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Volume pubblicato a cura del

Dipartimento di Studi Classici dall’Antico al Contemporaneo


Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara

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© Copyright by
Casa Editrice
Rocco Carabba srl
Lanciano
2011

Printed in Italy
Papini, Vailati
e la
“Cultura dell’Anima”
Atti dei Convegni di Studio
Chieti, maggio 2009 e gennaio 2010

a cura di
M. Del Castello e G.A. Lucchetta
Giulio A. Lucchetta

IL DISEGNO EDITORIALE
TRA PAPINI E ROCCO CARABBA
E SUA RIPRESA

1. Presentazione e ringraziamenti
Questa pubblicazione contiene gli Atti di un Convegno, tenutosi a
Chieti il 12 e il 13 maggio del 2009, dal titolo “Vailati, Machiavelli
Foscolo e la Cultura dell’Anima” per celebrare il centenario della sua
inaugurazione, al quale hanno partecipato Mario Agrimi, Simonetta
Bassi, Enrico Berti, Umberto Bultrighini, Francesco Paolo Ciglia, Mi-
chele Ciliberto, Sandro Gentili, Valentina Lepri. Elio Matassi. Fabri-
zio Meroi, Alessandra Moschetta, Gianni Oliva, Gregorio Piaia, Cesare
Preti, Stefano Poggi, Bernardo Razzotti, Ezio Sciarra, Carlo Tatasciore
Nicoletta Tirinnanzi, Stefano Trinchese, Claudio Tuozzolo, Gianluigi
Vido. Il volume, inoltre, raccoglie i contenuti di quella che potremmo
considerare una ripresa tematica, realizzata dal “Laboratorio Vailati sul
Novecento Eretico” tenutosi il 27 gennaio del 2010, proprio a ridosso
della ricorrenza del centenario della morte di Vailati, a cui hanno parte-
cipato Luciano Mecacci, Mario Quaranta, Ezio Sciarra, Luciano Vitaco-
lonna ed Enrico Fico; si intendeva così completare il quadro d’insieme
dell’insegnamento di Vailati delineandone l’eredità intellettuale presso
Ferruccio Rossi – Landi e i suoi allievi.
Con queste iniziative il Dipartimento di Studi Classici della Facoltà
di Lettere e Filosofia di Chieti e la casa editrice Rocco Carabba, con la
quale il Centro Rima ha fatto da ponte, hanno inteso inaugurare una
serie di incontri che annualmente coagulino l’interesse degli specialisti
di settore sui vari nuclei tematici toccati dalla collana “Cultura dell’Ani-
ma”, i cui volumi vengono ora a conoscere una nuova vita grazie a una
raffinata stampa anastatica: l’intento è di promuovere lo studio non solo

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delle singole opere, ma dell’intero progetto editoriale che Papini e Vaila-
ti allestirono “presso i tipi” di Rocco Carabba.
Come convegno a inaugurazione della serie, si era proposto di trat-
tare delle prime pubblicazioni - quali Aristotele, Machiavelli e Foscolo
- per dare un’idea dei diversi fronti culturali aperti - quello filosofico,
politico e letterario - per avere, di conseguenza, una panoramica dei
piani intrecciati; comunque quelle che si sono viste emergere sono piut-
tosto le figure dei due iniziali organizzatori di tale impresa culturale. Da
una parte domina incontrastato, al momento, Papini in quanto ideatore
dell’intero progetto editoriale; dall’altra gli si accosta Vailati, la cui in-
fluenza nella scelta degli obiettivi risulta imprenscindibile fin dalla scelta
dell’opera con cui aprire la collana. Infatti il testo della Metafisica di
Aristotele non era mai entrato in gioco prima, nei pur frequenti tentativi
da parte di Papini di organizzare collane o biblioteche ideali: e su questo
primo testo, frutto di una stretta collaborazione, li vedremo all’opera in
un clima di piena e armonica intesa, che neanche la malattia di Vailati,
che poi lo condurrà alla morte, riuscirà mai a interrompere.
Ma, prima di inoltrarmi nella storia dell’impresa papiniana, devo
ringraziare chi ha reso possibile la concretizzazione del nostro proget-
to congressuale: il primo ringraziamento è obbligatoriamente per tutti
gli studiosi che sono convenuti e per le istituzioni che hanno creduto
nell’impresa, come la Banca Popolare di Lanciano e Sulmona nella figu-
ra del suo Presidente, Dott. Lelio Scopa, senza il cui sostegno materiale
non avremmo mai potuto trovarci a celebrare l’attività della gloriosa Ca-
rabba nelle aule dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti; e per le stes-
se ragioni va ringraziato il Presidente della Provincia Chieti, Tommaso
Coletti. Quindi un pensiero grato va al Prof. Stefano Trinchese, Preside
della Facoltà di Lettere e Filosofia e al Prof. Umberto Bultrighini Di-
rettore del Dipartimento di Studi Classici, per la loro concreta opera di
fiancheggiamento a sostegno dell’iniziativa. Per la strategia dei contatti e
di coordinamento con la Società Filosofica Italiana devo molto alla saga-
cia diplomatica dell’amico Prof. Carlo Tatasciore che ha fatto da tramite
con il Presidente, Prof. Stefano Poggi, che si è dimostrato assolutamente
disponibile all’iniziativa. È invece alla prudenza e alla lungimiranza della
Prof. Nicoletta Tirinnanzi, che pure ha condiviso con me fin dall’inizio

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l’entusiasmo per tale progetto, che devo i contatti collaborativi con il
Dipartimento di Filosofia della parallela Facoltà di Scienze della Forma-
zione e con gli amici dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento
di Firenze guidati dal loro Direttore, il Prof. Michele Ciliberto, della cui
presenza siamo stati onorati.
Infine devo rivolgere un ringraziamento alla “gente di casa”, ai com-
ponenti del Centro Rima: se devo riconoscenza al dirigente tecnico Ugo
La Palombara per l’assistenza offerta, alla dottoressa Martina Del Castel-
lo devo speciale gratitudine poiché senza la sua sapiente magia nel tesse-
re contatti tra tutti i convenuti e nel dare forma organica all’iniziativa, il
convegno non avrebbe mai potuto realizzarsi.

2. Descrizione del progetto in atto


Mi riservo per ultimi due ringraziamenti, per illustrare i quali è ne-
cessario che spenda due parole per narrare come è nata l’idea di far ri-
nascere la collana “Cultura dell’Anima”, tema di questo convegno e di
quelli a venire.
Devo, infatti, il primo incoraggiamento a tentar l’impresa al Prof.
Enrico Berti, a cui, quasi una ventina di anni fa, in un convegno a Ma-
cerata, confidai di essermi imbattuto in una curiosa versione del De Me-
moria di Aristotele che mi stava assorbendo per il modo complesso in
cui era stata concepita. Sinceramente devo confessare che la mia totale
ignoranza della storia editoriale abruzzese e italiana dell’otto-novecento
mi lasciava nell’incertezza se prendere o meno in considerazione tale
traduzione; invece Berti mi consigliò la massima attenzione alla produ-
zione filosofico-antica della Rocco Carabba, e mi indicò con toni quasi
leggendari l’edizione del primo libro della Metafisica di Aristotele, argo-
mento sul quale egli a sua volta si era a più riprese misurato.1
Da tempo, all’interno del mio Ateneo, il Prof. Gianni Oliva veniva
sottoponendo all’attenzione degli studiosi il ruolo della Casa Editrice tra

1
E.Berti, Nota sulla trasmissione dei primi due libri della Metafisica di Aristotele, “Elenchos”, III
(1982), pp. 5-37; Aristotele, Il libro primo della “Metafisica”, a cura di E. Berti – C. Rossitto,
Laterza, Roma – Bari 2007; R. L. Cardullo (a cura), Il libro alpha della Metafisica di Aristotele.
Atti del convegno nazionale, Catania, 16-18 gennaio 2008, Cuecm, Catania 2009.

