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SANDRO BOCCIA

NICCOLO’ PAGANINI:
DIABOLICO VIOLINISTA
1
CHE NON RIPETE

Versi in prosa rimata

2018
2
DEDICA

Dedico questa raccolta di versi al mio grande amico


Ernesto Gherardi, di recente scomparso, uomo poliedrico
di “multiforme ingegno”, in segno di stima e di affetto,
vero genovese come Paganini, l’eccelso violinista,
protagonista della mia presente raccolta di versi in prosa rimata.
INTRODUZIONE DELL’AUTORE

Mi chiamo Sandro Boccia, sono nato a Roma il 14 dicembre 1946, mi


sono laureato nelle facoltà di Giurisprudenza e di Scienze della Sicurezza
economica-finanziaria, sono Generale della riserva della Guardia di
Finanza, sono sposato con Franca Binda e ho una figlia di nome Cristina.
Ho composto per farne dono a parenti e amici “Frammenti di Specchio”
(1982), “Favole de Roma” (1988), “Amore, versi d’amore di fine
millennio” (2000), “Favole, Amore e...Fantasia” (2006), “Oh dolci baci, oh
languide carezze” e “Personaggi in cerca del...falso autore” (entrambi del
2007), “Favole bestiali e divine: la morale da Esopo a...Boccia” (2008),
“Roma tra miti e leggende” e “I miti nel mondo antico” (ambedue del
2010), “Roma tra Enea e Virgilio” (2011) ,“Non Boccia(mo) questa
Commedia!” (2012) , “Il vino tra eros, arte e filosofia” e “Il mito di Ulisse:
da Troia ad Itaca e poi verso l’ignoto” (tutti e due del 2013) , “Giuseppe
Verdi: il re del melodramma” (2014) , “Giacomo Puccini:l’astro musicale,
degno erede di Verdi, del melodramma italiano” (2015), “Renzo e Lucia
sposi: prom…ossi o boccia…ti?” , “Wolfang Amadeus Mozart: genio
musicale, un mito!” (entrambi del 2016), “William Shakespeare: vita e
opere del genio teatrale”, “Amami Alfredo, quant’io t’amo”, “Personaggi
in cerca del falso…autore (dieci anni dopo)” ,“Ludwig van Beethoven: dal
Chiaro di luna all’Inno alla gioia” (tutte e quattro del 2017) ed infine
“Peter Ilic Ciaikoski: il Principe del Balletto”,“Gioachino Rossini: con un
colpo di cannone largo alla musica in crescendo”, “Autori, opere e
personaggi nella letteratura” e “Emilio Usiglio: compositore e direttore
d’orchestra “minore”, si fa per dire, di fine 800” (tutte e quattro del 2018).
“Niccolo’ Paganini: diabolico violinista che non ripete” è il titolo di
questa mia nuova raccolta di versi in prosa rimata sulla vita e opere del
musicista genovese. A quando risale la mia conoscenza del famoso
violinista? Di certo ai tempi in cui ero ragazzo vedendo dei suoi ritratti
mentre si esibiva con il suo violino, simile al diavolo. In effetti il nome di
Paganini è uno dei nomi fatidici nella storia della musica, uno dei pochi
nomi che tutti conoscono anche se di musica e di storia nulla sanno.
L’alone magico della leggenda ravvolge la sua figura scarna e bizzarra e il
fantastico s’insinua entro il reale nella vicende della sua vita. Egli fu uno
dei grandi incantatori delle folle e poiché il sortilegio si compiva attraverso 5
un piccolo strumento e un arco sottile, che mai sino ad allora avevano
esercitato tale potere, l’immaginazione popolare ricamò prodigiosi
rabeschi sul tessuto degli eventi e dei ricordi. Una leggenda intorno a
questo singolare personaggio narra come un giorno il violinista avesse
incontrato per la via un suonatore di violino, un vecchio mendicante deriso
dai passanti perché tre corde del suo misero strumento s’erano spezzate
non permettendogli più di suonare. Allora Paganini si fece largo tra i
beffeggiatori e accostandosi al povero vecchietto prese il violino ridotto a
una sola corda e suonò meravigliosamente talchè da ogni parte piovvero
monete tintinnanti. Alla fine al musicista ambulante era rimasto un piccolo
tesoro. La leggenda, scaturita da un episodio reale svoltosi a Vienna, ha
una colorazione patetica mettendo in luce un cuore buono e generoso in un
artista grande, spesso definito avaro.
Di poi, accostandomi alla sua vita e alla sua musica, istintivamente ho
cercato, attraverso la consultazione di svariati testi, di ricostruire in versi
di prosa rimata, la sua indelebile immagine tentando di presentarlo a voi,
cari lettori, così come l’ho veduto, così come l’ho sentito.

Ed ora la dedica, oltre gli affetti familiari più vicini, al lettore che sfoglierà
queste pagine e, in particolare, a quello che avrà la voglia e il tempo di
leggerle; un grazie, infine, alle persone care e amiche che hanno visto
crescere giorno dopo giorno questi fogli e che mi sono state vicine:
mancano in questo elenco di dediche ma non nel mio affetto.

Ringrazio infine Luigi Monti , uomo di rara cultura musicale, per le parole
che mi ha voluto rivolgere nella presentazione di questo mio lavoro e che
credo, in tutta sincerità, di non meritare appieno, e il celebre Conservatorio
comasco che mi ha permesso la consultazione di vari testi, la visione di
dvd e l’ascolto di cd di musica lirica.

E appunto e per ultimo, ma non per questo meno significativo, un sentito


ringraziamento agli autori citati in bibliografia perché senza la
consultazione dei loro testi, da cui ho tratto ispirazione attingendo a piene
mani, questa mia opera non avrebbe potuto vedere la luce, raccolta che ho
dedicato al compianto Ernesto Gherardi, uno dei più grandi amici della
mia vita, vero genovese come Paganini, dal cuore d’oro e generoso (ma
non di tasca, “taccagno”, si fa per dire, o meglio parsimonioso per le
piccole cose).

Con il desiderio così d’esser soltanto uno strumento che permetta di


carpire il magico messaggio più profondo che genera la musica in ogni
tempo e luogo, nasce allora questa mia raccolta che se ci riuscisse anche in
minima parte, questo è il mio augurio, avrebbe già raggiunto lo scopo
donandomi un po’ d’intima soddisfazione. 6

Concludo con il dire che se qualcuno, dopo aver letto questa raccolta
(concepita per menti curiose di scoprire le corrispondenze fra musica e vita
e la saggezza che diventa comprensibile all’orecchio pensante) sarà tentato
di ascoltare qualche brano musicale di Niccolo’ Paganini, ebbene farà
dono a me, lusingato d’aver sollecitato un interesse così nobile, e farà
anche e soprattutto regalo a se medesimo.

Como, 14 dicembre 2018


PRESENTAZIONE

Sandro Boccia è un uomo scherzevole nel senso pieno del termine: gli
piace giocare in ogni momento del suo quotidiano rapporto con gli altri,
non già per burlarsi di loro ma per esprimere un atteggiamento di
autodifesa (sic!) dalle insidie della vita sminuendone l’impatto. Lo
scherzo, spesso venato da ironia, è quasi sempre orchestrato su un gioco di
parole basato per lo più da un intento canzonatorio senza mai offendere 7
poiché non è questo il suo fine ma per far sì che la vita scivoli via, mai
presa di petto, affinchè non faccia troppi danni per il tempo delle
riflessioni per un comportamento a divenire. Perciò il nostro poeta non
risparmia frecciatine sui “vizietti ed abitudini” decisamente non esemplari
ma indulgenti nel proporsi come umane scorciatoie, tipiche all’indole
romanesca, al fine di godere e far godere piccole soddisfazioni di ogni tipo
ai sensi e in tutti i sensi. Moltiplica le occasioni d’esaltazione
dell’esistenza quotidiana e cerca di far dimenticar tristezze e dolori dando
spazio a gioie grazie all’immaginazione fantasiosa. Il nostro personaggio
che è verseggiatore di copiosa vena ,dotato di una facilità straordinaria
nel porre le parole in rima, ultimamente si è cimentato nell’esporre in
prosa rimata la vita e le opere di Verdi, Puccini, Rossini, Mozart,
Beethoven, Ciaikoski, Usiglio e Paganini, quest’ultimo oggetto della
presente raccolta. Al riguardo parafreserei le parole di Ludwig quando
ebbe ad affermare:” Ci son tanti principi reali ma di Beethoven c’è ne solo
uno!” con queste: “Esistono tante pubblicazioni sul grande violinista ma
nessuna è come quella del Boccia, in prosa rimata!” Assiduo frequentatore
della biblioteca del Conservatorio di Como per le sue ricerche far la sua
conoscenza è un “bene” ma attenzione un consiglio sincero: Sandro Boccia
va preso a piccole dosi (direi da farmacopea) e quando non lo vedete in
quanto in vacanza o ammalato, ebbene avrete la riprova che Iddio esiste
veramente. Purtroppo ne sentite la mancanza!

Como, 1^ dicenbre 2018

Luigi Monti
AUTORITRATTO D’AUTORE

Chi è Sandro Boccia? A dirvi il vero


è un fuoco d’artificio senza paragone,
una bocca di vulcano in eruzione,
un tric trac d’esultanza,
non per niente è generale di finanza,
dall’estro musicale è un guerriero,
con la mente sveglia da profeta
e l’animo sensibile da poeta.
Un tennista pescatore dall’argento vivo addosso,
un puer aeternus vanitoso, istrione e narcisista,
seduttore, generoso, laziale per nulla giallorosso,
disponibile, ricco d’ansie e di talento: un artista!
Ha un cervello con tante creazioni,
un cuore con dentro tante emozioni.
Quando ciparli quella mente ardente
ti mette addosso una specie di corrente;
come giocare a dama lui ha le mosse pronte:
arciere di battute ha come una corazza,
sagittario è come un cavallo selvatico di razza
che lo vedi andar con il sole in fronte.
Così abbiamo un altro poeta trilussiano
che parla come mamma sua: ossia romano!
Siccome, si sa’, l’appetito vien mangiando,
lui ci racconta tante stornellate in una botta e via
sulla vita e musica di Paganini che è una melodia,
ricamato in lingua italiana e disegnando
una vera sinfonia di versi con la rima;
tutte le strofe perciò, dall’ultima alla prima,
s’ intrecciano in una spirale d’ armonia
sicchè questo sogno diventa d’incanto poesia!
IL PROLOGO

La colpa non è mia se ho dato vita a questo tipo di stornello,


responsabili son Belli, Pascarella, Trilussa, illustri maestri favolisti,
a cui, oltre l’indegna imitazione, son grato e faccio tanto di cappello,
per il loro estro, genio e fantasia, virtù rare dei veri artisti.
L’arte di questi grandi è incentrata sull’esempio doveroso,
che sempre tenta di guarir gli errori degli esseri mortali,
trasformandoli così in saggezza con metodo operoso 9
e con arguzia, ironia e satira pungenti come strali,
in modo, per esempio, che sia giusto dir di no a chi pretende
e a dar, invece, all’umile che chiede poco o addirittura niente.
Sul mito di Paganini ho riscritto un’antologia di storie piene di ricordi,
che ti rifanno viver il passato con fascino, a cui non si puo’ esser sordi,
correlandolo con la sua virtuosa musica, come un pirotecnico messaggio,
raccontando vita e opere di questo genio musicale, a volte contraddittoria,
piena però di viva e d’ambigua umanità, divina e diabolica e un po’ miraggio,
dove ogni sentimento umano, dall’intraprendenza alla mollezza,
dall’ardor alla viltà, dalla generosità all’avarizia ,lo dice delle sue opere la storia,
ha trovato nella musica del suo violino una rappresentazione di bellezza.
Entro pertanto dentro questo fantastico mondo favolistico, e a volte mistico,
in punta di piedi, senza nulla pretender sotto il profilo artistico:
al confronto di questi giganti, Belli e compagnia bella, faccio il nano,
sentendomi, rispetto a questi pilastri, un granello di sabbia in una mano.
Se son bravo? Lo direte voi sperando che legger questi versi non vi scoccia
e con tanto affetto v’augura una buona lettura il vostro Sandro Boccia!
PARTE PRIMA
10

LA CULTURA
DEL MELODRAMMA
IL MELODRAMMA

Il melodramma, caro lettor, è quella specifica forma di spettacolo teatrale


in cui i personaggi si esprimono con il canto e con la musica magistrale;
quest’ultima ha la funzione limitata di accompagnamento e di supporto 11

alle parole, ossia al testo scritto nel libretto, a cui non si può esser sordo.
Nell’opera, invece, essa assume un ruolo fondamentale, giacchè da essa
dipendono gli altri suoi elementi costitutivi che, non è promessa,
nell’ambito di un nesso inscindibile contribuiscono a dare forma metrica
allo spettacolo teatrale. In tal contesto la componente letteraria e poetica
ha anch’essa un ruolo di importanza primaria. Già nella tragedia greca
la poesia si univa alla musica, così pure nel Medioevo, scene d’ispirazione
religiosa e profana erano accompagnati da ausilio musicale, che stellone!
Il riferimento a modalità espressive antiche, non s’andava mica alla cieca
a quel tempo, non mancavano: è il caso del gruppo “Camerata fiorentina”
che usava riunirsi nelle dimore di nobili a Firenze, a Palazzo Bardi, per
eseguir la propria musica. Questo gruppo s’ispirava a un modello-vetrina
mutuata dalla musica greca, eseguendo semplici melodie: ciò dette luogo
alla diffusione di un genere di pratica musicale legata al canto, non logo,
ove la declamazion per lo più di versi, affidata a un solista, accompagnata
era dalla melodia degli strumenti. Con l’evoluzione arrivò, come una fata,
la forma melodrammatica con la messa in scena di due opere teatrali
del poeta Rinuccini (1550-1620): tuttavia toccò al primo grande autore
di opere liriche, Monteverdi, rovesciare la struttura, con tuoni e strali,
del melodramma favorente la musica, che la “Camerata”, a tutte le ore,
aveva inteso far dipender dal canto e da parole. Tale svolta rapidamente
fu accolta con un’idonea soluzione per avere dal connubio musica-parola
un risultato ricco di sviluppi per il melodramma grazie anche, non è sòla,
alla concomitante apertura dei primi teatri pubblici. Fu nel XVIII secolo
che il melodramma italiano raggiunse il vertice della popolarità 12

con il compositore Antonio Scarlatti che contribuì a dare il battesimo,


consistenza e coerenza alla sua struttura dando impulso così, ben si sa,
ai primi successi e all’affermazione dell’opera seria. Nel secolo successivo
gli sviluppi del melodramma sorgono dalla scuola operistica napoletana,
la cui produzione ebbe notevole risonanza a livello internazionale ben vivo
diventando punto di riferimento per i compositori dell’epoca, cosa sana,
che dette origine anche all’opera buffa, proprio in ambiente partenopeo,
che riuscì ad imporsi in parallelo con l’opera di argomento eroico.
Con l’opera comica s’avvia la diffusione di un genere, e non è un neo,
leggero di teatro popolare pronto ad apprezzare la situazione burlesca,
gradito anche agli aristocratici, anche loro attratti a dialoghi esilaranti
ispirati alla vita quotidiana con carica satirica e spesso istrionesca.
Lo spettacolo era incentrato sulla parodia o la satira di rappresentanti
del basso ceto (garzoni, servette, ortolani), baruffe articolate secondo
un clichè consolidato e messo a punto da librettisti, acuti osservatori
dei costumi popolari, non mancando di lanciare strali a categorie di fondo
considerate tabù, clero in primis e ceti sociali benestanti e conservatori.
Accanto alla diffusione dell’opera comica vengono allestite le originali
commedie per musica le cui rappresentazioni avvenivano in privati palazzi
e che segnano il preludio dell’importante fase dei rinnovamenti teatrali.
In tale fase evolutiva si colloca la scelta innovatrice di Metastasio a razzi:
a questo poeta si deve, infatti, la rielaborazione sul versante della forma
e dei contenuti, del nuovo profilo del melodramma mediante l’innesto
degli elementi dell’opera comica. Il poeta-librettista trae dall’orma
dell’esperienza napoletana aspetti che gli consentono, non in modo mesto, 13

d’attribuir efficacia nuova alla trama di tipo tradizionale. La sua “Didone


abbandonata”, assunta ad esempio del melodramma della trasformazione,
presenta tratti significativi se si pensa al ricorrere del bilinguismo come
division sociale in cui nobili e popolani interagiscono: da qui la diffusione
in altre città musicali come Venezia con il suo Goldoni. Nell’Ottocento
l’opera italiana fu dominata dal grande Rossini che portò l’opera buffa
all’apice della sua espressione e con il “Barbiere di Siviglia”, a più di 100
in cui l’orchestra aveva assunto un ruolo d’importanza, e non è zuffa!
I maggiori esponenti del melodramma furono: Rossini, Bellini, Donizzetti
e Verdi, e tra questi però primeggia il “paesano delle Roncole” per l’alto
profilo di compositore e spessore artistico che lo fece assurgere ai tetti
del firmamento e punto di riferimento di gener melodrammatico, un salto!

.
IL MELODRAMMA TRA REUSTARAZIONE
E RISORGIMENTO

Il teatro drammatico italiano dell’età romantica non produsse risultati


di grande rilievo se paragonati a quelli raggiunti in altri paesi europei: 14

benchè i generi drammatici fossero in Italia al centro delle discussioni


sul Romanticismo, mancarono testi di forte carica teatrale, veri nei,
capaci d’imporsi sulle scene in modo duraturo, d’altra parte sono dati
e non parole che anche le tragedie del Manzoni manifestarono passioni
e valori letterari e poetici piuttosto che scenici e teatrali. Ecco che allora
prende vita con maggior vigore il genere del melodramma, ed era ora,
in cui il testo letterario rappresenta solo una componente e sulla scia
di questo, si organizza anche il teatro non musicale; mentre però, evviva,
per il primo è essenziale l’iniziativa degli impresari, per il teatro di parola
è preminente l’attività delle compagnie di giro con la figura, non sola
ma centrale, dell’attore con la sua espressività, con le sue doti personali,
con una specifica modalità d’imporsi al pubblico che poi non son banali!

L’OPERA ROMANTICA

Il melodramma dell’800 realizza una teatralità assoluta che congloba

tutte le componenti del linguaggio scenico nella forza della musica

e l’opera trova la sua terra d’elezione proprio in Italia, d’intenditor roba,


che è il luogo che vide nascere il melodramma. Consumatosi, è cosa fisica,

il modello di Metastasio, basato sulla preminenza del testo letterario

e della sua indipendenza dal discorso musical, l’opera del 700, fatto vario,

è distinta da una frattura tra il linguaggio poetico e quello musicale,


15
anzi la musica tende a prevaricare la funzione del libretto che non vale.

Tuttavia attraverso il lavoro soprattutto del librettista Lorenzo Da Ponte

s’era sviluppata la ricerca di una forza drammatica nuova, capace di dare

vita a movimenti scenici intensi e di creare conflitti, intrecci a monte,

tensioni fra testo e linee musicali: nell’opera italiana dell’800 a creare

movimenti e contrasti scenici son le stesse voci cantanti, in un gioco

di contrapposizioni, incontri, conflitti e la musica invade sempre l’azione.

Viene così superata la distinzione tra il virtuosismo dei cantanti, benone,

concentrato nelle arie, e l’opacità del recitativo per un discorso in loco

musicale unitario, ove il disegno melodico gioca un ruolo fondamentale

per catturare in ogni istante l’ascolto. Il teatro musicale diventa, perciò,

non divertimento ma un’esperienza d’intensa partecipazione passionale

ed emotiva ed il libretto è oggetto di modifiche anche del musicista, lo so.

In realtà l’opera italiana esprime una forza incontenibile, un eccesso

sentimentale che l’avvicina alle più grandi esperienze del Romanticismo


europeo: essa fa circolare temi, miti, ideologie in pubblico, io confesso,

vasto che comprende la borghesia con diffusione popolare con verismo,

talchè le situazioni, romanze e i pezzi celebri son conosciuti anche da chi

non è mai andato a teatro. L’opera in musica proietta insomma, lì per lì,
16
l’espressione romantica della passione verso una dimensione collettiva

e una partecipazione corale, in modo suggestivo: essa riflette in sé

il colore storico della Restaurazione e del Risorgimento in un’Italia viva,

ritratta nelle sue forze più generose, nei suoi valori morali, va da sé,

ma anche nella sua irrazionalità e arretratezza. Trattasi dell’unico genere

veramente nazionale e popolare, capace di penetrare nel tessuto sociale

e nello stesso tempo del sol genere romantico italiano che sappia di solare

e di affascinare la cultura europea e diffondere nel mondo, a mò di balia,

un’immagine tutta romantica del nostro Paese, della nostra bella Italia!
IL MELODRAMMA NEGLI ANNI DELLA
RESTAURAZIONE

Negli anni della Restaurazione e del primo Romanticismo l’opera italiana

è dominata dalle figure di Rossini, Bellini e Donizzetti; il primo, già attivo

nell’ultima fase del regime napoleonico, scopre un nuovo ritmo musicale 17

e attribuisce scarso rilievo al ruolo del libretto; il secondo vive una sana

esperienza, troncata da morte precoce; il terzo raccoglie, un po’ lascivo,

le suggestioni di sensibilità romantica. I tre compositori, mica male,

godono di fama anche fuor d’Italia. Rossini si trasferisce oltralpe, dove

lavora su libretti francesi sin alla fine della sua lunga vita. Bellini muore

a Parigi e anche Donizzetti, da ultimo, in quel terra lavora con il cuore.

Il pesarese Gioacchino, genio impetuoso, con vitalità, raccoglie il frutto

d’una tradizione legata a forza drammatica, spumeggiante, non di lutto.

Rossini s’avvalse della collaborazione di librettisti, mediocri e disordinati,

attingendo alla tradizione comica e romantica con temi dei più svariati,

fra cui primeggiò Felice Romani che collaborò pure con Bellini (“Norma”

e “Sonnambula”) e che compose per Donizzetti tracciando anche l’orma

dell’“Elisir”, ove temi comico romanzati hanno come sfondo la campagna

lombarda con color vivaci. Il bergamasco Donizzetti, in pompa magna


con il “Don Pasquale”, volse anche alla tematica romantica attingendo

al repertorio medievale del romanzo storico, come abil pittore dipingendo,

su versi di Cammarano, la “Lucia di Lammermoor” di Scott inglese.

Un Donizzetti, spregiudicato e immune da pregiudizi moralistici, imposta

il dramma sul triangolo d’amore (qui Renato Zero non c’entra), via posta 18

proiettando il rapporto su sfondo storico che si colora di romanzo cortese.

PAGANINI NEL MELODRAMMA

Niccolo’ Paganini, violinista unico, tanto da sembrar provenire

da un altro universo, è al tempo stesso, a bene udire,

in numerosi aspetti figlio dell’Italia del suo tempo:

il che vuol dire melodramma, melodramma e ancora melodramma!

Sintomatico in lui il rifarsi con i suoi “Temi con Variazioni”

a spunti operistici del suo amico Rossini, Paisiello, con colorazioni,


ma ancor più caratteristico e radicato risulta il tradurre

moduli di cuore e di bel canto sul violino senza per questo

snaturarlo ma semmai svilupparlo (l’impiego intensivo non mesto

e per la prima volta protagonostico della quarta corda da indurre

alle altrui imitazioni, per la verità mai del tutto realizzate). 19

Oltre al linguaggio melodico anche quello armonico e orchestrale

è spesso ripreso dal teatro inclusi quei recitativi demandati

al violino: e potremmo aggiungere come il violino, a scendi e sale,

di Paganini si cimenti in una sorta di gara ideale, a certi dati,

con le più belle e acrobatiche regole del tempo: abbia il calore

squillante del tenore Duprez, la fastosità del Rubini a tutte le ore,

l’entusiasmo stupefacente della Colbran, la dolcezza della Pasta

Giuditta, interprete eccezionale di Bellini, senza tuttavia sottacere

il parallelo voce strumento che il musicista genovese, a pasta

e pesto, con il soprano Angiolina Catalani fece, realizzando così

la dicotomia violino-ugola, un miracolo musicale lì per lì!


VERDI E IL ROMANTICISMO

Nelle opere di Verdi ,il suo genio musicale e drammatico offre la sintesi
più potente
della sensibilità e della cultura romantica italiana , giungendo alla
manifestazione
più elevata del dramma musicale, estraniandosi al dibattito intellettuale
20
possente,
e adducendo a pretesto la sua scarsa cultura generale e di fatto la sua
formazione
di musicista e d’uomo di spettacolo, non abituato alle sottili dispute
ideologiche.
Dramma musicale, concepito come intreccio di passioni e ideali con
movimenti
carichi di valenze teatrali; le voci si scavano all’interno di storicamente
ambienti
determinati, con concretezza superiore a quelli del romanzo di storie
tragiche.
I sentimenti dei protagonisti son sempre legati a ruoli sociali definiti, la
relazione
tra le diverse voci è sempre un rapporto di potere, radicato in un contesto
preciso.
Sulla scena si sviluppa una dialettica dell’autorità e del dominio, in
ambientazione
politica e familiare, in cui l’autorità è riconosciuta come valenza suprema
per inciso.
Le passioni amorose metton di continuo in dubbio gli equilibri, sembran
travolgere
ogni limite musicale, imponendosi con una sensualità dirompente, sebben
ostacolate
dall’autorità e dai valori sociali, e l’amore trasgredisca spesso l’ordine
morale
e inevitabilmente richiami sui protagonisti la colpa e la punizione, come
frustrate.
Ma quanto più è vietato e colpevole, tanto più esso s’esprime in forme
assolute e sale
come promessa di felicità illimitata, tragicamente interdetta e esaltata sin
al trionfo
della morte; trattasi di motivi tipicamente romantici, riassorbiti entro
un’ideologia
moralistica che diffonde a livello popolare un linguaggio estremo delle
passioni, via
via fatto di formule convenzionali e schematiche che creano un’ampia,
come un tonfo,
comunicazione romantica, rivolta al pubblico e non limitata alle èlites 21
intellettuali.
Inoltre, per la sua tematica e il suo color storico, l’opera di Verdi assume,
con le ali,
durante il Risorgimento un valore politico di rilievo, tanto che il pubblico
coglie
spontaneamente nella sua energia vital uno stimolo alla libertà, all’unità e
raccoglie
un richiamo alla lotta nazionale contro l’invasore autro-ungarico, ove
coglie coglie!
IL LIBRETTO NELL’OPERA DI VERDI

Nell’opera di Giuseppe Verdi il testo del libretto perde ogni autonomia


rispetto
alla partitura musicale, il linguaggio e la struttura son integralmente
funzionali
al movimento drammatico della musica; ma proprio per tal ragione, come
di petto, 22
il rilievo del libretto è tutt’altro che trascurabile: esso delinea le ossature
carnali
date dal librettista al dramma, ai rapporti tra i personaggi, ai temi e alle
situazioni
che la musica trascina in ritmo potente. I librettisti verdiani son poeti e
artigiani,
secondo consuetudine, specialisti della poesia teatrale: sta al musicista
scegliere
il soggetto, in genere ricavato da opere letterarie o drammatiche. Son
condizioni
primarie che, per un tipo come il Maestro di Busseto, il compositore, brevi
mani,
sovrintende di persona al lavoro del librettista, suggerendo di tagliare,
togliere,
limare alcune scene, ovvero d’inserire delle arie in punti particolari,
pretendendo
che sian usate forme metriche e linguistiche necessarie a sostener il
discorso musical
che egli ha in mente. Al compositore spetta dunque il controllo e la
responsabilità
vera dell’intero lavoro, sicchè il poeta librettista è per davvero e, non
fingendo, stretto collaboratore.; e, data l’importanza che i libretti verdiani
han avuto là per là
per la diffusione di tanti temi e modelli romantici, si comprende ben come
Verdi
abbia svolto un ruolo essenziale ,anche se indiretta, nella cultura
letteraria dell’800!
Il Maestro raggiunge un’intesa ideale soprattutto con il librettista
Francesco Maria
Piave con cui riuscì a produrre autentici capolavori: la collaborazione
ando’ a cento
all’ora sin dall’inizio con l’ “Ernani”, consolidandosi poscia con i libretti,
evviva,
“Macbeth” “Rigoletto” “La Traviata” “Simon Boccanegra” “La forza
del destino”.
Pria di Piave nella sua prima attività Verdi lavorò soprattutto con
Temistocle Solera,
poeta e musicista estroso, con opere recepite in chiave patriottica e neo- 23
guelfa, sino
alla rivendicazione di valori nazionali sostenuti da una tradizione
religiosa ben vera.
Alla collaborazione di Verdi con il più prestigioso librettista romantico,
Salvatore
Cammarano, si devon “La battaglia di Legnano”, “Luisa Miller” e il
capolavoro
romantico “Trovatore” in cui trionfa un’irrazionalità distruttiva e ,brilla
come l’oro,
ed esplode l’impeto delle passioni, dolcissime, fosche e mortali. Negli anni
delle ore
ultime, quelli della maturità e della vecchiaia, quando la sua attività
creativa potè
svolgersi senza l’affanno degli “anni di galera”, il Maestro scelse con
massima cura i soggetti e, quasi per ogni opera, s’avvalse di un librettista
diverso: si va con un olè
dai librettisti francesi per opere transalpine (“Vespri Siciliani” e “Don
Carlo”
ad Antonio Somma (“Un ballo in maschera”). Per “Aida” si rivolse, come
un tarlo,
ad un prolifico e disordinato scritto lombardo, lo scapigliato Ghislamzoni
mentre
si realizza nelle 2 ultime opere (“Otello” e “Falstaff”) una collaborazion
avvincente
con Arrigo Boito, scrittore musicista, uno dei maggiori esponenti della
Scapigliatura,
movimento letterario d’alto tenore, ben lontan dagli artigianal librettisti a
dismisura.
24

L’OPERA FRA REALTA’ E ILLUSIONI

Il 17 maggio 1890, data di nascita di "Cavalleria Rusticana" di Pietro


Mascagni,
rappresenta, nella secolare storia dell’opera, un termine di riferimento
assoluto:
la rivoluzione di gusto che quelle trionfali recite al Teatro Costanzi di
Roma con muto
stupore accolte dal pubblico costituisce uno spartiacque dell’evoluzione,
con bagni
d’entusiasmo, del nostro melodramma che tra il 1870 e il 90 registrò un
ventennio
senza musica e senza poesia. Nel 1873 muore Manzoni e Verdi, dopo la
fioritura
dell’Aida (1871) si ritira in un lungo e corrucciato silenzio, interrotto con
dorato cenno
dalla rinascita con "Otello" (1877) mentre i giovani Mascagni e Puccini
con armatura
affilano le loro spade con cantate e messe e impegnandosi con le opere
Ratcliff Guglielmo
e Villi. L’Italia musicale ebbe una stagione di dibattiti, polemiche, ardor
non fermo
di rinnovamento solo vocale mentre imperversava il germanesimo
wagneriano e così 16
Ricordi credette d’individuare in Ponchielli Amilcare autor della
"Gioconda" e lì per lì
della sua celebre "Danza delle Ore", fra tante giovani promesse, il degno
erede finacchè
rappresentandosi la Cavalleria la routine di quegli anni vien letteralmente 25
sconvolta, olè,
e con l’atto unico di Mascagni, tratto da una novella di Verga, accesa
vicenda d’amore,
tradimento, vendetta e omicidio, vissuta in terra di Sicilia, si parla di
superba rivelazione,
di capolavoro, al limite del caso e dello scandalo; e il musicista livornese
a tutte le ore
divien all’improvviso famoso e l’opera varca in pochi mesi le Alpi
mietendo, ben benone,
successi e riconoscimenti critici ovunque, perfino in Germania e Austria,
un successone!

