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FOR THE CULTIVATION OF THE MIND

IL RACCONTO DI UN GRAND TOUR IMMAGINARIO


CAPITOLO 1 - Donne e Grand Tour
L’accostamento donna-viaggio è stato a lungo ritenuto un fenomeno dai tratti eterogenei e per certi
versi complicati. La donna non rientrava all’interno di quelle categorie sociali alle quali era consentito
il lusso del viaggio, soprattutto se non scortata da un uomo che si prendesse cura di lei e si premurasse
di salvaguardare la sua moralità.
Proprio l’Inghilterra – come vedremo in seguito – conterà tante altre donne pioniere della moda del
viaggio. Sarà nel Settecento e, ancora di più, nel successivo secolo borghese, che il viaggio al femminile
cominciò a divenire una pratica tollerata e per certi versi accettata, una specie di consuetudine che ben
prestò si tramutò in un fenomeno di costume.
L’immagine della donna angelo del focolare – confinata entro le mura domestiche per dedicarsi ai suoi
doveri di figlia e poi di moglie e di madre – fu difficile da scalfire, è bene ricordarlo. Tuttavia, a piccoli
passi, l’usanza del viaggio al femminile prese sempre più piede, sebbene con precisi accorgimenti. Le
viaggiatrici, infatti, dovevano preferibilmente essere sempre accompagnate da uno chaperon, maschio,
e spostarsi dalla loro dimora abituale per motivi sensati, come, per esempio, la cura di particolari
malanni. Il clima mite che caratterizzava soprattutto le regioni meridionali dell’Europa era una
giustificazione saggia e plausibile per legittimare il viaggio di una donna.
Il tour intrapreso per motivi di salute si accosta ad altre tipologie di mouvement, anche femminile, che
può essere riconducibile a motivazioni lavorative – specie delle compagnie teatrali itineranti che,
finalmente, comprendono anche le attrici – o a più complesse dinamiche di tipo politico.
Già a partire dal Settecento, infatti, si cementa con più forza la pratica dei viaggi di esplorazione di tipo
scientifico, che sembra connotare fortemente soprattutto l’universo maschile. Ci si sposta non soltanto
per contemplare le vestigia classiche e per ammirare le bellezze artistiche e architettoniche, ma anche
per osservare fenomeni naturalistici, esplorare i campi emergenti della botanica, della vulcanologia,
della geologia, raccogliere dati e reperti da conservare presso collezioni private.
Gli uomini possono confrontarsi all’interno delle società scientifiche e letterarie, delle tante accademie
che fioriscono copiose in quegli anni, dei circoli nei quali si disquisisce di scienza, di arte e di letteratura.
Si tratta di una realtà sociale forte e radicata che, però, resterà a lungo preclusa alle donne.
Tuttavia, esistono significati eccezioni. Molte viaggiatrici, presumibilmente, non scrissero nulla a
proposito del loro tour. Se il discorso si sposta alla sfera italiana, inoltre, le difficoltà aumentano. Uno
degli esempi più fulgidi di donna italiana in viaggio a scopi formativi è quello di Isabella Teotochi Albrizzi,
in visita in Toscana a fine Settecento. I resoconti delle viaggiatrici spaziano da brevi appunti, a diari, a
epistolari, talvolta corredati da schizzi e acquerelli, che lasciano trasparire – non sempre, in verità – le
sensazioni provate alla vista di bellezze artistiche o architettoniche, piuttosto che davanti a paesaggi
mozzafiato o al cospetto di uomini o donne dalle personalità dirompenti.
Un esempio emblematico e dai tratti estremamente indicativi di una categoria di donne che travalica i
confini delle mura domestiche grazie alla forza della penna è certamente Priscilla Wakefield.
CAPITOLO 2 – Il Tour immaginario
2.1 – Priscilla Wakefield: la vita e le opere → Priscilla Bell nacque a Tottenham, a sud di Londra, il
31 gennaio del 1751. Sposò un uomo d’affari londinese, Edward Wakefield e, per sostenere
economicamente la famiglia, si dedicò al mestiere di scrittrice, prediligendo soggetti legati all’universo.
Il suo appoggio incondizionato all’opportunità di istruire le donne e di renderle, in qualche modo,
indipendenti economicamente, prevedendo per esse soprattutto la professione di insegnante, traspare
dalla sua produzione letteraria. La valenza anche sociale della produzione letteraria di Priscilla
Wakefield trova una contestuale riflessione in quanto di concreto lei stessa fece soprattutto in funzione
delle donne e dei bambini. Fu lei, infatti, a sostenere con forza l’apertura di un ospedale per le povere
gravide, la Lying-In Charity for Women, di una scuola per fanciulle, la School of industry for girls, e di
un istituto di credito, lo Ship Inn Yard, riservato alle fasce più indigenti della popolazione, dalle cui
fondamenta, probabilmente, nacque di lì a poco la prima banca di risparmio in Inghilterra.
