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GEOGRAFIA STORICA O STORIA SOCIALE DEL POPOLAMENTO RURALE?

Author(s): Massimo Quaini


Source: Quaderni storici , settembre / dicembre 1973, Vol. 8, No. 24 (3), Archeologia e
geografia popolamento (settembre / dicembre 1973), pp. 691-744
Published by: Società editrice Il Mulino S.p.A.

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/43777458

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GEOGRAFIA STORICA O STORIA SOCIALE
DEL POPOLAMENTO RURALE?

Premessa

Nell'attuale critica congiuntura delle discipline geo-


grafiche non è inutile - è anzi un'esigenza sentita da più
parti1 - ripercorrere a grandi linee l'evoluzione degli
studi geografici sul popolamento umano. Cercando so-
prattutto di verificare quale spazio possa oggi avere, in
un campo di ricerca al quale sono interessate numerose
altre discipline, un punto di vista geo-storico . E diciamo
«punto di vista» in quanto, se vogliamo assumere in
partenza un'ipotesi di lavoro onesta, dobbiamo ricono-
scere che la geografia storica, come disciplina autonoma-
mente costituita nei metodi e nell'oggetto e con ima
sua, per così dire, «dignità accademica», non esiste. Ciò
è vero non solo in Italia, dove il peso scientifico e uni-
versitario nell'ambito della scienza geografica (e anche
al di fuori) è minimo, ma anche nella vicina comunità
culturale francese, dove è recente la denuncia, da parte
di uno dei geografi più preparati, dell'isolamento soprat-
tutto accademico di questa disciplina2.

1 Si vedano in proposito le recenti riflessioni di P. Claval, La


pensée géographique . Introduction à son histoire , Paris 1972,
pp. 49 e ss.
1 X. De Planhol, Structures universitaires et problématique
scientifique : la géographie historique française in La pensée
géographique française contemporaine . Mélanges offerts à André
Meynier, Saint-Brieuc 1972, pp. 155 e ss.

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Fra i motivi che concorrono


fortuna della geografia storica
prattutto nell'Europa mediterran
bra avere un certo rilievo, per le
più sul piano pratico che su quell
ibrido di questa disciplina, ora
dagli storici3. Tale carattere, r
una rigorosa delimitazione del
suscita infatti un più o meno d
accademico rivolto contro i poch
via convinto che proprio da qu
della geografia storica, nel tra
delle scienze umane, derivino a
che questa disciplina ha di apri
giamento scientifico, che si potre
ovvero di convergenza o polarizzazione sui problemi
piuttosto che sui contenuti sclerotizzati delle discipline
tradizionali, nella prospettiva di una moderna concezione

3 La géo-histoire di F. Braudel è stata, per esempio, teoriz-


zata come «la véritable histoire totale» da C. Higounet, in L'hi-
stoire et ses méthodes , «Encyclopédie de la Pléiade», Paris 1961,
pp. 68 e ss. Le Roy Ladurie distingue invece una «storia fisica»
o geostoria dalla storia umana o storia tout court , collegate da
una «storia ecologica». Ma tutte queste storie rimangono di
pertinenza dello storico, per la ragione, un po' estrinseca, che
«rien de ce qui est à la fois documentaire et chronologique saurait
être étranger» allo storico, definito «l'homme du temps et des
archives» (E. Le Roy Ladurie, Histoire du climat depuis Van
mil, Paris 1967, pp. 23 e ss.).
4 E' del tutto normale per lo studioso di geografia storica,
che lavora nell'ambito universitario italiano, essere considerato
dai geografi uno storico e dagli storici un geografo «ficcanaso».
Sulle scarse possibilità di carriera che si aprono allo specialista
di geografia storica nell'ambito universitario francese, cfr. X. De
Planhol, op. cit .

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Geografìa storica o storia sociale del popolamento rurale? 693

della scienza dell'uomo non più modellata su artificiose


e autoritarie divisioni disciplinari5.

1. Parlando di geografia del popolamento intendo lo


studio dei modi di insediamento della popolazione consi-
derati in senso dinamico e quindi storico, in ima pro-
spettiva diacronica e non solo sincronica. Anche per il
fatto che lo studio della città ha ormai acquisito una
sua autonomia, con propri metodi e particolari approcci,
intendo qui riferirmi esclusivamente al popolamento delle
campagne, ai modi di insediamento della popolazione
che caratterizzano il cosiddetto «paesaggio agrario», vale
a dire ciò che (evitando per il momento una definizione
più precisa) è stato fino alla rivoluzione industriale «il
quadro quotidiano e la base materiale del lavoro della
immensa maggioranza della popolazione» 6.
Qual è stato finora l'interesse dei geografi per lo
studio del popolamento rurale? Prescindendo dai minori
contributi, si può affermare che lo studio dell 'habitat
rurale è stato avviato in Francia dal Demangeon e in
Italia dal Biasutti con un'impostazione che almeno in
partenza è affine, mentre vie diverse seguirono la Gran

5 Cfr. L. Gambi, Intervento a un meeting su ricerca e inse-


gnamento geografici nelle Università, Faenza 1971, p. 11, ora
ripubblicato in Una geografia per la storia , Torino 1973, p. 75: «La
realtà non è ripartita o frazionata in discipline [. . .] la realtà
è costruita da fatti, e i fatti diventano oggetto di scienza quando
creano dei problemi. In sostanza la crisi odierna delle scienze,
molto più che da una loro esasperata specializzazione, deriva
dal motivo che a poco a poco ci rendiamo conto che le discipline
non esistono (secondo le definizioni che la tradizione ne dà) come
elementi della struttura culturale della società, ma solo come
strumenti di essa. E per la società esistono invece dei problemi
da risolvere con qualunque mezzo di conoscenza a disposizione,
nella organicità dei loro termini».
6 A. Verhulst, Histoire du paysage rural en Flandre de l'é-
poque romaine au XVIIIe siècle, Bruxelles 1966, p. 10.

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Bretagna, i paesi nordici e la G


sia del Demangeon sia del Bias
casa rurale, cioè della fondamentale unità dell'insedia-
mento rurale. Di fronte a questo oggetto sono stati ela-
borati essenzialmente due metodi di analisi: l'uno pre-
valentemente tipologico-etnografico o geografico, nel senso
che i tipi sono costruiti sulla base di determinati elementi
formali, spiegati o ricorrendo a presunte differenze etni-
che o più spesso a condizioni ambientali; l'altro preva-
lentemente tipologico-economico, nel senso che la casa
rurale è vista soprattutto nella sua qualità di «attrezzo
agricolo» (per usare un'espressione del Demangeon), fun-
zionale ai diversi sistemi di conduzione agraria7.
Lo studio della casa rurale, pur partendo da basi
assai simili - unificate anche dall'azione dei Congressi
internazionali di Geografia - ha condotto ad esiti sostan-
zialmente diversi: in Italia ha dato origine ad una co-
spicua ricerca di gruppo, nella quale sono stati impegnati
quasi tutti i geografi della generazione che oggi è fra i
quaranta e i settantanni, e che ha prodotto un'imponente
raccolta di studi che sono in generale apprezzati come il
maggior contributo che la geografia italiana ha dato allo
studio dei «paesaggi agrari». In Francia lo studio si è
rapidamente allargato per impulso dello stesso Deman-
geon e, occorre riconoscerlo, anche per l'azione di stimolo
esercitata da M. Bloch e da L. Febvre (che è invece manca-

7 A. Demangeon, Problèmes de géographie humaine , Paris 1947,


p. 231 (si tratta di una comunicazione al I Congr. intern, di
Folklore, Parigi 1937, raccolta, come gli altri contributi sull'in-
sediamento rurale, nel volume già citato, al quale continueremo
a fare riferimento, essendo di più comoda consultazione). Per
i contributi del Biasutti e più in generale per l'impostazione data
alla ricerca italiana cfr. L. Gambi, Renato Biasutti e la ricerca
sopra le dimore rurali in Italia, in La casa rurale in Italia,
Firenze 1970, pp. 3 e ss.

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ta da parte degli storici italiani), all'insediamento rurale


come fenomeno globale8.
Il confronto fra le due diverse esperienze ha indotto
di recente un geografo francese a riconoscere che lo
studio della casa rurale ha in qualche modo rappresen-
tato un «domaine-refuge» della ricerca geografica italiana,
anche rispetto ad altri temi della stessa geografia agraria,
che già nel periodo fra le due guerre si andavano impo-
nendo all'attenzione dei ricercatori europei 9. Di fatto, ad
inchiesta terminata (in realtà sta terminando: manca,
fra l'altro, il volume dedicato al Piemonte), sono in molti
a rendersi conto di evidenti limiti nell'impostazione e a
denunciare una certa insoddisfazione nei confronti dei
risultati, che, se possono offrire utili elementi per una
sintesi sul piano etnografico o sul piano di una superata
geografia descrittiva dei paesaggi, o ancora, come è stato
fatto, sul piano di uno studio sincronico delle strutture
agrarie, non offrono che scarsi elementi ai fini di una
storia dei paesaggi agrari (a tacere di una storia delle
strutture agrarie)10.

8 Mi pare significativo rilevare che, mentre in Francia L.


Febvre scriveva La Terre et l'évolution humaine (1922) e, in col-
laborazione con A. Demangeon, Le problème historique du Rhin
(1931), e mentre M. Bloch pubblicava Les caractères originaux
de l'histoire rurale française (1931), B. Croce scriveva La storia
del Regno di Napoli (1924), dove le masse contadine non rappre-
sentano nulla più di un'appendice zoologica dell'umanità e alla
sfera economico-sociale si nega ogni dignità storiografica.
9 L'osservazione è di P. Claval, L'habitat rural , in La géo-
graphie à travers un siècle de congrès internationaux , U.G.I. 1972,
p. 141.
10 Si veda il volume miscellaneo La casa rurale in Italia cit.
Per una utilizzazione sul piano etnografico: Il folklore . T radizioni ,
vita e arti popolari, Milano 1967, pp. 45 e ss. (cap. a c. di F. Bona-
sera), o ancora P. Toschi, Guida allo studio delle tradizioni po-
polari , Torino 1962.

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Diverso invece il caso francese: lo studio dell'inse-


diamento rurale si rivela, per la maggior complessità e
unitarietà dei problemi affrontati, fecondo di notevoli
risultati, che non mancano di suscitare ancora oggi un
fervore di ricerca, in gran parte attenuato invece per il
tema della casa rurale11. E' merito del Demangeon aver
risolutamente impostato, fin dal 1925, il problema del-
l'insediamento rurale, non soltanto al di fuori delle più
abusate forme di determinismo ambientale o etnico e
in termini, fin troppo rigidi, di funzionalismo economico,
ma anche in una prospettiva storica 12. Di recente è stato
osservato che il modello diacronico costruito dal Deman-
geon, che in sostanza poneva in rapporto l'evoluzione
dei tipi di insediamento con l'evoluzione dell'agricoltura,
era costruito nell'astratto, senza fondarsi pienamente sulla
storia. E' vero, ma è altrettanto vero che tale «congettu-
rale ricostruzione dell'evoluzione generale dell'economia
rurale» non escludeva nuovi, più concreti rapporti fra
geografia delle sedi e storia agraria, come di fatto è avve-
nuto, sia attraverso un'imponente serie di indagini geo-
grafiche regionali, sia con gli specifici contributi di Dion
e Bloch 13.

11 Per i più recenti interessi francesi e non solo francesi nel


campo della geografia agraria e specialmente dello studio dei
paesaggi agrari e dell'insediamento rurale si vedano i periodici
congressi organizzati dalla Conférence européenne permanente
pour l'étude du paysage rural a partire dal 1957. Ampi resoconti
ne hanno dato L. Gambi in «Riv. geografica Ital.» a. LXV (1958)
pp. 52 e ss.; e X. De Planhol in «Rev. Géographique de l'Est»,
a. I (1961), pp. 235 e ss.; a. VI (1966), pp. 109 e ss.; a. X (1969),
pp. 181 e ss.
12 A. Demangeon, Problèmes cit., pp. 153 e ss.
13 L'osservazione critica nei confronti dell'impostazione del
Demangeon è di P. Claval, L'habitat rural cit., p. 136 e ss. Il
maggior contributo di R. Dion, noto studioso di geografia storica,
è Essai sur la formation du paysage rural français, Tours 1934.

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Non possiamo a questo punto (anche se intendiamo so-


prattutto limitarci alla tradizione di studi geografici) tace-
re del fondamentale contributo del Bloch, che, d'altra par-
te, sia per i temi affrontati sia per i metodi seguiti, si colle-
ga strettamente alla tradizione geografica francese. Geogra-
fi e storici sembrano oggi concordare su una lettura critica
dei Caracteres originaux, che addebita al medievista fran-
cese la mancanza di una «sottile dialettica delle strutture
e delle istituzioni» 14, ovvero, secondo la nota critica del
Sereni, la tendenza a ipostatizzare le forme del paesaggio
agrario, a porre «troppo esclusivamente l'accento sulla
loro consistenza e persistenza geografica, piuttosto che
sul processo della loro viva e perenne elaborazione sto-
rica» 15.
Anche a prescindere dal fatto che, come è stato giu-
stamente osservato da Zangheri, «le tradizioni "dialetti-
che" della nostra storiografia non sono sempre di mi-
gliore qualità degli schemi "sociologici" alla Bloch» e che
per la storiografia italiana non è certo facile schivare i
pericoli di un "vacuo storicismo" per cogliere «nel pro-
cesso storico anche la "consistenza geografica", la base
materiale dell'esistenza, le tecniche umane» 16; non si
può non riconoscere che nel pensiero di Bloch la ricchezza
di spunti e sollecitazioni è tale da rendere più che mai
stimolante e attuale una sua rilettura anche a proposito
di popolamento rurale. Prevenendo molte critiche, è lo

Ma dello stesso A. si veda anche La part de la géographie et celle


de l'histoire dans l'explication de l'habitat rural du Bassin
Parisien, «Publications de la Soc. de géographie de Lille», 1946,
pp. 18 e ss. Per i contributi di M. Bloch si vedano le note seguenti.
14 P. Claval, L'habitat rural cit. p. 139.
15 E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano , Bari 19722,
pp. 15 e ss. (cito, anche più avanti, dall'ed. tascabile).
16 R. Zangheri, ree. a E. Sereni, op. cit., in «Studi Storici»,
a. III (1962), pp. 170 e ss.