L’OPERA DEI BASSIFONDI

L’inaspettato trionfo di "Cavalleria rusticana" ha come effetti immediati


la nascita di drammi musicali a forti tinte, di ambiente popolare e plebeo
con avallo
di spiccate caratterizzazioni meridionali, si vedano i testi letterarie vergati
di Capuana e di Verga, tra cui raggiunsero l’apice i "Pagliacci" di
Leoncavallo,
andati in scena a Milano nel 1892: ancora un intrigo di amore e morte fra
guitti
calabresi, che con "Cavalleria" costituisce "le sorelle siamesi del
melodramma".
I principi di quello che sarà il verismo operistico son così posti ma, come
pesci fritti,
la predilezione per il teatro dei bassifondi, "da coltello" che colora 26
d’intenso il dramma
dura l’"espace d’un matin": già Puccini, con la sua 700ntesca "Manon
Lescaut",
appassionata e dolorosa, ma anche incipriata da minuetti e madrigali,
avverte però
il prossimo esaurirsi della moda, e con la successiva "Bohème" ritorna
alle radici
a una Parigi attuale con una storia sentimentale vissuta da giovani artisti
spiantati
e dalla sartina Mimì che muore circondata dalla commossa
partecipazione di amici,
quanto Manon era scomparsa nel desolato deserto della Luisiana con
spasmi sospirati.
Il mondo del proletariato meridionale cede il passo alla borghesia
cittadina e ,da lì
a poco, a ritratti di donne non più fragili ma a drammatiche eroine del
mondo teatrale,
come Adriana Lecouvreur, e a cantanti di forte personalità come Tosca e
a nobildonne
come Fedora. Fuori d’Italia la Belle Epoque celebra i suoi fasti musicali
con Debussy
e Ravel, con Strauss,Mahler e intanto da noi si afferma la stella d’un
letterato ancestrale,
raffinato e suggestivo come Gabriele D’Annunzio che investirà con la sua
prorompente
personalità tutto il panorama culturale italiano, teatrale e musicale
(Fedra, la Figlia
di Jorio, la Nave, Francesca da Rimini): l’orma del decadentismo è perciò
conseguente.
E Puccini, dopo i capolavori di Manon e Bohème, non s’adagia su moduli
felicemente
collaudati senza lasciarsi attrarre dalla sirena dannunziana ma s’impegna
stupendamente
a rinnovar il suo teatro e il suo linguaggio che lo pone in parallelo con la
cultura europea
e lo colloca a pien diritto quale l’erede del "grande vecchio" nella storia
del novecento.
Ed ecco l’esotico di "Madama Butterfly" e "Fanciulla del West", ecco il 27
sadismo a cento
all’ora di Scarpia, la violenza di Jack Rance; e poi ancora il Medioevo, il
fascino della
religione, la commedia leggera ambientata a Vienna fino all’approdo al
mondo della
favola con "Turandot". Nessun musicista di teatro ha saputo documentare
in eloquente
maniera questo passaggio e di cultura come Puccini che sbaraglia tutti i
concorrenti,
definiti erroneamente "provinciali", ben degno erede verdiano, come
acqua di torrenti!

L’ASTRO NASCENTE E L’EREDE: PUCCINI

Figura di punta del mondo operistico italiano a caval tra 8e 900, Puccini
prese le distanza proprio dalle due tendenze dominanti: quella prima
verista e dannunziana poi; altrettanto arduo è collocare la sua personalità
artistica
nel panorama internazionale, in quanto la sua musica, pur nell’incessante
evoluzione stilista, non presenta la tensione innovativa e incalzante
di molti dei maggiori compositori europei del tempo. Inver Puccini
si dedicò quasi esclusivamente alla musica teatrale e, al contrario dei
maestri
dell’avanguardia 900tesca, scrisse pensando al pubblico curando con
estri
di persona gli allestimenti e seguendo le opere in giro per il mondo.
Se dette alla luce solo12 opere, comprese le 3 in un atto che compongono
il "Trittico", fu per creare musiche vibranti e impeccabili che si 28
affermarono là per là
nei repertori dei teatri lirici del mondo: interesse, varietà, rapidità, sintesi,
profondità psicologica, trovate sceniche son i fondamentali ingredienti
della profonda "desiderata"
del suo teatro e il pubblico, a volta disorientato dalle novità contenute
nella teatrale
musica, alla fine si schierò sempre dalla sua parte, al contrario della
critica musicale
che guardò il toscano con sospetto o addirittura con ostilità non del tutto
malcelata.
PARTE SECONDA

29

VITA
LA VITA

I problemi con Paganini si affacciano subito dal nome:


Nicolo’ o Niccolo’: caro lettor non mi chieder il come
e il perché! Diciamo che son corrette entrambe le dizioni
(anche se i più preferiscono la prima) in quanto in più occasioni 30

il musicista genovese firmò indifferentemente nelle due maniere:


Paganini Nicolaus, dunque, con antenate origini di Carro
(in provincia di La Spezia) ove questo cognome, a ben vedere,
è quasi esclusivo. Il violinista nasce sotto il segno, non uno sgarro,
dello scorpione il 27 ottobre 1782 al civico trentotto
del “Passo Gatta Mora”, già vico fosse del colle sotto
il numero 1359. Una casa, poi distrutta dal piano regolatore,
in una di quelle viuzze strette fra giri, a tutte le ore,
tortuosi e scalinate, con le case a ridosso,
tra file di panni stesi a finestre ammiccanti a più non posso,
che il locale dialetto chiama “carruggi”. E nel paesaggio genovese,
fra portuali come il padre Antonio “ligaballe” di professione,
cioè imballatore in porto, e donne del popolo, davver in arnese,
(l’amatissima madre Teresa Bocciardo che a 22 anni ben benone
lo concepì, quartogenito di sei figli) Niccolo’ ascolta la musica
per strada, nelle case e nelle osterie: strumenti e canti,
danze, inflessioni e motti popolari che incideranno con incanti 31

e con diverso peso sulla sua arte violinistica e sulla particolare


sensibilità compositiva. Poi all’improvviso una grave affezione
contratta a quattro anni con crisi catalettiche
tanto da farlo credere morto, non ovviamente mistificazione,
è il segnale d’allarme di quella che il Bezzi la definì
l’ “odierna chimica” paganiniana e che sarà lì per lì
il costante contraltare di un’attività concertistica
egualmente forsennata e carica di gloria, non affatto mistica,
onori, successi, gratificazioni e guadagni. Rimessosi pur dalla scarlattina,
fu il padre dilettante di musica fra i molti, non una manfrina,
della Genova di fine 700, a mettere al bambino in mano
un mandolino prima e poi un violino. Da notar pian piano
come il regime di studi ben severo e coatto
(10 ore al dì) cui il padre Antonio, consapevole, mica matto,
del prodigio del ragazzo che il cielo gli aveva mandato,
lo assoggettò guastando per sempre un rapporto affettivo
con il figlio già difficile mentre con sentimento vivo
si rafforzeranno sempre più i legami di Niccolo’ con la mamma. 32

Nel 1792, all’età di dieci anni, subentra una vera manna,


quale insegnante il violinista Giovanni Cervetto (o Servetto)
e successivamente un altro genovese Francesco Gnecco,
autore dell’opera”Orazi e Curiazi”. E così ecco
che nel 1794 vengono organizzati, presto detto,
alcuni concerti del piccolo Paganini in ambienti sacri quali
“Nostra Signora delle Vigne”, “San Filippo” a pieni strali,
la “Chiesa di via Lomellini”, innanzi alla casa
ove di là a pochi anni, nel 1805, nascerà Mazzini, tabula rasa!
Questi concerti rivelano l’enfant prodige oramai pronto
ad allargar le ali, previo lezioni di Giacomo Costa,
maestro di cappella del Duomo di San Lorenzo di cui giusto apposta
furono Gnecco, Serra e Camillo Sivori di cui occorre tener conto.
Come del resto Serra nominato primo violino e direttore
d’orchestra al Carlo Felice del 1828 (anno d’inaugurazione a tutte l’ore
del teatro) al 1852; Sivori il “Paganinetto” diverrà
violinista di rilevanza internazionale. E così là per là
Niccolo’ prese lezioni dal già citato Costa (trenta in mesi sei)
mettendo in luce una natura violinistica, caro lettor ci sei?,
fuori dal comune, atipica, capace di assorbire il violinismo
settecentesco fino alle estreme punte virtuosistiche, senza lirismo,
di un Locatelli e d’inventare al tempo stesso il futuro
dello strumento ad altezze impensabili. Nel 1795, dato sicuro,
il tredicenne Paganini scrive la prima raccolta di quelle
“Variazioni di bravura” aperte da una libera, ben belle, 33

introduzione cantabile: sono 14 variazioni sul tema “Carmagnola”,


l’inno rivoluzionario che negli occhi tumultuosi, non una sòla,
di fine secolo dalla Francia era divenuto popolare,
anche se a Genova circolava fra i sostenitori, a ben guardare,
dei Giacobini, prima ancora che arrivassero le truppe
napoleoniche. Quattordici spaccati di difficoltà alla ricerca
del colore: quell’elemento fondamentale che, a mò di zuppe,
dal violino di Paganini passerà al pianoforte, dei romantici.
Considerate perdute dette Variazioni, con una nuova ricerca,
son state ritrovate in copia a Londra nel 1972 a mantici
e acquisite dall’Istituto Studi Paganini genovese.
Di fondamentale importanza poi, a ben osservare,
si rivela l’incontro con Alessandro Rolla
quando Niccolo’ viene accompagnato a Parma, così appare,
dal padre. Il grande violinista pavese non ha nulla da insegnare
a Paganini e Paganini niente da imparare sullo strumento:
dovrà piuttosto colmare il vuoto di conoscenza, come pasta frolla, 34

dell’armonia, del contrappunto e della composizione


con maestri che Rolla indica in Gasparo Ghietti per benone
e Ferdinando Paer. Dopo concerti parmensi Niccolo’
rientrato a Genova mette a frutto l’insegnamento
dei suoi recenti istruttori, compone altri concerti e variazioni,
musica “difficile” ove sperimentare, ben lo so,
la sua realtà violinistica, per padroneggiarla con colorazioni
del tutto che alcuni studiosi hanno identificato
con i suoi “Capricci” per violino solo. Nel novembre 1796
il Marchese Di Negro, mecenate e protettore del futuro artista,
organizza un incontro nel suo palazzo, caro lettor ci sei?,
fra il quattordicenne e il grande violinista francese in bellavista
Kruezen per un concerto da tenersi in onore
a Giuseppina Bonaparte. L’anno dopo cade, a tutte le ore,
la Repubblica per una vita democratica dallo spazio
di un mattino: repressioni armate e anche, uno strazio,
Paganini partecipa ai moti politici fino a quando, nel ’99,
dichiarato lo stato d’assedio della città, con la prova del 9,
il violinista si rifugia in Val Polcevora nella casa del nonno.
Poi egli si reca in posti più tranquilli, a tutto tondo,
con il padre a Livorno e qui compone, ai primi del 1800,
musica per fagotto e nel dicembre si esibisce, a cento
a cento, al Teatro Rangoni di Modena. Il viaggio a Lucca
dell’anno seguente si rivelerà poi una mossa strategica
azzeccata: in compagnia del fratello Carlo, denso come latte di mucca, 35

anch’egli violinista. Paganini si presenta nella Chiesa di San Martino


in una clamorosa esibizione molto pirotecnica,
in cui vengono imitati animali, trombe, corni, flauti,
cosa che gli frutta la carica di primo violino e direttore
d’orchestra di corte, nomina del principe Felice e, a tutte le ore,
d’Elisa Baciocchi, sorella del Corso, del Principato di Lucca e Piombino.
Nel periodo 1801-1804 Paganini approfondisce la conoscenza per benino
della chitarra (“Sonata concertata” e “Grande Sonata”).
Quanto al soggiorno lucchese (1805-1809) il violinista
acquista confidenza con l’orchestra dando spazio in bellavista
al suo virtuosismo (impiego della “quarta corda”, una cannonata):
“Sonata Napoleone” e “Pizzicati”. Lucca significa anche
la prima delle innumerevoli vicende amorose dell’artista individuate
(e a volte inventate) dai suoi biografi che rivelano le difficoltà
di Paganini a mantenere un rapporto sentimentale stabile, ben si sa,
forse pregiudicato da un “ideale femminile”, quello della mamma,
sorta di fantasma incombente. E qui è da sottolineare
la relazione con la Baciocchi, donna non facile, a ben guardare, 36

capace di vessarlo in ogni modo e a cui, come manna,


lui dedicò il“Duo Mericile” e tre Sonate. La vita di corte
comunque non lo soddisfava anche per il salario inadeguato
e cosi’ tra il 1810 e il 1813 suonò in località, con buona sorte,
della Toscana, della Romagna e della Lombardia in concerto variegato
per poi tornare a Genova per tenere tre concerti
al Teatro Sant’Agostino e costituire, dati certi,
una rendita annua per i genitori. Proprio in queste giornate
genovesi calde di successi, di amicizie, di sentimenti
familiari, prende corpo una vicenda spiacevole, pensate
cari lettori, del “catalogo amoroso” pien di patimenti.
La questione riguarda Angelina Cavanna, una ventenne
ragazza che il padre sarto aveva avviato alla prostituzione;
con lei Paganini visse more uxorio (un po’ da mascalzone)
per alcuni mesi a Parma da cui si separò, non lemme lemme,
una volta incinta allontanandola a Fumeri,
vicino Mignanego, per nasconder l’accaduto e per il parto.
Ne seguì una vertenza giudiziaria per denuncia del sarto
genitore che l’accusò di ratto e seduzione, non da ieri,
cui seguì la nascita di una creatura morta e sette
giorni di carcere che dette luogo alla leggenda, bubusette,
secondo cui il musicista imparò da Satana ogni segreto dei violini,
racconto poi ripreso da Stendhal nella sua vita su Rossini.

37

La vicenda si concluse con un esborso di denaro a favore


di Angelina che poi si sposò con altro Paganini, sissignore!
Unico aspetto positivo della faccenda fu la conoscenza
dell’avvocato Luigi Guglielmo Germi che l’aiutò con scienza
dotta nella causa del palchettaro Migone per mancato pagamento;
da qui nacque un’intima amicizia per cui Germi diverrà
confidente e fiduciario, amministratore e procuratore le cui, si sa,
lettere costituiscono il corpus maggiore dell’Epistolario, a vento
dolce, paganiniano. Attraverso missive talor sgrammaticate
ma sempre di straordinaria efficacia, ne nasce un ritratto
complesso e contraddittorio, specchio d’intelligenza, certo dato,
viva e non doma neanche nei momenti più bui, fatto
confermato, delle malattie o della costante immaturità
e spregiudicatezza nelle vicende con le donne, ben si sa!
E in controluce una forte carica di “genovesità”,
i sentimenti d’amicizia, il senso della famiglia, l’umorismo, 38

la parsimonia, i progetti grandiosi. Sul finire, senza lirismo,


del 1815 con l’esilio del Bonaparte e con il Congresso
di Vienna, Genova finisce la sua gloriosa, preciso nesso,
vita di Stato indipendente, annesso al Regno di Sardegna,
e per l’arrivo della Regina Maria Teresa son previsti,cosa degna,
numerosi concerti in cui in uno Paganini è violinista
e solista oltre che direttore di una cantata per la sovrana in bellavista.
Da Genova la vita di Niccolo’ prosegue all’insegna dell’attività
concertistica con continui spostamenti: a Milano duella
a suon di musica con il violinista francese Lafont, è verità,
ove il genovese sorprende suonando con una, ben bella,
corda sola e poi Padova, Verona, Venezia, Trieste. Avvenimenti
significativi del ’17 son la morte del padre con sentimenti
non struggenti e il viaggio a Torino; indi a Bologna conosce
Rossini cui lo legherà una profonda amicizia e a Roma
suona con Giuditta Pasta; poi a Napoli (Variazione toma
sulla Cenerentola rossiniana) e a Palermo con creazione
di Quartetti. Nel giugno del 1820 le 12 Sonate, inver non mosce, 39

per violino, i 6 Quartetti per archi e chitarra e per benone


i 24 Capricci per violino solo. L’anno seguente sfuma
l’ennesimo progetto di matrimonio con una certa Carolina
Badieri di Napoli, a Parma poi abbandonata alla berlina,
e nel 1822 compare la sifilide: seguono la maestosa Milano
con la soprano Angelina Catalani e Cernobbio sul lago di Como,
ospite del generale Pino, appassionato di violino, non strano,
per il quale scrive qualche sonatina, in modo tomo tomo!
In un miglior stato di salute e recuperate energie e forze
il nostro virtuoso riprende a tener concerti alla Scala
di Milano, a Genova e in alcune città venete, di gran gala.
Si accompagna a lui nella vita e nelle accademie, giocoforze,
la cantante comasca Antonia Bianchi che il 23 luglio
1825 a Palermo gli darà un figlio (l’adorato, un vero subbuglio
nella vita dell’artista, Achillino) assieme alla quale
convivrà spesso burrascosamente sino al ’28 quando, tale e quale,
previo cospicuo compenso la donna gli lascerà il figlio e libertà
per poi convolare a nozze con un commerciante milanese, è verità!
Risalito dal sud al nord d’Italia e ricevuto da papa Leone
XII l’ “Ordine equestre dello speron d’oro”, nel 1828
con Antonia e Achillino, in una speciale carrozza, un ’48?,
inizia il gran tour concertistico europeo che alla perfezione
durerà ben sei anni toccando Austria, Germania, Polonia, Francia,
Inghilterra, Scozia, Irlanda e Belgio in cui il nostro artista si esibisce
in numerosi teatri e in altrettanti concerti in cui con estro lancia 40

la celebre “Campanella” e in tal carnet delle meraviglie, a strisce


e a stelle, si supera con le Variazioni per violino. La prima tappa

è naturalmente Vienna ove tra il pubblico siede Schubert ammirato.


La capitale austriaca segna l’inizio di trionfi e guadagni, che pappa,
enormi e vede il rapido dilagare della “moda Paganini” in città,
applicata a oggetti di vestiario, preziosi, bastoni locali là per là,
e pietanze. C’è la nomina di “virtuoso di camera”, certo dato,
da parte di Francesco I e il ringraziamento musicale dell’artista
che nella “Maestosa Sonata sentimentale” varia l’Inno nazionale a vista.
L’unico insuccesso in Europa accade a Praga ove pubblico e critica
valutano il nostro violinista secondo criteri, teoria non mitica,
tradizionali oltre il triste ricordo degli interventi chirurgici
alla mandibola con effetti negativi collaterali del micidiale
purgativo “Le Roy” che apparirà nell’epitaffio, a scendi e sale,
del cimitero monumentale di Staglieno: “Stavo bene, volli stare
meglio, presi il purgativo Le Roy ed eccomi qui, a ben guardare”.
Nella capitale boema il musicista conobbe l’universitario docente
Schotky cui dettò alcune note autobiografiche, pro domo sua, sicuramente; 41

successivamente dal 1829 al 1831 Niccolo’ Paganini violinista


da Dresda dà l’avvio a vari concerti in terra allemanna e a vista
fa una puntata in Polonia che permette a Chopin di scrivere
un Souvenir pianistico sul tema del Carnevale di Venezia.
Ascoltato da Gothe, da Mendellshon, da Schumann, non una inezia,
Paganini esegue il Concerto nr. 4 in re minore iniziando a scrivere
e a comporre quello che sarà l’ultimo dei suoi concerti violinistici,

il nr. 5 in la minore rimasto privo dell’orchestrazione dell’autore.


Congedatosi dal pubblico di Lipsia è poi a Parigi, a tutte le ore,
ove Rossini con fraterna amicizia generosa gli spiana la via
dell’Operà, apprezzato pur da Listz: molti i consensi in una botta e via!
Poi nella capitale francese Paganini conosce Francois Fetis,
un altro suo biografo e quindi a Londra, lì per lì,
dopo aver fatto rappoppiare il prezzo dei biglietti, dà
15 concerti di successo trionfale: indi, ben si sa,
è la volta dell’Irlanda e della Scozia. Nel gennaio del 1832,
a Manchester, la notizia della morte della madre Teresa, scomparsa 42

a Genova all’età di 74 anni, lo coglie, e non è una farsa,


in un periodo di superlavoro e di stanchezza. Dà allora rapace
incarico al Germi di acquistare una villa, di dar letizia capace,
che sarà Villa Gajone nel parmense, progettando in modo avveneristico,
un sogno che non si realizzerà a causa di disavventure
e malattie, ossia di pubblicare un “metodo” violinistico
e le proprie opere: seguono infatti periodi, a future
memorie, alternativi fecondi e d’inerzia a causa delle ripetute
malattie. Ancora una volta però la ripresa, “ripetita
juvant”, è sbalorditiva e in dicembre Paganini appare ristabilito.
La Sinfonia Fantastica accende la sua ammirazione per Berlioz
cui chiede un concerto per viola poi rifiutato in quanto
non sufficientemente solistico e virtuosistico, un vanto
come la Sonata per la Gran Viola, presentata a Londra.
Con questi concerti si conclude la tournèe europea che segnò
il periodo più fertile di Paganini compositore e, di contra,
la punta più alta della sua fama violinistica, ben lo so!
Una meteora luminosa ma destinata a spegnersi a causa 43

dei suoi mali, cui si deve aggiungere lo scandalo “Watson”


ove, come ai tempi della Cavanna, i giornali, a lama rasa,
parlano di ratto e seduzione di minore. C’è da osservare
che Paganini e Charlotte Watson, una giovane cantante, a guardare
bene, che s’era esibita con lui nelle ultime accademie,
misero a punto un progetto di fuga che il padre della fanciulla
scopre suscitando un vespaio, oltre al concomitante, ciulla,
mancato concerto benefico per malessere del violinista.
Con l’aria che tira a Parigi e dopo ben sei anni, non in bellavista,
il rientro in Italia è un sospiro di sollievo: tornare
prima a Genova per riabbracciare parenti e amici, poi, a ben guardare,
a Parma per installarsi nella nuova villa e rispondere al regale invito
di Maria Luisa e indi a Genova al Carlo Felice ove, come dolce fico,
nonostante i gran malanni, compone il “Moto perpetuo”,
le “60 Variazioni sul Barucabà” per violino e chitarra, non un neo.
Rientrato a Parma la granduchessa l’incarica a ristrutturare
l’orchestra con cui l’artista dirige l’ouverture, a ben osservare,
“Fidelio” di Beethoven e la sinfonia “Guglielmo Tell” di Rossini
e infine i “Puritani “di Bellini. Da Parma a Torino per chieder a fiorini 44

la legittimazione del figliolo mentre i concerti nizzardi e marsigliesi


vengon pregiudicati dalla sua pessima salute, a mò di umiliati e offesi.
L’artista è costretto a dettar il proprio testamento ove con scienza nomina
Achille, suo univerale erede, mentre la sua carriera si chiude
a Torino con due concerti benefici in segno di riconoscenza
verso Carlo Alberto per la concessa legittimazione. Dal 1837 in poi
il declino fisico appare inarrestabile, l’acuirsi di numerose malattie
costringe Niccolo’ all’inattività e l’insorgere, di poscia in poi,
di un’afonia progressiva riduce l’uomo al silenzio e così sia!
A Parigi si lascia coinvolgere nell’impresa economica di una casa
da gioco a lui intitolata, il “Casinò Paganini” ove esibirsi, tabula rasa,
due volte alla settimana: i malanni però gli impediscono, ben lo so,
di suonare anche una sola nota facendo perdere così, oibò,
la principale attrattiva del locale. C’è da osservar che oltre alla diserzione
del pubblico si aggiunge poi una pessima amministrativa conduzione
dell’attività con conseguente fallimento che vede il nostro musicista
coinvolto in vicende giudiziarie. Nel frattempo, non tanto in bellavista,
Paganini lavora sulle sule ultime opere, la Sonata “La Primavera”
e il “Balletto campestre”, per diversi aspetti opere incompiute, e da sera
a mattino, commercia in strumenti musicali ad arco, viole non nuove,
con il primo violoncellista della Scala, Vincenzo Meriglio. Siamo nel ’39:
Paganini consulta medici su medici e tenta ogni tipo di terapia,
incluse le cure termali di Balorne e di Vernet, mamma mia!
Da Genova s’imbarca per Nizza ove v’è un clima migliore,
accompagnato da Achillino che lo assiste sino al meriggio 45

del 27 maggio in cui il cuore dell’artista cessa di battere a tutte le ore.


Ma l’odissea paganiniana non termina qui: il Vescovo di Nizza
vieta la sepoltura in terra consacrata, atteso, ed è una vera pizza,
che la confessione per iscritto non fu accettata per la persistente afonia.
Occorreranno quattro anni prima che tale divieto venga revocato
e ben sette lustri prima che la salma, imbalsamata, certo dato,
nella cantina della casa nizzarda, dopo gli spostamenti
nel lazzaretto di Villafranca, nella casa di Ramairone,
nella sagrestia della chiesa e poi nella tomba per benone,
di famiglia di Gajone, trovi riposo definitivo come dolci venti,
precisamente a Parma, nel cimitero della Villetta, dove le spoglie
del violinista vengano traslate nel ‘76 ove la gente in priego si racoglie!
PARTE TERZA
46

LA MUSICA VIOLINISTICA
DEL 700
LA MUSICA VIOLINISTICA DEL 700

Pur figurando tra le forme più avanzate rispetto allo spirito


del tempo, la musica violinistica prima di Paganini Niccolo’
sta al di sopra della realtà terrena e dei problemi con rito 47

dell’uomo; malgrado le arditezze tecniche che l’irrequietezza, oibò,


c’è l’accresciato calore della forma, un senso religioso in effetti ancora
lo pervade. Non bisogna dimenticare che capostipite, ad majora,
di tutte le scuole violinistiche italiane fiorenti nel 700 è
Arcangelo Corelli: l’orma di questo grande iniziatore, verità è,
segue più o meno dappresso l’intero sviluppo della violinistica storia
del 700 italiano confermando ad essa unità di stile, quasi a memoria,
da far ritenere a qualcuno persin superfluo il dividerla in differenti
scuole. Da quella del Corelli escono violinistiche, che saranno come venti
dolci, fra i tipici rappresentanti dell’arte che seguirà. Significativo
che da quella scuola esca un Pietro Locatelli, il massimo virtuoso
del secolo, esca Somis, maestro a sua volta di Paganini, armonioso,
sotto cui si formerà l’annunciatore più di tutto e prossimo, non lascivo,
del concerto romantico: Gian Battista Viotti che porterà alla nuova era
violinistica, quella di Paganini. Corelli vive tra il 1653 e il 1713
e intorno a lui, sotto la cipria e il velluto, pulsa e avanza
un fermento diffuso. Dopo, per restare nella musica strumentale, 48

a 30 anni da Corelli incontriamo Domenico Sacchetti a distanza


e il progresso realizzato dalla musica in Italia, a scendi e sale,
(da Palestrina in avanti) ha del portentoso in una forma di felice
convivenza tra l’umano e il divino: inizia l’epoca cosi’
d’oro del concertismo, del violino in specie, che eleva lì per lì
l’uomo all’espressione e al sentimento. Splendono, a burro e alice,
i nomi, tra gli altri, di Torelli, Bonporti, Albinoni, Vivaldi,

Geminiani, Veracini, Tartini, Locatelli, Prugnoni, Viotti,


compositori mirabili ed esecutori di razza. A fiotti
nelle mani di tali maestri il violino comincia a vivere, con spavaldi
modi, e cuore di libertà, saggiando insoliti ardimenti, nuovi
diritti senza esser un ribelle. In tale linguaggio, ti trovi
caro lettor in questa spiegazione?, è ancora l’accento vivo
di una idealità che s’effonde nel respir di adagio
nell’impostazione laudativa del canto. L’opera con argento vivo
di questi sublimi maestri del settecento è ancora biagio
(non è Den il mio collega di corso) ma scala in terra verso il cielo. Nelle 49

esuberanze, nelle bravure tecniche, nelle vivacità, proprio ben belle,


è celerità di suoni e immagini, la forza e vanità umane
erompono con piglio festoso con la sua anima, con sane
concezioni spirituali, pronte a esprimere la profonda voce
del proprio raccoglimento. Ecco che allora emerge, come noce
di burro, il presentimento romantico corelliano, il funambulismo
gesticolante di Geminiani, la malinconia di un gesto senza lirismo
disperato di Veracini per un duello violinistico andato male,
come pure quella del Viotti. Per non parlare poi del Tartini
che dismise l’abito talare per Bacco e Venere che con vicini
richiami si alleerà addirittura con il Diavolo, tipo Paganini!
IL VIOLINO

Non si sa chi l’abbia inventato: forse Testori


milanese, forse Kerlino il bresciano o Gasparo Bertolotti,
liutaio di Salò. I tedeschi ne rivendicano, come tesori,
la scoperta a Duiffropprugear che fabbricò, a pien di botti, 50

strumenti di liuteria tra il 1514 e il 1571. Non meno


vivo è l’interesse degli inglesi e francesi a, nondimeno,
accaparrarsi il diritto d’autore: tutto ciò per un fascello
di legno che non raggiunge il mezzochilogrammo di peso.
In realtà che il violino derivi dalla viola, che bello,
è certo e non è fantasia. Come si sa, si è da tempo appreso
che il violino nasce da una bottega da falegname, da un ceppo
appena squadrato che opportunamente lavorato con amore
gli dona la facoltà di cantare ma non la parola che, a tutte l’ore,
gliela dà l’uomo. Vien voglia perciò di pensare
che quanti si affannano a scoprire il segreto di Stradivari
non compiano opera meno vana di quei, a ben guardare,
amatori che tentano di definire, ove mai nel corpo e nei vari
suoi organi, abbia sede l’anima e che tale segreto
riposi nelle ragioni occulte e magiche della vita. Non è ceto,
come si dice a Genova, che intorno a questa stella
tutta una costellazione risplenda: i Guarneri con uno speciale
Giuseppe detto “del Gesù” dalle cui mani, non è storiella,
sortì quello che doveva esser nientemeno che il violino
di Paganini; l’Amati, Bergora, Gagliano, e da vicino,
Gasparo da Salò, Guadagini, Maggini, Montagnana reale.
Dalle mani di questi maestri il violino ha ricevuto
i suoi destini migliori e così esso nasce come un infante regale
e l’archetto gli sta accanto, simbolo di fedeltà, non d’amor perduto
ma eterno che va oltre la morte. E così è normale 51

che non abbia momenti di requie, lo strumento delle anime


senza pace, degli zingari, degli innamorati, di Paganini, ben lo so!
Percorrere la sua tastiera è come avventurarsi nella steppa:
con attrazione istintiva i quattro martelletti delle dita
hanno da fecondare i sensi delle note disposte (una zeppa?)
senza simmetria, ciascuna con la sua fierezza, in men che non si dica,
la sua gelosia di organismo costituito, sdegnosa di contatti,
di false promiscuità: bisogna colpirla al cuore perché
la nota sprizzi la sua favilla incendiaria. Fatti
e non parole: niente allora di più toccante che
il chiedere convulso e ostinato della mano, il suo
comunicare al filo lucido e teso della corda. Quanta
pazienza, quanta febbre ma quanta gloria! E’, in cuor suo,
al violino che la storia doveva assegnare, per mano dell’artista,
il compito di dar vita a tutto lo spirito musicale in bellavista!
LO STRUMENTO VIOLINISTICO

