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A COTTA MASSIMO

Il salute che leggi e che è stato mandato a te da me


spero, dopo l’invio, che arrivi davvero.
Infatti molto porti via dei miei tormenti da sano
E fai che buona parte di noi sia in salute.
E se alcuni tentennano e abbandonano le vele travagliate,
tu rimani la sola ancora per la lacera nave.
È grata perciò la tua devozione; perdoniamo quelli
Che come Fortuna hanno dato le spalle all’esilio.
Quando i fulmini colpiscono uno non atterriscono solamente lui
Suole spaventarsi anche la folla vicina al colpito,
e quando la parete dà segni di prossimo cedimento
per ansia e paura quel luogo si svuota.
Chi dei timorosi non evita contatti col malato
Per paura di contrarne il male dalla vicinanza?
Alcuni dei miei amici hanno abbandonato anche me
Per troppo terrore e paura, non per odio.
Non l’affetto, non il senso del dovere
Li abbandonò: temettero le avversità divine,
possono sembrare più attenti e timorosi, è vero,
ma non meritavano d’essere chiamati cattivi.
O il mio candore scusa così i cari amici
E affinché non si abbia nulla che appoggi del mio crimine.
Siano questi contenti del perdono e sarà concesso che constatino
Che io stesso scagiono come testimone il loro agire
In pochi siete una parte migliore: che nelle cose articolate
reputate vergognoso non portare a me nessun aiuto.
Allora, dunque, morirà la riconoscenza per i vostri meriti,
quando consunto il corpo diventerò cenere.
Sbaglio, anzi, essa supererà il tempo della mia vita,
se tuttavia sarà letto dai memori posteri.
I corpi senza sangue sono destinati ai tumuli tristi
nome e stima sfuggono all’eretto rogo.
Morì Teseo e chi accompagnava Oreste,
ma tuttavia entrambi vivono nella loro fama.
Anche voi i nipoti spesso loderanno,
e sarà chiara la gloria vostra con i miei scritti.
Anche qui siete noti a Sarmati e a Geti,
e il pur barbaro volgo esalta tali sentimenti,
e quando io, recentemente, riferivo della vostra integrità
(infatti ho imparato a parlare getico e sarmatico),
un vecchio per caso trovandosi in quella brigata
tali parole rispose al suono delle mie:
“a noi anche è ben noto, ospite, il nome dell’amicizia,
che lontano da voi … … … … … … … ha.
C’è un luogo nella Scizia (Tauride dicono gli antichi)
Che non è tanto lontano dal suolo getico.
In questa terra sono nato io (patria non dispiaciuta):
quella gente venera la dea sorella di Febo.
Oggi mantiene il tempio retto da immense colonne,
e si arriva in quella per quattro volte dieci gradini.
secondo la leggenda lì c’era la statua di un celeste;
qualche dubbio? Si trova anche la base orfana della dea
e un altare, il quale fu bianco di pietra naturale,
scolorito rosseggia tinto del sangue versato.
Una femmina celebra i riti, mai nota alla teda nuziale;
la quale supera in nobiltà le nuore scitiche.
Il tipo di sacrificio (così stabilirono i padri) prevede
Che uno straniero cada ucciso per la spada di vergine.
Ebbe regno Toante illustre sulla riva meotide,
né altri fu più noto sulle acque eussine.
Quando teneva lo scettro fin lì compì per l’aure limpide
Il cammino, dicono, non so come Ifigenia;
Che sotto venti lievi fu portata per l’etere in una nube
e Febe, si crede, la depose in questi luoghi.
Per molti anni solennemente lei aveva presieduto al tempio
Compiendo con la sua mano a malincuore i mesti sacrifici,
quando giunsero due giovani su velifera nave
e calpestarono col loro piede i nostri lidi.
Uguali erano questi in età e in affetto, dei quali l’uno era Oreste
L’altro Pilade: la fama mantiene i nomi.
Immediatamente all’ara spietata di Trivia sono condotti,
mani legate ugualmente sulla schiena.
La sacerdotessa graia cosparge i prigionieri d’acqua lustrale,
affinché la lunga benda s’aggrappi intorno alle fulve chiome.
Mentre prepara il sacrificio, mentre vela di bende le tempie,
mentre lei stessa inventa ragioni di lento indugio,
“Crudele non io, o giovani, perdonate”, disse,
“compio sacrifici più barbari del loro luogo.
È rito di questa gente: ma voi da quale città venite
e in che direzione andate con la non abbastanza fortunata nave?
Disse, e udito il nome della patria la pia vergine
Scoprì che erano compagni della sua città.
“Uno di voi”, disse, “cada vittima per il sacrificio,
l’altro vada nunzio nelle patrie sedi”.
Pilade destinato a morire ordina al caro Oreste di andare,
questi nega e l’un combatte l’altro per morire.
Esiste solo questa volta in cui quelli non erano d’accordo:
sul resto furono compagni concordi e senza liti.
Mentre i giovani conducono la gara di bell’affetto,
lei traccia segni di scrittura al fratello.
Per il fratello affidava il messaggio; a chi l’affidava?
(guarda i casi umani), era il fratello!
Senza indugi rapiscono dal tempio la statua di Diana,
che di nascosto per le acque immense la nave porta via.
meraviglioso affetto di giovani, sono passati tanti anni,
in Scizia anche ora hanno grande fama”.
Dopo che fu narrata da quello la storia del popolo,
tutti lodarono il fatto e la pia devozione.
Anche qui, si sa, dei quali lidi nulla è più feroce,
l’amicizia è un nome che smuove cuori barbari.
Che dovreste fare voi nati nella città ausonia,
quando tali azioni toccano i duri Geti?
Aggiungi, poiché tu hai un animo sempre mite, e
Siano i costumi indice di alta nobiltà,
Voleso, l’iniziatore del casato paterno, li conosca,
e Numa di parte materna non li neghi essere suoi,
i Cotta, aggiunti ai nomi di nascita, approvino,
un casato destinato all’estinzione se non ci fossi tu.
Uomo degno di questa discendenza, soccorrere l’amico stremato
Pensa che sia coerente con questa integrità.

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