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**ALBERATURE STRADALI: IL CASO DI

BOLOGNA**

**Introduzione**
L’importanza degli alberi in città è oramai confermata non solo dall’esperienza e dalla sensibilità
dei cittadini, ma anche da numerosi studi che dimostrano quanto numerosi siano i benefici apportati
dalle essenze arboree in un ambito poco salutare come quello cittadino, cosa vera sotto molti
aspetti.

Le alberature stradali rivestono un ruolo di grande rilevanza nel regolare il microclima


urbano. Attraverso un processo chiamato “evapotraspirazione” le foglie fogliari rilasciano vapore
acqueo nell’ambiente, abbassando la temperatura dell’aria anche di un grado (ad 1,5 metri dal
suolo). Tale fenomeno si riscontra maggiormente per le latifoglie caducifoglie, aventi lamine
fogliari più ampie e quindi più capaci di operare questo scambio di energia. Una strada alberata
quindi risulterà più fresca e capace di mitigare la calura rispetto a un viale che ne è privo.
Il ruolo dell’albero non si limita solo a mitigare la temperatura, ma svolge anche funzioni di filtro.
La lamina fogliare è anche in grado di trattenere gli agenti inquinanti, come le micidiali
microparticelle solide prodotte dagli scarichi delle autovetture chiamate con sigle spesso
incomprensibili (PM6 o PM10).

Gli alberi giocano un ruolo molto importante anche nell’attenuazione dell’inquinamento


acustico, creando una sorta di membrana isolante naturale.
Oltre a questi vantaggi l’alberatura stradale, se progettata adeguatamente usando gli stessi
principi di associazione di colori e tessitura del fogliame con cui si creano i giardini, può
diventare uno strumento per migliorare concretamente l’estetica della città.

In Italia, il caso di Bologna è interessante. La città ha un clima semi-continentale con


inverni freddi e umidi ed estati calde e torride. La media delle precipitazioni si aggira sui
700 mm annui, caratteristica comune a tutte le zone del distretto a bassa piovosità che
include Cuneo, Alessandria, Piacenza e tutte le città dell’Emilia-Romagna che giacciono
sulla via Emilia. In questa macro-area le piogge estive sono sporadiche e comprese fra il 10
e il 25 % del totale annuo, fattore che mette a dura prova il verde cittadino. Diversa è la
situazione delle città situate a nord del Po che beneficiano di precipitazioni estive
temporalesche più abbondanti. Il clima bolognese degli ultimi anni è stato alquanto
particolare poiché le precipitazioni totali sono complessivamente diminuite (500 mm/anno),
quelle primaverili sono state scarse e gli inverni molto miti. Ciò ha recato stress fisiologici
agli alberi, costretti ad affrontare un ambiente più ostile di quello originario. Si verificano
infatti disseccamenti, bruciature fogliari e dei tronchi, carenze idriche e colpi di calore, tanto
da considerare ormai una necessità cambiare i metodi di scelta delle specie da impiantare
ex-novo.

Alcune essenze al contrario si sono rivelate particolarmente resistenti, come se le condizioni


climatiche più dure le avessero selezionate.
In questo breve resoconto si vuole raccontare la condizione di una grande città del nord
Italia, valutando la situazione attuale del verde e proponendo interventi di miglioramento.
**Situazione attuale**

Le alberature esistenti sono ben distribuite e tutto sommato la città presenta una buona
copertura verde.
Per una semplificazione del testo, vista la vastità dell’argomento, si è operata una divisione
fra latifoglie e conifere. Ogni genere meriterebbe una illustrazione molto più approfondita,
che per motivi di opportunità non è possibile qui fare, si rimanda pertanto il lettore
interessato a testi scientifici e universitari.

