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A chi dono il libretto grazioso e nuovo


Levigato or ora con l’arida pomice.
A te, o Cornelio, infatti tu solevi
Reputare che le mie nugae fossero qualcosa,
già allora quando tu solo tra gli italici osasti
spiegare tutta la storia in tre volumi
dotti, per Giove, e laboriosi.
Dunque sia tuo questo libretto, qualunque e
Qualsiasi cosa (sia); o vergine patrona fa’ che
Rimanga duraturo per più di un secolo

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O Furio e Aurelio, compagni di Catullo,
sia che lui si spingerà verso i lontani Indi
dove la spiaggia è battuta da lontano
dall’onda Eoa risonante.
Sia verso gli Ircani o i lascivi/deboli Arabi
Sia verso i Saghi o i Parti portatori di frecce
Sia nelle acque che il Nilo dalle sette foci
colora.
Sia che andrà attraverso le alte Alpi,
vedendo le conquiste/ testimonianza/ atti del grande Cesare,
il Gallico Reno, il terribile oceano,
e gli estremi britanni.
Preparati ad affrontare insieme
Tutte queste cose, e qualunque porterà la volontà celeste:
annunciate alla mia fanciulla poche
parole non buone:
Viva e sia felice/ stia bene con i suoi amanti
I quali trecento tiene insieme abbracciandoli,
Amandone nessuno veramente, ma ugualmente/continuamente spezzando
I fianchi di tutti;
Non aspetti il mio amore come prima,
il quale per colpa di quella è caduto come un fiore
al limite del prato, dopo che è stato toccato
dall’aratro che passa oltre.

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Al tenero poeta mio amico
Cecilio vorrei, o epistola, che tu dicessi
Di venire a Verona, lasciando le mura
e il lido lario della nuova Como.
Infatti voglio che ascolti alcune fantasie
Di un amico suo e mio.
Perciò se è saggio divorerà la strada
Sebbene una candida fanciulla mille volte
Richiami lui che va e gettando entrambe le braccia al collo
Lo implori di restare
Lei che ora, se mi sono riferite cose vere,
sviene per lui di un amore sfrenato.
Infatti da quando lesse l’iniziata padrona di Dindimo (Cibele)
Da allora le fiamme divorano alla misera
L’interno delle membra.
Ti perdono o fanciulla più dotta della musa saffica:
infatti l’intrapresa Grande Madre di Cecilio è di molto garbo.
Componimento 51
Quello mi sembra essere pari a un dio,
Quello, se è lecito, (mi sembra) che superi gli dei,
colui che, sedendo di fronte a te, di volta in volta
guarda e ascolta
te che ridi dolcemente, a me misero ciò
sottrae ogni senso; infatti da quando ti vidi,
o Lesbia, nulla mi avanzò.
…………………….
Ma la lingua intorpidisce, sotto le membra
Scorre una tenue fiamma, le orecchie rimbombano
Per un suono interno, gli occhi sono coperti
Da una doppia notte.
L’ozio, o Catullo, è molesto per te:
esulti per l’ozio e ti dibatti troppo.
L’ozio ha rovinato in precedenza
Re e città beate.

Componimento 95
La Zmyrna del mio Cinna, infine, dopo la nona estate,
in cui fu iniziata e dopo il nono inverno, è apparsa.
Mentre intanto in uno solo Ortensio (ne ha scritti) cinquecento mila
La Zmyrna è mandata presso cave onde del profondo Satraco
La Zmyrna sfoglieranno a lungo i secoli canuti.
Ma gli annali di Volusio moriranno presso la stessa Padova
E diventeranno spesso larghi involucri per gli sgombri.
I piccoli monumenti del mio amico siano a me a cuore
mentre goda il popolo del pomposo Antimaco.

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Sebbene la pena allontani me affranto con un assiduo
dolore, dalle dotte vergini, o Ortalo,
né la mente è capace di far germogliare il dolce frutto delle muse
(lei stessa fluttua in tanto grandi mali:
infatti da poco l’onda che monta con il gorgo di Lete
ha bagnato il pallido piede di mio fratello,
il quale la terra di Troia sotto la costa retea
copre strappato ai miei occhi.
Mai più parlerò, ascolterò te che parli delle tue azioni,
mai più ti vedrò poi, fratello più amato della vita,
ma certamente ti amerò sempre,
sempre onorerò i tristi carmi con la tua morte
come quelli che sotto le dense ombre dei rami intona
Daulide piangendo il fato del perduto Itilo),
tuttavia in così grandi tristezze, o Ortalo,
ti mando questi versi ispirati dal Battiade,
affinché tu non creda mai che le tue parole invano vaghino
affidate ai vaghi venti nel mio animo,
come la mela mandata come dono furtivo dell’amante
scivola dal grembo casto della vergine
il quale, nascosto sotto la morbida veste della misera (ragazza) che se n’era dimenticata
finché all’arrivo della madre si alza, (quello) cade;
e quello cade in avanti con una caduta a capofitto,
un cosciente rossore avvampa a questa nel triste volto.
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Trasportato attraverso molti popoli e molti mari
giungo a queste misere esequie, o fratello,
per donare a te l’estremo omaggio della morte
e per esortare invano la cenere muta.
Poiché/ dal momento che Proprio te che la fortuna ha sottratto a me inesorabilmente,
ahimè, o misero fratello indegnamente sottratto a me,
ora tuttavia, intanto, accetta queste (esequie), che per il costume antico dei padri
sono tramandate, triste omaggio per i morti,
molto bagnate dal pianto fraterno,
e per sempre, o fratello, addio, addio.

Componimento 96
Se qualcosa di caro e dolce può giungere O Calvo
dal nostro dolore alle tombe mute,
per quel desiderio con il quale rinnoviamo vecchi amori
e piangiamo ancora amicizie perdute,
certamente non dispiace tanto a Quintilia la morte prematura
quanto gioisce del tuo amore.

Componimento 76
Se qualche bene c’è per l’uomo che ricorda i precedenti beni
Poiché pensa di essere onesto né di aver violato la sacra
parola data, né facendo uso di un giuramento nullo nei
confronti degli dei, per la volontà di ingannare gli uomini,
molte gioie saranno preparate per lungo tempo, o Catullo,
da questo amore ingrato per te.
Infatti quelle cose che gli uomini possono dire o fare di buono
per qualcuno, queste da te sono dette o fatte.
Tutte cose che sono state perdute, offerte ad un cuore ingrato.
Dunque perché ti tormenti ormai ancora?
Perché non ti fai violenza nell’animo e ti liberi da questo
E, non volendolo gli dei, smetti di essere misero?
È difficile all’improvviso abbandonare un lungo amore
È difficile, questo è vero, ma, cosa gradita, falla:
Questa è l’unica salvezza, questo deve essere sconfitto da te
Fa’ questo sia che tu non abbia la forza sia che tu l’abbia.
O dei, se è vostro essere misericordiosi, o se a qualcuno mai
portaste aiuto in estremo, ormai nella stessa morte,
guardate me misero e, se ho vissuto onestamente,
sottraete a me questa peste e sventura!
Ahi me, come un torpore insinuandosi profondamente negli arti
Ha sottratto le gioie da ogni cuore.
Ormai non chiedo più che quella mi riami
Ma, cosa che non è possibile, che voglia essere onesta.
Io stesso voglio stare bene e abbandonare questo morbo triste,
o dei, fatemi la grazia, per la mia pietà.

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