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spezie – ancor più delle erbe, della frutta e della verdura – sono ricchissime
di antiossidanti ed altri speciali composti che recano beneficio alla salute.
Studi condotti sui modelli alimentari in diverse parti del mondo confermano
che tra le popolazioni che consumano spezie si registra il tasso di incidenza
più basso di malattie che mettono a repentaglio la vita, quali patologie
cardiovascolari, tumori, diabete e morbo di Alzheimer.
L’uso terapeutico delle spezie è testimoniato da scritti sanscriti di oltre
3000 a fa e da molti antichi testi medici cinesi, ma sono soprattutto le nuove
scoperto del a scienza che confermano la validità del loro impiego,
mostrando che il loro valore va ben al di là di quello commerciale che da
sempre è stato loro attribuito.
Oggi gli studi epidemiologici evidenziano che le popolazioni che seguono
una dieta ricca di spezie registrano tassi di incidenza inferiori per alcune
patologie, ma anche gli studi di laboratorio confermano sempre più che le
proprietà delle spezie non hanno equivalenti in campo alimentare.
I fitonutrienti presenti nelle spezie sono innanzitutto potentissimi
antiossidanti in grado di combattere i radicali liberi che danneggiano le
cellule e favoriscono malattie e invecchiamento. Hanno evidenti proprietà
antinfiammatorie e antimicrobiche, oltre a svolgere moltissime azioni
specifiche. Per esempio limitano il rilascio di istamina (la sostanza che
scatena i sintomi allergici), regolano i livelli di glicemia e insulina
(prevenendo 0 trattando il diabete), hanno azione calmante, stimolano il
metabolismo, rilassano la muscolatura del tratto intestinale.
Questo libro esamina approfonditamente oltre 50 spezie, considerando le
loro qualità curative e offrendo indicazioni per abbinarle correttamente ai
vari disturbi. Ricchissimo di informazioni gastronomiche, compresa la
preparazione di miscele particolari 0 di ricette, fornisce tutti gli strumenti
per mettere in pratica il principio che te spezie sono altrettanto, se non più,
importanti del cibo che insaporiscono.
Bharat B. Aggarwal, eminente esperto a livello mondiale sull’uso
terapeutico delle spezie culinarie, esamina approfonditamente cinquanta
differenti spezie e le loro qualità curative ed offre alcune «prescrizioni» –
raggruppate per malattia – in modo da abbinare la giusta spezia a un
disturbo specifico. Un ampio corredo di informazioni gastronomiche,
incluse la preparazione di miscele di spezie particolari e decine di ricette,
completa ciascun consiglio medico.
BHARAT B.AGGARWAL professore presso il dipartimento
di terapie sperimentali dell’MD Anderson Cancer
Center di Houston, ha condotto ricerche decisive
per quanto concerne l’impiego terapeutico delle
spezie. È stato intervistato dai principali giornali ed
è apparso in numerose trasmissioni televisive negli
Stati Uniti. Ha tenuto oltre trecento conferenze in
trenta diversi paesi.
© 2014 red!
ISBN 978-88-573-0565-3
Traduzione di Bruna Bracco
Titolo originale: Healing spices
First published by Sterling Publishing Co., New York, 2011
Introduzione
LE SPEZIE
LE SPEZIE E LA STORIA
La maggior parte delle spezie intere (ma non tutte) trae beneficio da una
leggera tostatura prima di procedere alla macinatura, ed è importante farlo
correttamente. L’obiettivo è farle colorire senza bruciarle. Se siete al vostro
primo tentativo, preparatevi a buttare via almeno un paio di volte le spezie.
Per iniziare, mettete un tegame dal fondo spesso (preferìbilmente di ghisa)
sul fornello a fuoco medio per circa 2 minuti finché non sarà perfettamente
caldo, quindi aggiungete le spezie. Afferrate il manico (avendo cura di
usare un guanto da forno o una presina poiché il manico si arroventa) e
scuotete il tegame facendo saltare le spezie; nel frattempo. mescolatele
continuamente con un cucchiaio di legno dì modo che non brucino. Durante
il primo minuto o due. mentre le spezie perdono l’umidità, non accade
nulla. Poi, man mano che la tostatura procede, inizieranno a fumare e ne
percepirete la fragranza quando cominceranno a rilasciare il loro aroma.
Continuate a tostarle finché non assumono un colore bruno. Se si
scuriscono troppo rapidamente, abbassate il fuoco. Trasferite poi le spezie
su un piatto pulito e lasciatele raffreddare prima di macinarle.
In genere, le spezie vanno tostate singolarmente, anche se si prepara una
miscela, poiché non prendono colore alla stessa velocità.
L’intero processo può richiedere da poco più di 2 a 10 minuti. L’elemento
tempo dipende dal tipo di spezia che si sta tostando, dalla quantità e dalle
dimensioni della padella. Quanto più il diametro è grande, più velocemente
si doreranno le spezie.
Avrete modo di fare ampia pratica di tostatura quando imparerete a
preparare le salutari miscele descritte nella terza parte del libro.
Le spezie sono belle da vedere, piacevoli da annusare e memorabili da
gustare. I capitoli dedicati alle singole spezie nella seconda parte del libro vi
consentiranno di esplorarle ad una ad una e di trarne non solo sapori squisiti
ma anche grande beneficio per la salute.
Parte seconda
AGLIO A VOLONTÀ
La cucina francese non è rinomata per il cibo agliato, tuttavia vanta tre
prestigiose salse all’aglio: l’aioli, una maionese all’aglio usata per
accompagnare pesce e insaporire verdure lessate, il pistou, che rappresenta
la versione francese del pesto italiano e va ad insaporire l’omonima
minestra di verdure, e la salsa rouille, una sorta di maionese aromatizzata
all’aglio, peperoncino rosso e zafferano che viene adoperata per
accompagnare la bouillabaisse, il bourride ed altre zuppe di pesce. La
persillade, infine, è una salsa all’aglio di ispirazione francese utilizzata però
nella cucina della Louisiana.
I greci amano in particolare la skordalia, una crema all’aglio preparata con
mandorle, olio di oliva e pane ammollato nel latte, che viene servita come
accompagnamento al baccalà o come salsina per pinzimonio. In Serbia la
gente mangia l’aglio come stuzzichino insieme allo slivovitz, un brandy di
prugne particolarmente alcolico.
L’aglio è anche un ingrediente fondamentale dell’ hummus, un popolare
contorno mediorientale che include anche ceci, olio di oliva e pinoli.
Compare altresì nella ricetta dell’harissa, un condimento tunisino
piccantissimo, e nella chermoula, una marinata per carne usata nella cucina
marocchina. Il cacik turco è una salsa all’aglio a base di yogurt e olio di
oliva e viene servito come contorno.
Anche la cucina tailandese è ricca di aglio: praticamente nessun piatto
salato ne è esente.
ALLA SCOPERTA DELL’AGLIO
L’AGLIO IN CUCINA
UN ANTIDOLORIFICO NATURALE
L’acqua omam viene utilizzata come rimedio casalingo per curare una
vasta gamma di disturbi gastrointestinali: allevia i bruciori di stomaco,
riduce l’eruttazione e il gonfiore, diminuisce la flatulenza e blocca la
diarrea. Nell’ambito di un esperimento, i ricercatori hanno studiato quattro
diverse soluzioni di acqua omam (semi interi macerati in acqua fredda, un
infuso caldo ottenuto da semi interi, un estratto di semi ridotti in polvere e
macerati in acqua fredda e semi tostati macerati in acqua bollente) per
capire quale risultasse più efficace e perché.
Quando somministrarono ognuno dei quattro preparati ad animali di
laboratorio, scoprirono che tutti contribuivano a risanare il tratto digerente,
probabilmente grazie alla presenza della colina, un nutriente essenziale che
favorisce l’invio di segnali di guarigione da parte del cervello
all’organismo. Tuttavia, furono i semi tostati ad esercitare l’effetto
terapeutico maggiore sulla salute dell’apparato gastrointestinale. Quando gli
scienziati analizzarono i semi, rilevarono la presenza di acetilcolina, un
composto chimico che controlla la muscolatura involontaria come quella
che riveste le pareti intestinali. Altri ricercatori asserirono che la presenza di
acetilcolina può spiegare il motivo per cui l’ajowan calma con tanta
efficacia i disturbi del tratto digerente.
UN RIMEDIO POLIVALENTE
L’ajowan, anche noto come erba del vescovo, è sconosciuto alla maggior
parte delle dispense americane ma non agli armadietti dei medicinali, in
quanto uno o più dei suoi principi attivi vengono utilizzati in farmaci e
pastiglie per la tosse. Il timololo, che ne costituisce l’olio essenziale, è
presente anche nei dentifrici e nei collutori. I componenti di tale spezia
vengono altresì impiegati per preservare la durata dei cibi confezionati e dei
profumi. L’ajowan è una spezia molto amata non solo nella cucina indiana,
ma anche in quella iraniana, pakistana e del Nordafrica. Ha un’affinità
naturale con gli alimenti ricchi di amidi e viene adoperato per vivacizzare il
sapore di pietanze contenenti radici e legumi. In India, rappresenta un
ingrediente essenziale nei piatti a base di lenticchie, sia per il sapore che per
la caratteristica di favorire la digestione e prevenire la flatulenza.
Quando si pranza in un ristorante indiano, è possibile trovare l’ajowan in
un antipasto chiamato pakora (frittelle di verdure) oppure negli involtini
ripieni detti samosa. È frequente nei prodotti da forno indiani e lo si ritrova
anche in una focaccina sottile detta pappadam, nonché nella paratha, una
sorta di pane fritto molto sottile. In Afghanistan, l’ajowan viene impiegato
nella preparazione di pane e impasti per prodotti da forno, ed è un
ingrediente fondamentale del berberè, una miscela di spezie etiope
adoperata per insaporire pietanze a base di verdura e carni in umido.
L’ajowan è un ingrediente di molti profumi.
L’AJOWAN IN CUCINA
Chi avrebbe mai pensato che una piccola foglia essiccata potesse giovare
tanto alla salute! È dell’alloro che stiamo parlando, in grado di recare una
protezione antiossidante all’organismo con la stessa facilità con cui infonde
profumo al pesce al vapore.
Mentre si cucina, l’aroma dell’alloro si intensifica man mano che libera i
suoi oli volatili, i composti che conferiscono alla pianta la sua caratteristica
fragranza e che figurano inoltre tra i più potenti antiossidanti esistenti.
Di fatto, quando alcuni ricercatori coreani testarono centoventi spezie,
erbe e ortaggi per stabilirne il potere antiossidante – cioè la capacità di
ridurre l’ossidazione, ossia la «ruggine» interna che può erodere ogni
cellula del corpo, nonché il prezioso DNA all’interno delle cellule –,
scoprirono che l’alloro era il primo della lista. Era più potente della
vitamina C, un antiossidante naturale, e più potente del butilidrossianisolo
(BHA) e del butilidrossitoluene (BHT), antiossidanti di sintesi così efficaci da
venire utilizzati sistematicamente nella conservazione degli alimenti. Era
insomma all’altezza di parecchi celebri antiossidanti, come il resveratrolo
presente nel vino rosso e l’epigallocatechina gallato (EGCG) presente nel tè
verde.
Sono stati isolati più di ottanta composti attivi nell’alloro, ma gli
antiossidanti specifici che la pianta stessa utilizza per tenere a bada le
malattie sono l’olio volatile noto come cineolo (presente anche
nell’eucalipto) e una classe di composti chiamati sesquiterpeni, sostanze
che potrebbero essere particolarmente efficaci contro una malattia che ha
ormai assunto proporzioni epidemiche e sta flagellando oltre 20 milioni di
americani: il diabete di tipo 2, un disturbo caratterizzato da un eccesso di
zuccheri (glucosio) nel sangue.
L’unico vero alloro, nonché quello utilizzato nella maggior parte degli
studi scientifici, proviene dalla pianta del Laurus nobilis. Tuttavia, in varie
parti del mondo, il termine alloro viene usato per descrivere foglie di
varietà botaniche differenti che nulla hanno a che fare con tale spezia. Se vi
imbattete in un alloro californiano, messicano, indiano, indonesiano o delle
Indie Occidentali, sappiate che non è vero alloro. Si tratta infatti di specie
completamente diverse: l’alloro indiano, ad esempio, è la foglia essiccata
della medesima pianta che produce la cannella, mentre l’alloro delle Indie
Occidentali viene da un albero della famiglia del pimento. Inoltre, le foglie
di tali piante presentano un aroma molto più marcato rispetto all’alloro.
L’alloro viene raramente venduto fresco a scopo culinario poiché il
profumo risulta più intenso e il sapore meno amaro se sottoposto a
essiccazione. Inoltre, le foglie essiccate infondono più aroma ai cibi.
La maggior parte delle foglie di alloro prodotte e vendute per
l’esportazione proviene dalla Turchia e dalla Grecia. Sul mercato se ne
trovano due qualità, ma solo una (che solitamente porta l’iscrizione
«selezionato a mano») può essere considerata adatta in quanto non contiene
elementi estranei.
Cercate sempre confezioni che presentano foglie integre, omogenee per
dimensioni e colore, e prive di picciolo o pezzetti di corteccia. Le foglie
devono essere pulite e verdi. Quanto più il colore è scuro e la foglia grande,
meglio è; l’ingiallimento è segno che sono state esposte alla luce per troppo
tempo.
L’alloro può contribuire a prevenire e/o curare:
L’ALLORO IN CUCINA
• Aggiungete una foglia o due all’acqua quando fate bollire carote, patate o
tagliatelle.
• Unite dell’alloro ai sughi di pomodoro, anche se state semplicemente
riscaldando una passata già pronta.
• Cucinate a vapore i gamberi usando della birra cui avrete aggiunto
qualche foglia di alloro.
• Date più profumo al riso inserendo una o due foglie d’alloro nel barattolo
del riso.
• Aggiungete una foglia di alloro alla carne o al pesce cucinati al cartoccio
o alla griglia.
• Preparate un court bouillon alla francese per il pesce lessato combinando
due parti d’acqua e una di vino bianco, carote a pezzi, cipolla, un pizzico di
timo e una foglia di alloro. Coprite e fate bollire a fuoco lento per un’ora
prima di immergervi il pesce. Assicuratevi che il liquido sia sufficiente a
ricoprire completamente il pesce.
Amchur. Mango, ma con un pizzico di salute in più
L’AMCHUR IN CUCINA
Gli antichi romani erano famosi per la loro golosità. Un banchetto tipico
poteva includere carne di cammello, giraffa, cinghiale, ostriche, astici,
scorfani e uccelletti. Dopodiché, per aiutare a digerire il tutto, mangiavano
sempre una fetta di torta cosparsa di semi d’anice detta mustaceus. Oggi, i
discendenti dei romani (nonché altri popoli europei) ottengono il medesimo
effetto – dopo pasti ben più modesti – masticando semi d’anice tostati.
L’anice è noto fin dall’antichità sia come aromatizzante che come
medicina. Nel XIV secolo la domanda commerciale era così alta che il re
Edoardo I d’Inghilterra intravide un’opportunità per aumentare le entrate e
la dichiarò una droga tassabile. Il denaro fu poi impiegato per pagare le
riparazioni e la manutenzione del London Bridge.
A parità di peso, l’anice è tredici volte più dolce dello zucchero, il che lo
rende un ottimo candidato per il dessert, sia esso costituito da una manciata
di semi tostati, una torta o un digestivo dopo pasto. Quasi tutti i paesi
europei sembrano avere ognuno un proprio liquore d’anice: oltre al pastis, i
francesi vantano anche l’anisette e il pernod; in Italia i liquori aromatizzati
all’anice sono lo Strega e la Sambuca; in Spagna si beve l’ojen, in Egitto il
kibib, in America Latina l’aguardiente e nel Medio Oriente l’arrak.
Ovviamente esistono anche modi non alcolici di concludere il pasto.
Portoghesi, tedeschi e scandinavi preparano tutti torte e pasticcini speciali a
base di anice, mentre i biscotti all’anice sono una tradizione natalizia sia in
Germania che in Italia.
L’anice è diffuso nella cucina asiatica e in particolare in quella cinese, ma
viene adoperato maggiormente in preparazioni salate anziché dolci. Anche
gli scandinavi lo prediligono nei piatti salati, e lo mettono nel pane di segale
nonché in una gran varietà di carni lavorate. In India, i semi di finocchio
(un’altra spezia dal sapore che ricorda la liquirizia) sono favoriti rispetto
all’anice.
Il gusto dell’anice è riconoscibile anche in sciroppi e pastiglie per la tosse
ove viene utilizzato, ancora una volta, sia come aromatizzante che come
principio medicinale.
Negli Stati Uniti la maggior parte dei semi di anice, di forma ovale e di un
colore che va dal giallo al verde, viene importata dalla Turchia e venduta
intera, spezzata o macinata. In ogni caso, i semi sono così piccoli da non
richiedere alcuna macinatura, e interi è il modo migliore di utilizzarli. Di
fatto, l’aroma dei semi di anice comincia a perdere intensità piuttosto
presto; pertanto, qualora vengano acquistati macinati, è bene utilizzarli nel
giro di pochi mesi (se avete in casa dell’anice macinato rimasto in dispensa
per parecchio tempo, vi consiglio di gettarlo via). I semi interi si
mantengono per circa tre anni in un contenitore ermetico riposto al buio.
La pianta dell’anice, una pianta annuale e dai fiori bianchi, cresce in quasi
tutte le zone a clima caldo, tra cui la Grecia, l’Africa del Nord, la Spagna,
l’Italia, Malta, l’America Centrale e la Turchia. State attenti quando vedete
dell’anice fresco in vendita: molto spesso ì semi di finocchio freschi
vengono erroneamente etichettati come anice.
L’ANICE IN CUCINA
L’anice stellato è una spezia che deriva dal frutto di un albero sempreverde
originario della Cina, e non sarebbe esagerato affermare che è uno dei più
importanti ingredienti – se non il principale – della cucina cinese, la firma
aromatica che contraddistingue quasi tutte le cucine regionali della Cina.
Ad esempio, è l’aroma che conferisce all’anatra alla pechinese e alle costine
di maiale cinesi quel gusto peculiare che i cuochi americani trovano tanto
difficile da imitare ai propri fornelli.
Lo chef della tradizione cinese avvolge l’anice ; stellato in un sacchetto di
mussolina e lo immerge nel «brodo maestro», un brodo che continua a
bollire e ad essere rimescolato man mano che viene usato e vengono
aggiunti nuovi ingredienti. Di fatto, questo brodo può rimanere in uso per
mesi o persino anni; non per nulla, uno dei suoi nomi tradizionali è «salsa
dei mille anni».
Molte famiglie cinesi hanno una ricetta propria per tale brodo e
considerano gli ingredienti un segreto di famiglia da custodire gelosamente.
L’anice stellato, insieme alla cannella, è altresì un ingrediente essenziale
del famoso metodo di brasatura della scuola di Shanghai detto «cottura
rossa», nonché un elemento fondamentale della celeberrima polvere Cinque
spezie cinese ed altre miscele di spezie di ispirazione asiatica.
L’anice stellato viene adoperato con quasi altrettanta frequenza nelle
cucine del Vietnam e della Malesia, nelle quali, oltre a figurare nelle
minestre, nelle marinate e negli stufati, viene macinato e utilizzato insieme
ad altre spezie per insaporire arrosti e carni alla griglia. È altresì un
ingrediente importante della minestra di manzo vietnamita chiamata pho,
mentre gli abitanti della Malesia lo adoperano per conferire dolcezza ai
curry.
In Thailandia l’anice stellato viene combinato ad altre spezie nella
preparazione del tè.
Tale spezia è altresì popolare in India, dove viene usata nella cucina
Kashmiri.
Si è dovuto attendere il XVII secolo perché l’anice stellato venisse
introdotto in Europa, ove oggi è più diffuso come spezia per aromatizzare
prodotti di pasticceria, marmellate, sciroppi e digestivi.
L’anice stellato è dolce grazie alla notevole quantità di anetolo, che risulta
essere tredici volte più dolce dello zucchero; inoltre, ha un sapore intenso,
liquiriziato con un accenno di cannella e chiodo di garofano, e dunque ne
basta poco per cucinare. Un frutto intero o un pizzico di spezia macinata è
sufficiente per aromatizzare una sauté di verdure. Se se ne adopera troppo,
il piatto rischia di diventare amaro.
Uno dei segreti della cucina cinese è il modo in cui gli chef utilizzano
l’anice stellato quando preparano le carni, ossia lo lasciano brasare
lentamente in salsa di soia e cipolla, il che sviluppa zolfo e composti
aromatici fenolici che ne intensificano il sapore.
Il frutto a stella non è commestibile di per sé, ad eccezione della forma
macinata, ma molti cuochi lo recuperano dalla pentola per presentarlo come
decorazione sul vassoio o nel piatto. Viceversa, i semi sono commestibili e
hanno un interessante aroma di noce. Quando macinate l’anice stellato,
utilizzate sia i carpelli che i semi.
Ecco alcune idee per arricchire la dieta di anice stellato:
LA MINACCIA DELL’INFLUENZA
L’odore acre della collana di assafetida che aveva portato per tutta la
durata dell’epidemia di influenza spagnola era ancora presente nella
memoria di un otorinolaringoiatra di Filadelfia quando, nel 1975, propose
una nuova soluzione per aiutare la gente a smettere di fumare: alterando
cioè le sigarette con il sapore dell’assafetida.
Egli basò la sua ipotesi sul metodo del riflesso condizionato di Pavlov: se
le sigarette avessero avuto un sapore di assafetida anziché di tabacco, la
gente avrebbe iniziato a detestare l’aroma delle sigarette. E così fu.
Per tale esperimento il medico reclutò 21 fumatori tra i 23 e i 60 anni di
età che avevano fumato abitualmente circa un pacchetto di sigarette al
giorno per una media di 36 anni. Le istruzioni erano semplici: un istante
prima di accendere la sigaretta, dovevano mettere sotto la lingua una
pastiglia di assafetida e tenerla finché fumavano. Ogni soggetto ebbe in
dotazione 100 pastiglie, sufficienti a coprire cinque pacchetti di sigarette.
Nell’arco di una settimana, l’82% dei fumatori aveva smesso. Il solo atto di
portare una sigaretta alla bocca «suscita un senso di nausea e (il paziente)
non accende nemmeno la sigaretta», spiegò il dottor Albert P. Seltzer sul
Journal of the National Medical Association.
Quattro anni più tardi, tutti gli ex fumatori non avevano ancora
ricominciato a fumare.
L’ASSAFETIDA IN CUCINA
I ricercatori indiani hanno studiato alcuni animali in cui era stato indotto
un infarto, riscontrando così che l’estratto di basilico ne proteggeva il cuore
«migliorando il meccanismo di difesa antiossidante dell’organismo e
diminuendo la produzione di radicali liberi». Il basilico, conclusero gli
esperti in un articolo comparso su una rivista americana, «può avere un
potenziale valore terapeutico nel trattamento dell’infarto». Altri studi di
laboratorio dimostrano che l’estratto di basilico è in grado di ridurre i livelli
ematici di sostanze lipidiche dannose per il cuore, ivi inclusi i valori di
colesterolo totale, le lipoproteine a bassa densità (colesterolo LDL) e i
trigliceridi.
UN MONDO DI CURE
Tra gli altri disturbi che il basilico può contribuire a prevenire o curare
citiamo quanto segue.
Acne. Il basilico è in grado di uccidere i batteri che provocano l’acne,
secondo quanto riferito in uno studio pubblicato su riviste specialistiche. I
ricercatori giunsero alla seguente conclusione: «I risultati indicano la
possibilità di utilizzare il basilico tailandese, il basilico comune e il basilico
sacro in opportune formule per il trattamento dell’acne e la cura della
pelle».
Tumori. Studi di laboratorio condotti in India hanno evidenziato che
l’attività antiossidante del basilico «può potenzialmente bloccare o
sopprimere» tumori a carico del fegato, dello stomaco e dei polmoni.
Diabete. Uno studio pubblicato sulla rivista Journal of
Ethnopharmacology riferisce che l’estratto di foglie di basilico «ha prodotto
un calo significativo dei livelli di glicemia» in animali da laboratorio affetti
o meno da diabete.
Disturbi oculari. Secondo uno i colliri contenenti basilico e numerosi altri
composti naturali hanno contribuito ad alleviare i sintomi di disturbi oculari
in oltre il 90% degli individui che utilizzavano farmaci da banco. Le gocce
sono state impiegate in condizioni di secchezza oculare, congiuntivite
(occhi arrossati), dacriocistite (un’infezione della palpebra inferiore) e per
favorire il processo di recupero da interventi di cataratta. Il prodotto testato
è Ophthcare, una formula ayurvedica.
Dolori. Annusando del basilico fresco o essiccato, soprattutto della varietà
nota come Ocimum basilicum – il basilico comune –, si nota un leggero
sentore di chiodi di garofano. La fonte di tale aroma è l’eugenolo, il
medesimo composto che fa dell’olio di chiodi di garofano un efficace
antidolorifico. L’eugenolo agisce inibendo la cicloossigenasi (COX), ossia
l’enzima responsabile del dolore che viene normalmente inibito da farmaci
antin-fiammatori non steroidei (FANS) come l’aspirina, l’ibuprofene e il
naprossene.
Rimarginazione delle ferite. Alcuni ricercatori indiani hanno riscontrato
che l’estratto di foglie di basilico accelera il processo di rimarginazione
delle ferite. Sulla rivista Indian Journal of Experìmental Biology hanno
concluso che il basilico «potrebbe rappresentare un agente terapeutico
quanto mai economico per il trattamento delle ferite».
Gotta. Da ricerche condotte su animali in India è emerso che il basilico
riduce i livelli di acido urico, ovvero la sostanza responsabile del dolore e
dell’infiammazione nei casi di gotta.
Ulcere. Studi in vivo condotti su animali hanno dimostrato che il basilico
sacro inibisce la formazione delle ulcere riconducibili a stress e
all’assunzione di antinfiammatori non steroidei.
Malaria. Un preparato ayurvedico contenente foglie di basilico sacro
fresco e pepe nero ha contribuito ad alleviare i sintomi della malaria.
Sebbene il basilico sia uno dei condimenti più accreditati e versatili, non si
affermò nelle cucine degli americani fino agli anni Settanta, quando la
popolazione iniziò a frequentare abitualmente i ristoranti italiani e scoprì
che il sugo della pasta non doveva essere necessariamente rosso.
Oggigiorno il pesto, preparato con basilico comune (il tipo più
frequentemente usato in America), olio di oliva, pinoli e aglio, è diffuso
quanto il sugo rosso alla marinara.
Molte persone pensano che il basilico sia di origine italiana in quanto
viene sovente associato al pomodoro e cresce copioso lungo le coste del
Mediterraneo, ma di fatto è originario dell’India, dell’Asia Sud-Orientale e
del Nordafrica.
In passato la reputazione del basilico ebbe alti e bassi. Per gli italiani era il
simbolo dell’amore: un vaso di basilico sul davanzale di una ragazza era
segno che il corteggiamento da parte di uno spasimante era cosa gradita. Se
un uomo rumeno accettava un rametto di basilico da una donna, venivano
considerati fidanzati. Viceversa, gli antichi greci guardavano al basilico con
sospetto, forse per la sua assonanza con la parola basilisco, una creatura
mitologica mortale.
In ambito gastronomico, storicamente il basilico era per lo più utilizzato
nella regione italiana della Liguria, che include Genova, dove fu inventato il
pesto. Non molto distante da lì, nella regione della Provenza francese, i
cuochi erano soliti preparare un sugo al basilico molto simile denominato
pistou, che include aglio e talvolta pomodoro ma mai pinoli, e viene usato
per condire le minestre anziché la pasta. Ai giorni nostri, in Francia i)
basilico è altresì entrato a far parte di pàté e terrine di fegato, in quanto gli
oli volatili ne equilibrano la pienezza del gusto. Inoltre, nel bacino del
Mediterraneo, il basilico è privilegiato nelle preparazioni di pesce e salse
per il pesce.
Il basilico sacro e quello tailandese vengono comunemente adoperati nella
cucina orientale. È un aroma diffuso nelle cucine dell’Asia Sud-Orientale,
soprattutto del Vietnam, dove viene impiegato in quasi tutti i tipi di piatti:
minestre, insalate, sauté, carni in umido, curry e condimenti vari. I
giapponesi coltivano una sorta di basilico detto shiso, utilizzato nei rotolini
di sushi e nelle insalate, nonché fritto in pastella nei tempura.