La letterata inglese fu un’osservatrice attenta e acuta del mondo circostante, non timorosa di scrivere
con chiarezza le sue idee e i suoi pensieri anche su argomenti che tanto facevano discutere. La sua
attenzione era rivolta, in particolare, alle tendenze del mercato economico.
La prolifica attività letteraria della Wakefield la inserisce a pieno titolo entro i margini nitidi di un
attivismo al femminile che contribuì a forgiare la nazione inglese in quegli anni significativi.
Priscilla Wakefield morì nel 1832.

2.2 – “A narrative to engage the attention of young readers” → L’Inghilterra sembra porsi in prima
linea tra i grand touristers sin dalle origini della moda del viaggio di formazione. Commercio,
sfruttamento delle colonie, economia in rialzo consentono ai giovani rampolli delle famiglie bene
anglosassoni di potersi agevolmente permettere di visitare il continente, sobbarcandosi le spese di un
viaggio certamente dispendioso. E proprio l’Italia diviene la meta prediletta dai viaggiatori, un museo
di forme politiche, per la sua frammentazione territoriale e per le differenti tipologie di governo
ravvisabili da nord a sud, che si accompagna a un vasto e prezioso patrimonio classico e artistico, vera
e propria calamita per i tanti europei che vi transitano. Sarà soprattutto nell’Ottocento vittoriano che
aristocratiche o donne appartenenti alla media e all’alta borghesia praticheranno il viaggio con
sistematica puntualità. Certo, la presenza di un uomo accompagnatore continua a essere considerata
opportuna. La seconda metà del secolo, soprattutto, vedrà affermarsi con decisione la pratica di viaggio
delle ladies explorers, agevolate dalla graduale espansione del colonialismo; ma la voglia di travalicare
i confini angusti delle loro dimore signorili spingerà tante donne a mettersi in viaggio per motivazioni
altre, che spaziavano da giustificazioni di tipo terapeutico a più audaci spiegazioni di tipo culturale.
Emily Lowe, in questo contesto rinnovato, sembra essere una figura particolarmente rappresentativa.
2.3 - The Juvenile Travellers → Priscilla Wakerfield progetta di scrivere un libro rivolto principalmente
ai fanciulli. Il tour attraverso l’Europa è lungo e quanto possibile dettagliato, ma, ed è qui l’originalità
del libro, non è stato condotto in prima persona dalla letterata inglese. La Wakefield, infatti, si cimenta
in un’opera insolita, conducendo i suoi protagonisti, i membri della famiglia Seymour, attraverso un
lungo viaggio in diversi Stati europei, la cui descrizione minuziosa è frutto di quanto all’autrice era stato
raccontato da chi effettivamente aveva visitato quei luoghi.
I trentasei capitoli che compongono il volume dettagliano un tour articolato, costellato di incontri
significativi e di visite a luoghi emblematici, un viaggio attraverso una larga fetta d’Europa condotto dai
Seymour, una famiglia di «early fortune» composta da padre, madre e dai figli Theodore, di quasi 14
anni, e Laura, di 12. La scelta di intraprendere un viaggio così complesso è dettata dalla volontà di
curare la depressione di Mrs Seymour, prostrata per la scomparsa della madre. Il medico, infatti,
sostiene che la decisione è quella di lasciare la casa per qualche anno <<and visit the principal places in
Europe>>.
All’inizio del mese di luglio, dunque, la famiglia si imbarca in un battello alla volta di Amburgo, prima
tappa del tour, passando per Copenaghen. Il racconto del tragitto verso la meta prestabilita è
estremamente dettagliato, così come la descrizione minuziosa della natura circostante, arricchita di
particolari narrativi assai meticolosi, legati soprattutto all’esposizione accurata delle peculiarità del
luogo visitato, economiche e culturali, ma anche alla fisicità – naturale e antropica – del territorio.
L’arrivo nella città tedesca offre il destro all’autrice per sottolineare una prassi comune a tanti
viaggiatori del Grand Tour. Si tratta delle cosiddette lettere di presentazione le quali, se analizzate con
attenzione, permettono di conoscere la complessa trama di rapporti tra politica, intellettualità, scienza,
massoneria che passa trasversalmente attraverso l’Europa della tarda età moderna. L’importanza che
tali lettere di presentazione rivestiva per i viaggiatori è ben spiegata da Jean Houel.
Sin dalle prime tappe del tour, accompagnati dall’agio delle lettere di presentazione, la comitiva ha
modo di accostarsi a personaggi di una certa importanza, come la «celebreted» contessa de Genlis.
È significativo che la Wakefield scelga di far incrociare i destini della sua famiglia con quello di un
personaggio come la Genlis istitutrice dei figli dei duchi di Orleans, vicina ai principi rivoluzionari e
innalzata alla ribalta delle cronache pedagogiche e formative durante gli anni del Consolato.