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l’otto e il novecento; a tal fine aveva realizzato uno splendido convegno2
sulle cui indicazioni mi misi a lavorare. Quando maturai la decisione di
uscire allo scoperto per accaparrarmi il testo del De memoria, il cui com-
mento avevo pronto, andai a Lanciano per incontrarmi con il dottor
Serafini, che nel frattempo aveva ripreso le redini della risorta Casa Edi-
trice, per ottenere la liberatoria per la traduzione del teso di Aristotele:
ma nel suo ufficio il gioco si rovesciò e uscii con l’incarico di curare non
Aristotele, ma tutta la collana “Cultura dell’Anima”. Ora il ringrazia-
mento che io devo al dottor Serafini è del tutto particolare e personale,
perché gli riconosco dell’autentico coraggio nell’aver puntato su di me
per la realizzazione dell’intera impresa: mi rassicura solo il sospetto che
queste collaborazioni strette debbano proprio essere un segno distintivo
e inveterato del modo di procedere della Carabba.
Ci siamo così messi subito al lavoro creando uno staff tra l’ambiente
universitario e quello redazionale che ha subito concretizzato una dop-
pia strategia: da una parte si decide di intraprendere la pubblicazione in
anastatica dei volumi della “Cultura dell’Anima” al ritmo di 30 all’an-
no, e dall’altra si palesa l’esigenza di realizzare un’altra collana paralle-
la, “Nuove prospettive sulla cultura dell’anima”, per offrire agli studiosi
interessati la possibilità di pubblicare monografie e ricerche imperniate
sulle opere della collana storica, sui suoi autori, sui suoi curatori, sulle
tematiche e sulle problematiche ad essa connesse. Si vorrebbe così che
gli specialisti contemporanei riprendessero le fila argomentative di que-
sti storici “volumetti”, delineando il quadro allora conosciuto dell’autore
in questione e ragionando sul giudizio storico che si veniva a esprimere
attraverso questa forma editoriale; magari che ci si spingesse a esaminare
quanto fosse pertinente, per la temperie culturale e politica del tempo,
presentare figure di intellettuali scomodi, attraverso la divulgazione di
brevi e agili opere, incisive quanto provocatorie. Si vorrebbe far emerge-
re il ruolo dei curatori, il loro profilo intellettuale e ideologico, dato che
sono molti i nomi interessanti che appaiono in tale veste.3

2
G. Oliva (a cura), La Casa Editrice Carabba e la cultura italiana ed europea tra otto e novecento,
Bulzoni, Roma 1999.
3
Si veda l’elenco che riproduciamo a fine volume.

14
Infatti uno degli obiettivi che ci siamo posti è quello di riuscire a foca-
lizzare i criteri che hanno condotto i responsabili della collana a selezio-
nare gli autori da pubblicare; pensiamo sia possibile ricostruire l’intero
mosaico andando a individuare le linee guida perseguite dai curatori o
dai traduttori nello scegliere e presentare tali testi. Forse da un confron-
to intertestuale si potrebbero rintracciare eventuali costanti, e magari si
potrebbe abozzare una valutazione sull’impatto di tali testi nella cultura
filosofico-letteraria di quell’inizio secolo, ancora avido delle novità e dei
fermenti europei, a dispetto dell’incipiente clima autarchico.
Si è pensato, quindi, di creare a tal fine queste occasioni di incontro
congressuale, che vorremmo ripetere ogni anno, mettere insieme più
tasselli possibili e per fare il punto sulla ricostruzione dell’intero mosai-
co, il cui originale è andato distrutto con la perdita dell’archivio storico
della Casa Editrice, durante la seconda guerra mondiale. In ogni futuro
congresso, a partire da questo, sarà possibile presentare quanto già pub-
blicato in anastatica dalla Rocco Carabba per la storica collana “Cultu-
ra dell’Anima”, per farne oggetto di riflessione; nello stesso tempo sarà
possibile fare di volta in volta il punto nuovo sui progressi relativi alla
ricostruzione del tracciato editoriale, di modo che siano messe in luce
le direzioni e gli obiettivi della politica editoriale intrapresa da Papini e
dopo Papini.

3. I prodromi: la “Biblioteca culturale dello Spirito”.


Dunque, la storia inizia nel 1909, con Papini: e sempre Papini risul-
terà essere uno spartiacque nella vicenda editoriale di Rocco Carabba
che, affermato editore abruzzese, con pervicacia e innegabile fiuto con-
tinuerà anche dopo l’abbandono del direttore di collana. Il varo della
“Cultura dell’Anima” lo vede nel ruolo di protagonista, assieme a Gio-
vanni Vailati, quale suo immediato corrispondente, al punto che questi
diventa il curatore del volume inaugurale. Ma la gestazione del progetto
è travagliata e porta alla luce tutta una serie di posizioni, a favore e con-
tro, in grado di offrire uno spaccato d’epoca su questioni di cultura e di
politica culturale nazionale.
Per capire bene, fin nelle sue sotterranee implicazioni, l’intera que-
stione, è necessario risalire a due anni prima, quando a Papini viene in

15
animo un programma editoriale assai simile che pensava di realizzare
per sé, e non già per l’Editore di Lanciano. Che si trattasse dello stesso
progetto, lo sta a rivelare non solo la lista dei titoli previsti pressoché
identica, ma la stessa veste editoriale, che viene accuratamente descritta
in anteprima in una rinomata lettera di Papini a Prezzolini, in cui gli
annuncia l’imminente uscita del primo volume:

Caro Giuliano,
poiché la cosa è già quasi fatta posso parlartene. Come vedi
mi sono deciso a far l’editore. Tu capisci il doppio perché: per
essere occupato e per guadagnare. Inizio una piccola biblioteca
(Culturale dello Spirito) a una lira il volume – di 64 pp. che con-
terrà scritti di filosofi antichi e recenti, esposizioni di nuovi mo-
vimenti di idee, antologie di mistici, traduzioni di cose orientali,
polemiche scientifiche ecc. I primi volumi sono: Boutroux. La
natura e lo Spirito (già stampato), Eckhart, Prediche scelte (com-
posto), Papini, Storia del Pragmatismo. Seguiranno volumetti di
Aristotele, Empedocle, Bergson, Eraclito, Schopenahauer Fech-
ner, Bergson, James, Le Roy, S. Bonaventura, Peirce, volumetti
sul New Thought, La Logica Matematica, La Geometria Non
Euclidea – un’antologia delle Upanishads, ecc. Dentro aprile in-
sieme al Leonardo usciranno i primi 3. In autunno inizierò un’al-
tra collez. Quella degli scrittori stranieri e pubblicherei volentieri
la tua traduzione di Swift. Dimmi cosa avresti pronto o potresti
far per la prima collezione. Fra pochi giorni ti manderò i primi 2
volumetti stampati. Scrivimi. Per il Leonardo hai niente?
Sempre tuo, G. Papini4