-**LATIFOGLIE**

Le latifoglie rappresentano la maggior parte delle alberature urbane con una ampia varietà.
Il genere //Tilia// è presente con diverse specie o ibridi: //Tilia x europea// (Tiglio
europeo), //Tilia platyphyllos// (Tiglio nostrano), //Tilia cordata// (Tiglio selvatico).
Tutte queste essenze sono esigenti, richiedono clima fresco e possibilmente precipitazioni
estive, requisiti che non si ritrovano in città e che causano problemi fisiologici legati a
siccità ed eccessivo calore.
Esiste una specie, chiamata //Tilia tormentosa//, originaria dell’Europa orientale (dove si
trova in boschi di roverella, cerro e farnetto) che è resistente all’aridità estiva; essa viene
utilizzata come specie ornamentale nell’Europa centrale, in virtù anche della bella
colorazione autunnale delle foglie.
Volendo installare nuovi impianti di tigli si dovrebbe perciò fare riferimento a questa specie
(e aggiungerei anche //Tilia x euchlora//).
Oltretutto le due specie citate non sono affette dai problemi derivanti dagli afidi (es.
“melata”) che aggrediscono invece altri tigli.
Dei generi //Carpinus// ed //Ostrya// sono presenti le specie //C. betulus// (Carpino bianco)
ed //O. carpinifolia// (Carpino nero).
Mentre il primo è esigente di fertilità del suolo, il secondo è sicuramente indifferente alla
natura litologica del terreno e sopporta meglio la siccità. Laddove vi siano strade o cortili in
ombra quest’ultima risulterà adattissima nel creare una quinta verde rinfrescante.
In città manca //Carpinus orientalis// e questa potrebbe essere una specie interessante, in
quanto indifferente all’aridità e al calore estivo, oltre che essere di dimensioni contenute.
Fra i frassini ritroviamo il //Fraxinus excelsior// (Frassino maggiore o comune), il //Fraxinus
angustifolia// (Frassino meridionale o ossifillo), e qualche //Fraxinus ornus// (Orniello).
Per le nuove alberature si fa spesso riferimento alla prima specie, //F. excelsior//.
Erroneamente. Il frassino maggiore, nel suo habitat italiano, lo ritroviamo a quote montane
o sub-montane in posizioni settentrionali e di forra, i cosiddetti aceri-frassineti (alleanza
fitosociologica del //Tilio-Acerion//). Si capisce dunque perché essi subiscano danni nei
viali alberati, soprattutto sotto forma di bruciature fogliari o stress idrici.
Il frassino meridionale è invece un campione di resistenza ed è ormai ben diffuso in parchi e
alberature. La cultivar ‘Raywood’ presenta una gradevole colorazione autunnale bronzata.
L’orniello invece non ha meritato ancora la diffusione che dovrebbe avere e ciò a torto. La
sua fioritura è profumata e vistosa; la colorazione autunnale del fogliame è degna di
attenzione; ha dimensioni proporzionate a viali e strade ed è una specie termofila e xerofila
di rapido accrescimento giovanile, quindi idonea all’ambiente urbano. Se ne auspica una sua
più corposa diffusione.
Gli Aceri presentano una situazione intermedia. Mentre //Acer pseudoplatanus// (Acero di
monte), //Acer platanoides// (Acero riccio) e //Acer saccharinum// soffrono l’eccessivo
calore, l’ //Acer campestre// è invece ben diffuso e orna strade, giardini e parchi,
dimostrandosi una delle scelte più indovinate per questa situazione.
Se i tecnici guardassero maggiormente alle piante di casa nostra potrebbero trovare degno di
attenzione anche l’//Acer monspessulanum// o acero minore, estremamente resistente alle
scarse precipitazioni, al caldo, lento nella crescita e con una strabiliante colorazione
autunnale rossa.
Anche l’//Acer tataricum// subs. //ninnala// resiste perfettamente e sarebbe pertanto buona
scelta.
L’esotico ma ampiamente naturalizzato //Acer negundo// si trova ultimamente a fare i conti
con la mancanza di temporali estivi e ciò gli provoca la perdita o disseccamento della
maggior parte del fogliame, rendendolo particolarmente povero in questa stagione. Che sia
l’occasione giusta per frenare la sua invadenza in pianura padana?
L’olmo campestre (//Ulmus minor//) si ritrova frequentemente nei viali alberati, spesso con
esemplari ormai annosi. La specie è resistente a qualsiasi stress, le annate siccitose non gli
provocano danni e nemmeno le potature più selvagge lo mettono a disagio. La grafiosi
dell’olmo fortunatamente non è presente in città.
Il Bagolaro o //Celtis australis// è forse l’albero che più stupisce per la sua tenacia. Ad oggi
non presenta alcun tipo di problema e nemmeno un minatore fogliare che è stato segnalato
per la prima volta in Emilia Romagna gli crea difficoltà. Se dovessimo fare una classifica di
resistenza e prestazione il bagolaro sarebbe sicuramente al primo posto. Come esemplare
isolato e annoso stupisce per bellezza ed equilibrio della chioma. Il tronco e la corteccia
sono molto apprezzabili, i frutti sono eduli e offrono cibo alla fauna avicola cittadina.
Spesso ci si lamenta delle sue radici, tanto che nella tradizione popolare è chiamato
“spaccasassi”, ma se non avesse tale apparato radicale come potrebbe sopravvivere alla
carenza d’acqua in estate? E’ un albero a cui dovremmo fare un monumento!
I Platani (//Platanus x acerifolia//) sono gli alberi da alberatura urbana più bistrattati, e non