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stesso Bloch che mette in gua


dell'insediamento contro ogni
determinismo geografico17, con
condo concetto di stabilità, di continuità ovvero contro
«l'idea fissa della preistoria» e il mito delle origini18,
tutte deviazioni attraverso le quali è facile, come osser-
vava anche, più recentemente, il Meyniier ricadere nella
tentazione etnica alla Meitzen19.
Per superare tale tendenza a ricondurre le forme di
insediamento rurale agli originari gruppi etnici o razziali,
Bloch introduce negli studi di storia e geografia agraria
il concetto di civilisation : un concetto che, a mio avviso,
rappresenta la prima, vitale formulazione di quell'ap-
proccio "strutturalista" ai paesaggi agrari, che il Claval
ha richiamato come un'acquisizione post-Bloch20. Non a
caso, ancora il Meynier ha rilevato che, se determinate
formulazioni - ma non aveva certo in mente Bloch - dei
tipi di civiltà agraria possono anche riportare alla luce
tentazioni di determinismo etnico, l'assenza della nozione
di civilisation conduce a risuscitare il determinismo fi-
sico 21 .

17 M. Bloch, Lavoro e tecnica nel Medioevo, ed. ital., Bari 1959,


pp. 148 e ss.
18 M. Bloch, ibid., p. 170.
19 A. Meynier, Les paysages agraires , Paris 1958, pp. 106 e ss.
20 P. Claval, Habitat rural cit., p. 139. Si veda quanto afferma
M. Bloch, Les caractères cit., p. 64: «Mais ne parlons ni de race,
ni de peuple; rien de plus obscur que la notion d'unité ethno-
graphique. Mieux vaut dire: types de civilisation». Non ci pos-
siamo fermare su una analisi dei contenuti di questo concetto,
del quale ricorrono, in M. Boich, diverse definizioni. Si veda
comunque in Lavoro e tecnica cit., pp. 139 e ss. e il vol. II di
Les caractères cit., a c. di R. Dauvergne, pp. 31 e ss. Per un'inter-
pretazione dell'idea di M. Bloch cfr. F. Braudel, Scritti sulla
storia , Milano 1973, pp. 267 e ss.
21 A. Meynier, Les paysages cit., p. 177.

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E' esattamente quanto è accaduto in Italia: le teorie


etniche del Meitzen, diffuse in Italia soprattutto da A.
Lorenzi, sono state per esempio "superate" da Almagià
con l'argomento che «le stesse condizioni ambientali e
le stesse necessità possono suggerire un medesimo tipo
di insediamento a popolazioni le più disparate»22. Si
notino espressioni come "le stesse condizioni ambientali"
o come "le stesse necessità": sono sintomi significativi
di una propensione verso il determinismo fisico, che, di
fatto, si sostituisce al determinismo etnico (nel senso
di "razziale"), nel momento in cui ad una classificazione
etnica si sostituisce una classificazione delle sedi che è
essenzialmente topografica (costruita, cioè, soprattutto
sulla base della posizione e morfologia delle sedi) e si
propone una spiegazione dei tipi di insediamento che
ricorre soprattutto a fattori geomorfologici, climatici e
di esposizione, idrografici, pedologici ecc.23. Proprio il
mancato sviluppo in Italia del concetto di civiltà agraria
e dei tipi sociali che sottintende, spiega ancora il disin-
volto passaggio dai fattori fisici ai fattori politici (si
pensi al ruolo delle guerre e più in generale di esigenze
meramente difensive per spiegare la formazione degli
insediamenti accentrati e arroccati), che salta a pie' pari
ogni mediazione dei fattori socio-economici e tecnici.

22 R. Almagia', Fondamenti di geografia generale , Roma 19654,


II, p. 97. Ma, sulla diffusione delle teorie del Meitzen, cfr. anche
G. Tabacco, Problemi di popolamento e di insediamento nell'alto
Medioevo , «Riv. storica ital.», a. LXXIX (1967), p. 81.
23 La Classificazione, che ritroviamo anche in ogni monografia
regionale, è la seguente: centri di fondovalle, centri di guado o
ponte, centri di conca, centri di pendio, centri di terrazzo, centri
di conoide, centri di dorsale, centri di cocuzzolo e centri di
sprone: soltanto per questi ultimi si ammettono ragioni storiche,
che tuttavia non vanno al di là delle abusate «ragioni di difesa»
(R. Almagia', Fondamenti cit., II, pp. 102 e ss.).

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700 Massimo Quaini

Non a caso Gribaudi denunciava nel 1947 come "fal-


lace impressione" la tendenza a «ritenere che clima,
natura geologica del suolo, morfologia, acque, vegeta-
zione spontanea, ecc., si impongano direttamente, come
esigenze primordiali e incoercibili, agli orientamenti di-
stributivi della popolazione delle campagne». Non a caso,
nell'invitare a considerare «di popolamento rurale per
quello che in effetti è, e cioè un fenomeno poliedrico,
che si sviluppa e muta anche sotto l'impulso di fattori
economici, storici, demografici, politici, etnografici, so-
ciali, ecc.», sentiva il bisogno di richiamarsi soprattutto
ai lavori di Demangeon, a Bloch e alle «Annales ďhistoire
économique et sociale» 24. Ma era troppo ottimista il
Gribaudi quando, sempre nel 1947, riteneva ormai «supe-
rato il criterio un po' baldanzoso e semplicistico, che
consiste nel considerare isolatamente un determinato
fattore fisico (altitudine, distanza dal mare, natura geo-
logica dei terreni, morfologia del suolo, mancanza o ab-
bondanza di sorgenti ecc.) per metterlo in rapporto con
la distribuzione della popolazione e per vedere se, e come,
variando quello varii anche questo» 25 . Non sarebbe infatti
difficile dimostrare che un criterio simile (con le sue
evidenti implicazioni deterministiche) ha continuato a

24 P. Gribaudi, Geografia agraria e popolamento rurale , in Atti


del XIV congresso geografico italiano, Bologna 1947, pp. 188-189. La
data è significativa: con quasi venťanni di ritardo la geografia
italiana andava scoprendo la problematica geografica coerente-
mente umanistica della migliore tradizione storico-geografica
francese, ma l'adesione, come risulta dalla lettura della relazione
del Gribaudi, era ancora molto timida e nel complesso ancora
impedita dal permanere di concezioni deterministiche. Il ven-
tennio successivo dimostrerà che tale tradizione era destinata a
rimanere sostanzialmente estranea siila geografia ufficiale italiana
anche successivamente.
25 D. Gribaudi, Geografia agraria cit., p. 189.

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale ? 701

informare la maggior parte degli studi geografici italiani


sul popolamento rurale, anche nel caso delle monografie
regionali, che, per essere circoscritte ad aree limitate e
più o meno omogenee, esigevano una indagine in pro-
fondità. In generale infatti i fattori antropici non entrano
nella spiegazione delle forme di popolamento e insedia-
mento se non come astratto elemento volontaristico (la
cui azione risulta spesso limitata a scelte già dettate
dall'ambiente naturale) o come ancor più vaga tradizione
storica richiamata (o meglio semplicemente enunciata)
in caso di evidente contraddizione fra condizioni am-
bientali e tipo di insediamento26.
Se ne rendeva conto anche il Gribaudi, qualche anno
dopo, quando, a proposito del problema delle origini e
cause dei centri rurali di sommità, constatava: «il pro-
blema è visto, quasi sempre, nel corso di indagini regio-
nali e locali, che ne trattano per inciso, ma le spiega-
zioni fornite al riguardo si assumono volentieri a princi-
pio di validità generale, in cui lo spirito, soddisfatto,

26 In generale questo atteggiamento comporta una concezione


della geografia umana basata su una sua netta subordinazione
alla geografia fisica. Mentre si ammette che il geografo fisico
possa fare uno studio di geomorfologia su una data regione pre-
scindendo completamente dalla «copertura umana» dello stesso
territorio, non è invece ammissibile, per il geografo umano, stu-
diare le caratteristiche della copertura umana prescindendo
dalla geomorfologia. Nell'im caso e nell'altro il risultato è lo
stesso: si sottovaluta l'uomo, si riducono i quadri umani entro
i quadri fisici, si esclude la storia. Un rapporto sostanzialmente
deterministico uomo-natura, rende infatti inessenziale lo studio
dei rapporti fra uomo e uomo. Un tentativo di capovolgere questa
concezione venne fatto da M. Le Lannou, La géographie humaine ,
Paris 1949. Non a caso quest'opera suscitò, fra i geografi italiani,
più dissensi che consensi (cfr. R. Almagia', «Riv. geografica ital.»,
a. LVII (1950), pp. 56-7; A. Sestini, L'organizzazione umana dello
spazio terrestre, «Riv. geografica ital.», a. LIX (1952), p. 73 e ss.).

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si adagia». Uno di questi princi


passo" di un punto di vista che
essenzialmente come un'appendice
consiste appunto nel ritenere ch
dei centri tragga le sue origini
contro le ingiurie degli uomini in
A conclusioni simili, ma più e
traddittorie sul piano teorico, g
grafo come il Caraci, quando r
volta la ricerca particolare si a
scia di schemi prestabiliti, ten
intesa, ma dei quali nemmeno si
trollare previamente la legittim
Il Caraci chiariva molto lucidamente il nodo teorico
da sciogliere per superare sia la tentazione determini-
stica - in proposito si veda la denuncia dell'illusione
«che la distribuzione spaziale possa spiegare da sola il
fenomeno o i fenomeni sui quali le si chiede di far luce;
che rimanda, a sua volta, al sottinteso deterministico
dello spazio o ambiente, od a naturai conditions , intesi
come elemento risolutivo della problematica geografi-
ca» - sia Yidealismo astratto, che, come si è notato, è il
naturale contrappasso di una concezione dell'ambiente
nel quale l'uomo, i gruppi umani sono studiati, per così
dire, come appendici zoologiche. Il nodo teorico è, come
si comprende, quello del rapporto natura-uomo, a riguar-
do del quale non sono state finora accolte le proposte
conclusive del Caraci: «Per dar fondo al problema oc-
corre battere forse un'altra strada. Bisogna abbandonare
l'inerte eclettismo tacitamente ammesso, che ribadisce,
invece di risolverla, l'antinomia e sostituirlo con la for-
mula di un rapporto dialettico. Un tal rapporto è il

27 D. Gribaudi, Sulle origini dei centri rurali di sommità, «Riv.


geografica ital.», a. LVIII (1951), pp. 19 e ss.

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale ? 703

solo che conduca ad una vera e propria soluzione: una


soluzione che non è né reciproco assorbimento di un
termine nell'altro, né, tanto meno, un dogmatico duali-
smo, ma rende possibile la giusta interpretazione del
significato teorico da attribuire ai termini stessi e dei
loro rapporti nel concreto dell'esperienza storica»™.
Non deve perciò stupire se, rimanendo «l'inerte eclet-
tismo» uno dei connotati più evidenti della cultura geo-
grafica italiana, il determinismo fisico continua ad infor-
mare gli studi geografici ed in particolare continua ad
avere un ruolo preponderante nella spiegazione delle
strutture insediative, anche quando la classificazione delle
sedi, superando i limiti di un'analisi puramente descrit-
tiva e morfologica, diventa funzionale e ricorre alle più
moderne tecniche di formalizzazione dei dati quantita-
tivi29. E' questo un fatto significativo - ma finora non

28 G. Caraci, Un problema di geografia moderna : le rapport


nature-homme , in «Memorie geografiche» dell'Ist. di Scienze geogr.
dell 'Univ. di Roma, a. VII (1961), pp. 278 e ss.
29 Per esempio, in uno dei più recenti studi sulle strutture
dell'insediamento, costruito (almeno in apparenza) secondo i
metodi della «nuova geografia», appare con tutta evidenza che
della messa in opera di queste strutture non è responsabile l'uomo
ma la geomorfologia. Alla tesi di partenza: «è ben noto [?] il
ruolo che l'ambiente naturale, e soprattutto la morfologia del
territorio, ha svolto nella formazione e nell'evoluzione dell'in-
sediamento umano in Liguria», fa coerentemente seguito la
conclusione: «sicché restano in ultima analisi la morfologia e
l'orografia del territorio a condizionare, oltre la distribuzione
dei centri abitati, i loro legami funzionali» (A. Vallega, Aspetti
funzionali dell'insediamento in Liguria , «Pubblicazioni dell'Ist. di
Scienze geografiche» dell'Univ. di Genova, XIV (1969), pp. 7, 53).
Allo stesso modo, il geografo si domanda «se non siano la confi-
gurazione e le caratteristiche fisiche della penisola ad aver creato
[. . .] i presupposti di tale intrinseca debolezza delle strutture
urbane [nell'Italia meridionale], determinando la prevalenza
degli interessi terrieri nelle classi dominanti e la localizzazione

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704 Massimo Quaini

è stato messo sufficientement


i limiti di storicità della geogra
rilevati soprattutto da L. Gamb
sufficiente considerazione di u
geo-storico ai problemi dell'insediamento (ne avremo
modo di constatare più avanti ulteriori prove)30.

2. Riprendendo ora il filo positivo dei problemi spe-


cifici della storia del popolamento, non possiamo non
riconoscere che già negli anni Trenta, in Francia, i lavori
degli stessi geografi avevano posto lo studio dell'inse-
diamento su basi profondamente diverse: «Felicemente
liberato, in base agli stessi sforzi dei geografi, dagli
impacci di un determinismo geografico troppo semplici-
sta, lo studio del popolamento - non si può ripeterlo
abbastanza - dipende oggi per quanto concerne i suoi

costiera delle città. E cioè se non siano stati il protendersi della


penisola al centro del Mediterraneo e le difficoltà di comunica-
zioni attraverso di essa a esporla da un lato alla persistenza di
forme di vita tradizionali e dall'altro all'influsso delle vicende
di cui furono protagonisti bizantini, mussulmani e normanni
sulle diverse sponde di quel mare. Se non siano state le medesime
cause ad isolare la penisola da quel fervore di attività mercan-
tili e artigiane che invece si diffusero agevolmente nella Pianura
Padana . . .» (G. Ferro, Città e campagna in Italia , in Atti dél XX
Congr . geografico ital., Roma 1969, II, pp. 162-163).
30 I saggi di L. Gambi, che dal 1956 porta innanzi una coe-
rente verifica e revisione umanistica e storicistica dei problemi
geografici, sono raccolti in Questioni di geografia , Napoli 1964.
Circa i problemi di cui in questa sede si discute (e cioè fonda-
mentalmente dell'apporto del geografo alla storia del popola-
mento) si veda il giudizio dato alla produzione geografica tra-
dizionale (per es. a p. 94) e soprattutto, per la diretta attinenza
ai temi qui svolti, l'artic. Critica ai concetti geografici di pae-
saggio umano (Ibidem, pp. 123 e ss.). Si veda, per ultimo, anche
I valori storici dei quadri ambientali , in Storia d'Italia, I, I
caratteri originali , Torino 1972, pp. 16 e ss.