Il primo concepimento dell’impresa implicava Papini stesso come


editore, forse sotto la copertura editoriale del “Leonardo”, la rivista

4
G. Papini - G. Prezzolini, Storia di un’amicizia 1900-1924, a cura di G. Prezzolini, Vallecchi,
Firenze 1966, p, 129 (10-IV-1907); G. Manghetti, Gian Falco e Giuliano si scrivono, in C. Cec-
cuti (a cura), Papini e il suo tempo. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Le Lettere, Firenze
2006, pp. 233-250; S. Gentili, L’altra metà. Prezzolini e Papini, in C. Ceccuti (a cura), Prezzolini
e il suo tempo. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Le Lettere, Firenze 2003, pp. 113 – 143.

16
che aveva coagulato i rapporti tra Papini, Prezzolini e Vailati. L’intento
espresso nella lettera è quello di far partecipe della galvanizzante novità
tutta la costellazione degli amici, quegli intellettuali che avevano una
loro particolare rilevanza nella cultura italiana dei primi del novecento
e la cui attività si era venuta polarizzando fuori dal mondo accademico,
attorno al ruolo culturale svolto da una serie di riviste di chiara imposta-
zione critica nei confronti dell’establishment culturale, quali ad esempio
“Il Regno”, il “Leonardo”, appunto, “Lacerba” e “La Voce”. Ora proprio
all’interno di questa fitta rete di relazioni pregresse, con connessioni na-
zionali e internazionali, non sembra venir accettata con favore quanto
ormai Papini era sul punto di varare: la collana si era solo affacciata nella
mente del suo ideatore, e a parlarne con Prezzolini è già tempesta.
È bene, però, rilevare che Papini sembra darne l’annuncio quasi a
cose fatte, o, per lo meno, come tali vengono presentate: veniva assi-
curato che non solo erano già in corso di stampa i primi volumi, ma
si parlava di avere in programma l’apertura delle altre collane per au-
tori stranieri. Nell’operazione, che trovava tutti impreparati, traspariva
l’idea di penetrare attraverso il “Leonardo” nel cuore filosofico pulsan-
te dell’Europa, ripercorrendolo fin dalle proprie radici originarie, ma
volutamente rimanendo estranei all’influenza dei monopoli di scuola.
Era questa una mossa tattica abituale nella partita che Papini da tempo
aveva ingaggiato con l’ambiente accademico e che lo vedeva unito ad
altri intellettuali diversamente orientati; tutto sarà puntualmente ripreso
all’uscita di ogni volumetto che curerà per la “Cultura dell’Anima”.5
La reazione di Prezzolini non si fece attendere molto e fu violenta.
Infatti cinque giorni dopo Papini è costretto a correre ai ripari di fron-
te all’amico che, decisamente inalberatosi, sembrerebbe aver formulato
precise quanto pesanti accuse di plagio e di concorrenza sleale. Quel che

5
G. Luti, Papini e la cultura italiana del primo novecento e G. Invitto, Papini e l’idealismo italia-
no, in S. Gentili (a cura), Giovanni Papini nel centenario della nascita. Atti del convegno, Firenze,
Palazzo Medici-Riccardi (4-6 febbraio 1982), Vita e Pensiero, Milano 1983, pp. 9 - 23 e 54 – 76;
sull’idea di un giornale-laboratorio come centro di diffusione polico-filosofica programmati-
camente antiaccademica si veda M. Quaranta, Il “Leonardo” nel giornalismo italiano del primo
‘900, in M. Quaranta – L. Schram Pighi (a cura), “Leonardo” 1903-1907, 2 voll., Forni, Sala
Bolognese 1981, pp. 5 -14; M. Quaranta, Riviste antiaccademiche del primo Novecento (1903-
1908), in M. Quaranta (a cura), Tradizione e dissenso nelle riviste del primo ‘900, Sapere, Padova
1999, pp. 35- 54.

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più ci interessa di tutto il contenzioso è il modo di difendersi che nella
lettera del 15 giugno Papini adotta nei confronti di Prezzolini, che senza
tanti infingimenti avrebbe subito attribuito l’intera operazione alla sete
di guadagno dell’amico:

Ti assicuro che il motivo principale del mio progetto è stato


proprio quello psicologico e morale che ti ho detto nell’altra let-
tera – il bisogno assoluto di occuparmi molto per non pensare
all’inutilità del tutto.6

Questo primo debutto editoriale, precisiamolo subito, è destinato ad


abortire per il fatto che la situazione di intensa crisi con gli amici intel-
lettuali di sempre prende Papini letteralmente in contropiede. Il fatto di
doversi giustificare di una cosa che giudica positiva gli dimostra in modo
incontestabile che i suoi sogni editoriali erano in netta controtendenza
con l’ambiente intellettuale attorno, al punto da incrinare i rapporti in-
terni alla sua stessa cerchia di amici “più stretti”. Se il disegno editoriale
morì sul nascere, lo si deve al tentativo di salvare in extremis quel che
pareva l’inossidabile legame con Prezzolini.
Ora, se andiamo a ben vedere le ragioni per cui Papini annuncia
di volersi imbarcare nell’operazione, queste sembrerebbero travalicare il
solo fatto editoriale per acquistare ben diverse e sorprendenti coloriture,
che di recente ha messo in luce anche Cadioli. 7 Pare lo avesse intuito
lo stesso Prezzolini che andò oltre nelle accuse fino a tacciare l’amico di
sleale concorrenza: la nuova collana si sarebbe rivolta allo stesso target di
lettori su cui si indirizzavano Prezzolini e il De Rinaldis, polarizzando
altrove risorse intellettuali che potevano rinforzare l’attività editoriale
toscana.8 Da Papini viene fatto notare che il raggio d’azione della sua
imminente collana è più ampio e, perciò, meno specialistico dei “Poetae
Philosophi et Philosophi Minores”, curato da Prezzolini e da De Rinal-

6
Papini – Prezzolini, Storia di un’amicizia, p. 130
7
A. Cadioli, Letterati editori. L’industria culturale come progetto, Net, Milano 2003; G. M. Simo-
netti, Papini “editore”, in Gentile, Giovanni Papini nel centenario della nascita, pp. 307 – 322; F.
Livi, Lo scrittore e l’organizzatore delle cultura. Papini e Remy de Gourmont, in Ceccuti, Papini e
il suo tempo, pp. 75 – 97.
8
Ibidem