Il basilico è una pianta riverita in India, ove veniva tradizionalmente
piantato attorno ai templi e impiegato nelle cerimonie religiose; le radici
venivano persino usate per intagliare i grani dei rosari, da cui il nome di
basilico sacro o tulsi. In alcuni sposalizi, i genitori portano all’altare la
sposa e una foglia di basilico in dono. In inverno gli indiani bevono un tè al
basilico chiamato tulsi ki chah, preparato con foglie di basilico sacro,
zenzero sminuzzato e miele.
I semi del basilico diventano gelatinosi quando vengono mescolati
all’acqua, caratteristica che assicura vere e proprie avventure culinarie. In
Thailandia, infatti, i semi di basilico vengono adoperati per preparare un
diffuso dessert a base di latte chiamato mang nak lam ka-ti, mentre in Iran e
Afghanistan, sono impiegati in un preparato simile al sorbetto.
IL BASILICO IN CUCINA
Quando si seppe la notizia, oltre una decina di anni fa, sembrava troppo
bello per essere vero: il cioccolato, il dolce sinonimo di decadenza
culinaria, era in effetti qualcosa di salutare.
Uno alla volta, gli studi scientifici hanno cominciato a comparire sulle
riviste mediche, studi così vivacemente provocatori da fare notizia in tutto il
mondo. «Il cioccolato: un cibo salutare?», meditava il New York Times nel
2000. «Il cioccolato fa bene», annunciava da Londra il Sunday Minor nel
2003. «Cioccolato: la sesta principale industria alimentare», dichiarava un
settimanale di Washington D.C. nel 2008. Un anno dopo, una rivista
specializzata deU’industria dolciaria pubblicava un articolo di copertina
sulle tavolette di cioccolato che andavano a ruba sugli scaffali dei
supermercati di tutta l’America. In effetti, i titoli dei giornali che
inneggiavano al cioccolato quale «nuovo cibo salutare» eccitarono il cuore
e la mente (e le papille gustative) di molti americani.
Ciò nonostante, non prendete troppo sul serio questi titoli. Non è il
cioccolato in sé a fare bene alla salute bensì il cacao, cioè la spezia in
polvere che dà al cioccolato il sapore di, insomma, cioccolato. Tutta la
salutare bontà di una tavoletta di cioccolato si concentra nel cacao. La verità
è che un quadretto di cioccolato è salutare solo nella misura in cui contiene
cacao.
Il cacao, la spezia, è una delle fonti più ricche di flavanoli, composti
vegetali che contribuiscono a proteggere il cuore in molti modi. Studio
dopo studio, la scienza ha dimostrato che i flavanoli del cacao contrastano i
radicali liberi che danneggiano le cellule, preservano l’integrità delle
membrane cellulari, proteggono il DNA, prevengono la formazione di
placche ateromatose, migliorano la circolazione nel distretto cardiaco,
abbassano la pressione e prevengono la formazione di coaguli che possono
provocare infarti o ictus.
UN CUORE IN FORMA
Decine di studi dimostrano che gli individui che consumano cacao e il suo
ricco contenuto di flavanoli – bevuto stemperandone la polvere in acqua o
mangiato come cioccolato fondente (con un contenuto di cacao stabilito
pari al 74%) – sono più in forma dal punto di vista cardiovascolare rispetto
a quanti non ne fanno uso. Di seguito troverete un campione
rappresentativo dei quasi 200 studi condotti sul cacao nell’ultimo decennio.
Riduzione del colesterolo. In uno studio che coinvolgeva 160 soggetti, i
ricercatori giapponesi diedero da bere del cacao con un elevato contenuto di
flavanoli e del cacao con un basso contenuto di flavanoli; gli individui che
consumarono il primo registrarono un calo sostanziale del colesterolo LDL
(il colesterolo «cattivo») e un aumento del colesterolo HDL (quello
«buono»).
Riduzione dell’ossidazione delle LDL. La placca che va ad ostruire le
arterie si forma solo quando le lipoproteine a bassa densità (LDL) vanno
incontro a ossidazione produca rido una sostanza vischiosa che aderisce alle
pareti arteriose. I ricercatori dell’Università di Stato della Pennsylvania
hanno scoperto che l’aggiunta di cioccolato alla dieta tipica americana
ridurrebbe l’ossidazione delle LDL dell’8%.
Abbassamento della pressione. Analizzando dieci studi sul cacao ad alto
contenuto di flavanoli e ipertensione, condotti su 300 soggetti, un’équipe di
scienziati tedeschi ha notato che il consumo regolare di cacao aveva la
caratteristica di abbassare i valori pressori con una media di 4,5 mm/Hg per
la sistolica (valore della massima) e 2,5 mm/Hg per la diastolica (valore
della minima).
Miglioramento della circolazione. Nell’ambito di uno studio che
coinvolse 39 uomini in perfetta salute, un’équipe di ricercatori giapponesi
suddivise i partecipanti in due gruppi: uno dei due consumò cioccolato
fondente ricco di flavanoli, l’altro cioccolato bianco privo di tali composti.
Dopo due settimane, i soggetti che avevano mangiato cioccolato fondente
vennero sottoposti a un test di misurazione del flusso ematico arterioso e
presentarono un miglioramento del 22%. Sull’International Journal of
Cardiology i ricercatori scrissero che «l’apporto di cioccolato fondente ha
migliorato significativamente la circolazione coronarica in soggetti adulti
sani».
Fluidificazione del sangue. I medici del Centro di Ricerca per la
Trombosi della Johns Hopkins University hanno somministrato del
cioccolato fondente a 28 soggetti sani per sette giorni monitorandone i
livelli di attività piastrinica (la tendenza del sangue a formare coaguli che
ostruiscono le arterie). In base ai test, l’attività piastrinica era calata del
27%. Quanti avevano mangiato cioccolato fondente avevano anche
registrato ima riduzione delle lipoproteine a bassa densità (LDL) del 6% e un
aumento delle lipoproteine ad alta densità (HDL) del 9%.
Aumento dei livelli di ossido di azoto. Alcuni ricercatori tedeschi diedero
da mangiare a 44 uomini e donne di età compresa tra i 56 e i 73 anni piccole
quantità di cioccolato fondente e osservarono il costante aumento di un
bioindicatore dei livelli di ossido di azoto. In capo a 18 settimane, la
percentuale di soggetti partecipanti allo studio che soffriva di pressione alta
si ridusse dall’86% al 68%.
Arterie più flessibili. La malattia cardiovascolare in passato veniva
definita «indurimento delle arterie», e si sa che le arterie rigide sono
sinonimo di arterie malate. Alcuni ricercatori greci studiarono quasi 200
persone e osservarono una positiva correlazione tra aumentato apporto di
cacao e «scarsa rigidità delle arterie». I risultati furono pubblicati sulla
rivista American Journal of Cardiology.
Riduzione della proteina C-reattiva (PCR). Questo bioindicatore
dell’infiammazione è stato correlato alle patologie cardiovascolari. Quando
alcuni ricercatori italiani analizzarono i dati clinici e nutrizionali relativi a
un anno di circa 5000 persone, scoprirono che quanti consumavano
regolarmente cioccolato fondente presentavano livelli di PCR inferiori. Sul
Journal of Nutrition scrissero che «il consumo regolare di piccole quantità
di cioccolato fondente può ridurre l’infiammazione».
Riduzione del rischio di patologie cardiovascolari. La somma di tutti i
benefici finora contemplati offre un risultato davvero molto positivo.
Quando alcuni ricercatori olandesi analizzarono una mole di dati clinici e
nutrizionali pari a un periodo di 15 anni, relativi a 470 persone dai 65 anni
in su, notarono che quanti seguivano una dieta ricca di cacao avevano la
metà delle probabilità di morire per malattie cardiovascolari rispetto alle
persone che consumavano poco cacao o se ne astenevano.
Inoltre, quando un’équipe di ricercatori della Harvard School of Public
Health esaminò 137 studi sulla correlazione tra flavanoli e patologie
cardiovascolari, risultò che l’apporto più elevato di flavanoli derivati dal
cioccolato era correlato a un rischio di cardiopatia coronarica inferiore del
19% rispetto all’apporto più basso.
Sopravvivenza post-infarto. Il cioccolato fornisce protezione anche dopo
un infarto. Analizzando i dati nutrizionali dei partecipanti allo Stockholm
Heart Epidemiology Program relativi a un periodo di otto anni, un’équipe
di ricercatori svedesi individuò uno schema interessante: dei 1169 soggetti
coinvolti nello studio che avevano subito un infarto, quelli che avevano
consumato cioccolato almeno due volte a settimana prima dell’infarto
presentavano una percentuale di probabilità molto bassa (solo del 27%) di
morire entro gli otto anni successivi rispetto a quanti non avevano mai
mangiato cioccolato. «Per contrasto», scrissero «non vi era alcuna
correlazione tra tasso di mortalità per eventi cardiovascolari e apporto di
dolci di altro tipo».
Riduzione del rischio di ictus. Alcuni ricercatori canadesi hanno
analizzato diversi studi e riscontrato che nei soggetti che consumavano
cioccolato una volta alla settimana la percentuale di probabilità di incorrere
in un ictus si era abbassata del 22% rispetto agli individui che non ne
mangiavano; inoltre, osservarono che il consumo regolare di cioccolato
riduceva del 46% anche il rischio di morte dopo un episodio di ictus.
Una circolazione sanguigna buona non è solo cruciale per la salute del
cuore, ma è anche indispensabile per un cervello sano.
Nutrimento della materia grigia. A 16 soggetti in salute fu chiesto di
bere una bevanda al cacao ricca di flavanoli e successivamente di eseguire
un test mentale mentre i ricercatori ne monitoravano l’attività cerebrale
mediante risonanza magnetica funzionale. (fMRI). Gli studiosi osservarono
un marcato aumento del flusso sanguigno e, sulla rivista Journal of
Cardiovascular Pharmacology, riferirono quanto segue: «Il cacao, ricco di
flavanoli, è in grado di aumentare l’afflusso di sangue alla materia grigia
cerebrale, suggerendo pertanto una potenziale collocazione dei flavanoli nel
trattamento della demenza e degli ictus».
«La prospettiva di incrementare l’irrorazione cerebrale (afflusso di sangue
al cervello) mediante i flavanoli del cacao è estremamente promettente»,
riferirono altri ricercatori della Facoltà di Medicina di Harvard in un altro
articolo scientifico pubblicato sullo stesso numero della rivista.
Più energia mentale. Nell’ambito di uno studio, i flavanoli del cacao
furono somministrati sotto forma di bevanda a 30 individui prima di
eseguire sei test mentali della durata di 10 minuti l’uno, da svolgersi
nell’arco di un’ora. I soggetti ottennero risultati migliori in alcuni dei test e
con minore fatica mentale.
Anziani più brillanti. Alcuni ricercatori norvegesi sottoposero vari test
mentali standardizzati per valutare l’efficienza cognitiva e la memoria a
oltre 2000 soggetti di età compresa tra i 70 e i 74 anni, partecipanti a uno
studio sulla salute svoltosi nel lungo periodo che ne osservava il regime
alimentare. Gli anziani con l’apporto alimentare di cioccolato più alto
ottennero i risultati migliori nei test.
Può il cacao fare bene per ciò che vi affligge, indipendentemente da cosa
vi affligge? Moltissime persone risponderebbero di sì, e senza alcuna prova
scientifica a supporto! Ma potrebbero non essere distanti dalla verità.
Diabete. A fronte di un consumo quotidiano di circa 30 grammi di
cioccolato fondente (ricco di flavanoli) da parte di soggetti sani per un
periodo di una settimana, è stato evidenziato un miglioramento della
«sensibilità insulinica», ovvero la capacità delle cellule di rispondere
all’ormone che controlla la glicemia. Come menzionato in precedenza,
l’insulino-resistenza è uno dei primi segni di sviluppo del diabete di tipo 2.
Rughe. Invecchiamento fotoindotto è il termine scientifico che sta a
indicare rughe, macchie scure ed altri difetti della cute dopo anni di
esposizione ai raggi ultravioletti (UV) del sole. In uno studio condotto su 30
soggetti, il consumo di cioccolato ricco di flavanoli per tre mesi ha più che
raddoppiato la resistenza della pelle al danno inferto dai raggi UV. «Il nostro
studio dimostra che il consumo regolare di un cioccolato ad elevato
contenuto di flavanoli apporta una significativa fotoprotezione ed è pertanto
efficace nel proteggere la cute umana dagli effetti nocivi dei raggi UV»,
conclusero i ricercatori sul Journal of Cosmetic Dermatology. «Il cioccolato
non esplica alcun effetto analogo».
Pelle più morbida. In un altro studio sul cacao e i suoi effetti sulla pelle,
le donne che per tre mesi consumarono una bevanda a base di cacao ad
elevato contenuto di flavanoli presentavano una pelle meno ruvida e
desquamata rispetto ad altre donne che consumarono una bevanda di cacao
ma a basso contenuto di flavanoli.
Preeclampsia. Questo quadro clinico caratterizzato da ipertensione
durante la gravidanza colpisce il 5% delle donne incinte e può rappresentare
una grave minaccia per la vita sia della madre che del bambino. Studiando
quasi 3000 donne in stato di gravidanza, alcuni ricercatori dell’Università di
Yale hanno notato che le donne che mangiavano abitualmente cioccolata
presentavano un rischio minore di sviluppare preeclampsia rispetto a quelle
che non ne mangiavano mai; la percentuale di rischio si abbassò del 19%
nel primo trimestre di gravidanza e del 40% nel terzo trimestre.
Resistenza fisica. Nell’ambito di un esperimento, a 9 ciclisti professionisti
fu chiesto di pedalare fino all’esaurimento delle forze su una cyclette; quelli
che bevvero latte con cacao prima di iniziare riuscirono a pedalare più a
lungo, mostrando una resistenza superiore fino al 51 % rispetto agli atleti
che assunsero altri tipi di bevande sportive.
IL CACAO IN CUCINA
• Il cacao si accosta bene alle verdure dolci per natura, quali carote e patate
dolci.
• Aggiungete 1 cucchiaino di cacao amaro in polvere durante la
preparazione di glasse per tali verdure.
• Aggiungete 1 cucchiaio di cacao amaro in polvere al chili con carne.
• Preparate una salutare cioccolata calda alla messicana sciogliendo 1
cucchiaio e mezzo di cacao amaro in polvere, 1 cucchiaio di zucchero, 1/2
cucchiaino di estratto di vaniglia, 1/4 di cucchiaino di cannella macinata e
una presa di chiodi di garofano in 1 quarto di litro d’acqua calda.
• Per preparare una glassa al cioccolato dietetica per guarnire le torte,
mescolate 1/2 tazza di cacao amaro in polvere con 1 tazza di zucchero e 1/2
tazza d’acqua in una casseruola rimestando finché la glassa non cola dal
cucchiaio a filo. Togliete dal fuoco e aggiungete 1 cucchiaio di burro
continuando a mescolare finché la glassa non sarà liscia e di giusta densità.
Cannella. Glicemia in equilibrio
SCONFIGGERE IL DIABETE
La vera cannella
Siete sicuri che quella che spolverizzate sul pane tostato o sul porridge
della colazione sia cannella? Attenzione: non è cannella vera, bensì cassia.
La cannella cassia (Cinnamomum cassia) e la cannella vera
(Cinnamomum verum o zeylanicum) appartengono alla medesima famiglia
botanica (Cinnamomum) e sono piante dall’aspetto molto simile, tant’è che
per distinguerle ci vuole un occhio esperto. Tuttavia differiscono nel sapore.
Delle due, la cassia ha un aroma più dolce e intenso ed è più apprezzata
come spezia in ambito culinario nella maggior parte del mondo (inclusi gli
Staci Uniti). È anche la varietà che è stata utilizzata in tutti gli studi
scientifici presentati in questo capitolo.
La cannella cassia viene comunemente adoperata negli Stati Uniti, in
Europa, in Cina e nel Sudest asiatico, mentre la cannella vera la si ritrova
nelle cucine del Messico, dell’America Latina, dell’India e di altri paesi
dell’Asia Meridionale.
In alcune nazioni è di fatto illegale riferirsi alla cassia come a cannella. In
Gran Bretagna e Australia, ad esempio, la Cinnamomum cassia può essere
commercializzata solo come cassia, e la Gnnamomum veruna può essere
venduta solo come cannella. Negli Stati Uniti, la legge consente di
commercializzare entrambe sotto il nome di cannella.
La Francia ha risolto la questione con il solito stile, chiamando tale spezia
cannelle e applicando il nome sia alla cassia che alla cannella vera.
La cassia è altresì conosciuta come cannella cinese, mentre la cannella
vera è nota anche con il nome di cannella regina, cannella di Ceylon o dello
Sri Lanka. Negli Stati Uniti potete trovare la cannella cassia praticamente
dovunque, mentre la cannella vera è reperibile solo nei negozi di prodotti
indiani e nelle drogherie specializzate oppure su internet.
Il sapore dolce e al tempo stesso speziato della cannella è quello della sua
corteccia; infatti la spezia deriva dalla corteccia di un albero sempreverde
tropicale.
La sua fragranza deliziosamente aromatica è stata annunciata fin dagli
albori della storia umana. Dio comandò a Mosè di includere la cannella
nella formula dell’olio per le consacrazioni, e nel Cantico di Salomone se
ne celebra il profumo; i greci e i romani la offrivano ai loro dei.
Anche le antiche culture dell’India e della Cina adoperavano la cannella,
ma come medicina. I medici della scuola ayurvedica indiana la utilizzavano
– e continuano ad usarla ancora oggi – per curare disturbi respiratori,
problemi di stomaco, spasmi muscolari e, ovviamente, il diabete. I luminari
della Medicina Tradizionale Cinese la adoperavano – e la utilizzano ancora
oggi – per le sue qualità «riscaldanti», in particolare per problemi
respiratori e dolori muscolari. Non dimentichiamo che è anche uno dei
principali ingredienti del Balsamo di tigre, il ben noto unguento usato per
alleviare il dolore.
Naturalmente, la cannella è ben più di una medicina: è un ingrediente
estremamente apprezzato nelle cucine di tutto il mondo. Negli Stati Uniti e
in Europa compare per lo più nelle preparazioni dolci, quali crostate di
mele, torte al caffè, composte di frutta, panini dolci, muffin, ciambelle, torte
e biscotti. È uno dei principali ingredienti delle spezie per crostate di mele e
per i vini aromatizzati. Le stecche di cannella vengono usate per mescolare
bevande calde, tra cui il sidro speziato e il vin brulé.
Gli inglesi sono ghiotti di ciò che chiamano cassia. In molte case la gente
tiene una scatoletta d’argento piena di cassia sul tavolo per aggiungerne una
presa a dolci e bevande. Come ingrediente figura nelle crostate di frutta
inglesi, nella frutta cotta e nella pasticceria.
In Spagna, la cannella è un complemento apprezzato nelle preparazioni a
base di cioccolato e nei dessert. In Germania viene adoperata nello strudel
di mele, per insaporire piatti agrodolci e nelle ricette contenenti uva passa.
In Olanda, la cannella è il sapore dominante nei biscotti speziati di Natale
chiamati speculaas, mentre gli italiani mettono stecche di cannella intere
nella mostarda, un condimento classico non dissimile dal chutney.
I francesi prediligono la cannelle (il loro termine per cannella) nelle
preparazioni salate a base di selvaggina, come l’anatra alla Montmorency,
un piatto classico aromatizzato alla cannella con salsa di ciliegie. E anche
uno dei quattro ingredienti del mix di spezie francese noto come quatre
épices, per lo più utilizzato per esaltare ricette di cacciagione.
In Asia la cannella viene quasi esclusivamente adoperata nei piatti salati,
mentre i cinesi la usano nelle preparazioni brasate in pentola di coccio o,
come viene spesso definita, nella «cucina rossa». Si tratta di una tecnica di
cottura particolare in cui cannella, anice stellato e scorza d’arancia vengono
fatte sobbollire a lungo a fuoco lento in acqua, vino di riso e salsa di soia,
quindi si immerge un petto di pollo nel liquido di cottura e lo si fa cuocere
finché non diventa rosso e la carne è cotta a puntino. La cannella è inoltre
uno dei cinque componenti della polvere Cinque spezie cinese.
I cuochi del Medio Oriente utilizzano la cannella per aromatizzare le carni
in umido. È un ingrediente diffuso in molte miscele di spezie marocchine,
incluso il rinomato ras-el-hanout. Conferisce anche un aroma intenso agli
stufati marocchini chiamati tajine. In Siria è una delle due sole spezie
presenti in cucina (l’altra è il pimento), mentre in Iran è una spezia
fondamentale per la preparazione del khoresh, uno stufato dal sugo denso e
agro realizzato con succo di melagrana.
In India rappresenta una spezia comune nella cucina curry e viene
impiegata nei saporitissimi biryani. I cuochi indiani friggono una intera
stecca di cannella in olio bollente affinché liberi il suo aroma e poi la
aggiungono al cuny o al riso durante la cottura. Viene anche adoperata in
numerose miscele di spezie indiane ed è uno degli aromi principali
dell’onnipresente garam masala.
I vietnamiti utilizzano la cannella nei pho bo, zuppe di brodo di vitello
lasciate sobbollire a lungo e servite con spaghetti di riso.
I messicani amano molto il tè di cannella (té de canela), preparato con
stecche intere; tale spezia è inoltre un ingrediente dei mole messicani.
La cannella viene altresì adoperata in una vasta gamma di prodotti non
alimentari: viene utilizzata nei dentifrici per mascherare il gusto del
pirofosfato, una sostanza di cattivo sapore che inibisce la formazione della
placca, e nella produzione di articoli da toeletta, presidi farmaceutici e
persino nell’industria del tabacco.
Sia la cannella cassia che quella vera sono prodotte a partire dalla
corteccia, la quale viene essiccata e strettamente arrotolata a mo’ di
pergamena in cannelli, a formare quelle che chiamiamo stecche.
I cannelli vengono solitamente tagliati in pezzi da 10-12 centimetri in
modo da essere agevolmente contenuti in un barattolo per spezie, hanno un
aspetto compatto, di colore scuro bruno-rossastro, e sprigionano un
profumo dolce e intenso. L’albero della cannella è coltivato in Cina,
Vietnam e Indonesia.
La cannella vera viene colta dalla pianta allo stesso modo, ma i cannelli
risultano più lunghi, hanno una consistenza più fragile, come di carta
pergamena, e hanno un colore marroncino chiaro. Il sapore è leggero,
delicato e dolce. Sebbene la cannella vera cresca allo stato naturale
nell’India meridionale, la varietà migliore viene dallo Sri Lanka, al largo
delle coste dell’India.
La corteccia da cui deriva la cannella di migliore qualità viene rimossa dal
tronco e classificata in base alla lunghezza, alla larghezza e allo spessore.
I cannelli di qualità superiore sono strettamente arrotolati, presentano un
colore uniforme e una superficie priva di difetti. Durante il trasporto, spesso
accade che si spezzino e vengono pertanto venduti come quilling
(frammenti) di seconda classe. La classificazione successiva è definita
feathering (schegge) e si tratta della corteccia interna dei rami e dei piccoli
getti le cui dimensioni non sono sufficienti per formare un cannello
completo. Sono sempre e comunque considerati cannella, ma non hanno
quell’impatto visivo gradevole dei cannelli di buona qualità. La classe più
bassa è data dai chip (trucioli) di cannella, cascami ottenuti dalla rasatura e
dal taglio dei cannelli. Le schegge e i trucioli generalmente vengono dalle
Isole Seychelles o dal Madagascar e rappresentano buonissima parte della
fornitura mondiale di corteccia di cannella di classe inferiore.
Una volta macinata, la cannella inizia a perdere la fragranza che le deriva
dagli oli volatili e, pertanto, è meglio acquistarla in cannelli interi e
macinarla all’occorrenza. Poiché i cannelli sono piuttosto duri, avrete
bisogno di un macinaspezie robusto.
Se l’unica opzione a vostra disposizione è l’acquisto di cannella in
polvere, l’aroma più fragrante sarà quello assicurato da un prodotto di
migliore qualità e, dunque, la polvere dovrà essere omogenea e quasi
impalpabile anziché sabbiosa. La qualità migliore è rappresentata dai
cannelli macinati, sebbene la polvere possa anche essere ottenuta a partire
da frammenti di cannelli e schegge. La cassia macinata, sovente definita
«cannella del fornaio», ha solitamente un costo inferiore rispetto ai cannelli
macinati di cannella vera.
I cannelli, o stecche, interi si mantengono per tre anni purché non vengano
esposti a calore eccessivo. La cannella in polvere inizia a perdere l’aroma
nel giro di pochi mesi.
LA CANNELLA IN CUCINA
Tutti gli studi scientifici sui benefici per la salute offerti dalla cannella
sono stati condotti sulla cassia o cannella cinese, la spezia piů conosciuta e
venduta nei normali super-mercati. Gli esperti di cucina in genere
concordano (a parte alcuni «dissidenti») che è la cassia ad avere il sapore
migliore, in quanto piů robusto e profumato. La cassia si sposa bene ad altri
sapori intensi come quelli della frutta secca in guscio. La cannella vera, più
delicata, è un complemento migliore alla frutta fresca. Tuttavia non esistono
regole che impediscano di mescolare i due tipi e ottenere il meglio di
entrambi i mondi!
Negli Stati Uniti viene piů comunemente adoperata la cannella in polvere
poiché in genere è la forma utilizzata per la preparazione di pane e torte. La
scelta ricade invece sulle stecche in caso di piatti umidi salati; vengono
infatti adoperate per aromatizzare il liquido di cottura e poi scartate a
cottura ultimata e prima di servire.
Qualunque forma di cannella decidiate di usare, assicuratevi di non
cuocerla eccessivamente. La cannella, infatti, diventa amara se lasciata in
pentola troppo a lungo.
Ecco alcuni suggerimenti per aumentare il consumo di cannella con la
dieta quotidiana:
IL CARDAMOMO IN CUCINA
• Aromatizzate il caffè lungo del mattino come si usa fare nei paesi arabi.
Se vi è scomodo usare il bricco del caffè inserendo una capsula pestata nel
beccuccio, mettete una o due capsule pestate direttamente nel recipiente del
percolatore e filtrate il caffè nel mug o nella tazza. Per la quantità,
considerate una capsula per due mug o tazze.
• Mettete una o due capsule di cardamomo pestate nell’acqua di cottura del
riso o aggiungete un pizzico di cardamomo macinato al riso pilaf.
• Spolverizzate un poco di cardamomo macinato e zucchero sul
pompelmo.
• Aggiungete mezzo cucchiaino di cardamomo macinato al pan di zenzero
o alle ricette per le torte al cioccolato.
• Aromatizzate le banane flambé e altri dessert a base di frutta con dei
semi di cardamomo pestati.
• Aggiungete un cucchiaino di cardamomo macinato alle ricette per tortini
alla vaniglia e ai ripieni alla vaniglia per crostate.
• Strofinate del cardamomo sull’arrosto d’agnello prima di metterlo sullo
spiedo.
Chiodi di garofano. Per combattere il dolore
Alitosi Epatite C
Ulcere Mal di denti
Herpes genitale Herpes labiale
Punture di zanzara Piorrea
I francesi usano steccare le cipolle con chiodi di garofano per rendere più
aromatici brodi e stufati. I tedeschi amano aggiungere chiodi di garofano
agli arrosti e altri piatti di carne a lunga cottura nonché alle pietanze di
selvaggina. Gli inglesi li mettono nel budino di Natale e nella torta di mele.
Il chiodo di garofano è altresì un ingrediente fondamentale per preparare il
vino alle spezie e lo si ritrova in molte altre bevande alcoliche: i tedeschi lo
usano per aromatizzare il celebre Feuerzangenbowle, letteralmente il
«punch con le pinze da camino», preparato con vino, rum caldo, agrumi e
zucchero. I francesi, invece, aggiungono chiodi di garofano a un liquore
d’arancio fatto in casa con chicchi di caffè e vodka. Versioni simili di tali
bevande sono tradizione anche in Italia e Spagna. Infine, i chiodi di
garofano vengono anche adoperati in alcuni vermouth dolci.