Dopo avere descritto Amburgo la comitiva prosegue il viaggio, visitando Odensee, Nyborg e,
finalmente, giungendo a Copenaghen. Ancora una volta, l’autrice si sofferma su una figura femminile:
si tratta di Margaret de Waldemar, per la quale la Wakefield spende parole di grande elogio.
Mr Seymour decide di affrontare il difficile viaggio verso la Svezia, condividendo l’esperienza solo con
il figlio Theodore, il quale dimostra di ricordare bene quanto studiato a proposito del Paese che si
accinge a visitare. Intanto, Mr Seymour e Theodore arrivano a Stoccolma, e il giovane racconta
l’esperienza in una lunga lettera alla sorella, nella quale spiega dettagliatamente il soggiorno presso il
conte Rantzeau, un vecchio nobiluomo. La tappa successiva è Upsala. Il viaggio prosegue verso la
Norvegia e, durante il tragitto, i nostri viaggiatori ebbero modo di godere della vista dell’aurora boreale.
Il racconto di quanto visto a Christania, capitale della Norvegia, è oggetto di una lettera di Theodore
alla sorella. Tornati a Copenaghen, e riunita la famiglia, i Seymour si imbarcano alla volta di «Dantzic, a
city of Prussia», per poi giungere a Berlino.
Da Dresda, tappa successiva, Laura scrive una lettera alla sua amica Sophia, conosciuta a Copenaghen,
anche lei membro di una famiglia inglese alle prese con un lungo tour dell’Europa. Racconta quanto
visto a Berlino, soffermandosi sugli abitanti. Il viaggio della famiglia inglese prosegue attraverso la
Germania, con tappe a Lipsia, Magdeburgo, Hannover, per poi continuare alla volta dell’Olanda. Ancora
una volta, l’autrice lascia che siano i piccoli di casa Seymour a raccontare ciò che hanno avuto modo di
osservare e, di nuovo, utilizza il metodo epistolare.
L’arrivo ad Amsterdam offre il destro a Laura per scrivere ancora una lettera a Sophia nella quale, a
fronte di quanto espresso dal padre e dal fratello, si premura di spendere parole di elogio nei riguardi
delle donne olandesi, da lei definite «the nicest creatures in the world».
Intanto, gli uomini di casa Seymour si spostano a Dort, per osservare lo sbarco di un carico di legname
proveniente dalla Germania, circostanza che l’autrice racconta lungamente. Terminato il soggiorno
olandese, la famiglia si mette in viaggio alla volta della Svizzera. Giungono, finalmente, a Zurigo. In una
lettera di Laura a Sophia, la Wakefield non manca di descrivere con trasporto romantico le meraviglie
del paesaggio svizzero, particolarmente in riferimento alle sue montagne. La giovane si sofferma
lungamente sulla descrizione degli abitanti, soprattutto delle donne.
In una lettera indirizzata a Sophia, Theodore si dilunga sulle peculiarità, anche naturalistiche, dei luoghi,
per poi scrivere, a proposito del popolo svizzero. Per Laura, la gente di Berna, in particolare, appare
gentile e socievole, soprattutto con gli stranieri, pronta a divertirsi tutte le sere, ma anche
estremamente caritatevole come dimostrano i tanti istituti di accoglienza e carità presenti
nel territorio. Proseguendo il tour svizzero, tocca a Laura descrivere Losanna, in una lettera a Sophia;
ma è Ginevra a meritare le lodi della giovane, ancora una volta in una lettera indirizzata alla sua amica
del cuore. In particolare, viene sottolineata la vocazione intellettuale della città.
Il soggiorno svizzero dei Seymour viene bruscamente interrotto dai preoccupanti problemi di salute di
Laura, che persuadono i genitori a lasciare di fretta il Paese elvetico per spostarsi in direzione del Sud
Italia, alla ricerca di un clima più mite. Sin dal loro ingresso nella penisola, la
famiglia ha modo di entrare in contatto con una delle peculiarità che più colpiva la fantasia del
viaggiatore europeo: le manifestazioni di devozione religiosa, mostrate dagli italiani soprattutto in
occasione delle festività del santo patrono cittadino. Questa riflessione su uno degli aspetti più
caratterizzanti dell’impatto che i viaggiatori avevano con culture, usanze e folclore dei territori e della
gente che avevano modo di incontrare accompagna la nostra comitiva nel vivo del tour italiano.
L’ingresso a Genova: Seymour, dopo avere velocemente visitato i posti più significativi della città, si
imbarcano ben presto alla volta di Napoli. La traversata offre il destro a Laura per scrivere una lunga
lettera a Sophia, nella quale, come al solito, si dilunga sulla descrizione non tanto dei luoghi visitati,
quanto delle persone con le quali ha avuto modo di entrare in contatto. È l’occasione, per l’autrice, per
rimarcare ancora una volta la presunta mancanza di empatia e di ospitalità dei genovesi.