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale? 705

progressi, principalmente dall'esistenza di un legame più


intimo con l'analisi della struttura sociale», come rico-
nosceva Bloch, recensendo un lavoro del geografo Tulip-
pe che porta il sottotitolo di Essai de géographie du peu-
plement . Di fronte al problema di spiegare i modi del-
Yhabitat, il Tulippe aveva infatti rinunciato a «ricavare
qualche profitto da una classificazione dei villaggi secon-
do le forme geometriche delle loro piante» e si era posto
risolutamente sul piano storico 31 .
Potremmo citare altri studi di geografi francesi che
procedettero sulla medesima strada, ma certo è che in
Francia la consapevolezza della necessità, anche per il
geografo, di storicizzare i fenomeni dell'insediamento, è
stata rapidamente acquisita, al punto che la troviamo
accolta anche nei manuali di geografia umana, mentre
in Italia questi stessi risultati teorici e didattici dell'espe-
rienza francese non mancano di suscitare reazioni nega-
tive che, oggettivamente, frenano quell'approfondimento
dei fattori antropici dell'insediamento e la conseguente
elaborazione di nuovi indirizzi e metodi, che constatiamo
in tutta la più avanzata ricerca europea32.

31 M. Bloch, Lavoro e tecnica oit., p. 154 (nota 15). Per una


più ampia discussione sui rapporti fra habitat e strutture sociali
nello stesso A., sá veda Les caractères , cit., pp. 155 e ss.
32 Si veda soprattutto il formidabile trattato di M. Sorre, Les
fondements de la géographie humaine , Paris 1943-52, 4 voll., e
quello più recente di M. Derruau, Nouveau précis de géographie
humaine , Paris 1969, pp. 293 e ss. In Italia le conclusioni coeren-
temente storicistiche del Sorre circa «l'habitat rural, expression
historique» sono state contestate da O. Baldacci, L'ambiente
geografico della casa di terra in Italia , in Studi geografici in
onore di R. Biasutti, Firenze 1958, p. 32: «Mi sembra che gli
studiosi che seguono questo indirizzo non solo confondono quanto
nella questione è fondamentale e quanto è accessorio, o meglio
il sostrato di origine con l'evoluzione ulteriore, ma che si abban-
donino ad una pericolosa ed astratta generalizzazione, che non
tiene conto della abitazione come scaturigine diretta e spontanea

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706 Massimo Quaini

Non sono mancate, è vero, alcune eccezioni. Ma, a


conti fatti, non ha trovato molti consensi la proposta
di Gambi di una storia della abitazione rurale in Italia,
che si collocava «lungo la scia aperta da Bloch, Dion,
Feb vre, etc.» e che era informata all'esigenza di far
«consistere l'esame delle realtà paesistiche soprattutto
in uno studio di come si riannodano e si esprimono
materialmente la storia agronomica e del popolamento,
la storia delle condizioni culturali, delle armature sociali,
delle istituzioni giuridiche e delle tradizioni religiose»33.
Altrettanto inosservate sono passate le ipotesi di lavoro
di Dematteis per uno studio delle relazioni fra l'ambito
territoriale dei rapporti sociali e i caratteri dell'insedia-
mento rurale, che intendevano avviare un'interpretazione
dell' habitat rurale non più soltanto come «una cosa in
rapporto con altre cose (l'ambiente fisico, i materiali da
costruzione, ecc.)» o come «.il risultato dei rapporti del-
l'uomo con le cose (cioè in funzione dell'attività agricola)»,
ma anche come espressione dei rapporti «fra uomo e
uomo, tra uomo e gruppo sociale»34. Era anche questa
una proposta di agganciare un settore della geografia

di un ambiente naturale immediato e contingente. . .». Come


si nota, sia che il geografo (o meglio un certo geografo) si
occupi di complessi funzionali di centri abitati, sia che si occupi
della casa di terra , alla fine, la spiegazione sta sempre «nella
fondamentale permanenza di fattori naturali, con i quali ade-
riscono e concordano i fattori antropici pur nella dinamica ed
edace vita dei popoli» ( Ibidem , p. 33).
33 L. Gambi, Per una storia della abitazione rurale in Italia, ,
«Riv. storica ital.», LXXVII (1964), pp. 427454.
34 G. Dematteis, Alcune relazioni tra l'ambito territoriale
dei rapporti sociali e i caratteri della casa rurale , in Atti del XIX
Congr. geografico ital., Como 1965, III, pp. 239 e ss. In questa pro-
spettiva di ricerca cfr. anche P. Labat, La maison et la famille
dans diverses civilisations , in Famille et habitation , I, Sciences
humaines et conceptions de l'habitation , Paris 1959, pp. 29 e ss.
(con riferimenti ed esempi prevalentemente extraeuropei).

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale? 707

italiana ai più fecondi indirizzi di storia e geografia


sociale che Oltralpe sono rappresentati da alcune grandi
scuole storiche e geografiche, come le notissime «Annales»
e la scuola di Juillard35.
Si comprende come su un tronco così anemico
non potesse neppure riuscire l'innesto, proposto dal Mi-
gliorini nel 1952, degli avanzati indirizzi di ricerca elabo-
rati dai geografi tedeschi nel campo della storia dell'in-
sediamento e in particolare dei «centri abbandonati»36.
Né infine stupisce che in fatto di geografia storica del
popolamento i più recenti e maggiori contributi allo stu-
dio della regione italiana siano venuti da geografi fran-
cesi, tedeschi e da numerosi studiosi ¡inglesi 37.

35 A E. Juillard si deve la prima thèse che si sia qualificata


come «saggio di geografia sociale»: La vie rurale dans la Plaine
de Basse-Alsace. Essai de géographie sociale , Paris 1953. Come è
stato osservato dallo stesso Juillard, è ancora al Sorre che dob-
biamo, sul piano teorico, il capovolgimento del tradizionale
rapporto uomo-ambiente: proprio a proposito della geografia
rurale il Sorre riconosce che si deve «renverser l'ordre et partir
de la psychologie et de la structure des sociétés agricoles» e
guardare soprattutto ai «changements dans les rapports entre les
hommes à l'interieur et au dehors de la communauté rurale», se
si vuole restituire alle campagne la loro mobilità, la possibilità
di una storia (E. Juillard, ree. a M. Sorre, Rencontres cit., in
«Annales E.S.C.», XIV (1959), p. 401).
36 E. Migliorini, Per uno studio geografico delle località ab-
bandonate dall'uomo in Italia, in Atti XV Congr. geografico ital,
Torino 1952, I, pp. 455 e ss.
37 La bibliografia comprende ormai parecchi numeri e non è
possibile in questa sede darne un elenco. Ma questo stesso
fascicolo della rivista è mi pare indicativo dell'interesse che
francesi e inglesi, sia a titolo personale sia in quanto rappresen-
tanti della British School di Roma o dell 'Ecole française , portano
ai problemi della storia dell'insediamento in Italia, per lo
studio della quale sono ormai diventati ima componente neces-
saria.

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708 Massimo Quaini

L'esperienza tedesca, già rap


Migliorini, è stata poi analizzata
Tabacco: ci limitiano perciò a
più la differenziano dalla situa
ha dimostrato, mi pare, che la
degli studi sulla storia del pop
Germania, con la confluenza di cultura storica e scienza
geografica in geografi come il Gradmann e il Mortensen.
Al " Topographischgenetische Methode " di quest'ultimo
si deve la definitiva fondazione di un'interpretazione coe-
rentemente dinamica dell'insediamento rurale «costante-
mente rivolta all'intimità del rapporto fra vicende del-
l'abitato e vicende del territorio agrario», che, da un lato,
supera definitivamente l'apriorismo storico dei «grandi
sistemi» e dall'altro fa convergere sullo stesso oggetto
vie di esplorazione diverse, sia di tipo naturalistico che
umanistico. In particolare, ponendosi, anche per reazione
alla teoria della continuità storica, l'accento sull'instabi-
lità dei processi di insediamento, la stretta colaborazione
fra geografi e storici si misura soprattutto nello studio
delle sedi e territori abbandonati dall'uomo, delle fasi
critiche e di ristrutturazione dell'insediamento38.
Con lo stesso spirito di collaborazione interdiscipli-
nare si promuove in Francia verso il 1965 lo studio dei
villages désertés 39. Gli scopi della ricerca sono in partenza

38 G. Tabacco, Problemi di insediamento cit., pp. 96 e ss.


39 Villages désertés et histoire économique , XIe-XVIIIe siècle,
Paris 1965. Riflette, ma coti suggestioni in parte nuove, questa
impostazione la relazione presentata, al III Congresso interna-
zionale di storia economica (Monaco 1965), da J. Le Goff e R.
Romano, Paysages et peuplement rural en Europe après le XIe
siècle , in «Etudes Rurales», 17 (apr.-giugno 1965), pp. 5 e ss.
Mentre in Italia il volume è passato quasi inosservato (soprat-
tutto fra i geografi), tranne che per il contributo dedicato al-
l'Italia sul quale ritorneremo, in Francia è stato ampiamente

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale ? 709

determinati dalla problematica derivata dalla storia eco-


nomica. Interessante e largamente inatteso l'esito : il
contributo dell'archeologia si dilata al punto che, ulti-
mata la prima fase della definizione dei probemi e dei
sondaggi, Y équipe francese si trasforma in Groupe d'ar-
chéologie médiévale et d'histoire de la civilisation maté-
rielle du village , conservando a questo fine la preziosa
collaborazione degli archeologi dell'Istituto di storia del-
la cultura materiale dell'Accademia polacca delle scien-
ze40. L'impostazione della nuova indagine francese, che
va estendendosi anche in Italia, si ricollega non solo
all'esperienza tedesca, ma soprattutto agli indirizzi e ai
fecondi risultati della ricerca inglese del Deserted Me-
dieval Village Research Group, nato dalla confluenza di
una archeologia da tempo applicata all'età medievale
e moderna, di una storiografia che attraverso la tradi-
zione della local history non ha mai perduto il contatto
con il territorio e infine di una vitale geografia storica 41 .

esaminato anche sulle riviste geografiche (cfr. le recensioni di


G. Pinchemel, in «Annales de géographie», LXXVIII (1969), pp.
585 e ss.; di J. Peltre, in «Rev. de géographie de l'Est», VI (1966),
pp. 115 e ss.).
40 Se ne può vedere l'annuncio e la giustificazione a firma di
J. M. Pesez, in «Annales E.S.C.», a. XXIV (1969): «L'enquête sur
les désertions a joué son rôle: il apparaît que la fouille, en fin
de compte, informe moins sur la mort des villages que sur leur
vie, avant l'abandon. Avec l'histoire du village, c'est donc main-
tenant la civilisation matérielle du monde rural, au Moyen Age
et à l'époque moderne, qui devient l'objectif majeur de la
recherche» (p. 832). Cfr. anche J.-M. Pesez, Le village médiéval ,
in «Archéologie Médiévale», I (1971), pp. 307 e ss.
41 Per ultimo si veda M€ Beresford e J. G. Husrt, Deserted
Medieval Villages , London 1971. La componente geo-storica, pre-
sente già all'inizio con H. C. Darby, è ora soprattutto rappre-
sentata da R. E. Glasscock, interessante figura di geografo-
archeologo, che non riusciamo finora ad immaginare né in Italia
né in Francia (cfr. le osservazioni di X. De Planhol, Structures

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710 Massimo Quaini

Con impostazione analoga anc


mossa una ricerca sulla archeo
vale 42. Su scala regionale, in Pr
dagine interdisciplinare sul vi
può già valersi di una serie di studi storici e di scavi
archeologici medievali e che si va allargando anche all'età
moderna e ad una più precisa collaborazione del geo-
grafo 43.
Non entro ulteriormente negli sviluppi della ricerca
europea, sia perché altri, qui di seguito, sono chiamati a
riferirne, sia perché ho voluto rifarmi all'esperienza dei
paesi dove il lavoro è più avanzato, per fornire al lettore
e al geografo che opera in Italia i criteri, sia per valutare
lo spazio della geografia storica in una indagine che
ormai si pone soltanto su basi interdisciplinari, sia per
valutare quanto la geografia italiana può offrire allo
studioso di storia del popolamento. Mi limito soltanto a
notare che di recente, nel maggio del '73, si è svolto a
Perugia il V Convegno internazionale sui paesaggi agrari
d'Europa (ma con particolare riferimento alla regione
mediterranea), che aveva opportunamente inserito nel
proprio programma anche il tema dei villaggi rurali
abbandonati. Da quest'ultimo punto di vista esso ha

universitaires ait., p. 156). Anche l'équipe inglese, da Gruppo di


ricerca sui villaggi abbandonati (DMVRG), si è di recente trasfor-
mato in Gruppo di ricerca sui villaggi medievali (MVRG) allo
scopo di allargare l'indagine anche ai villaggi parzialmente ab-
bandonati o sopravvissuti.
42 L'archéologie du village medieval, Lovanio-Gand 1967.
43 L'indagine fa capo al Centre d'études des sociétés médi-
terranéennes dell'Università di Aix-en-Provence e si vale della
collaborazione di storici, geografi, etnologi e sociologi. Alcuni
risultati dell'indagine geo-storica sono raccolti in «Provence
historique», XXI (1971). E' nei programmi di lavoro del Gruppo
ligure di ricerca sulle sedi abbandonate saldare la ricerca in
Liguria con quella provenzale.

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale? 711

confermato sia il persistente interesse dei geografi inglesi


e tedeschi per un'indagine che si va allargando alle re-
gioni mediterranee44, sia che la consapevolezza della ne-
cessità di un'impostazione interdisciplinare è ormai fatta
propria anche dai geografi che operano in paesi in cui
lo studio di questi temi è ancora relativamente arre-
trato45. Ma la possibilità, offerta a Perugia, di un con-
fronto fra gli indirizzi italiani e quelli già affermati in
Europa, sia per i problemi più generali della genesi ed
evoluzione dei paesaggi agrari e delle strutture dell'habi-
tat rurale, sia per quelli più specifici dei villages désertés,
non è stata generalmente colta dai geografi italiani. Più
in generale si è notato, soprattutto fra i geografi italiani
(ma anche fra i francesi, sia pure in minor misura),
l'approfondirsi della faglia, già esistente nella geografia
agraria, fra un punto di vista geo-storico e un punto di
vista geo-economico, l'uno proiettato verso il passato e
l'altro sul presente-futuro, con metodi e problemi che
ben poco hanno in comune. In maggioranza i geografi
italiani presenti hanno dimostrato di aderire più al
secondo punto di vista che al primo 46 .

