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Introduzione

L'Olocausto è uno dei tempi più bui della storia dell'umanità. La Seconda Guerra mondiale (1939-
1945) fu lo scenario più cruento che vide uccise tra i sessantamilioni e sessantottomilioni di vittime.
Ma questi numeri corrispondono alla realtà? Cosa successe veramente? Perché si arrivò a questo
orrore? Si sarebbe potuto evitare? Dio c'era? Dov'era? Perché non impedì questo massacro?
Perché non si parlò per anni di questo evento? Perché parlarne dopo? Queste sono alcune delle
tante domande che gli uomini si posero nell'arco di tempo successivo al tragico evento, alle quali
probabilmente ancora oggi non c'è una risposta. Molti letterati, filosofi, storici, pittori e signori
dell'arte tentarono di darsi delle spiegazioni sull'Olocausto rappresentandolo in ogni sua forma. Ci
sono infatti pervenute opere letterarie, testimonianze di chi visse sulla propria persona quel sacrificio;
filosofiche, con le quali cercarono di spiegare l'Olocausto e come l’uomo sia cambiato successivamente;
storiche , ripercorrendo ciò che avvenne forse per capire quale fu l'origine di così tanto odio.
L'Olocausto fu, dunque, uno dei momenti storici in cui i riflettori si spensero e la strada del "giusto",
del raziocinio e della moralità, fu andata persa. Il buio iniziò a farsi spazio nel cuore di chi, in quel
periodo, deteneva il potere. I Nazisti, governo guidato da Adolf Hitler, immaginavano di poter creare
una potenza germanica nell'Europa Orientale eliminando ogni forma di religione e politica che non
era la loro. Iniziò così la persecuzione verso il popolo ebreo, ritenuto insignificante e per questo
sottomesso e sterminato. Ma, perché proprio gli ebrei?

Finita le guerra nel 1945, le riprese economiche e morali tentennarono per anni. L'Olocausto fu un
argomento non menzionato e soffocato nell'omertà di ogni uomo. Fu visto come un momento di guerra
tra nazioni e non come ciò che fu effettivamente. Allora perché non dare testimonianze di ciò che passò
alla storia? Perché dopo un tempo lungo si iniziò a parlare delle persecuzioni, della "Notte dei Cristalli" 1,
dei campi di concentramento e di morti? Quel silenzio fu protagonista nella vita di ogni sopravvissuto,
come se fosse un involucro in cui si doveva stare per essere protetti dalla memoria, dalla paura, dalla
sofferenza, dalla morte.

Solo dopo qualche tempo dalla seconda Guerra Mondiale si ebbe una risvolta nelle parole di chi la visse.
Si iniziò a parlare degli orrori vissuti, visti con i propri occhi, che divennero segni indelebili come un
numero tatuato che tolse l'identità a milioni di persone.

In filosofia si trattò l'Olocausto attraverso opere e concetti di Agnes Heller, André Neher, Hans Jonas ed
altri, che scavando in profondo raccontarono, posero domande e ne cercarono le risposte tentando di
riuscire a trovare una motivazione valida a quella grande manifestazione d’odio.

1
A. HELLER, I silenzi che circondano Auschwitz, trad. It. Antonella Silvestri
Paragrafo I: Auschwitz, il silenzio e le sue forme

<<Il linguaggio umano non contiene i termini adatti a descrivere Auschwitz. La vastità di quelle orribili
esperienze richiederebbe un nuovo vocabolario.>>2

Così Dita Kraus giustifica il silenzio che riguarda Auschwitz, durante e dopo la sua esperienza nel campo
di concentramento, in quanto nessuna parola potrà mai essere all’altezza di descrivere un orrore di
questo tipo. Ancora l’autrice continua nel suo libro a parlare di un’altra forma di parola non udita <<I
blocchi erano ancora affollati e il giorno dopo regnava soltanto uno spaventoso silenzio>> 3 in un
momento in cui <<avevamo tutti paura di ignorare le restrizioni imposte agli ebrei>> 4. Si tratta di un
silenzio rinchiuso nello sconforto degli internati che non avevano il coraggio di ribellarsi alle
imposizioni, al male che gli veniva inflitto. Spaventoso, quello che si definisce "assordante", il silenzio
che coinvolge non solo il senso dell'udito ma anche quello dell'anima e della speranza ormai persa
per la convinzione che quelli fossero gli ultimi attimi della propria vita. Agnes Heller scrisse “ I silenzi
che circondano Auschwitz”5 , una tesi in cui racchiude domande, affermazioni e concezioni
sull'Olocausto. Prende le mosse dalle parole di Adorno riguardo la domanda se si possa parlare di
Auschwitz, in che modo farlo e soprattutto chi può dire. Per poter parlare di quest’orrore non si può
fare da spettatore, in quanto l’Olocausto non è un semplice spettacolo, ma una tragedia fuori da ogni
portata. Ecco perché si ha difficoltà a trovare le parole adatte per poter argomentare questo capitolo
dell’umanità e molto spesso la via più semplice da intraprendere, è il silenzio. Analizzando questo, il
silenzio si esprimeva attraverso dei simboli come una stella gialla, un numero inciso nella pelle,
manifesti di propaganda che limitavano l’accesso agli ebrei limitandoli nella loro quotidianità e
ponendo loro delle regole da rispettare. Tutto ciò portava gli ebrei a sviluppare un senso di colpa, un
animo colpito dall’accanimento dei nazisti con comportamenti e affermazioni che sminuivano il popolo
ebraico, facendoli sentire inferiori tanto da essere estirpati senza alcuna esitazione. Il mondo era
consapevole delle azioni cruciali che venivano attuate ma preferì nascondersi nel mutismo, nell’omertà,
che risultava essere peggio della non consapevolezza di ciò che stava accadendo. Ciò veniva definito da
Agnes Heller come “silenzio della colpa” 6, cioè il mondo era colpevole del suo stare muto, di non
ascoltare la sofferenza delle vittime che tuttavia era ancora udibile, ma ancor di più era accusato di
ignorare quegli omicidi nella convinzione che ciò avrebbe portato al soffocamento delle urla di chi li
stava subendo.

