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Erodoto (484-425 a.C.

), 'padre' della storia, nella sua opera volle indagare le cause prime e più
antiche delle guerre tra Greci e Persiani, e raccontare in che modo esse si svolsero e come si
conclusero; egli può essere ritenuto senza dubbio una fonte affidabile, anche perché, a differenza di
chi lo aveva preceduto, si propose di distinguere con attenzione tra fatti attendibili e documentabili
e semplici dicerie. Nel racconto che viene presentato di seguito, relativo alla fatidica battaglia di
Maratona, Erodoto senza dubbio dovette attingere a documenti ufficiali, nei quali erano riportate le
decisioni prese dai capi di Atene e il bilancio complessivo della battaglia.

Intanto Ippia figlio di Pisistrato¹ guidava i barbari a Maratona. [...] I pareri degli Ateniesi erano divisi,
poiché gli uni non volevano dare battaglia - dicendo che erano troppo pochi per scontrarsi con
l'esercito dei Medi² -, gli altri, e fra questi Milziade, ne sostenevano la necessità. Ma poiché 2 erano
discordi e stava per prevalere il peggiore dei pareri, Milziade andò dal polemarco Callimaco e gli
parlò cosi: "Sta in te ora, Callimaco, rendere schiava Atene o renderla libera. Se gli Ateniesi
dovranno abbassare il capo dinanzi ai Medi, è già deciso quel che avranno a patire, consegnati a
Ippia. Se invece questa nostra città sopravvive, è in grado di diventare la prima delle città greche. Se
non combattiamo, mi attendo che una qualche grossa discordia, piombando su di loro, sconvolga le
menti degli Ateniesi tanto da spingerli a parteggiare per i Medi. Se invece attaccheremo prima
ancora che qualche insano pensiero si insinui in qualcuno degli Ateniesi, se gli dèi resteranno
neutrali siamo in grado di vincere. Or Dunque, tutto questo sta a te e da te dipende: se ti unisci al
mio parere hai una patria libera e una città che è la prima dell'Ellade, se invece scegli il parere di
quelli che dissuadono dalla lotta avverrà il contrario di tutte le belle cose che ti ho esposto". Con
queste parole Milziade tirò dalla sua parte Callimaco e, col voto del polemarco, si stabili di attaccare
battaglia. Gli Ateniesi si schierarono per il combattimento. Lo schieramento era all'incirca uguale a
quello persiano; la parte centrale era su poche file, e qui l'esercito era assai debole, mentre
entrambe le ali erano rinforzate di numero.

Come si furono schierati e i sacrifici ebbero dato buoni presagi, gli Ateniesi, appena furono lasciati
andare, si scagliarono di corsa contro i barbari. I Persiani, vedendoli avanzare di corsa, si
apprestavano ad accoglierli; e tacciavano di follia gli Ateniesi, e di follia certamente fatale, vedendo
che erano pochi, e per di più si lanciavano di corsa senza avere né cavalleria né arcieri. Questo
dunque pensavano i barbari. Ma gli Ateniesi, non appena, tutti compatti, si azzuffarono coi barbari,
combatterono in modo degno di ricordo. Primi infatti di tutti i Greci di cui noi abbiamo conoscenza,
usarono la tattica dell'assalto di corsa contro i nemici; per primi sostennero la vista
dell'abbigliamento medo e degli uomini che lo indossavano, mentre fino a quel momento fra i Greci
anche solo udire il nome dèi Medi era motivo di terrore. La battaglia di Maratona durò a lungo: al
centro dello schieramento furono vincitori i barbari, là dove erano schierati i Persiani; in questa
parte dunque vinsero i barbari, e operato lo sfondamento inseguirono i nemici verso l'interno; a
entrambe le ali invece ebbero il sopravvento gli Ateniesi. Pur riuscendo vincitori, lasciarono fuggire
quei barbari che s'erano volti in fuga e, unite le ali combatterono invece contro quelli che avevano
sfondato il centro del loro schieramento e li sconfissero. Poi si dettero a inseguire i Persiani che
fuggivano, trucidandoli, finché, giunti al mare, ricorsero al fuoco e tentarono di impadronirsi delle
navi. In questa battaglia di Maratona morirono circa 6400 barbari e 192 Ateniesi.

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