Rispetto all’epoca paganiniana il violino era nato


due secoli prima dalle mani di un artefice italiano
in terra lombarda, sia egli Pellegrino Stato
da Montechiari o Gasparo da Salò o, brevi mano, 52

Andrea Amati: era il risultato prodigioso della graduale


e lenta trasformazione di un altro strumento, a scendi e sale,
della medesima famiglia, un parente prossimo ma non destinato
come esso agli splendori della gloria: parliamo della viola!
Questa sin dal 500 possedeva una voce morbida, non una sòla,
dolce e poi, come d’incanto, essa muta forma, s’addensa
e le curve si modificano, le proporzioni cambiano, un toccasana,
e la voce diventa più acuta, più brillante, più intensa.
E lo strumento diventa sempre più meraviglioso, più perfetto
nelle mani di prodigiosi costruttori che con arte umana
la trasforma in violino: alludiamo ad Amati, presto detto,
Guarneri, Stradivari, Ruggieri, Bergonzi, Montagnana,
Guadagini, Gaglieno, Testori. C’è da dire, cosa non strana,
che per i suoi concerti Paganini adolescente cominciava a divenire
familiare con i Maestri del violino e con le loro opere, a non finire,
e anche con Corelli, Vivaldi, Tartini; e tutto poteva dare
quello strumento, il canto ampio e appassionato, a ben guardare,
la melodia tenera e accorata, il frizzo lampeggiante
dell’ebrezza e della gioia, e del dolore l’urlo lacerante.
E con il violino il nostro genevese avrebbe saputo far
palpitare i cuori delle ascoltatrici con emozione
e per raggiungere questo erano necessarie alla perfezione
due cose: il lavoro assiduo e l’audacia senza limiti e misura
ma di studiare e di osare Paganini non aveva di certo paura!
53

IL SUO GUARNERI

Deposto in una nicchia sontuosa dove una mobile base


lo rotea dolcemente agli occhi del visitatore,
il violino di Niccolo’ Paganini, al pari e in una fase
di un idolo sacro, è custodito in una grande sala
del Palazzo Comunale di Genova. Quaranta anni esatti prima
che l’artista venisse al mondo, nell’anno 1742, in gran gala
il lituaio cremonese Giuseppe Guarneri, detto “del Gesù”,
coniava la sigla con cui firmava i propri strumenti, da cima
a fondo, con una croce che li caratterizzava. Uno dei suoi violini
fu il solo, l’unico che sarà, sino alla fine, la voce di Paganini
che lo preferì, pur avendone di più superbi, a incontro avvenuto,
facendone il proprio confidente, il suo complice con gran fiuto.
Fu un amore a prima vista, devi saper caro lettor, sancito
all’istante da un’unione che durerà tutta una vita, in modo infinito.
54

E certo portandolo a compimento nella tranquilla bottega


dandogli l’ultimo morbido, luminoso velo di vernice,
il maestro lituaio avrà supposto con occhio da pernice
di trovarsi in quel momento non un pezzo di legno ma di storia,
quella appunto di Niccolo’ Paganini. Tale violino, a memoria,
ha il biondo dell’oro e il vermiglio della lucente fiamma,
quasi di porpora in certi punti, fulvo in altri, una manna,
e in altri, pensa caro lettor, di una pallidità che impersonifica la pena
della lunga età e del suo vivere così straordinario e con lena.
Nella zona più bassa, ove tendono verso il ricciolo estremo
i quattro fili delle corde, una chiazza cruda svela il nudo
legno sottostante e si nota che il piano ha ceduto (nemo
profeta in patria) incavandosi un poco: in modo crudo
lì premeva la mandibola del genovese e si pensi alla forza
di quella morsa con cui egli imprigionava lo strumento,
tra spalla e orecchio, tra nondimeno l’udire e la forza 55

facendone una parte di se stesso, un suo secondo cuore:


“Sentire fortemente per far sentire” come a tutte le ore
amava ripetere. Paganini, quest’uomo che con l’incrollabilità
di un romano antico lasciò più volte senza emettere, si sa,
un gemito, quando i chirurghi lo divorarono con i loro ferri,
il giorno che toccò al suo violino conoscere i ferri
di un liutaio, rattrappito su una sedia lui si torceva mugolando
lacerandosi le mani. E in ultimo scrisse sospirando:
“Lego il mio violino alla città di Genova anche se
perfettamente conservato” e così egli saldava in una botta e via
la Superba al suo cuore. Tra i tanti biografi del violinista
corre voce che lo strumento gli fu donato a Livorno,
in segno di ammirazione da un negoziante francese a prima vista,
tale Livron, che glielo aveva prestato a tutto tondo,
in occasione di un concerto. Convintissimo Prod’ Homme:
“Dopo il concerto l’entusiasmato amatore fece dono al musicista
dello strumento affermando: “Mi guarderò bene in bellavista
di sfiorare le corde che le vostre dita hanno toccato.
Nessun’altra mano toccherà questo strumento che, certo dato,
lo profanerebbe: il violino è vostro!”. E, sappi caro lettor, il tutto
deriverebbe dal fatto che Paganini avesse perso (da farabutto)
al gioco oltre il denaro anche il suo violino, e così
il citato Livron gli prestò il suo superbo Guarneri
per presentarsi al pubblico in concerto, prestito che lì per lì
si tramutò in regalo. Cosa che ovviamente non si ripetè 56

nonostante Paganini sia stato un accanito giocatore, verità è,


e naturalmente perdente. Comunque esiste una versione
differente, ossia che provando in camerino il violinista
il canto di diversi uccelli ebbe a rompersi l’archetto:
le corde saltarono come serpentelli, momenti, presto detto,
di raccapriccio, lui accasciato su una sedia, non in bellavista,
l’impresario con le mani nei capelli per l’incasso in fumo
ma, come miracolo, vi fu il prodigioso Livron che con fiuto
repentino risolse il problema con il suo Guarneri del Gesù.
Questa la storia del violino di Niccolo’ Paganini su per giù!
ANCORA SUL VIOLINO

Il violino è uno dei grandi prodotti del tardo Rinascimento,


il risultato di un processo di evoluzione, dolce come il vento;
verso la fine del XV secolo gli strumenti musicali
erano piuttosto primitivi, adatti per la musica da danza, a sali 57

e scendi, o per accompagnare il canto ma non per sviluppare


e sostenere per conto proprio una melodia. A ben guardare
gli antenati del violino erano a tre corde come testimonia, ben belli,
la volta della cattedrale di Saronno, dipinta dal Ferrari,
in cui son stati ritratti mirabilmente violini e violoncelli.
Tuttavia all’inizio il violino godette , devi saper caro lettor, di buona
reputazione: era difatti opinione come tra i musicisti
dell’epoca che si trattasse di uno strumento di buona
lega per accompagnare danze ma non di particolare, visti
gli eventi, interesse, usato da poche persone per lavoro.
Addirittura la Chiesa arrivò ad emanare, bontà loro,
degli editti per la distruzione di questo licenzioso
strumento. Fu la regina di Francia, Caterina de Medici in gioioso
modo, a far sì che il violino iniziasse la sua ascesa.
La sovrana, avendo respirato l’aria del Rinascimento
a Firenze, si circondò di servitù ed artisti, e a lento
modo gli svaghi di corte erano accompagnati da violino,
il cui esemplare più antico è datato 1564 per benino.
Tutti questi strumenti furono realizzati da Andrea Amati
che con la sua famiglia avrebbe dominato la liuteria
per i successivi cento anni; c’è da dir che l’Amati
fu colui che fissò i criteri base, una reale sciccheria,
per una vera e propria opera d’arte. Nel XV secolo la fortuna
del violino era ormai diventata inarrestabile e fine come raggio di luna,
come testimoniano alcuni dipinti del Caravaggio (un orso) 58

e di altri artisti che ne immortalarono a largo raggio


la bellezza. Interessante notare che l’iniziatore del melodramma
Monteverdi nel suo “Orfeo” fa largo uso, una manna,
del violino e a titolo di curiosità esso ha le forme
femminili, il corpo a cassa armonica, il fondo a dorso
e una pancia separata da fasce o costole laterali come orme.
I primi artefici furono, come detto (non il mio amico braidese),
Amati e Gasparo da Salò, e tra i liutai successivi Stradivari e Guarneri
e poi Bergonzi, Guadagini e Gagliano. Caro lettor siamo sinceri
nell’affermare che il violino di Paganini, denominato, ben cortese,
“del Gesù” aveva un suono vibrante e potente, un “Cannone”
per l’appunto e nel 1825 rischiò d’esser distrutto (maledizione)
dalla compagna Antonia Bianchi in seguito a una focosa scenata
di gelosia. Pochi strumenti musicali hanno avuto un rapporto
così viscerale e simbiotico con i successi artistici, una cannonata,
di un genio, un prolungamento di se stesso, un supporto
come carne, una sorta di alter ego su cui imprimere
l’impronta del suo mento. Dopo la morte del Maestro
ci volle del tempo perché le sue volontà fossero, senza estro,
rispettate: il figlio Achille si dimostrò restio a cedere
il violino di suo padre a una città che si era rifiutata
d’accogliere le sue spoglie mortali; la consegna ebbe luogo
solo undici anni dopo la morte di Niccolo’ nel 1851 come logo!

59
PARTE QUARTA
60

PAGANINI VISTO DA VICINO


PAGANINI VISTO DA VICINO

Vita movimentata e straordinaria in giro per la Penisola


e per l’Europa da inventore e prepotente portavoce del concertismo
moderno. Relazioni e disavventure amorose che, come perduta isola,
testimoniano la difficoltà a realizzare e a mantenere, con realismo 61

e con stabilità un rapporto sentimentale. Guadagni e trionfi


enormi controbilanciati da innumerevoli fisiche sofferenze;
vicende plurime di Niccolo’ Paganini “prodigio”, a gonfi
venti, che dal chiuso di un carruggio seppe guardare, come lenze,
oltre quelle quattro corde tese sopra un ponticello. Le suggestioni
legate alla sua figura, sfuggente e imprevedibile, con colorazioni
da scavezzacollo e da saggio al tempo stesso, da illuso a furbacchione:
molte divenute proverbiali come “Paganini non ripete” alla perfezione
nel senso che i brani a carattere improvvisativo non poteva da iperbolico
ripeterli nell’egual maniera (ecco il perché al Teatro Carignano di Torino
nel 1818 non concesse il bis); improbabile storie, non per benino,
diavolesche e di patti faustiani dove, pensa lettore caro, di “diabolico”
in Paganini ci fu semmai l’attitudine a farsi della gratuita pubblicità.
La credenza di mani lunghissime quando il calco della mano, ben si sa,
dimostrano il contrario (fazzoletto legato, fatto davver storico
e reale, in cima a una canna) che accrebbe enormemente la convinzione
che il violinista era affetto da “morbo di Marphan”, per benone,
per la particolare snodatura delle articolazioni e la capacità
delle dita a compiere movimenti spaziali tali da permettere là per là
un gioco iperabile e trascendentale sullo strumento; tutte cose
che collimavano con la struttura dell’artista: tronco corto,
gambe lunghe, disturbo della vista che da sempre, ab torto
collo, lo tormentavano, il volto scavato, il cranio grande
e gibboso, la tosse non sedabile e la stessa, pensa lettor, afonia
che lo caratterizzò specie negli ultimi anni. E a jose 62

il tutto quale specchio di crisi esistenziali d’eccezione,


incalzanti come i motivi funambolici delle, alla perfezione,
“Variazioni da bravoure”, ricchi di nomi, dati e avvenimenti,
spesso poco ortodossi negli affari di donne. Come speciali venti
Paganini però non è importante per la singolare esistenza
ma per il posto che occupa nella storia della musica, una lenza:
la lezione, violinistica, gli esiti compositivi, i rapporti
con l’Italia del suo tempo, l’incidenza sul Romanticismo
europeo, insomma una icona del violino, re del virtuosismo!
IL CARRUGGIO “PASSO DI GATTA MORA”

C’era in Genova un vecchio carruggio, detto di “Passo di Gatta Mora”,


uno come tanti, così stretto che vi si andava di sbiego,
brunito dall’umido e dalla molta ombra alla buonora;
lì zufolava il vento del mare, pochi passi, poche voci, quasi cieco, 63

insomma un budello plumbeo come il camminamento d’una prigione.

Ma al numero 38 una casa dava segno di sé per un tabernacolo


a colonnine, protetto dal taglio triangolare d’un pregiato architrave
infisso tra due finestre del primo piano, attorno a cui uno spettacolo
correva come in grappoli un ornato floreale. Lettor sappi che nel mezzo
del tabernacolo v’era una nicchia incavata e dentro una Madonna
con le braccia raccolte nel petto, il capo girato da un lato e l’olezzo
di piante su un rotondo pietroso vegliato da un angelo e una somma
e breve scritta:”…Et magnum est in te” seguite da parole:
“Alta ventura ed umile luogo: in questa casa il 27 ottobre 1782
nacque a decoro di Genova e delizia del mondo Paganini Niccolo’
nella divina arte dei suoni insuperato maestro”. Come uno più uno fa 2
caro lettor devi saper a togliere quasi tutto, questo bene lo so,
fu un nefasto piano regolatore: a quattro passi c’era la Chiesa 64

di Santa Croce e del Santissimo Salvatore ove il bambino battezzato


venne. Pur esercitando il modesto mestiere di ligaballe, certo dato,
gestore di una botteguccia, il padre Antonio nutriva in sé, con illesa
dignità, la persuasione d’esser dotato di un quid di superiore presa,
insomma di talento e così da un lato maneggiava violino a tutte le ore,
dall’altro numeri da suggerire per il gioco del lotto (tipico nella Superba),
arte e magia con uno sfogo a fare figliolanza finanche al numero di sei!
E così come d’incanto l’estro e la magia, caro lettor ci sei?,
furon trasferiti a Niccolo’ con l’aria di prodigio sin dalla sua
infanzia con facile presagir di un futuro radioso del musicista,
sogno accarezzato dalla madre Teresa e che si avverrà. A prima vista
e a soli quattro anni il bimbo ebbe a dir, udite udite, a suo papà:
“Tu stoni!” e a sette anni con la sua prima lezione là per là
ha inizio il più grandioso fenomeno dell’arte violinistica, lo spicco
di un volo bruciando le tappe con slancio sicuro e, mi ci ficco
su piatto ricco come nel pocker, per la mente del padre, vi fa
una scossa già sognando di divenire impresario del figliolo
e di girare il mondo. Fatto sta che diventa crudele tiranno
arrecando al giovane fatica snervante, ore e ore, non a fagiolo,
d’esercizio sul violino che diventa per Paganini un affanno,
non un pezzo di legno ma la sua stessa carne, con dolore
alle dita, al cuore, ai nervi. Passano appena altri due anni
e il fiore è già sbocciato, il padre si fa da parte e senza malanni
entrano in funzione dei pedagoghi: Giovanni Servetto (o Cervetto),
Francesco Gnecco, Giacomo Costa e così dopo una trentina, detto 65

fatto, di lezioni il ragazzo si esibisce in chiesa con la maggiore


destrezza e maestria suscitando univerale ammirazione a tutte le ore.
A otto anni e mezzo esegue in pubblico un Concerto di Pleyel,
allievo e poi rivale di Haydn e poi al Teatro di Sant’Agostino.
Quindi si reca a Parma per un corso di perfezionamento per benino
sotto la direzione del professor Alessandro Rolla; in quel concerto
fece udir le proprie variazioni sulla “Carmagnola”, un’arietta, certo
dato, piemontese, adottata nella Rivoluzione francese che nella Genova
di quel tempo si apprestava a guerreggiar contro l’Austria. Dir giova

che le Variazioni furono , pensa caro lettor, altresì eseguite a Firenze


ove il ragazzo accompagnato dal Marchese Dal Negro, ebbe conseguenze
positive atteso che l’esperto Tinti Salvatore, di sasso rimanè
ascoltando il giovane violinista, massima autorità in materia.
Una riprova veniva da Parma ove Niccolo’ si trasferì
per esser ammaestrato dal famoso Alessandro Rolla, verità è!
E poco dopo l’illustre Maestro ebbe a dirgli:”Io, cosa seria,
non ti posso insegnare nulla ragazzo, da me perderesti lì per lì
solo tempo”. Il gran rifiuto di Rolla è l’ulteriore dimostrazione 66

che, dal lato violinistico, Paganini non aveva bisogno, senza eccezione,
di niente e di nessuno; né d'altronde apprese, caro lettor, alcunchè
da Paer, un compositore d’opera che lo affidò al suo maestro
Gaspare Ghiretti, violoncellista, e vicino al quale con estro
il giovane bruciò al volo l’ultimo tratto del suo intenso percorso.
Siamo nel1797 e Paganini ha appena 15 anni e così in un sol corso
le due forse, composizione e musica per violino, convivono,
si chiamano, si rincorrono, s’integrano a vicenda: in lui
compositore ed esecutore fan tutt’uno, facce di uno stesso volto.
La musica gli nasce sulle corde del violino e a scriverla, non a bui
tempi, è l’archetto; con le variazioni siamo nel pieno risvolto
del suo carattere, del suo temperamento, del suo gusto e predilezione.
Il sempre variare si annuncia già come l’arma più confacente a cannone,
la sua eclettica fantasia con il suo piglio, il fulmineo acume,
il senso della sorpresa, il frutto senza requie della sua immaginazione.
Estremismo d’arpeggi, salti spericolati, passaggi radenti sulle, per benone
bolle d’aria degli armonici, combinazioni e alternanze che ritroviamo
nei “Capricci”; la sua mano è vento e l’ispirazione un ver baleno:
s’ode il tipico dialogare tra prima e quarta corda nondimeno
contrapposizioni timbriche, dall’accento ronzante della spinetta
alla nota liquida del flauto, al trillo, senti lettor, del mandolino,
al roteare bonario di un organo paesano. Ecco lì per benino
il Romanticismo, la vena segreta che egli trafigge con stretta
morsa con il suo archetto. E nondimeno all’età di dieci anni
quelli che saranno i “Capricci” possono dirsi cosa sua, già 67

ronzano nella sua fantasia e mulinano attorno al suo archetto.


L’ora solare di Paganini non finisce in tal opera ma, presto detto,
vi esplode con tutte le lingue di fuoco, cortese lettore, ben si sa!

L’INFLUSSO SUI ROMANTICI

Chi legge deve essere a conocenza che il nostro violinista è colui


che influenza sostanzialmente musicisti dell’800 quali Schuman
e Listz in cui fa nascere una “vocazione” per, a tempi davver bui,
il virtuosismo, subito dirottata poi sul pianoforte, ben si sa,
ove lo studio-capriccio violinistico diventa studio di concerto
pianistico in cui tale strumento è l’eccellenza del Romanticismo.
Paganini pertanto fa da battistrada in un certo senso a quello
che saranno le creazioni musicali di Listz, Schubert, Mendellshon,
Chopin. Quella del nostro violinista è un’influenza o una suggestione
che non si esaurisce con l’epopea romantica delle, pur ben belle,
“28 Variazioni” paganiniane violinistiche che segneranno la storia
della musica: scordatura, imitativi, corde doppie e accordi a memoria,
armonici artificiali, tremolo e pizzicato con la sinistra mano,
colpi d’arco moderni, la quarta corda, prima trascurata, brevi mano,
sorta di Cenerentola che lui fa diventare avvolgente e impetuosa,
tesa, comprendi caro lettor?, in ardui e appassionati salti sopra
il pentagramma, con accordature diverse, sotto e sopra,
dal normale che in gergo è chiamata scordatura ben focosa. 68

Per concludere v’è in Paganini una realtà violinistica, che se


non è ineditam è mille volte nuova, originale e irripetibile, verità è,
un’eredità che, a oltre due secoli di distanza dalla nascita
dell’artista ,rimane unica e imparagonabile, ben più d’una rinascita!

GLI ORIENTAMENTI DELLA CRITICA

La “fortuna” di Paganini è stata messa a fuoco


e sintetizzata da Danilo Prefumo: in effetti poco
delle sue opere il violinista pubblicò in quanto ossessionato
dall’idea che qualcuno potesse copiare il suo stile, certo dato,
e la sua tecnica violinistica. Pochi anni dopo la sua morte
il figlio Achille fece stampare un altro piccolo gruppo
di composizioni, tutte di carattere virtuosistiche, non a uffo;
dopodichè il lascito musicale paganiniano rimase in possesso
degli eredi senza che nessuno se ne interessasse: né
il Municipio di Genova né i tre esperti nominati, verità è,
dal Ministero della Pubblica Istruzione ritennero che la richiesta-nesso 69

degli eredi di 100mila lire fosse troppo elevata rispetto


al valore delle composizioni e per contro gli unici, di petto,
tre lavori ritenuti di speciale interesse (Concerti nr. 3, 4 e 5)
vennero vincolati dallo Stato a norma di legge, dammi cinque
caro lettor! Successivamente nel 1911 la raccolta
dei manoscritti dell’artista fu venduta a un collezionista
tedesco, tale Heyer di Colonia, e nel ’23 finì nella mani
di un altro collezionista allemanno, di nome Reuther di Menhaim
che non concesse mai la visione agli studiosi del musicista.
Nel 1972 finalmente i manoscritti ritornarono in Italia, oibò,
e le incisioni e le esecuzioni d’opere si son moltiplicate, lo so!
Lo studio sistematico delle scritture paganiniane vivisezionate
negli aspetti di tecnica della mano sinistra dell’arco consentono
d’individuare le anticipazioni sei-settecentesche (Locatelli in testa)
e lo specifico della scrittura trascendentale (come Listz la definì)
di Paganini rispetto a quello dei suoi contemporanei e, lì per lì,
del dopo Paganini otto-noventesco smontando la tesi tanto ingenua
quanto diffusa che il genovese avrebbe inventato il virtuosismo
come da zero. Fra i saggi più importanti tesi ad inquadrare
Paganini nell’Italia e nell’Europa del suo tempo, senza lirismo,
nella storia del violinismo si segnalano gli scritti di Chiesa,
Prefumo, Berri e Mompellio nonché di Neill. Alla riscoperta, tesa
a nuova indagini, dell’artista ha contribuito l’Istituto
di Studi Paganiniani di Genova con il reperimento e la pubblicazione
di inediti (Concerto in mi minore, le Variazioni sulla Carmagnola) 70

e la cura di edizioni di un “Quaderno” che accoglie, non una sòla,


i più aggiornati suoi contributi biografici e musicologici alla perfezione!

LO SQUILLO DEI CAPRICCI

La musica di Paganini realizza pienamente l’impulso attivistico,


la sbrigliata libertà, lo slancio e l’ardire che dalla romantica
natura sono spinte a tratti essenziali. Esce pertanto, mistico,
per sempre dalla sfera di raccoglimento, dai ricordi della Chiesa
per muoversi all’aperto, nel giro terreno dell’uomo, senza resa,
toccando quella volontà impetuosa che è a fondamento della vita:
fenomeno di forza naturale. In Paganini è l’uomo solo con infinita
sete prorompente e inesausta d’essere, conquista spaziale,
abolizione d’ogni confine nell’espansione della propria volontà,
del proprio dinamismo creativo. Il Romanticismo segna, là per là, 71

il pieno avvento della umana personalità e in Paganini musicale


si può cogliere concretamente la sua statura e un certo individualismo
che sta alla base della coscienza romantica: tra irrequietezze,
disordini, avventure, vagabondaggi e proclami, la sorte senza lirismo
sembrò voler far di lui anche nella vita un personaggio del tempo
e non ebbe pace né da vivo né da morto a furor di brezze,
visse solo e infelice ma sempre da protagonista del suo tempo!
La sua musica nasce da una necessità fisica di mobilità
costituendo il movimento d’una folgorazione istintiva: e vi circola
nel sangue fluttuante del virtuoso, inebriato da pioggia, là per là,
di follia per rituffarsi nelle onde della creatività piena
di brio, di un’ansia divorante che lo spinge a suprema
e divina composizione, epicità in una parola come ebbe a dire
Ugo Foscolo, lo stato d’epos è quello esaltativo dell’umana forza
prorompente, l’impeto d’azione. E tutto ciò è presenza, giocoforza,
nei “Capricci” che Paganini non si curò d’annotare le loro date
di nascita, la loro cronologia. Le composizioni “Capricci” son circondate
dall’elettricismo paganiniano come se toccando una corda si senta
una scossa, un sussulto e qui il naturalismo è quello che, ben si sa,
è incontrollabile, come inconscio, arte proiettata, e che ben venga,
oltre ogni senso come nuova forza che scuote come vento là per là!
Poco più che ragazzo egli gioca con il suo violino ed esprime
ciò che sente di più intimo e imperativo: far presto, un incalzante
sormontarsi, un transvolare da una balza all’altra, più alta inneggiante!
“Paganini non ripete”, non già un altezzoso atteggiamento nei confronti 72

di un pubblico delirante ma d’umana consapevolezza della propria abilità


creativa originante musica irripetibile, divina come del resto ben si sa!

PERSONAGGIO D’OPERA

Dopo quella dei “Capricci” l’altra faccia di questo straordinario


volto di creatore-musicista è dai Concerti ben rappresentata.
Con questi Paganini entra nello spirito e nel clima, straordinario
fatto, del suo tempo e l’800 romantico, cosa accertata,
trova in essi altrettante vivide e rappresentative espressioni.
Un mondo che in un certo senso è ancora parte, con colorazioni,
del precedente conservando tra i suoi tratti anche un che
d’eleganza e galanteria settecentesca. E’ un amabile, è
verità, passaggio dalla corte al salotto e, vedi lettor, l’artista
mostra di starvi da signore. Insieme a questa, in bellavista, 73

brillante memoria aristocratica nell’800 sta però


il fatto nuovo, incisivo ed avvincente del pieno, ben lo so,
dispiegarsi dell’animo umano. E il suo canto
diventa confessione in dei suoi sentimentali
abbandoni: si direbbe che tra le corde del suo violino, tra le ali
una quinta corda s’insinui invisibile, un incanto,
ma ben udibile sino in fondo, ossia quella del dolore!
Ora alla forza s’è aggiunta quest’altra essenziale
componente nel continuo susseguirsi ad incastro a tutte le ore
e a distanza ravvicinata, quasi l’una sulle spalle, celestiale,
dell’altra. Nella loro incostante altalena rivolge
la vicenda concertistica di Paganini, genio che avvolge
in estro guizzante e struggente sofferenza e intanto
il violinista prende possesso del suo tempo e di se stesso.
Con lui, italiano sino al midollo, questa presa, non da fesso,
di coscienza storica e personale non poteva avvenire che
attraverso una strada, quella del suo violino, una sorta, verità è,
di nuovo personaggio da palcoscenico intonato allo spirito del gusto
degli altri: si corse da lui come da Rossini, Donizetti,
Bellini, al suo estro, al suo virtuosismo a chili e a etti!
Senza tener conto poi dei suoi Rondò sprizzanti e crepitanti:
in essi il buio, l’estro trascendentale di Paganini toccano il culmine.
Sull’appoggio, a volte appena di un germe melodico come fulmine,
di una goccia tematica, eccolo lanciarsi in un segnale con tanti
lampi e tuoni violinistici, di suoni avventurosi, imprevedibili 74

e lumeggianti. L’abbellimento non è un di più ma una ulteriore


scossa istintiva impressa da una vitalità fantastica a tutte le ore,
con un senso di sorpresa che tiene l’ascoltatore sempre all’erta:
segreto dell’arte teatrale son le corde su cui le sue dita
si muovono incessantemente e che dire poi dei suoi, cosa certa,
attacchi con temi che sembrano scagliati da una fionda con le dita!
PARTE QUINTA
75

PAGANINI: CHI ERA COSTUI?


PAGANINI: CHI ERA COSTUI?

Scrivere di Paganini richiede una cautela tutta speciale,


tali e tante son le difficoltà che ancor oggi occludono l’accesso
ad una comprensione autentica della vicenda umana, musicale,
artistica di un uomo che, nella duplice veste, non da fesso, 76

di solista e di compositore, ha svolto un ruolo decisivo


nella storia dell’800 musicale europeo. La biografia paganiniana
presenta tuttora gravi lacune riguardanti soprattutto ( in incisivo
modo) gli anni giovanili del compositore ove, cosa non strana,
molti biografi hanno spacciato verità su semplici supposizioni
o addirittura inventando episodi e aneddoti. Ma con suggestioni
mentre gli anni dei trionfi, della maturità sono abbastanza delineati,
diverso è invece il discorso relativo all’opera musicale:
dei programmi dei concerti sappiam che Niccolo’ eseguì, certi sono i dati,
numerose volte delle composizioni (ad esempio il “Fandango Spagnuolo”)
mentre di altre due opere possiam sol supporre o ipotizzare a scendi e sale
l’esistenza. Negli ultimi tempi nuove composizioni, proprio a fagiolo,
sono venute ad arricchire il catalogo del grande violinista
non particolarmente prolifico e dal 1971 il Corpus, in singolar bellavista,
dei manoscritti autografi fece ritorno in Italia con destinazione
la Biblioteca Casanatense di Roma ove fu finalmente, alla perfezione,
messo a disposizione degli studiosi ogni indagine a differenza
di prima, quando era in possesso del dottor Reuther di Menheim,
proprietario ermetico e già prima alcuni documenti (una scemenza?)
erano stati regalati dagli eredi a degli ammiratori. Far musicologia
paganiniana è stato dunque per lungo tempo un impegno
oggettivamente molto difficoltoso e altrettanto, come legno
duro, uscire dalle gabbie mentali dagli stereotipi, con fantasia,
relativi alla figura del nostro genovese. Ad esempio, storica
la prova che privò della necessaria rete di correlazioni 77

con il mondo musicale circostante, Paganini che, con colorazioni,


era un fenomeno incomprensibile e imbarazzante, come mettere
a raffronto tra un suo quartetto e quello di Ludwig Beethoven.
Finchè i parametri in base ai quali Paganini e l’800 strumentale
italiano venivan giudicati furono il classicismo, di tipo celestiale,
viennese e il romanticismo tedesco, la condanna fu totalmente
inappellabile: solo alcune opere si salvarono tra cui certamente
i “24 Capricci”, una grandezza artistica cui erano concordi
Schuman e Listz ma per il resto, come d'altronde ebbero a dichiarare
i musicologhi Torchi, Pinelli e Polo (l’auto non c’entra), con accordi
che, ad eccezione dei citati “Capricci”, non avevano, a ben guardare,
alcun valore musicale ma un’importanza immensa per l’arte del violino.
Ovviamente i “Quartetti” del genovese avevano affinità per benino
alle opere di Rodolphe Kreutzer, di Pierre Rode, di Giovanni
Battista Viotti in quanto Paganini li aveva eseguiti senza affanni
sia nella Genova repubblicana sia alla corte napoleonica di Elisa
Baciocchi a Lucca: dunque era lì che si doveva in guisa
cercare se si voleva capire la genesi del suo stile e linguaggio:
ovver musica divina e diabolica, di paradisiaco e infernal lignaggio!
NICCOLO’: UN VIRTUOSO?

