamentum della glossa esichiana ricordata da Degani (f 635


H.-C.). Incerte le tracce successive, che contengono forse alcuni compendi
(Lobel 1941b, p. 92). Slings ap. Degani 19912, p. 233 legge, subito dopo artwn,
p˚t, il che non risolve le difficoltà. È forse legittimo, semmai, qualcosa come
a˚{p˚er thå, dove tau seguito da h ad esponente potrebbe pure essere un com-
pendio42.

Fr. F (fr. 7) = Hippon. 131 D. (= 118 F W.2)


Fr. G (fr. 10) = Hippon. 131 D. (om. W.2)
Frammenti minimi, nei quali è possibile individuare solo poche lettere per
rigo. Da segnalare, nel fr. F, la presenza di due paragraphoi, ad indicare probabili
lemmi. Anomala risulta inoltre la forma dei due my (rr. 3 s.): “neither of the m˚’s
is satisfactory, the first is more spread than is usual in this hand, the second
has a trace of ink near the top of the left-hand upstroke not accounted for”
(Lobel 1941b, p. 94).

Fr. H (fr. 11) = Hippon. 131 D. (om. W.2)


Fr. I (fr. 12) = Hippon. 131 D. (om. W.2)
Nel frammento H (r. 3), così come nel successivo fr. I (r. 3), Lobel 1941b, p.
96, riconosceva possibili riferimenti a Ermippo di Smirne. Tale identificazione
risulta suggestiva se si ricorda la notizia riportata da Ateneo (VII 327c = Her-
mipp. Smyrn. fr. 93 Wehrli = T3 = F 55 Bollansée) secondo cui il filosofo si sa-
rebbe occupato del testo ipponatteo a proposito di un termine, u{kh‡, impiegato
per indicare un tipo di pesce, la ijouliv‡ (fr. °205 D. = 169 W.2).
La nota della quale si scorgono tracce al di sopra del r. 4 di H (fr. 11) fu tra-
scritta come lot˚ da Lobel 1941b, p. 95, secondo cui “there is nothing to denote
abbreviation”; si potrebbe forse pensare a lovg(o‡)43, con possibile riferimento
al pensiero del filosofo citato.

Fr. J (fr. 13) = Hippon. 131 D. (om. W.2)


Fr. K (fr. 14) = Hippon. 131 D. (= 118 G W.2)
Fr. L (fr. 15) = Hippon. 131 D. (om. W.2)
Fr. M (fr. 16 coll. I e II) = Hippon. 131 D. (= 118 H W.2)
Ancora pochi brandelli di testo. È da rilevare l’impiego di paragraphoi nei
frr. K e M. Nel fr. K r. 1 e è scritto su un originario iota, mentre pare anomalo il
modo in cui è tracciato omicron. Nel medesimo frammento, sotto la paragraphos,
si legge un termine (qurevwn) di forma ionica, probabilmente riconducibile ad

42
Ad es. th;(n), vd. McNamee 1981, pp. 69 e 98, e Ead. 1977, p. 478.
43
Vd. McNamee 1981, p. 55.
P.Oxy. XVIII 2176 279

Ipponatte (cfr. fr. 86, 12 D. = W.2 die;k qurevwn˚ blevåponte‡); possibile forse un le-
game col fr. L r. 2ç˙kaibl˚å (e.g. kai; blevåponte‡?).

Fr. N (fr. 17) = Hippon. 131 D. (om. W.2)


Possibile l’integrazione çkai; ŞIppw'ånax proposta da Masson 1962a, p. 87. Le
sottostanti notazioni marginali, tracciate da un’altra mano, sono di incerta in-
terpretazione. La McNamee 2007, p. 266 individua almeno due termini (çk˚al ˚ o‡
e lakwå) e ipotizza un non meglio precisato “Laconian(?)”. Nel secondo rigo
dello scolio il c pare soprascritto.

Fr. O (fr. 18) = Hippon. 131 D. (om. W.2)


Il frustolo riporta la parte iniziale di una colonna di testo e, ai rr. 3 s., tracce
di note marginali su due righi (çtou e ç˙˙) pertinenti alla perduta colonna col-
locata alla sinistra di quella conservata.

Fr. P (fr. 19) = Hippon. 131 D. (om. W.2)


Sarebbe suggestivo leggere nei due righi qualcosa come ‡avmåbal-, dato che
nel papiro si scorge chiaramente un accento su a, e ŞIppw'naçx nel r. seguente,
ma le minime tracce non permettono alcuna certezza.

Fr. Q (fr. 20) = Hippon. 131 D. (om. W.2)


Fr. R (fr. 21) = Hippon. 131 D. (om. W.2)
Rimangono solo poche lettere e tracce d’inchiostro, appartenenti alla parte
centrale delle rispettive colonne di scrittura.

Fr. S (fr. 22) = Hippon. 131 D. (om. W.2)


Si tratta di una nota su due righi nel margine inferiore della colonna di scrit-
tura. Nel primo rigo si potrebbe scorgere una voce di ajnapivptein, il cui referente
(in accezione grammaticale o metrica?) ci sfugge. Nel secondo rigo sembra
esser presente il termine i[ambo‡ o un suo composto: la McNamee 2007, p. 266
traduce “(?chor)iamb...”. A seguire, plausibile una voce di poievw.

Fr. T (fr. 23) = Hippon. 131 D. (om. W.2)


Il frammento è interamente costituito da un’estesa nota marginale, proba-
bilmente collocata nel margine inferiore della colonna di scrittura. A partire
dal r. 3 il margine destro si può ritenere integro. Pur se lacunoso, il frustolo ri-
porta una trattazione relativa a forme metriche: nel r. 3 compare un derivato
di i[ambo‡ o d’un suo composto, al r. 4 si menziona il metro coriambico, come
anche al r. 8. I rr. 5-7 potrebbero contenere una spiegazione articolata in due
momenti (r. 5 ejdhvçl˚w‡en povteronå, r. 6 ç˙ e˚jdhvlw˚‡en e[ti wJ‡ å ), forse pertinente ad
un componimento del quale si ricorda l’inizio (r. 7 ou| ajrch; å ).
280 Hipponax 2

Fr. U (fr. 24 col. I) = Hippon. 131 D. (om. W.2)


Si tratta del margine destro di una colonna di scrittura della quale sono con-
servate solo poche lettere alla fine dei singoli righi. Al di sopra del r. 5 si di-
stingue un tratto orizzontale che sporge verso destra, forse ad indicare uno
stacco rispetto a quanto segue. Nei rr. 5-8 le lettere paiono tracciate in modo
abbastanza simile a quelle conservate nei rr. 1-4. Tuttavia il confronto con la
col. II (fr. V) induce a pensare che si debba trattare di note marginali, a meno
che non si ipotizzi una maggiore estensione della col. I; potrebbe trattarsi di
una sorta di addendum, delimitato dal segno indicato al di sopra del r. 5. I rr. 9-
11 riportano notazioni tracciate con scrittura più corsiva, probabilmente ricon-
ducibili ad una seconda mano. Si individua anche qui un derivato di i[ambo‡ o
di un suo composto, il che fa pensare ad una trattazione di carattere metrico.

Fr. V (fr. 24 col. II) = Hippon. 131 D. (= 118 J W.2)


Della col. II sopravvivono reliquie degli ultimi quattro righi, tuttavia qual-
cosa è possibile leggere solo negli ultimi due: al r. 3 mhrw'n, al r. 4 pwmav‡ai, ma
nulla si può dire sul contesto.
Nei dieci righi sottostanti si trova una cospicua notazione marginale, trac-
ciata con scrittura più corsiva. Al r. 1 ç˙˙w˚lui*nh‡ sarebbe allettante una rela-
zione con poluvi)no‡ (cfr. Theophr. HP III 10, 3 al.), ma la traccia che precede l
sembra compatibile piuttosto con w˚, inoltre ostano la quantità di i, indicata
come breve nel papiro, ed il fatto che l’aggettivo, a quanto pare, è a due termi-
nazioni.
Al r. 2 si potrebbe forse leggere kaçn˚nabivda, una forma di accusativo atte-
stata in Hdt. IV 74 e Paus. VI 26, 6; potrebbe trattarsi di una genuina parola ip-
ponattea, il che giustificherebbe la presenza di una spiegazione introdotta da
ou{(tw) g(a;r) de˚io ˚å , legit McNamee 2007, p. 267, sc. ou{(tw) g(a;r) de˚i' o˙å.
Al r. 3 t˚rovpoi potrebbe essere inteso come ‘figure retoriche’ o ‘caratteri’;
dopo ia si distingue un’asta (/) obliqua tracciata sul rigo: Lobel 1948, p. 154 si
limita a riportare tale segno, mentre la McNamee 2007, p. 267 ipotizza l’indi-
cazione del valore numerale delle due lettere “eleven”.
Al r. 5 t(w'n) ajrtivwn potrebbe essere termine tecnico ad indicare le sedi pari
dei trimetri giambici, cfr. Hephaest. 5,1, p. 15, 20 Consbr. (vd. McNamee 2007,
p. 267), così come al r. 6 tavxin vel p˚a˚ravtaxin (McNamee) potrebbe indicare la
disposizione degli elementi. Problematici i resti dei righi seguenti; da segnalare
al r. 10 f˚uvl˚a˚ka‡ (legit McNamee 2007, p. 267).

ANIKA NICOLOSI
3

P.Stras. inv. G 3a-b saec. IIp

Annotazioni marginali e interlineari ai frr. °194-°196 D.; *115-*117 W.2

Prov.: Aegyptus.
Cons.: Strasbourg, Bibliothèque Nationale et Universitaire.
Ed.: REITZENSTEIN 1899, pp. 857-611; DIEHL 19523, pp. 34-36 (frr. 79a-b, 80); TREU 1959,
pp. 76-79 (frr. 79a-b e 80); MEDEIROS 1961, pp. 240-249 (frr. *181-*183); MASSON 1962a,
pp. 83-84 (frr. 115-117); TARDITI 1968, pp. 167-168 (fr. °193a-b); WEST 19892, pp. 150-
151 (frr. *115-*117); ADRADOS 19903 (19812; 19591), pp. 61-63 (frr. 115-117); DEGANI
19912, pp. 168-175 (frr. °194-°196) e Addenda pp. 234-235 (vd. anche DEGANI 19831,
Addenda p. 223); GERBER 1999, pp. 436-439 (frr. *115-*117 W.2); SUÁREZ DE LA TORRE
2002, pp. 292-293 (frr. °194 e °196D.2); MCNAMEE 2007, pp. 268-269.
Tab.: REITZENSTEIN 1899, pl. VII; MCNAMEE 2007, pl. XV; NICOLOSI 2007, pl. I.
Comm.: MP3 1895; LDAB 335 BLASS 1900a, pp. 91-103; BLASS 1900b, pp. 341-347; LEO
1900 (= 1960, pp. 139-157); CRÖNERT 1901, pp. 508-510; DIEHL 19173, pp. 4-6; GALLI
1938, pp. 157-175; PERROTTA 1938, pp. 3-41; ID. 1939, pp. 177-188; TERZAGHI 1940, pp.
217-235 (= 1963, pp. 314-332); GALLI 1940, pp. 255-267; DEL GRANDE 1942, pp. 9-36;
ID. 1948, pp. 255-257; CANTARELLA 1944, pp. 1-112; MASSON 1946-1947, pp. 8-27; KLIN-
GER 1948-1949, pp. 40-47; LASSERRE 1950, pp. 267-285; ID. 1951, pp. 427-442; KALLÓS
1951-1952, pp. 67-74; GALIANO 1958, pp. 79-83; TREU 1959, pp. 224-228; MEDEIROS
1961, pp. LV-LIX; KIRKWOOD 1961, pp. 267-282; MASSON 1962a, pp. 158-162; ALFONSI
1963, pp. 68-69; FARINA 1963, pp. 163-185; MEDEIROS 1969, pp. 85-92; DEGANI 1970-
1972, pp. 63-80 [= DEGANI 2004, pp. 5-22]; WEST 1974, pp. 146-147; DEGANI 19771
(20052), pp. 33-42; UEBEL 1976, 244; KOENEN 1977, pp. 73-93; MCNAMEE 1977, p. 410;
DEGANI 1981b, pp. 403-406; DEGANI 19841 (20022), pp. 68-70, 270 e 337; MUŠČININA
1987, pp. 112-120; TAMMARO 1988, pp. 57-58; ANDRISANO 1990-1993, pp. 23-29; WAT-
SON 1991, pp. 56-62; KAKRIDIS 2000, pp. 73-89; DEGANI 2007, pp. 66-67 e 153-158;
MCNAMEE 2007, pp. 103 e 527; NICOLOSI 2007, pp. 13-133; GÄRTNER 2008, pp. 53-66;
NICOLOSI 2010, pp. 15-18; TSANTSANOGLOU 2010, pp. 15-28 ; PORRO 2011, pp. 157-187:
pp. 157 s.