44 In questo senso si vedano le relazioni di W. Hutteroth,


Ländliche Siedlung in Bergland und Kustenebenen Palastinas in
Osmanischer Zeit ; C. Delano Smith, Deserted Settlements in
Apulia : the Tavoliere ; di notevole interesse anche per l'evidente
impostazione sociologica: J. M. Wagstaff, Vendetta, War and
Society in the Morphogenesis of Rural Settlements in the Mani,
Greece.
45 In questo senso è stata soprattutto significativa la rela-
zione di V. Hansen, Lost Village Research in Denmark. L'impo-
stazione corrisponde pienamente a quella che il Gruppo ligure
di ricerca sulle sedi abbandonate aveva proposto ai geografi
italiani e che riproduco in appendice. Ma sulle ricerche dei
geografi italiani intorno ai villaggi abbandonati si veda più avanti.
46 Se si escludono infatti le relazioni presentate da JJ. Mo-
reno, da L. V. Patella e dal sottoscritto, tutte le altre dovute a

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712 Massimo Quaini

3. Come si è accennato, la g
sua tradizione di lavoro ď équ
prese come quella sulla casa r
carta dell'utilizzazione del s
decisione, presa nel 1969 in s
grafi italiani, di costituire gr
commissioni nominate dallo stesso Comitato e finanziate
dal C.N.R. Tra i temi approvati figurano anche i «centri
scomparsi in età medievale e moderna» : le vicende della
relativa commissione di studio, per quanto poco interes-
santi, possono essere rievocate in quanto ulteriore veri-
fica della situazione degli studi geografici in rapporto
ai temi della geografia storica del popolamento. In poche
parole: posta di fronte alla possibilità di agganciare
la ricerca geografica italiana ad uno dei più dinamici
settori della ricerca europea, traendone le dovute conse-
guenze sia sul piano dei metodi che degli obbiettivi
dell'indagine, la commissione non solo ha rifiutato l'idea
di impostare la ricerca su basi interdisciplinari, ma ha
in sostanza accantonato anche l'esigenza di studiare una
impostazione geografica uniforme : conditio sine qua non
di un effettivo lavoro di gruppo47.
In opposizione alle decisioni della commissione, che
nel frattempo venivano smentite, nelle loro motivazioni,
da una serie di iniziative che si andavano promuovendo
in Italia48, venne fatto nel '70 un tentativo di costituire

geografi italiani (o anche ai francesi che si sono interessati al-


l'Italia) si limitano siile trasformazioni più recenti. Gli Atti di
questo congresso saranno pubblicati dalla Deputazione di storia
patria per l'Umbria.
47 II risultato conclusivo è il fallimento della commissione
e la crisi del gruppo di ricerca, nel momento in cui sono dispo-
nibili i fondi del C.N.R.
48 La costituzione del Gruppo Ricerche Archeologia Medie-
vale di Palermo e del «Notiziario di Archeologia medievale» (a

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale? 713

in Liguria un gruppo di ricerca interdisciplinare per lo


studio delle sedi abbandonate nella regione ligure, riu-
nendo storici, geografi, archeologi, studiosi di topono-
mastica e di urbanistica 49 . Sulla base dell'esperienza
della prima fase di ricerca e tenendo presenti sia i
peculiari problemi dello studio in Liguria sia gli sviluppi
della più recente ricerca europea, si è ritenuto successi-
vamente di allargare l'indagine dalle sedi abbandonate
allo studio della storia del popolamento rurale, appro-
fittando di una più omogenea convergenza fra geografia
storica, archeologia medievale e storia agraria.
La decisione di spostare l'asse della ricerca dalle sedi
abbandonate alla storia dell'insediamento è stata anche
confortata dalle conclusioni di un convegno organizzato
a Scarperia (Firenze) nell'estate del '72, che ha riunito
specialisti di diverse discipline interessati allo studio
dei problemi dell'insediamento in Italia e che ha fra
l'altro consentito, grazie ai contatti che si sono stabiliti
fra archeologi, storici e geografi, la messa in cantiere
di questo fascicolo, appunto dedicato ai problemi del
popolamento in età medievale e moderna50.

Genova), ambedue con larghi interessi per la storia dell'inse-


diamento rurale e per lo studio dei villaggi abbandonati, oltre
alla attività in Italia degli archeologi inglesi e francesi, sono la
più evidente smentita alle dichiarazioni di impossibilità di rea-
lizzare in Italia un'impresa a carattere multidisciplinare.
49 Sulla prima fase di attività del Gruppo ligure di Ricerca
sulle sedi abbandonate, si veda Un approccio interdisciplinare
allo studio delle sedi abbandonate in Liguria, Genova 1971, e il
Programma di ricerca, sottoposto mA '70 alla Commissione del
Co.Ge.I., in appendice a questo articolo.
50 Sul convegno, in realtà una riunione informativa, che
aveva lo scopo di riunire e mettere in contatto gli studiosi di
diverse discipline che si vanno occupando di storia dell'insedia-
mento, si vedano i resoconti di A. Settia, in «Riv. di storia della
Chiesa in Italia», XXVI (1972), pp. 563-565; di M. Quaini, in «Noti-

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7 14 Massimo Quaini

In realtà, il tema sedi abbandonate non ha molto


significato se lo si isola dal suo naturale contesto : il
popolamento, le strutture agrarie, i rapporti città-campa-
gna. Le stesse discipline che sono chiamate al suo studio
- l'archeologia, la toponomastica, la stessa geografia sto-
rica - sono spesso in grado di offrire più informazioni
sulla nascita e sulla vita di un insediamento che sulla
sua morte. In questa nuova prospettiva, è evidente, i
tempi della ricerca si allungano: lo scavo archeologico
non produce risultati utili alla storia con la stessa rapi-
dità dell'indagine sui documenti scritti e d'altra parte
quest'ultima, quando è indirizzata su fonti che consen-
tono un'analitica ricostruzione del territorio, come per
esempio i catasti, richiede tempi altrettanto lunghi di
elaborazione.
In sostanza lo studio del fenomeno sedi abbandonate
ha avuto la funzione di offrire allo studioso una scor-
ciatoia utile allo scopo di individuare problemi e momenti
che tuttavia non possono essere spiegati se non attra-
verso uno studio globale della storia del popolamento.
Ne possiamo avere una conferma esaminando i pochi
contributi che i geografi italiani hanno dedicato, acco-
gliendo l'invito del Migliorini, al tema "centri scomparsi".
In generale si nota che, pur prendendo in esame aree
subregionali di non notevole ampiezza, questi studi non
offrono molto di più di un inventario di sedi abbando-
nate : pur con la massima considerazione per il grado di
difficoltà di queste indagini, non si può non riconoscere
che quasi sempre non raggiungono gli obbiettivi che si
prefiggono, sia circa la natura e localizzazione dei centri,
sia, soprattutto, circa tempi, modi e cause dello spo-
polamento.

ziario di Archeologia medievale», 31 settembre 1972; e di G.


Bautier, in «Mélanges de l'École française de Rome», 1972, pp.
539-40.

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale ? 715

Prendiamo per esempio lo studio della Luzio sui cen-


tri scomparsi del Lazio, che fra i lavori dovuti ai geografi
è senza dubbio il più impegnato : su circa 250 sedi
abbandonate reperite ne vennero localizzate circa 150
su "un abbozzo di carta", poi ridotte a 37 nella carta e
nello studio definitivo riguardante un'area che grosso
modo comprende circa un terzo dell'intera regione laziale.
Malgrado tale riduzione, già molto significativa, la carta
riporta ancora numerosi centri localizzati solo approssi-
mativamente, non identificati nelle loro dimensioni demo-
grafiche e, soprattutto, che rimangono inspiegati quanto
al momento e alle cause dell'abbandono51. Questi risul-
tati, che si riferiscono al lavoro più esauriente fra quelli
condotti secondo una prospettiva geografica, sono oltre-
modo significativi delle difficoltà insite in un approccio
esclusivamente geografico. Un'ulteriore prova di tale im-
passe è costituita dal fatto che della più vasta indagine
promossa dall'Almagià e dal Centro di studi di geografia
antropica (diretto dallo stesso Almagià) vennero pubbli-
cati, oltre al saggio della Luzio, soltanto alcune note
preliminari, come riconoscono gli autori e lo stesso Al-
magià52. Nelle medesime difficoltà dovette incappare an-
che il Cucagna, a quanto risulta dal Primo contributo
allo studio delle sedi abbandonate nei bacini montani
del Piave e del Tagliamento53.

51 L. Luzio, Contributo allo studio dei centri scomparsi o


abbandonati del Lazio , «Riv. geografica ita!.», LX (1953), pp. 134
e ss. Lo studio preliminare al quale si fa riferimento è Sui centri
scomparsi del Lazio , in Atti del XV Congr. geografico ital., Torino
1950, I, pp. 376 e ss.
52 R. Almagia', Sul popolamento di un cantone montano del-
l'Abruzzo, in Studi geografici in onore di R. Biasutti , Firenze 1958,
pp. 1-11; S. M. Romanelli, Brevi note intorno ad alcuni centri
scomparsi di un angolo montano dell' Abruzzo, in Atti XVII Congr .
geografico ital., Bari 1957, III, pp. 627-635.
53 A. Cucagna, Primo contributo allo studio delle sedi scom -

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716 Massimo Quaini

V impasse cui si è fatto cen


dai limiti di un approccio mo
resto già segnalati dal Miglior
anche dall'assunzione di una c
del fenomeno popolamento, i
biamo già avuto modo di seg
Nel caso dei centri scomparsi
sia in quanto tende a privilegiar
(frane, terremoti, ecc.), sia in
pici si limita a cogliere quelli r
avvenimenti (le guerre, ecc.)
demografica (le pestilenze)55.
gnificativo dei ritardi cultur
che siano stati soprattutto gli
vamente in crisi l'importanza d
rici e a collegare gli abbandon
l'assetto territoriale subisce p
forme di utilizzazione del suo
pagna, ecc. 56 . Il tentativo del

parse e abbandonate nei bacini montani del Piave e del Taglia-


mento, in Atti XVII Congr. geografico ital., Bari 1957, III, pp.
636-643.
54 A. Sestini, Le fasi regressive nello sviluppo del paesaggio
ant ropo geografico , «Riv. geografica ital.», LIV (1947), pp. 153 e ss.
Da ritenere in particolare la consapevolezza dei limiti del punto
di vista geografico: «Si entra in un campo di fenomeni di fronte
ai quali il geografo può portare solo un contributo parziale»
(p. 170).
55 Si veda ancora R. Almagia', Fondamenti cit., II, p. 135:
«In paesi di antico popolamento, come l'Italia, è frequente il
caso di centri scomparsi, dei quali talora restano rovine, mentre
in altri casi non rimane alcuna traccia. L'indagine dell'epoca e
delle cause della scomparsa è del più grande interesse [...]
cause di scomparsa possono essere non solo fatti di guerra, ma
anche, più spesso, terremoti, frane, incendi, malaria ecc.».
S6 Mi riferisco soprattutto all' esquisse di C. Klapisch-Zuber

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale? 717

suscita qualche perplessità, come è anche stato rilevato


da alcuni storici, ma non si può negare che rispetto alle
ricerche dei geografi, oltre a presentare una più ampia
base territoriale, apporta una ricca e nuova problematica
che salda definitivamente la storia dell'insediamento alla
storia sociale e soprattutto economica57.
Anche questi più progrediti tentativi rafforzano tut-
tavia l'impressione che sia ormai necessaria la fonda-
zione di una autonoma e unitaria storia del popolamento
e dell'insediamento, contro ogni riduttivismo sia geogra-
fico sia demografico sia economico e a favore della ricom-
posizione di fenomeni finora considerati separatamente.
E' ormai evidente, per esempio, che lo studio dei villag-
gi che muoiono non può essere scisso dallo studio dei
centri che nello stesso periodo e nella stessa regione
nascono spontanamente o per iniziativa comunale, signo-
rile o reale che sia: uno studio questo che si è finora
configurato come un tema autonomo rispetto alla storia
del popolamento e che almeno in Italia ha finora interes-
sato più gli storici (e in particolare gli storici del diritto
o anche dell'architettura) che i geografi58.

e J. Day, Villages désertés en Italie , in Villages désertés et histoire


économique cit., pp. 419 e ss.
57 Ha suscitato qualche perplessità e riserva - ma direi più
per come è stata eseguita la ricerca che per la sua impostazione -
in C. Trasselli, Villaggi deserti in Sicilia , in «Economia e storia»,
XIII (1966), pp. 249-252; in A. Caracciolo, L'unità del lavoro storico .
Note di ricerca, Napoli 1967, p. 84. Cfr. anche A. Terrosu Asole,
Le cause della scomparsa di centri rurali italiani dalVXI al XVIII
secolo, in «Cultura e scuola» VII (1968), pp. 140 e ss. Il contributo
qui di seguito riportato di M. Aymard e H. Bresc, se da un lato
rettifica e approfondisce in più punti l'indagine di C. KLapisch-
Zuber e J. Day (e non poteva essere diversamente), dall'altro
conferma la scarsa incidenza della demografia sulla storia del
popolamento, rilevando un'evidente sfasatura fra regresso-pro-
gresso demografico e abbandoni-nuove fondazioni.
58 II fatto che le villenove siano state prevalentemente studiate

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718 Massimo Quaini

4. Una tipologia delle sedi um


ta su basi molto diverse : statisti
urbanistiche, economiche ecc. All'interno di ciascuno di
questi punti di vista, poi, i criteri possono essere ancora
diversi, come si è già accennato a proposito della geo-
grafia.
In una prospettiva geo-storica mi pare essenziale che
la tipologia sia funzionale ad una periodizzazione dell'in-
sediamento. In questo senso {anche tenendo presente lo
stato degli studi in Italia) una prima base concettuale,
per quanto ancora molto generica, può essere costituita
dalla definizione di accentramento e di dispersione. Si
tratta infatti di concetti dinamici, che esprimono due
processi, i cui parametri devono tuttavia essere chiariti
su basi storiche e non statistiche, nella direzione già indi-
cata dal Demangeon e dal Bloch59.

da un punto di vista storico-giuridico fa sì che ancora oggi si


confondano sotto il medesimo nome due fenomeni che dal punto
di vista della storia dell'insediamento hanno significati profonda-
mente diversi: i borghi realmente nuovi e costruiti ex novo e i
borghi già esistenti ai quali viene concesso un particolare regime
di «franchigie». Sulla necessità di questa distinzione cfr. W.
Steurs, Franchises ou villes neuves? L'exemple de Frasnes et de
Baisy. Témoignages sur l'expansion agraire dans le Brabant
méridional , 1150-1250 , in «Contributions à l'histoire économique
et sociale», IV (1970-71), pp. 27 e ss.
59 I tipi di agglomerazione e i tipi di dispersione proposti
dal Demangeon sono fondamentalmente storici. I primi tengono
presente «la situazione dei campi in rapporto al villaggio», come
«indizio» per «identificare la causa e l'origine dell'agglomerazione».
I tipi di dispersione - dispersione primaria di età antica, disper-
sione intercalare, dispersione secondaria, dispersione primaria di
età recente - «si differenziano essenzialmente per la loro età, cioè
per il periodo della colonizzazione o dell'evoluzione agricola ai
quali devono la loro origine» (A. Demangeon, Problèmes cit., pp.
185 e ss.). Tale tipologia storica, mentre ha trovato ampia appli-
cazione in Francia (dove solo in tempi recenti ha suscitato qualche