18
dis presso la Libreria Editrice Lombarda, rivolta quasi esclusivamente
alla riflessione mistica. Quindi, nel tentativo di ricucire la crisi, Papini
dichiara che sua intenzione era ospitare solo quegli autori o quegli scritti
che non avrebbero mai potuto interessare loro.
Certamente era difficile sostenere ciò dopo aver quasi dato per pub-
blicato il volumetto di Maister Eckhart: infatti l’intera questione sembra
focalizzata su questo preciso elemento di discordia, per il quale Prez-
zolini e De Rinaldis dovevano nutrire un reale interesse, avendo forse
in programma di pubblicare qualche opera di questo mistico, all’epoca
particolarmente in voga tra quella che si considerava la nouvelle vague
filosofica. Gli “amici toscani” sentono odor di plagio, almeno per quan-
to riguarda l’idea e il programma editoriale, e Papini subito lo esplicita
per obiettare che il testo è quello stesso già pubblicato nel “Leonardo” e
che ora verrebbe raccolto in un volumetto a sé stante, senza l’aggiunta
di alcunché. 9 Papini è decisamente sulla difensiva, ma nonostante tutti
i ragionamenti che adduce a sua discolpa, non allontana il sospetto che
una parallela impresa editoriale, pressoché coincidente, fosse mirata solo
a boicottare le iniziative culturali dei colleghi fiorentini: perché ad avve-
lenare gli animi è la segretezza in cui è stata condotta la trattativa e che
lo stesso Papini non nega.
Questo aspetto è un particolare in un certo senso inquietante: di
fatto il programma di un’idilliaca collaborazione con amici ed ex colla-
boratori come curatori è rimasto nelle intenzioni non espresse di Papini,
che si è ben guardato, e ne dà lui stesso conferma, dal comunicarlo e
dal condividerlo per tempo con i diretti interessati. Così l’affaire Papini
– Prezzolini, e forse proprio per la segretezza con cui è stato condotto,
ci dà il sentore di un clima culturale sì vivo, diremmo in continuo fer-
mento, ma anche pervaso da una latente conflittualità, forse da ricon-
durre alla scomoda rivolta polemica di Papini contro l’intero ambiente
accademico; strategia, questa, nella quale, non manchiamo di ripeterlo,

9
Papini – Prezzolini, Storia di un’amicizia, p. 130-131. A suo dire ripubblicare quei testi in veste
monografica è una semplice operazione commerciale non indirizzata ai “subiti guadagni” di
cui sopra, ma a finanziare la permanenza in Italia di uno dei collaboratori, Theodore Däubler.
L’argomento è ad hoc, perché nulla ci impedisce di pensare che pure i “toscani” avessero la stessa
soluzione in tasca, tanto più che Prezzolini era il condirettore della stessa rivista.

19
sembra immersa l’intera produzione libraria della “Cultura dell’Anima”,
più o meno volutamente.
Per il momento Papini deve fronteggiare l’accusa di pirateria edito-
riale che, ci sembra di capire, Prezzolini gli sta rivolgendo, nel vedere
la propria iniziativa intellettuale messa a repentaglio da simili sorpas-
si a effetto, che denoterebbero solo mancanza di professionalità o un
basso profilo deontologico. La risposta di Papini, dopo un ragguaglio
economico, sembra riprendere l’abbrivio psicologico prima enunciato e
parla di aspettative esistenziali, di progettazione morale, di funzionalità
dell’intellettuale in un’età di crisi:

Tu dici di essere diventato moralista. Non me ne stupisco né


me ne addoloro. Tutt’altro: anch’io sostengo da molto tempo che
il rinnovamento nostro non può essere che morale e che tutte le
chiacchere, sia ascetiche che mistiche, non servono a nulla per i
veri interessi dell’anima. Ma non trovo nulla niente d’immorale
nel tentare qualcosa di simile in piccolo, a ciò che ha fatto il
Diederichs, ed essere un editore che non è solo un mercante - un
pensatore che dopo aver predicato l’azione cerca di dar l’esempio
– uno scrittore che dopo essersi accorto dello sfruttamento edito-
riale cerca di creare una piccola azienda un po’ diversa dalle altre
e in cui sarà possibile pubblicare cose che nessun altro editore ac-
cetterebbe. Credi tu che il correggere delle bozze o il far dei pac-
chi sia in contrasto con la meditazione? Non hai detto più volte
che il lavoro manuale aiuta anche il pensiero? – Io preferisco, in
complesso, cercar di guadagnar facendo il commerciante – se ciò
avverrà – che scrivere contro voglia degli articoli sui giornali.10

Nella difesa pro domo sua Papini rivendica, nell’interesse esclusivo della
causa dell’anima, la bontà della sua iniziativa che, per il gioco delle coin-
cidenze, si chiama proprio “Biblioteca Culturale dello Spirito”. In questo
modo il discorso prende una piega diversa e parte per la tangente, come
spesso succede agli intellettuali quando, nel polemizzare tra loro, voglio-

10
Ibidem.

20
no elevare il tono del confronto, trovando un argomento su cui insieme
convergere, per ritrovare concordia. E l’argomento c’è, e si rivela anche
agli occhi nostri, oltremodo interessante: riguarda il ruolo dello scrittore/
editore per il quale significativamente Papini evoca la figura di Eugen Die-
derichs, personaggio di straordinaria energia che volle essere interprete del
suo tempo al punto da programmarsi un ruolo da protagonista nell’opera
di rinnovamento del Geist del popolo tedesco. Questo, tornando alle pa-
role di Papini, non concepì la propria attività di editore solo come fonte di
guadagno, ma fece delle sue edizioni l’ideale “luogo” di raccolta delle forze
ancora vitali della tradizione: nel suo castello di Lauenstein, nella Turin-
gia, invitava uomini di pensiero perché si scambiassero le idee su problemi
e su compiti a cui chiamavano i tempi.
Come risulterà da altre relazioni, l’Editore tedesco è uno dei modelli
che Papini dichiara di amare e persege per fuggire una sua devastante
noia, accusando il “bisogno assoluto di occuparmi molto per non pen-
sare all’inutilità del tutto”. Comunque salta agli occhi l’analogia con il
Papini per il fatto che, nel progetto di edificazione e di diffusione della
propria particolare interpretazione del mondo, egli si spingeva a pubbli-
care quei libri che riflettevano la propria visione delle cose e della storia,
specie quei mistici che espressero l’aspirazione dell’anima alla fusione
con la vitalità cosmica. Indubbiamente significativo è, come prima nella
disputa Papini-Prezzolini, che anche in questo caso un ruolo rilevante lo
avesse la pubblicazione integrale delle opere di Maister Eckhart.
Quindi, è un fatto accertato che al momento l’amicizia prevalse sulla
lite; ma con certi costi. In una lettera del 18 aprile Papini traccia i suoi
immediati movimenti in ambito editoriale:

1) Sospendo, prima di iniziarla, la mia attività editoriale. I


due primi volumi, ormai già stampati, non saranno messi in ven-
dita. Ho ritirato il manoscritto del terzo.