Ma nonostante la popolarità in cucina, gran parte della produzione
mondiale di chiodi di garofano finisce nella produzione della famosa
sigaretta indonesiana chiamata kretek. Tali sigarette contengono un 40% di
chiodi di garofano che causa un crepitio particolare quando vengono
fumate.
CONSIGLI PER L’ACQUISTO
Il nome del chiodo di garofano deriva dal termine latino clavus – che
significa appunto chiodo – per via del suo aspetto molto simile al chiodo da
falegname. La spezia corrisponde al bocciolo ancora chiuso delle
infiorescenze di un albero che fiorisce due volte l’anno. La coltivazione e la
raccolta dei chiodi di garofano è un’operazione delicata poiché i boccioli
devono essere colti a mano dalla pianta al momento giusto.
I chiodi di garofano sono originari delle Molucche indonesiane, le
leggendarie «Isole delle Spezie», tuttavia la varietà migliore non proviene
da quelle terre. Tra gli «aficionados» del chiodo di garofano, quello
prodotto nell’isola malese di Penang è considerato il migliore, seguito a
ruota dalle varietà di Zanzibar e Madagascar. La maggior parte dei chiodi di
garofano importati negli Stati Uniti proviene dal Madagascar o dal Brasile.
L’unico modo per acquistare chiodi di garofano in base al luogo di
provenienza è rivolgersi a una drogheria specializzata oppure cercare sul
web.
Tuttavia, non è necessario fare tanta strada per comprare chiodi di
garofano esotici. Ai fini gastronomici, la cosa più importante è conservare il
più possibile la fragranza della spezia, e ciò significa acquistare i chiodi
interi e macinarli di persona. Una volta macinati, infatti, gli oli volatili
cominciano a disperdersi affievolendone così l’aroma.
Quando procedete all’acquisto, cercate chiodi di garofano di grandi
dimensioni, vale a dire sufficientemente grandi da distinguere chiaramente
il capo e il gambo. Detto per inciso, i chiodi di Penang sono i più grossi.
Dovete poter riconoscere i quattro sepali e i quattro petali ancora chiusi del
bocciolo, con gli stami al loro interno, che vanno a formare la capocchia del
chiodo. Astenetevi dal comprare chiodi di garofano che sembrano
frammenti di bastoncino: quelli sono solo i gambi. Il colore deve essere
bruno-rossastro.
I chiodi di garofano interi si mantengono per oltre un anno chiusi in un
contenitore ermetico e lontani dalla luce e dal calore.
Il fatto che l’unico ortaggio abbastanza forte da far lacrimare gii occhi sia
anche sufficientemente potente da garantire la salute non deve sorprendere.
Le cipolle sono ricche di quercitina, un efficace genere di antiossidante che
rientra nella categoria dei flavonoidi, ossia sostanze in grado di ridurre il
rischio di tumori. Le cipolle fanno parte della stessa famiglia botanica
dell’aglio e, come l’aglio, contengono allicina che si trasforma in composti
organici solforati, ossia sostanze che possono ridurre il colesterolo,
fluidificare il sangue, garantire la flessibilità delle arterie e uccidere le
cellule tumorali. Le cipolle rosse e viola forniscono inoltre antocianine,
vale a dire gli stessi antiossidanti che fanno dei frutti di bosco veri e propri
fuoriclasse della nutrizione. Nel complesso, tali principi nutritivi, così come
molti altri composti, conferiscono alla spezia un potere terapeutico
eccezionale.
LE CIPOLLE ANTI-CANCRO
Allergie Cicatrici
Colesterolo Pressione alta
Diabete di tipo 2 Tumori
Osteoporosi Infarti
Farete alla vostra salute e alle vostre papille gustative un gran favore se
acquisterete cipolle fresche e le adopererete con generosità: ogni giorno e
ogni qualvolta possibile. Detto ciò, le cipolle sono disponibili anche
disidratate in vari tipi di confezione: granulato, in polvere, macinate, tritate,
sminuzzate e tostate. Sia la cipolla fresca che le sue forme disidratate sono
reperibili in tutti i negozi di frutta e verdura nonché nei supermercati.
Quando si comprano cipolle da stoccaggio, è bene cercare bulbi pieni al
tatto, di colore uniforme e con diversi strati di buccia spessa e di
consistenza cartacea; devono essere sode e asciutte. Evitate le cipolle che
presentano macchie scure o aperte sul collo – segno che hanno preso
umidità – oppure zone molli, tracce di germoglio o marciume (la presenza
di chiazze scure è indice di marciume).
I cipolloni devono presentare cime dall’aspetto fresco: verdi, abbondanti e
turgide piuttosto che appassite.
Il modo migliore per conservare le cipolle da stoccaggio è in cantina, dove
la temperatura è fresca. In mancanza di una cantina, l’alternativa migliore è
conservarle a temperatura ambiente in un contenitore aperto, ad esempio un
cestino di vimini, per garantire una buona ventilazione. Una
raccomandazione: tenete le cipolle lontane dalle patate, poiché ne
assorbirebbero l’umidità e i gas finendo per guastarsi.
Le cipolle fresche di norma non andrebbero conservate in frigorifero, (ina
volta tagliate, tuttavia, è bene avvolgerle strettamente e riporle in (rigo,
dove si manterranno per circa una settimana qualora allettate, o per pochi
giorni se tritate. Cercate di non tagliarle con troppo anticipo prima dell’uso,
altrimenti cominciano a perdere i loro principi nutritivi.
Poiché i cipollotti sono deperibili, è bene conservarli in frigorifero in un
sacchetto di plastica. Si manterranno per circa una settimana.
Le cipolle da stoccaggio si mantengono bene per un periodo che va da
qualche settimana a qualche mese, a seconda del tipo di cipolla e del grado
di maturazione al momento dell’acquisto. In linea di massima, quanto più la
cipolla è forte, più a lungo si conserva.
Le cipolle disidratate durano per circa un anno qualora riposte in un
contenitore ermetico, in un luogo fresco e lontano dalla luce.
LA CIPOLLA IN CUCINA
LA CITRONELLA IN CUCINA
Non sorprende che la palma del cocco venga chiamata «l’albero della
vita». Tipicamente, una palma produce da 60 a 180 noci di cocco all’anno,
che costituiscono l’elemento di base della dieta di milioni di persone in
Asia Meridionale e nel Sudest asiatico, nel Pacifico meridionale e nell’area
caraibica, regioni in cui l’equivalente di una noce di cocco ogni giorno
viene consumata sotto forma di acqua, latte, olio e spezia.
L’acqua di cocco è il liquido che si trova all’interno delle noci non ancora
mature; si tratta di una bevanda diffusa in tutti i tropici. Ad esempio, in
Brasile figura solo al secondo posto dopo il succo d’arancia.
Il latte di cocco viene ottenuto versando dell’acqua bollente, normale o di
cocco, sulla polpa di cocco sminuzzata per poi strizzarla in modo da
estrarne il latte. Ha un sapore dolce e il colore del latte, con un gusto che
ricorda le mandorle, e viene ampiamente utilizzato come aromatizzante
nelle cucine di tutto il Sudest asiatico, dell’India meridionale,
dell’Indonesia, del Sudamerica, delle isole del Pacifico e dei Caraibi.
Il latte di cocco conferisce un sapore del tutto particolare al saté lalat, un
piatto a base di polpette alla piastra diffuso nell’isola indonesiana di
Madura, nei pressi di Giava. È ampiamente impiegato nella cucina bahiana
– una variante brasiliana locale simile a quella della tradizione Cajun – ed è
la base dell’apprezzatissima salsa di arachidi che contiene anche aglio,
pomodoro e foglie fresche di coriandolo.
Nello Sri Lanka, il latte di cocco viene adoperato insieme ad altre spezie
tostate per ammorbidire e dare corpo ai curry piccanti. Viene altresì
utilizzato negli hopper, una sorta di frittelle di farina di riso lievitate e cotte
al vapore che vengono servite a colazione.
La crema di cocco, una versione del latte di cocco di consistenza più
densa e pastosa, viene adoperata in molti piatti della regione del Kerala,
un’area dell’India meridionale nota per i suoi splendidi curry di pesce.
Il cocco come spezia (disidratato e grattugiato) è, unitamente al latte di
cocco, un ingrediente essenziale in vari curry e preparazioni di verdure
della cucina indonesiana e malese. La spezia viene inoltre usata in un piatto
di carne chiamato rendang, ma è anche adoperata per preparare budini di
riso e dadar, una sorta di crèpes con ripieno dolce di polpa di cocco.
Pesce e frutti di mare preparati con riso e cocco disidratato grattugiato
costituiscono la dieta quotidiana della popolazione che vive lungo la costa
tropicale del Malabar in India. Il cocco disidratato è poi ampiamente
utilizzato nella cucina dell’India meridionale, soprattutto nei curry; e non
dimentichiamo che tale zona è famosa per i suoi chutney di cocco. I piatti a
base di verdure contengono solitamente cocco disidratato tostato.
L’olio di noce di cocco è l’olio per frittura più diffuso nella cucina
dell’India meridionale.
Il cocco può contribuire a prevenire e/o curare:
A parte gli abitanti della Florida e delle Hawaii, la maggior parte degli
americani conosce solo il cocco fresco e assaggia l’acqua di cocco
esclusivamente se va in vacanza ai tropici. Eppure, il cocco grattugiato sia
fresco che disidratato è facilmente reperibile nella maggior pare dei
supermercati, e viene venduto tostato, zuccherato o non zuccherato; è
persino disponibile in tre varianti: fine, media e grossa (la scala si riferisce
alle dimensioni della grana ottenuta, non alla qualità).
La scelta più ricca di cocco grattugiato la potete trovare nei negozi di
prodotti asiatici e indiani, ma è anche possibile acquistarlo online.
Il latte di cocco è reperibile in lattina sia zuccherato che non zuccherato
oppure sotto forma di pasta concentrata da ricostituire; dovreste trovarlo
nelle sezioni specializzate in prodotti asiatici della maggior parte dei
supermercati. Una volta aperta la lattina, potete riporre in freezer il
quantitativo non adoperato; il latte di cocco sopporta bene il congelamento
e si conserva per diversi mesi.
Negli Stati Uniti, l’olio di noci di cocco viene raramente adoperato in
cucina, in quanto poco conosciuto e per via dell’alto contenuto di grassi
saturi. Con la diffusione delle notizie sulla capacità dei trigliceridi a catena
media di bruciare i grassi, tuttavia, è possibile che prima o poi diventi un
alimento «funzionale» come l’olio di oliva, generalmente reputato un olio
dal buon sapore e per di più salutare. Per cucinare, l’olio di noce di cocco
vergine è considerato superiore all’olio normale.
IL COCCO IN CUCINA
Molti americani conoscono il cocco essenzialmente grazie al Coco Lopez,
una densa crema in scatola fatta di zucchero di canna e cocco che
costituisce l’ingrediente di base del drink al rum chiamato piña colada. Per
i cuochi, invece, è un ingrediente familiare utilizzato in torte, dolciumi e
altri dessert.
Nelle altre nazioni in cui cresce la palma da cocco, il cocco viene per lo
più usato nelle preparazioni salate. Per quel che riguarda l’impiego del
cocco in ricette salate, gli americani forse hanno più familiarità con i
gamberi al cocco (gamberi fritti con una impanatura di cocco), un antipasto
piuttosto diffuso. Non esitate a provare questa spezia in cucina, poiché si
adatta ottimamente a quasi tutti i tipi di cibo, in particolare le carni rosse, il
pollame e il pesce.
Oltre a preparare biscotti e torte, ecco alcune idee per estendere l’uso del
cocco ad altri ambiti in cucina:
• Distribuite del cocco tostato sui curry al termine della cottura oppure
aggiungete del cocco grattugiato a carne, pesce e curry.
• Provate una spolveratina di cocco sulla cioccolata calda o, meglio
ancora, preparate una cioccolata calda con latte di cocco anziché latte
vaccino. Usate una stecca di cannella per rimestare.
Coriandolo. Un aiuto per i problemi di intestino
Il coriandolo è il seme di una delicata pianta dai fiori rosa e malva che
assomiglia al prezzemolo e che, in effetti, appartiene alla stessa famiglia
botanica. Quando sono maturi, i semi di coriandolo sono deliziosamente
dolci, con un curioso aroma di salvia e arancio; viceversa, quando sono
ancora acerbi hanno uno sgradevole odore di cimice. Forse è questa la
ragione per cui i greci gli affibbiarono il nome korios, che significa appunto
«cimice».
Il coriandolo è il seme di una delicata pianta dai fiori rosa e malva che
assomiglia al prezzemolo.
Anche nell’improbabile caso che il coriandolo non sia presente
nell’armadietto delle spezie, lo è sicuramente in molte diete. Gli americani
mangiano molto coriandolo, molto più di 400.000 chili l’anno, e la maggior
parte viene usato per aromatizzare alcuni dei cibi preferiti degli americani,
come hot dog, salsicce, carni, pasticcini e biscotti. È anche un
aromatizzante utilizzato nel gin e in altri superalcolici.
I semi di coriandolo vengono adoperati in grandi quantità nelle
preparazioni sia dolci che salate di svariate culture gastronomiche in
Europa, India, America Latina, Messico, Nordafrica e Medio Oriente.
In Europa, i francesi profumano il formaggio con il coriandolo e lo
adoperano per aromatizzare la chartreuse, un rinomato liquore locale. È
inoltre un ingrediente fondamentale del chorizo, la piccante salsiccia
spagnola.
Il coriandolo è una delle spezie più diffuse nella cucina indiana nonché un
ingrediente essenziale in tutte le varietà di miscele curry. Gli indiani
sfruttano l’intera pianta – semi, radici, steli e foglie – per preparare salse e
chutney.
Nell’isola indonesiana di Giava, si usa strofinare la carne che andrà a
comporre il satay sia con semi che foglie fresche di coriandolo.
I marocchini usano sfregare la carne con semi di coriandolo e aggiungono
tale spezia a cuscus, stufati e insalate. Il coriandolo figura tra i principali
ingredienti delle miscele di spezie nordafricane, tra cui il baharat, il tabil e
il ras-el-hanout. Nello Yemen i cuochi lo mescolano a frutta secca,
peperoncini rossi ed altre spezie nella preparazione di un condimento
chiamato jhoung, molto diffuso anche come salsina da pinzimonio.
IL CORIANDOLO IN CUCINA
COMBATTERE IL DIABETE
Il vero cumino
LOTTA Al TUMORI
Il cumino è per lo più noto agli americani come una polvere scura
vagamente unta al tatto ma, di fatto, nella sua forma originaria il cumino si
presenta in semi, ed è in tale forma che viene venduto nei negozi indiani
sotto il nome di jeera. La cucina indiana, come d’altronde molte tradizioni
culinarie asiatiche, fa uso di semi interi.
L’acquisto di semi interi è sicuramente una scelta migliore rispetto al
cumino macinato, ed entrambi sono disponibili nella maggior parte dei
supermercati. Se intendete preparare dei piatti etnici, con ogni probabilità
avrete bisogno di un vasetto di semi interi. Quando il cumino viene
macinato, il sapore comincia a deteriorarsi; pertanto, se avete in casa un
vasetto di cumino macinato da oltre un anno, conviene buttarlo via in
quanto non mantiene la buona qualità per più di pochi mesi.
I semi di cumino andrebbero tostati prima di macinarli; tale accorgimento
ne intensifica il sapore.
I semi di cumino sono di colore marroncino tendente al giallo, hanno una
forma ovale e rassomigliano a semi di kummel. Se non riuscite a trovarli al
supermercato, potete sempre acquistarli in un negozio specializzato in
prodotti indiani o di prodotti biologici.
IL CUMINO IN CUCINA
LA SPEZIA ANTI-CANCRO
Durante gli ultimi venticinque anni, negli Stati Uniti il tasso di incidenza
della malattia cerebrale che ci priva della memoria e che conosciamo con il
nome di Alzheimer è raddoppiato. Di fatto, sta aumentando quasi
dappertutto sul pianeta, ad eccezione dell’India, dove colpisce meno
dell’1% della popolazione. Il motivo potrebbe essere riconducibile alla
curcumina.
Il morbo di Alzheimer è causato da un accumulo di placca che infiltra le
cellule del cervello (neuroni) alterandone la comunicazione intercellulare.
Gli scienziati non conoscono la causa della formazione delle placche ma
conoscono i meccanismi attraverso cui si forma. L’elemento scatenante è
una proteina detta amiloide A. Nel tessuto cerebrale sano tale proteina viene
demolita ed eliminata; nel morbo di Alzheimer, invece, la proteina si
aggrega e si ispessisce. Studi condotti su animali indicano che la curcumina
si lega all’amiloide A impedendone l’aggregazione e il conseguente blocco
dell’attività neuronaie.
I farmaci attualmente impiegati nel trattamento del morbo di Alzheimer
riducono in parte i sintomi e rallentano la malattia, ma nessun farmaco è
considerato altamente efficace. La curcumina potrebbe essere la medicina
del futuro: non solo è in grado di ostacolare l’amiloide A, ma gli studi
indicano che può anche rallentare il danno ossidativo arrecato ai neuroni,
ridurre il danno a carico delle sinapsi neuronali – ossia le vie di
comunicazione tra le cellule cerebrali – e ridurre i livelli di metalli tossici
neH’ambiente cerebrale che possono contribuire all’insorgenza
dell’Alzheimer.
L’apporto regolare di curcuma si sta anche dimostrando una protezione
naturale contro il declino delle funzioni mnesiche e cognitive che possono
accompagnare l’età avanzata. In Asia alcuni scienziati hanno condotto uno
studio sul consumo di curcuma e l’acutezza mentale nelle persone anziane
non affette da morbo di Alzheimer, e hanno scoperto che quanti
consumavano cibi particolarmente ricchi di curcuma avevano un punteggio
più alto nei test mentali standard rispetto a quanti non consumavano
curcuma o solo raramente.
Non confondiamo la curcuma con il curry, una «spezia» che si può trovare
ovunque ad eccezione dell’India e della maggior parte dell’Asia.
Il classico curry in polvere non è una spezia, bensì una combinazione di
spezie che gli inglesi inventarono nel 1700 come «scorciatoia» per non
dover affrontare il compito apparentemente laborioso di creare più
combinazioni di spezie allo scopo di esaltare differenti piatti di curry.
Ebbene, possono avere risparmiato del tempo ma ne hanno anche
uniformato il sapore. Pertanto, se tutti i curry che preparate hanno lo stesso
identico gusto, prendetevela con il curry in polvere.
Le spezie presenti nel curry in polvere tipicamente includono coriandolo,
cumino, fieno greco, pepe nero e, immancabilmente, curcuma, la spezia che
conferisce al curry la caratteristica sfumatura gialla.
Fin dal momento in cui fu introdotto sul mercato, il curry in polvere
divenne popolare in tutto il mondo. Alcuni paesi, come la Francia e la
Danimarca, inventarono ognuno la propria versione, ma la polvere di curry
«buona per tutti gli usi» non prese mai piede in India o in altre regioni
dell’Asia dove la creazione di curry è una vera e propria arte, e l’uso di una
miscela standard di spezie è tutto meno che creativa. Nella cucina asiatica,
curry differenti richiedono differenti combinazioni di spezie, le quali
impartiscono un aroma speciale a quel particolare piatto. Lo capirete da voi
quando preparerete le miscele di spezie e di curry descritte nella Terza
parte.
Ma passiamo ad altri due fatti curiosi sul curry in polvere.
Viene spesso erroneamente detto che il curry è una ricca fonte di
curcumina, mentre ne è ricco solo nella misura in cui si usa curcuma nella
composizione della polvere, e la quantità di curcuma può variare.
Inoltre, il curry in polvere non ha nulla a che vedere con l’autentica spezia
denominata curry. Tale spezia si ottiene dalla foglia di curry che – a dispetto
del nome in comune – appartiene a una famiglia botanica distinta. Nel vero
curry (la foglia) la curcumina non è presente.
QUANTA NE OCCORRE?
Consumare molto cibo ricco di curcuma è un ottimo modo per promuovere
la salute. In India, un individuo ingerisce mediamente un cucchiaino di
curcuma al giorno ripartito su tre pasti, una quantità sufficiente perché gli
indiani godano di buona salute e presentino un’incidenza nettamente
inferiore di malattie quali morbo di Alzheimer, cancro e diabete di tipo 2.
Consiglio di assumere anche un integratore di curcumina in dosi da 500
mg al giorno.
Vi assicuro che la curcumina sotto forma di integratori è assolutamente
sicura: non è stato riscontrato alcun effetto collaterale grave e nessuna
forma di tossicità con l’assunzione di curcumina fino a 16 grammi al
giorno. In termini culinari, ciò equivarrebbe a mangiare una tazza intera di
curcuma al giorno!
È preferibile assumere l’integratore di curcumina a stomaco vuoto, circa
un’ora prima di mangiare. Potete migliorarne l’assorbimento assumendolo
insieme a succo di pompeimo, succo d’ananas, latte o piperina (pepe nero
sotto forma di integratore) oppure durante un pasto in cui si consumi
dell’olio (ad esempio olio di oliva) o latticini (ad esempio yogurt).
LA CURCUMA IN CUCINA
I newyorkesi amano dire «una volta vista New York hai visto tutto», ma a
quanto pare loro stessi non hanno annusato tutto. Una sera di qualche anno
fa, il servizio di assistenza telefonica fu sommerso da una marea di
chiamate che riferivano di un misterioso odore, come di sciroppo d’acero,
che fluttuava sul distretto occidentale della Bassa Manhattan. Non era la
prima volta che veniva segnalato un «incidente» simile, e il sindaco della
città promise che i funzionari pubblici sarebbero andati in fondo alla
questione.
Qualche giorno dopo, il sindaco convocò una conferenza stampa.
Bacchetta alla mano, trascorse i successivi venti minuti a indicare i pallini
riportati su una cartina che contrassegnavano i luoghi in cui era stato
segnalato l’odore e delle frecce indicanti la direzione dei venti provenienti
dal New Jersey occidentale attraverso il fiume Hudson. L’odore, disse il
sindaco, si era manifestato nei giorni in cui la velocità del vento era
moderata e l’atmosfera piuttosto umida. 1 suoi investigatori ne avevano
seguito le tracce fino a uno stabilimento del New Jersey occidentale che
produceva aromi per cibi, bevande e per l’industria dei profumi. Quel
sentore di sciroppo d’acero, rivelò, era il profumo proveniente dalla
lavorazione dei semi di fieno greco.
«Posso immaginare molte cose ben peggiori dello sciroppo d’acero»,
dichiarò il sindaco a un giornalista. «Semplicemente è uno degli odori con
cui d’ora in poi dovremo convivere in una città come New York».
Gli scienziati dell’Università di Stato della Louisiana fanno notare che «il
fieno greco esercita altri effetti benefici oltre all’effetto positivo riscontrato
nel diabete», tra questi inibisce la formazione di calcoli biliari, favorisce il
calo ponderale e contiene la steatosi epatica.
Perdita di peso. Alcuni ricercatori del Minnesota hanno studiato 18
persone obese (indice di massa corporea superiore a 30), suddividendole in
tre gruppi: a colazione un gruppo doveva assumere 4 grammi di fibre di
fieno greco in polvere disciolte in succo d’arancia, il secondo gruppo 8
grammi e il terzo nulla. Tra colazione e pranzo, il gruppo che assumeva 8
grammi di polvere riferì un maggiore senso di sazietà e minor fame, e
consumò il 10% in meno di calorie a pranzo! «Le fibre di fieno greco
possono espletare una funzione importante nel controllo dell’apporto
alimentare in individui obesi», dichiararono i ricercatori su Phytotherapy
Research. Le fibre di fieno greco in polvere – altrimenti note come
galattomannano – sono ampiamente disponibili sul mercato come
integratore alimentare.
In un altro esperimento, volto ad analizzare gli effetti del fieno greco sul
consumo alimentare, alcuni ricercatori francesi scoprirono che le persone
che assumevano un estratto di semi di fieno greco, in dosi pari a circa 600
mg al giorno, consumavano il 17% in meno di grassi e il 12% in meno di
calorie. Sulla rivista European Journal of Clinical Pharmacology, gli
esperti conclusero che l’estratto di semi di fieno greco potrebbe favorire il
«calo ponderale nel lungo periodo, in particolare in alcuni pazienti
sovrappeso o obesi per cui è raccomandata una dieta ipolipidica».
Tumori. In un articolo intitolato «Fieno greco: il ruolo di agente
antitumorale di una spezia commestibile presente in natura», gli scienziati
del Sidney Kimmel Comprehensive Cancer Center presso il Johns Hopkins
Hospital discutono di come i loro studi abbiano dimostrato che l’estratto di
fieno greco può rallentare o arrestare la crescita cellulare di tumori del seno,
del pancreas e della prostata. Nell’articolo pubblicato su Cancer Biology
and Therapy, affermano che «tali studi aggiungono un altro principio
biologicamente attivo all’arsenale degli agenti di origine naturale dotati di
potenziale terapeutico».
Ipercolesterolemia. II fieno greco non si limita a ridurre i livelli di
colesterolo soltanto in individui affetti da diabete di tipo 2. Alcuni
ricercatori indiani, infatti, hanno studiato 20 soggetti in buona salute
suddividendoli in due gruppi e somministrando soltanto a un gruppo semi di
fieno greco in polvere. Come riferirono sulla rivista Plant Foods in Human
Nutrition, dopo un mese, fu riscontrata una «significativa riduzione dei
livelli di colesterolo totale e LDL».
Steatosi epatica. Si stima che un terzo della popolazione americana soffra
di steatosi epatica non alcolica, condizione per cui almeno il 20% delle
cellule del fegato risultano infiltrate da accumuli di lipidi. Tra le cause
figurano condizioni di sovrappeso, insulino-resistenza, e diabete. Un’altra
fetta della popolazione americana, all’incirca 10 milioni di persone,
presenta una steatosi epatica alcolica, causata dal consumo eccessivo di
alcolici (oltre due drink al giorno per una donna e oltre tre drink al giorno
per un uomo). La steatosi epatica può sfociare in cirrosi e carcinoma
epatico. Durante uno studio condotto su animali, un’équipe di ricercatori
canadesi rilevarono che i semi di fieno greco prevengono o invertono il
decorso clinico della steatosi. Sull’International Journal of Obesity i
ricercatori dichiarano: «Tali risultati costituiscono un forte stimolo ad
esplorare i benefici terapeutici offerti dal fieno greco e dalle sue sostanze
attive nell’ambito (della steatosi epatica) associata a obesità e insulino-
resistenza».
Cataratta. In India, alcuni ricercatori utilizzarono una sostanza chimica
per indurre la cataratta in due gruppi di animali da laboratorio e
somministrarono semi di fieno greco a uno solo dei due gruppi. Il fieno
greco prevenne totalmente lo sviluppo della cataratta, mentre il 72% degli
animali che non assunsero i semi svilupparono la malattia. I ricercatori
notarono inoltre un elevato livello di attività antiossidante negli occhi degli
animali trattati con fieno greco.
Calcoli renali. L’80% dei calcoli renali sono formati da ossalato di calcio.
Considerando che i semi di fieno greco sono largamente utilizzati in
Marocco per prevenire lo sviluppo di calcoli renali negli individui
predisposti, alcuni ricercatori del luogo sperimentarono i semi su animali da
laboratorio. Il risultato fu che il fieno greco ridusse la deposizione di
ossalato di calcio nei reni del 27%.
Calcoli biliari. Nell’ambito di un esperimento, un’équipe di ricercatori
indiani indusse la formazione di calcoli biliari in animali da laboratorio e
poi suddivise i soggetti in tre gruppi: al primo gruppo venne somministrata
una dose elevata di semi di fieno greco in polvere, al secondo una dose più
bassa mentre il terzo non ricevette nulla. Il fieno greco fece regredire i
calcoli del 64% nel gruppo trattato con dosi elevate e del 61% in quello che
ricevette dosi inferiori, mentre non si apprezzò alcuna regressione nel
gruppo non trattato. I ricercatori giunsero alla conclusione che il fieno greco
può contribuire a prevenire la formazione di calcoli biliari, ridurre le
dimensioni quelli esistenti e prevenire recidive.
Infezioni. Durante un esperimento, alcuni studiosi indiani nutrirono degli
animali con estratto di fieno greco e ne analizzarono il sistema immunitario.