Si tratta di due frustoli di papiro, entrambi scritti sul recto e provenienti


dall’Egitto1, che conservano tre frammenti poetici (= Hippon. frr. °194-°196 D.;
*115-*117 W.2): rispettivamente, l’uno (fr. a 1-16 e 17-19) riporta la fine di un
componimento epodico (trimetro giambico ed hemiepes) e l’inizio di un secondo
componimento del quale sono conservate solo minime tracce distribuite su tre

1
Furono acquistati sul mercato antiquario da C. Reinhardt da un mercante arabo del Cairo; sulla
vicenda relativa al ritrovamento e alla pubblicazione dei testi, vd. Reitzenstein 1899, p. 857.
282 Hipponax 3

versi (= Hippon. frr. °194-°195 D.; *115-*116 W.2); l’altro (fr. b 1-12) la parte cen-
trale, o forse pressoché conclusiva, di un altro componimento epodico, di ugual
metro ma di dubbia interpretazione per quel che concerne la vicenda narrata
(= Hippon. fr. °196 D.; *117 W.2). I due frustoli non sono contigui l’uno all’altro
e appartengono a colonne diverse, forse adiacenti anche se non alla medesima
altezza2, ma presentano una stessa mano di scrittura3.
Il testo è vergato con tratto rapido in una maiuscola informale di modulo
tendenzialmente quadrato, probabilmente databile alla metà del II secolo d.C.4
Entrambi i frustoli di papiro presentano note marginali, collocate nel margine
sinistro del fr. a, e interlineari, talora scritte anche a fine di rigo nel vacuo la-
sciato dal verso di minore estensione (cfr. frr. a 12; b 7), molte delle quali sono
probabilmente dovute a una seconda mano5. In generale, si tratta di annota-
zioni di carattere prevalentemente esplicativo (cfr. frr. a 5 s., 13; b 8, 11), oppure
di note di tipo grammaticale, come la psilosi ripristinata nell’interlinea supe-
riore del fr. a 15; in un caso (fr. a r. 7 = fr. °194, 7 D.; *115, 7 W.2) viene sopra-
scritto, forse ad opera dello stesso copista, il testo tralasciato, così da consentire
l’integrazione e[nqfia povll¦Ý ajnaplhv‡ei kakav. In queste note marginali o interli-
neari si registra l’uso di segni di compendio di natura documentaria (cfr. frr. a
5, 10 e 17; b 11) e di segni lezionali6. Per i segni di scansione testuale, è attestato

2
Le dimensioni dei due frustuli sono di cm. 12,5 × 9,6 (fr. a) e cm. 8 × 6,2 circa (fr. b), vd. Reitzen-
stein 1899, p. 857 n. 1; diverse (cm. 6 × 6,2) quelle riportate, per il secondo frammento, da Crönert
1901, p. 508. Il margine superiore e quello inferiore non sono verificabili, mentre nel solo fr. a è
possibile misurare lo spazio vacuo ai due lati della colonna di scrittura, che è abbastanza ampio
sia nel lato sinistro che in quello destro. I testi riportati permettono di ricostruire con buona ap-
prossimazione l’estensione massima del rigo di scrittura (soprattutto nel fr. a), che doveva conte-
nere circa 30 lettere.
3
Così già Reitzenstein 1899, p. 857, la cui opinione risultò successivamente confortata dall’analisi
autoptica compiuta da Schwartz nel 1949, indagine della quale dà notizia Masson 1951, pp. 427-
433: p. 428; vd. anche la storia della tradizione del testo ipponatteo delineata da Masson 1962a,
pp. 32-52: p. 39. Inattendibile la ricostruzione proposta da Koenen 1977, pp. 77 ss., che congiunge
i due frustoli in un unico componimento, attribuito a Ipponatte, individuandone la parte iniziale
in P.Stras. inv. G 3b (= Hippon. fr. °196 D.; *117 W.2), la parte finale in P.Stras. inv. G 3a (= Hippon.
fr. °194 D.; *115 W.2); tale ipotesi, in parte già avanzata dal Gercke 1900, coll. 28 ss., trarrebbe con-
ferma, a giudizio del Koenen, dal confronto con due riprese latine, Catull. 25 e Hor. Epod. 10; obl.
Degani 19841 (20022), pp. 69 s.
4
La scrittura si mostra abbastanza regolare nel ductus e prevalentemente bilineare; alcune lettere
(r e f) sporgono al di sotto del rigo; da segnalare anche l’ampio calice con cui è tracciato u (vd. ed.
pr. p. 857).
5
Vd. McNamee 2007, pp. 103 e 268 s.
6
Si distinguono un solo segno assimilabile a uno spirito aspro nel fr. a 15 (= fr. °194, 15 D.; *115,
15 W.2) e due nel fr. b 2 e 6 (= fr. °196, 2 e 6 D.; *117, 2 e 6 W.2), mentre vengono indicati numerosi
accenti, sia acuti che circonflessi: almeno uno per rigo nel fr. a (unica eccezione il r. 13), e analoga
sistematicità pare essere confermata nel fr. b. Un solo accento grave si riscontra apparentemente
al r. 5, dove tal segno potrebbe però essere impiegato a indicare la crasi di kajn; contra Crönert
1901, p. 509. Si individuano inoltre un possibile segno di elisione (cfr. fr. a 15 = fr. °194, 15 D.; *115,
P.Stras. inv. G 3a-b 283

nel fr. a (rr. 16 s.), nel margine sinistro, l’uso della paragraphos accompagnata
da coronis. In generale, l’ortografia risulta abbastanza accurata7, nel testo non
si rilevano correzioni.
Molte questioni sono state sollevate riguardo all’attribuzione dei tre fram-
menti riportati dai due frustoli. Reitzenstein (1899, pp. 861 s.) assegnò i tre
frammenti ad Archiloco8: in particolare, per il primo componimento, oltre a
elementi stilistici9, lo studioso sottolineava l’innegabile rapporto con Hor. Epod.
10, che pareva accreditare, come autore dell’ipotesto, Archiloco, ritenuto mo-
dello prediletto del Venosino10. Tuttavia, contro siffatta posizione, il terzo com-
ponimento indusse fin da subito forti perplessità, dato che, come già rilevava
Blass 1900b, 340 s., si deve considerare pressoché sicura la lettura del nome di
Ipponatte al v. 4, ŞIppw'naåx (suppl. Reitzenstein)11. Inoltre, sono da sottolineare
il contesto stesso del frammento, che, in perfetta sintonia con la musa dell’Efe-
sino, presenta la narrazione di un’oscura vicenda, con la presenza di tre per-
sonaggi individuati con peculiari onomastici o beffardi appellativi (cfr. fr. 79
D.), nonché la presenza di termini e stilemi tipicamente ipponattei12. Si è quindi
ipotizzata la possibilità che i due frustoli possano appartenere a un’antologia

15 W.2) e l’impiego della diairesis (cfr. fr. a 6 [= fr. °194, 6 D.; *115, 7 W.2] e fr. b 7 [= fr. °196, 7 D.;
*117, 7 W.2]); infine, si rileva la presenza di una ano stigme nel fr. b 8 (= fr. °196, 8 D.; *117, 8 W.2).
7
Lo iota mutum è di norma annotato (cfr. fr. a 5 e 12 [= fr. °194, 5 e 12 D.; *115, 5 e 12 W.2]; fr. b 9 [=
fr. °196, 8 D. ; *117, 8 W.2]); probabile omissione dello scriba è da considerarsi nel fr. a 10 la forma
-coi (conservata da West 19892, p. 150, che legge ejpevc˚ oi) per -ceoi (i.e. ejpi˚cfievÝoi), dove è da segnalare
anche l’anomala dimensione di o, molto più piccola rispetto alle altre lettere.
8
L’Autorschaft archilochea dei tre testi fu poi accolta da vari studiosi, tra i quali Wilamowitz 1900,
p. 30 n. 1; Leo 1900, p. 7 (= 1960, p. 143); Hauvette 1905, pp. 260-263 (vd. anche Id. 1901, pp. 71 s.);
Bowra 1933, p. 60; Klinger 1948-1949, pp. 40 ss.; Maas ap. Masson 1951, pp. 432 s. n. 7 (che ipotizza
nel terzo componimento un patronimico, e.g. ŞIppwnaåktivdh‡, accolto da Snell 1972, p. 52); Fraenkel
1957, pp. 31 s. n. 1; e da molti editori di Archiloco come Diehl 19523 (19251, 19362) ad l.; Edmonds
1931 ad l.; Treu 1959 ad l. Per parte sua, Tarditi 1968 ad l. pubblica solo i due frammenti contenuti
nel primo frustolo, segnalandone la dubbia paternità, fr. °193a-b).
9
Reitzenstein ravvisava, nel primo dei due testi di maggior estensione, alcuni elementi peculiari
del poeta di Paro: la facies omerizzante, un elemento che appariva particolarmente appropriato
per l’homerikotatos Archiloco; la struttura epodica, che, benché a torto, pareva ignota ad Ipponatte
ed invece familiare alla polimetria che già gli antichi riconoscevano ad Archiloco; la menzione di
Salmidesso e dei Traci, che lo studioso riteneva riconducibile a vicende belliche proprie dell’espe-
rienza biotica archilochea, relative alle campagne di colonizzazione di Taso (cfr. frr. 89, 19; 91, 44;
93a, 6; 104, 2 W.2; adde frr. 20; 21; 22; 92; 96; 97; 102; 103, 2; 228; 291; 295b W.2).
10
Come ricorda Fraenkel 1957, p. 29, fu proprio questa analisi comparativa tra il testo latino e
l’ipotizzato modello greco a determinare “a stock-in-trade of Horatian scholarship”; vd. anche
Pasquali 1920, pp. 107 ss.
11
Tale nome, pur attestato anche in iscrizioni di area ionica, appare qui difficilmente attribuibile
a un personaggio diverso dal poeta di Efeso, tanto più che varie volte, nei frammenti superstiti,
Ipponatte cita sé stesso in terza persona (cfr. frr. 42b, 1; 44, 2; 46; 79, 9 e 12 D. [= 32, 4; 36, 2; 37; 79,
9 e 12 W.2] e °187 D.).
12
Vd. Nicolosi 2007, pp. 13-133: 132 s.
13
Così Jurenka 1900, pp. 10-12; Cantarella 1944, pp. 103 ss.; Masson 1946-1947, pp. 1 ss.; Kirkwood
284 Hipponax 3

di testi di poeti diversi, per cui l’Autorschaft del primo componimento spette-
rebbe ad Archiloco e quella del terzo a Ipponatte13; un’ipotesi in sé meritevole
di seria considerazione14, anche se i tre testi contenuti nei due frustoli argento-
ratensi non sembrano presentare una configurazione propria d’un florilegio
editoriale, né riesce facile pensare ad un’omogenea raccolta di autori differenti,
pur se di una stessa tipologia di genere, accostati tra loro senza alcun apparente
criterio, se non, forse, quello metrico. Appare maggiormente plausibile ritenere
che tutti e tre i testi appartengano ad un’edizione di un unico autore, cioè di
Ipponatte, come ipotizzò Blass 1900b, pp. 341 s. (vd. anche Id. 1900a, pp. 102
s. n. 1)15. Nel primo componimento riportato da P.Stras. inv. G fr. a, come già
si è visto per quello contenuto nel fr. b, si possono infatti individuare stilemi,
nessi, lessico e tematiche riconducibili all’opera del poeta di Efeso16. Inoltre, la
presenza di echi e termini omerici non è di per sé dirimente, dato che un poeta
parodico, qual è Ipponatte, non può non ricalcare il proprio modello (vd. Bur-
zacchini 2004, p. 99). È da osservare, infine, che il componimento stesso, “un
propemptico a rovescio” secondo la definizione di Perrotta (in Perrotta-Gentili
19652, p. 109), costituisce di per sé uno stravolgimento di genere. Poco o nulla
possiamo dire del secondo frammento, il cui lacunoso stato di conservazione
ci invidia qualsiasi certezza. A favore di una paternità ipponattea potrebbe de-
porre, per quanto aleatoria, l’eventuale menzione del personaggio di Bupalo
(vd. infra) nello scolio marginale sinistro posto subito sotto il livello della pa-
ragraphos.