Ora è il tempo di chiederci che cosa costituisca, ben lo so,


la personalità di Paganini: ossia se la sua musica, oibò,
sia un autentico fatto d’arte o non piuttosto di maestria
tecnica. La tendenza è per il secondo assunto, gioia mia, 78

con l’arroccamento verso il virtuosismo sicchè il musicista


appare d’acchitto un funambolo del violino. A prima vista
c’è da dire che solo di recente la parola “virtuoso” ha assunto
per un artista un significato se non proprio dispregiatico, di punto
certo limitativo. In origine stava ad indicare l’esecutore
di talento: virtuosi furon di certo Corelli, Vivaldi a tutte le ore,
Boccherini; in secondo luogo una musica merita d’essere
chiamata virtuosistica nel senso deteriore e molta parte
della lirica italiana nacque con questo fine: può essere
che il nostro melodramma sia un’espressione di puro, scherzi a parte,
esibizionismo vocale? Quanti tesori in questa musica mesta
e difficile di umanità, passione e bellezza! Quando Violetta resta
sola in scena a chiedere al suo cuore la ragione del primo
turbamento e poi erompe in quel canto così angosciato fino
alla disperazione, ebbro di libertà; quando Norma ritrova
la sua umanità di donna dopo la notturna sacerdotale invocazione;
quando Lucia impazzisce, ebbene i canti si risolvono in gorgheggi.
E Paganini era ben attento a quel che desiderava la gente
e che ne ricercava il favore è cosa nota e risaputa senza vagheggi.
Ma da qui a dir che la sua musica era un pretesto all’esibizione
è pura eresia. “Composi musica difficile…”; ciò e per benone
spiega l’assolutismo, con Paganini a tu per tu con il proprio violino:

79

ne è prova l’Adagio del Quinto Concerto, muovendo da vicino


da un ricciuto germe melodico egli spazia con l’aria infinita,
senza mai ripetersi ma reiterando idee sempre nuove con mutamenti
dal sentimentale al patetico, al meditativo, all’innocente, al doloroso
senza il minimo senso di frattura. Tutta una disparità, come venti
di tempesta, di stati d’animo tenuti miracolosamente legati con l’amoroso
filo dell’ispirazione. Quanto poi ad intensità che dire mai
dell’Adagio del “Quarto Concerto”? Canto divino, vedi lettor, caso mai,
sospiro d’anima che si gonfia in anelito, con l’accento d’implorazione,
di una richiesta angosciosa che si sa inesauribile: culmine di lirismo
musicale, vera poesia e perciò parlar, caro lettor, di violinismo
è come passare una mano ruvida su una ferita ben aperta.
La sua musica è stata da tanti definita “da paradiso”, da bocca aperta.
Virtuosismo è uno stato illusorio, un’ombra senza corpo, tra artista
e il virtuoso corre la stessa distanza che tra un costruttore in bellavista
e uno scenografo teatrale: l’opera del primo è una realtà,
del secondo è un inganno. Quei suoi trilli, arpeggi, ben si sa,
pizzicati, balzati, staccati, tutta la sua intricata geografia
son tutt’altro che esercizio, ricerca fredda, elaborazione
scientifica ma il segno di impulsi vitali, di una ragione d’arte
come nel “Moto perpetuo”. La grandezza, e lo diciamo alla perfezione, 80

di Paganini sta nel “come” suonava, “ciò” che egli suonava l’arte!
Niccolo’ è presenza viva che va al di là dei suoi prodigi tecnici
e c’è la sua musica ad affermare questa presenza ed essa ce lo svela oibò
e evoca fisicamente la sua figura infiammata e dolente, ben lo so,
quel fenomeno spirituale inimitabile che va sotto il suo nome,
miracoloso creatore di musica divina, non mi chieder il come
e il perché caro lettor. E come non sottolineare il fatto
capitato in Germania alla domanda di una signora impressionata
dal suo aspetto devastato, lui ebbe a dire, detto fatto:
“Tutta la mia forza se l’è presa questo strumento!”
E come non ricordar le sue parole: “Bisogna sentire
fortemente per far sentire”: è l’indicazione, a ben udire,
del suo segreto in quanto creazione e esecuzione non sono
due valori distinti ma due facce della stessa artistica realtà.
Nella gabbia o bara del virtuosismo Paganini va stretto là per là:
eccolo tendere le ossa e la sua prigione scricchiolare, le assi
vanno in frantumi, il fantasma non c’è più, con al suo posto
un uomo che a toccarlo produce scossa elettrica, come sassi
lanciati, e sentendo la sua musica ecco il paradiso e tutto è composto!
INCONTRI

Nei “I miei ricordi” lo scrittor pittore Massimo D’Azeglio


descrive una pagina avvincente e divertente relativa alla vicenda
di un Carnevale a Roma (1821), caro lettor, poi meglio
descritta, e animata da personaggi (come una leggenda) 81

di tutto rilievo. “Ero con Paganini e Rossini in compagnia


e con altri coetani un po’ matti e così con un tocco di magia
decidemmo di combinare una mascherata per cantare,
come è in uso ai ciechi per l’elemosina domandare.
Si misero insieme quattro versacci che il pesarese
tradusse in musica e indossati abiti, con modo cortese,
femminili…”. L’amicizia con Paganini e con Rossini
risaliva al 1818 a Bologna avendo, a fiorellini,
un’affinità instintiva caratteriale, umoristica e mordace,
pronta allo scherzo e alla stoccata; poi ben sagace
un incontro a Napoli in occasione del successo del “Mosè”
e l’amicizia divenne indissolubile, verità è!
Morto il direttore d’orchestra all’improvviso il giorno
della prova generale, un uomo lungo, pieno di contorno
sottile da far paura come una scala a pioli, Niccolo’
Paganini insomma, riuscì con una sola prova proprio, lo so,
ad ottenere uno straordinario affiatamento orchestrale
riscuotendo un gran successo di pubblico e di critica personale. 82

Tralasciam di dire dei suoi primi anni giovanili , già


delineati nella presente raccolta, relativi all’approccio, lì per lì,
con lo strumento del violino e ai primi studi, ben si sa,
portandoci con la mente a Parma ove si fece ascoltare
dal valente Alessandro Rolla, colui che, a ben guardare,
doveva esser, seppur per breve tempo, il suo unico e vero
maestro. L’incontro fu del tutto originale invero:
il grande violinista era ammalato e a letto quando udì
proveniente dalla staza attigua alla sua, un suono di un violino,
quello del giovin virgulto genovese che pizzicava per benino
le corde dello strumento: al chè dichiarò che nulla aveva da insegnare
consigliando il ragazzo di prender da Paer delle lezioni di composizione.
Questi allora celermente l’indirizzò a un insegnante per benone
già suo maestro, il napoletano Ghiretti, violincellista
di corte e contrappuntista, non senza dargli in bellavista
delle amichevoli istruzioni per la concertistica attività
che divenne intensa e regolare. Sempre, caro lettor sappi, in compagnia
del padre, Niccolo’ compì una serie di concerti, una vera magia,
in molte e importanti città italiane come Milano, Bologna, Pavia!
PARTE SESTA
83

I PRIMI ANNI
LA GIOVINEZZA

Niccolo’ Paganini nacque a Genova nel quartiere popolare


della Collia, oggi non più esistente, il 27 ottobre 1782,
terzo di cinque (o di sei?) figli di un imballatore del porto, a guardare
bene, Antonio e di Teresa Bocciardo. Suo padre era un musicista 84

dilettante e il piccolo, dotato di precoci musicali attitudini, a prima vista,


iniziò così a studiare mandolino e poi lo strumento del violino,
dapprima sotto la guida del padre e successivamente di Giacomo Costa,
violinista e maestro di cappella nella cattedrale di San Lorenzo,
che gli dette trenta lezioni in sei mesi. C’è da dire per primo
che, come Beethoven, Paganini soleva sostenere, senza sosta,
di esser nato nel 1784 e d’esser stato bambino, e penso
che son nel vero, prodigio; le prime testimonianze attendibili
della sua attività risalgono al 1794: il 26 maggio, fatti credibili,
suonò all’Oratorio San Filippo e un concerto al Teatro, lo so,
Sant’Agostino che gli valse dei denari che permisero a Niccolo’
di recarsi a Parma per il prescelto insegnante che andava per la maggiore
Alessandro Rolla, prima viola nella Reale Orchestra che, a tutte le ore,
ebbe ad affermare, dopo averlo ascoltato, che non aveva alcunchè
da insegnargli, indirizzandolo da Gasparo Ghiretti, napoletano,
contrappuntista e precettore dello stesso maestro Paer, verità è! 85

Secondo fonti rese dal figlio di Paganini, Achille, brevi mano,


il padre prese invece lezioni dal Rolla che, specie con le “Variazioni
sulla Carmagnola”, dette alla sua straripante inventiva con colorazioni,
una veste formale dignitosa e coerente. Caro lettor sappi che sta di fatto
che l’artista nella città emiliana potè completare la sua formazione
musicale su basi valide e razionali acquisendo, detto fatto,
quegli elementi di tecnica compositiva sotto la guida, un figurone,
del Rolla, Ghiretti e Paer e così nel 1796 tornò nella genovese città
rimanendovi sino al 1805 quando fu assunto, non è una novità,
come primo violino della Cappella Nazionale della Repubblica di Lucca.
C’è da sottolineare che l’ambiente genovese era musicalmente
abbastanza evoluto e la musica da camera era, come una grossa mucca
da mungere, coltivata in tutti i salotti patrizi, assai ben disposti
alle esibizioni di “virtuosi” violinisti come, a siti ben posti,
Rodolphe Kreutzer, Pierre Rode e Giovanni Battista Viotti
da cui Paganini tanto apprese. In quel tempo il musicista
fu legato alla famiglia del musicologo genovese Di Negro
e in occasione delle nozze della figlia, Niccolo’, come un negro
carico di lavoro, compose la “Sonata Concertata”. A vista
l’assedio del 1800 con blocco navale conseguente, ebbe
tante ripercussioni negative sulla città, definita dal poeta
Ugo Foscolo “sepoltura di viventi” e cosi’ il musicista
soggiornò a Livorno, a Modena, a Lucca in occasione e in bellavista
di concerti ove Paganini aveva una grande abilità nell’imitare
con il violino il canto degli uccelli, i flauti, le trombe, 86

i corni e tutto ciò creava stupore nel pubblico, come bombe,


per questo sbalorditivo, istrionico e sorprendente modo di suonare
(Flamengo Spagnuolo, Grande Sonata, Sonata Concertata,
Inno patriottico, Divertimenti carnevaleschi): una cannonata!

LUCCA

Paganini fu primo violino di corte della Repubblica lucchese


per circa tre anni, dando anche lezioni all’aristocratico Baciocchi,
poi trasformata nel principato di Lucca e Piombino, ben cortese!
Orchestra che fu anche diretta da Domenico Puccini ad occhi
vispi, nonno del più celebre Giacomo. Sui suoi anni lucchesi
il violinista è stato piuttosto avaro d’informazioni dando modo
ai suoi biografi di raccontare aneddoti veri, vicini al vero
o addirittura privi di verificabilità, anni comunque tesi
alla generosità ammaestrando colleghi come Dellepiane, todo modo,
Giovannetti, Benedettini, Torre e alla composizione, dato vero, 87

come le Sonate per violino e chitarra dedicate a personalità


della corte, devi saper caro lettor, le Sonate violinistiche,
la Sonata Napoleon. A tal riguardo non esiste prova sicura
che Niccolo’ abbia intrecciato una relazione amorosa con la principessa
Elisa (io penso di si anche se il nipote Attila la nega su notizia del padre).
Meglio documentata, occorre affermare e di certo più sicura
è invece una relazione con una giovane popolana, rea confessa,
Eleonora Quilici cui Paganini dedicò due Sonate a mille
note e assegnandole una rendita annua a dimostrazione
di un affetto duraturo. Nel 1808, caro lettor, l’artista per benone
si recò a Torino per dei concerti e nello stesso anno
a Genova per il matrimonio della sorella Domenica, senza affanno,
cui dedicò la Serenata per viola. Nel marzo del 1809,
dopo che Elisa Baciocchi era stata nominata da Napoleone, del 9
non c’è bisogno della prova, granduchessa di Toscana
la corte si trasferì a Firenze con Paganini al seguito, un toccasana,
si ebbe l’episodio spiacevole (raccontato dal Conestabile) che portò
alla rottura definitiva tra il musicista e la principessa Elisa in quanto
nell’occasione di un trasferimento della corte da Lucca a Firenze
Niccolo’ indossò la divisa da capitano della real gendarmeria, oibò!
All’ordine della regal Madama di svestirsi Paganini fece faccia invisa
ossia orecchie da mercante (del resto era stato con benemerenze
nominato effettivamente ufficiale con il grado di capitano). Spiccò
il volo l’artista che ricco d’esperienza tentò l’indipendente carriera.
Il violinista lasciò così il servizio presso la corte toscana 88

iniziando un periodo pieno d’incognite e di sfide affrontate in fiera


maniera che daran poi origine alla creazione del suo mito, un toccasana,
e una premessa necessaria e ineludibile per i futuri trionfi milanesi
del 1813 che avrebbero reso d’improvviso e, con accenni ben cortesi,
popolare il suo nome noto, non soltanto in Italia, ma in tutta Europa,
come far primiera, carte, denari e settebello al gioco della scopa!

PRIMI SUCCESSI IN ITALIA

Quando al principio del 1810, dopo aver lasciato la corte di Firenze,


Paganini dette inizio alla sua tecnica concertazione in confidenze,
possiamo dire che la situazione della musica strumentale
nella Penisola era di gran lunga compromessa: Londra a scendi e sale,
Parigi e le corti tedesche erano le mete preferite dei musicisti
italiani che vi trovavan impieghi più facili e remunerativi
e un’editoria fiorente in pieno sviluppo. Paganini con innovativi
tempi raggiunse la sbalorditiva cifra di 159 concerti, ben vivi
in 12 mesi durante la stagione 1831-1832, nel periodo
di massima fortuna della sua carriera; e nella circostanza eseguì
la Sonata con Variazioni sulla sola quarta corda del violino,
il Nuovo Concerto di Viotti, il Fandango Spagnuolo lì per lì,
il Duetto intrumentale, la Sonata con Variazioni per chitarra,
le Variazioni sulla Carmagnola, e la Polacca per benino.
E si esibì soprattutto a Milano, capitale della musica indiscussa 89

ove poter contare sull’influente appoggio di Alessandro Rolla,


primo violino nell’orchestra della Scala e insegnante del Conservatorio.
Giunto nella città meneghina nel 1813 fu frequentatore, bussa e ribussa,
del teatro d’opera e alla Scala era stata messa in scena, fatto notorio,
“Il noce di Benevento” di Sussmayr, già allievo, non pasta frolla,
di Mozart da cui il genovese trasse il tema per le variazioni
di una nuova composizion virtuosistica “Le Streghe” che, con colorazioni
fosche, debuttò alla Scala nel dicembre di quell’anno mentre poco prima
vi suonò un concerto di Kreutzer e la Sonata Napoleon
con successo strepitoso tanto che la stampa non esitò ad affermare:
“Paganini è il più grande violinista del mondo che, a ben guardare,
adopera certi passaggi, salti, bicordi, tricordi irripetibili. Suona
nelle più difficili posizioni imitando strumenti a fiato”:
insomma un artista in possesso di una tecnica personale che sprona
a un attento e appassionato ascolto, con ardimenti, certo dato,
virtuosistici. Così Paganini si esibì in due successivi concerti
alla Scala e in ben altri otto al Teatro Carcano e con solerti
modi prese il volo il mito paganiniano con un crescendo
d’entusiasmo e d’iperbolismo ai deliri suscitati nella tournèe
degli anni dal 1828 al 1834 fecondando il terreno dell’Europa
romantica. E poi il soggiorno a Pavia, Torino, Milano, verità è,
per ritornare nella sua natia città ove ebbe modo d’esibirsi, scopa
e settebello, al Teatro Sant’Agostino con entusiasmo travolgente.
Ma proprio nel momento in cui il pubblico milanese e genovese
aveva decretato in maniera definitiva il suo status, ben cortese, 90

di violinista impareggiabile e l’avvenire s’annunciava avvincente


e gravido di promesse, Paganini inciampò maldestramente in una vicenda
che finì per portarlo nelle patrie galere: e, vedi lettor, questa è la prima
di una serie d’avventure amorose nessuna delle quali a lieto fine
che si concluderanno con strascichi legali. Così grosso modo la faccenda:
tornato a Genova dai trionfi milanesi del 1814 alla fin fine
l’artista ebbe una relazione con una giovane popolana, Angelina
Cavanna, figlia di un sarto e che a Parma portò con sé
in quanto in stato interessante e che subito dopo con manfrina
abbandonò. Ritornando a Genova fu arrestato, verità è,
sotto l’accusa di ratto di minorenne a seguito di denuncia
del padre della ragazza. Paganini promise un indennizzo,
uscì dal carcere e poi rinnegò tutto gettando discredito a schizzo
sulla donna accusandola di scarsa moralità e il padre di ricatto.
Comunque la sentenza del tribunale dette torto, detto fatto,
al musicista (nel frattempo la creatura nascerà morta) con pagamento
di denaro per il relativo risarcimento. Caro lettor, la vicenda Cavanna
ebbe se non altro il merito indiretto di rafforzare, una vera manna,
i legami tra il violinista e l’avvocato genovese Germi che
da quel momento divenne l’uomo di fiducia di Paganini, nonché
di consigliere e amico: a lui il musicista dedicò le “Variazioni
sul Barucabà”, testimonianza significativa della sua arte, a sensazioni!
E poi da non sottacere che per quel tempo che passò in galera
nacque la leggenda che gli fu permesso di suonare il violino, storia vera?,
e soprattutto di esser ammaestrato addirittura da Satana diavolo 91

a cui faustanianamente vendette l’anima con un patto, e che cavolo!

IL CROLLO DI UN MONDO

Mentre Paganini trionfava a Milano e poi, tornato nella nativa città


si trovava alle prese con l’affaire Cavanna, il mondo, ben si sa,
veniva stravolto con il dissolvimento dell’impero napoleonico
e con la Restaurazione delle vecchie monarchie. Non fu laconico
ma pieno d’entusiamo il primo Concerto in mi be molle maggiore
e dopo le esibizioni genovesi e milanesi nel 1816, a tutte le ore,
l’artista si fece ascoltare a Venezia, Padova e Trieste, Udine
e celebri gli incontri-scontri con i violinisti Lafont francese,
e Spohr tedesco. A Venezia il musicista ebbe, ben cortese,
una relazione con una certa Lauretta oltre ad incappare in debiti
di gioco non onorati. Nel frattempo Paganini a Milano seguì 92

la “Gazza ladra” e a Torino l’ “Aureliano” di Rossini, lì per lì,


città sabauda ove il Maestro si esibì e proprio qui si registrò
il celebre aneddoto “Paganini non ripete”. Seguirono, ben lo so,
esibizioni a Piacenza, Mantova, Parma, Bologna e qui approfondì
l’amicizia con Rossini, con il soprano Colbran, divenuta così
poi consorte del pesarese, e del violinista Radicati. A Bologna
l’artista intrecciò anche una relazione con Marina Banti, una rogna?,
e poi concerti a Firenze, Livorno, Lucca, Pistoia, Siena:
la fama di Paganini era ormai così alta che il successo era di luna piena!

ROMA E NAPOLI

Già da diverso tempo Paganini aveva progettato un viaggio


nel sud d’Italia con prima tappa Roma: dianzi, a largo raggio,
si recò a Bologna per questioni finanziarie e per incontrare
Marina Banti, un incontro che fu l’ennesima replica, a ben guardare,
delle precedenti avventure del musicista. Nell’eterna città
tenne, con un permesso speciale fornito dal cardinal Alseri, lì per lì,
(futuro papa Leone XII), tre concerti con indiscusso successo,
quindi puntò per Napoli ove al Teatro del Fondo, non da fesso,
fece in un concerto a tre tempi e alle sue “Streghe” e calorosa
fu l’accoglienza del pubblico partenopeo. Tornato a Roma s’esibì
con Giuditta Pasta, Ronconi e Bottani; e in quello stesso tempo, a josa,
il genovese suonò all’ambasciata austriaca innanzi al principe 93

Metternich a cui promise d’esibirsi a Vienna, cosa che fece, lì per lì.
Lasciata l’Urbe si recò di nuovo a Napoli e tal soggiorno fu tra
i più felici: qui nacquero le Variazioni per violino della “Cenerentola”
rossiniana, i Quartetti e il Moto perpetuo. E’di questo periodo, si sa,
l’amicizia con il pesarese Rossini rafforzata dalla sua direzione
alla prima della “Matilde di Sharan” del Cigno di Pesaro. L’artista
a Roma suonò prima al teatro Valle e poi all’Argentina nel 1881

e subito dopo ancora nella città del Vesuvio, salvognuno,


per la programmazione di concerti al Fondo. In questo soggiorno
napoletano (il terzo) una nuova avventura galante, da perdigiorno,
anche se a prima vista autentica e duratura (?) che lo portò
alle soglie del matrimonio. Innamoratosi di una diciottenne napoletana,
Carolina Banchiere, tanto che dette incarico all’amico Germi, ben so,
di procurargli i documenti facendosi modificare i dati, cosa non strana,
anagrafici, cosa che già aveva fatto decurtando dapprima di due anni 94

la sua nascita. Ma tale vicenda si rivelò come “l’affaire Cavanna”


senza però risvolti legali. Partì con la patenopea prima donna
alla volta di Parma (come con Angelina) ma, cosa non somma,
si risolse in disillusione, come da lettera scritta a Germi, non una manna!
PARTE SETTIMA
95

GLI ANNI DELLA MATURITA’


LA MALATTIA

La missiva a Germi si concludeva con l’annuncio dell’imminente


partenza per Vienna che non avvenne per le sopravvenute condizioni
salutari del violinista: nel 1823 Paganini non tenne segnatamente
concerti per curarsi dalla sifilide incombente e già, in tali situazioni 96

l’anno precedente villeggiò a Cernobbio, sul lago di Como, a casa


del generale Domenico Pino per recarsi poi a Pavia, tabula rasa,
per farsi curare da luminari con frizioni e sali. Insomma furono
due anni di sofferenza e quasi inattivi sotto l’aspetto musicale,
e in tal periodo fece la conoscenza del violinista, un tipo ancestrale,
Camillo Sivori a cui dette lezioni e dedicandogli alcune composizioni.
La salute intanto migliorò leggermente in quanto medico cambiò
dal professor Borda al medico americano (in effetti austriaco oibò)
Spitzen che gli prescrisse pillole e costate di vitello e del buon vino.
Intanto visti i sensibili miglioramenti della salute, il nostro artista
cominciò a preparare la sua rientrèe concertistica, a prima vista,
che ebbe luogo con l’accademia tenuta alla Scala di Milano
il 23 aprile 1824, con successo che ebbe ripercussioni, non strano,
sul morale e sul fisico del musicista e , vedi lettor, successivamente
esibendosi al glorioso Teatro Sant’Agostino della sua natale città
ove confermò affinando il suo estro virtuosistico, ben si sa,
il gusto per le imitazioni. Poi di nuovo alla Scala urgentemente
per la sua “Sonata Militare” e i successi milanesi e genovesi
fissarono il punto di partenza per una nuova serie di concerti
nell’Italia settentrionale: Venezia, Padova, Brescia, ben cortesi,
Bergamo e con lui c’era una giovane cantante, dati certi,
la comasca Antonia Bianchi, con cui aveva iniziato una relazione:
con la donna convisse more uxorio per circa cinque anni per benone
sino al 1828 e da lei ebbe, nel 1835, il suo unico figliolo,
l’amatissimo Achille. La Bianchi, non amata a fagiolo 97

dal violinista, fu comunque l’unica con cui Paganini riuscì


ad avere un rapporto più duraturo, anche se la conclusione, lì per lì,
non fu dissimile, in buona sostanza, caro lettor sappi, da tutte le altre.
In altre parole Paganini inanellava consensi per la sua arte musicale
con stati d’animo d’ansia per motici c.d. privati, a scendi e sale:
aveva letto, ad esempio, con stupore la “Vie de Rossini”
di Stendhal in cui lo si accusava di aver imparato l’arte dei violini
in galera addirittura dal diavolo, ed egli temeva che la cosa potesse ledere
il suo buon nome: la decorazione di cavaliere dell’Ordine
dello Speron d’oro, ad ogni buon conto, a ben vedere,
gli fu conferita dal pontefice Leone XII, due anni dopo in bell’ordine!
Poi altre preoccupazioni gli derivarono dai parenti:
il marito della sorella Domenica, Giovanni Passadore, senti
caro lettor?, era stato arrestato, non si sa per cosa, e una volta liberato
era emigrato in America lasciando la famiglia nell’indigenza:
e a tal’uopo provvide il musicista per la sorella, nipoti
e per la madre Teresa. Seguirono viaggi a Roma, Napoli e, certo dato,
a Palermo ma la tosse lo tormentava con disperazione e sofferenza
che non gli impedirono tuttavia l’esecuzione del Secondo Concerto
in si minore dato al Teatro San Carlo di Napoli; ritornò a Roma,
quindi a Firenze ove al Teatro Pergola insieme, come asino da soma
carico d’impegni, a Giuditta Grisi e a Antonio Bianchi, si esibì
nel ” Gran Concerto” e “Sonata a Preghiera” sull’aria del Mosè
rossiniano. Quindi a Livorno, Bologna, Milano e dopo, lì per lì,
nella Superba per concerti al Sant’Agostino alla presenza della regina 98

Maria Teresa. Di là a Milano ove furoreggiava l’edizione


dei “Promessi Sposi” del Manzoni e alla Scala i “Puritani” per benone
di Bellini dove si esibì in concerti, cosippure a Torino, non alla sordina.
E finalmente il 6 marzo del 1828 Paganini partì per Vienna
insieme ad Antonia Bianchi e al figlio Achillino utilizzando, una strenna,
una carrozza riscaldata per affrontar meglio i disagi del viaggio,
provvisto di varie commendatizie per aprirgli tante strade a largo raggio!
Ovviamente Niccolo’ curava più dei familiari il suo amato violino,
compagno inseparabile di una vita, un tutt’uno con lui, visto da vicino;
al riguardo occorre ora dire che il suo archetto era costituito
con intrecciati filamenti di coda di cavallo maschio, resistenti
e non friabili come quelli di femminil equino, inzuppati dall’urina:
questa la ragione, lettori cari, e la semplice verità, non è manfrina!
VIENNA, PRAGA E BERLINO

Paganini arrivò a Vienna il 16 marzo 1828 dopo un viaggio


di dieci giorni e il primo concerto viennese ebbe luogo, a largo raggio,
il 29 nella Redoutensaal a prezzo più alto rispetto alla norma
sia per guadagnar di più sia per conferire eccezionalità 99

alle sue esibizioni. Il violinista vi eseguì, con classe e piena forma,


il Secondo Concerto e la Sonata Militare e infine il Rondò
della Campanella (l’amica Gianna di Albenga non c’entra) e ben so
che il successo fu senza precedenti nella città di Haydn, Mozart, Schubert,
Beethoven anche se ombrato dalle dicerie sul suo soggiorno
carcerario. E analogo compenso ebbero i due concerti
successivi a cui assistette Schubert che ebbe a dire, a dati certi,
che aveva sentito cantare un angelo. Con il contorno
e la presenza dell’Imperatore vi furon altre rappresentazioni
e Paganini venne nominato dal sovrano “virtuoso da camera”:
(anche qui il titolare del Conservatorio comasco non centra)
la moda del violinista dilagava in tutta Vienna ed era
mirabile la sua “Maestosa Sonata Sentimentale”. Con colorazioni
i trionfi viennesi, con l’eco giornalistica che ne seguì,
prepararono il terreno più favorevole al proseguio della tournèe
europea dell’artista genovese: la sua vita, come noto, verità è,
non fu costellata solo da rose ma anche da spine, ebbene si!
A Vienna si concluse anche in maniera definitiva il legame
con Antonia Bianchi con sentenza del tribunale con trame
particolari e con l’affido al padre del piccolo Achille e con l’elargizione
di duemila scudi milanesi alla donna. La Bianchi fece ritorno a Milano
ove nel 1837 si sposò con un commerciante, tale Brunati,
ed ebbe due figli sopravvivendo 34 anni al musicista, e a noti dati,
si spense nel 1874. Dopo Vienna e Karlsbad per le cure
termali l’artista si esibì a Praga: fu però un fiasco a tinte scure 100

perché si volle riproporre la fallimentare “Tempesta”. Il musicista


si trasferì poi in Germania, precisamente a Dresda, a Lipsia in bellavista,
e finalmente a Berlino e in segno d’ammirazione il Re di Prussia
Federico Guglielmo III lo nominò “primo maestro di concerto onorario”
e per riconoscenza Paganini compose in suo omaggio le Variazioni
“Dio salvi il Re” per violino, basate su un inno prussiano a tinta fuxia.
Particolarmente graditi al genovese furon i riconoscimenti che a gradoni
gli tributarono i musicisti locali come Meyeer e Mendelsshon per benone
che lo accolsero alla grande con tanta simpatia ed ammirazione!
VARSAVIA E LA GERMANIA

Nei progetti di Paganini la tappa successiva a Berlino doveva essere


Londra ma il successo dei concerti lo trattenne nella capitale prussiana;
lasciata tale città il violinista si esibì a Francoforte per essere,
dopo Posen, a Varsavia e nella città polacca tenne, un vero toccasana, 101

ben dieci concerti accolto con enorme entusiasmo e dopo aver assistito
a una sua esibizione lo Zar di Russia gli donò un anello di brillanti
per la Sonata Varsavia che variò rispetto a quel che scrisse con squillanti
suoni l’autore Elsuer, maestro di un promettente pianista, Chopin,
e il celebre pianista francopolacco udendo il violinista scrisse, sciuè sciuè,
“Souvenir de Paganini” sul tema del Carnevale di Varsavia del genovese.
Lasciata Varsavia l’artista fece una tournèe in Germania, ben cortese,
incurante del freddo e disagi che comportavano i continui trasferimenti.
Il 1829 costituì uno dei picchi più alti del giro europeo, momenti
con consenso pieno e unanime: musicisti come Schuman
e Zelter, poeti e letterati famosi come Steine e il grande Goethe
lo ascoltarono stupefatti e lo scrittore tedesco descrisse il godimento
nell’ascoltare la sua musica tra sensibilità e ragione in un momento!
Lasciata Antonia Bianchi, Paganini aveva ricominciato a coltivare
progetti matrimoniali: al riguardo è significativa la missiva
che ebbe con l’allemanna Helene Fenerbach. Dalla disperazione
non ti far cogliere caro lettor quando, come in mare arriva
l’onda impetuosa, molte lettere successive il nome di Helene più
non appare. Causa malanni e lo scoppio della rivoluzione
di luglio (che portò alla deposizione di re Carlo X) vieppiù
ritardarono il viaggio in Francia del genovese: soggiornò
allora a Baden-Baden alle terme mentre fu colpito, ben lo so,
dalla morte del fratello Carlo e un anno dopo della madre.
Rimessosi in forze nel 1831 Paganini riprese la strada per
Parigi per affrontare una delle sfide più difficili di tutta 102

la sua carriera con favolosi concerti condotti a dritta tutta!