Notarono che la spezia aumentava l’attività dei macrofagi, ossia globuli
bianchi in grado di fagocitare batteri e virus. «Nel complesso, il fieno greco
presenta un effetto stimolante sulle funzioni immunitarie», scrissero, un
risultato che «conferma i presupposti del suo impiego in numerosi rimedi
ayurvedici».
Non mangiate mai i semi di fieno greco crudi: sono duri come pietre e
impossibili da masticare. La cottura ne trasforma il sapore pungente e
amarognolo in un aroma dal vago sentore di noce, simile allo sciroppo
d’acero. Inoltre contribuisce ad ammorbidire i semi in modo da poterli
macinare più facilmente. Una leggera tostatura per 1 minuto o 2 è più che
sufficiente; per istruzioni su come tostare le spezie, leggete il paragrafo a
pagina 24. Fate però attenzione a non bruciare i semi, altrimenti il sapore
diventa così amaro da diventare davvero sgradevole. Potete anche mettere a
bagno i semi per una notte in modo da ammorbidirli; diventeranno quasi
gelatinosi.
Aggiungete sempre fieno greco a una ricetta con moderazione, poiché il
sapore intenso può soffocare gli altri aromi.
Ecco qualche suggerimento per aumentare il consumo di fieno greco:
Il finocchio è una delle poche piante che racchiude in sé tutti gli usi
possibili: è al tempo stesso una verdura, un’erba aromatica e una spezia.
Ogni autunno, i bulbi che affiorano a livello del terreno (verdura)
sviluppano dei gambi simili alle coste del sedano, con fronde flessibili (erba
aromatica) che fioriscono e producono semi aromatici (spezia); ognuna di
queste parti – la verdura, l’erba aromatica e la spezia – emana un dolce
sentore liquiriziato.
Se il bulbo del finocchio non è propriamente l’ortaggio più apprezzato
(non a tutti piace una verdura o un’erba aromatica che sanno vagamente di
liquirizia) i semi sono invece molto richiesti: d’altronde sono la spezia che
ha reso celebre nel mondo la pizza italiana con salammo piccante e
peperoni.
Quando si mastica un seme di finocchio, il ben noto e intenso gusto
liquiriziato deriva da un olio volatile detto anetolo, lo stesso composto che
conferisce all’anice il suo aroma. I semi di finocchio sono ricchissimi di
anetolo e decine di altri potenti agenti fitochimici tra cui i fitoestrogeni, cioè
composti presenti nei vegetali che esercitano un’azione simile a quella degli
estrogeni. Una volta al mese, i fitoestrogeni possono trasformarsi nei
migliori amici di una donna.
Il finocchio è un bulbo da cui si sviluppano gambi con fronde flessibili che
fioriscono e producono semi aromatici.
CALMARE LE COLICHE
Si tratta di una spezia dal sapore piuttosto intenso che si adatta altrettanto
bene a piatti dolci e salati. Può vivacizzare il gusto di una vasta gamma di
preparazioni, dalle carni alle torte o alle bevande. I semi contribuiscono a
dare equilibrio a quasi tutte le miscele di spezie. Il consiglio è di utilizzarli
nello stesso modo in cui si adoperano i semi di anice, cumino e kummel.
Diversamente dalla maggior parte degli altri semi, non è necessario
tostarli, benché la tostatura ne intensifichi e ne addolcisca l’aroma; qualora
tostati, assumono un retrogusto simile a quello dello zucchero di canna. In
tal caso, abbrustoliteli a secco, ma state attenti a non bruciarli, neanche un
poco, altrimenti prendono un sapore spiacevolmente amaro.
I semi di finocchio si sposano a molti elementi della dieta mediterranea, ad
esempio pomodori, olive mature, olio di oliva, basilico, carne alla piastra e
frutti di mare, e si combinano bene anche a pesci dalle carni grasse come
tonno e salmone.
Ecco alcuni suggerimenti per aggiungere più semi di finocchio alla propria
dieta:
Come per altre spezie presentate in questo libro, per poter discutere della
foglia di curry il primo passo è fugare qualsiasi dubbio.
La foglia di curry non equivale alla polvere di curry: non ne ha l’aspetto e
nemmeno il sapore. In compenso, ha molto a che vedere con i piatti di
curry. Il suo sapore meravigliosamente fragrante, con un sentore agrumato
di tangerino, è una presenza quasi costante nei curry dell’India meridionale,
almeno quanto lo è l’alloro negli stufati americani.
La foglia di curry è altresì un rimedio standard della medicina ayurvedica
(la medicina tradizionale dell’India) e in tale contesto viene impiegata per
tenere sotto controllo il diabete, le malattie cardiovascolari, le infezioni e le
infiammazioni. Negli anni Cinquanta, gli scienziati hanno iniziato a
scoprire i dettagli biochimici alla base delle sue virtù terapeutiche e, nei
decenni successivi, decine di studi hanno dimostrato la presenza di un
ricchissimo contenuto di composti officinali.
Analogamente a molti altri ortaggi a foglia verde, le foglie di curry sono
ricche di antiossidanti, in particolare di beta-carotene e vitamina C. Tuttavia,
quando i ricercatori indiani valutarono il potere antiossidante della foglia di
curry – ossia la sua capacità di fagocitare i radicali liberi, molecole che
provocano danni alle cellule del nostro organismo e al loro prezioso carico
genetico –, scoprirono che la sua azione superava di gran lunga quella di
altre tre verdure in foglia assai diffuse nella cucina indiana. La ragione
risiede nel fatto che un drappello scelto di antiossidanti, gli alcaloidi
carbazolici, sono presenti in grandi quantità solo nella foglia di curry.
La foglia di curry, contraddistinta da un sapore a metà tra il limone e il
tangerino, deriva da una pianta appartenente alla famiglia degli agrumi.
Alla luce di quanto detto, non sorprende che la foglia di curry sia in grado
di contrastare tutta una serie di malattie associate al danno ossidativo
provocato dai radicali liberi, come il diabete di tipo 2, le patologie
cardiovascolari e i tumori.
Diabete. Il diabete di tipo 2, ovvero la patologia caratterizzata da livelli di
glicemia cronicamente elevati, colpisce oltre 24 milioni di americani
danneggiandone i vasi sanguigni e provocando infarti, ictus, insufficienza
renale, cecità, ulcere plantari di difficile guarigione ed altri gravi disturbi
circolatori. Introdurre più foglie di curry nella dieta quotidiana può essere
d’aiuto.
In uno studio condotto su topi geneticamente selezionati per sviluppare
diabete, elevati livelli di colesterolo e obesità, alcuni ricercatori del Tang
Center for Herbal Medicine Research dell’Università di Chicago hanno
utilizzato foglie di curry per ridurre i livelli di glicemia (zuccheri nel
sangue) del 45%. Contemporaneamente, hanno assistito anche a un
notevole calo del colesterolo, pari al 35%, altro importante risultato dal
momento che un alto tasso di colesterolo rappresenta un aumento del
rischio di infarti e ictus, causa di morte per 3 persone su 4 affette da diabete
di tipo 2.
I ricercatori, pertanto, conclusero che la foglia di curry può anche essere
d’ausilio nel «perfezionare la gestione» del diabete di tipo 2 e del
colesterolo.
Un’équipe di ricercatori indiani del Centro di Terapie Alternative presso
l’Università di Allahabad hanno adoperato estratti di foglie di curry per
abbassare il glucosio del 48% in soggetti animali. La spezia ha ridotto
anche il colesterolo totale del 31%, i trigliceridi (altri lipidi presenti nel
sangue) del 23% e ha determinato un innalzamento del colesterolo HDL
(quello «buono») pari al 30%. Sulla rivista Journal of Ethnopharmacology,
gli esperti conclusero che la foglia di curry esplica un «effetto positivo nel
ridurre la gravità del diabete».
Perdita della memoria. Quando alcuni ricercatori indiani aggiunsero
delle foglie di curry alla dieta di alcuni animali da laboratorio, notarono che
la spezia ne migliorava la memoria, e quanta più spezia consumavano, più
erano in grado di ricordare. Gli studiosi rilevarono inoltre che promuoveva
l’attività colinergica a livello cerebrale, ossia quella stessa attività che
diminuisce progressivamente man mano che insorgono perdita di memoria
associata all’età, disturbi cognitivi di modesta entità e morbo di Alzheimer.
Le conclusioni degli esperti, pubblicate su Phytotherapy Research, furono
che la foglia di curry potrebbe presentare un notevole «potenziale
terapeutico nella gestione dei pazienti affetti da morbo di Alzheimer».
Carcinoma del colon. Alcuni ricercatori hanno scoperto che l’estratto di
foglie di curry riduce significativamente il numero di tumori in animali da
laboratorio affetti da carcinoma del colon chimicamente indotto. Stando ai
riscontri ottenuti, l’integrazione delle foglie di curry nel «regime alimentare
quotidiano svolge un ruolo significativo nella protezione del colon» contro
l’insorgenza di tumori.
L’albero del curry – un membro della famiglia degli agrumi che cresce nei
giardini delle case e nell’entroterra indiano – produce una foglia dal sapore
che sta a metà tra il limone e il tangerino.
Tale fragranza conferisce aroma non solo alle cucine dell’India e dello Sri
Lanka, ma anche a quelle di Birmania, Malesia e Singapore. Inoltre, è una
spezia essenziale non solo nei curry ma anche nei daal (stufati di
lenticchie), nelle samosa (antipasti fritti solitamente di verdure), nei
sambhar (zuppe di verdure), salse chutney e vari tipi di pane. È anche un
ingrediente della polvere di curry tipica della cucina dell’India meridionale.
LA GALANGA IN CUCINA
Di per sé la galanga non è esteticamente un granché e ha poco gusto ma,
una volta aggiunta ad altre spezie e ingredienti in una ricetta, produce un
aroma difficile da eguagliare.
Gli chef tailandesi la adoperano non sbucciata e tagliata a lamelle sottili.
Se la trovate esteticamente poco elegante, potete grattare o pelare il rizoma;
in alternativa, potete anche grattugiare la polpa.
Adoperate la galanga come fareste con lo zenzero per insaporire curry,
preparazioni in umido e minestre. Essa conferisce un peculiare aroma
speziato alla maionese, alla panna acida e al ketchup. Fate soltanto
attenzione a non eccedere nelle dosi, poiché potrebbe assumere un sapore
come di medicinale.
Gli esperti divergono sul fatto che lo zenzero possa essere o meno un
sostituto idoneo. Ovviamente esso non conferisce lo stesso aroma ma,
poiché entrambi hanno un aroma netto e distinto, personalmente preferisco
sostituire la galanga con dello zenzero anziché fame del tutto a meno in una
ricetta.
Ginepro. Il diuretico naturale
La bacca di ginepro (in realtà non una bacca vera e propria bensì una
piccola pigna prodotta dalla pianta e dall’arbusto del ginepro) è
principalmente conosciuta come la spezia che contraddistingue l’aroma del
gin. Se al party di ieri sera avete bevuto un Martini, un Gin and Tonic, un
Long Island Iced Tea e un Tom Collins e oggi, postumi a parte, vi sembra di
correre in bagno più frequentemente del solito, be’, non è solo una
sensazione: la bacca di ginepro è un diuretico fenomenale, ossia una
sostanza che aumenta la produzione di urina.
Il ginepro può essere impiegato per curare svariati altri disturbi. Qui di
seguito alcuni esempi.
Mal di stomaco. Le Monografie della Commissione E - vale a dire i
compendi scientifici utilizzati in Germania come guida per medici ed altri
operatori sanitari nell’uso terapeutico dei rimedi naturali — approvano
l’impiego delle bacche di ginepro per trattare l’indigestione.
Disturbi cardiaci. Nell’ambito di uno studio condotto su animali, alcuni
scienziati hanno rilevato che le preparazioni a base di bacche di ginepro
svolgono un’azione simile a quella dell’amiloride cloridrato (Moduretic),
un diuretico utilizzato per tenere sotto controllo la pressione arteriosa e
l’insufficienza cardiaca congestizia.
Infiammazioni e infezioni. Le bacche di ginepro sono sempre state
impiegate per trattare «svariati quadri infiammatori e infettivi quali
bronchite, raffreddori, tosse, infezioni micotiche, emorroidi, disturbi
ginecologici e ferite nella medicina popolare turca», scrisse un’équipe di
ricercatori sul Journal of Ethnopharmacology. Gli esperti sottolinearono
inoltre che la bacca di ginepro risulta essere utilizzata a livello mondiale per
molti di questi disturbi nonché per l’artrite reumatoide, per regolarizzare il
ciclo mestruale e alleviare la dismenorrea. Quando testarono un estratto di
bacche di ginepro nell’ambito di un esperimento condotto su animali,
riscontrarono una notevole attività antinfiammatoria e analgesica pari a
quella dell’indometacina (Indocin), un farmaco antinfiammatorio non
steroideo (FANS) normalmente prescritto per l’artrite e altri disturbi dolorosi.
Diabete. Diversi studi condotti su animali evidenziano che la bacca di
ginepro è efficace nel ridurre i livelli ematici di glucosio.
Carcinoma mammario. In uno studio di laboratorio pubblicato sulla
rivista Oncology Reports, gli estratti di bacche di ginepro hanno
significativamente ridotto la crescita di cellule del carcinoma mammario
umano. In base alle conclusioni dei ricercatori, l’estratto «potrebbe essere
d’ausilio nel trattamento del carcinoma».
Danno epatico. In uno studio condotto su animali, i ricercatori
dell’Università della Carolina del Nord di Chapel Hill hanno scoperto che
un estratto di bacche di ginepro contribuiva a prevenire il tipo di danno
epatico riscontrato nell’alcolismo.
Herpes simplex. Studi in vitro hanno evidenziato che i composti del
ginepro inibiscono il virus responsabile dell’herpes simplex.
A meno che non abbiate visitato la costa occidentale dell’India o non siate
stati ospiti a tavola di una famiglia indiana, probabilmente non avete mai
assaggiato il kokum. Ma quando vi capiterà, è facile che non vediate l’ora
di gustarlo di nuovo.
Quanti sono stati tanto fortunati da visitare la regione indiana dei Ghati
Occidentali in estate raccontano sovente di avere provato un insolito drink
cremoso esclusivo di quella zona montuosa, di colore rosa, saporito e
rinfrescante, chiamato sol kadhi. La bevanda deve la cremosità al latte di
cocco, mentre il colore rosa viene dal kokum, una spezia esotica prodotta da
un rigoglioso albero da frutto ornamentale originario di tale regione.
Il piccolo frutto, che spicca rosso tra il fogliame verde e I muta in un viola
acceso quand’è maturo, viene raccolto ed essiccato in primavera, giusto in
tempo per esporre il sol kadhi nei menu dei roventi mesi che caratterizzano
la stagione estiva. Il drink non è solo famoso per il suo sapore, ma anche
perché aiuta la popolazione locale a rinfrescarsi in quell’atmosfera umida
tropicale, una proprietà curativa propria del kokum che contribuisce a
prevenire la disidratazione e le insolazioni. E anche se molte persone non se
ne rendono conto o non ci fanno caso, il kokum offre un altro beneficio: è in
grado di sopprimere la voglia di abbuffarsi!
Il kokum deriva da un rigoglioso albero da frutto ornamentale originario
dell’India.
Gli scienziati stanno studiato il kokum come ausilio naturale per perdere
peso in quanto contiene acido idrossicitrico (HCA), un composto reperibile
nella buccia essiccata, cioè la spezia vera e propria. L’acido idrossicitrico è
un noto soppressore dell’appetito e numerosi studi dimostrano che
l’ingestione di tale sostanza non solo induce una perdita di peso, ma anche
una perdita di adipe.
Nell’ambito di uno studio condotto in Thailandia, i ricercatori invitarono
50 donne obese ad adottare una dieta di 1000 calorie al giorno e affiancare
una «pillola» dimagrante. Metà di loro assunse una pillola contenente HCA,
l’altra metà un placebo. Dopo due mesi, le donne a cui era stato
somministrato l’HCA avevano perso quasi il doppio del peso rispetto alle
altre, e i ricercatori riferirono che l’evidente discrepanza nel calo ponderale
«era dovuta alla perdita dei depositi di grasso».
In un altro studio, apparso sulla rivista Nutrition, gli scienziati misero a
dieta alcuni animali da laboratorio per un periodo di tre settimane, durante il
quale persero il 20% del peso corporeo. Nelle quattro settimane successive,
gli studiosi li lasciarono mangiare a sazietà — proprio come sovente
facciamo noi umani dopo una dieta ipocalorica stretta — ma a metà degli
animali fu dato dell acido idrossicitrico mescolato al cibo. Si scoprì che le
cavie che avevano assunto la sostanza mangiavano meno e riacquistavano
peso meno facilmente.
Il calo ponderale è l’ultimo elemento che si è andato ad aggiungere ai
numerosi benefici per la salute storicamente riconosciuti al kokum. Secoli
prima che la spezia diventasse un alimento base della rinomata cucina
locale Konkani, i medici della scuola tradizionale ayurvedica lo
impiegavano per curare piaghe e prevenire infezioni, migliorare la
digestione, trattare diarrea e stipsi, alleviare il dolore articolare deU’artrite
reumatoide, curare infezioni dell’orecchio e risanare ulcere. È altresì un
rimedio casalingo contro la febbre e le eruzioni cutanee.
Il kokum deriva tale variegata combinazione di azioni curative dal suo
principio attivo primario: il garcinolo, una sostanza dotata di proprietà
antiossidanti e antinfiammatorie. Tali proprietà hanno indotto me ed altri
ricercatori a chiederci se la spezia potesse potenzialmente essere impiegata
per combattere il cancro… e gli studi dimostrano che è così.
UN POTENTE ANTIOSSIDANTE
Uno dei motivi per cui il kokum si sta dimostrando una eccellente spezia
curativa è che il garcinolo agisce in molteplici modi a livello molecolare.
Ad esempio, esistono alcune molecole che danneggiano le cellule,
denominate specie reattive dell’ossigeno (in sigla, ros), che sono prodotte da
fattori quali un’alimentazione ad alto contenuto di grassi, inquinamento
atmosferico e stress. I ros svolgono un ruolo fondamentale nelle malattie
cardiovascolari, nei tumori e in numerosi altri disturbi cronici, ma l’attività
antiossidante del garcinolo, più potente della stessa vitamina E, si è
dimostrata in grado di sopprimere la produzione di ros. E questo non è che
uno dei modi in cui il garcinolo protegge le nostre cellule.
È ancora troppo presto per stabilire la reale idoneità di tale sostanza come
agente terapeutico; fino ad oggi è stato svolto solo un ridotto numero di
studi su animali e nessuno su soggetti umani. Comunque sia, in attesa di
ulteriori risultati scientifici, suggerisco di trarre beneficio dal garcinolo
acquisendo familiarità con il kokum e le ricette che prevedono l’impiego di
questa spezia, in particolare quelle di origine indiana.
IL KOKUM IN CUCINA
• Unite una o due bucce alle paste di curry e alle salse di pomodoro.
• Quando cucinate lenticchie, aggiungetene qualcuna all’inizio della
cottura.
• Macinate il kokum e distribuitene un poco sulla guaiava, sui chicchi di
melagrana, sulle verdure cotte, le patate e le minestre.
• Mescolate del kokum macinato allo yogurt.
Kümmel. Un aiuto dopo i pasti
Quando, nel Paese delle Meraviglie, Alice cadde nella tana del
Bianconiglio, era assai rammaricata di non avere con sé uno spazzolino da
denti, ma fortunatamente aveva in tasca una scatola di comfit. Quei dolcetti
al kümmel erano molto diffusi nell’Inghilterra dell’era vittoriana, epoca in
cui i semi di questa varietà di cumino erano tenuti in grande considerazione
per la capacità di rinfrescare l’alito e regolarizzare le funzioni dell’apparato
digerente.
I contadini di quel tempo celebravano il successo della semina primaverile
del grano bevendo birra e mangiando wiggs, un’ulteriore varietà di
pasticcini al kümmel. I più superstiziosi credevano che qualsiasi cosa
venisse a contatto con tali semi non sarebbe stata rubata; di conseguenza, le
donne nascondevano dei semi di kümmel nelle tasche dei mariti nella
speranza che impedissero loro di scappar via. Tale spezia veniva anche
imbottigliata e distribuita come filtro d’amore, per cui venne battezzata
«cumino dei baci».
Tuttavia la popolarità del kümmel presso gli inglesi si dileguò al pari degli
spazzacamini e dei «mutandoni» imposti dalla pruderie vittoriana per
nascondere la gambe dei pianoforti. Forse è giunto il momento di riportare
in auge questa spezia sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti, ove i
problemi postprandiali, quali bruciori, gonfiore, eruttazione, crampi e
nausea, assillano una percentuale stimata intorno al 40% della popolazione.
Recenti studi scientifici hanno dimostrato ciò che Alice e i suoi
contemporanei al di qua dello specchio già sapevano per esperienza diretta:
il kümmel, o cumino dei prati, è uno dei coadiuvanti della digestione più
efficaci in circolazione.
Gli inglesi non sono gli unici storici sostenitori del kümmel. Anche gli
antichi greci, romani ed egizi prendevano in considerazione questa spezia
sia a livello culinario che medico, aggiungendola alla preparazione di pani e
dolci o alla frutta per stimolare la digestione e combattere raffreddori e
bronchiti.
Il kümmel continua ad essere un rimedio tradizionale molto diffuso in
Marocco, ove la gente comune ne mastica i semi leggermente tostati dopo
cena. È anche considerato un modo per prevenire e tenere sotto controllo i
problemi di glicemia. Infatti, nel 2004, alcuni ricercatori marocchini
sperimentarono il rimedio su topi affetti da diabete farmacologicamente
indotto e scoprirono che la somministrazione quotidiana per due settimane
aveva completamente normalizzato i livelli di glicemia degli animali. Tali
risultati «rappresentano una conferma sperimentale» dell impiego
tradizionale dei semi di kiimmef per tenere sotto controllo il diabete di tipo
2, secondo quanto riferito dai ricercatori sulla rivista Journal of
Ethnopharmacology.
Esistono due tipi di kümmel: uno deriva da una pianta annuale originaria
dell’Europa e l’altro proviene da una pianta biennale che cresce in Medio
Oriente: gli intenditori affermano che la qualità migliore è coltivata in
Olanda. Tuttavia, nessuno di questi fattori è rilevante a meno che non si
acquistino le spezie in una drogheria specializzata.
La cosa più importante è acquistare sempre semi di kümmel interi, poiché
la macinatura rilascia gli oli volatili disperdendone l’aroma. Se conservati
in un contenitore a chiusura ermetica in un luogo fresco e lontano dalla luce
del sole, i semi interi si mantengono per due anni o più.
Il kümmel allo stato naturale presenta un aroma leggero e non diffonde il
suo pieno sapore finché il seme non viene cotto.
Il kümmel può contribuire a prevenire e/o curare:
IL KÜMMEL IN CUCINA
Il sapore del cumino dei prati – che taluni ritengono essere un gusto
acquisito – è terroso, simile a quello del finocchio e dell’anice, con un
retrogusto di noce. Pur acquistando i semi interi, per ottenere la massima
intensità di aroma i semi vanno tostati a secco. Tostateli dunque finché non
percepite gli oli volatili liberati dal calore (lo saprete «a naso»), quindi
spegnete immediatamente il fuoco. Qualora lasciati a cuocere troppo a
lungo, i semi diventano amari.
L’aroma del kümmel è intenso e tende a dominare altri sapori. A meno che
non intendiate farlo risaltare, adoperatene meno rispetto ad altre spezie nelle
vostre ricette.
Diseguito, alcuni suggerimenti per utilizzare più kümmel in cucina:
Coaguli Ictus
Indigestione Infezioni batteriche
Ulcera Tumori
Malattie cardiovascolari Infezioni micotiche
Effetti da inquinamento Morbo di Alzheimer
La maggiorana è una graziosa pianticella dai piccoli fiori bianco rosati che
ingentilisce le pendici delle montagne di Francia, Grecia e Italia, e fa dono
del suo aroma alle cucine delle case mediterranee. È altresì un parente
stretto dell’origano – il nome latino è infatti Origanum majorana –, tant’è
che molte persone fanno fatica a distinguerli.
Se nell’antica Grecia le spose e gli sposi indossavano ghirlande di
maggiorana come simbolo di amore e felicità, i greci dei nostri tempi non
hanno mai smesso di amare la maggiorana: il suo profumo nelle
preparazioni di carne e verdure cotte alla griglia all’aperto è un’istituzione
dello stile di vita di questo paese. Ma la maggiorana è anche un ingrediente
essenziale del gyro, un piatto greco che ha acquistato popolarità negli Stati
Uniti e in tutto il mondo.
Anche i francesi adoperano molta maggiorana; è particolarmente
apprezzata nella regione della Provenza, nel sud della Francia, ed è uno
degli ingredienti di base del bouquet garni, il classico mazzetto di erbe
aromatiche. I francesi adoperano sia maggiorana fresca che essiccata per
aromatizzare carne di pollo, agnello, pesce e salse a base di burro.
I tedeschi definiscono la maggiorana «l’erba delle salsicce» e sovente la
abbinano al timo nella preparazione di salsicce fatte in casa.
Gli italiani adoperano la maggiorana nello stesso modo in cui usano
l’origano: per il tipico chef italiano, se un piatto si sposa bene con l’origano,
si sposerà bene anche con la maggiorana.
In cucina, gli americani preferiscono l’origano alla maggiorana, tuttavia
quest’ultima viene comunemente impiegata come conservante in prodotti
alimentari quali salsicce di fegato, mortadella, formaggi, minestre e
condimenti per insalate. Figura anche come aroma nelle salse di produzione
industriale indicate per piatti di pollame.
LA MAGGIORANA IN CUCINA
LE MANDORLE IN CUCINA
Gli sfuggenti semi rosso granata della melagrana – che in India vengono
essiccati e adoperati come spezia – iniziarono a raggiungere la notorietà
come cibo salutare da gourmet negli anni Novanta del Novecento, epoca in
cui gli studi scientifici li collegarono per la prima volta alla salute del cuore
e della prostata. Oggigiorno la melagrana va per la maggiore e la ritroviamo
come aromatizzante in qualsiasi cosa, dall’acqua ai ghiaccioli e ai cocktail.
Ma non è solo di gran moda, è anche eccezionalmente salutare in ogni sua
parte: i semi, la polpa, la buccia, la radice, il fiore, persino la corteccia
dell’albero del melograno traboccano di polifenoli, sostanze antiossidanti di
origine vegetale che combattono le malattie. Gli estratti di semi e il succo di
melagrana presentano un’attività antiossidante da due a tre volte superiore a
quella del vino rosso e del tè verde, vere e proprie superstar in questo
ambito.
Ma laddove molti alimenti e spezie sono ricchi di polifenoli, la melagrana
è uno dei pochi ad esserne la fonte più abbondante di svariati tipi:
flavonoidi, antocianine, acido ellagico, acido punicico e molti altri ancora.
Centinaia di studi scientifici confermano che tale «farmacia» naturale ben
fornita di polifenoli può contribuire a prevenire o trattare diverse malattie,
ivi incluse le tre principali cause di morte tra la popolazione americana,
ossia malattie cardiovascolari, cancro e ictus.
Tali risultati scientifici non sorprenderebbero affatto alcun esponente della
scuola ayurvedica che adotti l’antico sistema indiano di terapia naturale: un
testo dell’Ayurveda, infatti, definisce la melagrana «una farmacia in tutto e
per tutto».
Infarto e ictus sono l’accoppiata che uccide più americani di qualsiasi altro
problema di salute. La causa va ricondotta al fatto che le arterie dirette al
cuore e al cervello si ostruiscono a causa della placca, una fatale
combinazione di colesterolo e detriti cellulari ispessita da processi
infiammatori e ossidativi. Il termine medico che sta ad indicare tale
sciagura circolatoria è aterosclerosi. Volete il nome di una pianta tanto
potente da prevenire e far regredire il problema? È presto detto: il
melograno.
Regressione della placca ateromatosa. Un gruppo di ricercatori israeliani
ha tenuto sotto osservazione 20 pazienti con aterosclerosi a carico della
carotide, cioè l’arteria che decorre lungo il collo e fornisce sangue al
cervello (l’ostruzione di tale arteria conduce a ictus). Solo alO soggetti fu
raccomandato di bere del succo di melagrana. Dopo un anno, gli individui
che avevano bevuto il succo presentavano una riduzione della placca
ateromatosa pari al 30%, mentre quelli che non ne bevvero mostravano un
aumento della placca del 9%. I risultati furono riportati sulla rivista Clinical
Nutrition.
