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Ogni anno i genitori europei condividono online una media di 300 fotografie dei propri bambini,
un’abitudine che è sempre più diffusa e che ha rischi a medio e lungo termine. Lo dimostra un nuovo
studio: intervista all’autore, il pediatra Pietro Ferrara
Lo «sharenting», ovvero l’abitudine di condividere online immagini o informazioni sui minori, è una
pratica sempre più diffusa. Un nuovo studio, firmato dalla Società Italiana di Pediatria (SIP) ha mostrato
che questo trend, apparentemente innocuo, nasconde dei pericoli di cui gli stessi genitori sono spesso
inconsapevoli e che riguardano gli ambiti della tutela dell’immagine del minore, della riservatezza dei
suoi dati sensibili, della sicurezza digitale.
Lo studio
Recenti lavori, ripresi nello studio, hanno riportato che l’81% dei bambini che vive nei Paesi occidentali
è online prima dei 2 anni (negli Usa il 92%), che il 33% è sul web entro poche settimane dalla nascita e
che il 15% in Europa (il 34% negli Usa) è su siti e social ancora prima di nascere, attraverso la
pubblicazione delle ecografie. È un dato di fatto a livello mondiale: lo “sharenting” sta aumentando in
maniera esponenziale, anche perché le nuove generazioni di genitori sono sempre più digitali. C’è chi
pubblica immagini dei figli perché guarda pericolosamente i like in un’ottica di approvazione sociale, o
chi usa i bambini come fonte di guadagno. In tutti i casi non c’è rispetto del minorenne che non ha la
possibilità di dare un’approvazione consapevole all’utilizzo della propria immagine. Inoltre, tutto ciò
che viene pubblicato online, anche se cancellato, può rimanere in Rete, generare imbarazzo o disagi nel
tempo, ma può anche arrivare nelle mani sbagliate.