Questa mentalità retrograda non si limita, per la giovane, ai soli confini genovesi. E continua
raccontando l’usanza, tutta italiana, per le donne di un certo ceto sociale di accompagnarsi a un
cicisbeo. A tal proposito, appare interessante – e, per certi versi, quasi sorprendente – quanto scrive,
nel suo diario di viaggio, il cappellano inglese Bian Hill, in visita a Palermo nell’ultimo scorcio del XVIII
secolo: «[…] l’adulterio qui è cosa così comune che nessuna dama della buona società viene considerata
male per essersi resa colpevole di esso […]; è considerata cosa disdicevole per una signora l’esser vista
in pubblico col marito o senza il proprio cicisbeo». E Brydone a proposito delle donne di Palermo: «qui
le fanciulle sono disinvolte, affabili, senza affettazioni e non continuamente attaccate alle sottane delle
madri». Già dall’approdo al porto della città partenopea, il tono utilizzato dalla Wakefield vira verso
sfumature decisamente più entusiastiche. È immancabile, ancora una volta, la lettera di Laura a Sophia;
la descrizione di ciò che la famiglia ha modo di vedere a Napoli risponde – sembra – a taluni stereotipi
legati al territorio e ai suoi abitanti, perlomeno in alcuni passaggi. L’aspetto religioso viene rimarcato
frequentemente e, a questo proposito, appare interessante la notazione relativa alla vita conventuale,
specie quella femminile, in netto e forte contrasto con lo stile di vita
condotto dagli uomini appartenenti al clero secolare.
Non manca il riferimento ai lazzaroni → i giovani dei ceti popolari della Napoli del XVII-XIX secolo.
Immancabile anche la descrizione di uomini e donne appartenenti alla nobiltà, con le loro dimore ricche
di gallerie di quadri e di imponenti biblioteche. La piccola di casa Seymour rimane colpita, ancora,
dall’usanza dei cosiddetti improvvisatori di tenere piccoli spettacoli per la strada. A stupire la giovane
Laura è anche la consuetudine, per l’aristocrazia, di avere servitori maschi, e nessuna donna.
Il capitolo XVIII inizia con l’inevitabile riferimento al Vesuvio.
Grande stupore, poi, si rivela negli occhi dei nostri viaggiatori al cospetto delle rovine di Ercolano.
La valutazione dell’antiquaria, la passione per il patrimonio classico presente soprattutto in Italia, la
mania del collezionismo diventano risorse di straordinario appeal che calamitarono le attenzioni e gli
interessi di quanti si preparavano a compiere il tradizionale viaggio di formazione in Europa.
La scoperta dell’antico e l’attenzione verso le belle arti si trovano, così, a rappresentare le due facce di
una stessa medaglia, emblema di un revisionismo culturale che interessa – con modalità e risultati
diversi – molteplici realtà territoriali.
Un ruolo decisivo e significante, in questa temperie speculativa, lo giocò senz’altro la diffusione a
macchia d’oro della massoneria. Theodore scrive due lettere all’indirizzo della sorella Laura da Roma,
che ha l’occasione di visitare insieme a parte della comitiva. La lettera continua con una lunga
digressione sul papato, non senza l’inserimento di giudizi e opinioni personali relativi all’operato della
Chiesa di Roma, e facendo un breve accenno alla situazione critica tra la massima autorità ecclesiastica
cattolica e la Francia rivoluzionaria, riferendosi alla prigionia di papa Pio VI. Poi il racconto si sofferma
lungamente sulla gente di Roma, in particolare sulla nobiltà.
La lettera di Theodore si conclude con la narrazione dell’incontro con Tereza, una fanciulla di dieci o
dodici anni che la comitiva ha modo di intercettare durante una passeggiata nelle campagne fiorentine.
La piccola, che pascolava delle oche, racconta di essere orfana e di affidare la sua sorte alla Madonna,
suscitando un misto di compassione e ammirazione per questa piccola donna, tanto che parte della
comitiva le elargisce una certa quantità di denaro. La visita della Sicilia è narrata dettagliatamente dal
capitolo XX al capitolo XXIV dei trentasei totali dei quali è composto il libro. Il racconto che Priscilla
Wakefield fa dell’isola, pur senza averla mai realmente visitata, è denso e accattivante.
Antichità e monumenti, natura e persone, religione e politica, sono molteplici gli aspetti caratteristici
dell’isola che interessano e affascinano i viaggiatori, i quali, percorrendo le sue tortuose contrade,
ricercano il completamento di un tour formativo e spirituale. Il desiderio di trascorrere «few weeks»
in Sicilia è espresso in particolare da Mrs Seymour e dalla figlia Laura, nonostante le perplessità di Mr.
Seymour, dovute essenzialmente alle temute difficoltà pratiche di viaggio nell’isola.
In effetti, in quegli anni – e ancora in quelli successivi – la condizione della viabilità in Sicilia era
estremamente precaria.