2) Col giugno 1907 il Leonardo morirà di morte volontaria,


con un ultimo fascicolo contenente l’estrema sincerità.11

11
Papini-Prezzolini, Storia di un’amicizia, p. 132.

21
Quindi, in una missiva scritta il giorno dopo, egli narrerà all’amico il
senso di liberazione che gli viene dallo scioglimento del sodalizio intel-
lettuale stretto all’interno della redazione del “Leonardo” come fonte di
intrighi e compromessi:

Il L. non è più l’espressione della mia anima. Esso ha già un


tipo, ha delle aderenze, è legato, compromesso. Non c’è modo mi-
gliore per uscirne che ucciderlo. Coloro che ci contavano per farne
scalino alla loro ambizione faranno altra cosa per conto loro.12

Il che ci fa capire che ormai il vestito del “Leonardo” gli andava de-
cisamente stretto; al punto che sembra convinto che tutte le relazioni
instaurate e stabilizzatesi in quella redazione avrebbero potuto sempre
rivelarsi vincolanti al momento di varare nuovi e più sentiti percorsi. Il
messaggio esplicito è di non aver più intenzione di garantire l’ambizione
altrui, anche a prezzo di rinunciare per sempre ai propri progetti. La
soppressione di questa sua creatura potrebbe essere il lasciapassare per
le nuove aspirazioni culturali; torna infatti il tema della collana abortita
come se si facesse vivo l’obbligo di mantenere quanto si era promesso.

Facendo questo io perdo del denaro (quello dei libri) - dell’in-


fluenza, della notorietà ecc., ma guadagno tutto il resto e posso
permettermi la solitudine e la creazione per me e la ricerca sincera
della perfezione invece della periodica vendita di promesse non
mantenute.13

Da quanto ci è dato di capire, relativamente allo scontro Papini-


Prezzolini, i due su una cosa sembrano concordare: anche ai loro occhi,
quanto accaduto pare travalicare i limiti del contingente e acquisire ben
altre connotazioni; salvo, poi, dare su tutto ciò ben differenti valutazio-
ni. Ciò che è all’origine dei due diversi modi di vedere quello stesso fatto

12
Papini-Prezzolini, Storia di un’amicizia, p. 134
13
Ibidem

22
non sono solo le aspettative che l’uno ha dell’altro, ma anche quelle che
ambedue nutrono nei confronti del ruolo dell’intellettuale.
E questo, almeno per quanto riguarda Papini, sembra affiorare nel
corso della discussione: messo alle strette, egli è costretto a confessare
anche a se stesso le ragioni più interne che lo hanno portato a quel passo,
alle quali, forse, non aveva dato ancora precisa forma. Così l’impresa,
nella quale stava imbarcandosi, sembra acquisire più significati per Pa-
pini. In prima battuta egli si presenta nelle vesti di editore, quasi fosse
il completamento della sua veste di letterato; dall’altra egli vede che,
proprio per aver vestito questi nuovi panni da imprenditore, cozza con-
tro gli interessi di Prezzolini e dei suoi collaboratori, che stavano paral-
lelamente accarezzando un loro progetto. Nello sviluppo dei toni della
discussione, e forse, dunque, grazie a esso, Papini si fa consapevole di un
senso “altro” che avrebbe acquisito il gestire simile impresa culturale, al
di là di quello che poteva aver subdorato Prezzolini di lui o che poteva
aver pensato egli di se stesso, e che lo proietta in un contesto politico-
culturale europeo.
Tra l’ideologia intellettualistica, e nazionalistica, rappresentata
dall’icona della “missione del dotto”, gestita in Italia dal D’Annunzio,
e l’ideologia imprenditoriale del “mercato culturale”, programmatica-
mente accolta dal Futurismo, Papini sembra intenzionato a recuperare
il ruolo egemone dell’intellettuale, non solo come portatore di creatività
artistica, ma quale conservatore di una memoria culturale che deve sem-
pre saper rinnovare e riproporre nei momenti di crisi, come grammati-
ca di lettura di quegli avvenimenti che altrimenti troverebbero l’uomo
succube.
L’immagine che sembra farsi strada è quella di un intellettuale attivo
nella polemica filosofica e, nello stesso tempo, innamorato della forma
letteraria; scrittore e, per le stesse ragioni, bibliofilo; che vive pienamente
il suo tempo e la sua storia, pur sentendo di aver radici altrove. Invi-
schiato nelle realtà locali, regionali, nazionali fino al litigio, Papini si
sente rappacificato, come il Machiavelli, quando, isolatosi a Bulciano,
riesce a ritornare al suo mondo ricco di fermenti spirituali che trovano
spesso solo corrispondenza nel contesto culturale europeo. Portatore di
un pensiero sul quale fonda la propria autonomia dai contingenti con-

23
dizionamenti, sente di essere di qualche utilità nel portare il conforto
della spiritualità alle cieche sofferenze della contemporaneità; fuori da
ogni moralismo o idealismo di scuola, Papini da una parte propone la
rilettura dei mistici, dall’altra si presenta come diffusore del pragmati-
smo anglosassone.14
Se la collana fosse partita, secondo l’originale ipotesi progettuale, do-
veva essere inaugurata dalle pubblicazioni di Boutroux, La natura e lo
Spirito, e di Eckhart, Prediche scelte; semmai, la loro caduta poteva met-
tere in campo testi che, nominati nella lettera, stavano ancora in gesta-
zione. Quindi ragioni del tutto nuove ed estranee alla programmazione
papiniana devono aver portato invece alla scelta del Il primo libro della
Metafisica come testo inaugurale.15.

4. La “Cultura dell’Anima” tra Papini e Vailati.


Ecco che a questo punto s’impone alla nostra attenzione il fatto che
Papini è pronto a dismettere il “Leonardo” ma a non abbandonare il
proprio sogno editoriale, per realizzare il quale cerca una casa editrice
defilata dall’abituale asse Torino – Firenze – Napoli - Bari e che gli ga-
rantisca la possibilità di dare corpo a quelle che definiva “promesse non
mantenute”.
In effetti una ambiguità di fondo salta agli occhi di chi si accosti alla
storia della Casa Editrice: di fatto potrebbe apparire come una piccola
storia di provincia, dai risvolti marginali rispetto ai grandi temi a cui i fi-
losofi abitualmente si rivolgono (l’anima, il mondo e la sua conoscenza,
Dio). D’altronde, come testimonia il carteggio che intercorre tra Papini,
Prezzolini e Vailati, le vicende relative alla collana sembrano un episo-
dio che interessa il “far cultura” nell’accezione materiale di produrla e
diffonderla commercialmente, in una prospettiva di mercato culturale
condivisa a quei tempi con gli stessi futuristi.
Ma curiosamente la piccola storia rivela grandi prospettive culturali,
ben maggiori di quelle dell’Italietta che, già agli albori del secolo cruen-
to, e a dispetto delle proprie aspirazioni di ampliamenti territoriali, sem-

14
P. Casini, Papini, La psicologia e i filosofi, in Ceccuti, Papini e il suo tempo, pp. 33 – 74.
15
R. Scrivano, Carabba, Papini e gli scrittori vociani, in Oliva, La Casa Editrice Carabba, pp.
87-96