PRIMO SOGGIORNO A PARIGI E A LONDRA

Nel 1831 Parigi poteva esser considerata a buon diritto


la capitale d’Europa; la rivoluzione di luglio dell’anno precedente
aveva portato al potere Luigi Filippo d’Orleans che di dritto
e di rovescio, la liberò dai vincoli dell’ancien regime, sacripante!
La capitale francese era da tempo un centro musicale, sede di una fiorente
industria editoriale, di una vivace attività concertistica, di teatri
d’opera in cui proliferavano i migliori musicisti del mondo:
la colonia degli italiani annoverava Rossini a tutto tondo,
Cherubini, Puer, Carafa, Pacini, Corelli, Blangini e nella città
francese erano presenti i più celebri violinisti della scuola di Viotti, si sa.
A Parigi Paganini poteva contare sull’appoggio influente di Rossini,
che un anno e mezzo prima, aveva trionfato all’Operà con il capolavoro
“Guglielmo Tell” e sul suo vecchio insegnante Puer, nemico di Gioachino
e grazie al musicusta pesarese il violinista riuscì a stipulare un contratto
vantaggioso con il direttore dell’Accademia Reale di Musica, detto fatto,
con un gran guadagno e con risonanza sulla stampa, tale di programmare
una serie di concerti da tenere a Londra. Lasciata Parigi l’artista
tenne concerti a Boulogne sur Mer, Dankerque, Lillà e, a ben guardare,
a Calais ove s’imbarcò per l’Inghilterra. Alloggiò al centro,
vicino Piaccadilly, e raddoppiò, sappi lettor, il prezzo del concerto 103

scatenando le reazioni di una stampa velenosa e così il concerto


fu rimandato, Paganni con gran fiuto da volpe fece marcia indietro
e così conquistò il pubblico inglese con uno spettacolo dei più straordinari
della sua carriera a mò di cappella come la cupola di San Pietro!
Esibizioni in concerto in vari teatri, ricorda lettor, in palazzi nobiliari,
in ville private, a corte: un’attività musicale portentosa che gli procurò
fatiche, soddisfazioni e tante sterline. Successivamente, via Liverpol,
raggiunse l’Irlanda e a Dublino tenne sette concerti, vari
concerti poi in Scozia a Glasgow, Edimburgo, Abeerden.
Ma la fibbra del genovese non era di ferro, e così,
tornato in Inghilterra, a Manchester lo raggiunse la notizia
della morte della madre Teresa. Nel 1832, una primizia,
l’artista fece ritorno a Parigi ove, sappi caro lettor, potè riabbracciare
il figlio Achille: era molto stanco perchè, devi saper lettor, che in un anno
tenne 151 concerti e percorso in carrozza 10mila chilometri con affano!
PARTE OTTAVA
104

GLI ULTIMI ANNI


SECONDO E TERZO SOGGIORNO A PARIGI E A LONDRA

Nel 1832 era presente a Parigi una concentrazione di musicisti


tra cui Mendelsshon, Listz, Chopin e i virtuosi del pianoforte
come Malkbrenner e Hiller: nessuno era francese ma visti 105

i nomi si poteva ben dire che la città era ben forte


in tema musicale; in effetti era la capitale della musica e fu
proprio durante i concerti di quell’anno che Listz potè
ascoltare Paganini affermando di lui: “Che uomo, verità è,
che artista!”. Il genovese tenne il suo primo concerto e fu
successo strabiliante mentre infuriava un’epidemia di colera
tanto che l’artista tenne un’esibizione sublime all’Operà
oltre che a Versailles. Paganini si trattenne in Francia, si sa,
bloccato da febbre reumatica e da disturbi alla prostata, così era;
seguì un breve soggiorno in Inghilterra ove il nome del musicista
era di richiamo e il successo non mancava ma non in bellavista
per una questione legale a favore del Nostro per diritti d’autore
violati dal pianista Moscless. Paganini quindi a Parigi fece ritorno,
accompagnato da Miss Harriett Wells e Charlotte Whatson, a tutte l’ore,
due cantanti inglesi con cui s’era esibito in precedenza da contorno.
Intanto i dolori causati anche dal clima rigido e freddo sentire
si facevan e un periodo di riposo era indispensabile per il violinista;
egli pertanto pregò il Germi di curare l’acquisto a prima vista
di una villa per trascorrere periodi di riposo e l’amico, a ben udire,
curò allora l’acquisto di villa Gajone a Vigotto, vicino Parma,
che si rivelò infelice in quanto fredda d’inverno e, anche se calma,
torrida d’estate e per di più lontana da Genova, dagli amici
e dagli affetti stabili e sicuri. In effetti dopo un concerto parigino, ad alici
e burro, egli ritornò a Londra dove nuove polemiche in agguato
106

erano all’orizzonte: il Times gli rinfacciò di non aver suonato


a beneficio di Harriet e un certo Mosanti l’accusò
d’aver delapidato al gioco altrui denaro e intanto, ben lo so,
era gravemente ammalato tanto che scrisse con disperazione
sia al Germi che al Pacini denunciando i medici che, maledizione
gli avevan dato soli dieci giorni di vita. Ma la sua tempra
era, nonostante tutto, ben forte, e l’artista ebbe a ristabilirsi,
per fortuna sua, con novella vita come a mò d’acqua santa a benedirsi!
GLI ULTIMI FUOCHI: BELGIO ED INGHILTERRA

Paganini impiegò poco tempo a dimenticarsi l’intenzione


di abbandonare per sempre l’esercizio del violino e appena
ristabilitosi a pieno ritmo riprese, sappi lettor, alla perfezione
l’attività concertistica e in una lettera senza pena 107

ma con entusiasmo, il musicista all’amico Germi confidò


i suoi prossimi impegni in Francia e in Belgio, lo so,
prima di recarsi in Inghilterra. In terra belga l’artista,
nonostante ferito a un dito, si esibì riscuotendo in bellavista
un successo a ritmi impressionanti. Impresario al violinista
nel giro belga e inglese fu John Whatson, pianista
compositore e padre di Charlotte cantante che già
con l’Harriett Wells accompagnò, come detto, Paganini nella tournèe
di due anni prima. I tre concerti tenuti, ben si sa,
a Bruxelles ebbero discreto consenso e, verità è,
nell’occasione Niccolo’ fece la conoscenza del chitarrista
italiano Marco Amelio Zaddi de’ Ferranti che l’elogiò a prima vista.
A fine marzo Paganini s’imbarcò per l’Inghilterra dove
giunse per la quarta e ultima volta. A Londra ove
tenne sei concerti e in una altra località esibendosi,
tra l’altro, nella “Sonata per la Gran Viola” scritta
per l’occasione. La tournèe inglese ebbe una nebbia fitta,
ovvero con scarso pubblico e guadagni ben modesti,
situazione aggravata dall’arresto dell’impresario Watson a molesti
cenni e così fu costretto a recarsi in Francia, però
purtroppo per lui, nuove difficoltà erano all’orizzonte
sempre a causa di una donna, Charlotte Whatson, lo so,
che s’era unita senza il permesso del padre a Niccolo’!
Il violinista fu accusato di sottrazione di minore
e di sfruttamento economico ai danni di Whatson padre e della figliola. 108

Come già accaduto altre volte anche questo scandalo, a tutte le ore,
puramente giornalistico si concluse, come si dice a Roma, in una sòla,
con l’esaurirsi dell’interesse del pubblico. A questo punto
Paganini si rendeva conto di aver idealmente, a tutto punto,
concluso la sua tournèe europea e il desiderio di tornare a casa
per cui pregò Germi di comperare il “Saliceti”, tabula rasa.
Nel frattempo a Parigi il musicista trovò ad attenderlo nuove
polemiche in quanto declinò concerti di beneficienza, non a uove
marce, ossia non per ingenerosità ma solo per motivi di salute.
Ma le accuse del critico musicale Jules Janin furon crude,
livide ed offensive ma poi tutto si sgonfiò anche perché
l’artista era ormai stanchissimo, afflitto nel corpo, verità è,
e nello spirito, e il ritorno in Italia fu una liberazione, certo è!
IL DECLINO E LA MORTE

Paganini tornò in Italia nel settembre del 1834 e si recò


immediatamente a Parma a prender possesso di Villa Gajone
che Germi gli aveva acquistato due anni prima, bel lo so!
Per prima cosa, come atto d’omaggio, e per benone, 109

avrebbe voluto suonare dinnanzi all’arciduchessa


Maria Luigia ma la salute malandata lo costrinse
a rimandare il concerto di una settimana. Non fu per scommessa
ma per bisogno proprio che lasciò la città parmense; si cinse
d’entusiasmo per esser a Genova ove potè abbracciare
l’amico Germi e ove tenne al Teatro Carlo Felice,
stipato in ogni ordine di posti, come scatoletta d’alice,
un concerto alla presenza del re Carlo Alberto (“Tentenna”) e famiglia.

Esauriti gli impegni nella città natale, a Parma tornò mogio


l’artista dopo aver suonato al teatro piacentino per pariglia,
e nell’occasione di un’esibizione la nobile Luigia Maria
gli donò un anello di diamanti nominandolo, in una botta e via,
“Cavaliere dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio”.
Dopo concerti natalizi nella città ligure non tornò, pur se frastornato,
a Villa Gajone ma rimase nella Superba per il clima temperato,
vicino agli amici e soprattutto a Germi, destinatario 110

delle “Variazioni sul Barucabà” e di una somma, altro che lunario,


di 50 mila lire piemontesi, riconoscente per quanto fatto
per lui. E in quel periodo compose l’Allegro vivace, detto fatto,
e , sappi caro lettor, il Movimento perpetuo per chitarra e violino.
Paganini poi si riposò dedicandosi alla cura “Le Roy”,
il purgativo che in effetti l’indebolì rendendo le sue condizioni
più precarie del solito. Intanto la Superba con emozioni
l’omaggio’ organizzando con la Scuola di Canto una cantata
con una medaglia d’oro coniata per l’occasione, una cannonata!
Sul finire poi dell’estate a Genova scoppiò di colera un’epidemia
e in tale circostanza Paganini visitò un ospedale, mamma mia,
in compagnia del figlio per mostrargli l’agonia dei malati:
una testimonianza che getta luce inquietante sul carattere dell’artista.
Atteso che sia in Italia che in Europa circolavano, certi i dati,
musiche che gli venivano falsamente attribuite, non in bellavista,
gli venne in mente di dare alle stampe la sua arte musicale.
L’arciduchessa Maria Luigia lo invitò a far parte, a scendi e sale,
di una commisione artistica del Teatro Ducale e nell’occasione
diresse un concerto alla corte parmense in cui alla perfezione
propose, con gran successo, tra l’altro l’Ouverture del “Guglielmo Tell”
rossiniano e del “Fidelio” beethoviano; gli fu così conferita
la carica di sovrintendente musicale da cui derivò l’incarico, very well,
del violinista alla ristrutturazione dell’orchestra, come la storia cita,
con impronta di modernità: esaminò escludendo vari professori di violino
e il suo agire nei confronti di tali soggetti “privi d’orecchio” da vicino 111

privilegiando solo i meriti, provocò, puoi immaginare lettor, opposizioni


e antipatie. La situazione precipitò allorquando, con colorazioni,
fu negata al Bignami, chiamato dal musicista, d’esser primo violinista
con conseguenze legali atteso che quest’ultimo senza lavoro si trovò.

Ma un’altra grana all’orizzonte si avvicinava, e ben lo so,


a Paganini ossia quella della legittimazione del figliolo:
e proprio con Achille si recò a Torino ove al Teatro Carignano
potè ascoltare con “sommo piacere” uno dei più, non caso strano,
celebri chitarristi in attività, Rinaldo Segnani, e progettò
di suonare con lui anche se le sue condizioni, non a fagiolo,
di salute non glielo permisero, come in porto non andò
la programmata accademia torinese. Dopo il ritorno a Genova
Paganini si trasferì a Nizza ove lo attendevano tre concerti
e poi a Marsiglia per altrettante accademie ma, certi i dati,
la salute peggiorava e fu costretto ad annullare
gli impegni artistici; da Torino comunque gli arrivò 112

la notizia dell’accolta legittimazione del figlio Achille.


Tornato nella sua città dettò il suo ultimo, a ben guardare,
testamento nominandolo erede universale in modi mille,
beneficiando anche le sorelle; si trasferì poi a Torino
per i concerti del 9 e 16 giugno a favore dei poveri per benino
e quella del 16 fu la sua ultima esibizione pubblica e di lì
a poco la malattia avrebbe reso impossibile, proprio così,
ogni sua attività solistica. Intanto prendendo corpo stava
un nuovo progetto, il più assurdo e pericoloso
tra quelli coltivati dal violinista, assai pernicioso,
destinato a trasformarsi in una disastrosa, da bava,
e fallimentare speculazione economica, quella del “Casino
Paganini”: trattavasi di una sala di trattenimenti musicali 113

sita in Rue de la Chaussess d’Autin, non vicino


ma proprio a Parigi, in cui Niccolo’, a scendi e sali,
si sarebbe dovuto esibire periodicamente ed esser azionista
con l’amico genovese Rebizzo, sostenitore dell’iniziativa a prima vista.
Incomprensibile, attese le precarie condizioni di salute,
come egli abbia potuto aderire al progetto, ancorchè
sempre ottimista sulle capacità di recupero. A scene non mute
il 17 ottobre fu ufficialmente costituita la società del casinò
e la sua esibizione fu rinviata a causa del peggioramento
delle condizioni del violinista che ebbe luogo solamente
il giorno 25. Avendo perso l’uso della voce, Niccolo’
comunicava solo per scritto e al pubblico si mostrò
senza esibirsi e così, puoi immaginar caro lettor, ben lo so,
le sorti del casinò volsero al peggio nel giro di pochi mesi.
E così vista la situazione il nostro artista, affilati gli arnesi,
si rese disponibile ad un’esibizione che successivamente doveva
esser rinviata dando forfait per le sue pessime condizioni, verità è!
Per sostituire il genovese fu chiamato il coro dell’Operà,
cosa che non era consentita dalla legge e in tal modo, là per là,
la sala fu chiusa dalla polizia con ovvio conseguente
fallimento e dopo appena quattro mesi ne fu disposta la chiusura.

114

Seguirono beghe giudiziarie e polemiche giornalistiche a dismisura;


il violinista era diventato l’ombra di se stesso ineluttabilmente:
non riusciva più a parlare, era spossato trascorrendo tutto il tempo
con il figlio e non incontrando più nessuno. Purtuttavia
con i buoni uffici del violoncellista Merighi aveva da tempo
avviato un commercio di strumenti musicali di pregio
e nel contempo componeva ancora, come comunicava a Germi.
Alla ricerca di sollievo e di speranza im modo egregio
Paganini cambiava di continuo medici e il 16 dicembre, a fermi
remi, era tra il pubblico quando al conservatorio Berlioz
diresse un concerto con due sue composizioni (“Aroldo” e, ben lo so,
la “Sinfonia fantastica”) ed egli per riconoscenza donò al francese
ben 20 mila franchi nonostante le sue finanziarie ristrettezze,
segno di generosità verso il collega che stava peggio con tristezze.
Nel tentativo di trovar sollievo alle sofferenze e nonostante
il parere avverso del medico parigino Paganini la capitale lasciò
per raggiungere Marsiglia per il clima migliore e accattivante,
e proprio in questa città, faceva progetti irrealistici per il futuro,
così come scriveva all’amico Germi, ma a marzo del 1839
fu tormentato anche da maldestra insonnia, non occorre la prova del 9, 115

gli chiese di fargli visita, cosa che invece fece Niccolo’ a Genova.

Paganini trascorse l’estate alle terme di Balarne, poi a quelle di Vernet


sui Pirenei consultando nuovi dottori per una cura risolutiva, verità è!
Soggiornò poi alla Superba ove incontrò finalmente Germi l’amico
ma le cose peggiorarono ancora tanto che fu costretto a stare a letto
per un intero mese. A novembre partì per Nizza:il viaggio non fu come fico
ma penoso e la cura prescelta si rivelò fallace e in più , caso maledetto,
gli arrivarono brutte notizie in quanto il tribunale lo aveva condannato
a pagare 50 mila di ammenda a seguito del noto fallimento parigino.
Negli ultimi mesi fu occupato nel commercio di strumenti, certo dato,
per far fronte al pagamento della pena pecuniaria. La tosse con il catarro
era nefanda e l’ingrossamento delle gambe gli impediva di camminare.
Il pomeriggio del 27 maggio fu colto da grave crisi di emottisi e morì
assistito dal figlio Achille e il giorno successivo il vescovo, a guardare
bene, di Nizza, monsignor Galvano, pensa caro lettore, ne proibì
la sepoltura in terra consacrata: prima di morire il violinista,
su cui aleggiavano leggende di stregoneria, aveva rifiutato
di ricevere i sacramenti e previ contatti anche il vescovo, a prima vista, 116

di Genova influenzò il governatore, conte Paolucci, dato


anch’esso certo, per il divieto del trasferimento della salma nella città,
e da Torino, atteso che ques’ultima dipendeva dal sabaudo regno,
furon vietati addirittura i necrologi di Niccolo’, fatto inver indegno!
La salma di Paganini non ancora imbalsamata, rimase tutta l’estate
nella cantina della casa nizzarda per esser poi trasferita al lazzaretto
di Villafranca. I ricorsi degli esecutori testamentari, presto detto,
per una degna sepoltura nella città natale furon respinti, (ricordate
cari lettori la mancanza di pietà della giustizia), dai tribunali civili
ed ecclesiatici. Nel marzo del 1845 il vescovo parmense acconsentì
alla traduzione della salma del compositore nel Ducato di Parma,
a Gajone ove potè esser inumata solo nel 1853 a mò di beauty farma!
PARTE NONA
117

IL MITO DI PAGANINI
IL MITO DI PAGANINI

Il mitodi Paganini come fenomeno europeo e internazionale


ha la data di nascita del 29 marzo 1828. Quel giorno
infatti il violinista suonò per la prima volta in modo trionfale
innanzi al pubblico di una grande capitale, piena di contorno, 118

europea, Vienna, dando così inizio a una memorabile


serie di concerti che per dieci anni lo portarono all’esibizione
in tutti i più importanti centri musicali alla perfezione
del vecchio continente (Vienna, Berlino, Varsavia, l’impagabile
Parigi, Londra, Praga). In quell’anno, 1828, il nostro artista
aveva 46 anni ed era già “Paganini” ma in bellavista
soltanto in Italia e le sue varie città lo avevan proclamato
impareggiabile e inimitabile e già nel 1820 l’editore
Ricordi di Milano aveva i suoi Quartetti e Capricci pubblicato.

Fu solo perciò con l’inizio della tournèe del 1828


che il mondo musicale europeo cominciò, in quattro e quattrotto,
ad accorgersi di Paganini e della straordinaria capacità a tutte le ore
di suonare e del suo impareggiabile estroso virtuosismo.
Il canto di Paganini si concretizzò e si diffuse con lirismo
in tutto il continente e occorre dire che senza il genovese
il romanticismo musicale non sarebbe stato lo stesso di certo.
Non uno solo dei grandi compositori austrotedeschi, dato certo,
si sottrasse al fascino (Schubert, Schuman, Mendelsshon, Litsz, Chopin)
ascoltandolo ed entusiasmandosi ma anche il popolo, verità è, 119

lo apprezzò grazie anche alla stampa internazionale


e Paganini riuscì quasi sempre a mettere, a scendi e sale,
a tacere la critica malevola e le negative prevenzioni
con la forza della sua arte che, con innate musicali invenzioni,
fece sì di combattere e di vincere inganni e illusioni della ragione
e di porre in luce verità, aspirazioni e sentimenti alla perfezione. Il mito
di Paganini fu un prodotto dell’età romantica, un particolare sito
di desiderio, quasi un sogno collettivo, un immaginario, un diffuso
bisogno di libertà, di sovversioni delle solide musicali convenzioni.
Il Romanticismo di ciò, di questo clima aveva bisogno,
poiché i miti non spiegano ma fondano come sogno
e quello paganiniano fu il fondamento su cui i musicisti
romantici innalzarono la loro arte, l’esempio ad alti visti,
con ardimenti mai tentati. E così nel romantico continente
le arditezze virtuosistiche del nostro genovese 120

apparvero invece una eroica sfida all’impossibile, ineluttabilmente:


e così la bizzarria, l’aspetto fisico al limite del grottesco,
un comportamento sessuale a volte ambiguo e puttanesco,
si mutarono in segni tangibili di quell’eccezionalità,
di quella specie di soprannaturale demonismo, una rarità!
Per riassumere gli aspetti più salienti e personali
della tecnica esecutiva paganiniana , a scendi e sali,
possiamo citare il modo d’incordare il violino, del ponticello,
della posizione del braccio dritto e del capo (ebbene si pure quello).
Sulla netta superiorità del genovese rispetto ai violinisti
suoi contemporanei, l’unico elemento di relativa, a dati visti,
debolezza della sua esecuzione era costituito dal volume
del suono non particolarmente potente e assume
molta importanza l’aspetto che gli era pienamente
se stesso solo nell’interpretazione della propria musica
intesa come eroica sfida dell’impossibile come precedentemente
detto; la sua vita quotidiana appariva riservata, uomo frugale,
alieno da ostentazioni e poco interessato alla mondanità
e alla cultura letteraria. Con il declinare della stagione
romantica, dopo il 1850, anche il mito di Paganini, non benone,
cominciò a sfiorire in quanto anche i miti son soggetti
alla legge del divenire e la sua musica, a certi detti,
non eseguita da lui medesimo, non suscitava più
quell’interesse travolgente. Il ritorno all’apprezzamento vieppiù
alla musica del nostro violinista è andato di pari passo 121

con il rifiorire degli studi storici e di musicologia (un vero asso!).


Il lungo periodo che va dal 1851 al 1940, anno del primo
centenario della sua scomparsa, fu povero di contributi
biografici e musicologici degni di nota ma è risaputo
che ora sopravvive il suo lascito musicale che per primo
aspetto permea attenzione di musicisti dalle diverse costituzioni
e provenienze, sulle sue opere ben 163, delle vere e proprie costellazioni!

UNA FIGURA D’OLTRETOMBA

Tra il 1828 e il 1833 si aggirava per l’Europa un genovese


alto e magro, sempre vestito di nero, capelli disordinati
e lunghi, con un violino sottobraccio (un bell’arnese
del tipo Guarneri del 1717). Si presentava, certi i dati,
sul palcoscenico, tirava fuori dalla custodia lo strumento
e a suonare cominciava. Gli ascoltatori rimanevano inchiodati
sulle poltrone: dalle quattro corde, su cui veloci come il vento,
le dita della mano sinistra e l’archetto si abbattevano con furia,
uscivano suoni ed effetti mai sentiti prima. Una cascata 122

di passaggi strabilianti, un fuoco d’artificio, una cannonata,


di glissandi, vibrati, pizzicati, colpi d’archetto da paura;
e se una corda si spezzava, e ciò accadeva spesso, il musicista
imperterrito continuava. Questo era Paganini in bellavista,
l’uomo che da allora è rimasto il “violinista per eccellenza”,
colui che avrebbe imparato da Satana in persona con magnificenza
l’arte di suonare quelle…diavolerie. Soltanto tecnica dunque
anche se a un livello prima e dopo di lui raggiunto mai.
La risposta è si, a un patto che non si riduca, or dunque,
la sua figura a quella di un istrione, di un fenomeno giammai
da baraccone, senza alcun rapporto con la musicale civiltà
del tempo; infatti sia pur a livello musicale, come ben si sa,
inferiore rispetto a un Berlioz o a un Listz, il virtuosismo
del genovese rientra in quella parte della giovin cultura
romantica che vedeva nell’abilità esteriore, e a dismisura,
una manifestazione della libera capacità con lirismo,
creatrice del genio: in poche parole un’esaltazione
dell’individualismo romantico sia pur in chiave strumentale.
Se le cose stanno così (la canzone di Sergio Endrigo
qui non c’entra) l’esecuzione delle pagine di Paganini
non presenta grossi problemi, una volta, senza intrigo,
risolti quelli tecnici, che ancor oggi fanno accaponare
la pelle. C’è da dir che in tempi recenti, a ben guardare,
Accardo è senz’altro il più qualificato esecutore
delle acrobazie pirotecniche paganiniane anche se, a tutte le ore, 123

Perman non gli è da meno; e Asciolla, caro lettor, alla viola


se la cava con maestria e ascoltarlo, devi saper, non è una sòla!

PAGANINI IN POCHE RIGHE

Apprese il violino nella più tenera età e a tredici anni


fu mandato dal padre a Parma per perfezionarsi senza affanni,
e con Ghiretti nella composizione; nel 1797 la carriera
di concertista aveva cominciato e che interruppe per andare
a vivere presso una dama dell’aristocrazia fiorentina, a guardare
bene, perfezionandosi nel frattempo nel violino, da mattino a sera,
e nella chitarra, strumento anch’esso di cui fu virtuoso.
Dal 1808 si dedicò al concertismo facendo sbalordire
il pubblico di tutta Europa in un interminabile e generoso
viaggio e soprattutto nelle varie città, è un bel dire,
italiane, stabilendosi poi a Parma in villa e poi a Nizza
ove morì di tisi nel 1840 con dolore, come rinunciare a un pizza! 124

Ultimo di una serie gloriosa di violinisti virtuosi


che comprende Locatelli, Tartini, Pugnani e Viotti,
Paganini raccolse la ricchissima eredità con toni focosi
della scuola italiana creando le basi, a fiotti,
del violinismo trascendentale moderno che da lui prese
le mosse così come alle radici del contemporaneo pianismo
sta la scuola di Listz. Lo strumento nelle sue mani, con realismo,
non ebbe più misteri ed egli seppe ricavarne sonorità
e possibilità che ancora oggi costituiscono un punto d’arrivo là per là
anche per i concertisti più agguerriti. Ma sarebbe proprio errato
confinare Paganini tra i virtuosi disconoscendogli le doti di compositore:
la sua tecnica trascendentale serve a dar veste sonora, a tutte le ore,
a un pensiero musicale ben individuato in cui, certo dato,
un temperamento romantico trova spazio con chiara ed equilibrata
cantabilità. Anche nella produzione concertistica, oltre l’innata
capacità per le composizioni per violino solo, il genovese si slancia
con ricchezza inventiva in un volo musicale che aggancia
e rispecchia tutta la sua personalità ardente e generosa,
tanto che i suoi concerti conservano una posizione non pretenziosa
ma di grande importanza nel panorama della violinistica letteratura:
questo era Paganini, genio musicale del violino, apoteosi e non jattura!

125

BIOGRAFIA

Niccolo’ Paganini è stato un violinista, compositore


e chitarrista italiano, fra i più importanti esponenti
della musica romantica; della scuola violinistica continuatore
di Pietro Locatelli, Gaetano Pugliani e Viotti parimenti;
è considerato uno dei tra i maggiori violinisti dell’800 sia per
la padronanza dello strumento sia per le innovazioni apportate,
in particolare allo “staccato” e al “pizzicato”, verità è!
La sua attività di compositore è legata a quello che son state
le caratteristiche di esecutore in quanto torna naturale
eseguire musiche su cui non aveva un un completo controllo.
Nacque a Genova il 27 ottobre 1782 da una, a scendi e sale,
modesta famiglia originaria di Carro (nell’odierna, come bollo,
provincia di La Spezia): il padre Antonio faceva imballaggi
al porto ed era appassionato di musica e con la madre, a raggi
larghi, Teresa Bocciardo, abitavano in Vico Fosse del Colle
al Passo della Gatta Mora, un carruggio di Genova, zona Colle. 126

Fin dalla più giovane età Niccolo’ apprese dal padre le prime nozioni
di musica sul mandolino e in seguito fu indirizzato, con emozioni,
allo studio del violino e, non a torto, Paganini è considerato
un autodidatta ; i suoi due maestri furono, vedi lettor è certo il dato,
di scarso valore non ricevendo che poche lezioni di composizione
da Gasparo Ghiretti (il primo fu un certo Servetto o Cervetto);
malgrado ciò, sin dall’età di dodici anni, già, presto detto,
si faceva ascoltare nelle chiese genovesi e, caro lettor sappi, dette
un concerto nel 1795 al Teatro Sant’Agostino (Variazioni
sull’aria piemontese “Carmagnola”) andato bene con emozioni.
Il padre poi lo condusse a Parma per lezioni di Rolla e qui Niccolo’
si ammalò di polmonite e venne curato con il salasso, ben lo so,
che l’indebolì costringendolo a un periodo di riposo
nella casa di famiglia a Romirone, in Val Polcevera,
vicino San Quirico, dove studiò anche, povera
creatura sino a dieci dodici ore al dì su un violino costoso
costruito dal Guarneri, regalatogli da un ammiratore
parmense. Paganini era solito imitare, a tutte le ore, 127

i suoni naturali, il canto degli uccelli, i versi d’animali,


i timbri degli strumenti come il flauto, la tromba a scendi e sali,
il corno. Nel 1801, all’età di 19 anni, interrompè
la propria attività concertistica dedicandosi all’agricoltura
e allo studio della chitarra e divenendo virtuoso a dismisura
e scrivendo molte sonate, variazioni e concerti, verità è,
mai pubblicati; insoddisfatto si mise a scrivere sonate
per violino e chitarra, trii e quartetti da vere cannonate!

All’età di 22 anni riapparve alla Superba ma tornò


a Lucca ove accettò il posto di primo violino, ben lo so,
solista alla corte della principessa Elisa Bonaparte Baciocchi,
sorella di Napoleone e quando ella si trasferì con ben tocchi
a Firenze lui la seguì ( vi fu una relazione) ma per un banale incidente
(già descritto in questa raccolta in ordine alla divisa
da capitano da non più esporre, cosa che lui non fece)
se ne allontanò. A Torino fu invitato a suonare per incisa 128

richiesta dell’altra sorella del Corso, Paolina, in sua vece.