Simili disagi venivano riscontrati dai viaggiatori in merito agli alloggi. Non che mancassero locande o
modesti alberghi, specie nelle città principali dell’isola, ma spesso i forestieri – se non avevano la sorte
di essere ospitati presso residenze aristocratiche o conventi – erano costretti a cercare ripari di fortuna
come stalle, grotte e fondachi. Anche la paura dei briganti era un pensiero comune che serpeggiava
nelle menti di chi si decideva ad avventurarsi nelle contrade siciliane.
Nonostante tutte queste remore, però, le bellezze della Sicilia e le meraviglie dell’Etna, decantate da
un gentiluomo della comitiva di viaggiatori cui apparteneva la famiglia Seymour, fecero passare in
secondo piano qualunque paventato ostacolo alla trasferta. Il viaggio in nave, a tratti complicato dalle
forti correnti marine, fu comunque allietato dalla vista delle «Lapari Isles» e dallo spettacolo di
fuoco e fumo proveniente da «Strombolo».
Da Messina la compagnia avrebbe proseguito verso l’Etna, non prima, tuttavia, di essersi assicurata una
protezione dai famigerati «banditti», «desperate robbers» che trovavano rifugio negli antri e nelle
caverne poste proprio nei dintorni del vulcano. Mr Seymour, ricevuto dal «governor», riuscì a ottenere
l’assicurazione di una scorta, composta da persone di «honour and courage», ma non soldati, come egli
si sarebbe aspettato, quanto piuttosto «fierce looking fellows», con indosso la
livrea del governatore, verde e gialla, e armati fino ai denti: si trattava, insomma, di «banditti
themselves», assoldati dal governatore proprio allo scopo di scortare i viaggiatori durante il loro tour
isolano, gente fidata, a dispetto della loro apparenza e dei loro trascorsi.
Saliti a dorso di mulo – all’epoca, uno dei mezzi di trasporto per eccellenza, anche in Sicilia – e protetti
da ombrelli che li riparassero dai raggi del sole, i travelers si muovono alla volta di Taormina, osservando
con ammirazione il paesaggio circostante, e puntellato da deliziosi paesini posti alla sommità delle
montagne. La Wakefield si sofferma spesso, come vedremo, nella descrizione dettagliata di paesaggi e
vedute, nel tripudio narrativo di una natura che offre molteplici spunti di analisi.
Prima di riprendere il viaggio, però, tappa obbligata è Catania. La benevolenza verso il barocco, in verità,
si riscontra di rado tra i viaggiatori che visitarono la Sicilia in quegli anni. Continua citando le rovine di
due teatri di un grande acquedotto e di una «rotunda». Particolarmente interessante è la descrizione
che l’autrice fa del convento dei benedettini il cui stile ridondante somiglia più, a suo dire, al palazzo di
un grande monarca che a un luogo di ritiro di uomini.
Giunti a Siracusa, i sentimenti dei nostri viaggiatori furono essenzialmente di costernazione: <<un
tempo ripiena di magnificenze, ora ridotta quasi a uno scheletro>>. La Wakefield investe i suoi
personaggi di medesime emozioni negative rispetto alla visita di Siracusa. A fronte di queste difficoltà
concrete, la contemplazione di alcuni resti del passato glorioso della città ripagò in parte i viaggiatori
dei disagi patiti durante il loro soggiorno, benché essi non poterono fare a meno di notare la
desolazione e lo stato di abbandono di tanti monumenti.
La tappa successiva del tour siciliano è Agrigento, che la nostra comitiva raggiunge via mare, a bordo di
un vascello, dopo avere affrontato le emozioni di una tempesta. Anche nella città dei templi la
sensazione che pervade i nostri viaggiatori è di scoramento di fronte allo stato di abbandono nel quale
versano i reperti antichi. Parole di elogio spende la Wakefield sull’ospitalità mostrata dagli abitanti del
luogo, raccontando anche un curioso aneddoto: pare che gli aristocratici locali usassero inviare propri
servitori alle porte della città per accogliere i viaggiatori stranieri e offrire loro alloggio presso le proprie
dimore dove venivano trattati con tutti i riguardi. Dopo essersi nuovamente assicurati la protezione
delle guardie che già li avevano scortati da Messina a Catania, i nostri viaggiatori si dirigono alla volta
di Palermo, contemplando un paesaggio mozzafiato e patendo le solite difficoltà di alloggio. Alle parole
di elogio spese dalla giovane per i palermitani, ritenuti «more sociable and agreeable than in Italy»
segue una descrizione curiosa delle donne dell’alta società, fervide organizzatrici di incontri «in their
lying-in chambers […] with a number of friends around». Anche in questo caso si avverte l’influenza di
Brydone: «qui le fanciulle sono disinvolte, affabili, senza affettazioni e non continuamente attaccate
alle sottane delle madri». Le stesse sensazioni, miste a sconcerto, si avvertono nelle parole del
cappellano inglese Brian Hill, in Sicilia nel 1791: «l’adulterio qui è così comune che nessuna dama della
buona società viene considerata male per essersi resa colpevole di esso. Della gioventù palermitana, la
giovane Laura nota il grado di libertà
della quale essa gode, ineguagliabile nel resto d’Italia; la fanciulla si stupisce dell’incredibile numero di
chiese presenti in città.