se ne comprende il potenziale. Non sono idonei per viali alberati perché essenze troppo
grandi e sproporzionate per gli spazi urbani. Spesso sono attaccati dal tingide del platano
che fa ingiallire e cadere le foglie o ancor peggio dal cancro colorato. Tutto ciò a causa
dell’inquinamento, delle capitozzature e della mancanza di disinfezione degli strumenti usati
per operare il taglio.
I platani, fra cui anche //Platanus orientale//, sono alberi da usare nei grandi parchi, in
posizioni isolate o vicino all’acqua. Un effetto sorprendente si potrebbe ottenere in pianura
padana vicino ai fossati creando filari con questo genere, distanziando gli individui singoli
fino a quaranta metri, senza operare potature.
Il genere //Quercus// è molto vasto e generalmente ben rappresentato nelle alberature
stradali.
Tuttavia alcune specie si dimostrano particolarmente affidabili; la farnia (//Quercus robur//)
è un albero maestoso, principale componente della vegetazione potenziale della pianura
padana (Querco-carpineti planiziari). Non è adatto alle alberature stradali a causa della sua
chioma molto ampia, a meno che non si usi la cultivar ‘Fastigiata’, ben più ridotta nelle
dimensioni. Per apprezzare ai massimi livelli questo albero è bene piantarlo isolato nei
parchi o grandi spazi. Ultimamente soffre dell’abbassamento del livello della falda freatica,
tanto che spesso le sue foglie ingialliscono leggermente in estate. Sovente è anche infestata
da limacce e galle.
Più adatti per la città sono gli autoctoni //Quercus cerris// (cerro), //Quercus petraia// (rovere
vera), //Quercus pubescens// (roverella), //Quercus frainetto// (farnetto), oltre che l’ormai
affidabile leccio (//Quercus ilex//).
In particolare il cerro e la rovere, con la loro chioma dritta e slanciata, si adatterebbero in
maniera ottimale alle strade più ampie.
La rovere inoltre, contrariamente a quanto si può pensare, si adatta bene all’argilla padana,
nonostante il suo optimum edafico sia su suoli silicatici ben drenati a reazione sub-acida.
Resiste inoltre molto bene alle estati secche.
Degna di menzione è //Quercus x tourneri//, ibrido fra farnia e leccio, che grazie al suo
portamento conico-piramidale è una opzione ottimale.
L’ippocastano (//Aesculus hippocastanum//) è l’essenza che soffre maggiormente i
cambiamenti climatici. Abituato com’è al suo clima fresco d’origine, le montagne di
Albania e Bulgaria, non dobbiamo stupirci se questo albero maestoso patisca. Inoltre il
parassita //Cameraria ohridella// e l’agente fungino dell’antracnosi fogliare peggiorano la
sua situazione fitosanitaria. Questo non vuol dire che non possa essere usato nei grandi
parchi, dove lo smog è in concentrazione minore e le escursioni termiche dovute all’asfalto
non gli nuocciono. Oltretutto per diminuire l’azione dei suoi parassiti, senza ricorrere ai
costosi interventi di endoterapia, basterebbe raccogliere in autunno le foglie, che sono il
veicolo principale della loro diffusione.
Altra categoria da menzionare è quella dei pioppi. Essi vanno a costituire la tipica
vegetazione azonale che si ritrova dove vi sia la componente acqua. Sono quindi piante idro-
esigenti e se ne consiglia l’utilizzo vicino ai corsi idrici o in stazioni particolarmente umide.
E’ interessante notare come il pioppo tremolo (//Populus tremula//) non sia mai stato
utilizzato o contemplato per le alberature nonostante sarebbe una specie molto adatta in
quanto rustica, frugale, slanciata e soprattutto emotivamente coinvolgente per il tremolio
caratteristico delle sue foglie pubescenti. Per di più d’autunno assume una colorazione
dorata attraente.
Acune specie hanno dimostrato un perfetto adattamento e vengono adoperate sempre più
spesso per i nuovi impianti: //Sophora japonica//, sorprendente per la sua indifferenza alla
siccità, dalla quale sembra quasi che tragga vantaggio; //Koelreuteria panicolata//, un albero
completo per tutto quello che sa offrire; //Albizia julibrissin//, piacevole per le sue contenute
dimensioni; //Eleagnus angustifolia//, per il suo bel fogliame argentato; //Cercis
siliquastrum//, per la sua fioritura sorprendente; //Prunus pissardii// ‘Nigra’ per la sua
tenacia; //Gleditschia triacanthos//, con le sue cultivar ‘Inermis’ e ‘Sunburst’; //Brussonetia
papyrifera//, per gli insoliti amenti grigio polvere.
Merita un appunto anche la comune mimosa, //Acacia dealbata//, che negli ultimi tempi
supera agevolmente gli inverni bolognesi e fiorisce profusamente.
Infine la Robinia (//Robinia pseudoacacia//) e l’Ailanto (//Ailanthus altissima//), alberi che
spesso vengono associati al degrado o, come direbbe Gilles Clemènt, al “terzo paesaggio”.
Ebbene queste due essenze devono essere viste con ottica differente e cioè come alberi da
sfruttare per la loro capacità di resistere ad ambienti particolarmente inquinati. Mentre per la
robinia si è già lavorato per ottenerne cultivar importanti, per l’ailanto c’è ancora molta
strada da fare. Ad esempio sarebbe interessante una cultivar che produca frutti sterili o
particolarmente colorati.
-**CONIFERE**