Nella sua vita Paganini, percorso in lungo e in largo la penisola,
facendosi applaudire e trionfando in numerose città, non una sola:
e la prima di queste fu Milano ove nel 1813 fu proclamato
primo violinista del mondo. Trionfò poi con la sfida
lanciatogli da Lafonte e poi due anni dopo con Lipinski,
strinse indi amicizia con Rossini e con Spohr e nel 1817
si esibì a Roma alla presenza del principe Metternich che, bubu7,
lo invitò più volte a Vienna, cosa che purtroppo, lì per lì,
non realizzò a causa delle sue precarie condizioni di salute.
Invece andò a Palermo ove nel 1825 vide la luce il figliolo
Achille, avuto dalla “mediocre” cantante nevrotica, un fagiolo,
Antonia Bianchi di Como con cui convisse per pochi anni, dopodichè
lei andò in sposa al commerciante milanese Brunati. Verità è
che lui non ufficializzò mai il legame con la madre del suo figliolo
nei cui confronti si dimostrò sempre affettuoso tanto che, a fagiolo,
per averlo con sé sborsò duemila scudi ad Antonia per poi
farselo riconoscere facendo le proverbiali carte false attraverso
le sue altolocate conoscenze. Nel 1828 andò a Vienna
ove l’imperatore Francesco lo nominò suo virtuoso, una strenna,
da camera: lì dette 20 concerti, poi si recò attraverso
i territori centrali europei a Praga. Dal 1817 al 1830 compose, lo so,
sei concerti per violino e orchestra e a Genova ritornato, oibò,
iniziò la composizione dei suoi famosi “Capricci” per violino,
e nel 1834 una Sonata per la Grande Viola, Variazioni 129

su diversi autori (primo fra loro Rossini Gioacchino), Sonate,


Notturni, Tarantelle. C’è da dire a tal proposito, con colorazioni,
che la “Gran Violan” in questione è uno speciale strumento
a cinque corde, andato perduto, che Paganini aveva fatto
produrre a Francesco Borghi, liutaio di Forlì, che, detto fatto,
divenne nota con il nome “Controviola Paganini”, a mò di vento.
Tra il 1832 e il 1833 si alternò tra Parigi e Londra e conobbe
la giovane Charlotte Whatson, figliola del suo accompagnatore
al pianoforte e se ne innamorò suscitando poi, a tutte le ore,
baruffe e scandalo con il padre. Nel 1813 acquistò
nei pressi di Parma Villa Gajone con l’intenzione, ben lo so,
di trascorrere i periodi di riposo tra una tournèe e l’altra,
cosa che poi si rivelò fallace in quanto fredda e umida oltre ciò!
LA TECNICA

E’ stato indubbiamente il più grande violinista dell’800,


dotato di una tecnica straordinaria e le sue composizioni
erano considerate ineseguibili; velocissimo compiva, a cento
a cento, salti melodici di diverse fatture. Eseguiva con colorazioni 130

lunghi passi con accordi, con pizzicati con la mano sinistra e anche
misteriosi e spettrali armonici artificiali. Ogni tecnica era anche
portata all’eccesso e le sue violente esecuzioni, quasi sempre lì per lì,
finivano con rotture delle corde suonando poi con l’unica rimasta.
Fu questa forte componente virtuosistica a determinare
il suo successo, con anche il forte alone di mistero e non da icona casta,
che circondava la sua figura: si diceva, a ben osservare,
che aveva ucciso un rivale in amore e che in prigione, ebbene si,
gli era stato concesso di suonare il violino sotto la guida del demonio.
Con il passar del tempo perse tutte le corde, un pandemonio,
tranne quella del “sol”, con cui era costretto a suonare:
da questo aneddoto si faceva derivare la sua, ben bella,
bravura sulla corda del “sol” mentre un altro più inquietante
era quello relativo che le sue corde derivavan seduta stante
dalle viscere delle sue vittime:caro lettor non è ipotesi stravagante?
MALATTIA, MORTE E SEPOLTURA

Il 1834 segna l’inizio dei sintomi più eclatanti


di una malattia polmonare all’epoca non diagnosticata,
segnata da eccessi di tosse incontenibile che fra tanti
affanni, gli impedivano di dar concerti e, cosa dimostrata, 131

lo debilitavano pur essendo curato da una platea di dottori


finchè il medico Borda gli diagnosticò, atteso i forti dolori,
la tubercolosi, curandola con latte d’asina (come Poppea): subentrò
poi la laringite e una necrosi all’osso mascellare, oibò.
Paganini comunque dimostrò nelle varie fasi della malattia
viva forza d’animo supportata da alta dignità, e sia,
anche quando diventò completamente afono, privo di voce ossia!
Gli faceva da interprete il figlio Achille di quindici anni.
Morì a Nizza e suo figliolo cercherà di dar, senza affanni,
continuità all’opera del padre continuando a riordinare
e a pubblicare le sue opere autenticandone la firma a ben guardare.
In seguito i nipoti, che non avevan conosciuto il nonno Niccolo’,
venuti in possesso dell’intera opera paganiniana, deciderono di vendere
allo Stato le sue composizioni per poi metterle all’asta,
“opera omnia”che per la maggior parte a frutto del pubblico è rimasta!
Paganini morì il 27 maggio 1840 a Nizza nella bella casa
del Presidente del Senato e il Vescovo, tabula rasa,
della città della Costa Azzurra ne vietò la sepoltura
in terra consacrata; il suo corpo fu quindi a dismisura
imbalsamato e conservato nella cantina della propria casa.
Dopo vari spostamenti nel 1853 fu sepolto nel cimitero
di Gajone e successivamente nella Villetta di Parma, fatto vero!

132
PARTE DECIMA
133

IL DIABOLICO NICCOLO’
CHE NON RIPETE
I PREDECESSORI E I CONTEMPORANEI DI PAGANINI

Niccolo’ Paganini nacque nel 1782 e cominciò a occuparsi


di musica molto presto apprendendo i primi rudimenti
dal padre e poi studiando sotto la guida (un bel da farsi)
di Giacomo Costa, maestro di cappella nella cattedrale genovese. 134

Il suo approdo a una tecnica violinistica con insegnamenti


trascendentali fu molto rapido. Nella “Carmagnola con Variazioni”,
composta a tredici anni, son già presenti quasi tutte le specialità
della sua tecnica ad esclusione del pizzicato della mano, ben si sa,
sinistra. Paganini manteneva sempre stretto riserbo, senza esitazioni,
sui suoi studi (anche nella sua autobiografia) e là per là
sul suo apprendistato musicale. Quando Niccolo’ venne al mondo
in Italia eran ancora attive alcune glorie, a tutto tondo,
del violinismo come Nardini e Pugnani: questi due musicisti

di due generazioni più anziani del genovese, eran capiscuola, ben visti,
in Italia mentre Lolli era alla corte di Caterina di Russia
e Giornovichi anch’egli approdato a Pietroburgo dopo, a fuxia
tinta, Polonia, Scandinavia, Austria. C’era poi la generazione
di violinisti nati attorno al 1750 (Mestrino, Fiorillo per benone,
Capuzzi, Viotti, Rolla) ma vivere nella Penisola per un solista
era ben duro ,o atteso che i concerti eran esigui, e non in bellavista,
l’editoria non era fiorente a tutto vantaggio di quella straniera. 135

Appetibili erano perciò le cappelle reali, le chiese e, cosa vera,


era il privato insegnamento. Uno studio al riguardo magnificente
fu fatto, sappi lettor, dal livornese Giovanni Battista Rangoni
che analizzò lo stile dei citati violinisti con colorazioni
giungendo alla conclusione che l’influenza, mio attento lettore,
della musica francese aveva corrotto, a tutte le ore,
quella italiana alterando quel gusto squisito
legato alla sensibilità morale umana: poco forbito
perciò, anche se veloce e poco dolce, il linguaggio musicale
del contrappunto quale era quello del Tartini e del Corelli.
Da questo “laudator tempori acti” Rangoni, ben belli,
ci offre con tutta la sua parzialità un quadro abbastanza
preciso della situazione del mondo violinistico italiano
verso la fine del 700 incentrandola, a mò di danza,
sulla contrapposizione tra Nardini (la grappa non c’entra) e non strano,
esponente del bel stile tradizionale, fatto d’eleganza,
e Lolli, incarnazione di un virtuosismo da concerto
che privilegia le acrobazie digitali (e non satellitari), fatto ben certo,
i registri acuti giungendo poi in tal maniera a snaturare
il suono del violino facendogli imitare, a ben guardare,
altri strumenti e persin, non meravigliarti lettor, la voce umana.

136

E’ evidente da quale parte si sia schierato il nostro genovese,


basti pensare alla sua “Carmagnola” che, in effetti e ben cortese,
è un campionario d’effetti che Rangoni avrebbe di certo censurato,
tipico del Lolli, un autodidatta come, certo dato,
Paganini e che eccelse più come ottimo esecutore
che come compositore, insomma una specie, e a tutte le ore,
di “Shakespeare dei violinisti” .C’è da dir che anche Locatelli è stato
additato come precursore di Niccolo’ per affinità
dei due musicisti specie per quanto attiene l’ “oro”
dei suoi “Capricci” anche se il bergamasco dedicò, bontà loro,
minore attenzione ad aspetti tecnici che Paganini svilupperà
in modo decisivo come le ottave e le decime, l’uso
della quarta corda, gli armonici e il pizzicato fuso
alla mano sinistra. C’è da osservare che per farsi strada e via
nel mondo agonizzante dello strumentalismo italiano, in una botta e via,
il nostro compositore aveva deciso coscientemente di puntare 137

sullo “straordinario” sfruttando le sue capacità tecniche, a ben guardare,


fuori del comune per sbalordire e degli ascoltatori l’attenzione catturare.
Sorpresa, varietà e stupore son categorie tipiche più
della musica barocca che di quella romantica vieppiù;
ma per risvegliare l’interesse del pubblico più che parlare
occorreva stupire: così Paganini decise pertanto di optare
per uno stile esecutivo denso di elementi “plebei”,
“circensi” quasi come le acrobazie più spinte (da zebedei!),
l’imitazione del canto degli uccelli e degli altri strumenti,
insomma da “opera buffa” come la definì Chelini abate
e il Nostro lo fece privilegiando una tecnica, cari lettori badate
bene, in cui il virtuosismo, sulla scia del Locatelli e del Lolli,
era portato alle sue estreme conseguenze e, a mò di jolli,
ben conscio che solo i fuochi d’artificio della sua esibizione,
l’ostentata proclamazione della sua diversità alla perfezione
violinistica rispetto a tutti gli altri, avrebbero fatto
di lui un autentico fenomeno di cui parlare, detto fatto,
e non, pur dissentendo, uno dei tanti. E ci riuscì 138

con la sua varietà di tecnica, con le sue acrobazie, lì per lì,


che sembravan si rincorressero l’una con le altre, ripetute
e a sorpresa, rapide e cromatiche, una cannonata!
Non bisogna poi dimenticar tra i violinisti
soggetti di tal capitolo, Pugnani, Viotti, Giornovichi, visti
da vicino, e il Viotti che ebbe un allievo, cosa conclamata,
tale Pierre Rode, destinato ad avere un’influenza fondamentale
(non polmonite) sul giovin Niccolo’, senza scordar un altro, a sale
e scendi, Rodolphe Kreutzer che esercitò una profonda suggestione
sull’opera del genovese che eseguì, devi saper lettor, alla perfezione
suoi componimenti unitamente a quelli del Rode francese,
opere che insieme a quelle del Viotti furono nel repertorio, ben cortese,
delle esibizioni paganiniane a differenza di quelli
del Rolla e dello Sphor mai eseguiti, non ben belli,
dal nostro violinista anche se egli nutrì profondo
rispetto ed affetto nei confronti di Rolla così pure, a tutto tondo,
dello Sphor. In ogni caso Paganini badò sempre a sottolineare
e ad esaltare la propria eccezionalità, il suo non appartenere
a nessuna scuola, proponendosi volutamente, a ben guardare,
come fenomeno irripetibile e sottacendo, a ben vedere, 139

i “debiti” contatti nei confronti dei citati predecessori


e contemporanei; ma egli volle per tutta la sua esistenza
esser considerato l’ “unico” e non pur, se con magnificenza,
uno dei tanti, fosse pure il migliore e i fatti, presto detto,
gli dettero ragione, genio diabolico dal Signore benedetto!

IL PATTO CON IL DIAVOLO

La figura di Paganini era collegata a Satana con cui si diceva


aver stipulato un patto per poter suonare come Iddio voleva!
Tale associazione con il diavolo era agevolata dalla sua figura
e immagine: era scuro e magro a causa della sifilide, vestiva di nero
(come Merisi Caravaggio) con il viso cereo e a dismisura
con gli occhi fuori delle orbite, sdentato, funereo
a causa del mercurio e la bocca con naso e mento
gli era rientrata a mò di vecchio; insomma in un momento
quando si esibiva in palcoscenico sembrava uno scheletro in frac
con il suo violinoben incastrato sotto la mascella là per là!
PAGANINI NON RIPETE

Questo detto popolare ebbe origine nel febbraio del 1818


al Teatro Carignano di Torino quando re Carlo Felice, in 4 e 4/8,
dopo aver assistito a un suo concerto, fece pregare
il Maestro di ripetere un brano. Paganini che amava improvvisare 140

molto di quello che suonava e che alcune volte lesionava i polpastrelli,


gli fece rispondere con il detto ormai famoso “Paganini non ripete”:
per tal motivo gli fu negato il permesso d’eseguire al Carignano
un terzo concerto in programma, conseguente evento non strano.
Il musicista allora annullò i concerti di Vercelli e di Alessandria, a monte,
e confidò per lettera all’amico Germi che non avrebbe più in Piemonte
suonato, cosa che invece fece nel 1836 a Torino per ringraziare
Carlo Alberto re per la concessione di legittimazione, a ben guardare,
del figlio Achille. Da tale leggenda, devi saper lettor, e da allora
la vulgata “Paganini non ripete” viene usata oggi ancora
per motivare il rifiuto di ripetere una frase o un gesto:
tale atteggiamento può esser considerato vero, ironico e un po’ mesto!
PARTE UNDICESIMA
141

NICCOLO’ PAGANINI:
GENIO MUSICALE
IL GENIO DI NICCOLO’ PAGANINI

Come per nessun altro ogni discorso critico


su Paganini dovrà muoversi dalla sua vita singolare,
spesso romanzata; in lui l’esecuzione (fatto mitico)
non seguiva bensì traduceva lo spirito, a scendi e sale, 142

della creazione: era al contempo interprete e creatore


della propria musica e della sua artistica individualità.
Rispetto all’estro, all’intuizione felice colpì a tutte le ore
l’appariscenza del suo eseguire e del suo comporre, ben si sa.
La virtù dell’improvvisazione prodigiosa, caro lettore
devi saper, andava di pari passo al collettivo stupore,
a volte al procurato orgasmo femminile e l’entusiasmo legato all’estro
di questo eccezionale violinista di scuola sconosciuta, eppur gran maestro,
d’estrazione innominata ma satanica, di diabolici tinti colori.
E tale alterata interpretazione dell’artistico ingegno
si corredava di ingegnose illazioni, e, sissignori,
di sicura presa collettiva, disegnata e buon pegno
di allusioni per patti scellerati che per oggetto
avevano il commercio della sua anima, presto detto,
con il diavolo ovvero per converso i suoi difetti, 143

vizi, costrizioni morali quali egoismo, ben netti,


vanità e avarizia. Nella sua fatale eccezionalità
Paganini parve perfino una anacronistica figura:
lontana filiazione dell’uomo settecentesco a dismisura,
indifferente e insofferente ai doveri civili e sociali,
religiosi, avulso da contrasti temporali e spirituali,
estraneo al fermento di nuove culturali idealità.
Tutti attributi d’eccessivo amore al personaggio, là per là,
straordinario e spregiudicato, oggetto di caricatura,
di pettegolezzi, di maldicenze fomentate a dismisura
con il suo comportamento orgoglioso, superbo anche se
la generosità non gli era estranea verso amici e parenti.
E poi da mettere in evidenza la sua caratteristica, senti
caro lettor già l’armonia, ossia il tipico uso
della quarta corda: tutte innovazioni e virtuosismo
che alimentarono l’entusiasmo popolare con fiuto
verso la sua straordinaria improvvisazione. Senza lirismo
oggi le opere di Paganini mostrano ancora e ancor di più
una ricchezza d’inventiva, un turbinio di sensazioni vieppiù
melodiche e ritmiche che si accostano con forza al melodramma
del tardo settecento o dell’etàclassica. E proprio da qui
che abbiamo il riscatto di un musicista dalle angustie lì per lì,
di una invadente cronaca umana, di un artista esecutore
che nascondeva dietro l’umanità ambiziosa a tutte le ore
ed egoistica, un attivo spirito di “carbonaro”, ben attento 144

alle novità politiche della rivoluzione francese, creando


musica con il suo strumento prodigioso dalla mirabile fantasia,
piena di favole riecheggianti il mito, una vera e propria magia!

Oltre l’aspetto fisico ed il suo genio musicale è da rimarcare quella


sua innata natura verso l’universo femminile, delle sue esperienze
amorose atteso anche i “facili” costumi delle donne italiane, lenze!
(così affermava Stendhal). Tali avventure, dalla suggestione ben bella,
eran correlate a intenzioni matrimoniali, come testimoniano missive,
concrete sol a parole ma non nei fatti tanto è vero, lo conferma chi scrive,
che Paganini non si sposò mai: forse, (Codignola) perché parlava
troppo spesso di matrimonio, pieno di desio e con alla bocca la bava!
AVVENTURE ED ESPERIENZE

Come lo stesso violinista confiderà al suo biografo Schottky,


egli trascorse una vita invero molto movimentata
e spesso tempestosa con una giovinezza, dalla incerta data,
non immune da errori ma sempre del resto improntata 145

all’entusiasmo nel suonare, nel viaggiare, nel giocare


d’azzardo, nel trovarsi spesso e non volentieri in miseria nera,
nell’esser un impenitente don Giovanni- Casanova, storia vera,
attratto da dama di alto lignaggio che aveva un podere
in Toscana e che suonava la chitarra: da qui l’interesse
per tale strumento concretato in diverse opere “vere”
quali i sintomatici “Duetti amorosi” per violino
e chitarra. E poi il trasferimento da Genova a Lucca
alla corte della principessa Elisa che seguì a Firenze, come mucca,
e quindi i concerti in varie città italiane, da Livorno a Torino,
da Rimini a Bologna, da Ferrara a Parma e a Piacenza.
Ma sinora egli è noto soltanto in Italia, seguito con magnificenza
dal delirante pubblico, quello che ama le sue tournèe,
che l’applaude forsennatamente e la critica, verità è,
ne biasima certi atteggiamenti clowneschi, istrionici,
licenziosi pur riconoscendo la sua genialità e bravura.
Paganini dunque capiva bene il pubblico del tempo e così
abbandonò Firenze dopo l’ “incidente” con la principessa, lì per lì,
Elisa, finalmente libero da una relazione amorosa assillante, ebbene si!
IL PRODIGIO DEL SECOLO

Il 29 ottobre 1813 Paganini alla Scala di Milano affronta


il suo più impegnativo concerto incontrando uno dei pubblici
più evoluti ed esigenti d’Europa: e il successo, a tutta fronda,
riecheggia oltre le Alpi. Il nostro musicista, con rustici 146

ed esaltanti suoni, esegue il Concerto di Kruetzer violinista


(occorre sottolineare che Beethoven gli dedicò una Sonata in bellavista),
le Variazioni sulla quarta corda per la prima volta e le “Streghe”
di cui alla “Noce di Benevento” di Sussymayer (al riguardo le beghe
dell’allievo di Mozart per i presunti amori con Constanze,
moglie del salisburghese e della presunta paternità di un figliolo
son ben note, oltre il completamento del Requiem). Il soggetto su romanze
verteva circa una leggenda popolare animata appunto, proprio a fagiolo,
da maghe colorate da vecchiaia e da un certo satanismo senza tramonti.
A Milano Niccolo’ nel 1814 s’incontrò con Foscolo e Vincenzo Monti
musicando le “Ultime lettere di Jacopo Ortis” dell’autore
dei “Sepolcri” presentando la Passione, la Pace, a tutte le ore,
malinconica, la Collera, virtù queste presenti con altre nell’Iliade
tradotta “dal gran traduttor dei traduttor d’Omero” (Monti), una triade!
Genova riebbe il proprio figlio violinista che eseguì
al Teatro Sant’Agostino quattro concerti e lì per lì
la Gazzetta della Superba ne celebrò il trionfo
ma anche la sciagurata vicenda che lo vide, a tutto tondo,
protagonista dell’accusa di un ratto e di violenza ai danni
di una fanciulla e il carcere in quanto, con affanni, 147

sospettato anche d’omicidio ove si dice gli fu permesso di suonare,


sotto la guida del demonio, incessantemente il suo violino, a guardare
bene: insomma un personaggio, angelo e diavolo, ma comunque
genio della musica con la sua singolare figura, or dunque,
il lungo collo, la faccia strana, l’alta fronte,
le gambe incavate e mortalmente pallide, il naso a becco,
i grandi occhi neri come scuri i lunghi capelli svolazzanti sulla fronte.

Secondo la moda del tempo Paganini volle gareggiare


con un collega straniero (il virtuoso Lafont) e, a ben osservare,
alla Scala di Milano l’11 febbraio 1816 i due vennero a confronto
e la vittoria del nostro genovese echeggiò a tuttto tondo
sulla stampa internazionale. C’è da ricordare l’incontro
con il principe Metternich e il legame profondo
con Rossini: insomma questo estroso sempre elegante e non liso
violinista fu definito dopo le Variazioni l’ “Angelo del Paradiso”!
148

ALLA CONQUISTA DELL’EUROPA

Per quanto nella capitale d’Austria fosse a quel tempo “di moda”
tutto ciò che era italiano, la città artistica di Mozart, con gran voga,
Beethoven e Schubert, quella che in effetti aveva ascoltato
e applaudito violinisti come Viotti, Kreutzer, certo dato,
Sphor, Lafont e Polledro, costituiva un arduo banco
di prova per un virtuoso pur noto e ben magnificato
da tanta cronaca pubblicistica. Ma il nostro Paganini sbalordì
i tecnici e incatenò il pubblico sin dal primo concerto
del 24 marzo 1828; suggestionava già il suo aspetto lì per lì:
“un uomo alto, secco, di 46 anni, pallido, e di certo
malaticcio, e quasi “selvaggio” come poi lo definì
la stampa musicale concertistica nel commentare la sua esibizione.
Soprattutto come tecnica nell’esporre musica ed esecutore
in pratica delle sole sue composizioni, fu, a tutte le ore,
idolatrato dal pubblico con manifestazione di fanatismo
sì che il suo nome fu applicato a confetti (virtuosismo
anche in questo campo), nastri e bastoni, sigari e bottoni,
pane e biscotti. Un “Paganinetto” significava 5 fiorini (soldoni)
e persin un certo colpo al biliardo e “alla Paganini “si chiamò.
Senza poi dimenticar di coloro finiti all’ospedale
dopo averlo ascoltato e di tanti spettatori, a scendi e sale,
che ricorsero a operazioni per poter chiudere la bocca 149

rimasta spalancata per la sorpresa: qui la leggenda tocca!


Molti compositori viennesi a lui si ispirarono con ogni sorta
di valzer, marce, variazioni (Valzer alla Paganini
di Strauss ad esempio come il Rondò della Campanella, è la volta
di Listz); anche Schubert dalla sua musica fu rapito
tanto che disse a un amico di aver un angelo sentito!
Ammiratore di Beethoven Paganini ascoltò la sua 7^ Sinfonia
con intensa commozione anche se mai eseguì il suo Concerto
per violino rivalutanto i quartetti beethoviani, di certo
definiti in un primo momento stravaganti. In una botta e via
poi il musicista raggiunse Praga ove avvertì le avvisaglie
della tubercolosi con i primi sintomi di disturbi alla faringe.
Praga fu città difficile anche per l’acceso antagonismo
con Vienna e accanto ai lusinghieri, senza alcun lirismo,
elogi non gli si risparmiò stroncatura feroce che strinse
il violinista all’angolo del ring additando le sue esibizioni 150

come arlecchinate prive di sentimento e senza d’arte colorazioni.


Inutile dire per allungare il discorso che l’artista visto dai viennesi
con corna e coda fra le gambe accendesse d’acchitto la fantasia
incarnando immagini allucinanti: per nulla cortesi
eran le voci secondo cui egli avrebbe, mamma mia,
firmato un patto con il diavolo! Ma il primo concerto
a Dresda gli fruttò un paragone letterario e prestigioso, di certo
“uno Shakespeare fra gli artisti”, insomma del violino un gran Maestro!
IL MAGO DEL VIOLINO

Dopo le esibizioni in terra di Germania la critica riferì


le proprie impressioni specie nei 12 concerti che lì per lì
Paganini tenne a Berlino con una tecnica impareggiabile,
espressività potente, suono rotondo e pieno. Invitato 151

ai festeggiamenti per l’incoronazione del Re di Polonia, certo dato,


lo Zar Nicola, a maggio del 1829, il nostro violinista ben abile
si diresse a Varsavia, viaggio faticoso ma, vedi caro lettor, confortato
da una breve parentesi sentimentale, ossia dall’incontro
con la principessa Zyelenska, signora della Slelia, di contro
vestita mascolinamente di giorno, ma, pensate cari lettor, di sera
in gran toilette, cultrice lelle arti e della musica appassionata amante.
Come premio per la sua esibizione il Maestro, artista stravagante,
ricevè dallo Zar un anello di brillanti e una tabacchiera
d’oro dal Direttore del Conservatorio. Tra la folla
il giovane Chopin rimanè stupefatto tanto che, guai a chi molla,
gli dedicò una Variazione pianistica “Souvenir
de Paganini”. C’è da dire che in Germania il nostro musicista
organizzò più di cento concerti con successo in bellavista
strepitoso anche se lo Sphor trovò nella sua musica genialità
frammista però a non buon gusto, di certo risentito, ben si sa,
per la sua rivalità con lui emersa a Venezia tanti anni prima.
A Francoforte, patria di Gothe, il nostro artista
giunse nel 1829 proprio alla vigilia dei festeggiamenti
per l’ottantesino compleanno del poeta-scrittore e a prima vista
presenziando al “Faust” sembrò un personaggio parimenti
reale e vivente del dramma mentre per il concerto Schuman
ebbe a scrivere nel suo diario “Paganini-Rapimento”
e qualche anno dopo tratteggiò, nel comporre come il vento
veloce, il Carnevale, un quaderno “Paganini” intitolato: 152

una delle tante prove e documenti per cui l’artista era ammirato!

TRA REALTA’ E LEGGENDA

All’inizio del 1831 Paganini si portò nella capitale francese


ove eran rimbalzati i successi tedeschi e la curiosità
era enorme nonostante l’incubo del colera. Ebbene, ben cortese
l’atteggiamento nei suoi confronti degli amici, ben si sa,
italiani come Rossini, Pacini, Blangini che al meglio il terreno
gli prepararono. All’Operà c’era tutta la Parigi, che meno
che non si dica, che contava: da De Musset a Ghautier,
da Victor Hugo a Gerorge Sand, né mancavano, verità è,
i pittori Delacroix e Nadier, i musicisti Gioacchino Rossini,
Auber, Adam, Halery, Listz compreso il famoso Cherubini.
E Paganini si esibì nel suo “Primo Concert”o, poi con la “Sonata
Militare”, sulle “Variazioni del Barbiere di Siviglia” e sul tema
di Paisiello “Nel cor più non mi sento”; e una cannonata
fu la recensione della Revue de Paris: “Teorema”
enigmatico e diabolico quello di Paganini, ossia di un artista
che crea, che inventa con il suo strumento la sua musica, si sa,
i suoi effetti fino alla conquista delle sue difficoltà!
E che dire dell’aspetto fisico del genovese? Il pittore
Lyser gli fece un ritratto al termine del quale, a tutte le ore,
disse che la sua mano era stata diretta da Satana in persona: 153

soprabito grigio scuro lungo fino ai piedi, capigliatura


fluente che gli scendeva sulle spalle a ciocche a dismisura,
faccia pallida, cadaverica su cui sciagura, genio e, alla carlona,
inferno avevano impresso le loro stigmate incancellabili.
Sembrava un uomo in fin di vita che come povero gladiatore
morente s’approntava a rallegrare il pubblico con, e a tutte le ore,
le convulsioni acrobatiche, insomma una specie di vampiro
con il proprio violino che succhiava alla folla con sospiro,
se non il sangue, il denaro dalle tasche atteso che era
sua abitudine incrementare il prezzo del biglietto, cosa davver vera!
I successi parigini erano riecheggiati oltre Manica a prima vista
e l’impresario Laporte del Teatro Reale di Londra, in bellavista,
strappò al violinista sofferente e stanco un contratto
elevando altresì i prezzi dei cinque concerti pattuiti;
ne seguì di conseguenza una polemica sui giornali londinesi
che si calmò con il ribasso relativo, con tempi bui infiniti! 154

Poi il Nostro suonò al Coven Garden e a Oxford; ben cortesi


gli inglesi gli conferirono la laurea di musica dottore,
nonostante le polemiche e le calunnie accese, sissignore,
per una sua relazione con una giovanile cantante locale, Charlotte
Whatson. C’è da dire poi della conoscenza con Berlioz
a cui Paganini chiese una composizione con un a solo di viola
da suonare su uno splendido strumento Stradivari, non una sòla.
Il genovese era un eccelso concertista, il francese un orchestrale
genio: da questa discrepanza deriva la lunga gestazione
dell’ “Aroldo in Italia” che si concluse con un successone
e con parole di stima e d’elogio, con consenso pieno e fenomenale.
Marsiglia, Montpellier, Nizza: la salute precipita e devastato
appare il suo fisico, suona con amici e di comporre, lettor sappi, cessa.
Si preoccupa di legittimare il figlio Achille, certo dato,
e d’ordinare la splendida raccolta di strumenti (rari e non sol da messa)
ad arco a fini commerciali. Muore il 27 maggio 1840
per un “violento attacco di tosse” ma la leggenda, tanta
e assai caro lettor, non lo lascia ed ecco animare
il quadro notturno e lunare con la mano ossuta, a ben guardare,
che ritrova l’incantato violino e ne trae l’ultime note accorate.
Non ebbe sepoltura religiosa: solo nel 1876, a certe date,
annullato il decreto del vescovo nizzardo, i resti del violinista
furon traslati nel cimitero di Parma ove gli fu, in bellavista,
creato un monumento. Venti anni dopo altra traslazione
definitiva nel nuovo cimitero parmense: un’urna 155

con fiorita epigrafe e secondo la leggenda raccontata sull’unghia


da Moupassant, il corpo di Paganini rimase nascosto per benone
per cinque anni sull’isolotto di Saint Ferreol sulla Costa
Azzurra. Listz scrisse la necrologia dicendo, non costa
quel che costi, ma sol il vero che con Niccolo’ Paganini scompariva
un fenomeno unico nella storia dell’arte, forse senza lui alla deriva!
PARTE DODICESIMA
156

OPERE
I CONCERTI

Quanti concerti scrisse realmente Paganini? L’interrogativo


è più legittimo poiché sull’argomento non è mai stata fatta
chiarezza: il primo biografo italiano, del resto e in effetti privo
di esatte cognizioni, Gian Carlo Conestabile, con la matta 157

come a sette e mezzo, compilò un sommario elenco che testualmente


ne considerava quattro con accompagnamento e contestualmente
altri quattro senza accompagnamento con il quinto non composto.
Dette conclusioni che non collimano, vedi lettor, con quanto posto
e dichiarato dal violinista genovese, ancorchè con evidenti lacune,
se si considera che in età giovanile il musicista scrisse alcune
composizioni da considerarsi veri e propri concerti
che precedevano i cinque numerati ma, questi son di sicuro dati certi,
una delle due giovanili potrebbe esser il “Gran Concerto” in mi minore.
C’è poi da considerare, come lo stesso Paganini, a tutte le ore,
confidava in una missiva all’amico Germi, di dover comporre
un concerto per Camillino, il piccolo Sivori, una vera torre
in campo violinistico. Al momento attuale si può affermare
con certezza una sola cosa e cioè che i concerti, a ben guardare,
composti dal nostro musicista furono almeno nel numero di sette.
C’è poi da aggiungere che le opinioni degli studiosi, bubusette,
sono inclini a collocare la data di composizione del “Gran Concerto”
molto prima del Primo Concerto che si apre con un Risoluto e, certo
dato, con le sue 520 battute è il più ampio primo tempo mai compilato!
A questo proposito Paganini fu un artista piuttosto precoce
con segni evolutivi abbastanza modesti: nell’arco temporale
di 40 anni la sua musica presenta pochi cambiamenti
formali ed espressivi di autentico rilievo a scendi e sale.
L’introduzione si estende per 90 battute in modo veloce
dopodichè fa il suo ingresso il solista che in vari momenti 158

riprende i due temi principali con la medesima tonalità


dell’introdusione ma declinandoli secondo, ben si sa,
estri virtuosistici in cui largo spazio, sappi lettor, è lasciato
a svelti giochi di quartine di semicrone: certo dato
è poi l’estensione in sol maggiore. Il successivo Adagio
in mi maggiore “intimo e purissimo” è, non randagio,
legato alla tradizione della scuola violinistica italiana
del XVIII secolo: è una pagina di 46 battute, non cosa strana,
che prelude ai grandi adagi dei Concerti numero 1 e 2.
Conclude il concerto un Rondò e a questo punto, delle due
l’una, e cioè che il “Grande Concerto” è comunque piacevole
e ricco di idee in cui la personalità del violinista
è chiaramente delineata. Non sappiano (e non è disdicevole)
quanti anni trascorsero tra la stesura in bellavista
del Grande Concerto e quella del Primo, verità è!
La prima esecuzione accertata è quella del 7 marzo 1816
e, al di là della denominazione “Primo Concerto”, questo dà il via
a un nuovo genere che presenta innovazioni, una vera magia,
e anche analogia con il Grande Concerto. Qui il nostro musicista
per la prima volta sperimenta la prassi dell’iperaccordatura
praticata poi nelle “Streghe”. Dal Concerto a prima vista
ci son pervenute la parte del violino solista e la partitura.
Occorre dire che Paganini era gelosissimo a dismisura
della sua musica temendo che gli potesse esser rubata
o copiata; rispetto al “Grande Concerto” il linguaggio musicale 159

è più maturo mentre il virtuosismo, cosa ben accertata,


è sempre il medesimo, mirabolante e inarrivabile,
dei “Capricci” e delle “Streghe”. Certo è che l’artista
fosse un assiduo frequentatore di teatri come, a prima vista,
si nota nell’Epistolario come nota è anche l’amicizia
che l’unì con Rossini e che durò una vita con letizia.
Tra i due musicisti esisteva una sorta d’affinità elettiva;

entrambi eran venuti a sconvolgere la placida routine


del mondo musicale italiano portando una ben viva
ventata di novità e Paganini testimoniò con continue
variazioni le opere del pesarese di dieci anni più giovane.
Con la grandiosità dei suoi gesti teatrali, l’enfasi romantica, oibò,
dei temi, il patetismo profuso a piene mani, ben lo so,
il Concerto in bibemolle maggiore è un’opera giovane,
di nuovo genere e l’esplosione virtuosistica, a ben guardare,
viene a coinvolgere la forma e a modificarla a tutto andare.
Questo Concerto è il capolavoro di un musicista nel pieno 160

delle forze e della maturità artisitica che si appresta


a conquistar l’Italia e poi l’Europa in maniera lesta,
un’opera di eccezionale freschezza e inventiva meno
che mai concepita secondo madalità formali che l’artista
padroneggia ormai con consumata abilità in bellavista!
Anche del Secondo Concerto in si minore si conserva
la parte del violino solista autografa, separata
dalla partitura pur autografa che comprende, accertata
cosa, archi, flauto, oboi, clarinetti, fagotti, corni, come cerva
in foresta, cui Paganini aggiunse timpani, grancassa
o campanello coprotagonista nel Rondò finale a massa.
Tale concerto è scritto in una tonalità come per il violino
ed è formato da tre movimenti abituali per benino
presentandosi con un Allegro maestoso seguito da un secondo
“tutti” con episodio virtuosistico, un Adagio che si apre
con 16 battute per poi sfociare in un pezzo musicale che par secondo
all’Andante sostenuto del Concerto numero 24 di Viotti.
Il pezzo forte del Concerto in si minore è costituito a fiotti
dal movimento finale, il c.d. “Rondò della Campanella”,
immortalato da innumerevoli trascrizioni, adattamenti, ben bella,
arrangiamenti tra cui quello celeberrimo di Franz Listz.