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale ? 7J9

Non c'è dubbio che accentramento e dispersione


rappresentino astrazioni che possono essere utilizzate
per descrivere processi di popolamento dalla preistoria
ai nostri giorni. Ma è altrettanto evidente che tali con-
cetti non si possono rendere storicamente concreti intro-
ducendo, più o meno surrettiziamente, le definizioni di
«centro», «nucleo» e «casa sparsa» : definizioni statistiche
e geografiche essenzialmente statiche, i cui contenuti
sono derivati dai sistemi di insediamento più recenti e
attuali. Sistemi che spesso presentano stratificazioni di
precedenti fasi del popolamento ma che obbiettivamente
sono caratterizzati da processi che hanno portato ad
una razionalizzazione delle forme di insediamento rurale
(e quindi dell'intero sistema di insediamento), la quale
si è espressa soprattutto nei modelli opposti e dominanti
del centro e della casa rurale sparsa, isolata sul fondo.
Non a caso dunque le maggiori difficoltà, che le classi-
ficazioni su basi geografico-statistiche incontrano, consi-
stono nella definizione del nucleo o meglio delle numerose
forme intermedie fra il centro e la sede rurale sparsa.
Le categorie costruite per spiegare questi più recenti pro-
cessi non sono dunque adattabili ad altri precedenti (o
coevi) sistemi di insediamento, la cui logica è quanto me-
no diversa, e non sono neppure applicabili a quelle aree,
come le aree di montagna, che fino a tempi recenti sono
rimasti sostanzialmente estranei ai processi di raziona-
lizzazione messi in opera dalle città, come vedremo.
Per di più, non sempre il rapporto fra strutture
insediative e strutture socio-economiche è diretto e im-
mediato, ma lascia largo spazio a quei fenomeni di
inerzia caratterizzanti alcune forme di insediamento che,

perplessità: cfr. nota 63), è stata in genere ignorata in Italia,


dove si è continuato a classificare l'insediamento rurale sulla
base di criteri topografici e statistici.

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720 Massimo Quaini

nate all'interno di determinate formazioni economico-


sociali, si adattano anche alle successive trasformazioni
di queste. E' questo un argomento che viene talvolta
invocato per dimostrare la funzionalità dell'insediamento
all'ambiente fisico, ritenuto più o meno immutabile, piut-
tosto che all'ambiente umano, ritenuto in genere come
soggetto a continua mutazione. Ma, a ben vedere, questa
discordanza fra il tempo dei fenomeni di insediamento
e il tempo dei fenomeni economici (e perché no? anche
il tempo dei fenomeni naturali) è soltanto la dimostra-
zione della necessità di riconoscere alla storia dell'inse-
diamento una propria logica, una propria periodizzazione,
che non può coincidere né con quella di una storia
ecologica né con quella della storia economica, né, infine,
con la periodizzazione della storia demografica.
In altre parole, così come è stato necessario pren-
dere coscienza del fatto che «le déroulement des phéno-
mènes agricoles, sans cesser d'être influencé par les évé-
nements politiques ou sociaux, avait son rythme propre»,
proprio in considerazione del fatto che "il tempo storico"
non è necessariamente lo stesso in tutte le manifestazioni
della vita umana e che l'agricoltura obbedisce ad impulsi
che derivano più dalla sua particolare natura che dalle
circostanze in cui si svolge60; allo stesso modo occorre
riconoscere ai fatti di popolamento e di insediamento
una propria logica e peculiari ritmi di sviluppo, pur
senza perdere di vista la reale unità dei fenomeni umani
e il gioco dei molteplici fattori che concorrono a costitui-
re equilibri più o meno stabili. Tali equilibri si esprimono
materialmente (paesaggio) nelle diverse combinazioni
che, regione per regione, periodo per periodo, le forme
del popolamento assumono rispetto ai due fondamentali

60 D. Faucher, La vie rurale vue par un géographe , Toulouse


1962, p. 17.

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale? 721

tipi dell'habitat concentrato (en ordre serré, come dicono


i francesi) e dell' habitat in ordine disperso o disseminato
(en ordre lâche). Regione per regione, perché ogni regione
combina in modo diverso i due fondamentali tipi di
insediamento e presenta una forma infinita di forme di
transizione fra luno e l'altro che rimanda necessaria-
mente alla necessità di ima puntuale indagine storica.
Ma allora una tipologia e una periodizzazione storica-
mente concrete possono farsi soltanto a scala regionale?
E' quanto cercheremo di verificare attraverso il confronto
fra alcuni "modelli" di sviluppo dell'insediamento rurale,
limitatamente alle regioni sulle quali si sono finora con-
dotte indagini in profondità e con la consapevolezza di
affrontare in modo ancora superficiale problemi che
richiederebbero ben altro sviluppo.

L'indagine del Desplanques, pur essendo rivolta al-


l'esame geografico (e quindi essenzialmente attuale) delle
strutture insediative delle campagne umbre, ha compor-
tato tutta una serie di sondaggi in quella «stratigrafia
così antica e complessa», che il geografo si trova neces-
sariamente di fronte ogni volta che non gli fanno velo
pregiudizi deterministici o lo schematismo di un'indagine
puramente statistica o descrittiva61. Il Desplanques ha
messo in evidenza un processo di concentrazione dell'in-
sediamento che inizia nel X secolo e in maniera non certo
uniforme si protrae fino al XVI, con un periodo di "vera
recrudescenza" nel XIV e in parte nel XV. Il tipo di sede
che tale movimento esprime è il castello, ovvero il vil-
laggio fortificato, chiuso; spesso, ma non necessaria-
mente, di sommità; in molti casi, espressione di una pre-
cisa politica territoriale dei maggiori comuni e di una

61 H. Desplanques, Les campagnes ombriennes , Paris 1969,


p. 461.

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722 Massimo Quaini

vera e propria pianificazione ur


castelli permangono tuttavia i
piccoli centri raggruppanti poc
fragili che vanno soggetti ad a
definitivi. All'interno di quest
raggruppato si verifica un mo
secondaria che per quanto poss
da talune tendenze che si man
medievale ("palombare", sedi religiose e monastiche)
riceve la sua maggiore spinta dal «movimento di coloniz-
zazione che dal XVI al XX secolo ha accompagnato l'e-
spansione della mezzadria». Un movimento che si lega
dunque allo sviluppo degli investimenti cittadini nelle
campagne e della «coltura promiscua», ma che non si so-
stituisce del tutto all'antico insediamento rurale rag-
gruppato, che permane come centro di vita di artigiani
braccianti, piccoli coltivatori: «tutta una società rurale
marginale per la quale il vecchio castello, anche se in
rovina, era il solo rifugio possibile» Nella stessa re-
gione umbra, fanno completamente eccezione a questo

62 H. Desplanques, Ibid., pp. 463 e ss. Interessante il ricono-


scimento che «plus que la féodalité, c'est la commune qui appa-
raît comme la grande créatrice de castelli », da intendersi anche
come «îlots de colonisation et de défrichement». E' quindi nella
conquista del contado da parte del comune urbano, piuttosto
che in generici motivi di sicurezza delle popolazioni rurali, che
deve essere inquadrato il processo di accentramento.
63 II concetto di dispersione secondaria usato dal Desplanques
è, come si è detto, del Demangeon, che ha voluto in questo modo
indicare la genesi di un abitato disperso in seguito alla decadenza
di precedenti strutture accentrate (A. Demangeon, Problèmes cit.,
pp. 191 e ss.). Ma l'utilità di questo concetto, per un'analisi
regionale, storicamente approfondita, delle vicende del popola-
mento, è stata messa in dubbio, con argomenti nel complesso
convincenti, da R. Livet, Habitat rural et structures agraires en
Basse Provence, Gap 1962, pp. 169 e ss.
64 H. Desplanques, op. cit., p. 474.

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale ? 723

schema di sviluppo del popolamento le alte regioni cal-


caree, dove l'insediamento accentrato di origine medie-
vale si mantiene anche in età moderna, pur soffrendo di
diverse fasi di spopolamento e abbandono, per il perma-
nere delle condizioni agrarie e delle strutture sociali che
10 avevano generato65.

Le ricerche di Conti sulla formazione delle strutture


agrarie del contado fiorentino, avendo felicemente dato
un contenuto concreto ai nomi spesso estremamente
vaghi con i quali i documenti medievali indicano le
principali unità dell'insediamento rurale, consentono di
precisare i tipi e le fasi del popolamento rurale, che
talvolta il Desplanques ha potuto soltanto intuire. Nel-
l'alto Medioevo il tipo più comune di insediamento rurale
è il casale, in cui tendono a raggrupparsi le «case mas-
saricie», mantenendosi «assai vicine ma non contigue» 66 .
11 casale altomedievale si perpetua nella villa dei secoli
basso-medievali: villaggio rurale aperto, dalla «struttura
rurale ancora arcaica, caratterizzata da una dimensione
molto modesta delle aziende e da un'estrema dispersione
delle parcelle di ogni unità di coltura» e perciò «in equi-
librio permanentemente instabile» 67 . A completare la rete
dell'insediamento basata sul casale e sul villaggio rurale
aperto, che al Conti sembrano forme originarie del po-
polamento e della colonizzazione agraria, si aggiungono
le corti e i castelli, che spesso, intorno al Mille, coesi-

65 H. Desplanques, Ibid., p. 489 e ss. Dove sono interessanti


gli spunti sulle caratteristiche sociali della montagna umbra - e
in particolare sulla «democrazia rurale» delle comunanze - offerti
per spiegare il popolamento accentrato.
66 E. Conti, La formazione della struttura agraria moderna
nel contado fiorentino , I, Le campagne nell'età precomunale ,
Roma, 1965, p. 29.
67 E. Conti, Ibid., p. 43.

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724 Massimo Quaini

stono e si identificano in un'unica sede fortificata di


piccole dimensioni e di preferenza ubicata sulla sommità
dei poggi.
Nelle zone di collina, sempre nel contado fiorentino,
la rete del popolamento rurale è, intorno al Mille, a maglie
fitte ma l'insediamento è, direi, raggruppato, sia pure per
piccoli agglomerati. Più forti tendenze all'accentramento,
già evidenti nel X e XI secolo con la prima generazione dei
castelli, si manifestano nei secoli seguenti, comportando
l'abbandono di casali e ville e l'evidente crescita di alcuni
centri e castelli. Il processo si completa con l'appodera-
mento che, accorpando le minuscole parcelle dei piccoli
proprietari, introduce la casa mezzadrile là dove prima
in molti casi esistevano casali, ville o minori castelli68.
La più approfondita indagine del Conti ci consente
dunque di constatare che fra XI e XV secolo si verifica
una prima fase di riorganizzazione dell'insediamento
rurale da accentrato ma a maglie strette e per piccole
agglomerazioni ad una forma superiore di accentramento
che determina un assetto a maglie più larghe e agglo-
merati più cospicui, alla quale fa seguito, ma in parte è
coeva, una seconda fase di dispersione che in qualche
modo ricostituisce la rete a maglie fitte, ma sostituendo
alle minori sedi abbandonate (casali, ville e castelli) la
casa colonica del podere mezzadrile e comportando, in
definitiva, lo spopolamento delle campagne rispetto ai
livelli raggiunti intorno al Mille e prima della diffusione
della mezzadria. In questo senso il nuovo assetto dell'in-
sediamento rurale, che rimarrà caratteristico di tutta
l'età moderna, non implica in generale abbandoni defi-
nitivi e totali (tranne alcuni lembi già coltivati che

68 Su questi processi si veda ora anche R. Francovich, Geo-


grafia storica delle sedi umane. I castelli del contado fiorentino
nei secoli XII e XIII, Firenze 1973.

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale? 725

ritornano a bosco pur rimanendo integrati nell'economia


del podere mezzadrile), ma piuttosto abbandoni tempo-
ranei o contrazioni e trasformazioni degli insediamenti
e nella utilizzazione agraria del territorio.

Le successive indagini di Cherubini hanno messo in


evidenza, in Toscana e in altre regioni appenniniche, lo
sviluppo divergente delle aree di pianura e di collina - dove
la città si organizza polarizzando le forme dell'insedia-
mento nei due opposti modelli del centro con caratteri-
stiche non esclusivamente rurali, inserito in una gerar-
chia di funzioni, soprattutto amministrative e militari,
che fanno capo alla città dominante, e della casa rurale
sparsa, legata all'appoderamento e quindi espressione
degli interessi fondiari dei cittadini, - rispetto alla mon-
tagna, dove si nota una sostanziale cristallizzazione
dell'insediamento accentrato per castelli o ville aperte a
causa del persistere dell'organizzazione feudale, della di-
spersione e frammentazione delle terre a coltura, del-
l'importanza della pastorizia e della persistenza di un'in-
tensa vita comunitaria 69 . La montagna, anche soltanto la
montagna appenninica centro-settentrionale, non presenta
ovviamente una storia uniforme anche dal punto di vista
del popolamento e delle forme di insediamento - per
esempio, non è estranea neppure alle aree montane una

69 Mi limito a citare il più recente contributo: G. Cherubini,


La società dell'Appennino settentrionale (secoli XII-XV), in Atti
del I Convegno «Storia e problemi della montagna italiana »,
suppl. al n. 6 della rivista «Modena», a. LXXVII (1972), pp. 26 e
ss. Neppure la Sicilia sembra del tutto estranea a questa diver-
gente evoluzione della montagna, come si può notare dal saggio di
M. Aymard e H. Bresc, qui di seguito pubblicato. Si tratta,
anche in questo caso, di verifiche e di approfondimenti della
dialettica montagna-pianura che già F. Braudel aveva posto alla
base della geografia storica del Mediterraneo (cfr. F. Braudel,
La Mediterranée et le monde méditerranéen à l'époque de Phi-

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726 Massimo Quaini

fase di dispersione all'inizio dell'età moderna, come


dimostra qui di seguito lo studio di Moreno. Ma questa
contrapposizione fra un mondo rurale dominato e mo-
dellato dalle forze sociali borghesi della città e un mondo
della montagna dove l'influenza urbana, quando si eser-
cita, si manifesta in forme diverse e più labili, e dove,
in definitiva, l'organizzazione territoriale è diversa, perché
diversi sono i modi e i rapporti di produzione, diverse
le strutture sociali e familiari, mi sembra una delle
ipotesi più feconde fra quelle che oggi la storiografia
può offrire alla geografia storica del popolamento.