Altri ricercatori dell’Università di Chicago studiarono 189 soggetti, di età
compresa tra i 45 e i 74 anni, che presentavano uno o più fattori di rischio di
patologia cardiovascolare, quali colesterolo alto e ipertensione.
Suddividendoli in due gruppi, somministrarono solo a uno di essi 240 mi di
succo di melagrana al giorno. Nell’arco di un anno, i soggetti che
nell’ambito dello studio presentavano la percentuale di rischio più alta, in
termini di ipercolesterolemia (colesterolo totale e LDL), iperlipidemia
(trigliceridi alti) e livelli elevati di vari altri fattori di rischio, e che furono
inseriti nel gruppo trattato con melagrana mostrarono un tasso di crescita
della placca ateromatosa nettamente inferiore. Le osservazioni furono
pubblicate sull’American Journal of Cardiology.
Recupero di un cuore compromesso. Alcuni medici dell’Università della
California di San Francisco (UCSF) studiarono 45 individui di età media sui
69 anni affetti da malattia cardiovascolare. Quasi la metà aveva già subito
infarti, la maggior parte presentava ipertensione e quasi tutti
ipercolesterolemia. Per arginare gli effetti della patologia, tutti i soggetti
erano sotto terapia con farmaci ipocolesterolemizzanti (statine),
anticoagulanti e antipertensivi.
I ricercatori li suddivisero in due gruppi. Per tre mesi un gruppo bevve 240
mi di succo di melagrana al giorno mentre l’altro gruppo ricevette un
placebo.
All’inizio e al termine di tale periodo, i pazienti di entrambi i gruppi
vennero sottoposti a un test di perfusione miocardica, un tipo di esame
«sotto stress» che si avvale di una particolare tecnica di scansione
tomografica per misurare l’afflusso di sangue al cuore (e le aree di
ischemia) durante l’esercizio fisico.
Dopo tre mesi, il gruppo che aveva bevuto succo di melagrana registrò un
aumento del 17% dell’afflusso di sangue al cuore, mentre nel gruppo
placebo si rilevò una diminuzione del 18%.
È bene sottolineare che i risultati di tali esami hanno particolare rilevanza:
uno studio dimostra che l’elemento predittivo più affidabile dell’eventualità
che un individuo affetto da patologia cardiovascolare vada incontro a un
infarto è proprio l’afflusso di sangue al cuore, quantitativamente
determinato da un test di perfusione miocardica.
Riduzione dell’angina. Gli stessi ricercatori notarono inoltre che gli
episodi di angina (intenso dolore al torace) diminuirono del 50% nel gruppo
che beveva succo di melagrana, mentre erano aumentati del 38% nel gruppo
placebo.
I risultati dello studio furono pubblicati sull’American Journal of
Cardiology.
Aumento dell’ossido di azoto. Il delicato rivestimento delle pareti interne
delle arterie è detto endotelio. In questa sede, un sottile strato di cellule
endoteliali rilascia ossido di azoto (NO), un composto chimico che combatte
l’ossidazione e l’infiammazione mantenendo le arterie giovani e flessibili.
Alcuni esperti sono dell’avviso che un basso livello di ossido di azoto sia la
principale causa dell’aterosclerosi.
I ricercatori dell’Università di Napoli (Italia) e dell’Università della
California di Los Angeles (UCLA) hanno condotto parecchi studi per
determinare gli effetti della melagrana sull’ossido di azoto, ed ecco i
risultati.
• Il succo di melagrana si è rivelato più efficace del succo d’uva Concord,
del succo di mirtilli, del vino rosso, della vitamina C e della vitamina E1 tutti
potenti agenti antiossidanti – nel preservare l’ossido di azoto dalla
distruzione dovuta a processi ossidativi. «Un succo di melagrana possiede
una potente attività antiossidante che fornisce notevole protezione contro
l’abbattimento ossidativo dell’ossido di azoto», conclusero i ricercatori
sulla rivista Nitric Oxide.
• In test di laboratorio, il succo di melagrana ha ridotto l’attività dei geni
che rendono le cellule endoteliali maggiormente soggette a ossidazione e ha
incrementato la produzione di un enzima, la NO sintasi endoteliale, che
svolge un ruolo cruciale nella produzione di ossido di azoto. La melagrana,
conclusero i ricercatori negli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze
americana, può avere una collocazione nella «prevenzione e trattamento
dell’aterosclerosi».
Abbassamento della pressione. Un gruppo di ricercatori israeliani invitò
alcune persone ipertese a bere piccole quantità di succo di melagrana ogni
giorno e, dopo due settimane, si assistette a un calo del 5% della pressione
sistolica (misurazione della massima); i soggetti presentavano inoltre una
diminuzione pari al 31% dell’attività dell’enzima di conversione
dell’angiotensina (in sigla, ACE), ossia l’enzima su cui agiscono i farmaci
antipertensivi cosiddetti ACE-inibitori. Le conclusioni furono riportate sulla
rivista Atherosclerosis: «Il succo di melagrana è in grado di fornire
protezione contro la patologia cardiovascolare».
Crescevano nei Giardini pensili di Babilonia, una delle sette meraviglie del
mondo antico. Sono celebrati nell’Antico Testamento e furono amati dai
popoli dell’antico Egitto e della Magna Grecia. I frutti sono stati simbolo di
salute, fortuna, fertilità e immortalità. La città di Granada, in Spagna, porta
il loro nome (in spagnolo si dice appunto «granaria») e il frutto compare
sullo stemma araldico della città.
La melagrana, recita un articolo comparso sulla rivista Alternative
Medicine Review, «è un frutto antico, mistico e assolutamente peculiare».
Tanto peculiare, infatti, da non essere direttamente commestibile! Quando
si spezza la bacca globosa e la si apre, tuttavia, ecco comparire centinaia di
semi di un profondo colore rosso, annidati in una sorta di scrigno a nido
d’ape come luccicanti granati. Una melagrana contiene all’incirca
cinquecento semi. Di per sé non hanno molto profumo, ma l’esperienza
gustativa quando li si mette in bocca è straordinaria; succosi, dissetanti,
asprigni come mirtilli rossi e con un aroma dolce di acqua di rose.
I melograni originariamente crescevano sulle pendici dell’Himalaya,
dall’India settentrionale all’Iran, ma ora vengono coltivati in tutto il bacino
del Mediterraneo nonché nell’Asia Sud-orientale, nelle Indie orientali e
nelle regioni tropicali dell’Africa.
È possibile imbattersi in questi alberi dalla corteccia grigia, alti da 3 a 5
metri, anche in Arizona e in California, dove furono introdotti dagli
spagnoli nel XVIII secolo. In America il frutto faticò ad acquistare popolarità
poiché estrarre e mangiare i semi è un’operazione alquanto complessa, in
effetti un’operazione molto lenta. Le melagrane furono introdotte sul
mercato per la prima volta solo una decina d’anni fa o poco più, e all’epoca
erano considerate una moda salutista passeggera. Oggi, però, i benefici per
la salute scientificamente comprovati le hanno poste nell’olimpo dei
supereroi dei supermercati. Eppure, quando si parla del frutto, gli americani
ancora si domandano: e adesso, cosa dovrei farci con questo?
Se non si sa come fare, mangiarne i semi può trasformarsi in una scena da
film dell’orrore, il sugo che lascia una traccia rosso sangue su tutto ciò che
tocca: pelle, abiti, tutto, fin sopra i capelli!
In India, dove la melagrana è molto apprezzata, i semi vengono essiccati e
utilizzati come spezia a cui viene dato il nome di anardana, dall’aroma
intenso e deliziosamente fruttato. L’anardana viene adoperata intera o
macinata e la si ritrova in curry e chutney, nei ripieni per le pakora –
antipastini fritti salati – e le paratha, una sorta di pane fritto molto sottile.
Viene impiegata come aroma in modo molto simile all’amchur, una spezia
acidulante ottenuta dal mango acerbo. L’anardana è sovente preferita
all’amchur poiché conferisce un aroma agrodolce anziché solo agro.
In Turchia e in alcune zone del Medio Oriente i semi freschi e il loro succo
sono considerati un aroma essenziale per conferire alle carni e alla verdura
un gusto agrodolce e fruttato. Vengono utilizzati nelle marinate, nelle salse
e nei dessert. I semi, sia freschi che essiccati, vengono sovente distribuiti
sulle insalate e nell’hummus (ceci macinati); inoltre, costituiscono un
ingrediente fondamentale del famoso piatto persiano chiamato fesenjan, uno
stufato di pollo o selvaggina agro il cui sugo viene fatto addensare con
succo di melagrana e noci.
In Medio Oriente è diffusa la melassa di melagrana, che viene preparata
schiacciando i semi per estrame il succo e lasciandola cuocere finché non
raggiunge una consistenza spessa simile a quella della normale melassa ed
altrettanto scura di colore. Ha un sapore di frutti di bosco con un sentore
asprigno di agrume. È abbastanza simile alla granatina, uno sciroppo
analcolico preparato mescolando succo di melagrana e sciroppo di zucchero
caldo e adoperato in numerose ricette di cocktail. Oggi come oggi, non tutte
le «granatine» prodotte industrialmente sono fatte con vero succo di
melagrana.
I semi della melagrana sono molto apprezzati nella cucina messicana. La
cittadina di Puebla è il luogo d’origine del chile en nogada, un peperoncino
poblano farcito con un ripieno estremamente elaborato, affogato nella salsa
di noci e ricoperto di semi di melagrana.
La melagrana è anche conosciuta e adoperata in Russia: il kupati è una
salsiccia aromatizzata alla melagrana ed altre spezie, inclusi il pimento e il
coriandolo.
Negli Stati Uniti la si trova prevalentemente come succo, e viene
impiegata anche per aromatizzare acqua, tè, bibite energetiche, bibite
gassate e cocktail. Uno dei cocktail martini che attualmente vanno più di
moda è il martini alla melagrana, quello preferito da Oprah Winfrey.
LA MELAGRANA IN CUCINA
RESPIRARE MEGLIO
LA MENTA IN CUCINA
Non esiste nulla al mondo che abbia il sapore della noce moscata. L’aroma
dolce e intenso proviene dalla miristicina, un olio volatile presente in
numerose specie botaniche, tra cui le carote, il sedano e il prezzemolo, ma
in quantità più abbondanti nella noce moscata. Sebbene non sia stato
realizzato alcuno studio su soggetti umani, gli scienziati hanno condotto
studi in vitro e in vivo su animali per analizzare il potere terapeutico della
miristicina nonché di altri composti interessanti rinvenuti in tale spezia.
Colesterolo alto. Due studi in vivo condotti da ricercatori indiani hanno
evidenziato che la nóce moscata riduce i livelli di colesterolo totale e delle
nocive lipoproteine a bassa densità (LDL).
Tumori. Alcuni ricercatori della Thailandia hanno scoperto che l’estratto
di noce moscata uccide le cellule della leucemia umana.
Rughe. Un’équipe di ricercatori della Corea del Sud ha testato 150 piante
per individuare un composto che inibisse la elastasi, un enzima che ha la
proprietà di scindere l’elastina, ovvero le fibre di natura proteica che
mantengono la pelle giovanile, tesa e flessibile (quando l’elastina viene
meno la pelle ha un cedimento). La noce moscata fu una delle 6 piante
identificate che presentavano tale capacità. In un articolo apparso
sull’International Journal of Cosmetic Science, i ricercatori conclusero che,
addizionata a un cosmetico, la noce moscata potrebbe avere «effetti anti-
invecchiamento sulla pelle umana». In un altro studio realizzato da
ricercatori coreani, è stato osservato che un composto della noce moscata è
in grado di proteggere la pelle dai raggi UVB del sole, particolarmente
dannosi.
Ansia. In uno studio condotto su animali in India, la noce moscata ha
dimostrato di esercitare un’efficacia simile a quella di comuni farmaci
ansiolitici nell’alleviare i sintomi dell’ansia.
Depressione. Nell’ambito di uno studio condotto su animali e pubblicato
sul Journal of Medicinal Food, il trattamento con noce moscata si è rivelato
efficace quanto i farmaci nel produrre effetti antidepressivi di notevole
rilevanza.
Memoria. In uno studio condotto su animali, alcuni ricercatori indiani
hanno notato che la noce moscata migliora significativamente i processi di
apprendimento e la memoria.
Calo del desiderio sessuale. La noce moscata è uno stimolante del
sistema nervoso centrale e, nella medicina Unani – un sistema terapeutico
che trae origini dall’antica Grecia e attualmente insegnato in India e
Pakistan –, è considerata un afrodisiaco. Per testarne l’impiego in tal senso,
un gruppo di ricercatori indiani ha somministrato in via sperimentale della
noce moscata ad alcuni animali, i quali hanno decisamente gradito! «Il
conseguente rilevante e protratto aumento dell’attività sessuale indica che
l’estratto di noce moscata possiede proprietà afrodisiache che incrementano
la libido», conclusero gli esperti sulla rivista BMC Complementary and
Alternative Medicine.
Epilessia. In uno studio condotto su animali, alcuni ricercatori pakistani
hanno osservato che la noce moscata «esercita una notevole attività
anticonvulsivante» che consente di prevenire le crisi epilettiche. I risultati
della ricerca sono stati pubblicati su Phytotherapy Research.
Diarrea. Nell’ambito di uno studio condotto da ricercatori brasiliani, la
miristicina uccise il 90% dei rotavirus, vale a dire la causa virale più
comune della diarrea. Sul Journal of Ethnopharmacology, i ricercatori
conclusero che la noce moscata «può essere d’ausilio nel trattamento della
diarrea nell’uomo qualora l’agente eziologico sia un rotavirus». Un altro
studio ha evidenziato che il Medbarid, un rimedio ayurvedico contenente
noce moscata, è un presidio naturale efficace per la diarrea.
Ansia Tumori
Colesterolo Depressione
Diarrea Epilessia
Calo desiderio sessuale Rughe
L’aroma della noce moscata risulta più ricco nel momento in cui la si
grattugia e, pertanto, raccomando di grattugiarla direttamente sul cibo nel
momento in cui la ricetta indica di aggiungerla. Il sapore risulta migliore se
introdotta verso la fine della cottura.
La noce moscata è una delle spezie privilegiate per aromatizzare torte,
ripieni per crostate e sfoglie, ma è favolosa anche nelle preparazioni salate.
Un pizzico di noce moscata a fine cottura in un brasato o nelle casserole
che richiedono una cottura lenta, ad esempio, conferisce un profumo dolce e
speziato e un’ulteriore dimensione aromatica.
La noce moscata e i prodotti caseari formano un connubio perfetto. La
noce moscata si insinua tra le pingui note del latte, della panna, delle uova,
del formaggio e delle creme pasticcere, e si abbina particolarmente bene a
salse bianche ricche e addensate con farina. È un complemento perfetto per
piatti a base di patate e verdure dal sapore deciso, come cavolfiori,
melanzane, cavolini di Bruxelles e spinaci.
Di seguito, alcuni suggerimenti per arricchire di noce moscata la vostra
dieta:
L’origano è una pianta perenne che non richiede particolari cure e viene
coltivata in numerose regioni del mondo, inclusi gli Stati Uniti. Gli amanti
delle spezie sostengono che l’origano migliore viene dalla Turchia. Poiché
gli Stati Uniti sono uno dei maggiori importatori di origano turco, le
probabilità che sia proprio quella la varietà acquistata sono molto alte.
Tuttavia, anche l’origano greco viene importato negli Stati Uniti e, pertanto,
l’unico modo per sapere con certezza da dove proviene, è acquistare la
spezia presso un rivenditore specializzato che saprà sicuramente indicarvi il
paese di origine.
È possibile comprare origano fresco, essiccato e macinato. L’aroma
dell’origano essiccato è più robusto di quello fresco, e viene privilegiato
rispetto a quello macinato in quanto ha più profumo. L’origano essiccato si
mantiene per circa un anno se conservato in un contenitore ermetico lontano
dalla luce e in un luogo fresco.
Il sapore dell’origano è pungente e balsamico e tale caratteristica deriva
dal carvacro-lo e dal timololo, due sostanze volatili che possono variare di
intensità a seconda del luogo di coltivazione della pianta. L’origano più
forte proviene dalla Turchia; in paragone, se l’origano viene coltivato nel
giardinetto delle aromatiche dietro casa e poi fatto essiccare, risulta
delicato.
L’origano è talvolta definito «maggiorana selvatica» e viene sovente
confuso con la maggiorana, a sua volta chiamata «maggiorana gentile».
Sebbene tali erbe facciano entrambe parte della medesima famiglia botanica
e vengano spesso adoperate in modo intercambiabile in cucina, a livello di
sapore presentano solo una vaga somiglianza.
L’ORIGANO IN CUCINA
Vari scienziati in ogni parte del mondo hanno scoperto come il pepe nero
possa migliorare la salute sotto numerosi altri aspetti.
Sollievo dall’artrite. Alcuni ricercatori coreani hanno analizzato gli effetti
della piperina sull’artrite in due modi: hanno aggiunto dell’estratto di pepe
nero a una coltura di cellule umane dell’artrite reumatoide e l’hanno
somministrata ad alcuni animali affetti da artrite indotta sperimentalmente.
Nelle cellule umane, la piperina ha ridotto alcuni agenti responsabili
dell’aggravamento del processo flogistico, segno distintivo dell’artrite
reumatoide, mentre negli animali ha ridotto l’infiammazione ed altri
sintomi dell’artrite. Su Arthritis Research & Therapy, gli studiosi
conclusero che la piperina potrebbe trovare una sua collocazione come
«integratore alimentare per il trattamento dell’artrite».
Prevenzione del morbo di Alzheimer. Alcuni scienziati tailandesi hanno
analizzato gli effetti della piperina su animali che presentavano alterazioni
cerebrali analoghe a quelle riscontrate nel morbo di Alzheimer e hanno
rilevato che l’estratto «migliorava significativamente i disturbi di memoria
e la degenerazione neuronaie (la distruzione delle cellule cerebrali)».
Miglioramento delle funzioni cerebrali. In un altro studio, la medesima
équipe osservò che, una volta somministrata ad animali, la piperina
esplicava «un’attività antidepressivo-simile e un effetto di miglioramento
delle funzioni cognitive».
Miglioramento della stabilità posturale nell’anziano. Alcuni ricercatori
giapponesi hanno scoperto che annusare olio di pepe nero consentiva una
maggiore stabilità della postura eretta (riducendo pertanto il rischio di
cadute) in 17 individui di 78 anni e di età superiore. «La stimolazione
olfattiva» mediante pepe nero «potrebbe migliorare la stabilità posturale nel
soggetto anziano», conclusero in un articolo pubblicato su Gait and
Posture.
Miglioramento della disfagia post-ictus. In seguito a un ictus molte
persone soffrono di disfagia, ossia hanno difficoltà a deglutire. La stessa
équipe di ricercatori giapponesi osservò che annusare olio di pepe nero per
1 minuto contribuiva a migliorare la capacità di deglutire in oltre 100
soggetti reduci da un ictus. Le conclusioni pubblicate sul Journal of the
American Geriatrie Society furono che «l’inalazione della frazione volatile
dell’olio di pepe nero può essere di beneficio nei pazienti che hanno subito
un ictus e presentano disfagia, indipendentemente dal livello di coscienza o
di stato fisico e mentale».
Un aiuto per i bambini cerebrolesi nutriti con sondino. In un terzo studio, i
medesimi esperti giapponesi hanno osservato che l’inalazione della frazione
volatile dell’olio di pepe nero era in grado di stimolare l’appetito in bambini
con danno neurologico e nutriti con un sondino gastrico, invogliandoli così
a mangiare più cibi solidi.
Cessazione del fumo. Gli scienziati del Nicotine Research Laboratory di
Durham, nella Carolina del Sud, hanno osservato che nei fumatori la voglia
di sigaretta si riduceva dopo avere inalato vapori contenenti olio essenziale
di pepe nero. Nelle conclusioni pubblicate su Drug and Alcohol
Dependency argomentarono che «i prodotti sostitutivi della sigaretta che
forniscono componenti del pepe potrebbero dimostrarsi utili negli interventi
di cessazione del fumo».
Riduzione dell’ipertensione. Uno studio condotto da ricercatori pakistani
e apparso sulla rivista Journal of Cardiovascular Pharmacology ha
dimostrato che la piperina riduce la pressione arteriosa in animali da
laboratorio.
Prevenzione delle malattie cardiovascolari. Si sa che le diete ricche di
grassi e le malattie cardiovascolari vanno a braccetto ma, a tale proposito,
alcuni studiosi indiani hanno scoperto che gli animali da laboratorio nutriti
con una dieta ricca di grassi e pepe nero presentavano livelli decisamente
inferiori di ossidazione, uno stadio cruciale del processo che trasforma il
colesterolo alimentare in placche che vanno ad ostruire le arterie. Gli esperti
ne conclusero che «l’integrazione con pepe nero o piperina può ridurre lo
stress ossidativo delle cellule indotto da una dieta ad elevato contenuto di
grassi».
Trattamento dell’ipertiroidismo. Un’équipe di ricercatori indiani ha
osservato che la piperina esplica un’azione tanto efficace quanto quella di
farmaci specifici nel trattamento dell’iperattività tiroidea in soggetti
animali.
Protezione dell’udito. Come evidenziato da alcuni ricercatori coreani, la
piperina protegge le cellule della coclea (l’organo sensoriale dell’udito
all’interno dell’orecchio) da danni chimici. Il danno cocleare conduce alla
perdita dell’udito.
Regressione della vitiligine. La malattia della cute nota come vitiligine –
una disfunzione delle cellule che producono il pigmento cutaneo dette
melanociti – genera la comparsa sulla pelle di chiazze irregolari color
avorio. Alcuni ricercatori della Gran Bretagna hanno scoperto che la
piperina promuove la crescita dei melanociti e ne hanno pubblicato il
riscontro sul Journal of Pharmacy and Pharmacology. «Tale osservazione
conferma e legittima l’uso tradizionale (del pepe nero) nella cura della
vitiligine».
Tra tutte le spezie adoperate in cucina, il pepe nero è quella più utile e
indispensabile. Quando ci si trova di fronte a un piatto poco appetitoso, una
previdente macinata di pepe può salvare l’intero pasto.
Poiché il sapore robusto del pepe nero viene per lo più associato a cibi
particolarmente saporiti, adoperatelo senza problemi su carni rosse,
selvaggina, frutti di mare, fagioli e lenticchie, ma usatelo con parsimonia
sulle pietanze più delicate.
È tuttavia possibile mettere il pepe nero su qualsiasi cosa, persino la frutta.
I frutti di bosco, le mele, le pere e finanche il formaggio non disdegnano un
pizzico di pepe nero macinato al momento. Vi consiglio inoltre di
utilizzarlo per insaporire minestre, carni in umido, pesce e pollame.
Tenete sempre del pepe bianco a portata di mano nel caso desideriate
conferire a un piatto un po’ di carattere senza sopraffare gli altri aromi.
Inoltre, è sempre bene aggiungere il pepe a liquidi di cottura e salse
all’ultimo minuto; se aggiunto troppo presto durante la cottura, perde il suo
aroma fragrante e può lasciare un retrogusto amarognolo difficile da
eliminare.
Conservate i grani in un macinapepe di metallo, plastica o vetro ma non di
legno, poiché il legno sottrae al pepe gli oli volatili.
Ed ecco ancora qualche suggerimento per arricchire ulteriormente di pepe
la vostra dieta:
• Strofinate le carni rosse con del pepe nero macinato grosso prima di
grigliarle, arrostirle o brasarle. Non siate avari: la carne ne può sopportare
parecchio.
• Aggiungete dei grani interi alle marinate, ai brodi e alle preparazioni
sottovetro.
• Affettate le fragole su un letto di crescione e date una generosa
spolverata di pepe nero macinato, quindi condite il tutto con una vinaigrette
leggera di aceto balsamico.
• Aggiungete del pepe pestato ai condimenti per insalate fatti in casa.
• Mettete in tavola un macinapepe anziché una pepiera con del pepe già
macinato.
Peperoncino. Il grande medico
È buffo che in inglese la spezia più piccante al mondo sia chiamata chile.
E poi vi è un continuo dibattito sulla corretta ortografia: chile, chilli o chili?
E perché non scrivere addirittura chilly? (sottile ironia dell’autore poiché
«chilly» significa «freddo», quanto di più distante dal bruciore associato al
peperoncino? [N.d.T.]).
Quanti si professano «custodi della verità» (per così dire), si rimettono al
termine spagnolo chile anziché alla dizione americana chili, o chilli,
sinonimo di cucina messicana. E dunque, chile sia. Tuttavia, poco importa
come si scrive o come si pronuncia purché sappiate cosa indichi, e cioè
piccantezza: una vampata persistente che può andare dal forte all’infuocato.
Il peperoncino deriva il suo ardente marchio di fabbrica dalla capsaicina,
un alcaloide concentrato per lo più all’interno dei semi e delle membrane
interne, e quanto più elevato è il contenuto di capsaicina, tanto più il
peperoncino è piccante. È molto semplice: se non è piccante, non c’è
capsaicina, se non c’è capsaicina, non è peperoncino.
La capsaicina è indistruttibile: né caldo, né freddo, né acqua riescono ad
estinguerne il «fuoco», un fuoco così feroce da essere in grado di
«incenerire» una vasta gamma di malattie. E quanto più il peperoncino è
piccante, tanto più è efficace a livello terapeutico. Ma non abbiate paura:
non è necessario avere una soglia del dolore alta per trame beneficio. Tutte
le varietà di peperoncino, infatti, hanno proprietà curative.
L’effetto salutare della capsaicina viene esaltato da tutta una serie di
vitamine antiossidanti presenti nel peperoncino. A parità di peso, un
peperoncino contiene nove volte più vitamina A del pepe verde e il doppio
di vitamina C dell’arancia. È anche ricco di minerali, tra cui potassio e
magnesio.
Negli ultimi vent’anni sono stati pubblicati migliaia di studi scientifici che
descrivono i benefici terapeutici del peperoncino. Ecco di seguito alcune
delle notizie «più piccanti».
UN ANTIDOLORIFICO SPERIMENTATO
Quando si morsica un peperoncino, la capsaicina scatena il rilascio di un
neurotrasmettitore, chiamato sostanza P, che ordina al cervello di
trasmettere il dolore lungo le fibre nervose. Tuttavia, la capsaicina sviluppa
una tolleranza alla sostanza P: quanti più peperoncini si mangiano, minore è
lo stimolo della capsaicina che innesca il rilascio di tale sostanza.
Contemporaneamente, promuove il rilascio di somatostatina, un ormone
che calma le infiammazioni. Ecco perché i più irriducibili amanti del
peperoncino riescono a trangugiare serenamente una salsa habanera, un
condimento così piccante da lasciare i neofiti letteralmente agonizzanti. Di
fatto, le papille gustative si desensibilizzano al bruciore.
Le persone che lamentano dolori importanti producono anch’esse molta
sostanza P, e la capsaicina influisce sul dolore in modo analogo. Quando si
spalma sulla pèlle una pomata a base di capsaicina sulla zona dolorante,
subito si percepisce una sensazione di calore e di bruciore causata dalla
sostanza P. Tuttavia, l’applicazione ripetuta, solitamente per un periodo di
tre giorni, riduce e alla fine blocca la sostanza P, eliminando il dolore e
rilasciando somatostatina che promuove il processo di guarigione.
Vari studi hanno dimostrato che le pomate contenenti capsaicina,
approvate dalla Food and Drug Administration (FDA), l’ente per il controllo
degli alimenti e dei farmaci
statunitense, possono esercitare un effetto anestetico profondo e duraturo
su svariate condizioni dolorose. La maggior parte degli studi indica che le
pomate a base di capsaicina recano sollievo nel 75% dei soggetti che ne
fanno uso, e agisce efficacemente anche in presenza di dolori importanti. Lo
Zostrix, ad esempio, è una pomata contenente capsaicina approvata dalla
FDA e acquistabile su ricetta medica, che viene prescritta per alcuni degli
eventi più dolorosi in cui si può incappare, come le nevralgie associate alla
mastectomia o il dolore postoperatorio nei casi di amputazione.
