“Il violinista del diavolo” racconta il talento di Paganini nello scontro
con la realtà dell’800, dell’arte e dei suoi compromessi con il mercato e i gusti del pubblico, della fragile armonia del suo genio contro gli ottusi costumi borghesi che lo circondavano. L’idea di base del film è quella di raccontare uno spaccato della vita del musicista genovese divenuto leggenda. Alternando il mito a fatti realmente accaduti, il regista Bernard Rose inizia a raccontare il genio assoluto di Niccolò Paganini legato al suo virtuosismo anticonvenzionale, ineguagliabile, e l’amore che aveva spinto il musicista a rinunciare a tutto, fino a voler rompere il presunto patto stretto con il diavolo in cambio del successo. Una vita, quella di Paganini, che sembra essere una favola senza tempo, una metafora che si riallaccia a quella di Amore e Psiche: la lotta tra l’istinto irrazionale identificato con la brama di successo dell’uomo contro la razionalità di scoprirsi un uomo fragile desideroso di amare. Nel finale del film, quando sta morendo, Paganini rifiuta l’estrema unzione: il musicista infatti si pulisce via dalla fronte il sacro unguento. In quel momento l’unico ricordo da portare con sé è quello di Charlotte, il suo amore, e del suo canto sublime. L’amore è stata l’unica salvezza razionale in un mondo irrazionale, pieno di contraddizioni, che glielo ha portato via.