Lo schema dell'evoluzione dell'insediamento rurale


umbro-toscano può trovare concordanze in altre regioni,
oggi caratterizzate da strutture dell'insediamento molto
diverse? Per esempio nelle regioni meridionali e insulari
caratterizzate da un'elevatissima percentuale di popo-
lazione rurale accentrata o nelle regioni settentrionali
con una maggior varietà di tipi di insediamento e in
particolare con prevalenza di forme intermedie o miste,
che associano alle forme accentrate le forme disperse e
annucleate? 70 Lo stato degli studi non consente sempre

lippe II, Paris 19662, I, pp. 27 e ss.). La mancanza di spazio non


ci consente di mettere nel dovuto rilievo le belle pagine che M.
Le Lannoy, ha dedicato alle «condizioni storiche» del popolamento
rurale in Sardegna nel volume Pâtres et paysans de la Sardaigne,
Tours 1941 (2a ediz. Cagliari 1971) pp. 113 e ss.
70 In via preliminare è ancora utile la carta dei tipi di inse-
diamento costruita da R. Biasutti e pubblicata in Scritti vari
sulla geografia fisica ed antropica sull'Italia, «Memorie della
R. Soc. geografica ital.,» XVII (1932), pp. 5 e ss. Il Biasutti, che
allora collaborava con il Demangeon nella commissione interna-
zionale per lo studio dell'insediamento rurale, non manca di in-
dividuare la necessità di «ricerche di carattere storico ed espli-
cativo», ma a parte il contributo oggi non più convincente di
G. Caraci, Le « corti » lombarde e l'origine della « corte », ibid.,

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale ? 727

risposte sicure a queste domande. Per parte mia riconosco


di ignorare troppo la realtà storica del Mezzogiorno per
entrare nel merito di specifici problemi concernenti
l'insediamento. Mi limito dunque a qualche cenno riguar-
dante alcune regioni settentrionali e in particolare la
Liguria, salvo tornare domani sugli stessi problemi in
maniera più approfondita.

Anche in Liguria, dove peraltro gli studi sulla storia


del popolamento sono ancora ad uno stadio iniziale, non
si sfugge all'impressione di un affollamento delle cam-
pagne, intorno e dopo il Mille, dovuto alla frantuma-
zione dell' habitat in tanti piccoli agglomerati, in parte
destinati a scomparire per un processo di accentramento,
del quale non si conoscono ancora, in modo sufficiente-
mente chiaro, i tempi e i modi, anche a causa di una
documentazione storica che è carente fino al XIII secolo.
Dalla fine del Duecento, prima intorno ai maggiori centri
urbani poi anche in aree più interne, si diffonde l'inse-
diamento sparso, a quanto pare come strumento di ima
produzione agraria più intensiva, basata soprattutto sulle
colture arboree e ortive, ed anche per l'allentarsi dei
vincoli sociali feudali 71 ; mentre vanno crescendo i centri,
della fascia costiera e dell'interno, a economia diversi-
ficata (non esclusivamente agricola) e talvolta di fonda-
zione comunale, che assorbono la popolazione che sten-
tava a vivere nei piccoli agglomerati rurali72. Che tale

pp. 26 e ss., le successive ricerche non si posero mai su un piano


risolutamente storico.
71 Questo processo si coglie sia attorno a Genova che a
Savona e ad Albenga. Le uniche pagine, che gli storici della
Liguria abbiano di recente dedicato a questi problemi, si leggono
in J. Heers, Gênes au XVe siècle . Activité économique et pro-
blèmes sociaux , Paris 1961, pp. 511 e ss.
72 Si hanno interessanti esempi di fondazione di villenove, dalla

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728 Massimo Quaini

processo - in parte leggibile anc


grafica, nel contrasto, che pres
fascia costiera caratterizzata da un insediamento accen-
trato a maglie abbastanza larghe e associato a una di-
screta dispersione secondaria, e il retroterra dove si è
conservato l'insediamento a nuclei e piccoli centri - sia
sempre legato, nella fascia costiera più urbanizzata, a tra-
sformazioni delle strutture agrarie e in particolare a
variazioni nella distribuzione della proprietà e nei tipi
di conduzione, non è finora possibile dire con certezza.
In età moderna, anche la Liguria presenta profonde
trasformazioni nei suoi paesaggi agrari - per esempio lo
sviluppo dell'olivicoltura con tendenze monocolturali nel
Ponente o lo sviluppo della coltura promiscua caratte-
ristico delle ville (nel senso di podere e casa rurale) nel
Genovesato - che sembrano essere in rapporto con una
maggior penetrazione della borghesia cittadina nelle
campagne e, in qualche area, essere all'origine di una
seconda fase di abbandoni di piccoli villaggi rurali e di
una crescente polarizzazione dell'insediamento negli op-
posti modelli del grosso villaggio accentrato e della casa
sparsa. Non è ancora possibile spiegare storicamente
(neppure, direi, in via di ipotesi) altri tipi del popola-
mento ligure, anche perché finora i geografi liguri non
hanno completato l'analisi, anche soltanto descrittiva,
dei diversi tipi e subregioni della Liguria73.

fine del XII secolo, sia a Levante sia a Ponente e soprattutto da


parte di Genova e di Albenga. Ma il processo continua anche nel
XV e XVI secolo e si salda alla fondazione di nuovi centri anche
per iniziativa popolare e feudale (si veda per es. la fondazione di
Airóle, Bordighera e Varese Ligure). In Liguria è comunque raro
che la pianificazione di nuovi centri interessi aree spopolate:
quasi sempre esistono insediamenti preesistenti.
73 Mi riferisco a indagini come quella che M. R. Prete ha
dedicato a Le valli più occidentali della Liguria , in «Annali ricer-
che e studi di geografia», 7 (1949), pp. 1342. Non ha avuto seguito

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale ? 729

Concordanze evidenti si riscontrano in Provenza,


dove, secondo l'analisi geografica ben più approfondita
del Livet, dopo una fase di dispersione e di scarsa agglo-
merazione caratteristica dell'alto Medioevo, nei secoli XI
e XII la popolazione rurale sembra interamente raggrup-
pata nei villaggi fortificati, che in gran parte esistono
tuttora. A partire dal XV secolo, si moltiplicano le tracce
dell'insediamento rurale sparso, soprattutto per iniziativa
cittadina, ma senza che tale fenomeno appaia legato all'i-
stituto della mezzadria, come avviene nell'Italia centrale 74.
Altre indagini più circostanziate indicano che i processi
e la periodizzazione sono più complicati: indicano, per
esempio, che la dispersione è anteriore al XV secolo, che
il processo di accentramento continua ad operare anche
nei secoli successivi al XII e che i due processi sono coevi
e quasi si sovrappongono anche sullo stesso territorio,
dando un significato tutto particolare anche al fenomeno
delle "diserzioni" rurali del medioevo75. Per l'età moderna
(e in parte tardo-medievale) sono stati messi in risalto sia
il fenomeno del ripopolamento e della fondazione di nuovi

la proposta di E. Scarin, Un questionario per ricerche sui centri


compatti rurali della Liguria, in «Annali ricerche e studi di
geografia», XV (1959), pp. 1-16.
74 R. Livet, op. cit., pp. 137 e ss.
75 Mi limito a citare, oltre ai lavori ai quali ho già fatto
riferimento alla nota 43, P. A. Fevrier, La Basse Vallèe de l' Argens.
Quelques aspects de la vie économique de la Provence orientale
aux XVe et XVIe siècles, in «Provence historique», IX (1959), pp. 39
e ss. Dello stesso A., per i rapporti fra storia urbana e storia
rurale: Le développement urbain en Provence de l'époque romaine
à la fin du XIVe siècle , Paris 1964, pp. 214 e ss. Sui particolari
problemi che pongono gli abbandoni nella regione di Aix (e non
solo in questa regione) si veda N. Coulet, La survie des commu-
nautés d'habitants des villages disparus. L'exemple d' Aix et du
pays d' Aix aux XIVe et XVe siècle, in Villes de l'Europe méditer-
ranéenne et de l'Europe occidentale du Moyen Age au XIXe siècle,
Nice 1969, pp. 81 e ss.

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730 Massimo Quaini

villaggi, soprattutto per inizia


meno della persistenza del vill
gazione del quale si è fatto am
stiche della "socialità" mediterranea76.

Altrettanto complessa si presenta la storia dell'in-


sediamento in Piemonte, dove il saggio, che Settia pre-
senta qui stesso, dimostra che nella collina torinese l'ac-
centramento, che ha dato a tanta parte della regione
un'impronta così caratteristica da indurre alcuni stu-
diosi, geografi compresi, a parlare di una struttura pae-
sistica molto antica, si è in realtà verificato in un'età
relativamente tarda e nel corso di una riorganizzazione
territoriale dovuta, a quanto sembra, più a fattori socio-
politici che economici77. Nella regione piemontese, come
del resto in tutta la valle del Po, la storia del popola-
mento è più che altrove determinata da una diffusa
politica comunale di fondazione di villenove, che dovette
rivestire un notevole ruolo nella messa in opera di strut-
ture accentrate del popolamento basso-medievale; mentre
restano ancora in gran parte da studiare cronologia e
fattori della dispersione rurale nella forma caratteristica,

76 Si veda per tutti R. Livet, op . cit., pp. 208 e ss. Ma anche gli
storici, e in particolare M. Agulhon, hanno dato notevoli contri-
buti allo studio della sociabilità provenzale (si veda in proposito
E. Grendi, La Provenza di M. Agulhon, in «Riv. storica ital.»,
LXXXIV (1972), pp. 17 e ss.). Cfr. anche G. Duby, Terra e nobiltà
nel medio evo, Torino 1971, p. 39 ( sull'habitat rurale di sommità
in Provenza).
77 Vien naturale accostare i risultati di A. Settia al famoso
articolo di D. Gribaudi, Sulle origini cit.. Il fatto che alcune delle
tesi di quell'articolo non abbiano retto ad una verifica storica,
senza dubbio ancora parziale, mi pare dimostri la necessità di
un'indagine che studi l'insediamento soprattutto al suo inter-
no, nei rapporti fra gli uomini, più che nei rapporti fra l'uomo
e la terra o l'ambiente naturale.

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale? 731

ma non omogenea, della «cascina»78.


Ovviamente, per questa come per altre regioni, sarà
necessario distinguere le diverse unità sub-regionali in-
teressate, in modo diverso, dai processi del popolamento
medievale e moderno e caratterizzate da diversi ritmi
di sviluppo, come si è già notato per la collina e la mon-
tagna dell'Appennino centro-settentrionale. Con l'avver-
tenza che tali unità regionali non si possono individuare
esclusivamente sulla base di criteri geografici o pae-
sistici 79 , proprio perché anche la differenza, in apparenza
ambientale, fra montagna e collina, rimanda soprattutto
alle aree di influenza urbana, ai distretti comunali, alle
giurisdizioni feudali : in altre parole, all'insieme di fattori
amministrativi, politici, sociali e economici che in vario
modo modellarono le "regioni storiche" w.

78 Sul primo aspetto si veda G. Vigliano, Beni culturali am-


bientali in Piemonte. Contributo alla programmazione economica
regionale, Torino 1969, pp. 57 e ss. Questo contributo dovuto a
un architetto richiederebbe un lungo discorso sull'approccio ur-
banistico alla storia dell'insediamento, che non sempre si dimostra
efficace e fecondo di risultati, come è nel complesso in questo
caso e in alcuni altri (si veda G. Cherubini, ree. a E. Detti,
G. F. Di Pietro, G. Fanelli, Città murate e sviluppo contempo-
raneo, Milano 1968, in «Antologia Vieusseux», XVIII (1970), pp. 2-8).
Sul secondo aspetto si veda A. Pecora, La « corte » padana, in
La casa rurale in Italia, cit., pp. 236 e ss.; G. Dematteis, La casa
rurale nella pianura vercellese e biellese, in Studi geografici su
Torino e il Piemonte, Torino 1965, pp. 9 e ss.
79 In questi limiti si può sempre consultare con profitto A.
Sestini, Il paesaggio, Milano 1963.
80 Sono problemi ai quali va dando una risposta anche Y Atlante
storico italiano : se ne veda un buon esempio in E. Fasano Guarini,
Lo Stato mediceo di Cosimo I, Firenze 1973. E' da augurarsi
non solo che questi obbiettivi della ricerca e della relativa carto-
grafia siano presto estesi e realizzati per il maggior numero di
regioni italiane, ma anche che sia riservato il dovuto spazio ai
temi della storia dell'insediamento, che, forse più di altri già
prospettati, si prestano ad essere tradotti in carte. In questo

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732 Massimo Quaini

Potremmo, a questo punto, cogliere altri esempi


regionali - sinché se le difficoltà non sono poche, soprat-
tutto a causa della difformità dei criteri che storici e
geografi hanno seguito nello studio di situazioni e pro-
cessi locali o regionali di popolamento - e potremmo
trovare, ma non so con quanta utilità dato il carattere
ancora troppo generico dei nostri parametri, altre con-
cordanze con i processi già descritti ed evidenziati nel
passaggio da un popolamento almeno in parte raggrup-
pato ma a maglie strette (per la prevalenza dei piccoli
agglomerati) a un popolamento più accentrato che pro-
duce alcune smagliature (diserzioni) nel tessuto dell'in-
sediamento tradizionale, solo in parte ricucite da un
nuovo seminato di sedi rurali sparse. Ma, a parte le sfa-
sature cronologiche che in genere si accompagnano a
questi processi, potremmo trovare effettive discordanze,
come per esempio in alcune regioni prealpine e in molte
regioni alpine, che sembrano fin d'ora sfuggire a questo
modello diacronico per la cristallizzazione dell'insedia-
mento annucleato e a piccoli agglomerati rurali, ipotiz-
zabile forse come insediamento originario, cioè coevo
alla fase di colonizzazione o ricolonizzazione alto-medie-
vale, ma reiterato in ogni successiva fase di colonizza-
zione delle aree marginali e quindi in qualche modo
funzionale a strutture sociali sostanzialmente stabili81.
Una volta che indagini di questo tipo fossero estese,

senso, sarebbe anche da riprendere l'idea, che E. Sereni espresse


al I Convegno degli storici italiani, di un indice storico siste-
matico delle sedi rurali esistenti e scomparse, per individuare
i tempi e i modi della colonizzazione o ricolonizzazione dell'Italia
nei secoli medievali e moderni.
81 Su una regione prealpina interessanti particolari offre C.
Saibene, Problemi e ricerche sull'insediamento nelle aree lacuali
prealpine in Italia , in Studi geografici in onore di R. Biasutti cit.,
pp. 285 e ss.