Dei cedri si è fatto abuso nel passato, piantandoli soprattutto nei giardini privati e
condominiali. Fortunatamente non è stato così per il verde urbano, dove essi vengono usati
con moderazione, con esemplari isolati e a piccoli gruppi. Recentemente non vengono più
presi in considerazione, perché ci si affida maggiormente alle latifoglie a foglia caduca.
Senza passare da un estremo all’altro ci si può servire di questo genere con intelligenza,
dove siano presenti ampi spazi e servendosi della loro adattabilità.

Il //Pinus pinea// continua invece a sembrare un pesce fuor d’acqua; cresce col tronco
incurvato, con la chioma disarmonica e solleva il manto stradale. Sembra non volersi
adattare al clima padano. Subisce ingenti danni da nevicate poiché i suoi rami facilmente si
spezzano.
Il //Pinus pinaster// invece non è presente, nonostante sarebbe forse più adatto, tollerando
maggiormente il freddo e l’umidità.
Un vero fallimento è rappresentato dall’utilizzo del pino laricio (//Pinus nigra// subsp.
//laricio//), che vegeta perennemente in stato comatoso, con la chioma disintegrata dalla
processionaria. I tecnici continuano a tenerli in piedi soltanto perché fanno numero
nell’inventario degli alberi.

La conifera che ha avuto più successo è il tasso (//Taxus baccata//). Di dimensioni contenute
è un albero delizioso in tutte le sue parti. Può fungere da sfondo per arbusti fioriti o con
fogliame colorato, può essere potato in forme topiarie, è lento nella crescita e quindi adatto a
piccoli spazi.

Una specie curiosa per la sua presenza in qualche esemplare è il pino silvestre (//Pinus
sylvestris//). In viali alberati sulle colline, spesso battute dai venti secchi provenienti
dall’Appennino, sarebbe perfetto. Bello nella forma, per la corteccia color cannella, rustico
e frugale, non patisce assolutamente nei terreni poveri e regge tranquillamente la siccità
estiva bolognese.

**DISTANZE FRA GLI ALBERI**

Alcuni impianti hanno ormai raggiunto una densità tale che occorrerebbero interventi di
diradamento.
Esiste però un regolamento del verde ridicolo che impedisce l’abbattimento degli alberi se
non per motivi particolari: se recano danno a proprietà o alla viabilità e se risultano vicini
alla morte. Non è contemplato l’abbattimento a scopo di diradamento per lasciare una
distanza adeguata tra un individuo e l’altro, cosicché spesso incontriamo essenze di statura
notevole a una distanza di 5 o 6 metri.
I nuovi impianti non tengono conto di questa lunghezza e si continuano a piantare tigli o
platani a 6 o massimo 10 metri l’uno dall’altro.
Tenendo conto che in città non è concepibile ottenere la distanza massima che le specie
avrebbero a sviluppo completo sarebbe comunque auspicabile un compromesso fra queste
due misure, oppure l’impianto di specie aventi dimensioni minori.
Questa considerazione ovviamente non è valida per le fasce boscate ai margini di certi
parchi, dove invece una fittezza maggiore è richiesta come filtro contro l’inquinamento
atmosferico e aucustico.