1961, pp. 273-279 (che ipotizza componimenti o estratti di opere di autori diversi, accomunati da
un’uniformità strutturale dovuta all’affinità tematica, incentrata sull’invettiva); Fränkel 19693, pp.
156-158; Gerber 1970, p. 35; Degani 1970-1972, pp. 63 ss.; Fowler 1987, p. 42; Muščinina 1987, pp.
118 s.; Brown 1997, p. 82 n. 13. Riconduce ad Archiloco il primo componimento riportato da
P.Stras. inv. G 3a Carey 2009, pp. 166 s.
14
Cfr., ad es., le raccolte gnomologiche di P.Berol. inv. 21144 recto (LDAB 961); P.Hib. I 7; PSI XV
1476; P.Harr. II 170; P.Oxy. XXXIII 2661 e gli estratti da autori diversi, accostati tra loro sulla base
di svariati criteri antologici, conservati in P.Berol. inv. 9772 (LDAB 3753) e 9773 (LDAB 1049);
P.Köln VI 242; P.Freib. 1 (b)r; P.Michael. 5; P.Chic. 2; P.Hamb. I 121, P.Heid. IV 310, P.Tebt. I 1,
P.Stras. W.G. 304-307. Da rilevare che in alcune di queste raccolte, come quelle di P.Petr. I 3(1),
P.Schub. 28 (P.Berol. inv. 13680r), ma anche P.Berol. inv. 9772 e 9773, è segnalato il nome degli au-
tori dei passi citati.
15
Lo studioso accredita la possibilità di una produzione epodica di Ipponatte, ora confermata da
P.Oxy. XVIII 2176 ⇒ 2 (= frr. 129-131 D. [≅ 118 W.2]), richiama la spia caratteristica del nome proprio
del poeta nel terzo frammento, inoltre la probabile presenza del nome di Bupalo in uno scolio
marginale posto all’inizio del secondo lacunoso frammento (vd. infra); mentre, per il rapporto
con Orazio, evidenzia il versatile atteggiamento del Venosino nei confronti dei modelli greci (a
questo proposito, vd. Degani 19841 [20022], p. 57). L’ipotesi di Blass è seguita da Crönert 1901, p.
509; Crusius 1906, pp. 379 s.; Fraccaroli 1910, p. 154; Perrotta 1938, pp. 5, 15 s., 27 s.; Terzaghi 1940,
p. 229; Masson 1951, pp. 433 ss.; Lasserre 1958, p. XCI; Mankin 1995, pp. 182 s.; Watson 2005, pp.
4-19: p. 7 e n. 46; pp. 338-357: pp. 338-341.
16
Vd. Nicolosi 2007, pp. 13-133: pp. 129-132.
P.Stras. inv. G 3a-b 285

I più recenti editori includono per lo più i tre frammenti fra quelli del poeta
di Efeso: così Masson (1962a), Farina (1963), Gerber (1999), Adrados (19903),
Suárez de La Torre (2002), che edita in traduzione solo il primo dei tre fram-
menti; Medeiros (1961) colloca i testi fra i dubia; West 19892 contrassegna i fram-
menti *115-*117 con asterisco (“fragmenta sine auctoris indicio certiore
recepta”) e annota in apparato: “Hipponacti tribuit Blass [...], recte credo”; in
Degani 19912 i tre testi (frr. °194-°196) compaiono nella sezione dei dubia17.

Fr. a 2 = Hippon. °194, 2 D. (= *115, 2 W.2)

ç˙˙˙h˚ ejk th'(‡)


ç qalav‡‡i˚o‡˚

1 ç˙ tracce compatibili con h o gi


——
marg. sin. ç˙i˚˙h ejk th'(‡) û ç qalav‡‡åiço‡˚ legit McNamee 2007; ç˙i˚˙hektû ç qalav‡‡åiço˚‡˚ Masson 1962a;
ç˙i˚˙hektû ç qala‡‡å˙ço‡˚ Treu, West 19892, Degani 19912; ˙e˙h˚ekt û qalav‡‡å˙ço˚‡˚ Diehl, Medeiros 1961,
Tarditi; ç g˚i˚û ç q˚a˚l˚a˚‡˚‡˚i˚a˚‡˚ Reitzenstein, unde ç g˚i˚û ç q˚a˚l˚a˚‡˚‡˚iv˚a˚‡ (sc. ‡umfora'‡) Cantarella

… dalla … marin-

Fr. a 5 = Hippon. °194, 5 D. (= *115, 5 W.2)

o[n(oma) t˚ov(pou) (ejç≥tivn)


kajn ’almudåh‡‡çw'˚i˚ gumno;n eujfronev˚‡˚t˚åataç

t˚ asta verticale sormontata da un tratto orizzontale segno di compendio (/) per ejç≥tivn
——
“supra -almud- legitur o t˚o j / vel on t˚o j /” Schwartz ap. Masson 1951; o p˚o / vel on p˚o / Reitzen-
stein o[n(oma) tov(pou) (ej‡tivn) vel oJ tov(po‡) (ej‡tivn) Schwartz ap. Masson 1951; tovp(o‡) (ej‡tivn)
McNamee 2007; o[n(oma) pov(lewv‡) (ej‡tin) Diels ap. Reitzenstein

17
La scelta fu assai ponderata, come testimonia Burzacchini 2004, p. 98, che ricorda come lo stu-
dioso, inizialmente incline alla tesi dell’antologia (Degani 1970-1972, pp. 63 ss.; Id. 19771, pp. 34-
36), mostrasse in seguito una progressiva inclinazione verso la paternità ipponattea del testo:
“Negli ultimi anni egli mi confidava di non essere più tanto sicuro della paternità archilochea [sc.
del primo frammento], senza peraltro mai spingersi al punto di scrivere una palinodia per scon-
fessare le proprie precedenti posizioni”. Indizi di tale mutamento di opinione si possono riscon-
trare in Degani 2007, p. 154, dove lo studioso, pur dichiarandosi ancora propenso all’idea di
un’antologia, afferma che la tesi della paternità ipponattea dei tre frammenti “è ora condivisa
dalla maggior parte degli studiosi, compresi gli ultimi editori di Ipponatte (Masson, Medeiros,
West ed il sottoscritto)”.
286 Hipponax 3

è toponimo

Fr. a 6 = Hippon. °194, 6 D. (= *115, 6 W.2)

oiJ a[kråa k(efa)lh'ç‡18 komw'n˚te‡


Qrhvi>ke‡ ajkrovåkçomoi

dopo ajkrå lacuna di almeno due o tre lettere


——
suppl. Degani 19912, vd. iam Id. 19771, cll. Hsch. a 2613 L. ajkrovkomoi: ta; a[kra th'‡ kefalh'‡ komw'nte‡
(cfr. etiam Phot. a 859 Th. [= An.Gr. I 56, 26 B.ç et al.); oiJ ajkråaivwç‡ komw'n˚te‡ Degani 1970-1972; oiJ
a[kråwç‡ komw'n˚te‡ Reitzenstein, brevius spatio ut videtur; oiJ ajkrå˙˙˙ç‡ komw'n˚te‡ Schwartz ap. Mas-
son 1951; oiJ ajkråokovmwç‡ komw'n˚te‡ Masson 1962a longius spatio

quelli che raccolgono la chioma in cima [al capo]

Fr. a 7 = Hippon. °194, 7 D. (= *115, 7 W.2)

çlla˚n˚a˚plh‡a˙å
lavboien – e[nqfia povll¦Ý ajnaplhv‡ei kakav

sscr. ad qanaplh‡eikaka ç˙˙lla˚n˚a˚plh‡a˙å legit Reitzenstein; çl˚la˚˙˙pli‡a˚iå˙˙çk˚a˚ Schwartz ap.


Masson 1951

Fr. a 10 = Hippon. °194, 10 D. (= *115, 10 W.2)

epei / ( ) h˚˙˙˙(˙)enoi
fukiva povll¦ ejpicfievÝoi

prima di n, plausibile anche h


——
epei / h˚˙˙˙enoi / Schwartz ap. Masson 1951, epei / h po geno˚i˚ Reitzenstein, unde ejpei; (ej‡ti;n) hJ povli‡
uJ(pe;r) tenavg(ou‡) tempt. Diels ap. Reitzenstein epei (ej‡tin) hga˙˙g˚enoit˙, unde leivpei˙ eij ga;r gev-
noitov me ijdei'n perperam Blass 1990b

18
Vel potius kefa(lh')ç‡.
P.Stras. inv. G 3a-b 287

Fr. a 12 = Hippon. °194, 12 D. (= *115, 12 W.2)

keivmeno‡ ajkra‡ivhi ajkra˚t˚h;˚‡˚ w˚[n˚

dopo akr tracce compatibili anche con ‡ o te


——
ajkråatçh;˚‡˚ åw[nç Reitzenstein; akra˚‡å˙ço˚i˚ Schwartz ap. Masson 1951

essendo spossato (?)

Fr. a 13 = Hippon. °194, 13 D. (= *115, 13 W.2)

kat¦ a[kron to;n aijgialovn


a[kron para; rJhgmi'na kumaå

sull’estremità della battigia

Fr. a 15 = Hippon. °194, 15 D. (= *115, 15 W.2)

ejpi; oJrkivoi‡
o{‡ m¦ hjdivkh‡e, l˚åa;çx d¦ ejf¦ oJrkivoi‡¦ e[bh

ejpi; oJrkivoi‡ Reitzenstein et Schwartz ap. Masson 1951; ejpiwvrkh‡e Blass 1900b

sui giuramenti

Fr. a 17 = Hippon. °195, 1 D. (= *116, 1 W.2)

çle˚ivpei p(ro;‡)
Bouvçpa˚l˚(on)

nota scritta in corrispondenza della paragraphos 2 nò possibile segno di compendio per -on?
——
marg. sin. vel pr(o;‡) û Bouvçpa˚l˚(on); ‡içl˚laiv˚n˚ei û to;n Bouvçpa˚l˚(on) Degani 19912, ‡ilçl˚aivnei iam De-
gani 19771; çl˚ain˚ei û pa˚l˚ Schwartz ap. Masson 1951; eij‡ Bouvçpal(on) Blass 1900a; û ‡hçmaivnei û to;n
Bouvçpal(on) Blass 1900b; l˚aig˚i˚eiop û p˚a˚l˚ ˚(p sscr. ad o) Reitzenstein; ç˙lai˚m˚ei û çpa˚l˚/ West

manca (il titolo) Contro Bupalo (?)


288 Hipponax 3

Fr. b 3 = Hippon. °196, 3 D. (= *117, 3 W.2)

kurton eå˙˙˙˙˙˙ç filei'‡ ˙e˙tamå

˙e: tracce compatibili con p, g o h


——
legit Schwartz ap. Masson 1951 g˚ewtovmåo‡ ejrgavth‡ Reitzenstein

Fr. b 7 = Hippon. °196, 7 D. (= *117, 7 W.2)

oçu˚ j d amav kwv ‡¦ e[ i > d e makavrio‡ ˙˙˙˙å

prima di m si scorge una traccia d’inchiostro


——
oçu˚jdamav Nicolosi 2007 (praeeunte Diels ap. Reitzenstein oujçdamav); m˚h˚damav Degani 19912 et West
19892 (mçh˚damav iam Blass 1900b) nota makavrio‡ o}‡ to;n å¦Arivfanton oujk ei\den suppl. Reitzenstein

beato …

Fr. b 11 = Hippon. °196, 11 D. (= *117, 11 W.2)

fan˚e˚r˚ov‡ (ej‡ti)
pa'‡ de; pevfh˚n˚e˚ do˚vålo‡

segno di compendio (/) per ej‡ti


——
fanåeçrov‡ (ej‡ti) Diels ap. Reitzenstein fa/ ˙˙˙‡ / legit Schwartz ap. Masson

è palese ...

Fr. a 2 = Hippon. °194, 2 D. (= *115, 2 W.2)


Sul margine sinistro del frustulo di papiro, nella parte superiore, si leggono
due annotazioni poste l’una sopra l’altra, non perfettamente allineate con le
tracce superstiti dei righi di testo. Secondo l’autopsia accreditata da Schwartz
ap. Masson 1951, p. 428, esse si trovano al di sopra e al di sotto del secondo
rigo – non del primo, come opinava l’editor princeps (Reitzenstein 1899, p. 858)
– rispetto al quale la prima sta in corrispondenza dell’interlinea, mentre la se-
conda è quasi allineata al r. 3. La lettura della prima annotazione appare al-
quanto problematica; più agevole quella della seconda, dove rimane qualche
dubbio per l’identificazione delle ultime lettere. Gli studiosi hanno fornito di-
P.Stras. inv. G 3a-b 289

verse proposte: Reitzenstein 1899, p. 858, seguito da Blass 1900b, p. 343, sug-
gerisce dubbiosamente g˚iå˚ ˙˙˙˙˙çû q˚al
˚ a
˚ ‡˚ ‡˚ i˚ a
˚ ‡˚ ˚19. Diehl 19362, p. 35, si limita ad os-
servare in apparato: “perierunt initium et argumentum margini sinistro
adscr.”, mentre, nella successiva edizione dell’Anthologia Lyrica (19523, p. 34),
aggiunge: “[…] ubi legitur ˙e˙hektå çûqalav‡‡åiço‡˚”. Leggono ˙i˚˙hektûqalav‡‡åiço˚‡˚
Schwartz ap. Masson 1951, pp. 428 e 432 (vd. anche Masson 1962a, p. 87), Me-
deiros 1961, p. 241 e Tarditi 1968, p. 167; preferiscono riportare la trascrizione
diplomatica del Masson 1951, p. 428 (˙i˙hektûqala‡‡˙o‡˚) Treu 1959, p. 224, West
19892, p. 150 e Degani 19912, p. 168. Sul contenuto di queste annotazioni non
siamo in grado di fornire certezze: esse potrebbero concernere l’argomento
trattato nell’epodo, forse anche in forma di titolo20, ma potrebbero anche avere
carattere esegetico e riferirsi a ciò che è andato perduto nel testo.