Molti ebrei si vergognavano di essere sopravvissuti perché ritenevano di non avere il diritto di poter
vivere, cioè di essere sopravvissuti all’Olocausto, mentre milioni di persone avevano perso la vita. La
domanda ricorrente era dunque "Perché io? Perché proprio io? ". Ciò che vagava nei loro pensieri era un
insieme di colpa e vergogna per essere sfuggiti al massacro. Il senso di colpa perché si chiedevano quale

2
Z. BAUMAN, Modernità e Olocausto, trad. It. Massimo Baldini, il Mulino, Bologna 2010.
3
V. FRANKL, Uno psicologo nei lager, trad. Schimtz Sipos, Ares, Milano 2009
4
H. ARENDT, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, trad. It. Piero Bernardini, Feltrinelli, Milano 2019.
5
Z. BAUMAN, Modernità e Olocausto, trad. It. Massimo Baldini, il Mulino, Bologna 2010.
6
A. HELLER, I silenzi che circondano Auschwitz, trad. It. Antonella Silvestri
fosse il motivo di essere stati risparmiati, cosa avessero in più rispetto alle vittime per essere stati in
grado di evitare la morte; il senso di vergogna perché portavano il peso che tutto ciò era accaduto a
causa dell’inferiorità della razza di appartenenza. Di fatti, analizzando più accuratamente questo
sentimento di vergogna, gli ebrei erano stati indotti a pensarsi come inferiori perché, cercando una
giustificazione per ciò che era accaduto, definirsi “popolo superiore” non dava alcuna risposta razionale
a tutte le domande che gli ebrei stessi si ponevano. La superiorità poteva simboleggiare anche qualcosa
di trascendentale arrivando alla concezione “è accaduto proprio a noi, poiché noi siamo gli eletti da
Dio”7. Ma se questa spiegazione rendeva il popolo ebraico così vicino alla concezione religiosa, allora
com’era possibile che l’Olocausto si stesse realizzando? Di conseguenza l’unica risposta più immediata
alla concezione umana, sulla base anche di studi e conoscenze bibliche, sarebbe stata quella di aver
commesso un grave peccato, come quello originale, tanto da essere puniti in maniera così crudele. Da
Adamo ed Eva, l’umanità si porta un senso di incompletezza che non fa raggiungere la perfezione, un
peso che grava sulla schiena di ogni uomo e che non porta alla totale felicità. Così come L’Olocausto, è
un capitolo storico che peserà sempre sulla coscienza di ogni uomo, sarà un perpetuarsi di generazione
in generazione senza mai avere la possibilità di essere cancellato o in qualche modo dimenticato.

E ancora, trattare la concezione di superiorità ed inferiorità veniva usata per spiegare le guerre di
colonizzazione che avvenivano tra i popoli, per questioni politiche od economiche. Si pensava che ciò
fosse possibile applicarlo sull’Olocausto ma, prendendo le parole di Bauman, egli afferma che <<Le
vittime di Stalin e Hitler non furono uccise per conquistare e colonizzare il territorio da esse occupato>>8
ma che in realtà <<esse furono uccise perché non rientravano [...] nel progetto di una società perfetta>>9.
Di conseguenza si arriva all’affermazione che non c’è alcuna spiegazione né giustificazione da poter
attribuire all’Olocausto, che non c’è nulla adatto a descrivere perfettamente i sentimenti e vissuti di
quell’esperienza, non può essere illustrato se non tramite il silenzio in tutte le sue forme. Nemmeno il
silenzio dell’orrore rende giustizia alla realtà vissuta, ogni parola che può essere usata non è altro che un
paragone mai all’altezza dell’atrocità e perciò, con parole di Kierkegaard, le opere d’arte sono forme di
comunicazione indiretta, rappresentano metafore dell’orrore. L’Olocausto è fuori da ogni concezione
possibile, fuori da ogni linguaggio, unico e privo di senso. Esso non ha una catena causale e ciò lo rende
fuori dalla storia, non può essere spiegato come una conseguenza storica. L’Olocausto è un capitolo
completamente buio, colmo di silenzio del non senso e cioè irrazionale.