**LE POTATURE**

In questo ambito, è utile riportare il pensiero di Sylvia Crowe dal suo //Il progetto del
giardino//, in moda da acquisire un concetto importante sulle alberature urbane e sul loro
aspetto: «Ancora peggio dell’inutile abbattimento di alberi è la loro mutilazione con una
potatura incompetente. Un ramo tagliato in un troncone o un albero decapitato dapprima
avrà l’aspetto di uno scheletro e poi, se il troncone non muore e fa marcire l’albero, getterà
fuori un viluppo di nuovi germogli sul punto del taglio, formando una testa sfilacciata, senza
alcuna bellezza e ostacolando al massimo la vista e la luce. Ma un albero opportunamente
diradato, con i rami superflui asportati con taglio netto fino al ramo principale o al tronco,
può guadagnare in aspetto, salute e sicurezza».
Ecco le tre parole chiave che bisogna tenere a mente per la manutenzione degli alberi:
 **Aspetto**, cercando di conservare il più possibile una chioma armonica e ben
equilibrata, piacevole alla vista.
 **Salute**, cercando di mantenere più alti possibili gli standard di sterilità degli
strumenti utilizzati dai manutentori. Un albero sano, perdonate il luogo comune, è
anche più bello.
 **Sicurezza**, cercando di non sbilanciare la chioma verso una parte o l’altra,
cosicché l’albero sarà più resistente agli agenti meteorici (vento, temporali e neve).

A Sylvia Crowe prenderebbe un colpo se vedesse come vengono trattati i nostri alberi e si
chiederebbe come fanno a stare ancora in piedi. Forse la selezione naturale e lo stress hanno
isolato individui forti e tenaci.
E allora dovremmo cercare di convincere i nostri tecnici che, se le specie sono
opportunamente distanziate, le potature drastiche non servono e che sono necessari solo
interventi saltuari di ripulitura lieve della chioma. Ciò rappresenterebbe anche un bel
risparmio di denaro da dedicare ad altre opere cittadine.

**NUOVI IMPIANTI**
Se fino a qualche anno fa l’impianto di microirrigazione a goccia per le nuove alberature
non era previsto e ci si affidava alle conche scavate faticosamente dagli operai giardinieri,
oggi la situazione è fortunatamente ben diversa.
Ogni albero ha il proprio tubo di irrigazione che viene attivato a seconda dell’andamento
climatico (certe volte si inizia già a maggio), cercando di irrigare per i primi due o tre anni e
poi lasciando che l’albero se la cavi da solo. Diradando i cicli di irrigazione già a partire dal
secondo anno si può infatti abituare l’albero ad approfondire il proprio apparato radicale,
facendo in modo che dal terzo anno sia autosufficiente. In annate particolarmente siccitose
si potranno effettuare interventi di soccorso facendo affidamento ai tubi già presenti.

Ultimamente per prevenire l’insorgenza di infestanti e mantenere il terreno fresco attorno al


pane di terra si stanno adottando diversi espedienti.
La ghiaia risulta inefficace perché spesso lo strato applicato è talmente esiguo che le erbe
spontanee si insediano comunque.
La corteccia di pino, è efficiente in particolar modo quando è di pezzatura fine, ma ha un
costo eccessivo per le tasche del comune
.
Ecco che allora recentemente si stanno diffondendo delle valide stuoie di iuta, o materiale
simile, di forma e dimensioni adattate alla buca quadrata per gli alberi. Di aspetto simile ad
uno zerbino, si stanno dimostrando efficaci: alzando la stuoia si può notare che il terreno
rimane fresco, le infestanti non crescono e l’effetto è abbastanza gradevole. In più sono
economiche e la durata è garantita almeno per i primi due anni.
Altro punto importante dopo l’irrigazione è quello delle distanze d’impianto. Visto che le
spazi fra le buche di nuova fattura non cambiano (dai 6 ai 10 metri), la scelta dell’essenza è
di fondamentale importanza. Oltre a quelle già citate nei paragrafi precedenti se ne possono
nominare altre che stanno prendendo sempre più piede.
Ad esempio il //Prunus serrulata// ‘Kanzan’ si sta diffondendo molto ed è apprezzabile
durante tutto l’arco dell’anno, oltre ad essersi dimostrato tollerante allo smog. Se proprio
vogliamo attribuirgli un difetto questo è riferito al punto di innesto che risulta
particolarmente visibile quando l’albero comincia ad avere diversi anni.
Si sta facendo un largo uso anche di //Prunus// ‘Amanogawa’ e di //Pyrus calleryana//
‘Chanticleer’: infatti ben si adattano alle strade più piccole per le loro misure contenute,
inoltre sono molto spettacolari quando sono fioriti.