L’unico svantaggio della pomata è il bruciore iniziale, che in alcuni
individui può causare arrossamento cutaneo e irritazione. Ciò nonostante, il
resoconto di uno studio pubblicato sugli Archives of Internal Medicine
dichiara che la pomata a base di capsaicina era il trattamento di elezione
preferito da 100 pazienti anziani affetti da osteoartrite grave a carico delle
ginocchia.
Di seguito sono elencati gli ambiti di impiego in cui tale pomata si è
rivelata più efficace.
Artrite. La capsaicina non solo offre sollievo dal dolore alle persone
affette da osteoartrite, ma gli studi indicano che aumenta anche la
produzione di liquido sinoidale, il quale lubrifica le articolazioni e
contribuisce a prevenire la distruzione della cartilagine. Tutto ciò si traduce
in una riduzione del dolore e un’aumentata flessibilità.
In uno studio condotto dai ricercatori della Facoltà di Medicina
dell’Università di Miami, alcuni soggetti affetti da osteoartrite al ginocchio
applicarono alla parte dolorante, quattro volte al giorno, una formula con
capsaicina titolata allo 0,025%, altri applicarono una normale pomata. Dopo
due mesi, i pazienti trattati con capsaicina registrarono una apprezzabile
riduzione del dolore e, nell’arco di tre mesi, l’81% riferì una diminuzione
dei sintomi dell’artrite, tra cui la rigidità mattutina. Viceversa, solo il 54%
degli individui che ricevettero il placebo riferì un miglioramento. Lo studio
è stato pubblicato su Seminars in Arthritis and Rheumatism.
Dolore neuropatico. Uno studio realizzato presso l’Università della
California di San Francisco ha evidenziato che l’applicazione di una pomata
ad elevato contenuto di capsaicina riduceva significativamente il dolore
nevralgico (neuropatia) debilitante e cronico associato a svariate tipologie
di disturbi. Sette pazienti su dieci sperimentarono un miglioramento fino al
50%.
Uno studio pubblicato sul British Journal of Clinical Phaxmacology,
condotto su 200 pazienti che avevano subito lesioni ai nervi, ha dimostrato
che la pomata a base di capsaicina «riduce significativamente» il dolore
lancinante e la sensazione di formicolio e intorpidimento.
Nevralgia posterpetica. Il fuoco di Sant’Antonio (herpes zoster), che
tipicamente colpisce soggetti di mezza età o anziani, si manifesta con la
comparsa di vescicole su base eritematosa scatenata dallo stesso virus che
durante l’infanzia aveva provocato la varicella. In molte persone sofferenti
di herpes zoster, la riattivazione del virus produce danni a carico dei nervi
dando luogo a un quadro estremamente doloroso che può durare per
settimane (e talvolta anni) definito «nevralgia posterpetica». La FDA ha
approvato un cerotto cutaneo, commercializzato con il nome di Qutenza e
acquistabile su ricetta medica, contenente capsaicina sintetica pura e
concentrata per alleviare la nevralgia posterpetica.
Neuropatia diabetica. Nell’ambito di uno studio, un’équipe di ricercatori
ha assegnato in modo casuale una pomata a base di capsaicina e un placebo
per il trattamento di 250 persone affette da neuropatia diabetica, una
complicanza frequente del diabete che determina un danno nervoso sovente
a carico delle gambe e dei piedi. I pazienti che utilizzarono la pomata di
capsaicina registrarono una riduzione dei sintomi approssimativamente del
70%.
«Fatta eccezione per il temporaneo bruciore iniziale, la capsaicina offre
parecchi vantaggi rispetto agli analgesici orali», scrissero i ricercatori sulla
rivista Archives of Internal Medicine, menzionando tra questi la totale
sicurezza, un minor numero di effetti collaterali e un minor numero di
interazioni con altri farmaci.
Dolore cervicale. I medici dell’Ospedale Militare Walter Reed di
Washington D.C. hanno trattato 23 pazienti con cervicalgia cronica mediante
una pomata contenente capsaicina titolata allo 0,025% e prescrivendone
l’applicazione quattro volte al giorno. Dopo un mese, i medici sottoposero
ai pazienti un questionario; tra le domande vi era questa: «Se il dolore
tornasse e vi fosse data una scelta, scegliereste di utilizzare nuovamente la
pomata?». Il 75% dei pazienti rispose affermativamente. Lo studio fu
pubblicato sull’American Journal of Physical Medicine & Rehabilitation.
Mal di testa. In 52 persone sofferenti di emicrania a grappolo, la
capsaicina applicata sul naso ridusse drasticamente i sintomi dolorosi.
Secondo i risultati pubblicati sulla rivista Pain, il 70% dei pazienti aveva
tratto beneficio dall’applicazione di capsaicina sulla narice corrispondente
al lato del capo in cui si sviluppava l’emicrania.
Dai reperti di decine di studi, inclusi quelli eseguiti nel mio laboratorio
presso il Centro Oncologico M.D. Anderson, risulta che la capsaicina provoca
la morte delle cellule tumorali in soggetti animali e colture di cellule
umane. A onor del vero, i primi studi sul cancro e il peperoncino avevano
prodotto risultati discordanti; alcuni suggerivano che il consumo di
peperoncino era addirittura responsabile di determinati tipi di neoplasie, tra
cui il tumore del colon. Tuttavia, è stato provato che la capsaicina reperibile
in commercio e utilizzata nei primi studi poteva essere stata contaminata da
impurità potenzialmente cancerogene, mentre la ricerca più recente e quella
tuttora in corso impiega capsaicina pura.
Un’ulteriore divergenza sorse quando i ricercatori dell’Università dello
Utah trovarono una correlazione tra il consumo alimentare di peperoncino e
un’elevata incidenza di tumori gastrici nei messicani emigrati in America e
nelle comunità Cajun e creole degli Stati Uniti. Tuttavia, tale situazione non
è data in tutte le nazioni in cui si mangia peperoncino, per cui sono più
propenso a credere (e con me numerosi altri scienziati) che vi sia
qualcos’altro nella dieta di tali individui che sta incrementando il rischio
tumorale. Inoltre, come leggerete fra poco, i peperoncini di fatto fanno bene
allo stomaco.
La verità è che, nell’ultimo decennio, circa un centinaio studi in vitro e in
vivo condotti su animali hanno evidenziato una forte correlazione tra
consumo di peperoncino e prevenzione dei tumori, tra cui quelli a carico del
seno, dell’esofago, dello stomaco, del fegato, della prostata, del cervello e
le leucemie.
Carcinoma della prostata. Nel corso di un esperimento, i ricercatori del
Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles osservarono che la capsaicina
aveva indotto la morte delle cellule tumorali, in una percentuale pari
all’80%, in animali affetti da car cinoma della prostata farmacologicamente
indotto, e le dimensioni delle masse tumorali residue erano
circa un quinto di quelle osservate nei topi non trattati. La capsaicina
aveva inoltre ridotto i livelli di antigene prostatico specifico (PSA), un
bioindicatore che segnala la presenza di un tumore maligno nell’individuo
maschio. Il dottor H. Philip Koeffler, primario del reparto di ematologia e
oncologia del Cedars-Sinai, dichiarò che non è da escludere che la
capsaicina possa essere impiegata in futuro per prevenire le recidive del
carcinoma della prostata negli uomini già colpiti da tale patologia.
Carcinoma mammario. L’équipe del Cedars-Sinai sta riscontrando un
analogo successo per quanto riguarda il cancro al seno. Secondo la rivista
Oncogene, la capsaicina avrebbe inibito cellule di carcinoma umano della
mammella in esperimenti in vitro e ridotto la massa tumorale del 50% in
animali da laboratorio. I ricercatori riferiscono che la capsaicina «può
essere potenzialmente impiegata nel trattamento e nella prevenzione del
carcinoma mammario umano».
IL PEPERONCINO IN CUCINA
UN POTENTE ANTIOSSIDANTE
Difficile da riprodurre
Benché non ve ne rendiate conto, è probabile che conosciate già bene tale
spezia. E un aroma naturale comunemente utilizzato in bevande gassate,
chewing gum, ketchup, salse da barbecue, pàté, terrine di carne, pesce
affumicato e carni in scatola. Potreste persino esservelo spruzzato addosso:
il pimento, infatti, viene abitualmente impiegato per dare fragranza a
cosmetici e persino deodoranti; se sull’etichetta di uno di questi prodotti
viene indicato «spezia», potete scommettere che si tratta del pimento.
Il pimento viene altresì adoperato per aromatizzare i liquori benedettini e
le chartreuse, e se avete mai provato il liquore giamaicano chiamato
pimento dram, avete bevuto del rum aromatizzato al pimento.
Tale spezia è un ingrediente comune nei curry, nelle droghe per vini
speziati e, ovviamente, nel jerk. Tuttavia è maggiormente noto come agente
conservante: i giamaicani impiegavano il pimento per conservare la carne
appena macellata e il pesce pescato molto prima che Cristoforo Colombo lo
«scoprisse» e lo riportasse con sé in Spagna. Oggi il pimento figura tra gli
ingredienti principali del pescado en escabeche spagnolo, ossia pesce fritto
e poi marinato in olio, aceto e bacche di pimento intere. I marocchini lo
utilizzano nelle tajine – pietanze a base di carni in umido sottoposte a lenta
cottura in speciali piatti di terracotta – e in Medio Oriente è un ingrediente
fondamentale del kibbeh, un piatto a base di bulgur e carne trita.
I messicani lo usano per aromatizzare il cioccolato, una consuetudine che
risale agli antichi maya, ed è un ingrediente essenziale del recado rojo, una
mistura di spezie macinate nonché un condimento popolare nelle cucine
tradizionali di Porto Rico e dello Yucatan messicano.
Negli Stati Uniti, viene più comunemente impiegato nei dessert ed è
l’ingrediente che conferisce alla torta di zucca il suo caratteristico aroma.
Insieme al cioccolato è l’ingrediente segreto del chili «stile Cincinnati», che
prende il nome dalla città che vanta il maggior numero di locali
specializzati in chili di qualsiasi altra zona degli Stati Uniti.
Benché il pimento non abbia mai raggiunto lo status di spezia
particolarmente ambita in Europa, i tedeschi ne fanno ampio uso: lo
utilizzano per aromatizzare piatti di pesce e carne e nella preparazione di
salsicce. Inoltre, è una delle quattro spezie del mix francese noto come
quatre épices, mentre gli inglesi lo adorano nelle torte di frutta. Gli
scandinavi possono contare sul pimento per la preparazione di aringhe
marinate; le piccole palline scure che si vedono nei barattoli di aringhe non
sono pepe, come comunemente si crede, bensì pimento. Colombo non fu
dunque l’unico ad essere ingannato da Madre Natura.
Il pimento può contribuire a prevenire e curare: disturbi della menopausa,
pressione alta (ipertensione).
Colesterolo Demenza
Tumori Morbo di Parkinson
Osteoporosi Sterilità maschile
Pressione alta Malattie cardiovascolari
Si dice che fu un uomo assai coraggioso colui che per la prima volta
assaggiò un’ostrica cruda, ma forse tale nota di merito dovrebbe andare alla
prima persona che affondò i denti in un pomodoro. I pomodori rimasero nei
paraggi sulle loro pianticelle per un secolo, o giù di lì, prima di riuscire a
metter piede nelle cucine degli europei: la gente resisteva alla tentazione di
quel pomo rosso e succulento perché temeva fosse velenoso.
Quando i semi di pomodoro sbarcarono per la prima volta in Europa
attraverso la Spagna, verso la metà del 1500, la gente rimase scioccata dal
fatto che tale pianta fosse parente di un’altra pianta dalla reputazione
micidiale: la belladonna, il più famigerato membro della famiglia botanica
delle solanacee. Secondo gli storici della gastronomia non vi sono prove
che il pomodoro venisse mangiato o utilizzato in cucina, e questo per oltre
un secolo dal suo arrivo in Europa. Non comparve nessuna menzione
sull’uso del pomodoro in una preparazione culinaria in alcun ricettario del
continente fino alla metà del 1600, e ci vollero altri cinquantanni perché
diventasse un alimento comune.
Come si sia riusciti a superare tale pregiudizio nei confronti del pomodoro
non è ancora chiaro, ma non è escluso che abbia qualcosa a che fare con la
sua leggendaria reputazione di afrodisiaco. Forse, come Adamo, un uomo
più curioso di altri non riuscì a resistere alla tentazione, e così nacque il
nomignolo che gli affibbiarono nel 1700: pomo d’amore.
A proposito: i primi allarmisti non avevano del tutto torto. Le foglie della
pianta del pomodoro contengono effettivamente un alcaloide tossico; in
piccole dosi non è abbastanza forte da nuocere a un essere umano ma
potrebbe intossicare un cane o un gatto. Di fatto, alcuni cuochi aggiungono
una foglia o due di pomodoro al termine della preparazione di un sugo per
ripristinare parte del sapore fresco che si è perso durante la cottura.
IL NESSO CERVELLO-LICOPENE
IL POMODORO IN CUCINA
Gli americani usano molto prezzemolo: nella graduatoria degli aromi più
largamente adoperati risulta al terzo posto dopo sale e pepe. Ciò nonostante,
ne consumano quantità neanche lontanamente paragonabili a quelle delle
popolazioni del Medio Oriente, che ne fanno un uso decisamente massiccio.
Quasi ogni nazione del Medio Oriente e dell’area orientale del
Mediterraneo ha la propria versione di tabulò, un’insalata contenente
prezzemolo e grano bulgur in parti uguali condita con olio di oliva,
cipollotti e menta. In Libano, dove è nato il tabulè, gli chef preferiscono
usare molto più prezzemolo che grano, e «correggono» l’insalata con
cannella e pimento. Il baba ghanoush è un altro piatto tipico mediorientale
abbondantemente arricchito di prezzemolo e, al pari del tabulò, è diventato
popolare negli Stati Uniti.
Di fatto, il prezzemolo sta alla base di numerose preparazioni
gastronomiche in diverse parti del mondo.
La gremolata, un trito di prezzemolo, aglio e scorza di limone, è la
classica rifinitura per l’ossobuco, una specialità italiana della città di
Milano.
In Francia, aglio e prezzemolo costituiscono la mise en place per ogni
chef, vale a dire la base di molte ricette. È, ad esempio, il punto di partenza
per la persillade (che include anche olio e aceto), una salsa nonché un
condimento utilizzato nella cucina francese e greca oltre che neH’arte
culinaria Cajun e creola della Louisiana. I tedeschi preferiscono una varietà
di prezzemolo detta «di Amburgo» o radice di prezzemolo, dal sapore forte
e dalla consistenza del sedano; in effetti, ha un gusto molto vicino a quello
del sedano abbondantemente aromatizzato di prezzemolo. Il prezzemolo di
Amburgo in passato ha goduto di un breve momento di popolarità negli
Stati Uniti ma ora è praticamente caduto nell’oblio. In Gran Bretagna, gli
inglesi hanno sempre mostrato una certa predilezione per il prezzemolo fin
dai tempi di Enrico VIII, il quale ne amava il sapore che conferiva alle salse
bianche.
La cucina argentina è rinomata per il chimichurri, una salsa di colore
verde intenso utilizzata come accompagnamento per carni alla griglia e
adoperata anche come marinata. Il prezzemolo compare altresì nella
versione cubana del sofrito, una celebre salsa piccante nella cultura latina,
per ammorbidirne il gusto.
È difficile, invece, che troviate del prezzemolo nelle cucine di origine
asiatica, ove il sapore molto più deciso delle foglie fresche di coriandolo
viene preferito a tale spezia.
IL PREZZEMOLO IN CUCINA
Il rafano sta alle spezie come le mele stanno alla torta: un modello di
americanità. Si stima che l’85% del rafano mondiale venga coltivato
proprio in America e buona parte viene trattenuta ad uso del mercato locale:
gli americani, infatti, consumano quasi 23 milioni di litri (di salsa) di rafano
all’anno!
Tuttavia, il rafano non è un prodotto esclusivamente americano. Originario
dell’area del Mediterraneo, nel XV secolo era già coltivato in Gran
Bretagna, dove veniva descritto come hoarse, a significare una radice «di
natura coriacea e forte» (in inglese, «hoarse» significa «rauco», mentre il
termine per rafano è «horseradish», letteralmente «radice del cavallo»
[N.d.T.]).
Il rafano allo stato naturale non ha odore, ma se si incide la polpa essa
sprigiona un effluvio pungentissimo, tale da aprire i seni nasali anche nel
peggior momento della stagione delle allergie. Non stupisce dunque che sia
stato adoperato come rimedio naturale molto prima di venire usato come
alimento. Grazie alla capacità di stimolare le mucose, in passato i medici lo
impiegavano per trattare raffreddori, tosse, calcoli renali, infezioni del tratto
urinario e, ovviamente, la raucedine.
Cosa conferisce al rafano tanta forza terapeutica? È la sinigrina, un olio
volatile che si scinde in isotiocianato di allile, un potente antibiotico di
origine naturale. Con ogni probabilità, l’isotiocianato di allile è la sostanza
che ne spiega la provata efficacia nel trattamento dei disturbi delle vie aeree
superiori, tuttavia non è l’unico agente terapeutico presente in tale spezia. A
parità di peso, il rafano contiene un numero di composti
farmacologicamente attivi superiore a qualsiasi altra spezia e, lasciatemi
aggiungere, composti molto attivi, in grado di decongestionare, ridurre il
gonfiore delle mucose irritate, alleviare infiammazioni, sopprimere gli
agenti ossidanti che provocano danni cellulari, contrastare virus e batteri,
rilassare i muscoli, stimolare il sistema immunitario e persino combattere il
cancro. Tutto ciò fa dell’umile rafano una spezia davvero speciale. Come
dice il dottor James A. Duke, noto botanico ed esperto di spezie, «il rafano
è utile nell’armadietto dei medicinali quasi quanto lo è sulla mensola delle
spezie».
UN ANTIBIOTICO NATURALE
Il rafano giunse per la prima volta negli Stati Uniti nei primi decenni del
1600 insieme ai primi coloni, ma in realtà il suo enorme successo come
condimento decollò verso la metà del 1800, quando gli immigranti tedeschi
e polacchi portarono con sé in America la loro passione per questa spezia e
le loro ricette. Era diventato così popolare come condimento per carni e
pesce che nel 1869 un giovane imprenditore di nome Henry J. Heinz ebbe
l’idea di mescolarlo all’aceto per garantirne la conservazione, confezionarlo
in piccoli barattoli di vetro per «esibirne la purezza» e, con tanto di paniere
al braccio, venderlo porta a porta al vicinato della sua città natale,
Pittsburgh, in Pennsylvania. Il successo del rafano Heinz aumentò fino a
tramutarsi nel primo articolo alimentare d’America prodotto per il mercato
di massa, e la leggenda locale vuole che Heinz abbia grattugiato tanto di
quel rafano nella cantina della casa dei genitori che la gente riusciva ancora
a sentire l’odore dei potenti vapori esalare attraverso le assi del pavimento
molto tempo dopo il trasferimento del laboratorio altrove.
Oggi il rafano ricopre un ruolo culinario di primo piano sia negli Stati
Uniti che in Europa. In America lo si utilizza per trasformare un
comunissimo ketchup in una salsa cocktail «stappa-narici», l’onnipresente
salsa tradizionalmente servita con gamberi lessi e molluschi crudi.
Rappresenta anche un apprezzato supplemento al cocktail di succo di
pomodoro e vodka noto come Bloody Mary, e lo si ritrova sovente sui
banconi dei bar e dei ristoranti di pesce accanto a una ciotola di cracker
salati per accompagnare ostriche e altri molluschi. È il condimento classico
presente sui tavoli delle «steakhouse» e sui banconi di tutti i fast food da
costa a costa. Ogni giugno, la cittadina di Collinsville, nell’llinois,
autoproclamatasi capitale mondiale del rafano, ospita il Festival
Intemazionale del Rafano, che esibisce ogni genere di competizione
dedicata alla spezia, incluso un concorso di bellezza per la nomina di Miss
Rafano.
Ma, rimanendo in tema di culto del rafano, il primo premio va ai tedeschi,
i quali seguono ancora la rigida usanza di grattugiare la grossa e dura radice
e servirla fresca.
I tedeschi amano svisceratamente il rafano perché il suo gusto energico
stempera il sapore grasso delle salsicce e degli insoliti tagli di carne che
costituiscono la dieta standard di tale nazione. La cucina tedesca vanta
innumerevoli ricette per la salse di rafano: esistono salse di rafano all’aceto,
al limone, al pane, alla panna, alla birra e, celebre fra tutte, la
Apfelmeerrettich, una salsa di rafano e mele verdi asprigne. Ed è tutt’altro
che insolito vedersi portare in tavola le Meerettichkartofeln, le patate al
forno in salsa di rafano.
Anche gli europei dell’est e gli scandinavi hanno le loro tradizioni legate
al rafano.
In Norvegia, ad esempio, la radice grattugiata viene lavorata con panna
acida, zucchero e aceto per preparare una salsa chiamata pepperrotsaus, che
viene servita con il salmone freddo e altri pesci. I danesi fanno congelare il
rafano ridotto in crema e lo servono come sorbetto in una salsiera
ghiacciata. I polacchi grattugiano barbabietole e rafano per preparare un
condimento viola chiamato chrzan, servito con prosciutto cotto. La minestra
di rafano è un piatto tradizionale polacco del pranzo di Natale.
Si sa che i francesi non amano particolarmente i sapori eccezionalmente
forti, ma il rafano fa eccezione. Ritengono che la poderosa salsa rossa al
rafano prediletta dagli americani sia troppo pesante per il gusto delicato
delle ostriche crude e, pertanto, le accompagnano a una salsina chiamata
mignonette, che combina rafano, aceto e olio. In Inghilterra, la costata di
manzo con salsa di rafano alla panna è un piatto della tradizione nazionale.
Il rafano compare sulle tavole degli israeliani durante il Seder, il pasto che
celebra la festività della Pasqua ebraica: è uno dei maror (erbe amare) che
simboleggiano le sofferenze patite dagli israeliti durante la schiavitù in
Egitto.
Sinusite Bronchite
Colesterolo Faringite
Polmonite Tumori
Avvelenamento da cibo Influenza
Infezioni tratto urinario Infezioni orecchio
IL RAFANO IN CUCINA
SALVIAMO L’HAMBURGER!
Nulla riesce a rovinare una bella grigliata quanto il sentir dire che il
succulento hamburger che vi state gustando è pieno di sostanze
cancerogene. Circa trent’anni fa, gli scienziati furono dei veri guastafeste
quando divulgarono al pubblico la notizia che grigliare, friggere, arrostire o
affumicare (ma, attenzione, non cuocere al forno) ad alte temperature
provoca la scomposizione delle molecole di determinati cibi producendo
sostanze chimiche tossiche dette animine eterocicliche, o HCA. Una volta
ingerite, queste vengono rapidamente assorbite dall’organismo e nell’uomo
ne sono state trovate tracce nelle cellule del colon, della mammella e della
prostata. Si è anche scoperto che inducono un danno genetico in animali da
laboratorio. Studi condotti sulla popolazione nel corso degli anni hanno
correlato l’elevato consumo di carne grigliata a un aumento del rischio per
vari tipi di cancro, inclusi i tumori maligni a carico del colon, del seno,
della prostata e del pancreas.
Le ricerche condotte negli ultimi trent’anni hanno puntualmente
evidenziato che le ammine eterocicliche iniziano ad accumularsi in tutti i
tipi di alimenti: carne bovina, pollame, e persino pesce, ma non nelle
verdure e nella frutta, 4 minuti dopo che la temperatura ha raggiunto i 178
°C. Ovviamente, quanto più è lungo il tempo di cottura e quanto più elevata
è la temperatura, maggiore è l’accumulo di sostanze tossiche. Nell’ambito
di uno studio, ad esempio, si è osservato che il cibo fritto a 224 °C
conteneva una quantità di HCA sei volte superiore allo stesso cibo fritto a
178 °C.
Le temperature elevate sono proprio ciò che per definizione consentono la
cottura alla griglia, la frittura, l’arrostitura e l’affumicatura. Il grill presente
nei forni standard di casa è impostato sui 260 °C e, nei migliori ristoranti di
carne alla brace, questa viene cotta a una temperatura di 315 °C e oltre.
Dire alla gente che non può più gustarsi un hamburger o una bistecca alla
griglia è un atto che rasenta rantiamericanismo. Di fatto, quanto le ammine
eterocicliche siano realmente cancerogene, o se non altro nocive, è stato
oggetto di numerose controversie in tutti questi anni. Ciò nonostante il
Ministero della Sanità statunitense le classifica come sostanze
«ragionevolmente passibili di cancerogenicità nell’uomo» che possono
aumentare il rischio di determinate tipologie di cancro.
Dunque, che fare?
Ebbene, il barbecue in giardino non è stato dichiarato pericoloso per la
salute e probabilmente mai lo sarà, e l’Agenzia Internazionale per la
Ricerca sul Cancro fa sapere che è possibile ridurre al minimo tale rischio
potenziale limitando l’impiego di metodi di cottura a temperature troppo
elevate ed evitando di mangiare cibo carbonizzato.
In alternativa, potete portare del rosmarino a tutte le grigliate a cui
parteciperete: gli studi dimostrano che questa spezia è un potente
antiossidante in grado di spazzare via le HCA.
Quando alcuni ricercatori austriaci hanno cotto degli hamburger per 20
minuti alla temperatura relativamente alta di 185 °C, hanno notato che le
ammine eterocicliche continuavano ad aumentare mentre la carne cuoceva.
Quando invece cosparsero di rosmarino un altro vassoio di hamburger
prima di metterli sulla griglia per poi cuocerli alla stessa temperatura e per
lo stesso lasso di tempo, la quantità di HCA rilevata era inferiore del 61%.
Negli ultimi anni, anche i ricercatori dell’Università di Stato del Kansas
hanno fatto esperimenti sulle ammine eterocicliche e il rosmarino e,
sistematicamente, il fatto di aggiungere un poco di estratto di rosmarino
commestibile sugli hamburger ne riduceva i livelli di HCA. In alcuni casi gli
scienziati non ne rilevarono neppure la presenza.
«Le basse temperature possono influire negativamente sul sapore»,
sottolinea il professor J. Scott Smith, ricercatore presso tale università.
«L’accorgimento migliore potrebbe essere usare degli estratti di rosmarino
in modo da poter mantenere elevata la temperatura».
Gli esponenti della medicina popolare credettero per lungo tempo che il
rosmarino avesse speciali poteri curativi e lo utilizzarono per trattare
diabete, malattie respiratorie, artrite e vertigini. La gente del popolo inalava
i vapori del rosmarino bollito nel vino per rendere la mente più acuta. Un
testo medico risalente al 1600 lo magnificava come «rimedio contro la
debolezza fisica e l’affaticamento mentale». L’olio di rosmarino veniva
inoltre utilizzato in lozioni per frizionare il cuoio capelluto allo scopo di
favorire la crescita e la robustezza dei capelli.
Molti di questi impieghi stanno ricevendo conferma della loro validità da
parte del mondo scientifico. Sappiamo, ad esempio, che il rosmarino
contiene principi nutritivi che possono contribuire a combattere
infiammazioni, batteri e virus, ed è in grado di stimolare il sistema nervoso.
L’industria cosmetica ripone sufficiente fiducia nell’impiego tradizionale di
tale pianta da inserirla nei preparati antirughe e per pelli grasse.
Oggi come oggi, oltre 500 studi hanno analizzato il rosmarino e i suoi
costituenti nella speranza di trovare una cura e un mezzo di prevenzione per
una miriade di disturbi, ed ecco alcuni dei risultati a cui la ricerca è
pervenuta.
Dermatite. Una pomata contenente estratto di rosmarino ha
significativamente ridotto l’essudato e il gonfiore in 21 pazienti affetti da
dermatite grave. I pazienti hanno riferito miglioramenti a livello di
secchezza, prurito e altri sintomi. Lo studio in questione è stato citato nel
mio libro Molecular Targets and Therapeutic Uses ofSpices.
Memoria. Svariati studi dimostrano che il profumo del rosmarino può
favorire i processi di pensiero e recupero mnemonico. Un esperimento
condotto su 144 individui, e riportato sull’International Journal of
Neuroscience, ha evidenziato che l’inalazione di olio essenziale di
rosmarino durante lo svolgimento di attività mentali migliorava la memoria.
In un altro caso, l’olio essenziale di rosmarino ha contribuito a ridurre
l’ansia prima di un test.