Fr. a 5 = Hippon. °194, 5 D. (= *115, 5 W.2)


Al di sopra delle lettere -almud- v’è traccia di una breve annotazione. Si legge
un omicron, forse sormontato da un segno di compendio identificabile con un ν
soprascritto, seguito a breve distanza da altre due lettere, p˚o vel potius t˚o. Il sus-
seguente ej‡tivn è reso mediante il segno convenzionale costituito da un’asta obli-
qua (/). Il Reitzenstein 1899, p. 859, accogliendo un’ipotesi di Diels, scioglie il
compendio con o[n(oma)21 e nelle lettere seguenti legge po, abbreviazione per
pov(lew‡)22: dunque o[n(oma) pov(lew‡) (ej‡tivn), così anche Blass 1900b, p. 343. Il rie-
same del papiro compiuto da Schwartz ap. Masson 1951, p. 428 riconosce piut-
tosto, dopo o, la sequenza to seguita da un segno ad esponente; lo studioso
propone quindi la lettura o[n(oma) tov(pou)23 (ej‡tivn) – accolta dubbiosamente da
Degani 19912, p. 169: “an tov(pou)?”, cfr. Sud. ‡ 140 A. ’armudh‡‡ov‡: tovpo‡ Qravikh‡
– o, in alternativa, oJ tov(po‡) (ej‡tivn). Non è sicuro, in effetti, che la traccia d’in-
chiostro che sormonta il primo omicron sia identificabile con un n: potrebbe trat-
tarsi di uno spirito aspro, nel qual caso si potrebbe plausibilmente accreditare
una lettura oJ tov(po‡). In ogni caso, la lettura tov(po‡) vel tov(pou) parrebbe confor-

19
Tale lettura è ripresa da Cantarella 1944, p. 6 g˚i˚å˙˙˙˙˙ç û q˚a˚l˚a˚‡˚‡˚i˚va˚‡, sc. ‡umfora'‡, con riferimento
alla tematica affrontata nel componimento.
20
Cfr. Turner-Parsons 1987, p. 13: “the margin […] is regularly the place in which titles of single
poems in a larger collection are put”, con rinvio a P.Oxy. VII 1015 e XXVI 2441. La singolarità di
tali annotazioni è sottolineata anche da Masson 1951, p. 439: “ces notes, malheureusement à peu
près illisibles, doivent être différentes des scholies et contiennent sans doute des indications d’un
ordre plus général, touchant un passage du poème, ou peut-être le poème entier”.
21
Lehmann 1880, p. 18 registra l’abbreviazione costituita da o sormontato da un tratto orizzontale
(oò); McNamee 1981, p. 72 da on sormontato da un tratto orizzontale (onò); Ead. 1985, p. 224.
22
Cfr. McNamee 1981, p. 84 e Ead. 1985, p. 225.
23
Per il compendio di tovpo‡, forse da intendersi to con p soprascritto, vd. McNamee 1981, p. 99,
che riporta anche il caso di P.Oxy. XX 2257 fr. 1, 14, fort. top (cfr. ⇒ Aeschylus 1, p. 20).
290 Hipponax 3

tata dal contenuto stesso del rigo, dato che, come già osservava Masson 1951,
p. 432, pare qui poco verosimile l’identificazione di Salmidesso, descritta poco
oltre dall’annotatore come semplice riva sabbiosa24, con una città.

Fr. a 6 = Hippon. °194, 6 D. (= *115, 6 W.2)


Nel sopralineo si legge oiakrå˙˙˙ç‡ komwn˚te‡, parole con cui lo scoliasta ha
chiosato l’epiteto ajkrovkomoi, riferito all’acconciatura dei Traci come in Hom. Il.
IV 533. Il supplemento oiJ a[kråwç‡ komw'n˚te‡ proposto da Reitzenstein 1899, p.
859, pur congruo quanto a significato, pone problemi paleografici, in quanto i
successivi rilievi dello Schwartz ap. Masson 1951, p. 432 hanno mostrato che
lo spazio della lacuna non può contenere meno di tre lettere. Improbabile però
anche il supplemento oiJ ajkråokovmwç‡ komw'n˚te‡ di Masson 1962a, p. 83, longius
spatio e oltretutto tautologico; più attendibile appare la proposta oiJ a[kråa
k(efa)lh'ç‡ komw'nt˚ e‡ di Degani 19912, p. 169 (vd. anche Id. 19771, p. 37), cl. Hsch.
a 2613 L. ajkrovkomoi: ta; a[kra th'‡ kefalh'‡ komw'nte‡ – cfr. anche Phot. a 859 Th.
ajkrovkomoi: metrivw‡ komw'nte‡ h] livan. h] ta; a[kra th'‡ kefalh'‡ komw'nte‡ (= EGen.
a 365; EM. a 53; ESym. I 236, 10 L.-L., nonché Sud. a 1005 A.) ≅ Ps-Zon. Lex a
101 T., inoltre sch. Hom. Il. IV 533 ajkrovkomoi: h] oiJ polla; komw'nte‡ h] oiJ mev‡w‡ –,
con rinvio per il compendio a Lehmann 1880, p. 19; o, preferibilmente, oiJ a[kråa
kefa(lh')ç‡ komw'n˚te‡25. Non è da escludere oiJ ajkråaivwç‡ komw'n˚te‡, ipotizzato da
Degani 1970-1972, p. 67, anche se ajkråaivwç‡ (= a[krw‡) non risulta altrimenti at-
testato.

Fr. a 7 = Hippon. °194, 7 D. (= *115, 7 W.2)


Al v. 7 il papiro reca enqanaplh‡ei (sc. e[nq¦ ajnaplhv‡ei), insufficiente a col-
mare la misura del trimetro. Nell’interlinea si è letto ˙˙llanaplh‡a˙ (Reitzen-
stein 1899, p. 858), poçlla˙˙p˚l˚h˚‡˚e˚˙˙ (Blass 1900b, p. 343), çl˚la˚˙˙pli‡a˚iå˙˙çk˚a˚
(Schwartz ap. Masson 1951, p. 428), poçlla˚n˚a˚plh˚‡˚e˚åikaçk˚a (West 19892, p. 150),
ed è verosimile che la nota non sia di tipo esegetico, come accade altrove, ma
serva a integrare il verso, restituendone il metro, e sia forse stata vergata dallo
stesso scriba, data la grafia di ampio modulo e poco corsiva rispetto alle altre
note interlineari. Reitzenstein 1899, p. 859 nel testo restituisce e[nqfia povll¦Ý aj-
naplhv‡ei kakav, proposta che risponde egregiamente alle esigenze metriche e
formali del componimento. Così formulato, il verso ripropone strutture già

24
Tuttavia, come segnalava Diehl 19173, p. 4 in apparato, il sito appare annoverato tra le città
tracie del Bosforo in Hdt. IV 93 oiJ me;n ga;r dh; to;n ’almudh‡‡o;n e[conte‡ Qrhvike‡ kai; uJpe;r ¦Apollwnivh‡
te kai; Me‡ambrivh‡ povlio‡ oijkhmevnoi, più chiaramente in Mela II 2, 23 recta dehinc ora, nisi quod media
ferme in promunturium quod Thynian vocant exit, et incurvis contra se litoribus obtenditur, urbesque su-
stinet Halmydeson et Philias et Phinopolim e Plin. NH IV 45 oppida Thynias, Halmydesos, Develton cum
stagnis. Vd. anche Reitzenstein 1899, p. 860 n. 7.
25
Vd. McNamee 1981, pp. 49 e 118 nr. 2.
P.Stras. inv. G 3a-b 291

epiche (cfr. anche Archil. fr. 130, 4 W.2 e[peita polla; givnetai kakav), in particolare
ricalcando da vicino Hom. Il. XV 132 ajnaplhv‡a‡ kaka; pollav (cfr. anche Hdt. V
4, 2 o{‡a ... ajnaplh'‡ai kakav). West l.c. preferisce e[nqfia povll¦Ý ajnaplhv‡ai kakav,
una scelta che conserverebbe una maggiore uniformità nel dettato, esprimendo
l’augurio con lo stesso modo verbale utilizzato nel resto del componimento.
Tuttavia si può osservare che il futuro, meno atteso e banale dell’ottativo,
spiega la necessità di apporre una chiosa da parte dello scriba, nello stesso
tempo assumendo nel contesto una particolare valenza espressiva: con l’uso
di questa forma il poeta conferisce icastica evidenza all’esperienza del naufra-
gio; in qualche modo essa viene così prefigurata e assaporata nella sua pros-
sima realizzazione (vd. Cantarella 1944, p. 48).

Fr. a 10 = Hippon. °194, 10 D. (= *115, 10 W.2)


Sopra -i˚coi e sino alla fine del margine destro, Reitzenstein 1899, p. 858
legge epei / h po geno˚i˚, da cui Diels (ibid. p. 859 n. 7) azzarda una decodifica-
zione ejpeiv (ej‡tin) hJ pov(li‡) fiuJ(pe;r)Ý tenavg(ou‡), con rinvio a [Scymn.] 724 s. aij-
gialov‡ ti‡ ’almudh‡‡o;‡ legovmeno‡ | ejf¦ eJptakov‡ia ‡tavdia tenagwvdh‡ a[gan.
Analogamente tenta di supplire Diehl 19173, p. 5 ejpeiv (ej‡tin) hJ pov(li‡)
t˚ena˚g˚åwvdh‡ç. Blass 1900b, p. 344 legge invece epei (ej‡tin) hga˙˙ g˚enoit˙, ipotiz-
zando una glossa affatto improbabile: leivpei: eij ga;r gevnoitov me ijdei'n. Più cauto,
West 19892, p. 150 si limita a riportare la lettura dello Schwartz (ap. Masson
1951, p. 429) epei / h˚˙˙˙enoi / .

Fr. a 12 = Hippon. °194, 12 D. (= *115, 12 W.2)


Nell’interlinea del margine destro Reitzenstein 1899, p. 859 n. 9, individua
tracce compatibili con ajkråatçh;˚‡˚ åw[nç – o meglio ajkra˚t˚h;˚‡˚ w˚[n˚, dato che il sup-
porto è integro, ma gran parte delle lettere è evanida – da intendere come
chiosa di ajkra‡ivhi. Per parte sua Blass 1900b, p. 345 ad l. annotava: “ich finde
ak˚råa˚燔, mentre Schwartz ap. Masson 1951, p. 432 decifra un problematico
ak˚ra˚‡å˙ço˚i˚.

Fr. a 13 = Hippon. °194, 13 D. (= *115, 13 W.2)


Nell’interlinea lo scoliasta spiega la locuzione a[kron para; rJhgmi'na con kat¦
a[kron to;n aijgialovn, chiosa che dà conto del valore avverbiale di a[kron e, nello
stesso tempo, rende chiaro il significato da attribuire a rJhgmi'na; inoltre, l’im-
piego di katav mette nitidamente a fuoco la collocazione spaziale del naufrago,
che si trova a giacere bocconi “presso l’estremità della battigia” (vd. Degani
2007, p. 157).

Fr. a 15 = Hippon. °194, 15 D. (= *115, 15 W.2)


Lo scolio interlineare ejpi; oJrkivoi‡ pare una spiegazione piuttosto che una cor-
292 Hipponax 3

rezione del dato del papiro, che riporta eforkioi‡, sc. ejf¦ oJrkivoi‡¦ vel oJrkivoi‡ (con-
tra West 19892, p. 151, che conseguentemente corregge il testo in ejp¦ oJrkivoi‡¦)26.
Blass 1900b, p. 345 nel testo dell’interlinea individua l’esplicita menzione della
forma verbale composta corrispondente all’azione descritta dal costrutto con
preposizione: “Scholion als ejpiwvrkh‡e zu lesen ist”27; tuttavia Reitzenstein 1899,
pp. 858 e 860 n. 7, seguito a cinquant’anni di distanza da Schwartz ap. Masson
1951, p. 429, scorge nella notazione, pur con qualche incertezza, la sequenza
epiorki˚oi‡, sc. ejpi; oJrkivoi‡ (vd. supra)28. Appare credibile che la notazione derivi
dalla volontà di puntualizzare, forse anche in modo pedante, la scriptio plena e
prosastica corrispondente a quella poetica doppiamente elisa nel testo.