Le forme fastigiate (colonnari) possono venire in aiuto, dove la mancanza di spazio è la


limitazione maggiore. Non è detto comunque che esse siano ottimali in ogni contesto, in
quanto in certe zone risultano troppo rigide e allora la soluzione migliore è l’essenza con la
dimensione e il portamento adeguato.
A volte dalle inconsapevolezze si può trarre spunto; a Bologna, per esempio, alcune strade
sono state ornate con alberature di //Melia azedarach//, una specie non proprio indicata per i
climi freddi del nord Italia. Probabilmente, complice l’isola di calore urbana, nella città
hanno trovato la loro nicchia climatica ideale. Esse prosperano egregiamente, tollerando i
normali interventi manutentivi del comune.
A volte ci si può anche sbilanciare e correre un rischio: nell’orto botanico sono presenti
alcuni esemplari imponenti della semi-rustica //Firmiana simplex//, appartenente alla
famiglia delle Sterculiaceae. Vista la bellezza di questi alberi perché non utilizzarli anche
fuori dalle mura dell’orto per alberature e parchi?
Ci si può affidare anche a cultivar sterili per superare il problema dei frutti che imbrattano le
auto: per esempio con //Morus alba// ‘Fruitless’ o ‘Stribbling’ rinunciamo ai frutti del gelso
bianco, senza perdere le qualità di resistenza che ci interessano per un suo uso urbano.
Oppure possiamo fare ricorso al sesso di una pianta dioica (ossia che ha frutti maschili e
femminili su individui separati) per bypassare certi inconvenienti: utilizzando //Populus
nigra// var. //italica// di sesso maschile, orneremo una strada con una alberatura insolita e in
più il problema dei piumini allergeni dei pioppi sarà ridotto.
Laddove lo spazio è davvero angusto da non poter inserire specie arboree si può far ricorso
a piantagioni “non convenzionali”, inserendo nelle apposite buche alti arbusti scelti per la
forma e dimensioni adeguate. La stessa //Photinia x fraseri// ‘Red Robin’ potrebbe essere
usata a tale scopo invece di costringerla sempre negli spazi stretti di una siepe. Oltre a
questa anche molti viburni (es. //Viburnum lantana//), le lonicere arbustive (//Lonicera
tartarica//, //Lonicera fragrantissima//), i lillà (//Syringa// spp.), i //Philadelphus//, i
cotoneaster (es. //Cotoneaster roseus//), gli evonimi decidui, i //Berberis// e innumerevoli
altre possibilità.

**CONCLUSIONI E PROSPETTIVE**

L’interesse verso il verde urbano sta aumentando e ciò in linea con una visione più
ecologica e sostenibile delle nostre città.
Riguardo a Bologna si può dire che, per quanto concerne le alberature, la situazione è buona
solo in parte.
Se da un lato la maggiore variabilità nella scelta delle essenze è palese, dall’altro vi sono
ancora gravi problemi dovuti a una gestione non proprio ottimale del complesso verde e alle
distanze delle nuove piantagioni.
Se i tecnici dell’ufficio competente riuscissero a comprendere che ciascun individuo
vegetale va trattato come tale (e non come un oggetto da correggere e modificare
costantemente con interventi superflui), la qualità del verde urbano aumenterebbe in
maniera significativa. Basterebbe recarsi in campagna, o nei boschi, per capire cosa vuol
dire evoluzione della forma di un individuo vegetale e di conseguenza il potenziale valore
compositivo dell’albero nell’architettura urbana.
Il percorso da fare è ancora lungo. Si dovrebbe puntare alla migliore preparazione e
formazione da parte delle università (scuole o corsi) per la risoluzione di tale problema.
Anche il cittadino comune, senza essere eccessivamente pedante o scrupoloso, deve
intendere il significato di questo passaggio e pretendere una buona qualità del verde che lo
circonda.

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