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Titolo e autore:

I sommersi e i salvati - Primo Levi

Casa editrice:
Einaudi, Gli Struzzi 305, 1992

Caratteri della narrazione:


1. Primo Levi: il protagonista delle vicende narrate nel libro, colui il quale
ha vissuto direttamente l’esperienza nei Lager nazisti; caratterizzato da un
grande spirito critico, analitico, che non si ferma alla semplice narrazione
dei fatti, ma si dedica a sviscerarli in ogni prospettiva, risalendo alle cause
delle cause e non soffermandosi a categorizzare, semplificare.
2. Altri personaggi, che possono essere ad esempio compagni di vita,
internati nei Lager o meno, ma anche personaggi della letteratura a lui
contemporanei, o anche persone che hanno scritto direttamente all’autore
(come si vede nell’ultima parte del libro)

Il contesto storico:
Il libro discorre nella sua maggior parte sulle vicende relative ai Lager nazisti o
circoscritti a questi, alla sua permanenza in questi (1942 - 1945), dedica poi una
parte abbastanza ampia alla contemporaneità rispetto alla pubblicazione del
libro e al futuro, alla memoria di questi avvenimenti, ai testimoni di questo
orrore, per dedicare poi una parte ai pensieri di chi vive in Germania con alle
spalle un avvenimento di queste dimensioni colossali (le lettere che i tedeschi
mandarono a Primo Levi relative all’edizione tedesca di Se questo è un uomo).
Il lasso temporale della narrazione è dunque molto vasto e dà luogo a molti
intrecci tra presente, passato e futuro.

Temi trattati per capitolo:


1. La memoria dell’offesa: in questo capitolo si discute a proposito della
memoria, quasi scientificamente. La memoria è fallace, questo è il centro
di tutta la riflessione nel primo capitolo, i ricordi tendono a cancellarsi
ma anche a modificarsi, a mescolarsi con ricordi di altre persone.
Levi individua poi la differenza tra la memoria dell’oppressore e quella
dell’oppresso, del torturato: la prima tenderà a cancellare, a nascondere, a
ripetere di non ricordare, a non voler ricordare, la seconda che non
può che portare i segni di un’oppressione.
Emerge poi anche un aspetto importantissimo: il fatto che i gregari
nazisti, nel momento in cui fu chiesto loro del perché avessero potuto
permettere una crudeltà simile, abbiano risposto di aver agito,
considerando l'educazione che era stata loro impartita, sotto un comando,
una legge, un dettame, e loro non abbiano fatto altro che seguire una
legge, ubriacati dall’ideologia nazista. Erano, in sostanza, oppressi anche
loro, una catena di oppressioni che ha generato orrore e voglia di
dimenticare da un lato, voglia e bisogno di ricordare dall’altro.
2. La zona grigia: con questo termine, Primo Levi identifica coloro i quali,
da prigionieri nei Lager, collaborarono con l’autorità nazista, per investirsi
di un non so che privilegio, che privilegio non era, dal momento che a
tutti i prigionieri dei Lager toccava la stessa tragica fine. Evidenzia
dunque che una spaccatura netta tra bene e male, vittima e oppressore,
non c’è. Non vi è un bianco e un nero, non solo, ma vi è anche un
grigio, una condizione intermedia, coloro i quali confidando in una sorte
diversa si assoggettarono al dominio delle SS per divenire loro stessi dei
carnefici, tradire il proprio popolo, mettersi gli uni contro gli altri, ma che
non garantì loro nulla, se non un cattivo nome.
3. La vergogna: altro capitolo importante, che si sofferma sull’umiliazione
degli internati all’interno dei Lager, la privazione della propria identità,
ma non solo. La vergogna provata per la propria condizione di animali,
talvolta per il proprio egoismo, per aver preferito salvare sé stessi a
discapito di qualcun altro (e qui ritorna il discorso della zona grigia).
4. Comunicare: quasi come in un trattato, ci si sofferma sul linguaggio, sulle
potenzialità del linguaggio, sulla sua duttilità, ma anche sulle difficoltà
che esso può creare. All’interno del Lager, non capire significava esitare,
e quindi essere torturati; come se non bastasse esisteva un vero e proprio
gergo del Lager, diverso dal tedesco di Goethe, al quale ci si doveva
abituare, a furia di bastonate e colpi. Anche chi, come Primo Levi,
conosceva abbastanza bene il tedesco, aveva difficoltà a comprendere il
tedesco del Lager, rozzo e duro.
5. Violenza inutile: capitolo dal titolo provocatorio, riflette sulla possibilità
che esista la violenza utile, la morte stessa, anche non provocata, è utile.
L’inutilità della violenza dei Lager sta nell’aver inflitto non solo
crudeltà, ma anche umiliazione, tortura, e di averne goduto (la
Schadenfreude, il godere per le sciagure altrui). Dal punto di vista
dell’ideologia nazista, la morte degli internati nei campi, gli “inferiori”,
era utile, utile per far predominare la razza ariana; inutile è stato umiliarli
a tal punto da far perder loro ogni dignità, ogni parvenza di esseri umani e
riducendoli ad animali, per poi ucciderli. Il loro intento era non solo di
distruggere il loro corpo, ma anche la loro anima, la loro identità,
ridurli ad un oggetto.
6. L’intellettuale ad Auschwitz: è nota tra i più l'idea che essere intellettuale
all'interno di un Lager possa essere un vantaggio. In parte lo è, basti
pensare innanzitutto al fatto che Primo Levi conoscesse il tedesco a un
livello essenziale, ma fosse anche un chimico, quindi avere un
riconoscimento gli ha permesso di ottenere una mansione ben precisa che
gli ha garantito una posizione meno di svantaggio, che tuttavia non può
definirsi un privilegio. Tuttavia l'essere intellettuali vuol anche dire non
essere abituati ai lavori “rozzi”, ai lavori “umili” come ad esempio
usare una pala per scavare delle fosse, lavori che richiedono praticità e
sforzo fisico. Ma la cultura ha anche la funzione di restare aggrappato ad
un qualcosa di umano, alla cultura, per far sì che l'umiliazione dei gregari
nazisti non possa privare l'unica cosa di cui l'uomo si distingue dagli
animali.
7. Stereotipi: uno degli stereotipi che Primo Levi affronta, il principale
stereotipo, è quello di chiedersi perché chi fosse stato internato non avesse
impedito tutto questo, perché non fosse fuggito prima o durante, cosa
che era impossibile, dal momento che il sistema dei Lager e
dell’ideologia nazista aveva creato una realtà ostile dal punto di vista
di un ebreo, tale per cui, ammesso che fosse riuscito ad evadere da un
campo (impossibile a farsi), non avrebbe trovato nessuno disposto ad
aiutarlo, né una famiglia ad attenderlo, considerando il fatto che veniva
deportata l’intera famiglia.
8. Lettere di tedeschi: in questo capitolo sono conservati estratti di alcune
lettere che Primo Levi ricevette da lettori di nazionalità tedesca dopo la
pubblicazione di Se questo è un uomo in Germania. Le lettere erano tutte
(o quasi) focalizzate su una frase scritta nella prefazione dell’edizione
tedesca: “...non posso dire di capire i tedeschi...”, sapendo che i lettori
erano i tedeschi che erano vissuti contemporaneamente all’orrore
dell’Olocausto. La sua incomprensione verso i tedeschi nasce dal fatto che
nessuno ammetta le proprie colpe ma cerchi di incolpare qualcosa che
sta più sopra, un’autorità, esattamente come i gregari nazisti si sono
giustificati durante i processi: non era colpa loro, era un’autorità che
imponeva di agire in un determinato modo ed era solo ed esclusivamente
colpa di quell’autorità se un orrore di tali dimensioni fosse stato concepito
e realizzato.
Sono stati tutti coloro che hanno permesso ad Hitler di salire al potere:
nel Mein Kampf, scritto prima che egli salisse al potere, c’erano scritte
chiaramente le sue idee, le sue teorie, la sua dottrina; se ci fosse stata
lucidità mentale, ad un malato fanatico come Hitler non avrebbe mai
dovuto spettare un posto di capo di una nazione, di un Reich. Non è
colpa di Hitler o dei suoi più stretti collaboratori se è avvenuto il più
grande genocidio della storia, ma di coloro che lo hanno permesso sin
dal primo istante. Il colpevole non è chi pianifica, non solo, ma anche chi
permette che ciò avvenga e chi preme il grilletto o apre la valvola del gas in
nome di qualcuno: quel qualcuno ha permesso che un intero popolo fosse
assoggettato a lui, ormai incapace di prendere una decisione razionale,
accecato dalla dittatura e dall’oscurantismo.