Fr. a 17 = Hippon. °195, 1 D. (= *116, 1 W.2)


Sul margine sinistro si individua una paragraphos, accompagnata da coro-
nide, ad indicare fine di componimento29. Sul medesimo margine, in corrispon-
denza del r. 17, si legge una notazione disposta su due righi, dei quali il
secondo è quasi in linea con il primo verso del secondo componimento conte-
nuto nel frustolo. Reitzenstein 1899, p. 858, legge l˚aig˚i˚eiop (con p soprascritto
a o) û pa˚l˚˙, notazione che Blass, in un primo momento (1900a, p. 102 n. 1), in-
terpreta, limitatamente al secondo rigo, come parte del titolo del componi-
mento precedente, in cui sarebbe stato spiegato chi fosse il personaggio contro
cui è indirizzato l’odio del poeta: eij‡ Bouvçpal(on). Successivamente (1900b, p.
345 ad l.), Blass tenta di decifrare anche il rigo precedente, credendo di poter
restituire ‡hçmaivnei û to;n Bouvçpal(on), una chiosa esplicativa che rivelerebbe
l’identità dell’ eJtai'ro‡ colpevole di aver violato i giuramenti e confermerebbe,
senza alcun dubbio, la paternità ipponattea dell’epodo30. Tuttavia, come già
notava Cantarella 1944, pp. 7 s., data la posizione assai prossima alla paragra-
phos, la notazione potrebbe riferirsi non al primo, ma al secondo componi-
mento, e contenere, se non il titolo, un breve appunto riguardante l’argomento:

26
La psilosi ionica è attestata sia in Archiloco (cfr. fr. 196a, 16 W.2 ejp¦ hJ‡ucivh‡) che in Ipponatte (cfr.
ad es. frr. 70, 2 ejp¦ h|i e 72, 5 D. ejp¦ aJrmavtwn).
27
Diversamente Blass 1900a, pp. 102 s. n. 1, asserisce che sopra ad ejf¦ oJrkivoi‡ “ist die Correktur
ejpi; oJrkivoi‡ übergeschrieben”.
28
Deduce Masson 1951, p. 431: “le texte ejf¦ oJrkivoi‡¦ doit être corrigé en ejp¦ oJrkivoi‡¦, [...] confor-
mément à la ‘scholie’ interlinéaire ejp(i;) oJrkivoi‡, qui est une correction en même temps qu’une in-
terprétation”. Ma, come già notava Perrotta 1938, pp. 22 s., si tratterebbe di una correzione banale.
29
Cfr. West 19892, p. 151 ad l.: “novi carminis initium indicat paragraphus cum coronide”; diver-
samente Masson 1951, p. 432, secondo il quale il frammento è “séparé du poème précédent par
une simple paragraphos”. Non del tutto perspicua l’indicazione fornita da Reitzenstein 1899, p.
858, che si limita a riportare il segno di paragraphos nella trascrizione diplomatica del testo, senza
alcuna nota di commento. Identica a quella di West (l.c.) la posizione di Degani 19912, p. 173.
30
Si dichiara favorevole a tale ipotesi Perrotta 1938, p. 38; contra Leo 1900, p. 7 (= 1960, p. 143):
“facete ille (sc. Blass) pal initio sequentis carminis ascriptas litteras Bouvpalon significare coniecit,
sed non dicam quot alia fuisse potuerint”.
P.Stras. inv. G 3a-b 293

qualcosa di simile all’annotazione marginale relativa ai righi iniziali del primo


componimento. Il riesame paleografico di Schwartz ap. Masson 1951, p. 429 ha
portato ad una diversa proposta di lettura: çl˚ain˚ei˙ û pa˚l˚, con identificazione
incerta soprattutto del l del primo rigo. Sulla base di queste tracce, Degani
19771, p. 36 propone di integrare: ‡ilçl˚aivnei û˚ to;n Bouvçpa˚l˚(on), espressione con
la quale “l’antico chiosatore avrebbe [...] inteso precisare che nel nuovo carme
il poeta – ovviamente Ipponatte – prende in giro l’odiato Bupalo”. Per parte
sua, dopo revisione autoptica, West 19892, p. 151 propone ç˙lai˚m˚ei û˚ çpa˚l˚/, con
segno finale di abbreviazione (/) già intravisto da Blass (1900b, p. 342)31. Un
riesame delle tracce superstiti32 potrebbe accreditare una lettura ç le˚ivpei p(ro;‡)
vel pr(o;‡) û Bouvçpa˚l˚(on), un’indicazione con la quale il grammatico avrà voluto
segnalare l’omissione di un titolo o di una notazione come Contro Bupalo, con
riferimento al componimento o alla sezione che comincia da questo punto in
poi: la chiosa è infatti tracciata in corrispondenza della paragraphos, accompa-
gnata da coronis. È ben noto in ambito erudito l’uso del verbo leivpw ad indicare
un elemento tralasciato o mancante33, così come sono attestati il compendio p†
per p(rov‡)34 o il monogramma ˜ per pr(ov‡)35.

Fr. b 3 = Hippon. °196, 3 D. (= *117, 3 W.2)


Circa alla stessa altezza dell’hemiepes (v. 3) si intravvedono, sul margine de-
stro, alcune tracce parzialmente evanide. Il Reitzenstein 1899, p. 862 e n. 1 at-
tribuisce lo scolio al rigo successivo (v. 4) ed ipotizza che la notazione – e.g.
gewtovmåo‡ ejrgavth‡ (cl. EGud. 503,9 S. s.v. ‡kafivdion: … ‡kafeivdion de; to;
gewrgiko;n ejrgalei'on: kai; ga;r ‡kafeu;‡ oJ ejrgavth‡) – contenga la spiegazione di
un epiteto raro, riferito al nome di Ipponatte, supposto in lacuna, e.g. ŞIppw'naåx
‡kafeuv‡. Tuttavia tale proposta d’integrazione rimane del tutto aleatoria36; inol-
tre, come osserva Blass 1900b, p. 346, il termine gewtovmåo‡, di per sé raro e poe-
tico, risulterebbe poco idoneo come explicatio di ‡kafeuv‡, mentre sarebbe logico
attendersi semmai il più comune gewrgov‡. Lo Schwartz ap. Masson 1951, pp.
432 s. individua piuttosto la sequenza ˙e˙ tamå˙, sulla cui scorta Masson 1951,
p. 433, commenta: “la lecture en est d’ailleurs fort incertaine, peut-être t˚ew˚ta˚m?

31
Sul segno di compendio per -on, cfr. Lehmann 1880, pp. 71-75; Allen 1889, p. 20 (= 1974, p. 152).
Dubbio il segno (c ?) che si individua al di sotto del secondo rigo.
32
Vd. Nicolosi 2010, pp. 16 s.
33
Vd. Dickey 2007, pp. 119 e 244.
34
Vd. McNamee 1981, p. 86; Kenyon 1899, p. 154. Da segnalare che McNamee 1977, p. 496 (ubi le-
gendum: “P.Strassb. inv. gr. 3 a-b”), pur senza decodificarlo, registra un non meglio specificato
compendio p†, probabilmente da riferire a questo punto del papiro.
35
Attestato anche l’uso di p con r ad esponente (pr), vd. McNamee 1981, p. 86.
36
Forti perplessità solleva l’appellativo, giudicato oltre tutto poco adatto per il poeta di Efeso, vd.
Perrotta 1938, pp. 20 s.
294 Hipponax 3

La restitution de gewtovmåo‡ est donc très hypothétique”. Da ultimo, Tsantsano-


glou 2010, pp. 26 s. – praeeunte Perrotta 1938, pp. 20 s., che riferiva lo scolio al
rigo che precede l’hemiepes (v. 2), per analogia con la posizione della chiosa
successiva (v. 7) – riconduce la nota a kurtovn del v. 3. L’annotazione, per cui lo
studioso ellenico propone la lettura pep˚tamåevnw‡, vale a dire “ ‘spread out’, i.e.
‘grandly wide, swellingly’ ” (p. 27), servirebbe a spiegare il valore avverbiale
del termine, in un tentativo di restituzione del testo che suonerebbe: h] clai'nåan
ejclivdça‡ tin¦ hjåmfie‡mevno‡ | kurtovn, da interpretare “... or you swaggered about
wearing a cloak swollen up (as if by the wind)” (ibid.).

Fr. b 7 = Hippon. °196, 7 D. (= *117, 7 W.2)


La chiosa marginale è riferita al v. 6 (a\ mavkar o{åti‡), pur trovandosi sullo
stesso rigo dell’hemiepes (v. 7), del quale sfrutta la minor estensione. La nota-
zione, ancorché “unvollständig” (Reitzenstein 1899, p. 863 n. 2), permette di
individuare con certezza la presenza del termine makario‡, lettura confermata
ed ampliata da Schwartz ap. Masson 1951, p. 429 makario‡o‡˚t˚o˚n˚. Già l’editor
princeps, peraltro, suggeriva fiduciosamente qualcosa come makavrio‡ o}‡ to;n
å¦Arivfanton oujk ei\den.

Fr. b 11 = Hippon. °196, 11 D. (= *117, 11 W.2)


Nell’interlinea, in corrispondenza di pevfhåneç , si legge faû˚n˙ro‡û˚ (Reitzen-
stein 1899, p. 862) vel faû˙˙˙‡û (Schwartz ap. Masson 1951, p. 430), sciolto da
Diels ap. Reitzenstein 1899, ibid. n. 7 come fanåeçrov‡ (ej‡ti), una notazione di ca-
rattere didascalico per spiegare il valore intransitivo del perfetto.

ANIKA NICOLOSI
4

O.Berol. inv. 12605 [⇒ III Lexica] saec. IIIa

Voce di lessico (?)

Prov.: Elephantine (?).


Cons.: Berlino, Ägyptisches Museum.
Edd.: WILAMOWITZ 1918, pp. 739-742. Hipponax (rr. 8-10): DIEHL 19523, p. 93 (fr. 42A); ME-
DEIROS 1961, pp. 100-101 (fr. 62); MASSON 1962a, p. 66 (fr. 49); WEST 19892, p. 124 (fr.
49); ADRADOS 19903, p. 38 (fr. 49); DEGANI 19912, p. 84 (fr. 67); GERBER 1999, pp. 390-
393 (fr. 49 W.2); SUÁREZ DE LA TORRE 2002, p. 270 (fr. 67 D.2).
Tabb.: CRIBIORE 1996, pl. XXV (nr. 237); http://smb.museum/berlpap/index.php/ 03587/.
Comm.: MP3 2131; LDAB 2362 FRAENKEL ap. MORGENSTERN 1918, p. 366; POWELL 1919,
pp. 90-91; CALDERINI 1921, pp. 79-80; HUMPERS 1921, pp. 90-92; BELL 1922, p. 84; WI-
LAMOWITZ 1924, p. 273 (= 1962, p. 367); KÖRTE 1924, pp. 243-244 (nr. 638); KNOX 1929,
p. 65; WYSS 1936, pp. 32-33 (ad fr. 57); VAN DER VALK 1949, p. 82; COLLART 1939, p.
298 (Pap. f); JACHMANN 1949, p. 212 n. 2; METTE 1955, p. 201 (nr. 120); MASSON 1962a,
p. 136 (ad fr. 49); S. WEST 1967, pp. 260-263; UEBEL 1976, p. 245; CRIBIORE 1996, p. 228
(nr. 237); DEGANI 2007, pp. 30-31 e 114; ESPOSITO 2014, pp. 159-175.

Si tratta di un ostrakon del III secolo a.C. costituito da due pezzi perfetta-
mente combacianti tra loro, appartenenti a un grosso vaso di argilla. Il testo
viene collocato tra gli esercizi di scuola, ma è vergato con una semi-corsiva che
denota una mano esperta, forse quella di un maestro o di uno scolaro adulto1.
I 10 righi conservati riportano almeno tre termini2, di caratura poetica, spiegati
con relative citazioni tratte da Antimaco (frr. 68 Matthews [= 57 Wyss; W.2] +
[208] Matthews [= dub. 159 Wyss]), Ipponatte (fr. 67 D.; 49 W.2) e Omero (Od.
XI 311 e XXI 390 s.). I due lemmi individuabili con certezza sono disposti in

1
Vd. Cribiore 1996, p. 228: “even, practiced literary hand, a teacher or an older student”; vd. anche
Körte 1924, p. 244, e West 1967, p. 260 e n. 219.
2
Il primo termine, celato in lacuna, potrebbe essere ei[‡ato (Humpers 1921, p. 91), cui si dovrebbero
riferire i rr. 1-3, nei quali Humpers (ibid.) ipotizza la citazione di Hom. Il. XXIV 319-321, Wilamo-
witz 1918, p. 740 di un poeta epico ignoto, Wyss 1936, p. 72 di un nuovo frammento di Antimaco
(dubia fr. 159 = [208] Matthews); il secondo è ‡ou'‡a (vel ou\‡on, corr. Powell 1919, p. 91 cl. Hsch. o
1871 L. s.v. ou\‡a: ‡coiniva, new'‡ o{pla), esemplificato nei rr. 4-10 da Hom. Od. XXI 390 s. e Antim.
fr. 68 Matthews (= 57 Wyss; W.2); il terzo, infine, w|ro‡, spiegato con Hom. Od. XI 311 e Hippon. fr.
67 D. (49 W.2). Una revisione dell’ostrakon in Esposito 2014, pp. 159 ss., che individua tracce di
scrittura al di sopra del r. 1.
296 Hipponax 4

ordine alfabetico; tuttavia la distanza tra le lettere incipitarie (e å?ç, ‡, w) appare


notevole, tanto che Stephanie West (1967, p. 260) ipotizza un estratto o note
stravaganti pertinenti a un lessico3.

rr. 8-10 = Hippon. 67 D. (= 49 W.2)

w| r o‡:
ejniautov‡. ejnnevwroi ga;r toiv ge (Hom. Od. XI 311). ŞIppwvnakto‡: ponhro;‡
å ç˙˙å˙˙˙ç˙oi pav˚n˚t˚a‡ ¦A‡wpodw˚vrou pai'da k˚å

8-10 sia la citazione omerica sia quella ipponattea sono precedute da un vacuum di circa una let-
tera
——
10 åw{rou‡ Wilamowitz, probb. Diehl 19523, Adrados 19903, Masson 1962a, West 19892, Degani
2007; åejnnevwr- Medeiros 1961

anno: ciclo dell’anno, a nove anni infatti essi. Di Ipponatte: malvagio ... tutti
(gli anni) … di Asopodoro il figlio ...

