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LA RESISTENZA PARTIGIANA

La Resistenza italiana, comunemente chiamata Resistenza, anche detta "Resistenza partigiana" o "secondo
Risorgimento" fu l'insieme dei movimenti politici e militari che in Italia dopo l'armistizio di Cassibile si
opposero al nazifascismo nell'ambito della guerra di liberazione italiana. Alcuni storici hanno evidenziato
più aspetti contemporaneamente presenti all'interno del fenomeno della Resistenza: "guerra patriottica" e
lotta di liberazione da un invasore straniero; insurrezione popolare spontanea; "guerra civile" tra antifascisti
e fascisti, collaborazionisti con i tedeschi; "guerra di classe" con aspettative rivoluzionarie soprattutto da
parte di alcuni gruppi partigiani socialisti e comunisti.

Il movimento della Resistenza – inquadrabile storicamente nel più ampio fenomeno europeo della
resistenza all'occupazione nazifascista – fu caratterizzato in Italia dall'impegno unitario di molteplici e talora
opposti orientamenti politici (comunisti, azionisti, monarchici, socialisti, cattolici, liberali, repubblicani,
anarchici), in maggioranza riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), i cui partiti componenti
avrebbero più tardi costituito insieme i primi governi del dopoguerra.

La Resistenza costituisce il fenomeno storico nel quale vanno individuate le origini stesse della Repubblica
Italiana: l'Assemblea Costituente fu in massima parte composta da esponenti dei partiti che avevano dato
vita al CLN, i quali scrissero la Costituzione fondandola sulla sintesi tra le rispettive tradizioni politiche ed
ispirandola ai princìpi della democrazia e dell'antifascismo.

Il periodo storico in cui il movimento fu attivo, comunemente indicato come "Resistenza", inizia dopo
l'armistizio dell'8 settembre 1943 (il CLN fu fondato a Roma il 9 settembre) e termina nei primi giorni del
maggio 1945, durando quindi venti mesi circa. La scelta di celebrare la fine di quel periodo con il 25 aprile
1945 fa riferimento alla data dell'appello diramato dal CLNAI per l'insurrezione armata della città di Milano,
sede del comando partigiano dell'Alta Italia.