Giudizio personale:
I sommersi e i salvati è il primo romanzo a proposito dell’Olocausto a non essere
il solito romanzo sull’Olocausto, a non essere un romanzo solo sull’Olocausto. È
un saggio sulla coscienza umana, sulla memoria, sulla forza di ricordare, sul
coraggio di ricordare per non permettere che ciò possa avvenire ancora, per
ricordare agli uomini che siamo uomini, tutti, sulla stessa Terra, con gli stessi
diritti e doveri, la stessa importanza.
Dovremmo smetterla di odiarci a vicenda, di creare paure inutili: xenofobia,
omofobia, intolleranze. Dovremmo capire finalmente, grazie alla scienza, grazie
alla ragione che ci rende esseri umani, che sono tutte infondate, che si tratta solo
di odio gratuito, che stiamo facendo di tutto per metterci i bastoni tra le ruote a
vicenda, per auto annientarci.
Finché c’è ignoranza, superstizione, credenza, ci sarà odio, ed è per questo che
libri come questo andrebbero letti e riletti, capiti e interiorizzati, fatti diventare
propri, per imparare il rispetto ed imparare anche ad assumersi le proprie
responsabilità. Non siamo isole nel mare, indipendenti gli uni dagli altri, ma
siamo costantemente in contatto tra di noi, anche con persone dall’altra parte
del mondo, con i social network. Ed è purtroppo anche a causa dei social se un
determinato atto denigratorio verso qualcuno o qualche categoria presupposta
da chi muove l’offesa diventi visibile a tutti, potenzialmente oggetto di
approvazioni di altri. Basta davvero poco per creare delle bestie, la Storia ce lo
dice, ce lo ha insegnato, ma noi sembriamo sempre ciechi, non riusciamo a
capire che stiamo sbagliando ancora, e ancora, e che continueremo a sbagliare
finché forse non coglieremo quello che il passato ha avuto da dirci.
E quando finalmente coglieremo il senso di quelle parole, allora ci renderemo
conto di quanto sangue inutile è stato versato; chi riesce già a comprendere
queste parole, sta già soffrendo.
Mi piace pensare che ci possa essere un tempo in cui l'uomo si possa redimere
dalla crudeltà che ha commesso in passato e che questo tempo possa essere
sempre, in ogni momento. Ogni forma di crudeltà e ingiustizia, causata
dall'ignoranza, dall'abuso del potere, dalla smania di grandezza, dalla necessità di
ottenere qualcosa. Sta a noi decidere quando l'uomo potrà finalmente
abbandonare la grettezza della violenza gratuita per vivere davvero: perchè
questo non è vivere. Da ateo ritengo che il Peccato Originale sia tutto ciò che
man mano ci stiamo portando dietro di nefasto, di ingiusto, e che questa colpa
non sia stata ancora espiata. Verrà il giudizio universale, ma verrà anche il
giudizio di ogni singola nostra vita, e saremo noi, proprio noi, nella vecchiaia, ad
un passo da abbandonare questo mondo, che ci volteremo indietro e vedremo
tutta la nostra vita scorrere davanti ai nostri occhi: solo lì ci renderemo conto di
aver vissuto per qualcosa, di aver fatto del bene, o di essere stati crudeli, spietati,
di non esserci mai pentiti e mortificati, o ancora di aver perso tempo in vita, di
non aver fatto nulla per impedire violenza gratuita, di non aver fatto del bene a
noi stessi e agli altri: come scriveva Seneca, "Non vixit iste, sed in vita moratus
est".

Un giorno ce ne renderemo conto, tutti, prima o poi. I freddi rimarranno tali, si


lasceranno scivolare di dosso il peso del passato, altri accuseranno il colpo.

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