Paragrafo II: Il coraggio di parlare o di stare zitti


Con le parole di Adorno, possiamo definire Auschwitz, un tempo in cui l'orologio del mondo si è

7
A. HELLER, I silenzi che circondano Auschwitz, trad. It. Antonella Silvestri, Il tema di B@bel
8
P. LEVI, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 1958
9
Berlino, Germania. La notte tra il 9 e il 10 Novembre 1938
fermato. Non c'era più una vita con valori, leggi giuste e moralità. C'era solo guerra, fame, povertà e
morte. In uno scenario così difficile molti saggi ci riportano alla concezione di un'unica cosa rimasta,
ovvero la speranza. Ma il presupposto di questa era forse il coraggio? Hannah Arendt dirà che serve
il coraggio ad opporsi ad una politica immorale, di violenza e di morte. Ne La banalità del male 10, la
filosofa parla di un processo, al quale aveva assistito, riguardante Adolf Eichmann, un tedesco, che non
si era opposto al regime totalitario della Germania, bensì era stato l‘autore di molte azioni immorali
e crudeli. La giustificazione che l‘uomo dava alle crudeltà compiute risiedeva nella fedeltà ad un
meccanismo di obbedienza e burocrazia. Tutto ciò che accadeva ai tempi dell’Olocausto, era parte di
una macchina burocratica in cui gli esecutori erano gli anelli leganti che portavano avanti il progetto
senza avere la possibilità di opporsi e portando così ad un incontrastabile dominio dell’ordine. Secondo
Milgram, psicologo americano, la crudeltà manifestata non dipendeva dalla natura caratteriale
dell’uomo ma dal contesto sociale in cui esso faceva parte. Se il regime imponeva la propria dittatura,
l’Olocausto non dipendeva dalla cattiveria individuale ma dall’autorità superiore. Il meccanismo
burocratico creato, era un modo per eliminare il senso di responsabilità individuale, ovvero ogni
individuo è convinto di essersi attenuto alle istruzioni ricevute da altri. Così ciò che viene definita da
Milgram responsabilità fluttuante, non è altro che la condizione stessa delle azioni immorali. Eichmann
quindi si era attenuto a ciò che gli era stato imposto dalle autorità superiori, liberandosi in qualche
modo dalle colpe e dando la responsabilità di quelle azioni al regime ma ignorando che ciò avrebbe
portato comunque a delle conseguenze. Si può dire quindi che l’etica dell’obbedienza era più
importante di una presa di coraggio ad opporsi al totalitarismo. In contrasto con tale teoria, Victor
Frankl, neurologo, filosofo e psichiatra, mostra nelle sue opere come <<L'uomo nel suo intimo può
essere più forte del destino che gli viene imposto>> 11. Ciò che significa che l’uomo è capace di opporsi
al regime di totalitario se solo trovasse il coraggio di farlo, perché nessuno può privare un essere umano
la libertà interiore. Gli ebrei dovevano avere il coraggio di resistere, di tenere viva la speranza e chi
invece sceglieva di fare gesti estremi, aveva perso come prima cosa se stesso.

L’azione del parlare, del ricordare, del testimoniare, del leggere tutto ciò che riguarda l’Olocausto
mantiene viva la speranza che l’Olocausto sia qualcosa <<che è scomparso e non ciò che deve ancora
avvenire>>12.

Paragrafo III: Oltre la parola


Per arrivare a costruire un mondo nuovo e quindi ristabilire una moralità, abbiamo bisogno del
coraggio di chi ha vissuto in prima persona i campi di concentramento , dunque di trovare tale forza a
parlare dell'ora buia dell'umanità. Parlare di Auschwitz potrebbe essere semplice per chi non l'ha
vissuto, ma ogni libro e testimonianza da parte degli ebrei sopravvissuti sono stati scritti e detti con