24
bra intellettualmente limitarsi sempre più. Appare concretizzarsi, nelle
figure di Papini e di Vaialti di quei primi anni, una vera e propria pro-
gettualità architettonica del pensiero filosofico, come comunicazione del
sapere per fare appello alla sua forza critica; ne fa fede l’intensa attività
delle riviste “antiaccademiche” (secondo una definizione di Quaranta)
ora aperte e, dopo qualche anno, chiuse. Ne fa fede una certa insoffe-
renza per l’immobilismo culturale italiano, da ambedue condivisa, e la
comune identificazione degli avversari scesi in campo nel fronte avverso.
Scrive infatti Vailati a Papini, il 1 giugno del 1908:

Ho l’impressione che per una quantità di ragioni, tra le quali


è da contare, oltre all’ingegno e alla cultura di Croce, anche la
mancanza di tali qualità nei difensori che presidiano e costitui-
scono la guarnigione dei castelli filosofici italiani, il Croce con-
quisterà l’Italia “senza colpo ferire”, come Carlo VIII, mandando
solo avanti i suoi “forieri” a segnare i luoghi per gli alloggi e per
il vettovagliamento, o, se preferisci, come Pizarro o gli altri con-
dottieri spagnoli al Perù e al Messico (colla differenza che non
si troverà tra le spoglie molto oro). L’attuale reazione contro il
positivismo tra i giovani, sarà un nulla in confronto alla reazione
che, allora, non potrà a meno di sorgere contro le prepotenze
speculative dei trionfatori.16

E la stessa immagine rimbalza in uno scritto di Papini, contenuto in


un volume pubblicato nella “Cultura dell’Anima”:

Negli ultimi anni del quattrocento Carlo VIII conquistò l’Italia


col gesso. Nei primi anni del novecento Benedetto Croce conqui-
sta l’Italia filosofica con l’affermazione. Non c’è da meravigliarsene.
Cosa possono opporre gli italiani filosofanti all’agguerrita e impe-
tuosa invasione che viene dal mezzogiorno facondo, da Napoli e da
Palermo, capeggiata da quei bravissimi uomini che sono Croce e

16
G. Vailati, Epistolario, a cura di G. Lanaro, Einaudi, Torino 1971, pp. 463 - 464 (Roma, 1
giugno del 1908).

25
Gentile? Forse gli antropologi positivisti a cui è stata data a bere la
filosofia nei libroni di Roberto Ardigò? Forse quei professori d’uni-
versità tentennanti tra un cauto criticismo e l’amabile erudizione?
Forse i fiochi rosminiani accasermati a Lodi? O i quattro ragazzi
pragmatisti, mal preparati ed incerti? O quel medico smedicato
che piglia per pensiero l’organamento faticoso dei suoi discorsi? O
quei due o tre logici modesti e ritirati che che coltivano a casa un
giardinetto all’inglese?... Eppure sento, come tanti altri, che una
tale conquista non è stabile. Sento che dietro il gran sistema c’è il
vuoto, sotto la sicurezza la fragilità, accanto all’ingegno l’abbarba-
glìo, in fondo alla salda cultura lo spirito settario. Eppure a dispetto
del valore, delle eccellenti intenzioni e delle parziali ottime con-
seguenze, bisogna che venga un momento in cui l’invasione sarà
respinta e in cui si mostrerà da qualcuno quel che c’è (o non c’è)
nei libri dei nuovi conquistadores.17

Tutto ciò per testimoniare come ambedue fossero consapevoli che


la febbrile intensità dei propri interessi inevitabilmente non poteva at-
tecchire sul contesto culturale tradizionale, forse troppo orientato allo
stretto confronto tra neoidealismo e positivismo. Decisamente le figure
dei protagonisti di questa storia sono fuori dal seminato tradizionale: da
una parte sentono di essere perdenti nei confronti dell’egemonia crocia-
na, fondata e incrollabile nelle sue prerogative e devastante negli effetti –
come lo stesso Borghese testimonierà nel contributo di Gianni Oliva al
nostro convegno –, dall’altra si mostrano disperatamente decisi a uscire
dalla logica di trincea che sembra pervadere e immobilizzare l’Italia di
allora, rispetto ad altre nazioni.
Proviamoci allora a coglierli in un momento di felice e febbrile at-
tività, quando stavano accingendosi alla nuova impresa. Partirei dalla
figura più solare di Vailati: un matematico che più che di matematica
s’interessa di logica e semmai di storia della scienza, a sentire Papini che
lo commemora due anni dopo la scomparsa:

17
G. Papini, La religione sta da sé (1908) in G. Papini, Polemiche religiose, Carabba, Lanciano
1917, pp. 9-11 passim.

26
Chi scorra il volume degli Scritti vedrà di quante cose egli si
occupasse. Di matematica pura pochissimo; di logico-matema-
tica, della quale fu uno de’ propugnatori, abbastanza; di storia
delle scienze molto; di economia politica e di scienza del linguag-
gio assai; di logica induttiva e deduttiva, di metodo e di filosofia
delle scienze moltissimo… Giovanni Vailati fu un curioso, un
vagabondo, un enciclopedico, un leonardiano nel senso antico
e recente.18

È propriamente lo sguardo storico e relativistico che aiuta Vailati a


distaccarsi dalla rigidità del positivismo, per la stessa ragione per cui egli
sentiva di dover rifiutare ogni dogmatismo filosofico-metafisico, per la
stessa ragione per cui sente di dover allontanarsi dalle piacevoli conve-
zioni aristocratiche e darsi all’insegnamento. Tra le altre cose, egli appare
progressivamente, e direi programmaticamente, accostarsi per vie inso-
lite proprio ad Aristotele, considerato a quei tempi ancora campione
del pensiero sistematico e rigorosamente razionale, e per questo stesso
adottato dal pensiero tomista, quasi che questi potesse offrirsi come car-
dine per sfuggire invece alle tentazioni idealizzanti o agli schematismi
metodologici delle sistematiche filosofiche che si stavano confrontando.
A lui si accompagnava, da tempo assai, Papini: a tutti gli effetti un
letterato che ha in uggia la filosofia degli accademici e che ama, invece,
imbrattarsi con la filosofia improvvisata degli eretici o dei non addetti al
mestiere. D’altronde sua convinzione è che sia possibile riconfezionare
una “nuova” filosofia semplicemente aprendo altri libri e percorrendo
cammini insoliti; secondo quest’ottica il farsi editore (o direttore di col-
lana) per rendere accessibili altri testi filosofici, spesso trascurati dall’af-
fermata tradizione e snobbati dall’Accademia, è completamento della
sua funzione di intellettuale inorganico alla società. Egli vorrebbe infat-
ti convincere del suo modo di vivere “filosoficamente”, avviando tutti
a leggere quelli che, solo a suo parere, non sono maestri del pensiero
compiuto, ma classici che fanno pensare. In tal modo filosofia è il farsi

18
G. Papini, 24 cervelli. Sesta edizione migliorata, Vallecchi, Firenze 1924, pp. 123; Id., Gli
amanti di Sofia (1902 – 1908), Vallecchi, Firenze 1932, pp. 251-252.