La densa lettera continua con un resoconto dettagliato della festa di Santa Rosalia che, scrive Laura,
«has exceeded our expectations» e per la quale, sottolinea, non potrà mai trovare l’enfasi necessaria
per far rivivere all’amica, attraverso le parole, lo straordinario spettacolo che si è presentato ai suoi
occhi durante i cinque giorni dedicati ai festeggiamenti.
L’osservazione dal vivo delle feste religiose in Sicilia è quasi un leit motiv della letteratura odeporica. Il
giovane conclude la sua lettera descrivendo i tratti fisici e caratteriali di tanti isolani. Theodore, ancora,
rimarca l’usanza di educare molte giovani fanciulle presso i conventi, dove hanno la possibilità di
imparare a leggere e a suonare uno strumento musicale, e sottolinea l’eleganza degli abiti.
Il sentimento di disappunto verso il governo centrale appare chiaro e la scelta dell’autrice di rimarcarlo
con decisione appare in linea con quanto similmente facevano i viaggiatori nei loro diari. L’accusa di
ristagno economico che la Wakefield mette in bocca al suo personaggio rassomiglia in modo quasi
palmare a quanto aveva scritto a suo tempo il solito Patrick Brydone: «[…] ma non è inconcepibile che
un governo riesca a rendere povero e miserabile un paese che produce quasi spontaneamente tutto
quello che il lusso stesso può desiderare?
Priscilla Wakefield, dunque, fa la precisa scelta di allinearsi con sentimenti di natura politica che, prima
di lei e dopo di lei, avrebbero attraversato gli animi di tanti viaggiatori.
Il gentiluomo continua parlando della pianta della soda, e del profitto che deriva dall’estrazione di sale
che, mischiato con un particolare tipo di sottile sabbia, è utilizzato dai maestri vetrai di Murano per
realizzare specchi e bicchieri di cristallo, poi esportati in tutta Europa. La liquirizia, usata in Inghilterra
come rimedio contro la tosse, è ricavata da una pianta che cresce in abbondanza in Sicilia, così come
abbondanti sono gli alberi di frassino, dal quale si ricava un liquore biancastro, la manna. Le piante
aromatiche, il miele, arance, limoni, bergamotto, mandorle, pistacchio, uva passa, fichi, ribes, canna da
zucchero. Ma le ricchezze del territorio non si limitano ai soli prodotti vegetali: diverse varietà di marmo
e l’abbondanza di minerali, nella zona dell’Etna il granturco, l’olio, la seta, le spezie, i frutti e il sughero.
Dalle sue caverne di ricavano mercurio, cinabro, zolfo, allume, nitro, vetriolo, cannella e pepe. Il mare
costituisce un’altra importante risorsa siciliana e la fonte di un intenso commercio con Paesi stranieri,
si parla di diversi metodi di pesca soffermandosi sulla pesca del corallo. La comitiva si prepara alla tanto
desiderata ascesa del Monte Etna, il cui percorso, a dispetto dello stato precario delle strade, si rivela
affascinante per quello strano miscuglio di rigogliosa vegetazione intervallata da campi di nera lava.
L’ascesa al vulcano (ETNA), con il bagaglio di significati anche simbolici che a essa si accompagna,
godette di grande fortuna tra i viaggiatori del Grand Tour.
Le fatiche della salita e il freddo intenso, però, vennero ben presto compensati dalla vista dello
splendore della natura circostante e dal colpo d’occhio impareggiabile che consentiva loro di
contemplare l’intera isola.
Mr Seymour preferì rimanere ancora in Sicilia, affascinato com’era da quanto lo circondava. La scelta
di prolungare il soggiorno, però, si rivelò infelice: di lì a poco il territorio fu investito da un violento
terremoto e di una eruzione vulcanica, le cui conseguenze per le cose e per le persone vengono
raccontate dettagliatamente dall’autrice. La scena di devastazione che si presentò agli occhi dei nostri
viaggiatori dopo una simile calamità li spinse a imbarcarsi frettolosamente in uno «sparonaro» diretto
a Malta, senza Theodore al seguito, disperso nel terremoto.
La giovane Laura scrive di una chiesa, nei dintorni di Melita, costruita in memoria della liberazione di
San Paolo dal morso di una vipera, «as is related in the book of Acts». La lettera prosegue con la
descrizione di quanto visitato a La Valletta, costruita «upon a hill» [237] e con le strade «paved with
white streestone».