La parte finale del r. 8 e gli ultimi due righi dell’ostrakon riportano la spie-
gazione relativa all’impiego della voce w|ro‡ con il significato di ‘anno’, un uso
ben documentato dalla lessicografia, cfr. Hsch. w 369 H.-C. s.v. w|roi: oiJ ejniautoiv
e 370 s.v. w|ro‡: ejniautov‡, Sud. w 202 A. s.v. w|ro‡ oJ ejniautov‡. ktl, Orion Et. w 169,
8 s. w|ro‡ oJ ejniautov‡. para; to; ta;‡ w{ra‡, o{ ej‡ti ta;‡ tropav‡, a}‡ perievcei. A conferma
vengono citati Hom. Od. XI 311 (cfr. sch. ad l. ejnnevwroi: ejnneva wJrw'n h[toi crovnwn
ed Eustath. ad Od. X 390, p. 1662, 53 s. ejnnevwroi de; ‡uve‡ h] oiJ ejnnaetei'‡ ... wJ‡ ajpo;
tou' w|ro‡ oJ ejniautov‡, ad Il. XVIII 351, 1146, 43 [p. 189, 6 V.] e[laion de; ejnnevwron to;
ejnnaetev‡, w|ro‡ ga;r oJ ejniautov‡) e due versi, probabilmente coliambi (vd. Wila-
mowitz 1918, p. 742; Adrados 19903, p. 38 e Masson 1962a, p. 66), di un altri-
menti ignoto frammento di Ipponatte (fr. 67 D.; 49 W.2)4. La West 1967, p. 263

3
A un glossario in cui la successione dei lemmi, solo casualmente alfabetica, rispecchierebbe l’or-
dine con cui essi comparivano in una perduta opera letteraria, pensa Vannini 2009a, p. 125.
4
A torto nega la presenza del nome del poeta di Efeso Humpers 1921, p. 92, che, pur consapevole
di introdurre un’ipotesi fondata “sur une base fragile”, oltre tutto senza aver visto l’ostrakon, con-
gettura, in luogo di ŞIppwvnakto‡: ponhro;‡ å, la continuazione dell’esametro omerico citato ejnnevwroi
ga;r toiv ge e l’inizio di quello seguente, vale a dire Od. XI 311 s. kai; ejnneaphvcee‡ h\‡an û eu\ro‡: tale
proposta contravviene palesemente alle tracce superstiti e non spiega il vacuum, che perde di si-
gnificato se collocato tra due cola di uno stesso verso.
O.Berol. inv. 12605 [⇒ III Lexica] 297

sottolinea la strana tipologia di questa citazione, che omette il nome del primo
autore citato, Omero, diversamente da quanto si riscontra nei righi antecedenti
riportati dall’ostrakon, e suggerisce la possibile confusione tra due note w|ro‡:
ejniautov‡ e ejnnevwroi: ejnnaetei'‡. Il nome di Omero è peraltro già comparso nella
precedente citazione; inoltre, come sottolinea la stessa West, il termine chiosato,
w|ro‡, e quello contenuto nel passo omerico, ejnnevwroi, ricorrono spesso in cop-
pia nelle glosse dei lessici, talora in riferimento al medesimo luogo odissiaco:
cfr., ad es., Hsch. e 3196 L. s.v. ejnnevwroi: ejnnaetei'‡, w|ro‡ ga;r ejniautov‡ (cfr. EGud.
e 478, 104 s. ejnnevwroi: ajnti; tou' ejnnaetei'‡, para; to; w|ro‡ to; ‡hmai'non to;n ejniautovn,
EM. 343, 22 ejnnevwroi: ejnnaetei'‡, w|ro‡ ga;r oJ ejniautov‡, Ps.-Zon. Lex. e 717 T. ej-
nnevwroi: ejnnaetei'‡, w|ro‡ ga;r oJ crovno‡).
Per quel che riguarda il frammento ipponatteo, nel primo verso (= r. 10,
init.), subito dopo ponhrov‡, all’inizio della lacuna5, Wilamowitz 1918, p. 742
(vd. anche Id. 1924, p. 273 [= 1962, p. 367]) ipotizza w{rou‡, mentre Medeiros
1961 preferisce pensare a una forma di ejnnevwro‡, con rinvio alla sullodata cita-
zione omerica e ad Herond. 8, 5 (dove il termine pare assumere diverso signi-
ficato)6. Tuttavia, data la motivazione per la quale il testo di Ipponatte viene
richiamato, nella lacuna sarà giocoforza supporre la presenza di una forma del
termine w|ro‡. Annota Degani 2007, p. 114: “il senso generale poteva essere, ad
esempio, ‘un destino malvagio tormenti ogni anno (ponhro;‡ åw{rou‡ povtmo‡
ajlguvnçoi pavnta‡) il figlio di Asopodoro’ ”; similmente West 19892, p. 124 ad l.
“mala fortuna per omnes occupet annos Asopodori filium”; altrimenti Knox
1929, p. 65 “wicked for all his years beyond the son of Asopodorus”.
Nel secondo verso (r. 10, fin.) viene nominato il “figlio di Asopodoro”.
Nulla sappiamo di questo personaggio, così come del padre, non altrove men-
zionato nei frammenti ipponattei. Wilamowitz 1918, p. 742 si limita ad osser-
vare: “ein Name, der den Flußgott Asopos enthält überrascht in Ephesos; mir
ist aus Ionien nur die spätere milesische Phyle ¦A‡wpiv‡ in Erinnerung”; Medei-
ros 1961, pp. LXII e 100 richiama la denominazione del fiume (“palavra micra-
siatica e nome de um rio, entre outras regiões, da Cária”) o un nome proprio,
forse connesso col personaggio ricordato in sch. Aristoph. Av. 17 p. 10 H. to;n
me;n Qarreleivdou ‡uvmmaco‡, ¦A‡wpovdwron. kai; ga;r ou|to‡ ejpi; ‡mikrovthti uJpo; Thle-
kleivdou kekwmwvidhtai (cfr. anche Sud. q 52 A. s.v. Qarreleivdh‡ e Phot. d 161 Th.),
deriso per la sua piccola statura in Eupol. frr. 255 e 306 K.-A., oltre che in Telecl.

5
Coincidente col bordo del primo dei due pezzi di cui si compone l’ostrakon.
6
Qui l’aggettivo è infatti riferito a nuvkte‡ (vd. Headlam in Headlam-Knox 1922, p. 378; Cunnin-
gham 1971, pp. 196 s.), a indicare il computo delle ore della notte (Casanova 1989, pp. 135 ss.), o
forse il lungo protrarsi delle stesse (Di Gregorio 2004, pp. 327-330).
298 Hipponax 4

fr. 50 K.-A. Ad un nome proprio pensano anche Masson 1962a, p. 136 (con rin-
vio a Becht. HPN 88), e Degani 2007, p. 114, che però lasciano sospesa l’identi-
ficazione7.

ANIKA NICOLOSI

7
Compare come nome proprio in Hdt. IX 69, 2, Pind. I. 1, 34, Lys. fr. 56 Carey; un omonimo autore
di giambi in prosa (SH 222 = II p. 46 W.2) è menzionato in Athen. X 445b ¦A‡wpovdwro‡ oJ Fliav‡io‡
u{‡teron ejcrhv‡ato ejn toi'‡ katalogavdhn ijavmboi‡ (cfr. anche XIV 631f), probabilmente autore anche
di scritti di argomento erotico, ibid. XIV 639d ajlla; kai; ta; ¦A‡wpodwvrou peri; to;n öErwta kai; pa'n
to; tw'n ejrwtikw'n ejpi‡tolw'n gevno‡ ejrwtikh'‡ tino‡ dia; lovgou poihv‡ewv‡ ej‡tin.
Hipponax - schede 299

SCHEDE

(a)

P.Oxy. XXXVII 2811 [⇒ II.4, adesp. com. 9 (?)]


Saec. II/IIIp. Prov.: Oxyrhynchus. Edd.: LOBEL 1971, pp. 34-38; AUSTIN 1973, pp. 366-
367 (CGFP fr. 366); KASSEL-AUSTIN 1995, p. 444 (PCG VIII fr. *1114). Tabb.: P.Oxy. XXXVII
(= LOBEL 1971), pl. VIII; www.papyrology.ox.ac.uk. Comm.: MP3 1897.1; LDAB 5094;
LUPPE 1973, pp. 325-326; LUPPE 1975b, p. 205; BOSSI 1978-1979a, pp. 41-43; DEL FABBRO
1979, pp. 126 (nr. 77) e 129; LUPPE 1980, p. 249; MAEHLER 1986, pp. 81 e 85; WEST 19892,
p. 20; BOSSI 19902, pp. 138-140; TROJAHN 2002, p. 208; PERRONE 2009a, pp. 82-92; PERRONE
2009b, pp. 215-217; NICOLOSI 2011, pp. 27-29; NICOLOSI 2014, p. 64.
Si tratta di uno hypomnema scritto sul verso1 di cinque frustuli papiracei (frr.
1-5a+b) in una maiuscola che rappresenta “a fair example of the common an-
gular type” (Lobel 1971, p. 35). Si distinguono alcuni lemmi che non sono ri-
conducibili a nessuna opera nota, ma risultano compatibili con un testo
composto in versi più che in prosa: ad es. qeoi'‡iv t¦ eu[ce‡qai (fr. 2, 8), ‡tupavzei
(fr. 5, 3 e 7), ku‡odakniaå (fr. 5, 10, cfr. Hsch. k 4734 L. s.v. ku‡odaknia'i: ywria'i)2
e ku‡oknh‡åia (fr. 5, 13).
Il Lobel 1971, p. 34 s., con particolare riferimento alla presenza di composti
di ku‡ov‡3, ipotizzò un commentario al testo di un poeta giambico, forse Ippo-
natte. In realtà, non ci sono elementi che riconducano in modo inequivocabile
al giambografo di Efeso, nei cui frammenti noti è attestato, oltre all’affine kuv‡-
qo‡ (fr. 183d D. = 174 W.2), soltanto un composto ku‡çochvnhi (fr. 83, 2 D. = P.Oxy.
XVIII 2174, fr. 14), da connettere con Hsch. k 4739 L. ku‡ochvnh: ei\do‡ de‡mou'. oiJ
de; eujruprwktivan, oiJ de; xuvlon ejn w|i aJmartavnou‡ai aiJ povrnai ejde‡meuvonto, cfr.
Phot. k 1264 Th. s.v. ku‡ochvnh: eujruprwktiva (vd. Degani 19912, p. 97 ad l. e Id.

1
Il recto contiene un testo in prosa – datato alla prima metà del II sec. d.C. e vergato con scrittura
assimilabile a quella riportata in P.Oxy. X 1234 (vd. Lobel 1971, p. 34) – nel quale si individua il
termine Lçeptinhn˚å : Lobel l.c. lascia dubbia l’identificazione del testo, mentre Austin 1973, p. 366
ipotizza la presenza di un’orazione; potrebbe forse trattarsi di un’esercitazione retorica che ri-
chiamava l’orazione demostenica kata; Leptivnhn.
2
Altri composti con ku‡o- sono riportati da Esichio: cfr. k 4733 L. s.v. ku‡obavkkari‡: h[toi to;n ku‡o;n
murivzwn: h] tw'i ku‡w'i murizovmeno‡, k 4735 L. ku‡olavkwn: ¦Ariv‡tarcov‡ fh‡i to;n Kleinivan ou{tw levge‡qai
wJ‡ tw'i ku‡w'i lakwnivzonta. to; de; toi'‡ paidikoi'‡ crhv‡a‡qai lakwnivzein e[legon (cfr. Aristoph. fr. 358
K.-A.), k 4737 L. ku‡onivptai: povrnoi.
3
L’osceno termine è attestato in Adesp. ia. fr. 53 W.2, Herond. 2, 44 e 8, 4 (suppl. Headlam), Callim.
fr. 191, 98 Pf. (ku‡w); cfr. Hsch. k 4738 L. s.v. ku‡ov‡: hJ pughv. h] gunaikei'on aijdoi'on.
300 Hipponax - schede

2007, p. 120). Ove l’ipotesi del Lobel cogliesse nel segno, nel fr. 4 r. 2 tru˚g˚å (legit
Austin, tr˙˙å Lobel 1971) potrebbe forse essere ricondotto a una spiegazione
concernente l’ ajtrugevtoio del fr. 126, 4 D., dato ciò che si legge nel prosieguo
del frammento: r. 3 mçhvte tou' karpou' Austin (dub. iam Lobel 1971); tuttavia gli
elementi a disposizione sono troppo vaghi per poter istituire un sicuro rap-
porto diretto con Ipponatte.
D’altro canto, è un dato di fatto che l’impiego di ku‡ov‡ e di molti dei lemmi
variamente connessi è riconducibile a un ambito comico: cfr. Adesp. com. frr. 186
ku‡olev‡ch‡ (Eustath. ad Il. IX 193, 746, 18 [pp. 696, 11 e 697, 1 s. V.]), 169 ejgku‡ivc-
wlo‡ (EGen. AIIB, EM. 311, 44, Ps.-Zon. Lex. p. 597), 378 ku‡ia'i (Hsch. k 4732 L.
s.v. ku‡ia'i: pa‡chtia'i), ku‡obavkkari‡ (Hsch. k 4733 L.), ku‡odaknia'i (Hsch. k 4734
L., cfr. fr. 5 r. 10), ku‡onivptai (Hsch. k 4737 L.), ku‡ov‡ (Hsch. k 4738 L.), 511 K.-A.
ku‡olavkwn (Phot. k 1263 Th. s.v. e Hsch. k 4735 s.v.), inoltre Cratin. fr. 460 K.-A.
ijwnovku‡o‡ (Phot. i 293 Th. s.v.) e Stratt. CGFP fr. *220, 96 diaku‡o‡aleuvwn. Prevale
quindi tra gli studiosi l’opinione che il commentario concerna il testo di un
poeta comico4. Nel frustolo di maggiori dimensioni (fr. 5a-b), in relazione alla
spiegazione del termine ‡tupavzei (cfr. Hsch. ç 2084 H. s.v. ‡tupavzei: bronta'i.
yofei'. wjqei'), vengono esplicitamente menzionati diversi autori. Al r. 5 si indi-
vidua il nome di Archiloco cui segue la citazione del fr. 47 W.2, noto in prece-
denza da testimoni etimologici, scoliografici e lessicografici meno completi e
talvolta corrotti5. Poco prima (r. 3) si legge il nome di Ammonio (FGrHist 350
fr. novum), mentre al r. 6 del medesimo frammento si distingue l’onomastico
Cai'riå‡ (cfr. Aristoph. Test. 120 K.-A.), probabilmente da riferire al grammatico
di scuola aristarchea citato, così come Ammonio, in alcuni scholia ad Aristofane
(cfr. in particolare sch. in Vesp. 1238b, p. 195 Koster)6. I due eruditi erano proba-
bilmente menzionati per supportare autorevolmente la doppia etimologia at-
tribuita al termine ‡tupavzw, ricondotto dal primo a ‡tuvpo‡, secondo il significato
evincibile dal frammento archilocheo7, e dall’altro a ‡tupiva (= ‡tuppei'a), i.e. ‡tup-
pei'on vel ‡tuvpph (vd. Bossi 1978-1979a, p. 43; Id. 19902, pp. 138 s.)8.