27
architettura del sapere, attraverso l’uso strumentale di una biblioteca
ideale, quella stessa che Boezio lamenta di non avere con sé nel carcere di
Pavia e che pure recupera nella sua memoria; è questa cultura filosofica,
più che la fede, in grado di fargli intellettualmente accettare l’esecuzio-
ne della propria condanna a morte, in quanto avvenimento accidentale
che esula dalla previdenza divina. Questo testo di Boezio, inserito nel
programma editoriale della Casa Editrice19 offre un esempio di come
l’insegnamento dei grandi maestri non debba rimanere rinchiuso nei
libri, depositati negli scaffali ad uso e consumo dei soli commentatori e
dei filologi; la cultura deve rimanere nell’anima, viva e vigile.
Già nel 1903, trattando di Dante e del suo poema, si affaccia nella
mente di Papini il concetto di anima connesso a quello di cultura, ac-
coppiata che soppianterà il termine ‘spirito’, presente nel primo abbozzo
della collana:

Un gran libro non è che il motivo iniziale dal quale movono


le generazioni per comporre tutti i tempi possibili di una sinfonia
secolare. Ogni uomo che legge una grande opera, anche se ha
l’anima piccola, vi aggiunge una riga, un’intonazione, una pausa
e qualcosa di ciò che egli sente penetra in essa e si trasmette a
quelli che leggeranno dopo.20

Questo è quello che intende Papini come un “gran libro”, e il suo fare
cultura è di provocare anche nelle piccole anime un movimento tale da
farle risultare intonate, adeguate, in linea con la sua maestosa grandezza.
Ma cosa vuol dire anima per Papini? Chi, nel caso, può dire di pos-
sederla?

Non l’erudito, non lo storico, non il professore, non il con-


ferenziere…! Si fa presto a dire anima: tutti credono d’averla,
anche gli avvocati. E ce l’hanno; ma son anime fatte a macchina,
anime buone per tutti i giorni, che si lasciano prevedere come

19
Boezio, La consolazione della filosofia, a cura di T. Venuti, Carabba, Lanciano s.d.
20
Papini, 24 cervelli, p. 19

28
una esperienza di meccanica, e dalle quali non esce mai nulla che
gli uomini possano aspettarsi da un loro simile…: quando si dice
– o almeno io dico – “il tale ha un’anima” vuol dire che non ha
un’anima come tutte le altre, e che vi è in lui un fremito, un bri-
vido, un lievito, un fermento di straordinarietà che deve sentire
chiunque non sia nato irreparabilmente volgare.21

Stanno prendendo corpo i termini della questione, quelli che de-


creteranno la nuova denominazione della collana; manca ancora che ci
raffiguriamo chi l’impresa l’ha resa materialmente possibile.
Mi urge un’ammissione di dovere: non sono un papiniano in nessuna
delle valenze possibili, cioè non gli sono vicino per quelle che sono state
le sue scelte ideologiche e politiche e neppure sono uno studioso del
personaggio o del periodo che lo vide in azione. Potrei anzi azzardare e
confessare una certa diffidenza nei confronti degli atteggiamenti in cui
amava rinchiudersi, fortemente allusivi, feroci e a volte arroganti; un
sarcasmo sprezzante che non lasciava sopravvissuti, supportato da reto-
rica a effetto, che a volte lo spingeva a far largo impiego di intuizioni più
che di argomentazioni. Spesso limitava il confronto sui contenuti tema-
tizzando con causticità la mancanza di stile o l’inadeguatezza di questo
o quel filosofo, all’interno di un proprio ideale salotto letterario; spesso,
però, abbandonava il territorio dell’elegante ironia per addentrarsi in
attacchi ad personam, gonfi di bieco sarcasmo e fin troppo astiosi, sul
filo del pettegolezzo, non dissimile dal modello dell’Aretino. Sì, Papini
non è solo scomodo, ma sa volutamente essere antipatico, direi pro-
grammaticamente; con l’avvento della guerra, poi, entra in una stagione
di radicali conversioni ideologiche, politiche e religiose che, nonostante
il tentativo di nobilitare come anticonformista il gioco del voltagabba-
na, sembrano denunciare una sorta di endemica insicurezza morale e di
adolescenziale insofferenza intellettuale. Il tutto non gioca certo a favore
del personaggio che voleva a gran voce interpretare.
Eppur tuttavia non gli va negato, in quei primi anni in cui ancora
la recente Italia aspirava al riconoscimento di una sua decorosa dignità

21
Papini, 24 cervelli, p.163-164.

29
politica e culturale, di aver saputo gestire con notevole forza organizza-
tiva un’impresa che si traduce in un’avventura intellettuale originale e
decisamente aperta nei confronti della cultura circolante in Europa. Il
panorama, ancora aperto, si chiuderà di lì a poco tra censure reazionarie
e ciechi nazionalismi, ingombranti idealismi e irriducibili positivismi; in
questo scenario di apocalittici sconvolgimenti, si brucerà le ali la farfalla
Papini dopo aver cambiato spesso pelle e forma.
Ed ecco s’impone, per contrasto, la figura inamovibile dell’imprendi-
tore: un uomo quadrato, con uno spiccato senso degli affari che accetta il
rischio di fare corpo con questo manipolo di “intellettualoidi” fin troppo
irregolari, dimostrando straordinaria sagacia nel puntare sulla qualità, a
scapito di più facili guadagni. Per un ritratto suo e della sua azienda, non
si può prescindere dagli studi raccolti negli Atti del Convegno promosso
da Gianni Oliva nel dicembre 1996 sul ruolo svolto dalla Casa Editrice
agli inizi del secolo, dato che, in fatto di documentazione archivistica sulla
storia della Casa Editrice, non si possono proporre oggettivi progressi, per
l’irrimediabile perdita, già menzionata, dell’intero archivio e di tutto il
materiale documentario della casa editrice. Oliva stesso, nell’inaugurare
una lettura dello sviluppo della casa editrice, fu costretto a partire da una
prospettiva esterna, quella merceologica: se gli interessi economici sono
una condizione necessaria di una politica culturale editoriale, il riscontro
del suo successo è rinvenibile, in modo quasi palpabile, nella quantifica-
zione dell’incremento delle vendite, atte a confermare il successo dell’intu-
izione progettuale di Papini. E comparando i generi abitualmente offerti
dall’Editore al suo pubblico con quelli “filosofici” immessi nel circuito,
grazie all’influenza papiniana, a Oliva è riuscito di far risaltare la novità
dei risultati e il complessivo impatto sociologico dell’attività culturale di
Carabba, editore in Lanciano22. Il personaggio che si affianca al volubile
letterato, quindi, ha un’intelligenza pratica che incuriosirebbe lo stesso
Aristotele: perché non solo sa realizzare al meglio ciò che i due vanno

22
G. Oliva, Tra numeri e grafici: la linea di produzione editoriale della casa editrice Carabba, in
Oliva, La Casa Editrice Carabba, pp. 11-28; cfr. A. Sabella - G. Serafini - E. Giancristoforo,
Economia e società a Lanciano fra ottocento e novecento, Carabba, Lanciano 1996; C. Pelleriti, Le
edizioni Carabba di Lanciano. Notizie e annali 1878 – 1950, Vecchiarelli, Manziana 1997; L.
Giancristofaro, Rocco Carabba: una vita per l’editoria, Carabba, Lanciano 2004.