Laura si congeda dalla sua amica spiegandole che presto avrebbero proseguito il viaggio attraverso la
Spagna e il Portogallo, per poi rientrare in Inghilterra.
Segue la lettera di Sophia, ancora una volta da San Pietroburgo, che esordisce con il racconto del
fidanzamento, e poi delle nozze, tra sua sorella Frances e il conte Rantzeau. Sophia saluta l’amica
raccontandole della sua imminente partenza per Costantinopoli, in seguito all’incarico di ambasciatore
conferito a suo cognato. Questo soggiorno turco avrà, come vedremo, un risvolto inaspettato e
importante per la famiglia Seymour che, nel frattempo, sbarca a Barcellona.
Il capitolo successivo è dedicato alle lettere che Laura scrive all’amica Sophia proprio da Madrid.
A questa lunga e approfondita descrizione delle ricchezze naturali della Spagna segue una riflessione
sugli abitanti, sulle usanze e le tradizioni, talvolta dettate – si nota – da certi luoghi comuni e da
stereotipi. La seconda lettera è dedicata al racconto della vita di società madrilena e agli appuntamenti
mondani ai quali la giovane Seymour ha avuto modo di prendere parte. Come di consueto, Laura si
sofferma sulla descrizione dell’abbigliamento di uomini e donne e dell’accoglienza familiare riservata
agli ospiti stranieri.
La drammatica perdita di Theodore ha lasciato i suoi strascichi di dolore in ciascun membro della
famiglia. I shall be at home when I hear from you next time, a home where I once was so happy, that
my heart is full, when I think how solitary it will seem without Theodore». (Sarò a casa quando avrò tue
notizie la prossima volta, una casa in cui un tempo ero così felice che il mio cuore si riempie, se penso
a quanto sembrerà solitaria senza Theodore...")
Ma i programmi della famiglia Seymour sono destinati a fallire ben presto a causa di un evento
inaspettato. Il viaggio di ritorno a bordo di una nave di un mercante di Liverpool viene bruscamente
interrotto dall’attacco di una fregata francese e i passeggeri vennero fatti prigionieri. Grazie
all’intercessione di un amico americano, residente a Parigi, i Seymour, confinati a La Rochelle,
riacquistano la libertà, decidendo dunque di visitare parte della Francia.
Il capitolo XXXIV è dedicato a una lunga lettera che Sophia scrive all’amica Laura da Costantinopoli. La
missiva inizia con la descrizione del tragitto che la comitiva percorse lasciando la Russia, attraverso la
Polonia e la Moldavia, per giungere appunto a Costantinopoli.
In una seconda lettera, Sophia racconta a Laura il suo tour in Grecia, in particolare la visita di Atene.
Alla ovvia descrizione, in realtà molto breve, dei templi contemplati. La notizia del ritrovamento
miracoloso di Theodore viene comunicata con grande emozione e stupore. L’unico escamotage
possibile per consentire al giovane di tornare dalla sua famiglia era quello di essere offerto come un
dono al conte per i servigi prestati. Affidato alle cure di un amico danese, Theodore inizia il suo viaggio
di ritorno, passando per la Romania, la Bulgaria e l’Ungheria, fugacemente descritte. Dopo tante
avventure, e disavventure, la famiglia Seymour può finalmente riunirsi.
CAPITOLO 3 – Tra le righe del racconto di viaggio: idee, pensieri, riflessioni.
L’autrice propone al lettore un viaggio virtuale lungo le contrade europee, così come virtuale lo è per
lei, impegnata a trovare una felice risultante tra il racconto di coloro che misero per iscritto il loro tour
e la vena inventiva che permea il suo lavoro e che utilizza come strumento non soltanto per rendere
più agréable la lettura, ma anche per puntare dritto verso il suo obiettivo primario: quello di educare i
giovani. Attraverso il pretesto di narrare le vicende, anche personali, della famiglia Seymour, in giro per
il vecchio continente, la Wakefield infarcisce il suo narrato di digressioni molteplici, che spaziano dai
resoconti storici ai dettagli di cronaca coeva, dalla esposizione estremamente minuziosa dei particolari
specifici di tipo naturalistico e territoriale alla descrizione attenta dell’abbigliamento e delle usanze di
una determinata popolazione.
Il risultato è un volume che contiene tante informazioni, che si dipana nella comprensione e nella
veicolazione di molti dati, quasi a voler accontentare molteplici gusti della auspicata platea di lettori.
All’universo femminile la Wakefield dedica ampi spazi tra le pagine della sua ponderosa opera
letteraria. Le figure di Mrs. Seymour e di sua figlia Laura vengono delineate con una certa attenzione,
pennellate secondo quanto la società perbene dei tempi richiedeva alle donne. Una madre amorevole,
ma dai cui discorsi trapela una certa cultura, non scevra da incursioni religiose, che trasmette con piglio
deciso ai giovani figli; una figlia dodicenne che si affaccia alla vita sociale e mondana con garbo e
devozione filiale, attenta – nelle lettere che scrive all’amica Sophia – a
raccontare quanto osserva con occhio acuto e una certa, pudica, curiosità. I racconti legati alle vicende
storiche, in verità, l’autrice sceglie di delegarle principalmente a Mr. Seymour e al giovane Theodore.