4
Vd. Perrone 2009a, p. 83 e 2009b, pp. 215-217; Trojahn 2002, p. 208; West 19892, p. 20; Maehler
1986, p. 85; Luppe 1973, p. 325; Austin 1973, p. 366 (CGFP fr. 366). Lo stesso Lobel (p. 35) indivi-
duava nel commentario anche elementi attici, come la crasi nel fr. 5a, 10 s. (taujûtçw'i) e il termine
kovrai (vel kovran legit Perrone 2009a, pp. 87 s. e 91; 2009b, p. 217) del r. 9, forse anch’esso parte di
un lemma; non è improbabile, quindi, che il commentario debba essere riferito a un testo comico.
5
Puntualmente elencati da West 19892, p. 20.
6
Difficile pensare all’omonimo personaggio di Aristofane (Ach. 16 e 866 detto di cattivi auleti al-
lontanati dalla porta, Pax 951, Av. 857) o a un altro poeta comico. Sui due discepoli di Aristarco,
vd. Montana 2005b e 2006; vd. anche Perrone 2009a, p. 83 n. 3; Bossi 1978-1979, p. 42 n. 4; Luppe
1973, p. 325; Lobel 1971, p. 38.
7
Cfr. anche a 6053 L. s.v. ajpe‡tuvpazon: xuvloi‡ ajpedivwkon (sch. Ap. Rh. I 1117, EGen. AB s.v. [= gl.
14 Calame], EM. 120, 3). Vd. anche Bergk 18824, p. 423 ad fr. 127.
8
Per l’interpretazione del frammento archilocheo, vd. anche West 1974, p. 125.
Hipponax - schede 301

Ai rr. 9 s., se si accoglie il supplemento di Luppe 1973, p. 326 (e[pa˚iåxe pro;‡


tçh˚;n), si potrebbe ipotizzare un’integrazione kn˚åuûzçhvn: dopo k è possibile indi-
viduare, nel bordo sfrangiato del papiro, l’asta verticale di ny, cui si può ipo-
tizzare dovesse seguire in lacuna una sola lettera; inoltre, all’inizio del rigo
seguente, la lacuna cela non più di una lettera9. Tale supplemento risulterebbe
in qualche modo in sintonia col termine seguente, secondo la chiosa di Hsch.
k 4734 L. s.v. ku‡odaknia'i: ywria'i (Adesp. com. fr. 378 K.-A.): il difficile aggettivo,
infatti, che compare in Anacr. fr. 87 (PMG 432) P. knuzhv ti‡ h[dh kai; pevpeira giv-
nomai û ‡h;n dia; margo‡uvnhn, è probabilmente connesso con knuvw/knuvo‡ (cfr. Hes.
fr. 133 M.-W.) e col verbo knuzovw, attestato in Hom. Od. XIII 401 knuzwv‡w dev
toi o[‡‡e pavro‡ perikallev¦ ejovnte e 431-433 ajmfi; de; devrma û pavnte‡‡in meleve‡‡i pa-
laiou' qh'ke gevronto‡, û knuvzw‡en dev oiJ o[‡‡e pavro‡ perikallev¦ ejovnte. Quale che sia
l’esatto significato del verbo (cfr. Eustath. ad Od. XIII 401), probabilmente con-
nesso con un’idea di rendere la pelle rugosa e fors’anche secca, in entrambi i
passi esso concerne la descrizione di uno stato fisico compromesso a causa
della vecchiaia10. Gli scolii omerici ad Od. XIII 401, p. 576, 22-26 D., spiegano
knuzwv‡w dev toi o[‡‡e con ywriav‡ai ‡e poihv‡w: rJu‡wv‡w, kakwv‡w ‡ou tou;‡ ojfqalmouv‡,
ajprepei'‡ kai; rJu‡ou;‡ poihv‡w, oJpoi'oiv eij‡in oiJ tw'n kaqeudovntwn (BQ kai; ‡u‡pav‡w
kai; kakwv‡w). Tale valore semantico è confermato da Sophr. fr. 53 K.-A.
knuzou'mai de; oujde;n ij‡cuvwn: aJ de; xu‡ma; ejk podo;‡ eij‡ kefala;n iJppavzetai, cfr. Hsch.
x 191 L. s.v. xu‡mav: knhvfh, levpra. Come negli scolii omerici, inoltre, anche nel
nostro commentario compare il riferimento agli occhi, organo connesso con la
patologia: r. 8 çw˚i˚ pt˚ill˙utiqh˙å , fort. çw˚i˚ pt˚ivllo˚u˚ tiqh˙å (cfr. Phot. p 1477 Th. e
Sud. p 3028 A. s.v. ptivllo‡: oJ madaro;‡ toi'‡ blefavroi‡, vd. anche EM. 694, 34 s.)
Ps.-Zon. Lex. p 1590, 1 9-21 T. e Hsch. p 4227 H. s.v. ptivlo‡:, r. 9 kovrai forse nel
senso di ‘pupille’. La lunga spiegazione di Eustazio sopra ricordata – passo in
cui viene anche citato il frammento di Anacreonte – mette in evidenza un’in-
certezza etimologica della speculazione antica su knuzovw e la relativa costella-
zione lessicale, connessa talora con knuvw/knuvo‡ (knuvza), talaltra con
knuvw/knu'ma, detto del “grattare la porta” soprattutto nei comici (cfr. Aristoph.
Thesm. 481 e Eccl. 36).

ANIKA NICOLOSI

9
Vd. Nicolosi 2011, pp. 27 ss.; Ead. 2014, p. 64.
10
In ambito lirico l’attributo è spesso associato ad eccessi erotici, vd. Burzacchini 19771 (20052),
pp. 263 s.; Brown 1984, pp. 37-42; Nicolosi 2005, p. 252 e n. 61.
302 Hipponax - schede

***

(b)

P.Schub. 10 = BKT X 11
Saec. II/IIIp. Prov.: Egitto (Ossirinco?). Edd.: SCHUBART 1950, pp. 26-28; MCNAMEE
2007, pp. 455-456 e 526; UCCIARDELLO 2012, pp. 60-76. Hipponax: MEDEIROS 1961, pp. 200-
201 (fr. 131); MASSON 1962a, p. 93 (fr. 148b); ADRADOS 19903 (19812), p. 313 (fr. 184); WEST
19892, p. 163 (fr. 148b); DEGANI 19912, p. 160 (fr. 182) e Addenda p. 234. Tab.: MCNAMEE
2007, pl. XII; UCCIARDELLO 2012, Taf. XIII-XIV; http://smb.museum/berlpap/
index.php/04049/. Comm.: MP3 1840; LDAB 4964; LASSERRE 1951, pp. 187-188; MASSON
1962a, p. 175 (ad fr. 148b); MEDEIROS 1969, pp. 64-65 (ad fr. 148b); UEBEL 1976, p. 225; DE-
GANI 19841 (20022), p. 336; MCNAMEE 2010, p. 526; FÜHRER 2013, p. 60.

Si tratta di un frustolo di papiro, che riporta la parte finale (cfr. rr. 7 ss. = 13
ss.) di una colonna di scrittura11. Un insolito ampio spazio separa un rigo dal
seguente: nel vacuum una seconda mano ha tracciato alcune annotazioni di
modulo ridotto che in almeno due casi (al di sopra dei rr. 6 e 11 = 11 e 21) si
sviluppano a loro volta su due righi di scrittura. Nella nota collocata al si sopra
del r. 6 (= 10) viene proposto un termine lemmatizzato (çm˚orio) seguito dal
nome di Ipponatte e dalla citazione di uno o più probabilmente due versi del
poeta di Efeso scelti per esemplificare la spiegazione.

sscr. l. 6 (= 10) = Hippon. 182 D. (= 148b W.2)

çm˚orio( ) ŞIppw'n˚ax: calkwå


çdro(‡) e[conta w{‡te tri‡ko˚l˚å

çi oJppovtan aujtå

11
Il testo è vergato in una maiuscola libraria accurata databile al II/III sec. d.C. (vd. Schubart 1950,
pp. 26 ss.; McNamee 2007, p. 455; McNamee 2010, p. 526; propende per il II sec. d.C. Ucciardello
2012, pp. 60 s., che cita a confronto anche P.Oxy. XVIII 2174); viene qui indicata anche la corri-
spondenza con la numerazione dei righi proposta da Ucciardello 2012, pp. 69-71. Sul recto, in
basso a destra (rr. 29-31), si legge traccia di un conto, mentre il verso reca (rr. 25-27) il nome di uno
‡trathgov‡ ( çnivwi), fort. ¦Ammwvnio‡ vel Po‡eidwvnio‡, e altre tracce di scrittura (rr. 13-15). Nel testo, si
individuano locuzioni formulari e termini di caratura epica – come ‡toçnove‡‡an a[upånon Snell ap.
Schubart 1950, p. 28, vel potius ajut˚hv˚ån West 19892 ad l. (r. 5 = 9), ajlgiçnove‡‡an Ucciardello; kai; hJmi'n
(r. 7 = 13); qelhv‡ei vel ejqelhv‡ei (r. 9 = 17), fort. gavçmon iJmeroventa (r. 10 = 19); qumo;n e[ce‡ke‡ (r. 12 =
23) – ricondotti da Schubart 1950 a un componimento adespoto epico e ora rivendicati a un epodo
di un lirico arcaico, forse Archiloco, da Ucciardello 2012, pp. 62-68.
Hipponax - schede 303

1 çmorio pap. 2 çdro pap. e[cou‡a corretto in e[conta mediante tratto orizzontale segnato su
ou e scrittura nel sopralineo di nt dopo k, tracce compatibili anche con la parte inferiore dell’oc-
chiello di a
——
Hipponactis fragmentum calkw'ån ajndrov‡ û e[conta w{‡te tri‡ko˚lå rest. Adrados 19903 (19812); calkwå
ùÞþ qeumovrion ùÞÞ çndro‡ (vel å ùÞ qeumovrion ÞùÞÞ çndro‡) û e[conta‡ w{‡te tri‡ko˚å ÞùÞÞþ Lasserre ap.
Medeiros 1969, vix recte 1 qeuçmovrion ŞIppw'n˚ax: calkw'å Snell ap. Schubart, qui qeumovrion post
calkwå stetisse coni. trithçmovrion temptaverat Lasserre 1951; çm˚orio( ) McNamee 2007; qeuçmovrio‡
Ucciardello 2012 calkw'n˚å vel calkw'i˚å Ucciardello 2012 2 ajnçdrov‡(?) Schubart; çdro( ) McNa-
mee 2007 e[conta pap., e[conta‡ Lasserre, prob. Medeiros 1969 w{‡te tri;‡ ko˙å˙˙˙ Schubart;
w{‡te tri‡ko˚l˚å rest. Adrados 19903 (19812), probb. West 19892, Degani 19912, McNamee 2007, unde
e.g. tri;‡ ko˚l˚åaz- Ucciardello 2012

... parte (?). Ipponatte: bronz- ... [dell’uomo (?)] avendo come tri-(?) ...