30
freneticamente progettando, ma anche perché sa salvare questo stesso pro-
getto dalle loro mani.
Papini, come si sa, era spesso preso da pulsioni autodistruttive nei
confronti del proprio operato, e nel 1914 sembra svanire tutto l’entu-
siasmo per l’iniziativa editoriale al punto da volere non solo recedere
dall’impresa, ma addirittura chiede di ritirare dalla circolazione un suo
testo: sta iniziando la stagione delle sue progressive conversioni e gli era-
no d’ingombro certe sue prefazioni, specialmente quel volume anticat-
tolico delle Polemiche religiose (1908-1914). 23 Gli si contrappone, con
decisione e risolutezza tipica abruzzese, Rocco Carabba che, abbandona-
to da Papini dopo il 1921, rimase fedele all’impegno preso al momento
dell’attivazione di quella dispendiosa collana; ne ribadì la proprietà, di
fronte alle bizze del suo direttore così repentinamente deciso a sconfes-
sare parte della propria attività, quasi a salvarla dall’autolesionismo del
proprio demiurgo.
Dunque era stato pienamente metabolizzato che l’impegno oneroso
della collana valeva come prestigio editoriale, ragion per cui con tenacia
i Carabba vollero e seppero continuare sulla scia già tracciata dei volumi
che rimanevano da pubblicare, magari cercando nuovi collaboratori e
nuove direttori di collana che non ne tradissero lo spirito o, semmai,
lo rinnovassero, aggiungendo altri testi e scoprendo altri curatori. D’al-
tronde la Casa Editrice, che si era già fatta carico di continuare il pro-
getto anche senza l’originaria direzione dato che già nel 1909 Vailati era
morto riteneva di aver preso un impegno con il proprio pubblico fin da
quando aveva stampato nel dorso e nei risvolti di copertina l’intero dise-
gno editoriale della collana; dunque tale elenco delle opere, se pur non
poteva essere rispettato come se fosse una programmazione cronologica,
prima o poi andava portato a buon fine.
Che dire del risultato? Basta scorrere il programma editoriale e c’è da
stupirsi per la vastità dei fronti aperti. Se il disegno complessivo dell’ope-
ra che, salvo le successive aggiunte, porta la firma di Papini manifesta
la volatilità dei suoi interessi, fino a diventare cronica con la scomparsa
di Vailati, una volta arrivati alla definitiva rottura deve essere risultato

23
G. Papini, Polemiche religiose (1908-1914), Carabba, Lanciano 1917

31
difficile ai Carabba continuare l’impresa, avviata su così diversi campi
contemporaneamente. Eppure l’increscioso episodio non sembra d’osta-
colo allo sviluppo della collana: i Carabba, padre e figlio, sono gente
dura, sono abruzzesi, la cui tempra non è mai stata piegata, neppure dai
terremoti. Se vi erano ragioni per credere nel progetto, ciò è sufficiente
per continuarlo, anche e nonostante la scomparsa di Vailati e le bizze di
Papini, dando respiro e alimento all’originale intuizione pur in assenza
dei suoi ideatori. Il problema è: con l’aiuto di chi? Chi subentra nella
direzione del progetto editoriale? Gino Carabba, anche se più colto del
padre, non è in grado di coordinare una tale vastità di orientamenti negli
specifici ambiti culturali.
Qui la perdita dell’archivio della Casa Editrice si fa pesantemente
sentire; per inciso va detto che la ricostruzione degli epistolari tra l’Edi-
tore e gli Autori e i curatori è una delle tappe che ci siamo proposti con
questi convegni annuali sulla collana “Cultura dell’Anima” e promuo-
vendo la nuova collana “Nuove Prospettive sulla Cultura dell’Anima”.
Riteniamo, infatti, che sia necessario indagare sulle direttrici che tale
collana ha intrapreso nelle sue diverse fasi, rintracciare i criteri con cui
si sono arruolati i collaboratori dopo la partenza di Papini. La necessità
di scoprire le menti che hanno architettato gli ulteriori sviluppi della
collana nasce dal fatto che saltano immediatamente agli occhi certe cu-
riose derive tematiche e grumi di curatori che si avvicendano, magari in
contrasto con le linee culturali intraprese all’inizio: infine, nello scorrere
un catalogo di commentatori o traduttori, a corredo di quello degli au-
tori, oltre alla notorietà dei nomi, è rilevabile l’alta frequenza di presenze
ebraiche. Curioso è che questi intellettuali vengano impegnati anche
su testi di cultura tedesca, squisitamente ariana: forse quest’inserimento
avviene come seguito all’avvicinamento di Gentile alla direzione della
Casa Editrice, che sotto la sua egida, e parallelamente all’Enciclopedia
Treccani, veniva a ospitare quegli studiosi ebrei italiani rifiutati dalle
Regie Università?24 Ancora: è solo per una coincidenza che la collana

24
G. Rota, Intellettuali, dittatura, razzismo di stato, F. Angeli, Milano 2008; R. Finzi, L’università
italiana e le leggi antiebraiche, Editori Riuniti, Roma 1997

32
chiuda nel ’38, lo stesso anno che vengono promulgate le leggi razziali
in Italia?
A conti fatti l’intento che ci proponiamo sia attraverso i convegni,
sia attraverso la collana “Nuove Prospettive sulla Cultura dell’Anima” è
proprio questo: ricreare il senso che acquisitava un testo strappato dalla
sua cornice storica abituale e riproposto in quel periodo e in quel modo.
Si tratta di un laboratorio ermeneutico: tenendo da parte le antologie,
su cui sarà più facile evidenziare le linee guida che hanno spinto Papini
e gli altri a filtrare testi e parti di testi, anche le opere tradotte integral-
mente presentano problemi d’interpretazione che superano i significati
che essi avevano per il proprio autore o per i lettori contemporanei.
Ognuno di questi testi ha un preciso valore all’interno della produzione
del singolo autore o possono risultare più o meno rilevanti all’interno
del costituirsi di una tradizione occidentale; ma, una volta riproposti
all’inizio del novecento in una collana filosofica che perdura per un arco
temporale di trent’anni, e accostati a tutti gli altri titoli accuratamente
cercati e commentati, potrebbero significare qualcosa di più, o di diver-
so se visti nell’insieme. Il sospetto è che con l’utilizzo dei testi classici si
possa ancora impostare un discorso “nuovo”, anche se per noi datato.
Anzi decisamente datato, ma non per questo meno interessante ai fini
dell’esercizio esegetico; si tratta di elementi di un discorso unitario, se
pur differenziato nelle sue parti. Di fatto è come se Papini ci volesse
introdurre nella sua biblioteca, inducendoci a leggere come lui vorrebbe
si leggesse un testo, per poter ancora pensare mentre si legge, con o con-
tro l’autore; si tratta di una biblioteca ideale per il nuovo intellettuale,
costituita anche da classici, noti ma opportunamente rivisitati e liberati
dall’esegesi tradizionale, per favorire quel fertile accostamento tra anime
di cui abbiamo sentito Papini parlare.

33

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