Tumori. Oltre 50 studi in vitro e in vivo su animali confermano che il
camosolo, l’acido camosico e altri componenti del rosmarino sono in grado
di inibire e uccidere le cellule tumorali. Ad esempio, in base al resoconto
comparso sulla rivista Oncology, un’équipe di ricercatori israeliani ha
scoperto che il rosmarino prolungava il periodo di sopravvivenza di topi
affetti da leucemia. Non solo, ma i ricercatori dell’Università dell’Illinois,
in uno studio pubblicato su Cancer Letters, hanno notato che l’estratto di
rosmarino era in grado di «inibire in modo significativo l’insorgenza e il
progresso» del carcinoma mammario in animali esposti ad agenti
cancerogeni.
Cirrosi. Secondo i risultati ottenuti da alcuni ricercatori messicani e
pubblicati su Phytotherapy Research, il rosmarino fornisce protezione
contro il danno tipico della cirrosi epatica in animali esposti a tetracloruro
di carbonio, un composto chimico la cui azione tossica colpisce in
particolare il fegato. Sempre in Messico, altri ricercatori hanno scoperto che
la somministrazione quotidiana di rosmarino a topi di laboratorio
migliorava l’integrità strutturale degli epatociti e proteggeva gli animali da
danni epatici nonostante l’esposizione reiterata a sostanze tossiche; i
risultati sono stati pubblicati sul Journal of Ethnopharmacology.
Formazione di coaguli e ictus. Due studi condotti da scienziati
giapponesi hanno evidenziato che l’aggiunta di rosmarino al regime
alimentare di animali da laboratorio nutriti con cibi ad alto contenuto di
grassi migliorava il flusso ematico diretto al cervello e passante per la
carotide, ossia l’arteria che decorre lungo il collo. Inoltre, inibiva in modo
significativo l’aggregazione piastrinica, riducendo così il rischio di
formazione di coaguli. Una dieta ad alto contenuto di grassi tipicamente
contribuisce all’accumulo di placca nelle arterie che può condurre a infarto
o ictus.
Artrite. Alcuni ricercatori statunitensi hanno osservato che un integratore
contenente estratto di rosmarino riduceva fino al 50% il dolore in persone
affette da artrite. Gli esperti riferirono i risultati ottenuti sulla rivista
Phytotherapy Research.
Studi condotti in Messico, inoltre, indicano che l’aggiunta di rosmarino al
regime alimentare di animali da laboratorio contribuisce ad alleviate il
dolore e l’infiammazione da artrite chimicamente indotta. Di seguito, le
conclusioni degli studiosi riportate sul Journal of Ethnopharmacology.
«Questo studio convalida l’impiego medicinale della pianta nella tradizione
popolare come antidolorifico e antinfiammatorio in caso di disturbi quali
artrite e gotta».
Secondo uno studio comparso sul Journal of Rheumatology, il trattamento
ripetuto con estratto di rosmarino «ha drasticamente ridotto» il dolore e
l’infiammazione e ha contribuito a ripristinare una funzionalità delle
articolazioni «prossima alla normalità»
in animali da laboratorio affetti da artrite reumatoide sperimentalmente
indotta. I ricercatori conclusero che «tale effetto potrebbe essere d’ausilio in
un contesto clinico (umano)».
Diabete. Nell’ambito di uno studio riportato sul Journal of
Ethnopharmacology, il trattamento con estratto di rosmarino ha contribuito
ad abbassare i livelli di glucosio ematico sia in conigli sani che diabetici. La
spezia si è dimostrata efficace quanto il glibenclamide (Glynase), un
farmaco prescritto per il diabete.
Ulcere. Dopo avere valutato il potenziale curativo a livello
gastrointestinale di 25 spezie e piante, gli scienziati dell’Università
dell’Illinois sono giunti alla conclusione che il rosmarino «può avere
prospettive terapeutiche nel trattamento di patologie quali l’ulcera peptica».
Ciò è quanto emerge da uno studio pubblicato su Phytotherapy Research.
Infezioni del tratto urinario. Secondo uno studio apparso sul Journal of
Ethnopharmacology, alcuni ricercatori marocchini hanno scoperto che il
rosmarino aumenta il flusso delle urine in modo analogo ai farmaci
diuretici. Gli studiosi sono giunti alla conclusione che la ricerca conferma la
pratica comune, diffusa in Marocco, di utilizzare il rosmarino per trattare le
infezioni delle vie urinarie.
Depressione. Il trattamento con estratto di rosmarino si è rivelato efficace
quanto l’assunzione di fluoxetina (Prozac) nel trattamento di sintomi
depressivi in soggetti animali.
I risultati dello studio, condotto da alcuni ricercatori brasiliani, sono stati
pubblicati sulla rivista Progress in Neuro-Psychopharmacology &
Biological Psychiatry.
IL ROSMARINO IN CUCINA
• Mettete dei rametti interi sotto gli arrosti di agnello o inserite un rametto
nella cavità di un pollo o un pesce intero sventrato. I rametti interi adoperati
in tal modo devono essere rimossi e scartati prima di servire.
• Tritate finemente gli aghi e aggiungeteli alle minestre a base di
pomodoro.
• Tritate finemente del rosmarino e aggiungetelo all’impasto per la
preparazione di pane e focacce.
• Aggiungete dei rametti di rosmarino allo sciroppo per condire pere e
pesche affogate.
• Mettete in infusione nell’aceto un rametto di rosmarino e usatelo per
spruzzare il pane da abbrustolire sulla griglia.
• Utilizzate il rosmarino per aromatizzare verdure dal sapore deciso, ad
esempio cavolini di Bruxelles, cavoli e melanzane.
• Combinate un rametto grande di rosmarino, 2 o 3 peperoncini rossi
pestati, qualche rametto di timo fresco, una foglia di alloro, 1 cucchiaio di
origano, 1 cucchiaino di semi di finocchio e mettete il tutto in una bottiglia
di olio extravergine di oliva.
Salvia. Come migliorare memoria e umore
LA SALVIA IN CUCINA
Per via dell’aroma robusto, la salvia si accosta meglio a piatti dal sapore
corposo. Ciò la rende particolarmente adatta a cibi autunnali e invernali
sottoposti a cottura lenta e prolungata. Poiché ha una notevole affinità per i
cibi grassi, è una spezia importante che si accompagna bene a piatti di
anatra, oca, brasati, salsicce, polpettoni di carne, ripieni e frattaglie, in
particolare il fegato. Si accosta bene anche alle verdure autunnali come la
zucca, le patate dolci e le mele.
La salvia essiccata ha un aroma più forte di quella fresca e, poiché
entrambe possono sovrastare i sapori di un piatto, usatele con parsimonia.
Sposatela ad altre spezie per ridurne la dominanza aromatica.
Di seguito, alcuni suggerimenti per aggiungere più salvia alla vostra dieta.
I semi di sedano che vengono aggiunti al Bloody Mary per conferire più
brio non hanno nulla a che vedere con la costa di sedano che si usa per
mescolarlo.
I semi di sedano derivano da una pianta appartenente alla stessa famiglia
chiamata Appio palustre che cresce negli acquitrini salati e negli estuari dei
fiumi in tutta Europa e in India. È altresì noto con il nome di sedano
selvatico e ha un aspetto molto simile a quello del sedano comune – la
varietà coltivata nei nostri orti come verdura – ma è talmente amaro da non
essere commestibile. I semi, invece, non solo sono commestibili ma
posseggono anche incredibili virtù. La spezia più piccola al mondo (450
grammi contengono ben 750.000 semi) nasconde un enorme talento
terapeutico in quanto è stracolma di fito-nutrienti che sostengono le cellule
del nostro organismo, principalmente ftalidi (sostanze antinfiammatorie che
conferiscono al sedano e ai semi di sedano il loro caratteristico mordente) e
apigenina, un olio volatile con proprietà antiossidanti. Tradizionalmente, i
medici usavano i semi di sedano per trattare malattie delle vie aeree
superiori come raffreddori, bronchiti, influenza e asma, ma anche
l’indigestione, la ritenzione idrica e le malattie del fegato. Oggi il sedano
selvatico è maggiormente noto come rimedio casalingo per i dolori e
l’infiammazione da artrite, ivi inclusa la forma artritica che colpisce
dolorosamente l’alluce del piede, la cosiddetta gotta.
LA SQUADRA ANTI-CANCRO
• Aggiungete dei semi interi alle marinate per ricette alla griglia, nonché ai
rub e alle salse per il barbecue.
• Tostate dei semi di senape e del cocco grattugiato e poi distribuiteli sui
fagioli al vapore.
• Poiché i semi di senape si abbinano in modo naturale agli ortaggi della
famiglia delle crucifere, fate soffriggere in olio dei semi finché non iniziano
a scoppiettare e rifinite in questo modo cavoli, cavolfiori, broccoli, cavolini
di Bruxelles, foglie di cavolo nero o germogli di senape.
• Preparate una miscela di semi di senape e, rispettivamente, 1 cucchiaio di
paprica e di origano con cui rivestire le carni rosse per le ricette in crosta.
• Unite 1/4 tazza di semi di senape macinati a 1/4 tazza di salsa Worcester
e il succo di un lime, quindi versate la mistura su un cosciotto d’agnello, o
un altro taglio d’agnello per arrosto, e lasciate marinare per circa 1 ora
prima di metterlo in pentola.
• Preparate la «Memphis mop sauce» combinando 1/2 tazza di senape
gialla, tipo quella da hot dog, con 2 tazze di aceto di sidro e 1 cucchiaino di
sale e usatela per spennellare la carne sul barbecue.
• Preparate una vinaigrette combinando 2 cucchiaini di semi di senape, 1
cucchiaino di senape di Digione, 1 cucchiaio di succo di limone e 2
cucchiai di aceto di sidro, quindi aggiungete 1/3 tazza di olio extravergine
di oliva ed emulsionate bene.
• Aggiungete della senape già pronta all’insalata di patate e della senape in
polvere all’insalata di pollo.
Sesamo. Per una circolazione migliore
«APRITI SESAMO!»
Questa notissima frase – la parola magica per accedere alla caverna del
tesoro che All Baba aveva udito per caso nella fiaba «Alì Babà e i quaranta
ladroni» – è probabilmente basata sul fatto che le capsule della pianta del
sesamo si rompono quando giungono a maturazione, aprendosi e
spargendone tutt’attorno i semi.
La pianta selvatica del sesamo, originaria dell’Africa Occidentale è stata
acclimatata anche in India, dove i semi sono simbolo di immortalità nella
religione induista e l’olio di semi di sesamo ricopre una funzione cruciale
nell’Ayurveda, l’antico sistema di medicina e terapia naturale. Charaka –
l’Ippocrate della medicina ayurvedica – lo definiva «il migliore degli oli» e
l’Ayurveda lo consiglia per l’abhyanga, un automassaggio quotidiano
completo per purificare e tonificare il corpo. Nel suo libro Ayurveda: la
scienza dell’autoguarigione, l’insigne medico ayurvedico dottor Vasant Lad
raccomanda un massaggio quotidiano con olio di sesamo alle gengive e lo
strofinamento della pianta dei piedi con l’olio prima di coricarsi per indurre
un sonno calmo e tranquillo.
I semi di sesamo sono così oleosi che lo si percepisce anche al tatto
strofinandoli tra le dita. In effetti il seme è composto per il 40%-60% di
olio, ivi inclusi numerosi grassi monoinsaturi (dello stesso tipo presente
nell’olio di oliva) che fanno bene al cuore. Il sesamo presenta anche un
contenuto di vitamina E molto elevato che, in qualità di antiossidante,
sostiene la salute del cuore. Inoltre, è ricco di fitosteroli, ossia composti di
origine vegetale simili al colesterolo che bloccano l’assorbimento del
colesterolo alimentare, ed è carico di lignani quali la sesamina e la
sesamolina, un genere di fitoestrogeni (sostanze estrogeniche di origine
vegetale) anch’essi legati alla salute del cuore. Pertanto, non sorprende
affatto che la ricerca scientifica sia riuscita a dimostrare che i minuscoli
semi del sesamo possono svolgere un ruolo fondamentale nella salute del
sistema cardiocircolatorio riducendo, verosimilmente, il rischio di infarti e
ictus.
«APRITEVI ARTERIE!»
IL SESAMO IN CUCINA
Allo stato naturale i semi di sesamo hanno poco sapore e sanno di stantio,
per questo è necessario tostarli in modo da far affiorare la loro affascinante
essenza di noce. Tuttavia, l’operazione richiede particolare attenzione, in
quanto tendono a bruciare facilmente. Il modo più semplice è tostarli a
secco in una padella di ferro: scaldate la padella a fuoco medio-alto solo per
pocihi minuti finché non si dorano, e rimestate continuamente affinché non
brucino. Se iniziano a «saltellare», è segno che sono pronti.
L’olio di sesamo ha un sapore forte: ne basta poco. Il consiglio è di
utilizzarne solo un quarto o un terzo della quantità che adoperereste con
altri oli. L’olio di sesamo conferisce un piacevole aroma di noce alle sauté,
in particolare di pollo e di verdure.
Non c’è limite a. ciò che si può fare con i semi di sesamo tostati. Si
possono utilizzare indifferentemente sèmi bianchi e neri; se non avete a
disposizione semi neri, sostituiteli con i bianchi, l’unica perdita reale sarà
l’effetto scenografico della presentazione finale. Ecco alcune idee per
arricchire la vostra dieta di sesamo:
• Mettete dei semi tostati nelle insalate verdi o nelle macedonie.
• Insaporite gli spinaci al vapore con sesamo tostato e un soffritto d’aglio.
• Utilizzate semi di sesamo al posto del pangrattato per «impanare» le
coscette o i petti di pollo.
• Cospargete qualche seme di sesamo tostato sulle zuppe di lenticchie.
• Distribuite sul gelato una presa di sesamo tostato.
• Guarnite le uova alla diavola con semi neri e bianchi di sesamo tostato.
• Aggiungete semi bianchi tostati alle ricette di pollo alla diavola.
• Cospargete di sèmi bianchi tostati le puntine di maiale durante gli ultimi
minuti di cottura alla griglia dopo averle spennellate con una salsa da
barbecue speziata.
• Preparate una salamoia per la carne alla griglia combinando 2 cucchiai di
semi di sesamo bianchi e neri, 2 cucchiai di sale grosso, 1 cucchiaino di
peperoncino rosso a pezzetti e molti grani di pepe nero grossolanamente
pestati.
Sesamo nero. La «sorprendente» panacea
Come notarono i ricercatori della Carolina del Sud, una delle preziose
proprietà del sesamo nero è la capacità di irrobustire il sistema immunitario.
«Gli studi suggeriscono che qualora impiegata su base continua, la Nigella
sativa (sesamo nero) può incrementare la risposta immune nell’essere
umano», scrissero.
Nell’ambito di uno studio, i soggetti trattati con olio di semi di sesamo
nero per quattro settimane registrarono un aumento pari al 30% dell’attività
delle cellule natural killer, ossia cellule del sistema immunitario che
uccidono virus e contrastano i tumori.
Le difese immunitarie generalmente diminuiscono con l’età, una
condizione che gli scienziati definiscono immunosenescenza. Di fatto,
alcuni esperti ritengono che l’invecchiamento sia causato da tale declino.
Tuttavia, i ricercatori della Carolina del Sud sostengono che l’olio estratto
dai semi di sesamo nero può migliorare la risposta immune anche
nell’individuo anziano, probabilmente perché la spezia apporta una
combinazione di acidi grassi essenziali (i componenti molecolari dei grassi)
particolarmente tonificanti per il sistema immunitario.
Svariati studi indicano che gli estratti di sesamo nero possono contribuire a
trattare patologie cardiovascolari.
Alcuni ricercatori pakistani hanno studiato 123 persone suddividendole in
due gruppi: per dieci mesi una metà dei soggetti assunse integratori a base
di sesamo nero in polvere e l’altra metà no. Fu riscontrato un impatto
positivo dei semi su quasi tutti i fattori di rischio delle cardiopatie, tra cui
pressione arteriosa, lipidi ematici quali il colesterolo, peso eccessivo, livelli
di glicemia (il 75% dei soggetti affetti da diabete muore di una malattia
cardiovascolare) e rapporto vita-fianchi (quanto più la circonferenza della
pancia è grande, maggiore è il rischio). Lo studio fu pubblicato sulla rivista
Journal of Alternative and Complementary Medicine.
Altri ricercatori in Medio Oriente hanno tenuto sotto osservazione alcuni
soggetti con ipertensione suddividendoli in tre gruppi: un gruppo assunse
200 mg di estratto di sesamo nero al giorno, un altro ne assunse 100 mg e al
terzo gruppo fu somministrato un placebo. Dopo due mesi, i soggetti trattati
con la spezia mostrarono un calo significativo dei valori pressori rispetto al
gruppo placebo. Il sesamo nero aveva inoltre abbassato i livelli di
colesterolo LDL. «L’assunzione quotidiana di estratto di semi di Nigella
sativa per due mesi ha verosimilmente esercitato un effetto di abbassamento
della pressione in pazienti moderatamente ipertesi», hanno concluso gli
studiosi sulla rivista Fundamentals of Clinical Pharmacology.
LA LOTTA Al TUMORI
ASMA E ALLERGIE
Negli Stati Uniti questa spezia viene comunemente chiamata cumino nero;
ne consegue che viene spesso confuso con il cumino. Persino alcuni testi di
riferimento sulle spezie apparentemente accurati associano il sesamo nero e
il cumino, dando cosi l’impressione che siano simili o siano addirittura due
specie botanicamente correlate.
Ebbene, il sesamo nero e il cumino hanno sicuramente alcune cose in
comune: sono entrambi spezie, vengono entrambi coltivati in India e sono
comunemente usati nella cucina indiana. Tuttavia, hanno un aspetto e un
sapore del tutto diverso e non provengono dalla stessa famiglia botanica.
UN BILANCIO IN ATTIVO PER LA SALUTE
Forse vi è capitato di visitare una delle prestigiose mostre che hanno fatto
il giro del mondo in cui vengono espostigli oggetti scoperti nella tomba del
faraone egizio Tutankhamen; ebbene, tra i reperti rinvenuti vi era anche del
sesamo nero.
La pianticella fiorita, alta appena 30 centimetri, che fornisce tali semi
cresce in Medio Oriente, in India, Pakistan e Afghanistan. Ippocrate la
chiamava melanthion, mentre in latino antico il sesamo nero era definito
panacea, ossia cura per tutti i mali. In arabo era noto come habbat el
baraka, o seme benedetto, in India viene chiamato kolonji e in Cina hak
jung chou.
Nei paesi di cui è originaria, tale spezia veniva adoperata allo stesso modo
del pepe e fu importata in America dai primi coloni, che ne fecero lo stesso
uso. Oggi è ancora sconosciuta alla maggior parte degli americani, sebbene
magari l’abbiano gustata nel pane naan indiano o nel caratteristico
formaggio armeno trafilato a strisce. Tuttavia, il sesamo nero è un
ingrediente base della cucina indiana e del Medio Oriente.
In India i semi vengono adoperati interi e tostati per preparare chutney,
curry, riso e piatti a base di yogurt. È uno degli ingredienti presenti nella
miscela di spezie composta esclusivamente da semi interi chiamata panch
phoron. Il sesamo nero è inoltre un ingrediente essenziale della cultura
gastronomica del Kashmir, dove viene utilizzato per aromatizzare le carni e
in salse ricche e cremose.
In Medio Oriente è una spezia fondamentale del kibbeh, una sorta di
crocchetta fritta dalla forma allungata fatta di bulgur e agnello. Il sesamo
nero viene sovente aggiunto al mix di spezie tipico di questa regione
denominato baharat. Il suo sapore, che richiama quello delle nocciole, è
apprezzato anche in vari tipi di pane e nei dolci e, in effetti, viene spesso
impastato con il miele e consumato come dolce.
In Etiopia è adoperato come spezia nelle bevande alcoliche, un uso molto
simile a quello che fanno gli americani dei semi di sedano nel Bloody Mary.
Infine, il sesamo nero è coltivato anche in Russia e viene usato per
guarnire la crosta del pane di segale.
Esiste molta confusione circa il nome del sesamo nero, ma vi sono pure
posizioni controverse per quel che riguarda il sapore. Alcuni sostengono
che i semi hanno un sapore pungente, altri lo descrivono come leggermente
pepato: io sarei d’accordo con gli ultimi. Alcuni dicono di percepire un
retrogusto di limone, altri dichiarano che il retrogusto ricorda la fragola, e
sono d’accordo con i primi. Non vi è tuttavia alcun dubbio sul sentore di
noce che rende il sesamo nero una spezia assai versatile in cucina.
I semi possono essere utilizzati allo stato naturale ma una tostatura a secco
ne esalta l’aroma. Se si intende macinarli, è opportuno tostarli.
Ecco alcuni suggerimenti su come impiegare il sesamo nero:
• I semi sono un complemento classico nelle salse chutney indiane:
aggiungetene un pizzico alle vostre ricette preferite.
• Il sesamo nero esalta pietanze a base di carne, soprattutto gli stufati di
agnello.
• Adoperate i semi per insaporire il riso pilaf o aggiungetene un poco al
purè di patate.
• Cospargeteli su biscotti e pane fatti in casa.
• Aggiungete del sesamo nero ai mix di spezie.
• Mettetelo nei sughi piccanti e nelle salse al peperoncino.
Tamarindo. Un rimedio popolare molto amato
Avete mai sentito parlare del tamarindo? È probabile che lo abbiate già
assaggiato. Il tamarindo, infatti, è la spezia fondamentale che conferisce alla
salsa Worcester il suo caratteristico sapore e, inoltre, ne prolunga la data di
scadenza.
In molti paesi africani, i baccelli e i semi dell’albero del tamarindo non
sono famosi come prodotto alimentare bensì come rimedio popolare
tradizionalmente usato per combattere le infezioni del tratto respiratorio, la
febbre, i disturbi digestivi e la stipsi, nonché per accelerare la
rimarginazione delle ferite e prevenire i colpi di sole. Un recente lavoro di
revisione sull’impiego del tamarindo nella medicina tradizionale dell’Africa
Occidentale e Orientale, comparso sulla rivista Journal of
Ethnopharmacology, citava ben 60 riferimenti scientifici. In varie parti del
mondo il tamarindo viene adoperato per curare molti altri problemi di
salute; ad esempio, viene usato come gargarismo per alleviare il mal di gola
e come linimento per le articolazioni doloranti. La spezia possiede un tale
potere curativo che, in esperimenti condotti su animali, i ricercatori indiani
hanno scoperto che era in grado di neutralizzare il veleno di uno dei
serpenti più letali al mondo: la vipera di Russell.
L’azione terapeutica del tamarindo deriva dai potenti agenti antiossidanti,
tra cui l’acido tartarico (presente anche nelle banane e nell’uva), che si
concentrano nei pericarpi. L’acido tartarico è anche la sostanza che
conferisce al tamarindo il caratteristico sapore acidulo. Inoltre, la polpa
costituisce un’ottima fonte di calcio e vitamine B come ribofla-vina e
tiamina. Insieme, tutte queste sostanze ed altri fitonutrienti fanno del
tamarindo una spezia curativa dalle molteplici virtù.
IL TAMARINDO IN CUCINA
Cera una volta il timo. Ma questo forse era vero circa 5000 anni fa, prima
che i romani disseminassero la pianta in tutto l’impero. Ora ne esistono
svariati tipi: c’è il timo volgare, o francese, con cui la maggior parte di noi è
abituata a cucinare, e ci sono varietà di timo che un sagace amante delle
piante può scorgere durante una passeggiata in un tipico quartiere di
periferia, sbirciando nei giardini sul retro: il timo cedrino, dal delicato
profumo di limone, il timo arancio, il timo anice e il timo argentato. Su tutto
il pianeta esistono oltre 100 varietà di timo, ognuna con un aroma
sottilmente distinto, ma tutte le specie hanno un fattore in comune: l’olio
volatile chiamato timolo.
Il timolo è l’antisettico più potente mai inventato da Madre Natura. Se
applicato alla pelle o alla mucosa della bocca, è in grado di uccidere i
germi. Una curiosità: il timolo è uno dei principali antisettici presenti nel
collutorio Listerine, famoso per lo slogan «una bomba per l’igiene orale!».
Mentre è in corso una vasta ricerca preliminare, basata su studi in vitro ed
esperimenti su animali, sulle proprietà terapeutiche del timolo (e altri
potenti composti presenti nel timo) nel contesto di varie patologie, la ricerca
condotta su esseri umani e presa come standard di riferimento punta tutta
sui germi, in particolare i virus e i batteri responsabili della bronchite
cronica.
Il timolo non solo aiuta i polmoni ma anche i denti. Sono stati condotti
oltre una dozzina di studi su due prodotti noti come Cervitec e CervitecPlus,
una lacca protettiva per i denti che combina timolo e clorexidina, un
antisettico. I prodotti si sono dimostrati efficaci in diversi contesti.
Anziani. In uno studio pubblicato alcuni ricercatori spagnoli hanno
osservato che la lacca protettiva contenente timolo contribuiva a prevenire
la carie in soggetti anziani ricoverati in una struttura assistenziale di tipo
residenziale.
Adolescenti con apparecchio. Un gruppo di ricercatori svedesi ha
riscontrato che la lacca protettiva contribuiva a ridurre i livelli di batteri
responsabili della carie dentaria che si annidano tra i molari degli
adolescenti che portano un apparecchio ortodontico.
Bambini. Un’altra équipe di ricercatori spagnoli ha notato che l’impiego
della lacca protettiva in bambini di 6 e 7 anni di età che avevano già
sviluppato la dentizione permanente contribuiva a prevenire la carie. Uno
studio pubblicato da dentisti brasiliani pubblicato su Caries Research,
indicava i medesimi risultati.
Influenza Raffreddori
Colite Bronchite
Alcolismo Tumori
Ulcera Ictus
Infarto Infezioni batteriche
IL TIMO IN CUCINA
• Aggiungete del timo essiccato e del limone, oppure del timo cedrino, al
burro fuso con cui condire astici o gamberi lessati.
• Distribuite del timo fresco o essiccato insieme a erba cipollina, o anche
da solo, sulle patate al forno.
• Fate saltare in padella dei funghi con timo essiccato, aglio e pomodori
secchi, dopo averli fatti rinvenire, e serviteli come accompagnamento a una
bistecca alla griglia.
• Aggiungete una spolveratina di timo alle radici commestibili.
• Mettete qualche rametto di timo fresco nella pentola dell’arrosto oppure
adagiate il pezzo da arrostire direttamente sui rametti.
• Mettete in infusione un rametto di timo in olio di oliva o in una bottiglia
di aceto per condire.
• Preparate il za’atar, una miscela di spezie mediorientale, combinando 1
cucchiaio di timo essiccato, 2 cucchiai di semi di sesamo tostati, 2
cucchiaini di sommacco e del sale.
• Distribuite del timo essiccato su un’insalata di pomodori, cetrioli, olive e
formaggio feta.
• Aggiungete un pizzico di timo essiccato all’olio di oliva e usatelo per
intingervi il pane.
• Aggiungete del timo essiccato alle uova strapazzate.
Vaniglia. Più salute nel dessert
LA SPEZIA-ORCHIDEA
Probabilmente non c’è nulla di sorprendente nel fatto che la vaniglia sia
tanto seducente se si considera il suo «pedigree» botanico. È l’unico
membro commestibile della famiglia delle orchidee, ritenute dalla maggior
parte della gente fiori a dir poco splendidi. Forse l’associazione tra la
vaniglia e la sensuale orchidea è il motivo per cui la spezia gode
dell’afrodisiaca reputazione di favorire un’atmosfera romantica. E si tratta
di una reputazione molto antica.
La vaniglia è originaria del Messico e i primi uomini che presero a
coltivarla – i totonac del Mesoamerica, rivali degli aztechi – raccontavano
questa leggenda di desiderio e amore sulle sue origini: l’orchidea tropicale
della vaniglia nacque dal sangue della dea principessa Xanat, decapitata dal
padre per avergli disobbedito ed essere fuggita con il suo amante mortale.
Nel XVIII secolo, ai mariti europei veniva consigliato di bere un tonico di
vaniglia per aumentare la virilità e la fertilità; inoltre, fin dalla sua
introduzione nel continente, la vaniglia è stata un ingrediente di felice
ispirazione nell’industria dei profumi.