NASCITA DEL MOVIMENTO


Nel corso della seconda guerra mondiale, la Resistenza italiana (chiamata anche Resistenza partigiana o più
semplicemente Resistenza) sorse dall'impegno comune delle ricostituite forze armate del Regno del Sud, di
liberi individui, partiti e movimenti che, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 e la conseguente invasione
dell'Italia da parte della Germania nazista, si opposero - militarmente o anche solo politicamente - agli
occupanti e alla Repubblica Sociale Italiana, fondata da Benito Mussolini sul territorio controllato dalle
truppe germaniche.
Il movimento resistenziale - inquadrabile storicamente nel più ampio fenomeno europeo della resistenza
all'occupazione nazista - fu caratterizzato in Italia dall'impegno unitario di molteplici e talora opposti
orientamenti politici (cattolici, comunisti, liberali, socialisti, azionisti, monarchici, anarchici). I partiti
animatori della Resistenza, riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), avrebbero più tardi
costituito insieme i primi governi del dopoguerra.
La Resistenza costituisce il fenomeno storico nel quale vanno individuate le origini stesse della Repubblica
italiana. Infatti, l'Assemblea costituente, eletta il 2 Giugno 1946 contestualmente allo svolgimento del
referendum istituzionale, fu in massima parte composta da esponenti dei partiti del CLN (PCI, PSIUP, DC)
che, in tale veste, elaborarono la Costituzione, ispirata ai princìpi della democrazia e dell'antifascismo.
Ad essere coinvolti in quella che viene anche chiamata guerra partigiana, si calcola siano stati dalle poche
migliaia nell'autunno del 1943 fino ai circa 300.000 dell'aprile del 1945 gli uomini armati che, specialmente
nelle zone montuose del centro-nord del Paese, svolsero attività di guerriglia e controllo del territorio che
via via veniva liberato dai nazifascisti.
Nell'Italia centro-meridionale il movimento partigiano non ebbe altrettanta crucialità militare, sebbene
nelle aree conquistate dagli Alleati nella loro avanzata verso settentrione si riunissero i principali esponenti
politici che da lontano coordinavano le azioni militari partigiane, insieme alle armate alleate. Infatti
l'esercito anglo-americano aveva sospinto sulla linea Gustav già dal 12 ottobre 1943 le forze tedesche che
risalivano verso il nord.
Con mezza penisola liberata e la restante parte ancora da liberare, con violente tensioni sociali ed
importanti scioperi operai che già nella primavera del 1944 avevano paralizzato le maggiori città industriali
(Milano, Torino e Genova), le popolazioni del nord Italia si preparavano a trascorrere l'inverno più lungo e
più duro, quello del 1945. Sulle montagne della Valsesia, sulle colline delle Langhe e sulle asperità
dell'Appennino Ligure e dell'Appennino Tosco-Emilianole formazioni partigiane erano ormai pronte a
combattere.
Il 19 aprile, mentre gli Alleati dilagavano nella valle del Po, i partigiani su ordine del CLN diedero il via
all'insurrezione generale. Dalle montagne, i partigiani confluirono verso i centri urbani del Nord Italia,
occupando fabbriche, prefetture e caserme. Nelle fabbriche occupate venne dato l'ordine di proteggere i
macchinari dalla distruzione. Le sedi dei quotidiani furono usate per stampare i giornali clandestini dei
partiti che componevano il CLN.
Mentre avveniva ciò, le formazioni fasciste si sbandavano e le truppe tedesche allo sfacelo battevano in
ritirata. Si consumava il disfacimento delle truppe nazifasciste, che davano segni di cedimento già dall'inizio
del 1945 e i cui vertici si preparavano alla resa agli Alleati.
La mattina del 14 aprile, in un'Imola che sembrava deserta, entrò per primo il l'87° Reggimento Fanteria del
Gruppo di Combattimento "Friuli"[1] che, però, fu subito comandato di dirigersi verso Bologna. Poco dopo
giunse la divisione Carpatica polacca, comandata dal Generale Władysław Anders insieme ai soldati del
Gruppo di Combattimento "Legnano"[2], che furono accolti dagli imolesi che, nel frattempo, erano usciti dai
loro rifugi.
Ancora la mattina del 21 aprile, fu il "Friuli" ad entrare per primo[3] a Bologna, passando per la Porta
Maggiore, nel tripudio dei bolognesi. In giornata giunsero anche i polacchi, il "Legnano" e altri gruppi.
Gli americani liberarono Reggio Emilia il 24 aprile e Parma il 25.
Nella stessa data, a Genova, inizia l'insurrezione, che porterà il generale tedesco Gunther Meinhold ad
arrendersi formalmente al CLN ligure il 25 aprile.
Milano e Torino furono liberate il 25 aprile.
Le truppe alleate arrivarono nelle principali città liberate nei giorni seguenti. La liberazione di molte città,
inclusi centri industriali di importanza strategica, prima dell'arrivo degli alleati rese l'avanzata di questi più
rapida e meno onerosa in termini di vite e rifornimenti. In molti casi avvennero drammatici combattimenti
strada per strada; i resti dell'esercito tedesco e gli ultimi irriducibili fascisti della Repubblica Sociale Italiana
sparavano asserragliati in vari edifici o appostati su tetti e campanili su partigiani e civili. Tra essi e le forze
partigiane avvennero talvolta vere e proprie battaglie (come a Firenze nel settembre 1944), ma solitamente
la loro resistenza si ridusse a una disorganizzata guerriglia, per esempio a Parma e a Piacenza.
Il 27 aprile 1945, Mussolini, indossante la divisa di un soldato tedesco, fu catturato a Dongo, in prossimità
del confine con la Svizzera, mentre tentava di espatriare assieme all'amante Claretta Petacci. Riconosciuto
dai partigiani, fu fatto prigioniero e giustiziato il giorno successivo 28 aprile a Giulino di Mezzegra, sul lago
di Como; il suo cadavere venne esposto impiccato a testa in giù, accanto a quelli della stessa Petacci e di
altri gerarchi, in piazzale Loreto a Milano, ove fu lasciato alla disponibilità della folla. In quello stesso luogo
otto mesi prima i nazifascisti avevano esposto, quale monito alla Resistenza italiana, i corpi di quindici
partigiani uccisi.
Il 29 aprile la resistenza italiana ebbe formalmente termine, con la resa incondizionata dell'esercito
tedesco, e i partigiani assunsero pieni poteri civili e militari
Il 30 aprile 1945 il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia ebbe a commentare che
« la fucilazione di Mussolini e dei suoi complici è la conclusione necessaria di una fase storica che lascia il
nostro paese ancora coperto di macerie materiali e morali. »
Il 2 maggio il generale britannico Alexander ordinò la smobilitazione delle forze partigiane, con la consegna
delle armi. L'ordine venne in generale eseguito e le armi in gran parte consegnate, in tempi diversi nei vari
luoghi in dipendenza dell'avanzata dell'esercito alleato, della liberazione progressiva del territorio
nazionale, e del conseguente passaggio di poteri al governo italiano; una parte delle forze partigiane fu
arruolato nella polizia ausiliaria ad hoc costituita.
Si calcola che i caduti per la Resistenza italiana (in combattimento o uccisi a seguito della cattura) siano stati
complessivamente circa 44.700; altri 21.200 rimasero mutilati ed invalidi; tra partigiani e soldati regolari
italiani caddero combattendo almeno in 40.000 (10.260 della sola Divisione Acqui impegnata a Cefalonia e a
Corfù).
Le donne partigiane combattenti furono 35 mila, mentre 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della
donna; 4.653 di loro furono arrestate e torturate. 2.750 furono deportate in Germania, 2.812 fucilate o
impiccate; 1.070 caddero in combattimento; 15 vennero decorate con la medaglia d'oro al valor militare.
Dei circa 40.000 civili deportati, per la maggior parte per motivi politici o razziali, ne torneranno solo 4.000.
Gli ebrei deportati nei lager furono più di 10.000; dei 2.000 deportati dal ghetto di Roma il 16 ottobre '43
tornarono vivi solo in quindici.
Tra i soldati italiani che dopo l'8 settembre decisero di combattere contro i nazifascisti sul territorio
nazionale continuando a portare la divisa morirono in 45.000 (esercito 34.000, marina 9.000 e aviazione
2.000), ma molti dopo l'armistizio parteciparono alla nascita delle prime formazioni partigiane (che spesso
erano comandate da ex ufficiali).
Furono invece 40.000 i soldati che morirono nei lager nazisti, su un totale di circa 650.000 che fu deportato
in Germania e Polonia dopo l'8 settembre e che, per la maggior parte (il 90% dei soldati e il 70% di ufficiali),
rifiutarono le periodiche richieste di entrare nei reparti della RSI in cambio della liberazione.
Si stima che in Italia nel periodo intercorso tra l'8 settembre 1943 e l'aprile 1945 le forze tedesche (sia la
Wehrmacht che le SS) e le forze della Repubblica Sociale Italiana compirono più di 400 stragi (uccisioni con
un minimo di 8 vittime), per un totale di circa 15.000 caduti tra partigiani, simpatizzanti per la resistenza,
ebrei e cittadini comuni.

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