I due versi sono così ricostruiti da Adrados 19903 (19812), p. 313 calkw'ån aj-
ndrov‡ û e[conta w{‡te tri‡ko˚l˚å (trad. “... de broncíneos ... de un hombre teniendo
como tres veces ...”)12; Lasserre ap. Medeiros 1969, p. 65 ipotizza calkwå ù Þ þ
qeumovrion ù Þ Þ çndro‡ (vel å ù Þ qeumovrion Þ ù Þ Þ çndro‡) û e[conta‡ w{‡te tri‡ko˚å
Þ ù Þ Þ þ, una ricostruzione che però modifica il testo tràdito (e[conta‡ pro e[conta
del papiro) e presuppone una lacuna troppo ampia tra calkwå e çndro‡. Non è
chiaro quale sia il legame tra la nota interlineare e il testo riportato dal rigo di
scrittura, data l’esiguità dello stesso (çi oJppovtan aujtå , aujtåovn dub. Schubart)13.
Dopo aver congetturato nella prima parte dell’annotazione qeuçmovrion, Snell
ap. Schubart 1950, p. 28, ipotizza che lo stesso vocabolo possa trovarsi anche
nel frammento ipponatteo, in lacuna, calkw' å˙˙˙˙˙ qeumovrion ˙˙˙˙ç14, e nel r. 6
del testo di riferimento, å˙˙˙˙ qeumovrion ˙˙˙˙˙çi oJppovtan, ipotesi meritevole di
considerazione, anche se qeumovrion è termine raro15 che non trova sicuro sup-
porto nel contesto16. Anche se il significato è in qualche modo intuibile, risulta

12
Lo studioso riferisce l’annotazione non al r. 6, ma al r. 5: “comentario [...] de un pasaje épico
que dice ‘grito resonante’” (p. 313 n. 3).
13
È arbitrario inserire il testo del r. 6 all’interno del frammento ipponatteo riportato dalla nota
nell’interlinea superiore, come stampa Medeiros 1961, p. 201 (calkw'å˙˙˙˙˙(qeu)movrion˙˙˙˙çi oJp-
povtan aujtå).
14
Masson 1962a, p. 93, pur annotando “restitutio incerta”, propone calkw'i [˙˙˙qeu]m˚ovrion.
15
L’affine qeumorivh è attestato in Ap. Rh. III 676 in riferimento a nou'‡o‡ e 974 riferito ad a[th (cfr.
sch. ad ll.), Callim. AP. XII 71 (30 Pf.), 4 e Antip. AP. VII 367, 4, mentre Hsch. q 428 L. s.v. chiosa
qeumoriva con ajparchv, qu‡iva h] o} lambavnou‡in oiJ iJerei'‡ kreva‡, ejpeida;n quvhtai, qeou' moi'ra (cfr. anche
q 429 s.v. qeumoriazevtw: qew'i gevra‡ ajnaferevtw).
16
Del tutto aleatoria l’ipotesi che il vocabolo possa implicare “uma referência ao adivinho Cícon,
outras vezes flagelado pelo poeta” (Medeiros 1961, p. 200). Non altrimenti attestato il trithçmovrion
di Lasserre 1951, peraltro ritrattato dallo stesso studioso per lettera (24.10.1964), vd. Medeiros
1969, p. 65 n. 210. Come alternativa Ucciardello 2012, p. 72 propone diçmorio( ), con rinvio a P.Oxy.
LXXIII 4952, r. 6 diçmoirivh‡.
304 Hipponax - schede

impossibile stabilire la morfologia di calkwå ; pare invece plausibile il supple-


mento, con relativo scioglimento del compendio, ajnçdrov‡, dubbiosamente pro-
posto da Schubart 1950, p. 27. Accurata e nitida la correzione di e[cou‡a in
e[conta. A fine di rigo, Schubart 1950, p. 27, separa triv‡ da ciò che segue; se-
guendo tale ipotesi e accreditando la lettura tri‡ko˚l˚å di Adrados 19903 (19812),
p. 313 (probb. West 19892, p. 163; Degani 19912, p. 160; McNamee 2007, p. 455),
Ucciardello 2012, p. 71 ipotizza tri;‡ ko˚lå˚ az-. Tuttavia non pare impossibile che
il paragone (w{‡te) introduca un vocabolo composto, con tri‡- primo compo-
nente (cfr. e.g. Poll. VI 165).

ANIKA NICOLOSI
INDEX PAPYRORUM

O.Berol. inv. 12605 = Hipponax 4


P.Amh. II 12 = Herodotus 4
P.Ant. I 28 = Hippocrates 3
P.Ant. II 60 = Hesiodus - scheda (c)
P.Ant. III 124 = Hippocrates 4
P.Ant. III 178 = Hesiodus 1
P.Ant. III 183 = Hippocrates 6
P.Berol. inv. 9764 = Hippocrates 2
P.Berol. inv. 11739A = Galenus 1
P.Berol. inv. 13360 = Herodotus 2
P.Berol. inv. 17042 = Hesiodus - scheda (e)
P.Berol. inv. 21178 = Galenus 2
P.Flor. II 115 = Hippocrates 1
P.Herc. 831, col. II 1-6 = Hippocrates 16
P.Herc. 1012 = Hippocrates 11 e Hippocrates 18
P.Köln I 19 = Hippocrates 5
P.Köln VII 311 + P.Oxy. LXXX 5221 = Hippocrates - scheda (a)
P.Mich. inv. 4270 = Hesiodus 2
P.Oxy. I 19 = Herodotus 3
P.Oxy. III 437 = Hippocrates 12
P.Oxy. VIII 1092 = Herodotus 5
P.Oxy. XIII 1619 = Herodotus 6
P.Oxy. XVII 2087, col. II 27-30, 40-41 = Herodotus 8
P.Oxy. XVII 2087, col. II 31-33 = Herodotus 1
P.Oxy. XVIII 2174 = Hipponax 1
P.Oxy. XVIII 2176 = Hipponax 2
P.Oxy. XXVIII 2484 = Hesiodus 5
P.Oxy. XXX 2511 + PSI XV 1465 = Hesiodus 6
P.Oxy. XXXVII 2811 = Hipponax - scheda (a)
P.Oxy. XXXVII 2822, fr. 1 = Hesiodus - scheda (f)
P.Oxy. LXV 4455 = Herodotus 7
P.Oxy. LXVIII 4648 = Hesiodus 3
P.Oxy. LXVIII 4649 = Hesiodus - scheda (a)
P.Oxy. LXVIII 4650 = Hesiodus - scheda (b)
P.Oxy. LXVIII 4651 = Hesiodus - scheda (d)
P.Oxy. LXVIII 4652 = Hesiodus 4
306 Index Papyrorum

P.Oxy. LXXIV 4970 = Hippocrates 13


P.Oxy. LXXX 5221 + P.Köln VII 311 = Hippocrates - scheda (a)
P.Oxy. LXXX 5231 = Hippocrates 10
P.Oxy. LXXX 5232 = Hippocrates 8
P.Princ. inv. AM 15960A + P.Schøjen inv. MS 2634/3 = Hippocrates - scheda (c)
P.Ryl. I 56v = Hippocrates - scheda (b)
P.Ryl. III 530 = Hippocrates 7
P.Schub. 10 = Hipponax - scheda (b)
P.Schøjen inv. MS 2634/3 + P.Princ. inv. AM 15960A = Hippocrates - scheda (c)
PSI XV 1465 + P.Oxy. XXX 2511 = Hesiodus 6
P.Stras. inv. G 26 = Hippocrates 9, Hippocrates 14 e Hippocrates 15
P.Stras. inv. G 3a-b = Hipponax 3
P.Tebt. II 678, col. IV 6-11 = Hippocrates 17
P.Tebt. III 897 (= P.Bingen 1) = Hippocrates 19
INDEX TABULARUM

Tab. I: P.Oxy. I 19 ⇒ Herodotus 3


Tab. II: P.Oxy. XIII 1619 ⇒ Herodotus 6
Tab. III e IV: P.Mich. inv. 4270 ⇒ Hesiodus 2
INDICE I.2.6

Prefazione V
Criteri editoriali VI
Curatori IX
Revisori dei papiri X
Siglorum et compendiorum explicatio XII
Conspectus librorum XIV

GALENUS 3
1 - P.Berol. inv. 11739A. Prolegomena di un commentario a De sectis 5
2 - P.Berol. inv. 21178. Citazione/parafrasi di De naturalibus facultatibus I 2 14

HERODOTUS 17
1 - P.Oxy. XVII 2087, col. II 31-33. Voce di lessico (Hdt. I 32, 8) 31
2 - P.Berol. inv. 13360. Voci di lessico (Hdt. V 116 e I 60) 34
3 - P.Oxy. I 19. Nota interlineare (diortotica?) a I 76, 3 36
4 - P.Amh. II 12. Aristarco, Commentario a I 171, 4?-215, 2 39
5 - P.Oxy. VIII 1092. Nota marginale (v.l.?) a II 162, 5 62
6 - P.Oxy. XIII 1619. Note marginali a III 31, 2; 54, 2; 60, 3 67
7 - P.Oxy. LXV 4455. Commentario a V 52-55 74
8 - P.Oxy. XVII 2087, col. II 27-30, 40-41. Voci di lessico (Hdt. VI 12, V 74) 90

HESIODUS 93
1 - P.Ant. III 178. Interlinear glosses on Theogony 102
2 - P.Mich. inv. 4270. Marginal glosses (now lost) on Theogony 105
3 - P.Oxy. LXVIII 4648. Discourse on poets’ knowledge of constellations,
with references to Works and Days 107
4 - P.Oxy. LXVIII 4652. Glossary to Shield 124
5 - P.Oxy. XXVIII 2484. Note on Catalogue of Women fr. 30
M.-W. (20 H., 27 Most) 133
6 - PSI XV 1465 + P.Oxy. XXX 2511. Marginal notes on Catalogue
of Women fr. 96 H. and fr. 212(b) M.-W. (99 H., 152 Most) 135

Schede 139
(a) P.Oxy. LXVIII 4649 139
(b) P.Oxy. LXVIII 4650 139
(c) P.Ant. II 60 140
(d) P.Oxy. LXVIII 4651 141
(e) P.Berol. inv. 17042 141
(f) P.Oxy. XXXVII 2822, fr. 1 143

HIPPOCRATES 145
1 - P.Flor. II 115. Commentario a De alimento 38-39 (Galeno?) 151
2 - P.Berol. inv. 9764. Citazione di Aph. I 1 156
3 - P.Ant. I 28. Titoletti marginali di Aph. I 2, 3 158
4 - P.Ant. III 124. Citazione di Aph. I 16 161
5 - P.Köln I 19. Glossa a Aph. II 21 penetrata nel testo? 163
6 - P.Ant. III 183. Note marginali a Aph. III 24, 27; IV 1, 4-5 165
7 - P.Ryl. III 530. Aph. IV 77-78, V 7, 8 (?), 9, 10 (?), 11 (?), 12-14, 16-22
con parafrasi-commento 172
8 - P.Oxy. LXXX 5232. Citazione di Aph. VI 12 e del nome di Ippocrate 184
9 - P.Stras. inv. G 26. Citazione di Art. 8, Nat. hom. 4 e Morb. I 2 188
10 - P.Oxy. LXXX 5231. Commentario adespoto a Epid. I 192
11 - P.Herc. 1012. Citazione di Epid. VI 5, 15; 7, 9 202
12 - P.Oxy. III 437, 7-11. Citazione di Iusiurandum 3, 5 203
13 - P.Oxy. LXXIV 4970. Menzione di Iusiurandum 205
14 - P.Stras. inv. G 26. Citazione di Morb. I 2 208
15 - P.Stras. inv. G 26. Citazione di Nat. hom. 4 209
16 - P.Herc. 831, col. II 1-6. Citazione di Prog. 7 in opera di Demetrio Lacone 210
17 - P.Tebt. II 678, col. IV 6-11. Citazione di Prog. 15
in un trattato sulla prognosi 212
18 - P.Herc. 1012, coll. XVIII 10 ss., XXI 1 s., XXIII 1-8.
Citazione di Prorrh. I 1-2, Epid. VI 5, 15; 7, 9 in opera di Demetrio Lacone 215
19 - P.Tebt. III 897 (= P.Bingen 1). Altra versione o commento di Vict. II 49 ? 221

Schede 224
(a) P.Oxy. LXXX 5221 (+ P.Köln VII 311) 224
(b) P.Ryl. I 56v 225
(c) P.Schøjen inv. MS 2634/3 + P.Princ. inv. AM 15960A 226

HIPPONAX 229
1 - P.Oxy. XVIII 2174. Note marginali e interlineari 233
2 - P.Oxy. XVIII 2176. Commentario a frr. 129-131 D. = 118 W.2.
Note marginali e interlineari 242
3 - P.Stras. inv. G 3a-b. Annotazioni marginali e interlineari
ai frr. °194-°196 D.; *115-*117 W.2 281
4 - O.Berol. inv. 12605. Voce di lessico (?) 295
Schede 299
(a) P.Oxy. XXXVII 2811 299
(b) P.Schub. 10 302

Index papyrorum 305


Index tabularum 307
TA B U L A E
TAB. I

P.Oxy. I 19 => Herodotus 3


TAB. II

P.Oxy. XIII 1619 => Herodotus 6


(Courtesy of The Egypt Exploration Society)
TAB. III

P.Mich. inv. 4270 recto => Hesiodus 2


(Courtesy of the University of Michigan Papyrology Collection)
TAB. IV

P.Mich. inv. 4270 verso => Hesiodus 2


(Courtesy of the University of Michigan Papyrology Collection)

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