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale? 733

con criteri sufficientemente uniformi, ad un certo numero


di regioni e sub-regioni - non doveva essere questo il
compito della commissione di studio promossa dal Comi-
tato dei geografi italiani? - si aprirebbe un fertile terreno
all'applicazione del metodo comparativo, con il risultato
di far emergere tutta una serie di nuovi problemi. Oltre
a fondare una più precisa e storicamente concreta defini-
zione dei tipi della dispersione e della agglomerazione, il
confronto fra le diverse periodizzazioni dei sistemi di
insediamento consentirebbe di meglio individuare e diffe-
renziare aree evolutive e aree dove operano meccanismi
di conservazione delle vecchie strutture, con risultati
utili non solo per un rinnovato approccio geografico-etno-
logico ai problemi delle strutture agrarie (con possibilità
quindi di datare e inquadrare nel loro contesto storico
le tecniche che sono alla base delle cosiddette "civiltà
rurali": abitazione, regimi e attrezzi agrari ecc.), ma so-
prattutto per una effettiva, non illusoria interpretazione
dell'habitat rurale.

Sul terreno della spiegazione di certi contrasti fra


tipi di insediamento o di certe sfasature cronologiche
o cristallizzazioni, non solo fra diverse regioni ma anche
all'interno della stessa regione, il discorso geo-storico
tende a diventare un discorso di storia sociale e dalla
ińorfologia geografica dell'insediamento (accentramento
e dispersione) non si può non passare alla morfologia
sociale tout court 82. Appare chiara infatti l'insufficienza

82 Parlando della necessaria convergenza di un discorso geo-


storico in un discorso di storia sociale non intendo fare riferi-
menti a discipline particolari (e quindi entrare in contraddizione
con quanto detto all'inizio) ma soltanto ad una problematica
che finora è stata soprattutto sviluppata dagli studiosi di storia
sociale e di sociologia rurale. Nella fattispecie poi si tratta di
una problematica ancora in gran parte da fondare, come hanno,

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734 Massimo Quaini

di un discorso puramente geo


massimo si limita a descrivere le variazioni storiche
nella morfologia degli insediamenti, o ancora di un di-
scorso geografico-etnologico che, a sua volta, si limita
a chiamare in causa il complesso di tecniche rurali che
spiegano in chiave di civilisation l'immobilità, le per-
manenze del mondo contadino (anche se è vero che l'in-
dagine storica sulle tecniche rimane ancora in gran parte
da fare e che se ne dovrà ben tenere conto)

In questa prospettiva, alla quale la letteratura geo-


grafica italiana non ci offre che rari e contestati spunti ®'

anche di recente, dimostrato E. Grendi, L'antropologia economica ,


Torino 1972; e il numero della rivista «Annales E.S.C.», a. XXVII
(1972), dedicato a Famille et société .
83 Accanto alla antropologia storica proposta da E. Le Roy
Ladurie, esiste una etnologia storica, che non solo è pienamente
recuperabile all'interno del discorso che proponiamo, ma che,
sempre in Francia, ha già dato prova di sé (cfr. per es., L'Aubrac,
II, Ethnologie historique , Paris 1971). Per i problemi generali, si
vedano sinché H. Deschamps, J. Poirier, Histoire et ethnologie e
M. Jean Brunhes Delamarre, Géographie humaine et ethnologie ,
in Ethnologie generale , «Encyclopédie de la Plèiade», Paris 1968,
pp. 1433 e ss. Le osservazioni critiche all'approccio geografico-
etnologico sd riferiscono ai limiti già rilevati da M. Sorre, Rencon-
tres cit., pp. 53 e ss.
84 A parte la già citata proposta di G. Dematteis (cfr. nota
34), è molto interessante la discussione che si è svolta in Italia sul
concetto di «genere di vita», arrivato da noi quando in Francia,
dove era stato formulato e largamente applicato, era già caduto
in disuso. L'aspetto più caratteristico di questa discussione è
stato il timore, largamente condiviso dai geografi italiani, di
tradire la propria disciplina, sconfinando in altri campi di studio
e in particolare in quello della sociologia. Si veda R. Pracchi,
I « generi di vita » nella montagna italiana e le loro recenti tra-
sformazioni , in Atti XIX Congr. geografico ital. , cit., II, pp. 67 e
ss.; e in proposito le osservazioni di L. Gambi, Generi di vita o
strutture sociali?, Faenza 1966, p. 11: «La preoccupazione mi
pare infondata quando si resta nei limiti di un solo problema:

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale? 735

ci confortano ancora le parole che un geografo francese,


Sorre, richiamandosi anche alla ricca (e in parte contrad-
dittoria) eredità scientifica di Bloch, scriveva nel 1957 :
«Nous voilà bien en pleine sociologie. Derrière tout, au
fond de tout, il y a la communauté rurale faisant corps
avec son territoire, c'est-à-dire le fait social, le plus riche
et le mieux caractérisé. Elle peut revêtir des formes va-
riées correspondant à la solidité plus ou moins grande
du lien sociale, depuis la propriété collective jusqu'à la
simple coopération. De son unité et de sa cohésion dé-
pendent le renforcement ou l'affaiblissement de la stabi-
lité de rétablissement agricole. Avec sa structure interne,
c'est-à-dire avec les rapports qui unissent les sociétés
élémentaires, famille naturelle ou grande famille avec
ce complexe qui est déjà le village se trouvent en relation
les formes de l'habitat, les degrés de la concentration
et de la dispersion» 85 .

Soltanto questa prospettiva (che oggi si va deli-


neando soprattutto per il contributo degli storici) mi
pare possa fondare una storia del popolamento e dell'in-
sediamento e garantirle una autonomia problematica,
contro ogni riduttivismo o determinismo geografico (o
meglio ecologico), politico, demografico e anche econo-
mico86. In altre parole, volendo riferirci ad alcune abu-

cioè il problema di esaminare l'intima armatura di ima società


in funzione della organizzazione che tale società ha dato agli
ambienti ove essa si è stabilita ed opera [. . .] se il problema
qui studiato lo si reputa [...] un problema basilare della geo-
grafia, è inevitabile e anzi indispensabile che qualunque indagine
intorno ad esso illumini ogni suo lato, penetri integralmente nella
sua trama, segua fino ai limiti ogni sua coerente implicazione».
85 M. Sorre, Rencontres cit., p. 71.
86 Di recente si è per esempio riconosciuto che anche l'eco-
nomia è impotente a spiegare le forme di distribuzione della
popolazione: J. Dupâquier, Réflexions d'un historien sur les pro-

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736 Massimo Quaini

sate figure del dibattito geogr


introdurci direttamente all'interno dei fatti di insedia-
mento non è né l'uomo dell'ecologia (cioè per quel tanto
che è condizionato dall'ambiente naturale), né, all'op-
posto, l'uomo della storia événementielle , né infine l'uomo
produttore e consumatore della geografia e della storia
economica, ma semmai l'uomo abitante di Le Lannou:
l'uomo cioè che, per la sua condizione di abitare in un
certo modo, è inserito in un contesto di relazioni sociali,
più o meno complesso a seconda del tipo di sede, attra-
verso il quale si mediano tutti i rapporti con l'ambiente
e la storia esterna87.

Massimo Quaini

blêmes de la répartition géographique du peuplement et de ses


variations , in «Bull, du Centre d'histoire éc. et soc. de la region
lyonnaise», n. 2, 1973, pp. 1 e ss.
87 Forse il concetto di «storia esterna» può sembrare senza
fondamento, ma si rifletta a quanto di recente si è riconosciuto
a proposito delle società pre-industriali: «Nous avons perdu,
avec l'accélération des transports, la redistribution des zones de
production en fonction des nouvelles formes d'énergie [€..],
plusieurs des notions familières aux hommes d'autrefois, celles
de l'espace étroit, du monde extérieur filtré, des existences indé-
finiment vécues et revécues dans un même cercle d'horizon, la
continuité des gestes et des réflexes. Il faut faire effort pour se
réintégrer fugitivement, par la pensée, dans des univers mi-clos
dont les mesures et les tempi nous sont devenus étrangers . . .»
(M. Morineau, Les faux-semblants d'un démarrage économique :
agricolture et démographie en France au XVIIIe siècle , Paris 1971,
p. 282-283).

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale? 737

Appendice

GRUPPO LIGURE DI RICERCA SULLE SEDI ABBANDONATE: PROGRAMMA DI


RICERCA PROPOSTO ALLA COMMISSIONE DEL COMITATO DEI GEOGRAFI ITALIANI
PER LO STUDIO DEI CENTRI SCOMPARSI IN ETÀ MEDIEVALE E MODERNA1

Basi interdisciplinari. Il Sestini nel 1947 e il Migliorini nel 1952


da diversi punti di vista sono giunti alla conclusione che il geo-
grafo di fronte al problema generale delle fasi regressive nello
sviluppo del paesaggio antropogeografico e, in senso specifico,
delle località abbandonate, può portare solo un contributo parziale
e deve ricorrere a metodi e conoscenze di altre discipline.
Alla medesima conclusione sono giunti anche i geografi che
all'estero si sono occupati di questo complesso fenomeno storico-
geografico.
Di qui la necessità di impostare in partenza la ricerca su
basi interdisciplinari, sollecitando la collaborazione dello storico,
dell'archeologo e del glottologo, per quanto riguarda le scienze
umane, dello studioso di pedologia, geomorfologia e geobotanica
nel campo delle scienze naturali. Già nella fase dell'impostazione
della ricerca e della raccolta del materiale è assolutamente in-
dispensabile l'apporto dello storico, quanto meno per la cono-
scenza e uso delle fonti scritte, dello archeologo per il materiale
derivato da prospezioni e scavi di cui può già essere in possesso
e per la messa a punto di tecniche di indagine che, come ve-
dremo, spesso rappresentano l'unico strumento di conoscenza;
dello specialista di aerofotointerpretazione e infine del glotto-
logo per l'interpretazione dei toponimi designanti insediamenti
scomparsi.
La collaborazione degli studiosi naturalisti è infine utile
nell'esame diretto dei condizionamenti ambientali che l'insedia-
mento ha subito nella sua storia e in particolare nella sua fase
regressiva. A questo proposito il naturalista può mettere a dispo-
sizione del geografo tecniche di indagine come l'analisi pedologica,
la palinologia e l'analisi dei fosfati, che in molti casi, cioè in
mancanza di documentazione scritta (quasi generale quando si
tratta di piccoli centri rurali) possono costituire un interessante

1 Pubblico, per esortazione di alcuni colleghi, il programma di ricerca che,


come ho accennato, fu respinto dalla Commissione del Co.Ge.I., perché ritenuto
utopistico, illusorio (e da qualcuno anche ridicolo per il suo appellarsi a tecniche
di indagine naturalistiche). Il testo è rimasto sostanzialmente immutato, tranne
due tagli che si riferiscono a parti concernenti aspetti organizzativi della ricerca
[m. q.].

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738 Massimo Quaini

strumento di conoscenza o comunque


ipotesi formulate dal geografo e dallo
l'insediamento e sulle cause dell'abbandono.
D'altra parte la necessità di costituire un'equipe di studiosi
di diverse discipline emerge anche dall'esperienza dei paesi dove
queste ricerche sono più avanzate. Gran Bretagna: nel 1952 nasce
il Gruppo di ricerche sui villaggi abbandonati nel Medio Evo
dalla collaborazione di 2 archeologi, 1 storico della architettura,
1 storico dell'economia, 1 specialista di geografia storica. - Polonia :
le ricerche si svolgono soprattutto nell'ambito dell'Istituto per
la storia della cultura materiale dell'Accademia polacca delle
scienze, dove è cosa normale la collaborazione fra archeologo,
storico, biologo, geografo fisico, studioso di toponomastica. -
Francia : l'équipe costituita nel 1964 dalla VI Sezione dell 'Ecole
pratique des hautes études comprendeva storici, archeologi, 1
geografo, 1 specialista di aerofotointerpretazione, 1 studioso di
toponomastica. - Belgio : le ricerche sono promosse dal Centro
belga di storia rurale di Lovanio (1963), con la collaborazione di
archeologi, geografi e studiosi delle discipline naturalistiche (cli-
matologia, pedologia, palinologia) interessate alla storia del
paesaggio agrario. - Germania: il tema è da tempo affrontato
da specialisti di geografia storica e da storici dell'economia,
in prevalenza individualmente, ma con notevoli aperture verso
le discipline interessate alla ricerca, comprese quelle naturali-
stiche (in questa direzione si è lavorato molto anche in Svizzera).
In conclusione, da qualunque prospettiva si veda il problema,
si rende necessario «l'approccio interdisciplinare», tanto più
necessario da noi, dove, dopo un avvio promettente, si deve re-
cuperare il terreno perduto.
Rispetto alle esperienze tentate all'estero, dove sono prevalse
quasi sempre o l'impostazione storica o quella archeologica, in
Italia esistono le condizioni per realizzare l'auspicato lavoro
d'équipe con una impostazione prevalentemente geografica2. Non
si deve infatti dimenticare che in Italia gli storici, tranne rare
eccezioni, sono finora rimasti sordi a questi problemi, che gli
archeologi solo raramente hanno rivolto il loro interesse all'ar-

2 Per impostazione geografica non s'intende naturalmente l'adozione del


solo metodo geografico, che sarebbe in contraddizione con l'affermata esigenza
interdisciplinare e al massimo ridurrebbe il ruolo delle altre discipline a quello
subalterno di scienze ausiliarie, ma soltanto la promozione della ricerca
multidisciplinare da parte dei geografi. Promozione che potrebbe significare,
almeno in una prima fase, mettere in evidenza finalità di interesse prevalente-
mente geo-storico.

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale? 739

cheologia medievale e soprattutto all'archeologia delle sedi ru-


rali. E' giusto quindi che sia il geografo a promuovere queste
ricerche indirizzandole verso finalità di interesse prevalentemente
geografico. Un'impostazione prevalentemente geografica dovrebbe,
fra l'altro, misurarsi nel largo impiego dei metodi naturalistici,
ai quali finora in queste indagini non è stato dato, per evidenti
motivi, il dovuto rilievo; senza considerare infine che l'apporto
del geologo, del geomorfologo ecc., diventa indispensabile ogni
volta che ci si trova di fronte a un insediamento abbandonato
in seguito a calamità naturali.