10
D. KRAUS. La libraia di Auschwitz. A cura di Caratteri Speciali, Roma. Trad. It. Di Laura Miccoli, Newton Compton
editori, Roma 2021.
11
D. KRAUS, La libraia di Auschwitz, a cura di Caratteri Speciali Roma, trad. It. Laura Miccoli, Newton Compton
editori, Roma 2021.
12
A. HELLER
grande fatica. Se prima il protagonista della "vicenda" era il silenzio, ora al centro della scena ci deve
essere la parola. Primo Levi difatti afferma che essa serve per testimoniare e di conseguenza per non
dimenticare, come scrive in una delle sue poesie <<Meditate che questo è stato>>13 dando
importanza alla memoria non solo per fare in modo che ciò non riaccada, ma anche per non
arrendersi all'orrore subito e smuovere l'animo e la coscienza di ogni uomo. I primi anni dopo
l'Olocausto, erano vissuti da un silenzio che lasciava spazio solo al "ricominciare" a vivere cercando
di dimenticare ciò che si era visto e subito. Ovviamente questo silenzio del dolore non era durato
per lungo tempo, in quanto molti uomini avevano iniziato a scrivere libri, poesie, teorie filosofiche
nella speranza di poter trovare così una giustificazione a quanto vissuto. L'azione dello scrivere era
come se desse loro la possibilità alla memoria di potersi liberare da un peso enorme che ancora
abitava i cuori di quegli uomini. Se fino ad allora si parlava di spazio come un vuoto tra una cosa e
l'altra o come la possibilità di nascita, qui si parla di spazio tra le parole scritte e dette che permette la
comprensione, l’interpretazione, per poter dare importanza e valore alle parole stesse. Uno spazio che
lascia alla riflessione per permettere di poter imprimere maggiormente la nostra memoria e
coscienza. È importante che la parola crei delle testimonianze che possano raggiungere le generazioni
future, poiché <<sappiamo di vivere in un tempo in un tipo di società che rese possibile l'Olocausto
e che non conteneva alcun elemento in grado di impedire il suo verificarsi >> 14. Ovvero la burocrazia
ha eliminato ed è capace di eliminare tutti i criteri individuali, classificando l’uomo in oggetto ed
eliminando chi non rientra nella definizione. La burocrazia non è altro che una creazione da parte
dell’uomo per poter avere il controllo su tutto ciò che lo circonda.

Conclusioni
L’Olocausto è uno dei momenti storici impressi nella memoria della società. Non si può pensare che
questo sia solo un evento accaduto durante la seconda guerra mondiale, né possiamo considerarlo
come un racconto che è possibile trovare nei libri come se fosse distante da noi e non ci appartenesse,
non può essere paragonato ad altre persecuzioni o guerre avvenute nella storia. L’Olocausto è il
prodotto del fallimento della società moderna che mostra quanto l’uomo sia capace di essere malvagio,
oscuro e crudele. Sono tante le parole che circondano Auschwitz, posto emblematico e simbolo
dell’Olocausto, che testimoniano gli eventi ma non renderanno mai giustizia e non saranno mai
all’altezza di ciò che avvenne e di ciò che dovettero subire gli internati. I racconti, i numeri delle vittime, i
luoghi, sono elementi di un passato che ha segnato la storia e continuerà a farlo fin quando si avrà
memoria. Tutto questo aiuta la società ad evitare di cadere di nuovo nell’irrazionalità, a cedere il posto
all’oscurità dell’animo umano. Con alcuni dei filosofi del Novecento, si è cercato di spiegare cosa si
nasconde dietro le parole Auschwitz e Olocausto, di scavare a fondo per tirare fuori un aspetto molto

13
Z. BAUMAN, Modernità e Olocausto, trad. It. Massimo Baldini, il Mulino, Bologna 2010.
14
D. KRAUS, La libraia di Auschwitz, a cura di Caratteri Speciali Roma, trad. It. Laura MIccoli, Newton Compton
editori, Roma 2021.
spesso trascurato o addirittura non preso in considerazione. L’uomo si rifugia spesso nelle parole, ma il
silenzio è ciò che rende meno appariscente ma più profonda una probabile spiegazione di un evento o
ancora, uno stato d’animo e ciò che non può essere descritto con la parola detta.

Bibliografia
P. CELAN E T. W. ADORNO, Scrivere poesie dopo Auschwitz, Firenze, Giuntina, 2010

DITA KRAUS, La libraia di Auschwitz, Roma, Nezton Compton Editori, 2021

Z. BAUMAN, Modernità e Olocausto, Bologna, il Mulino, 2010

H. JONAS, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, traduzione di C. ANGELINO e M. VENTO, Genova, il


Melangolo , 2018

V. FRANKL, Uno psicologo nei lager, Milano, Ares, 2012

A . NEHER, L’esilio della parola, Milano, Edizioni Medusa, 2010

P. LEVI, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2005

INDICE

INTRODUZIONE

I PARAGRAFO : AUSCHWITZ, IL SILENZIO E LE SUE FORME

II PARAGRAFO : IL CORAGGIO DI PARLARE O DI STARE ZITTI

III PARAGRAFO : OLTRE LA PAROLA

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

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