Ciò nonostante, come afferma Jenna Deanne Bythrow dell’Università di
Georgetown in un articolo sulla spezia apparso in Seminars in Integrative
Medicine, l’uso tradizionale della vaniglia come tonico andava ben al di là
della camera da letto. Gli aztechi la portavano al collo come «amuleto
medicinale», i frati spagnoli la utilizzavano per trattare pazienti che
«tossivano e sputavano sangue»; nel Nuovo Mondo, così come nel Vecchio
Continente, era un rimedio di uso frequente per «problemi femminili» come
l’isteria e la depressione. Negli erbari del 1700 e del 1800 era propagandata
come «stimolante per i nervi», e un testo medico americano del 1800 ne
decanta le virtù e la capacità di «esaltare il cervello, prevenire il sonno,
aumentare l’energia muscolare e stimolare l’energia sessuale».
ESAMINIAMO LA VANIGLIA
Nella vaniglia sono stati isolati oltre 200 fitonutrienti, ossia composti
bioattivi di origine vegetale, e negli ultimi vent’anni gli scienziati hanno
cominciato ad esaminarne il potenziale terapeutico. La sostanza che è stata
oggetto degli esami più minuziosi è la vaniglina, o vanillina, il costituente
principale della spezia. Gli studi dimostrano che potrebbe ricoprire un ruolo
promettente nell’ambito di due grosse patologie: il cancro e l’anemia
falciforme.
Cancro. Nell’esplorazione su scala mondiale alla ricerca di composti
naturali atti a combattere i tumori, gli scienziati hanno analizzato in
dettaglio la vaniglina attraverso studi in vitro ed esperimenti su animali.
In Malesia, i ricercatori hanno osservato che la vaniglina era in grado di
uccidere cellule di tumore umano, e tali risultati li hanno indotti a dichiarare
che «potrebbe costituire un utile agente di prevenzione del carcinoma del
colon-retto».
In Thailandia, gli esperti hanno scoperto che la vaniglina potrebbe limitare
la metastasi, ossia la migrazione delle cellule cancerose dalla sede
originaria del tumore ad altre zone del corpo. A quanto pare, agirebbe
disattivando gli enzimi (proteine che innescano un’azione biochimica)
promotori della neoplasia e inibendo l’angiogenesi, ovvero la formazione di
nuovi vasi sanguigni che vanno ad alimentare il tumore. Anche i ricercatori
giapponesi hanno riscontrato il medesimo effetto, giungendo così alla
conclusione che la vaniglina «può essere d’ausilio nello sviluppo di farmaci
antimetastatici per il trattamento del cancro».
I ricercatori cinesi hanno scoperto che la bromovanina – un derivato della
vaniglina – arrestava la progressione di un «ampio spettro» di tumori umani
e, pertanto, suggerirono che il composto forniva «interessanti prospettive
nello sviluppo» di un nuovo farmaco antitumorale.
I ricercatori della Facoltà di Medicina dell’Università di New York hanno
notato che la vaniglina è antimutagena; nelle cellule umane ha ridotto del
73% la capacità delle tossine di indurre mutazioni del DNA, vale a dire il
danno genetico che scatena il cancro. Inoltre, hanno scoperto che la
vaniglina influenza 64 geni coinvolti nel processo tumorale, inclusi quelli
che controllano la crescita e la morte delle cellule cancerose.
Anemia falciforme. Questa patologia ereditaria e incurabile induce una
deformazione della struttura dei globuli rossi – che si presentano quindi
rigidi, vischiosi e a forma di falce (drepanociti) – mentre, in condizioni
normali, tali cellule del sangue incaricate del trasporto dell’ossigeno sono
flessibili e di forma tonda. Le cellule deformate si impigliano e si bloccano
nel torrente ematico, ostacolando l’afflusso di sangue e ossigeno 1
determinando i principali sintomi di questa malattia; crisi dolorose e
stanchezza.
I ricercatori del Children’s Hospital di Filadelfia hanno sperimentato un
farmaco derivato dalla vaniglina su alcuni topi allevati in modo da
sviluppare l’anemia falciforme, e hanno scoperto che il composto riduceva
significativamente la percentuale di drepanociti. Il composto, conclusero sul
British Journal of Haematology, potrebbe costituire un «nuovo e sicuro
agente anti-falcizzazione in pazienti affetti da anemia falciforme».
LA VANIGLIA IN CUCINA
Troppo wasabi?
Esistono molti altri modi in cui questa spezia di origine giapponese può
proteggere la nostra salute.
Avvelenamento da cibo. Alcuni studi indicano che il wasabi costituisce
una difesa naturale contro l’Escherichia coli e lo Staphylococcus aureus,
due batteri che provocano l’avvelenamento da cibo. Il wasabi venne
introdotto per la prima volta nella cucina giapponese proprio per ridurre il
rischio di avvelenamento da pesce crudo.
Ulcere. I batteri del genere Helicobacter pylori sono responsabili della
maggior parte dei casi di ulcera gastrica, e la persistenza di un’infezione da
H. pylori aumenta il rischio di sviluppo di tumori. Svariati studi dimostrano
che gli isotiocianati ed altri composti presenti nel wasabi sono in grado di
uccidere tali batteri.
Ipercolesterolemia. In un esperimento condotto su animali, alcuni
ricercatori australiani hanno scoperto che il wasabi può ridurre il colesterolo
LDL, tipicamente nocivo, e aumentare i livelli di salutare colesterolo HDL.
Carie dentaria. I ricercatori giapponesi hanno scoperto che gli
isotiocianati contenuti nel wasabi inibiscono la crescita dei batteri
responsabili delle carie.
Coaguli. Un gruppo di ricercatori ha isolato un isotiocianato del wasabi
che presenta una capacità dieci volte superiore all’aspirina di prevenire la
formazione di coaguli, cioè una delle principali cause di ostruzione delle
arterie che conduce a infarti e ictus.
Osteoporosi. La ricerca condotta su animali indica che il wasabi contiene
alcuni composti in grado di aumentare la densità ossea.
Eczema (dermatite atopica). In alcuni animali allevati in modo da
sviluppare una condizione eczematosa, la somministrazione di un estratto di
wasabi ha ridotto i sintomi di prurito e il grattamento. Inoltre, a livello
immunitario, ha limitato la reazione dei linfociti responsabili del prurito e
dell’infiammazione.
IL WASABI IN CUCINA
• Utilizzate il wasabi come fareste con la senape per condire carni cotte e
affumicate, ad esempio prosciutto cotto, brasati e corned beef.
• Adoperate il wasabi al posto della salsa cocktail su vongole e ostriche
crude o sui gamberetti. Ricordate soltanto di usarne poca.
• Vivacizzate il gusto della salsa cocktail aggiungendo un pizzico di
wasabi in polvere.
• Preparate un purè di patate al wasabi aggiungendo della polvere di
wasabi alla ricetta tradizionale. Adoperate circa 1 cucchiaio di wasabi in
polvere per 1,3 kg di patate.
• Preparate una maionese al wasabi aggiungendo 1 cucchiaino di wasabi in
polvere e una spruzzatina di succo di limone a 1/2 tazza di maionese
normale, quindi spalmatela sui tramezzini. Risulta particolarmente
piacevole nei tramezzini al prosciutto cotto.
• Preparate una vinaigrette al wasabi combinando 1 cucchiaio di pasta
wasabi e, rispettivamente, 1 cucchiaio di maionese, di mirin (sakè dolce da
cucina) e di aceto di riso.
• Sostituite parte della senape con della pasta wasabi per condire le uova
alla diavola.
• Preparate un burro aromatico adoperando 1/4 tazza di erba cipollina
essiccata, 1/4 tazza di wasabi in polvere e 1/2 tazza di burro ammorbidito.
Incorporate bene le spezie, date al burro la forma di un rotolo e mettete in
frigorifero. Tagliate delle fettine di burro e lasciatele sciogliere sdì tonno o
il salmone cotti alla griglia. In alternativa, ungete con il burro un pollo
intero prima di metterlo ad arrostire.
• Provate la pasta wasabi al posto del rafano o del tabasco nel Bloody
Mary.
• Preparate un pasto leggero di piselli al wasabi. Friggete o fate rosolare i
piselli, quindi ricopriteli di wasabi ed altri condimenti e passateli in forno
finché la buccia non diventa croccante. Con questa ricetta apprezzerete il
vero sapore del wasabi.
Zafferano. Su con lo spirito!
Ansia Aterosclerosi
Crampi mestruali Pressione alta
Disfunzione erettile Tumori
Perdita di memoria Insonnia
Sclerosi multipla Morbo di Parkinson
LO ZAFFERANO IN CUCINA
Esiste un modo eccezionale per avere sempre una radice di zenzero fresca
in casa, ecco come.
Prendete una radice di zenzero acquistata in un negozio e tagliatene un
pezzo lungo almeno 5 centimetri, quindi mettetela in un vaso di terra
sabbiosa, come quella utilizzata per le piante grasse, e innaffiate di tanto in
tanto mantenendola sempre leggermente umida.
La radice comincerà a crescere nel giro di quattro-cinque settimane.
Quando avete bisogno di zenzero, scavate semplicemente per raggiungere
la radice e prelevatene una piccola porzione. La radice continuerà a
crescere.
Asma Chinetosi
Colesterolo Emicrania
Ictus Tumori
Infarto Indigestione
Nausea Trigliceridi
Lo zenzero era una delle spezie privilegiate sia in ambito culinario che
medico nella Cina e nella Roma antiche. Nel IX secolo lo zenzero giunse
finalmente in Europa e, nell’arco di un paio di secoli, era diventato così
popolare, soprattutto in Inghilterra, da essere utilizzato a tavola come il
pepe e il sale, persino per aromatizzare la birra (è questa l’origine del
ginger ale), Enrico VIII poteva non amare particolarmente le sue mogli ma
adorava sicuramente lo zenzero; e così fu anche per sua figlia Elisabetta I, la
quale talvolta, durante i pranzi di stato, omaggiava ciascun ospite di un
«omino di pan di zenzero» con le sembianze del commensale.
L’Inghilterra è tuttora celebre per il pan di zenzero: quasi tutte le città
hanno una propria ricetta e stampi particolari per dare forma a questi
biscotti. Gli omini di pan di zenzero fanno parte della ricorrenza nota come
Guy Fawkes Day (chiamata anche la Notte di Guy Fawkes o la Notte dei
falò) che cade in novembre e celebra lo sventato complotto dinamitardo
contro il palazzo del parlamento.
E a questo proposito, la casetta di pan di zenzero è un’invenzione tedesca,
ora diventata una tradizione di Natale diffusa in tutto il mondo.
Lo zenzero è un elemento base delle cucine di India, Cina, Corea,
Thailandia, Indonesia e Vietnam, ove viene adoperato più nelle preparazioni
salate che non nei dessert. In tali culture gastronomiche, lo zenzero è
l’equivalente dell’aglio e della cipolla nella cucina americana e, poiché
quella asiatica e quella indiana stanno acquistando sempre più vasta
popolarità, l’uso della spezia nei piatti salati sta godendo un revival a livello
internazionale.
In Germania, durante la vigilia di Natale, è tradizione mangiare carpe
cucinate con lo zenzero e biscotti allo zenzero. I giapponesi adorano lo
shoga, una varietà locale di zenzero che viene consumato sott’aceto. Lo
zenzero è uno dei principali ingredienti del kimchi, la famosa insalata
coreana fermentata, ed è un ingrediente essenziale nella preparazione di
numerosi curry, soprattutto quelli di ispirazione tailandese e malese. Inoltre,
risulta molto apprezzato come complemento a diverse miscele di spezie, ivi
incluso il mix piccante per il jerk giamaicano.
La popolazione di Myanmar (ex Birmania) ha scoperto una inedita qualità
dello zenzero: quando viene impiegato in grandi quantità, maschera l’odore
del pesce; e infatti, i piatti di pesce d’acqua dolce birmani includono sempre
lo zenzero.
Tale spezia gode di grande successo anche nel settore delle bevande, in cui
spiccano, ovviamente, il ginger ale e il tè allo zenzero. La Giamaica
produce una bevanda analcolica frizzante detta «ginger beer» (birra di
zenzero), mentre Bermuda produce una marca di birra di zenzero – la
Barrits (reputata superiore dagli esperti) – che si beve da sola o mescolata a
rum in un drink chiamato Dark and Stormy. Un bar di Manhattan ha
inventato il Moscow Mule, un drink preparato con birra di zenzero e vodka.
I francesi distillano un liquore chiamato Canton, mentre in Thailandia si
può trovare il khing sot, una bevanda di zenzero fresco preparata con olio di
zenzero. Nello Yemen, infine, lo zenzero viene adoperato per aromatizzare
il caffè.
LO ZENZERO IN CUCINA
Quando togliete la polpa di una zucca per fare una lanterna di Halloween,
non gettate via i semi: sono un gran dono per la vostra salute.
I semi di zucca sono ricchi di antiossidanti che proteggono le cellule, di
magnesio che calma i nervi, di ferro che nutre il sangue, di proteine che
irrobustiscono i muscoli, di zinco che rinforza il sistema immunitario e di
acidi grassi poiinsaturi che sostengono il cuore. Sono altresì ricchi di
fitosteroli, ossia composti di natura vegetale particolarmente indicati per la
prostata.
LA PROSTATA RINGRAZIA
Potete far seccare e arrostire voi stessi i semi che recuperate dalla zucca di
Halloween seguendo queste istruzioni.
Scavate via i semi con un cucchiaio robusto e puliteli dalla polpa rimasta
attaccata con un tovagliolo di carta. Allargate i semi su un canovaccio da
cucina pulito in modo che non si sovrappongano e lasciateli seccare all’aria
per una notte. Una zucca può contenere fino a 600 semi.
Per arrostirli, ponete i semi su una teglia piana disponendoli su un singolo
strato e passateli in forno a 150 °C per 20 o 30 minuti, o finché non si
dorano.
In cucina è possibile adoperare semi di zucca interi o macinati sia nelle
preparazioni dolci che salate.
Di seguito, alcuni suggerimenti per arricchire di semi di zucca la vostra
dieta:
Nota anche con il nome di Moghul garam masala, questa miscela è il mix
di spezie più diffuso e popolare dell’India. Viene adoperato praticamente in
ogni occasione, in modo molto simile all’uso che gli americani fanno del
sale e del pepe. In genere, viene usata come aromatizzante verso la fine
della cottura o spolverizzata sul cibo un attimo prima di servire. E
particolarmente apprezzata per dare il tocco finale ai curry. Poiché le spezie
sono tendenzialmente dolci anziché amare, la miscela non richiede
necessariamente la cottura per ammorbidirne il sapore. Può anche essere
distribuita su stufati e minestre un attimo prima di portare in tavola, nonché
sul riso o le verdure. Le spezie che conferiscono gli aromi primari sono il
cumino, il coriandolo, il pepe nero e il cardamomo marrone. Il garam
masala è nato al nord, patria della cucina Moghul, come dire la haute
cuisine della tradizione gastronomica indiana. Provate ad adoperarlo come
fanno in India, cioè in qualsiasi piatto desideriate.
Il chaat masala deve il suo sapore unico a due spezie esotiche: l’amchur,
ossia la spezia agra con sentore di limone ottenuta dal mango acerbo, e il
sale nero, un condimento di gusto pungente diffuso in India che conferisce
alla miscela un sapore salato. Questa miscela viene usata con frequenza per
aromatizzare stuzzichini (molti indiani sono appassionati consumatori di
stuzzichini) e antipasti chiamati chaat, ma può essere adoperata anche nelle
minestre, negli stufati o in qualsiasi preparazione che richieda un sapore
deciso, piccante e acidulo.
Gli chef della Cina e dei paesi del Sudest asiatico, come Malesia,
Thailandia e Vietnam, sono considerati veri e propri maestri nell’arte di
combinare spezie, con un’enfasi particolare sulla creazione di salse speziate
da adoperare come condimento piuttosto che sulla realizzazione di miscele
asciutte. La salsa Hoi-sin, la salsa alle ostriche, quella alle susine e le salse
di pesce sono solo alcuni di una lunga lista di invitanti intingoli che
pongono queste cucine tra le gastronomie più variegate al mondo. Sebbene
vi sia una netta distinzione tra i tipi di salsa e le singole spezie che
contraddistinguono tali cucine, tutte dipendono – e ne fanno un uso
generoso – dalla celeberrima «polvere Cinque spezie» della Cina, in cui
l’esotico anice stellato regna sovrano.
Se avete provato a preparare del cibo cinese a casa vostra ma non siete
riusciti a riprodurne esattamente il gusto, può essere dovuto all’assenza
della polvere Cinque spezie. Tale miscela è ciò che conferisce alle costine
grigliate, alle salsine da pinzimonio e ad altre specialità il loro sapore
distintivo. Molte ricette di ispirazione asiatica richiedono l’uso della
polvere Cinque spezie, ma è sovente difficile da reperire e non esiste alcun
sostituto adeguato in grado di fornire tale sapore. L’anice stellato e il pepe
di Sichuan si possono trovare nei negozi di prodotti asiatici o indiani, e
stanno cominciando a comparire con una certa regolarità sugli scaffali delle
spezie nei supermercati. I grani di pepe nero non hanno alcuna somiglianza
con il pepe di Sichuan e non sono, pertanto, un sostituto accettabile per tale
ricetta. Se non riuscite a trovare il pepe di Sichuan, potete ragionevolmente
sostituirlo con anice comune e pimento in parti uguali.
• Iniziate facendo soffriggere in olio o altri grassi gli aromi freschi di base,
ad esempio la cipolla e l’aglio, finché non si ammorbidiscono. Nelle ricette
indiane, spesso si aggiungono peperoncini e zenzero. Gli aromi di base sono
sempre elementi freschi opportunamente sminuzzati o tritati e includono:
aglio, zenzero, citronella, mango, cipolla, patate, scalogno, tamarindo, e
altre verdure
Tipicamente, per il soffritto si adoperano i seguenti grassi: olio di semi,
olio di sesamo, olio di senape, ghee.
È anche possibile tralasciare la preparazione degli ingredienti di base e
passare direttamente alla seconda fase aggiungendo soltanto la polvere di
curry all’olio. Tale procedimento è più comune nei curry malesi e tailandesi
che prevedono l’impiego di paste di curry anziché miscele di spezie
asciutte.
• Unite la polvere di curry (non il comune curry in polvere commerciale!)
o la pasta di curry. A questo punto, è possibile aggiungere anche altre
spezie, a discrezione del cuoco. Solitamente si tratta di una combinazione di
spezie dal sapore più deciso, magari foglie di curry, semi di fieno greco,
curcuma, noce moscata, cannella o anice stellato, che bilanciano la
pungenza degli ingredienti utilizzati nel soffritto iniziale. Lasciate cuocere a
fuoco basso le spezie finché non rilasciano il loro profumo; siccome ciò può
avvenire piuttosto rapidamente, state pronti ad aggiungere il resto degli
ingredienti.
Il procedimento di soffrittura delle spezie è un passo molto importante:
deve essere eseguito su fuoco basso e le spezie o la pasta devono essere
rimescolate continuamente per impedire che aderiscano al fondo della
padella o brucino. Mentre cuociono le spezie iniziano a scurirsi e addolcirsi.
Perdendo pungenza, gli aromi delle differenti spezie si fondono in modo
tale da non riuscire più a distinguere un aroma in particolare. Le spezie più
forti, come il cumino, la curcuma e il pepe nero, richiedono qualche
momento di più per ammorbidire il sapore un po’ più acre.
• Successivamente, aggiungete l’ingrediente principale e liquido
sufficiente a coprire. Legumi, patate o verdure, se gradite, possono essere
aggiunte a questo punto. Se l’ingrediente principale è carne o pollo, potete
farli rosolare per primi e poi trasferirli altrove prima di procedere con la
prima fase. Portate il liquido di cottura a ebollizione, coprite e lasciate
cuocere a fuoco lento per un’ora o due. Se lo si desidera, nel frattempo è
possibile aggiungere un addensante. Per ottenere un curry asciutto,
utilizzate una quantità minore di liquido e scoprite la pentola a metà cottura
in modo da farlo evaporare; se il liquido si consuma troppo rapidamente,
aggiungete un po’ d’acqua affinché gli ingredienti non brucino o non si
asciughino troppo.
Solitamente i liquidi adoperati nei curry sono: brodo, pomodori
schiacciati, latte di cocco, yogurt colato
Tra gli addensanti più utilizzati figurano: burro di mandorle o altri tipi di
noce, paste di semi macinati ottenute da fieno greco, senape, papavero o
sesamo, cipolle ridotte in purè, polpa di cocco grattugiata, legumi indiani
secchi, quali chana da/ (piselli gialli spezzati) o urad dal (lenticchie bianche
spezzate), succo di limone o lime, pasta di tamarindo, aceto.
• Terminate aggiungendo ulteriori spezie aromatiche. Potete adoperare una
miscela personale di spezie tostate o macinate di fresco o semplicemente un
cucchiaio di garam masala. Aggiustate di sale. Lasciate riposare il curry,
coperto, per circa mezz’ora. Può anche essere tenuto in caldo più a lungo in
forno a una temperatura di 120 °C. Se gradito, guarnite il piatto con foglie
fresche di coriandolo, foglie di curry o menta prima di servire.
India
L’India è la settima nazione del mondo in ordine di estensione territoriale e
la seconda in termini di popolazione; pertanto, il fatto che le preferenze di
gusto varino da regione a regione è tutt altro che sorprendente, e sono
proprio le spezie a dettar legge in tal senso. Innanzitutto, una polvere di
curry di base di alta qualità include: curcuma, cumino, coriandolo, pepe
nero, peperoncino rosso.
La definizione del sapore è data dalle spezie aggiuntive adoperate nel
curry. I curry indiani delle regioni settentrionali tendono ad essere poco
piccanti e cremosi con sentore di noce. Tali caratteristiche aromatiche si
ottengono utilizzando una combinazione qualsiasi delle seguenti spezie:
mandorle, alloro, sesamo nero, cardamomo verde o marrone, cannella,
chiodi di garofano, semi di finocchio, semi di fieno greco, garam masala,
aglio, menta, cipolla, zafferano, curcuma.
I curry dell’India meridionale possono andare dal piccante al
piccantissimo e presentano una netta fragranza di cocco. L’impronta
aromatica è data da una combinazione qualsiasi delle seguenti spezie: pepe
nero, polpa e latte di cocco, foglie di curry, semi di finocchio, semi di fieno
greco, zenzero, semi di senape, peperoncino rosso, tamarindo, pomodoro,
curcuma.
Nelle regioni orientali, i curry tendono ad avere un aroma pungente, in
genere sul versante del dolce. Questo tipo di sapore si ottiene adoperando
una qualsiasi combinazione delle seguenti spezie: assafetida, sesamo nero,
foglie fresche di coriandolo, semi di fieno greco, peperoncino verde, semi
di senape, panch phoron, uvetta, tamarindo.
Infine, i curry dell’India occidentale tendono ad essere piccanti e più sul
versante dell’agro. Tale effetto si ottiene aggiungendo una combinazione
qualsiasi delle seguenti spezie: coriandolo, peperoncino rosso, menta,
zafferano, aceto.
Sri Lanka
Thailandia
I curry della cucina tailandese sono famosi per la loro piccantezza. Il modo
migliore per riprodurne il sapore è utilizzare come base una pasta di
peperoncini pestati. Potete adoperare qualsiasi varietà di peperoncino, dal
momento che la piccantezza è questione di gusto personale. Il sapore
peculiare che denota un curry tailandese, tuttavia, deriva da un interessante
assortimento di aromi. Per preparare un curry tailandese, includete una
combinazione qualsiasi delle seguenti spezie: pepe nero, foglie fresche di
coriandolo, chiodi di garofano, polpa e latte di cocco, coriandolo, cumino,
galanga, aglio, citronella, scorza di limone e di lime, peperoncino rosso,
scalogno, basilico tailandese, curcuma, salsa di pesce, pasta di gamberetti,
arachidi.
Malesia
Vietnam
Indonesia
Oltre all’India e alla Cina, numerose altre zone del mondo caratterizzate
da un clima caldo sono famose per la loro predilezione nei confronti delle
spezie e per la perizia nel combinarle. Va da sé che sono proprio tali
accostamenti a produrre quei cibi e quelle pietanze squisite, uniche nel loro
genere, che gli americani hanno imparato ad amare quando si recano in
ristoranti che offrono cucina tailandese o vietnamita o indonesiana o…
insomma, decidete voi qual è la vostra cucina «etnica» preferita!
Ma il fatto che gli abitanti delle zone più calde siano esperti nell’uso
culinario delle spezie è tutt’altro che sorprendente, poiché le piante, gli
arbusti e gli alberi da cui derivano la maggior parte delle spezie esistenti
sono originarie proprio di quei paesi e di quelle regioni. Nelle zone più
calde del pianeta le spezie sono sempre state impiegate come medicina,
come sostanze conservanti, come aromatizzanti e persino come valuta di
scambio. L’equivalenza tra spezie e salute – spezie e vita – è sempre stato
un concetto ovvio e sottinteso. E lo è ancora.
Ecco perché, in molti dei «paesi delle spezie», se si entra in una casa
difficilmente si vedranno recipienti dosatori come tazze e cucchiai, ma si
noterà la presenza di un mortaio e un pestello, nonché una credenza colma
non già di vasetti diligentemente etichettati bensì di semi e capsule e polveri
di spezie in un assortimento dai colori straordinari.
E non sarà affatto improbabile che i padroni di casa siano maestri nell’arte
di combinare la loro provvista di spezie creando sapori straordinari, o per
meglio dire, davvero squisiti!
Tuttavia, non occorre essere nati in uno dei tanti paesi amanti delle spezie
sparsi per tutto il mondo per diventare esperti nell’aromatizzazione dei cibi.
Abbinare ad arte le spezie in una ricetta è una vera e propria abilità, ma
un’abilità che chiunque può acquisire. Ci vuole semplicemente pratica e
pazienza, ma è importante essere a conoscenza di quest’unico segreto:
l’accostamento creativo di varie spezie per realizzare un piatto delizioso
richiede - ed ecco che toma la parola d’ordine dell’Ayurveda e della MTC —
equilibrio.
Le miscele di spezie sono dette miscele proprio perché bilanciano i sapori
dando vita a un tutto armonico ove non spicca alcuna nota predominante.
Ognuna delle cinquanta spezie presentate in questo libro viene collocata in
una delle sei categorie di sapori: dolce, agro, amaro, forte, pungente e
piccante. La collocazione di una determinata spezia in una certa categoria è
tutt’altro che arbitraria; l’aglio è piccante, e la vaniglia è dolce, ma al tempo
stesso non è assoluta, nel senso che una singola spezia può porsi a cavallo
di vari sapori. Il cumino, ad esempio, è pungente ma presenta un retrogusto
amaro, mentre l’amchur è contemporaneamente dolce e agro.
Spostandosi dal dolce al piccante i sapori si fanno man mano più robusti.
Come vedrete, le percentuali di dolce/agro/amaro e
forte/pungente/piccante non sono uguali; una spezia pungente, ad esempio,
rischia di sopraffare una spezia dolce qualora utilizzata nelle stesse quantità,
viceversa l’impiego più abbondante di una spezia dolce (o una
combinazione di spezie dolci) contribuisce a raggiungere l’equilibrio.
Qualsiasi cosa facciate, ricordate: quando si tratta di combinare spezie non
esistono regole ferree, non esiste un modo giusto e un modo sbagliato. Se
desiderate che una miscela acquisti una nota agra o piccante, esaltate
maggiormente le combinazioni di spezie agre o piccanti nella ricetta e poi
bilanciate il tutto ricorrendo ad altri sapori.
Se volete ottenere l’equilibrio in base ai sei sapori dell’Ayurveda o ai
cinque sapori della Medicina Tradizionale Cinese, dovrete aggiungere un
po’ di sale. Qualora fosse necessario ridurre l’uso del’sale per ragioni
dietetiche (ad esempio, in caso di pressione alta), il sale alternativo di cui
abbiamo fornito la ricetta poc’anzi è un’opzione perfetta»
Man mano che utilizzerete sempre più frequentemente le spezie in cucina,
la preparazione di miscele particolari e persino la creazione di miscele di
vostra invenzione diventerà un’attività sempre più affascinante. Una
miscela di spezie ideata personalmente o una delle miscele descritte in
questo libro possono essere lo spunto per uno splendido regalo da fare agli
amici.
Sale alternativo di Alamelu