Scopi della ricerca. E' già stato rilevato, ancora dal Miglio-
rini, che lo studio del fenomeno singolo o locale ha scarso inte-
resse geografico. Anche lo studio degli abbandoni come fenomeno
collettivo, ma studiati in sé e per sé, presenta forse maggiore
interesse per lo studioso di storia economica e in particolare per
10 studioso di demografia storica e delle società rurali, che per
11 geografo. Al geografo - o meglio allo specialista di geografia
storica - il fenomeno degli abbandoni interessa soprattutto in
quanto può chiarire fatti di insediamento, in quanto pur nella
sua complessità può rappresentare la chiave, la via più breve,
per ricostruire le forme e i tipi di insediamento (in senso geo-
grafico e non storico) prevalenti nelle diverse epoche e le perio-
diche oscillazioni fra urna forma e l'altra, fenomeni sui quali
finora dobbiamo limitarci a conoscenze quanto mai generiche.
Ancora il Migliorini, nella già ricordata nota metodologica, sot-
tolineava l'importanza dello studio delle località abbandonate
per la storia dell'insediamento umano.
Attraverso questa fase di ricerche possiamo ancora proporci,
come obiettivo ultimo, la costruzione di carte della distribuzione
della popolazione nelle diverse epoche (e non soltanto sotto
l'aspetto quantitativo): come obiettivo ultimo in quanto l'elabo-
razione di tali carte richiede di estendere l'indagine anche all'o-
rigine e sviluppo dei centri non abbandonati.

Delimitazione cronologica e territoriale. A) Il titolo dell'indagine


suggerisce età medievale e moderna. Si deve subito osservare
che l'età antica, apparentemente esclusa, rientra in molti casi nel
quadro cronologico dell'indagine: almeno in tutti quei casi in
cui si tratta di centri di origine classica scomparsi in età me-
dievale. Non si può infatti spiegare la morte di un centro se non
si conosce compiutamente la sua costituzione e quindi non si
risale al tipo di organizzazione del territorio entro il quale è

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740 Massimo Quaini

nato, entro il quale ha sviluppato determinate funzioni, che,


superate da un nuovo tipo di organizzazione, hanno provocato
la sua fine. D'altra parte, escludere rigidamente l'età antica si-
gnificherebbe precludersi la possibilità di valutare compiuta-
mente il sistema di insediamento medievale per quel tanto o
quel poco - è da stabilire - che si ricollega alle forme di insedia-
mento dell'età romana e in certi casi anche alla protostoria.
Si può quindi discutere se sia il caso di ritornare alla dizione
originaria di «centri abbandonati» senza specificazione cronolo-
gica, con la sola esclusione, pacifica già in partenza, dello studio
degli abbandoni connessi con il moderno spopolamento montano,
già oggetto di monografie regionali. La discussione dovrebbe
tenere presenti due considerazioni: 1) la difficoltà di proporre
una periodizzazione storica rigida valida per tutte le regioni: alla
regione il cui insediamento può caratterizzarsi per una netta
frattura fra medioevo e età precedenti, si possono contrapporre
molte altre regioni - è forse il caso generale - in cui si nota
un accentuato attardamento di forme e tipi di insediamento
non solo di età romana ma addirittura anche della protostoria;
2) la specificazione età medievale e moderna qualifica la nostra
ricerca, delimitando un campo di indagine, che, rispetto all'età
antica e alla protostoria, è stato finora completamente trascu-
rato: per colmare tale vuoto è nata in definitiva questa indagine.
In conclusione, quindi, per quanto possano essere necessari
collegamenti con età anteriori in singoli casi o per completare
il quadro dell'evoluzione storica delle forme di insediamento,
credo si debba affermare che le ricerche originali, dirette, e
quindi l'oggetto della ricerca debbano riguardare l'età medievale
e moderna.

B) E' ovvio che una ricerca di geografia storica dovrebbe


avere come limiti territoriali non i confini delle regioni attuali
che sono circoscrizioni amministrative più o meno artificiali ma
quelli delle regioni storiche. Il problema è però complicato dal
fatto che le regioni storiche hanno subito variazioni nel tempo
e ancora dal fatto che sono spesso costituite da minori unità
storiche subregionali che in genere rappresentano il più genuino
quadro geografico della ricerca.

Oggetto dell'indagine . Se a prima vista l'oggetto dell'indagine


può sembrare definito, in realtà rimane ancora da precisare nei
suoi due concetti fondamentali: il concetto di centro e quello di
abbandono.

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale ? 741

Si è già deciso, nella prima riunione, di accantonare come


troppo restrittivo il concetto di centro , fra l'altro elaborato sulla
base del nostro sistema di insediamento e in quella che gli
studiosi di demografia storica chiamano età statistica: quindi
un concetto non applicabile, se non a prezzo di anacronistiche
forzature, a diversi sistemi di insediamento. Perciò non ritorno
su un problema che sembra già risolto, se non per ricordare
che sia nella già citata nota metodologica del Migliorini, sia nelle
indagini compiute negli altri paesi, si considerano degni di studio
anche i minori insediamenti. Su quest'ultimo punto si potrà
discutere, ma sarà bene tener presente l'utilità pratica del criterio
di iniziare la raccolta del materiale documentario secondo la
più larga definizione di sede umana, allo scopo di non dover
tornare sulla documentazione in un secondo tempo, con la
riserva però di affrontare l'interpretazione del materiale raccolto
con un concetto più preciso e selettivo di insediamento, la cui
elaborazione si può rimandare a quando, avviata la ricerca,
avremo le idee più chiare.
Sul concetto di abbandono gli studiosi tedeschi hanno con-
dotto una sottile analisi, distinguendo fra abbandono temporaneo
e abbandono permanente, fra abbandono parziale e abbandono
totale. L'ultimo concetto è particolarmente significativo in quanto
mette in rapporto il villaggio rurale con il territorio sfruttato
dalla comunità, ritenendosi che si possa parlare di abbandono
totale solo quando con il villaggio si abbandona anche lo spazio
agricolo circostante. A questo punto si è ancora distinto fra
paesaggio agrario parzialmente o totalmente abbandonato, tem-
poraneamente o permanentemente abbandonato. La conclusione
a cui sono giunti gli studiosi tedeschi è che si debbano conside-
rare anche gli abbandoni pamali e temporanei se si vuole
comprendere il fenomeno come fatto collettivo e dinamico.
Mentre per il concetto di abbandono temporaneo e parziale
delle sedi si può forse adottare una soluzione simile a quella
già proposta per la nozione di insediamento - cioè non escluderlo
nella fase della raccolta del materiale - è invece necessario di-
scutere il concetto di abbandono totale; in questo senso: se si
debbano sinché prendere in considerazione i paesaggi agrari ab-
bandonati. A questo proposito si può tener presente che questo
tipo di indagine che si potrebbe fare sul terreno, sulle fotografie
aeree e sui catasti (sia antichi che recenti), riguarderebbe
soprattutto quelle aree marginali del popolamento e della colo-
nizzazione agricola, al confine, fluttuante nel tempo, con la coper-

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742 Massimo Quaini

tura vegetale spontanea, nelle quali per


samente si è verificato il fenomeno dell'abbandono degli inse-
diamenti. Perciò l'allargamento a questo tipo di indagine, mentre
da un lato comporterebbe interessanti aperture sulla genesi ed
evoluzione dei paesaggi agrari, delle quali alcuni geografi francesi
hanno già sottolineato l'importanza in rapporto agli studi sui
villaggi abbandonati, dall'altro si potrebbe rivelare un interes-
sante mezzo per l'individuazione di aree di spopolamento e
quindi di abbandoni.
D'altra parte è evidente che lo studio del territorio è indi-
spensabile in tutti quei casi in cui la vita della popolazione è
basata unicamente sullo sfruttamento agricolo, pastorale e fore-
stale e l'insediamento muore quando cessano le condizioni di
tale sfruttamento; in poche parole, quando l'abbandono del
villaggio è una conseguenza dell'abbandono dei campl. Se da
sedi a economia agricola si passa a considerare il caso di inse-
diamenti a economia più evoluta fino ad arrivare al centro
urbano , la tipologia degli studiosi tedeschi deve essere aggiornata
e adattata alle condizioni dell'Italia, dove il fenomeno degli ab-
bandoni si è esteso anche a quest'ultimo tipo di insediamenti. Il
concetto di abbandono parziale, in questo caso, non può più
essere visto solo in funzione del paesaggio agricolo, ma soprat-
tutto in rapporto a variazioni nelle funzioni e quindi nel tipo
dell'insediamento. Una sede nata e sviluppatasi come centro
militare o come centro di strada e che per lo scomparire di
queste funzioni si riduce a un nucleo agricolo, deve essere con-
siderato un abbandono parziale anche se la popolazione non è
mai scomparsa da quel territorio. Da questa fase si può poi
passare a un abbandono totale , quando la popolazione abbandona
l'antico nucleo per disperdersi nella campagna. In conclusione
occorre distinguere fra abbandono parziale o totale di centri
con funzioni più evolute e complesse: concetto sul quale
l'esempio italiano per la sua più antica tradizione urbana pro-
pone necessariamente una problematica nuova.

Tecniche di indagine . Data la complessità dell'oggetto della


ricerca è chiaro che su di esso debbano convergere molteplici
tecniche di indagine:
A) metodo storico : si tratta, come è ovvio, di un insieme di
tecniche che si applicano innanzitutto alla lettura e interpreta-
zione dei documenti d'archivio: tecniche indispensabili per rac-
cogliere nella documentazione scritta le testimonianze delle
fasi regressive di singole sedi e per dare un significato concreto

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Geografia storica o storia sociale del popolamento rurale ? 743

alla terminologia storica degli insediamenti.


B) Metodo toponomastico : si tratta di una tecnica di cui
è in parte padrone anche lo storico e il geografo, i quali però
devono procedere, soprattutto in questo caso, in stretta colla-
borazione con il glottologo, sia nello studio del toponimo - spia
di insediamenti abbandonati sia nei tentativi di identificazione,
per affinità toponomastiche, di località abbandonate reperite nella
documentazione storica.

C) Metodo archeologico : si compone di tre fasi: 1) il sopral-


luogo, in cui l'occhio esercitato dell'archeologo può individuare
tracce di insediamenti invisibili per il geografo e lo storico,
oppure, quando siano visibili resti di costruzioni, può individuare
il tipo di insediamento e proporre un primo inquadramento cro-
nologico. A questo proposito sarebbe molto utile che il sopral-
luogo fosse fatto insieme al geografo e agli altri specialisti. 2) Il
saggio di scavo: la tecnica applicabile alla maggioranza degli
insediamenti. Permette di verificare e approfondire le ipotesi
emerse dal sopralluogo anche per quanto riguarda la datazione
e le cause dell'abbandono. Ciò è possibile mediante l'adozione
dello scavo stratigrafico. 3) Lo scavo totale : da farsi solo nei
casi più interessanti e tipici di un sistema o modello di insedia-
mento che si ritenga necessario ricostruire integralmente. Lo
scavo totale permette infatti, oltre ad arricchire di nuovi ele-
menti la spiegazione delle cause e a precisare la datazione, la
ricostruzione dei generi di vita della popolazione (mediante l'e-
same dei reperti e delle strutture delle costruzioni), la ricostru-
zione dell'ampiezza dell'insediamento e infine l'evoluzione storica
della sede dall'origine alla morte, mediante l'impiego costante
dello scavo stratigrafico, che in questo caso può rivelare anche
la presenza di precedenti abbandoni temporanei o parziali.
D) Aerofotointerpretazione : questa tecnica di indagine ha
fatto tali progressi in questi ultimi anni ed ha oggi tali e tante
applicazioni utili nell'ambito della nostra ricerca - dalla analisi
pedologica e del mantello vegetale, alla storia del paesaggio
agrario, al riconoscimento delle tracce di insediamenti abban-
donati altrimenti invisibili - che si ritiene indispensabile l'apporto
dello specialista di questa nuova disciplina. Tale contributo
nella prima fase dovrebbe essere indirizzato alla valutazione del-
l'ut ilità della fotografia aerea in rapporto alla morfologia del
territorio, all'apprendimento di questa tecnica da parte dei ricer-
catori ad essa interessati, all'acquisto e messa a punto degli
strumenti necessari; infine alla lettura e schedatura delle foto-

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grafie, nelle quali siano individuati fenomeni di abbandono di


sedi.

E) Cartografia. La cartografia antica e recente costituisce


una fonte di primaria importanza all'interpretazione della quale
è ovviamente chiamato il geografo. Nelle ricerche finora compiute
non sono stati messi nel dovuto rilievo i vantaggi di questa fonte,
utile non solo per confronti, in carte di diverse epoche, sul
numero e distribuzione delle sedi o per la localizzazione di inse-
diamenti scomparsi, ma anche per tutti quegli elementi che
soprattutto il 25.000 può offrire per l'individuazione di probabili
insediamenti abbandonati, anche quando non siano riportati né
nomi né segni convenzionali indicanti rovine; utile infine anche
per ricostruire la tipologia degli insediamenti mediante Tesarne
delle piante e mappe più antiche (o anche recenti ma interessanti
le sedi che meglio hanno conservato le loro caratteristiche me-
dievali). A questo tipo di documentazione è spesso strettamente
collegata la letteratura corografica antica, la cui interpreta-
zione richiede le stesse cautele necessarie nello studio della
cartografia pre-geodetica e, più in generale, delle fonti storiche.
F) Metodi naturalistici. I metodi naturalistici offrono tecniche
di indagine sperimentali, quali l'analisi pedologica, la palinologia
e l'analisi dei fosfati, sulla quale già richiamava l'attenzione il
Migliorini. Scopo generale di queste tecniche è di ricostruire,
a proposito di un insediamento e del suo territorio, le variazioni
attraverso il tempo del rapporto uomo-ambiente. In particolare,
i diagrammi pollinici, mostrando l'alternarsi di specie coltivate
a specie vegetali spontanee in uno stesso punto, se opportuna-
mente datati mediante reperti archeologici o con altri metodi
(es. il Carbonio 14), possono rivelare con notevole precisione
cronologica, il flusso e riflusso di quelle frange pionieristiche del
popolamento e della colonizzazione agricola, alle quali si è già
accennato. L'analisi dei fosfati è soprattutto utile per rivelare le
zone di occupazione umana in seguito abbandonate, e parzial-
mente la loro topografia, senza però fornire di per sé elementi
di datazione che è invece in grado di procurare la dendrocrono-
logia. Ma in questo campo esistono numerose altre tecniche di
indagine (soprattutto per l'analisi dei reperti) che potranno di
volta in volta essere prese in considerazione.
G) Infine un contributo non trascurabile possono offrire
anche i metodi di indagine dello studioso delle tradizioni popo-
lari, tenendo presente la ricchezza di leggende che hanno per
oggetto città scomparse.

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