Spetta soprattutto a Laura, invece, soffermarsi sulle descrizioni di vesti tipiche, di feste, di paesaggi
delle quali il libro è infarcito con regolare puntualità. Certo, non si tratta di descrizioni superficiali o fini
a sé stesse. Si tratta di veri e propri ritratti. Il mondo delle donne, poi, viene qua e là, tra le righe,
arricchito dalla incursione di personaggi noti e dai tratti individuali particolarmente significativi che, in
qualche modo, vengono introdotti dall’autrice allo scopo precipuo di farne risaltare le virtù pubbliche
e private.
Un dato essenziale, poi, è quello legato non soltanto ai principi didattici che ispirano tutta la sua opera
ma, tratto significativo, alla propensione verso i precetti religiosi. Il ruolo della donna non deve
prescindere dai suoi doveri di moglie e di madre, ma deve essere confortato da una adeguata
educazione che le avrebbe consentito di giocare un ruolo nella società. Ma, al di là di queste citazioni
riferite a donne celebri, la Wakefield riserva molte delle pagine del suo volume al racconto delle figure
femminili che si imbattono nel cammino dei suoi protagonisti, in particolare delle donne di casa
Seymour. Laura e la madre, infatti, vengono spesso e volentieri introdotte presso i salotti mondani più
noti e affollati delle città che visitano. Si tratta, naturalmente, di salotti animati da donne – secondo
una prassi ormai consolidata da tempo – presso i quali hanno l’occasione di osservare da vicino usi,
costumi, modi, abbigliamento delle persone che conoscono.
L’enfasi data a questo particolare aspetto sembra dare al libro un taglio specificamente femminile,
benché il ruolo delle donne rimanga sempre entro gli argini sicuri di quello che la buona società del
tempo richiede loro, senza travalicare certi confini e mostrando in qualunque occasione segni di
morigeratezza e di buona creanza.
Di contro, gli aspetti spesso esasperati della religione cattolica, particolarmente ravvisabili nelle
manifestazioni festose organizzate in onore dei santi patroni delle città, sono guardate con un certo
sospetto dai nostri viaggiatori. Tuttavia, i riferimenti alle forme esagerate di religiosità popolare
rappresentano un’occasione, per l’autrice, per indirizzare precise denunce nei riguardi di chi quella
devozione la nutre e la incentiva, personaggi ai vertici della società che usano questo mezzo per
esercitare un controllo sulla popolazione credulona e ignorante.

CONCLUSIONI
Il Grand Tour immaginario ideato e perpetuato da Priscilla Wakefield nel suo denso romanzo di viaggio
conduce il lettore tra le contrade più celebri d’Europa, in compagnia di una famiglia inglese normale,
che risponde ai requisiti richiesti dalla buona creanza dell’epoca, seguendo criteri e comportamenti
non disturbanti per la società. Il profilo di educatrice che contraddistingue buona parte della
produzione letteraria dell’autrice britannica trapela spesso e volentieri tra le righe dell’opera,
disseminata di digressioni storiche, di racconti di uomini e donne celebri, di commenti – talvolta
indulgenti, altri sferzanti – su avvenimenti, circostanze, personaggi.
Lo schema utilizzato dalla Wakefield è sempre lo stesso: arrivo in una determinata località, descrizione
degli aspetti naturalistici circostanti, se ci sono, e delle peculiarità urbane, comprensive di chiese,
monumenti, palazzi, strade. La rappresentazione della popolazione locale è l’immancabile step numero
due.
Accanto a ciò, la Wakefield non manca quasi mai di indugiare sulle abitudini di ciascuna popolazione
incontrata, spesso – come si è osservato – rischiando di cadere nel luogo comune e nel sentito dire.
Attraverso la voce dei suoi protagonisti, l’autrice lascia intendere molti dei suoi pensieri e delle sue
opinioni a proposito di argomenti diversi, mostrando talvolta cautela, ma il più delle volte lasciandosi
andare a commenti decisi e dirompenti, senza eccessiva preoccupazione di seguire il politically correct,
ma conscia di utilizzare il mezzo della penna per veicolare precisi messaggi.
Il romanzo di Priscilla Wakefield può essere annoverato tra le tante opere che compongono e
arricchiscono la letteratura odeporica, pur non rispettando i canoni del diario di viaggio, raccontato in
prima persona e spesso in forma epistolare. L’autrice prende a prestito le testimonianze di chi quei
luoghi e quelle persone visitò e incontrò veramente, prediligendo una scrittura che passa dal racconto
in terza persona alla forma dialogica, all’espediente della lettera.

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