161

Il solista comincia il famoso motivo, subito, ebbene si,


ripreso dall’orchestra, brioso e grondante di malizia
con il suo inizio lanciato e con arpeggi di chiusura,
le notizie di spinta, la struttura armonica su misura,
l’insieme quadrato,elegante e orecchiabilissimo con furbizia,
l’esecuzione in “martellato volante”. Tale Rondò
presto divenne uno dei pezzi più popolari di Paganini che dopo creò,
successivo al secondo, il Terzo Concerto in mi maggiore nel 1826
di cui ben noti sono i pizzicati, caro lettor ci sei?,
contrapposti ai fragorosi accordi dell’Andante introduttivo.
A tal proposito occorre dire che se il contributo discorsivo
in campo musicale dato dall’artista all’apparizione
e allo sviluppo del romanticismo europeo fu decisivo
e importante, anche se meno spettacolare, l’apporto che
in senso inverso all’affermarsi della sua musica fu la tradizione
musicale austrotedesca: nelle capitali di quei paesi
il genovese potè ascoltare ed eseguire di persona, a netti pesi,
le composizioni di Haydn,Mozart, Beethoven, con ammirazione,
specie all’inizio, acuta, che si alimentò dopo opportuna
conoscenza e che sfociò nelle sue “Maestosa Sonata
Sentimentale” del 1828 e del “Quarto Concerto”, una fortuna!
Tale Concerto è ancora un Allegro maestoso con un primo solo 162

iniziante a battute 163, riprendendo il tema d’apertura;


il secondo movimento, Adagio flebile, con sentimento su misura,
è una delle creazioni paganiniane più pure ed espressive
con un Lied monotematico che ricorda il miglior Bellini
e che si conclude con un Rondò galante, Andantino
gaio, insomma tutta musica unica creata dal genio di Paganini.

Il Quarto Concerto in re minore è l’ultimo concerto


che l’artista riuscì a finire; del concerto successivo,
il Quinto in la minore ci è pervenuta infatti, dato ben certo,
soltanto la parte del violino solista, autografa e in corsivo,
corredata dalla guida orchestrale, lavoro che non riuscì
a portare a termine per il riacutizzarsi della sua malattia.
La data di composizione è ignota ma sicuramente, lì per lì,
non in senso di velocità ma temporale, tra il 1830 e il 1840;
dopo la bella ed ampia introduzione orchestrale che con tanta
celestialità, di 134 battute, favorisce il solista al suo ingresso,
riprendendo il prino tema e cantando poi il secondo, un nesso?,
tema tutto in ottave differenti e dopo il secondo “tutti”
si svolge in un’atmosfera concitata, esaltata da vibranti 163

tremolii d’archi utilizzando apunti melodici, non a se stanti.


Il secondo movimento “Andante un poco sostenuto” è
il più bel tempo lento di concerto che Paganini, verità è,
abbia mai composto, animato da un inesauribile
e sorprendente vena melodica; purtroppo se non temibile
il movimento finale, Rondò, Andantino quasi Allegretto,
arguto e molteplice, non è all’altezza dei due, presto detto,
tempi precedenti: il tema d’apertura è in effetti
piacevole e variegato e gli episodi intermedi condotti e netti
con padronanza e senso della forma ma è palese
che un concerto di questa qualità avrebbe richiesto, ben cortese,
da parte dell’autore, un maggior sforzo d’individuazione
musicale anche per il tempo conclusivo alla perfezione!
CONCERTO NR. 1 IN RE MAGGIORE
PER VIOLINO E ORECHESTRA

La tonalità originale di questo Concerto era bimemolle


mentre la parte del violino era scritta in re, non folle
cosa se bisogna accordare il violino con un semitono 164

sopra rispetto all’orchestra: nelle intenzioni dell’artista


ciò doveva rendere più teso e brillante il suono
dello strumento solista. Come sempre e in bellavista
in Paganini la scrittura del solista è di un virtuosismo
trascendentale, piena d’innovazioni e d’ardimento, con lirismo,
tecniche quali prima di allora sarebbero state impensabili
su uno strumento come il violino. L’andamento con mirabili
aspetti del discorso musicale è ispirato a melodiosità
ed ha dell’improvvisazione, impressione rafforzata, ben si sa,
assoluta del solista d’orchestra: quest’ultimo, ben lo so,
si limita ad un ruolo d’accompagnamento discreto, oibò,
imperniato sui contrasti e, vedi caro lettor, sulla dialettica tra
il coro orchestrale e il solo strumento, là per là,
atteso che Paganini non è soltanto grande violinista virtuoso
ma anche musicista di razza, inconfondibile e altresì generoso.
Il primo tempo è un “Allegro maestoso” in cui melodie
piene di lirismo s’alternano a iperdolci tecnici passaggi;
segue un “Adagio” in si minore a larghi raggi
simile, così l’intende l’autore, a preghiera di prigioniero
e infine un rondò “Allegro spiritoso”, con, proprio vero,
strabilianti, diversi e difficili colpi d’arco, doppi e armonici,
scale e arpeggi d’ogni genere che arrivano con toni fonici
a sfiorare registri acuti, prima d’allor naturalmente ignorati
nella pratica violinistica dell’epoca, insomma mai ascoltati!
165

ANCORA SUL CONCERTO NR. 1 OP. 6

Se tutta la musica scritta fra gli ultimi anni del XVIII


secolo e la prima metà del XIX dovesse per un caso
scomparire e “a delizia del mondo” rimanesse, raro caso,
solo il Primo Concerto di Paganini, in quattro e quattrotto,
troveremo in esso qualcosa di tutta la civiltà musicale
di quell’epoca e l’eco vastissima di mille esperienze a sale
e scendi sua pur sotto il segno di facile esteriorità. Troveremo là
il più puro spirito vocalistico del bel canto di rossiniana
impronta (stacco iniziale del terzo movimento, cosa non strana,
quasi una cabaletta e il Rossini dell’ouvertures, ben si sa).
Il sinfonismo eroico di Beethoven caratterizza tutta la prima
fase orchestrale del primo movimento con quell’andamento
di marcia idealizzata oltre a un facile eco, come dolce vento,
di mozartiana e schbertiana memoria. In effetti quello che
ne risulta non è certo una musica immortale, verità è, 166

troppo eclettica e asservita alle esigenze del violino


e il virtuosismo diventa creazione poetica per benino!
Qui Paganini crea qualcosa di completamente nuovo, non solo
l’audacia spericolata di passaggi tecnici ma proprio e solo
lo spirito della musica, la sua capacità di trasformare
un complicato concatenamento d’accordi, a ben guardare,
in un fremito misterioso di radice romantica: il capriccio,
la bizzarria, la stranezza diventano così portatori d’umori
non ripresi e riciclabili dai grandi romantici in modo massiccio.
Il Confalonieri nella sua “Storia della Musica” richiama
l’attenzione sulla maniera paganiniana di cantare, acuta come lama,
sulla quarta corda mentre le altre (tipo pizzicato)
segnano uno schema d’accompagnamento armonico, certo dato,
tal che l’influsso del virtuosismo italiano, vedi lettor, si estese
ben oltre il mero fatto esecutivo, da musica ben cortese.
Il primo tema, che s’annuncia dopo un doppio accordo dell’orchestra,
ha un carattere marziale che dà sonorità particolare, non mesta,
a tutto il concerto; dopo una ripetizione di questo tema
comincia una nuova idea ritmata di tipo rossiniana.
Questo spunto ha un ampio sviluppo per tutto, cosa non strana,
al primo movimento affidato all’orchestra mentre il tema
primo è sfruttato soprattutto dal violino e questo è il teorema!

167

Più avanti l’orchestra annuncia il secondo tema, una dolce melodia


cantabile che crea il tipico contrasto beethoviano: sembra magia
ma il movimento è costruito sull’elemento del virtuosismo
al solista (primo tema), degli sfoghi più intensi della cantabilità
(secondo tema) e nell’Adagio dal sapore operistico, ben si sa,
ove il violino è lo strumento principale che disegna melodie
espressive tipicamente violinistiche (e proprio come fantasie
magiche Schubert su questo pezzo disse di aver sentito
un angelo cantare), melodia da suonare con un dito!
Il Rondò non ha una grande consistenza musicale ma è
tutto in funzione del più spericolato virtuosismo che nel finale
tocca il limite della difficoltà. Non è dato saper, verità è,
la data di composizione di tal concerto, anche se a scendi e sale
si reputa sia del 1811; e tale opera sarebbe stata composta
prima di ogni contatto con l’estero nell’ambiente tipico nazionale
indifferente alla musica strumentale e senza l’influsso orchestrale
di Rossini. La cosa più logica però, caro lettor, è pensare
che il concerto sia stato scritto nel periodo della tournèe
europea iniziata nel 1828 ed entro il 1831 quando, a ben guardare,
venne eseguito da Paganini in occasione della sua prima esibizione
parigina all’Operà: solo dopo la morte del musicista. 168

la composizione venne pubblicata nel 1851 contemporaneamente


a Parigi e a Magonza ricevendo il numero d’opera 6 in bellavista!

CONCERTO NR: 2 IN SI MINORE


PER VIOLINO E ORCHESTRA

E’ noto come il Concerto della “Campanella” per il Rondò


finale sembra imitare il tintinnio di tale cosa:
e tutti conoscono lo studio per pianoforte ricavato
da Listz che di Paganini era un ammiratore entusiasta, lo so,
e nelle proprie composizioni pianistiche introdusse, a josa,
molte innovazioni tecniche impensabili, e ciò è certo dato,
senza la precedente opera del grande italiano violinista.
Anche in questo meraviglioso e unico Concerto al solista
è affidata una parte di spettacolare virtuosismo che nel Rondò
finale raggiunse vette di straordinaria altezza: ma senza rococò
se nel finale sta in primo piano l’esigenza tecnica, conviene
tener presente che nei primi due tempi vi sono idee serene 169

e puramente musicali degne di un grande compositore


ove la melodia dello strumento solista ha, a tutte le ore,
un bel rilievo plastico ed è di un lirismo intenso
e fluente, insomma musica divina di un infinito denso!

LE VICENDE DELLE OPERE DI PAGANINI

Negli anni 70 dell’800 Schubert di Amburgo, Ricordi


e Schott pubblicarono alcuni titoli mentre il resto
inedito giacque a casa di Achille non avendo trovato, da sordi,
editori; poi tutto tacque finchè in modo mesto
i nipoti del grande violinista decisero di vendere allo Stato
la collezione di manoscritti inediti ma, certo è il dato,
la commissione governativa incaricata d’esaminare
il materiale dette parere negativo così, a ben guardare,
nulla venne acquistato, cosa che si realizzò, nel 1910,
all’asta a tale Olschk che lo rivendette a Heyer 170

per il suo museo e che ne dispose la consultazione. Circa 10


anni dopo l’Universal Edition di Vienna dette alle stampe
alcuni pezzi per violino e pianoforte mentre l’editore
Zimmerman di Francoforte nel 1925 stampò a tutte le ore
26 composizioni per chitarra sola e l’anno dopo a tutte rampe
un’altra asta assegnò i manoscritti a Her Fritz
Reuther, un collezionista di Menheim; nel 1935 lì per lì
toccò a Schott e nel 1940 a Casa Ricordi. Infine nel 1971
il Governo italiano acquistò i 90 manoscritti che, salvognuno,
si trovano presso la Biblioteca Casanatense di Roma.
A volte a causa di tante ricerche faticose, come asino da soma,
fu ritrovato l’archivio del violinista e compositore
Camillo Sivori in cui son presenti 23 composizioni
alcune delle quali non si sospettava l’esistenza.
Su incarico poi del Comune di Genova, con suggestioni,
è stato stilato nel 1982 il “Catalogo”, una magnificenza,
tematico delle musiche di Niccolo’ Paganini che, a tutte l’ore,
supera i centotrenta numeri d’opera, un vero e proprio splendore!
ALTRE OPERE PER VIOLINO E ORCHESTRA

Se i concerti per violino e orchestra erano destinati


per lo più a mettere in luce, insieme alle qualità
dell’interprete, anche quelle del compositore, certi i dati,
le opere in forma di tema con variazioni avevano, si sa, 171

lo scopo di entusiasmare e stupire il pubblico ponendo in evidenza


tutte le risorse della tecnica trascendentale con magnificenza
del violinista genovese. Paganini eseguiva in genere tre
pezzi: un concerto, una composizione sulla sola, verità è,
quarta corda e un altro tema variato per violino e orchestra:
il pubblico non ascoltava in rispettoso silenzio ma chiacchierava
e commentava e un tipo come il Nostro per colpire con mano lesta
e con tecnica funambolica, senza timore di esibirsi, poteva,
a meno che di trovarsi in chiesa, eseguire imitazioni
d’animali, eseguendo il famoso “Fandango Spagnuolo”
con una sola corda. Nei temi con variazioni alla perfezione
questo elemento funambolico è dunque e proprio un assolo
che fa parte integrante della composizione costituendone
al tempo medesimo il contenuto e la ragione. E ciò
accade nella “Carmagnola”, nelle “Streghe”, nella “Maestosa”, lo so,
“Sonata Sentimentale”, nella “Sonata Varsavi”a, “Grande
Viol”a, nel “Balletto Campestre” e nelle opere più evolute
e musicalmente più riuscite ove Paganini è in grado alla grande
di raggiungere una migliore integrazione tra, con salute,
le varie parti della composizione, e c’è da osservare
che l’artista fu il primo a scrivere un’intera opera, a guardare
bene, per violino sulla sola quarta corda. Basandosi sugli esempi
di precedenti violinisti, come Kreutzer, e non da modi empi
sfruttando la propria perizia e fantasia, inebria il nostro artista
dalla semplice contrapposizione tra quarta corda, a prima vista, 172

all’esclusivo uso, nota ben caro lettor, della sola quarta corda
in una composizione: ecco come nacque la “Napoleon Sonata”
che suscitò stupore e ammirazione tra gli ascoltatori, una cannonata!
Di pochi anni posteriore a questa sonata la “Polacca” risulta
eseguita in concerto già nell’ottobre del 1810 ed esulta
il pubblico nell’udire l’opera che è gioiosa e vivace.

C’è da aggiungere poi che, anche se la prima esecuzione ben verace


e documentata risale al 12 febbraio 1813 a Bergamo, è stato
supposto che la Sonata “Maria Luisa” sia stata scritta, non certo dato,
come pandant alla “Sonata Napoleon” in occasione delle nozze
dell’imperatore con Maria Luisa d’Austria, avvenuta, a fichi e cozze,
il 2 aprile 1810. Il 29 ottobre 1813 Paganini a Milano debuttò
con un concerto al Teatro della Scala che fece immensa sensazione, lo so,
e un mese e mezzo dopo, egli propose un’accademia al Teatro Carcano,
quello che sarebbe divenuto in seguito uno dei suoi pezzi, non arcano,
favoriti, le “Streghe” basato su un tema del balletto di Viganò,
“Il noce di Benevento” su musica di Sussymyer, allievo di Mozart oibò! 173

Delle “Streghe” si è in possesso, in autografo, la parte del violino


solista e l’accompagnamento al pianoforte e arpa, priva però
di partitura orchestrale originale. E’ poi da non dimenticare, un po’
pensa caro lettor, la Sonata e variazioni su tema “Pria ch’io l’impegno”
dell’Amor marinaro che fu rappresentata con ingegno
per la prima volta a Vienna in lingua italiana nel 1797
con il tema divenuto assai popolare all’epoca, bubusette!

La composizione che comparve per la prima volta al De Fiorentini


Teatro di Napoli il 1819 (“Non più mesta accanto al fuoco”
basata sul Rondò della “Cenerentola” di Gioacchino Rossini)
è un caso del tutto particolare all’interno della produzione
per violino e orchestra del musicista genovese alla perfezione
ed è costituito dalla celebre “Tarantella” d’ispirazione folcloristica
ma allo stesso tempo melodica mentre caratteristica
di Niccolo’ è pure la “Sonata a Preghiera” per violino
sulla quarta corda, una delle composizioni paganiniane per benino
delle più eseguite, cavallo di battaglia dei più grandi violinisti. 174

Problemi non diversi da quelli di questa sonata a pieni visti


solleva anche la datazione di un altro celebre pezzo per violino,
i “Palpiti” ove Paganini impiega un tema della “Zelmina”
andata in scena a Napoli nel 1822 mentre, vedi caro lettor, fina
è la composizione del “Tancredi” di cui è tratta
l’aria “Di tanti palpiti” impiegata per le variazioni
eseguita alla Fenice veneziana nel 1813 con emozioni.
La partitura originale dei “Palpiti” è perduta ma è stata fatta
salva la parte d’orchestra impiegata dal genovese
nei suoi concerti alcune delle quali autografe, ben cortese!
Nel complesso i “Palpiti”, così come le “Streghe” e la “Sonata
con Preghiera”, danno l’impressione di una perfetta padronanza
della forma del tema con variazioni e, una cannonata,
della capacità di Paganini di fondere l’esibizione da paranza
a formule di bravura ricorrenti in una composizione
unitaria e ben caratterizzata, ricca d’estro e di fantasia
in cui la gestualità esecutiva diviene parte integrante
del discorso musicale. La “Maestosa Sonata Sentimentale”
in cui vien variato l’inno imperiale composto, una magia,
da Haydn fu scritta dal genovese a Vienna, a scendi e sale,
nel 1828 sull’onda del successo dei concerti: tale
opera è una delle migliori composizioni del musicista
a differenza della “Tempesta” che non ottenne consenso
di pubblico e di critica né migliore fu l’esito ancor denso
e negativo della stessa a Praga, talchè, non in bellavista, 175

fu esclusa dal repertorio di Paganini. C’è poi da menzionare


la “Sonata Drammatica” (insieme alla Sonata, a ben guardare,
Militare, Appassionata, Amorosa galante) con espressione
di sentimenti amorosi, dolorosi, di riconoscenza,
e inoltre la “Sonata Varsavia”, scritta con variazioni
su una mazurka del compositore polacco Elsner, variazioni
ove spiccano le ottave legate e i pizzicati senza
mano destra ma con la sola mano mancina con passaggi
veloci e arpeggi, terzine con acciaccature, quartine
e disegni ritmici. Con le Variazioni sul “Carnevale di Venezia” infine
si ritorna a una proliferazione di variazioni appunto di difficoltà
che posson sbalordire chi si intende in tema di violino là per là.
Dopo il predetto carnevale dobbiamo giungere agli ultimi anni
della vita del compositore per trovare due opere, senza affanni,
originali per violino e orchestra, ossia la “Sonata Appassionata”
e quella “Amorosa Galante” oltre al San Petrek’s Day.
Un’altra composizione di tal genere è la “Sonata Movimento Perpetuo” 176

a cui si aggiunge quella della “Primavera”, e non caro lettor, tuo,


ma del “Balletto Campestre”. Accanto, si noti bene, alla Primavera
che s’inserisce a pieno titolo nel filone più nobile, cosa vera,
dei temi con variazioni paganiniane, il citato “Balletto Campestre”
accentua gli aspetti più grotteschi e umoristici presenti
da sempre nel repertorio del genovese: con, magiche e maestre,
le sue 49 variazioni, esso può esser considerato, senti
ben caro lettor, quasi un moderno aggiornamento
del perduto “Fandango Spagnuolo”, facile alla tonalità
di partenza. Variazioni tutte per violino solo in un momento
e caratterizzate dall’aspetto gioioso o grottesco o quelle, ben si sa,
con smagliante successione di note trillate, con frenetiche
biscrome legate a armonici, pizzicati e patetismo.
E poi ancora da ricordare quelle vertiginose e ritrattistiche
a toni discendenti, quelle fantastiche piene di lirismo
e talune con arpeggi contrapposte a quelle pizzicate
tenendo conto delle ottave parallele e quelle create
come la numero 49 che Paganini scrisse con mano lesta:
da qui musica divina e diabolica che indica la strada maestra!
NICCOLO’ PAGANINI A MR. HENRY

Nel catalogo delle composizioni paganiniane c’è un lavoro


che spicca su tutti: trattasi di “Niccolo’, bontà loro,
Paganini a Mr. Henry”, pezzo da concerto in mi maggiore
per corno e fagotto ove Mr. Henry a tutte le ore 177

sarebbe da identificare nel fagottista francese


Antoine Nicolas Henry nell’orchestra, ben cortese,
dell’Operà-comique parigina e insegnante di conservatorio
nella capitale transalpina. Come e perché, non è notorio,
il genovese, pur essendo oberato dagli impegni concertistici,
potesse aver trovato il tempo per scrivere quest’opera non si sa.
Il pezzo è formato da due soli movimenti là per là:
un conciso “Larghetto” introduttivo e un succoso moderato
“Allegro” e il linguaggio è quello di un’ouverture, certo dato,
rossiniana con richiami alla sinfonia del “Barbiere di Siviglia”,
insomma dei brani di musica paganiniana che è una meraviglia!
LE CONVENT DU MONT SAINT BERNARD

Bizzarra e originale questa composizione per violino solo


ebbe luogo all’Accademia Reale di Musica di Parigi; un assolo
eseguito il 30 aprile del 1832, più volte rimaneggiato,
con il movimento conclusivo del Rondò della Campanella, 178

con un iniziale Andante sonnolento con stanca, ben bella,


melodia che precede un Minuetto misurato, certo dato,
pagina di grande delicatezza che ricorda la “Maestosa Sonata”.
Con il suo eclettismo vagamente berlioziano, una cannonata,
questa Convent contiene note musicali raffinate,
musica deliziosa che sembra creata da ninfe innamorate!

LA GRAND VIOLA

Posteriore di due anni a Le Convent du Mont Saint Bernard


la “Sonata per la Gran Viola” è il più sostanzioso virtuosismo
dei contributi paganiniani alla letteratura violinistica
in aggiunta alla Sonata per violino e ai Trii per viola con lirismo.
Nella Grand Viola il genovese tende a sfruttare, con artistica
maniera, il registro acuto dello strumento: all’origine della composizione
sta la richiesta che Niccolo’ fece al francese Berlioz nel 1833
di una composizione per viola a lui destinata e da eseguire, verità è,
con la viola di proprietà dell’amico Germi che il nostro artista
si era fatto inviare dall’Italia. Non soddisfatto a prima vista
del lavoro il genovese scrisse allora di suo pugno la Sonata
in parola che ebbe luogo a Londra nel 1834, una cannonata,
anche se il successo soprattutto dai critici fu modesto.
L’opera si apre con un Larghetto cedendo il posto poi in lesto
modo al solista impegnato in un drammatico Recitativo 179

di carattere vocalistico; segue un Cantabile evocativo


dalle inflessioni popolareggianti che indi lascio il posto al tema
e che in qualche maniera riprende il motivo (il teorema
è questo) dell’aria “Ecco ridente in cielo” del “Barbiere
di Siviglia” rossiniano. Seguono poscia tre variazioni
di grande virtuosismo esecutivo ed una fantasiosa
e brillante coda conclusiva; composizioni con colorazioni
ardue e difficili dedicate, sappi caro lettor, alla viola a josa
con l’uso estensivo dei bicordi, le contrapposizioni
di passaggi nei diversi registri e ai suoni armonici,
musica celestiale da sentire e da vedere anche dai daltonici!
VARIAZIONE SULLA QUARTA CORDA
SUL MOSE’ DI ROSSINI

Una delle più tipiche caratteristiche del violino paganiniano


era di certo la volontà di stupire il pubblico, come volo di gabbiano,
anzi con un mano sola sulla quarta corda con il prestigio 180

di una tecnica sbalorditiva ma spesso, alquanto ligio,


anche con il ricorso ad altri mezzi e, vedi lettor, a altri trucchi.
Come nella presente “Preghiera del Mosè” rossiniana a mucchi
ossia la variazione su tale opera che Paganini scrisse
per la sola quarta corda (quella del sol). In cotal maniera visse
così questo aneddoto fiorendo su tale episodio e il genovese
ne dette una versione. “Una dama molto amabile, ben cortese,
che io riservatamente amavo da molto tempo, e assidua, lo so,
spettatrice dei miei concerti, mi sembrò di aver passione
nei miei confronti e poco a poco questo sentimento alla perfezione
crebbe. E proprio per tal motivo cercai, io Niccolo’,
di sorprenderla con l’annuncio di un mio pezzo musicale
dal titolo “Scena amorosa”. E lo stupore della folla
fu enorme vedendo il mio violino dotato, a scendi e sale,
di due sole corde (sol e continuo) da rappresentare
i sentimenti di una giovane, quello cioè di prestare
la voce ad un amante appassionato. E anche la principessa
Elisa, dopo gli elogi, per la sonata a due corde, nella stessa
circostanza mi “provocò” circa il suonare con una sola
corda soltanto: al che le promisi in tal modo di tentare.
L’idea sorrise alla mia immaginazione talchè, a ben guardare,
composi con la sola quarta corda la “Sonata Napoleone”
e fu un successo senza eguali, brillante e alla perfezione!”

181

IL CANTABILE

Fra le composizioni di Paganini il “Cantabile” si distingue


per un’invenzione melodica piena e distresa con lingue
acute musicali senza i tradizionali scatti di virtuosismo.
E’un po’ il prototipo di tanti celebri brani tipicamente, senza lirismo,
romantici abbondanti in una loro cantabilità struggente
e sentimentale e è poi interessante notare prevalentemente
le precise affinità non sol di clima fra le note e pezzi
musicali e il Cantabile di Paganini, e si badi non son vezzi!
I CAPRICCI

Presumibilmente completati tra il 1798 e il 1802


(e pubblicati nel 1818) questi “Capricci”, dopo l’uno il due,
sono una raccolta di studi, analoga a quella pianistica
di Chopin, ove la tecnica si fonde con la creatrice fantasia. 182

Animati ed esaltati poscia (con funzione non mistica)


dai violinisti successivi, Paganini li eseguiva, una magia,
a volte malvolentieri nei propri concerti, costretto
per sfatare la leggenda del buon compositore, presto detto,
e del cattivo esecutore. Al riguardo c’è da osservare
che tale diceria veniva poi smentita dai fatti, a ben guardare,
in quanto imitava con il violino il canto degli uccelli,
i flauti, i corni; venne perciò nominato primo violino, ben belli,
della Repubblica di Lucca. Sappi lettor che il periodo compreso tra
il 1801 e il 1805 è piuttosto oscuro e, con o senza malignità,
la cronaca sul conto di Paganini cominciò a trasbordare
notizie non sempre attendibili e verificabili a ben osservare:
come la sua prigionia dopo aver ucciso, moglie o amante
che fosse, come i lavori forzati che gli procurarono seduta stante
un impedimento alla gamba sinistra a lungo malandata
e come il suonar il violino su un’unica corda, una cannonata!
CAPRICCIO IN SI E IN MI BEMOLLE MAGGIORE

Due esempi tratti da quella straordinaria raccolta di difficoltà


tecniche sono i “24 Capricci” di cui il numero 13, ben si sa,
è un grottesco Allegro costruito sulle teroglissate che raggiunge
effetti strani e imprevedibili. Il numero 17 non ha, e funge, 183

problemi tecnici ma è una delle più belle pagine paganiniane,


un Andante in cui rapidi e suggestivi melodici voli
si alternano ad accordi cupi e pesanti; e con pochi tocchi soli
si arriva alla parte centrale che ha un colore a tinte insane,
tragico tratto demoniaco nel suo sfuggente precipitare:
musica angelica e satanica del grande violinista, a ben guardare!

LE STREGHE

Scritte dopo il 1813 allorquando Paganini a Milano ascoltò


il balletto di Sussymayer (l’allievo di Mozart che elaborò
definitivamente il suo Requiem), la raccolta di variazioni
intitolata “Le Streghe” è una delle pagine più, con suggestioni,
complesse del musicista genovese. Lo spunto tematico
è offerto da una semplice melodia che nel balletto
sottolineava un’entrata di streghe e, presto detto,
di satanico era il modo in cui Paganini, con far pragmatico,
riusciva a trarre dallo strumento impossibili passaggi
che il pubblico ascoltava con fiato sospeso e a larghi raggi,
come di fronte a un precepizio con profonda suggestione:
tal la musica del Maestro genovese piena di certo di venerazione!

184

VARIAZIONI SUL TEMA “NEL COR PIU’ NON MI SENTO”


DI PAISIELLO

Ancor più che nei “Capricci” è proprio in queste variazioni


che si trova la somma della tecnica esecutiva paganiniana.
Nessuna risorsa è lasciata intentata e, con colorazioni,
l’esecutore deve davver moltiplicarsi per riuscir, in maniera sana,
a tutto, come nei passaggi in cui l’arco tiene note
e la mano sinistra pizzica le altre corde. Il musicista
stesso aveva scritto a proposito di questa pagina solistica a prima vista
che il violino soltanto riusciva a realizzare l’intera armonia
senza bisogno dell’accompagnamento orchestrale, una magia!
PARTE TREDICESIMA
185

ALTRE OPERE
OPERE PER VIOLINO SOLO

Contrariamente a quello che si può credere la musica per violino


solo non costituisce, almeno per quantità, l’aspetto che da vicino
è più cospicuo della musica da camera del nostro artista genovese.
C’è, è vero, la grande raccolta dei “24 Capricci”, ben cortese, 186

ma queste composizioni piene di artistiche genialità


segnano l’alfa e l’omega dell’arte paganiniana, ben si sa,
sul violino solo. I suddetti Capricci son da sempre per benone
il più grosso enigma della musicologia del nostro musicista
e furono stampati da Ricordi intorno al 1820, in bellavista,
anche se non è dato sapere con certezza la loro datazione.

Il termine “Capriccio” compare nelle vicende musicali


già a partire dal XVI secolo per indicare brani vocali
o strumentali composti in sile contrappuntistico più libero.
Solo alla metà del XVIII secolo tale termine assume il significato
di libero studio o esercizio per strumento ad arco, certo dato,
come in quelli di Locatelli o del Tartini; e qui si insinuano
quelli di Paganini nell’ambito della compositiva tradizione
evidenziando che essi pur ricalcando la via, alla perfezione,
del violinismo trascendentale, non si pongono come didattica
opera ma che, di sapore barocchiano, son composizioni
libere in cui lo spunto tecnico è trasceso con forti colorazioni
da una fantasia musicale, e mai fini a stessi per pretattica. 187

I “24 Capricci” riuscirono a varcare gli angusti confini nazionali


imponendosi all’attenzione dei vari musicisti stranieri
del livello di Listz e di Schuman, a scendi e sali,
attraverso l’entusiastica accoglienza e la trascrizione di questi autori.
Detti “Capricci” finirono per esercitare maggior influenza all’estero,
che non in Italia offrendo stimoli e suggerimenti, non da ieri,
soprattutto ai pianisti prima ancor che ai violinisti. Valori
e riconoscimenti: il tributo maggiore i “Capricci” l’ebbero dai musicisti
romantici che videro in essi il segno e la manifestazione
di una nuova volontà, tra l’altro originale, e , vedi lettor, alla perfezione,
di una forza destinata a sconvolgere il tranquillo incedere a primi visti
delle case musicali portando lo scompiglio e introducendo caos
nell’ordine. Tolti i “Capricci” il catalogo paganiniano delle composizioni
per violino solo si rivela nel complesso povero, senza eccessive creazioni:
non è il caso della “Sonata a violino solo”, sappi caro lettor, dedicata
alla principessa Elisa di Lucca, d’interesse particolare
e d’indubbia genialità, senza del resto poi trascurare
il breve “Valtz M.S.80”, il “Tema variato” e, della stessa data,
l’ “Inno patriotico con variazioni M.S.81”, una vera e propria cannonata!
OPERE PER VIOLINO E PIANOFORTE

Si è in possesso soltanto di un piccolo numero di composizioni


per violino e pianoforte: il “Cantabile in re maggiore
M.S.109”, i “Quattro Notturni” a quartetto con colorazioni
e i “Trois Airs Varès” sulla quarta corda e a tutte le ore! 188

Solo il “Cantabile” è pervenuto in autografo manoscritto:


il motivo di tanta scarsità è semplice in quanto
Paganini non sapeva suonare il pianoforte e dritto dritto
solamente la chitarra come strumento d’armonia, tanto.
Il citato Cantabile è una delle poche opere che goda
da tempo di una certa popolarità, pubblicato nel 1916
e ristampato nel ’22: la sua melodia che loda
chi l’ascolta è pacata e serena senza suggestioni
virtuosistiche e caratterizzata da una cantabilità
affettuosa e malinconica. Una pagina con colorazioni
breve e semplice, leggera e spontanea. I Quattro Notturni, si sa,
son composizioni giovanili con espressioni popolari
a differenza dei Trois Airs Variès di dubbia autenticità
che Casa Ricordi pubblicò nel 1828 contenenti pezzi vari!
OPERE PER VIOLINO E CHITARRA

Le composizioni per violino con accompagnamento di chitarra


costituiscono la parte più cospicua della cameratistica produzione
del nostro genovese che di recente, sappi caro lettor, come narra
la storia musicale di Paganini, ha arricchito il suo repertorio per benone. 189

Trattasi di oltre 80 lavori, di forma e di intendimenti diversi


a cominciare dalla sua prima grande opera, la “Carmagnola”
con variazioni e per finire con il “Moto perpetuo”, non una sòla!
Le “Sonate per violino e chitarra” sono opere d’esile fattura
per intrattenimenti privati e gran parte di queste sonate
fu scritta durante il soggiorno lucchese e dedicate su misura
a personalità della corte napoleonica di Elisa Baciocchi ben pensate.
Il titolo di sonata va inteso nella sua accezione
di pezzi da suonare ma non implica di certo l’adozione
di strutture formali riconducibili alla classica forma-sonata.
Il violino è caratterizzato da libertà che gli permette con tocco di fata
di espandere la sua vena cantabile e brillante, come è stata
nella “Sonata Concertata” e, vedi lettor, nella “Grande Sonata”!
La “Carmagnola” viene, come detto, considerata, la prima opera
giovanile (1795) precedente (forse) al “Duetto amoroso”,
del tutto immaturo, composizione in cui s’intravede il “genioso”
(licenza poetica) Paganini del futuro, anche se priva dei celebri pizzicati
della mano sinistra. Agli anni del soggiorno lucchese
appartiene invece un’ampia serie di sonate, ben cortese,
per violino e chitarra pubblicata da Ricordi nel 1820;

190

c’è da dire che l’ “Entrata d’Adone nella reggia di Venere”,


che apre la serie delle opere lucchesi, è un breve pezzo, senti
caro lettor?, il cui unico motivo di originalità
è costituito dal titolo. Le 6 “Sonate M. S. 9” furono dedicate
a Madame Frassinet, moglie del Generale (non di certo io) che là
per là era una dama di corte della principessa Elisa, cantante
dilettante; al riguardo non esiste comunque alcun ragionevole
motivo per identificare questa persona con la piacevole
“dama d’alto lignaggio” che Paganini si sarebbe, seduta stante,
invaghito e presso la cui abitazione , sappi caro lettor, si ritirò
per dedicarsi alla composizione di opere per chitarra, oibò!
Una misteriosa “Madame T.” è invece la dedicataria
delle 6 Sonate op. 5, forse Teresa Quilici, sorella
d’Eleonora cui il genovese dedicò le sonate, ben bella,
ed anche una piccola rendita. Dedicate, in maniera varia,
alla principessina Napoleone, ovvero la figliola di Elisa Baciocchi,
le 6 Sonate op. 6 mentre le analoghe, senza compenso di baiocchi,
ma con stima il violinista le dedicò a Delle Piane Agostino
che fu allievo del Maestro alla corte di Lucca da vicino,
e tali composizioni furon pubblicate da Casa Ricordi nel 1820.
L’ultima raccolta organica di sonate per violino e chitarra 191

composta da Paganini è costituita dalle 18 Sonate, senti


caro lettor?, del c.d. “Centone di Sonate”, come si narra,
la cui stesura fu iniziata a Praga, distinto nel numero di tre
fascicoli. E intanto, anche e soprattutto, verità purtroppo è,
delle sopravvenute malattie la fantasia creativa dell’artista
cominciava a inaridirsi: ecco come si spiega la mancata
strumentazione del Quinto Concerto; tuttavia, non a prima vista,
in momenti, invero rari, di calma e di tranquillità, in data

incerta, il Maestro ritornò alla composizione (Variazioni


sul Barucabà concepite con la chitarra in accompagnamento).
Il testo che costituisce il pretesto delle 60 variazioni
è d’origine popolare ed è basato sulla melodia, dolce come il vento,
conosciuta come “Minuetto del Re di Sardegna”.
Queste Variazioni furono dedicate da Paganini all’amico Germi
e costituiscono il completamento ideale ai Capricci, opera degna.
Per l’ultima composizione trattata “Allegro vivace al Movimento
Perpetuo”, la collocazione cameratista è puramente, in un momento, 192

indicativa e pratica e con tale composizione, davvero calibrata ad ori,


il ciclo iniziato esattamente 40 anni prima con la Carmagnola
e negli anni successivi, vedrà da parte di Niccolo’ la stesura di altri lavori
da concerto che comunque non completerà del tutto, una sòla!
Per concludere c’è da dire che la chitarra e il violino
sembrano rappresentare in fondo l’essenza stessa della musicalità
del nostro artista: il trascendentale e il quotidiano per benino,
il colto e il popolare, il pubblico e il privato, ben si sa,
l’alfa e l’omega dell’ intendere e d’amare la sua musica, da pascià!

LA SONATA CONCERTATA E LA GRANDE SONATA

Nella produzione musicale di Paganini la “Sonata Concertata”


per chitarra e violino rappresenta un esempio unico mai più
ripetuto d’opera in cui si realizza un perfetto, vieppiù,
equilibrio musicale tra i due elementi, cosa non stonata,
prediletti dal compositore. Un vero e proprio duetto
presente nel catalogo del genovese in cui si evidenziano ampiezza
e solidità d’impianto e di tematica e inventiva freschezza.
Di contro la “Sonata Concertata” è in tempi nel numero di tre:
il primo è l’Allegro spiritoso, il secondo, verità è,
breve e di liberissima struttura, nota lettor, mentre il terzo
è un tipico Rondò conclusivo con il ruolo, a mò di sterzo, 193

della chitarra abbastanza impegnativo rispetto


a quello del violino che comunque non è come do di petto,
“ad libitum” inutile e fastidioso ma parte reale
ed essenziale dell’equilibrio della composizione. Ancestrale
è questa sonata con un Allegro spiritoso così dovizioso,
calibrata invenzione melodica e musicale
e tuttavia conciso cui fa seguito un Adagio pensieroso
e assai espressivo con dialogo libero tra i due strumenti.
Il Rondò “Allegretto con brio scherzando”, non a stenti,
termina la composizione così genialmente preromantica.
C’è da notare che nella “Grande Sonata” lo stile chitarristico
paganiniano raggiunge l’espressione più completa (fatto artistico).
Tale opera fu scritta a cavallo degli anni 1803-1804
e si articola in tre tempi: il primo Allegro risoluto, dammi 4
caro lettor, il secondo Romance, piuttosto largo, amorosamente,
basato su un’ingenua melodia in forma di Lied creata pacatamente
mentre il movimento conclusivo Andantino, variato è appunto
in tema con sei variazioni, molto affascinante a tutto punto!
OPERE PER CHITARRA SOLA

Oltre a costituire lo strumento indispensabile per l’accompagnamento


delle Sonate per violino, dei Trii e dei Quartetti, dolci come vento,
la chitarra è stata spesso utilizzata da Paganini come strumento
solistico. C’è da dire che in effetti le opere per chitarra 194

furono per lungo tempo ignorate ma poi rivalutate, come narra


la storia musicale, soprattutto per merito del nostro artista
e il Conestabile, primi biografo italiano del compositore,
compilò un catalogo inserendo anche le opere che, a tutte le ore,
vedevano la chitarra come esclusivo soggetto in bellavista
coprotagonista. In realtà le opere chitarristiche di Niccolo’
son tutt’altro di poco interesse, scritte per lo più, ben lo so,
per chitarra c.d. “francese”, ossia a sei corde, che determinò
una loro diffusione dello strumento e celebre quella paganiniana
(Sinfonia della Lodivisca) intarsiata di scanditi ritmi, non cosa strana,
di marce, tipico prodotto musicale invero rivoluzionario.
Per discorsi a parte meritano poi, del tutto necessario
caro lettor, le “37 Sonate M. S: 84”, composizioni solitamente
in due tempi sul modello di quelle per violino
e chitarra. Il primo movimento, visto da vicino,
è un Minuetto virtuosistico mentre normalmente
il secondo è un Allegretto, un Valtz, un Rondoncino: 195

tali 37 Sonate si distaccano dai precedenti pezzi


soprattutto per un maggior impegno esecutivo
e caratterizzate da un certo parallelismo (con vezzi)
alla “Grande Sonata”: in esse si trovano un vivo
formulario schematico e consuete figurazioni
di canto accompagnato da arpeggi con colorazioni.
E nondimeno la fantasia strumentale del genovese
si esprime con guizzo geniale, doti inventive, ben cortese,
e originalità melodica. E’ inutile pertanto affermare
che in tutti questi lavori chitarristici, a ben guardare,
si ritrovano, come nella Grande Sonata, elementi
comuni ai Capricci (passaggi di terze, accordi
alternati a scale). L’originalità a momenti
e la sempre mutevole fantasia, fuor di bordi,
strumentale delle opere chitarristiche del compositore
genovese, risultano con facilità, e a tutte le ore,
come nel brillante Minuetto dedicato a Emilia
Di Negro; altrove Paganini fa anche ricorso
all’amata pratica della scordatura d’un sol sorso.
Accanto alle 37 Sonate si debbon anche ricordare
una dozzina d’altri pezzi sciolti, non numerati,
che s’incontrano nei manoscritti chitarristici
del musicista. Tra questi, vedi lettor, a ben osservare,
merita attenzione il Minuetto e Perigordino
con due variazioni (dedicato alla Signorina da vicino 196

Didarge, una delle tante donne amate dall’artista?).


Un altro gruppo di composizioni comprende 5 Sonatine
d’ampiezza formale, piccole opere garbate e sveltine,
sempre virtuosistiche, melodiche e cantabili e infine
c’è da non dimenticare i c.d. “Schiribizzi” che il violinista
scrisse a Napoli intorno al 1820, caratterizzati a prima vista
da occasionalità e disimpegno, un frammisto tra
scarabocchi e capricci, destinati a una fanciulla, forse non si sa,
partenopea: musica soave scritta con sentimento, che lo dico a far?

OPERE PER MANDOLINO

Il capitolo dedicato alle opere per mandolino è di certo


il meno noto e meno documentato nell’artistica biografia
paganiniana, anche se proprio questo strumento, dato certo,
fu usato per primo, vedi lettore caro, nella sua età giovanile.
Il padre Antonio era un appassionato mandolinista
a livello dilettantistico anche se probabilmente a prima vista
ne curava pure il commercio e che con il suo stile 197

il mandolino era stato oggetto di letteratura musicale


e soggetto di opere a cura di Rolla, Pleyer, a scendi e sale!
Famoso è il Minuetto per mandolino “L’Amardorlino
di Niccolo’ Paganini” e la “Sonta per l’amardorlino
e per chitarra francese”: le due opere sono di stile
e caratteri differenti anche se risalgono all’età giovanile
del nostro musicista; la prima è brillante e virtuosa,
la seconda invece s’accosta alle “Sonate di Lucca” a josa.
Esiste poi una terza opera la “Sonata per Rovere” in tre
tempi con Arietta introduttiva, indi seguita, verità è,
da un Andante sostenuto e da un Andantino brillante,
piacevole anche se nel finale presenta delle difficoltà
dovute al genio paganiniano, spesso inimitabile per carità!

TERZETTI E QUARTETTI CON CHITARRA

Queste opere devono essere annoverate fra quelle


migliori del compositore genovese anche se la loro diffusione
è stata a lungo ostacolata dalle ben note e non belle
vicende dei suoi manoscritti, cui in tempi recenti per benone,
ha posto rimedio l’Edizione nazionale. Dell’artista
ci restano 5 Terzetti e 16 Quartetti con chitarra,
opere giovanili di relativo impegno e di scarso valore, come narra
la storia musicale e i primi due terzetti a prima vista, 198

son ben differenti e degni d’ammirazione, insomma artistici.


Occorre dir che il “Quartetto concertante” era il quartetto
allora maggiormente in voga a Parigi : presto detto,
dagli autori transalpini era stato coltivato
sin da Viotti che da Bruni e Contini, certo dato,
anche se poi, come è naturale nello stato delle cose,
era andato in crisi ma indirizzato con mutazioni a jose,
soprattutto dando spazio al ruolo solistico del violino
e divenendo in tal modo “monoconcertante”. Per benino
frequentato da violinisti compositori (Radicati, Rode, Rolla,
Kreutzer) il citato quartetto concertante divien brillante,
vicino alla sensibilità italiana del tempo, non però come pasta frolla.
I Trii e i Quartetti di Paganini son tutti, o quasi, opere, caro lettore,
d’intrattenimento e non d’occasione, destinati a tutte le ore
ad amici per le loro esecuzioni private e in questa atmosfera
riservata occorre ricordare le composizioni, cosa per inciso vera,
a carattere familiare dedicate ai suoi parenti come il Rondò
con Maestria, Grazia, Canzonetta genovese, quest’ultima, lo so, 199

con richiami alla Sonata Concertata. Dopo la “Serenata”


dedicata alla sorella si registra una pausa, non cannonata,
creativa anche con l’abbandono della corte d’Elisa Baciocchi
(1809) e tra il 1810 e il 1813 Paganini si trovò, a tocchi,
impegnato in una lunga tournèe concertistica nel nord d’Italia
ove si esibì con sue opere quali il Quartetto brillante,
il Cantabile quasi Larghetto e poi, con suono squillante,
i Quartetti con tutte le loro numerazioni. Nel 1823
Paganini fece la conoscenza del giovane violinista genovese
Camillo Sivori cui diede lezioni di violino, ben cortese,
e per il quale compose di 12 pezzi per violino e chitarra, verità è!
Opere della tarda maturità son gli ultimi due terzetti
che mostrano comunque cadute di sile a pesi netti
come nel Minuetto del Terzo Concertante ove l’elaborazione
si è fatta più complessa, elaborata con suggestione,
con un gioco tematico ampio e sottile alla perfezione,
e con una varietà concertante più naturale e spontanea che i sordi
anche apprezzano; la chitarra riesce a svincolarsi e a emanciparsi
dal vincolo consueto dell’accompagnamento in accordi
pieni con arpeggi per ottenere degli assolo virtuosistici.
Sventatamente il nostro musicista era ormai con toni artistici
e di salute troppo stanco e malandato, fisicamente e moralmente,
per potersi dedicare in modo completo alla composizione:
la fine della parabola stava per esaurirsi, una vera maledizione!
200

COMPOSIZIONI PER SOLI ARCHI E FIATI

Tale musica è piuttosto esigua rispetto a quella


già menzionata nella presente raccolta, al di là
di quella non pervenutaci perché andata, non ben bella,
perduta o in quanto custodita gelosamente da privati, si sa.
Il manoscritto autografo paganiniano più antico è
privo di frontespizio ed è intitolato, verità è,
“Duetti nr. 3 Opera prima Violino e Fagotto”.
Tale opera rivela un impegno costruttivo di un certo rilievo
con movimenti in forma-sonata mentre, in quattro e quattrotto,
i tre finali, compresa la spiritosa e esuberante, fatto vero,
“Polacchina” sono in forma di Rondò e l’unica concessione
all’effusione lirica è costituita dalla breve “Petite Romance”.
Nell’ambito della musica da ballo ci sono con suggestione
i “Divertimenti Carnevaleschi” con violini e bassi del 1804,
dedicati al generale francese Milhaud di cui una copia di 4
manoscritti è conservata nella Biblioteca del Conservatorio genovese:
trattasi di una serie di danze comprendente un Minuetto, ben cortese,
6 Alessandrini, 2 Perigordini, una Scozzese e 6 Controdanze
inglesi, piccole composizioni assai leggere, di rappresentanze,
ricche comunque di fantasia e di semplice, sai caro lettor, melodia.
Per un’altra festa da ballo furono scritte analoghe musiche
conservate presso l’archivio degli eredi Sivori, così 201

pure la “Sonata a violino scordato” dedicata, dal riccio


capello, al dell’Orsi, opera giovanile. Poi lì per lì
esplicito carattere d’esercizio scolastico, come riccio
di mare, buono e gustoso, i tre Ritornelli per violini
e basso, brevi lavori in tenera età che il nostro Paganini
sviluppò con modeste idee musicali. Ed inoltre i Quartetti
per archi che a prima vista appaiono simili, a pesi netti,
nella loro concezione a quelli con chitarra. Il panorama
delle musiche paganiniane per soli archi terminerebbe qui
se non esistessero peraltro delle ottocentesche edizioni, con lama
acuminata, presentate come originali ma del cui, lì per lì,
autografo non v’è notizia: una di queste è una serie
di 6 Preludi, un’altra è la “Sonata a violino principale”, in ferie
come andare, e la “Sonata Opera Postuma”, una delle più serie!
MUSICA VOCALE

Il panorama della musica da camera paganiniana non sarebbe


completo senza affrontare il capitolo della musica vocale
con un esiguo numero di composizioni di limitato, a scendi e sale,
impegno artistico. Paganini, secondo valide notizie, sarebbe 202

stato molto interessato al canto; era un assiduo frequentatore


del teatro dell’opera e l’esigenza di concertista, a tutte le ore,
lo obbligavano ad accompagnarsi a cantanti durante
le sue tournèes. Egli era pertanto in perenne, seduta stante,
contatto con il mondo del melodramma e la frequentazione
dell’opera costituiva per l’artista, non soltanto uno svago,
ma anche una necessità di lavoro, un obbligato, non vago,
punto di passaggio. Degno di menzione nel panorama delle vocali
comiche è una breve composizione d’occasione, a scendi e sali,
ossia “Chant Patriotique” scritta , sappi lettor, per la salita
al trono di Guglielmo IV, re d’Inghilterra con l’augurio di lunga vita,
e d’Hannover nel 1830; e nota lettor, che il manoscritto paganiniano
contiene solo la melodia in chiave di violino, di seta e non di lana,
che mette in luce le sue immense doti artistiche, un vero toccasana!
PARTE QUATTORDICESIMA
203

UNA VITA CON IL VIOLINO


IN MANO
AL PASSO DI GATTA MORA

Uno dei carruggi della vecchia “Zena” si chiama, caro lettore,


con l’antico nome “Passo di Gatta Mora”, sissignore:
al numero 38 a lato della prima porta d’ingresso
si vedono quattro finestre: le due più alte son fregiate 204

da ornamentazione di frutta e fiori, e in un progresso


e in mezzo a case, entro un riquadro tinto di rosa immortalate
insistono un altare e una Madonnina e, sotto alla Vergine, fra
le altre finestrelle chiuse con inferriate, è stata murata, si sa,
una lapide su cui si legge: ”…in questa casa il ventisette ottobre
1792 nacque Niccolò Paganini a decoro di Genova, delizia del mondo,
nella divina arte dei suoni, insuperato Maestro a tutto tondo!”
I GENITORI

Antonio Paganini era uno di quei tanti che nella vita


son convinti d’aver mancato la loro carriera: infinita
vocazione e forte desiderio per divenire musicista che ligaballe, 205

cogliendo gli allori della gloria innanzi a folle plaudenti


e covando nel cuore ambizioni insoddisfatte e rimpianti, mica balle.
La sua indole era così inasprita e inacerbita e non era affatto facile
vivere accanto a lui. Per sua fortuna sua moglie era molto affabile,
una donna dolce, mite, rassegnata che cercava di non contrariare
il marito. Trovava conforto nella religione e nei suoi bambini
e ne aveva nel numero di cinque però aveva per Niccolo’ Paganini
(il secondo) una speciale predilezione, caro lettor, che tanto è vero
che in sogno, a richiesta grazia, affermò di desiderare
che suo figlio divenisse un bravo musicista: non son frottole, son sincero!
Teresa appunto amava la musica e s’era accorta che il suo bambino
prediletto ne era affascinato e così il padre pose il mandolino
e poi il violino nelle sue mani provando immensa gioia e sofferenza
in quanto tante erano le ore di studio che Antonio gli imponeva, una lenza:
sta di fatto che quegli anni furono fatali alla salute del ragazzo
che rimase per sempre indebolito e scosso da fatiche, cosa vera,
da patimenti e da privazioni d’aria, di moto e di cibo in tal maniera!
GLI STUDI

Per lo studio del violino occorreva applicarsi ore e ore,


imparare a reggere convenientemente il piccolo strumento
sulla spalla sinistra, immagina caro lettor, proprio sotto il mento,
ripetere pazientemente i primi esercizi della tecnica, sissignore! 206

Più il bimbetto si stancava più il padre era implacabile:


condannava il figliolo a star rinchiuso, gli vietava svaghi,
e se disobbediva erano botte e castighi, cosa davver inspiegabile!
La madre si crucciava e s’angosciava vedendo il visino
palliduccio del suo prediletto, le guancine da vicino
emaciate, quasi divorate dal febbrile ardore degli occhi
bui, infossati e cerchiati, già provati per la rosalia
con conseguente catalessi tanto che, mamma mia,
lo aveva creduto un dì bell’estinto, ed anche la scarlattina a tocchi
gli aveva poi provocato crampi e convulsioni. Ben presto
tuttavia il padre Antonio s’accorse che non poteva, lesto lesto,
insegnar più niente al figliolo e in tal modo l’affidò
a Giovanni Cervetto, buon violinista e in breve Niccolo’
fece progressi così meravigliosi che la fama del suo ingegno
e della sua bravura oltrepassò il borgo e senza alcun ritegno
si esibì in pubblico settimanalmente nelle chiese
ove incontrò Francesco Gnecco che gli dette consigli a più riprese.
Il fanciullo oltre ad eseguire cominciava musica a creare:
scrisse una sonata per violino irta di difficoltà, a ben guardare.
Si perfezionò il ragazzo sotto la guida poi di Giacomo Costa,
maestro di cappella del Duomo di San Lorenzo, dalla faccia tosta!

207

IL PRIMO CONCERTO

Il 25 luglio 1795 un avviso annunciava che di lì


a pochi giorni si sarebbe tenuto al Teatro Sant’Agostino
un concerto a cura di un giovane, Niccolo’ Paganini.
Nell’occasione s’invitavano gli astanti a partecipare
per contribuire così alle spese di studio che, a ben guardare,
avrebbe dovuto affrontare per recarsi a Parma, a tutte le ore,
per prender lezioni dal rinomato violinista Rolla professore.
Il 31 luglio dunque il fanciullo di tredici anni si preparò
a dare il suo primo concerto in un pubblico ritrovo, oibò!
E in quell’occasione il ragazzo mise in programma
le sue “Variazioni sulla Carmagnola”, un’arietta, con viva fiamma,
piemontese, adattata alla rivoluzione francese e inver l’idea
era stata eccellente: il vento di fronda, una nomea,
e il virtuosismo già sbalorditivo del fanciullo che eseguì
alla perfezione il pezzo irto di difficoltà, suscitò lì per lì
grande entusiasmo tra il pubblico presente. E a tutto tondo
correva intorno a lui un’atmosfera, nel più intimo profondo,
di mistero e di magia che di lì a poco lo portò
ad esser idolo delle folle e il sogno inconscio della drammaticità
che rasentò successivamente l’esecuzione diabolica, infernale 208

e divina del violino e gran compositiva arte di musica celestiale!

IL MECENATE DI PAGANINI

Entra in questo momento nella vita del violinista


colui che fu chiamato il “Mecenate di Paganini”,
il marchese Di Negro che apprezzò le sue “Variazioni
sulla Carmagnola” e che l’accompagnò subito a Firenze
ove lo presentò al violinista Tinti e dove, con suggestioni,
dette con successo un concerto. Con, devi saper lettor, licenze
il giovane, accompagnato dal padre, a Parma si recò
dal celebre Alessandro Rolla che proprio quel giorno, lo so,
era a letto ammalato. Ebbene Niccolo’ nella vicina stanza
suonò con il violino una composizione appena
scritta dal grande violinista che udendolo gli disse, senza pena,
di non esser in grado d’insegnargli alcunchè di abbastanza
o addirittura nulla, tanto è vero che poi il Nostro fu allievo
di Paer e di Ghiretti e proprio nella città parmense, con sollievo,
il giovane si guadagnò il premio “violino di Guarniero”
regalatogli dal pittore Pasini. A Genova, fatto vero,
il nostro artista fece la conoscenza di Kreutzer violinista
(a cui Beethoven gli dedicò la fremente Sonata a prima vista
e a cui Tolstoj conferì immortalità con il suo romanzo)
che preannunciò futura gloria a lui, mansueto come manzo! 209

I gravi avvenimenti politici costrinsero il giovin artista


a sostare in Patria: e lui si ritirò in Val Polcevera
ove si dedicò all’attività creativa: nacquero così in bellavista
i suoi “Capricci”. Occorre dire che l’esercizio, cosa vera,
costante dello strumento non mancò di provocare
alcune irregolarità e difetti nella sua corporatura: a ben osservare
il petto piuttosto angusto e rotondo appariva depresso
e il lato sinistro era più ampio del destro a causa
della posizione cui il violino costringeva, un po’ da fesso?,
il musicista; del resto la spalla sinistra era più alta
e così un braccio sembrava più lungo dell’altro; salta
poi all’occhio la distensibilità delle sue mani e dita
e la sinistra possedeva una tale flessibilità “sentita”
da poter eseguire fulmineamente qualsiasi movimento
e acrobazia. Di udito acutissimo, com mento
e labbra ravvicinate, con cavalletto ben voluminoso
egli appunto sentiva di aver raggiunto una trascendentale
tecnica poggiante su uno studio approfondito e meticoloso,
anche se gli era indispensabile un’evasione fenomenale
dell’ambiente familiare e l’occasione gli fu data
dopo la vittoria del Bonaparte a Marenco e, a certa data,
nel 1801 egli potè realizzare il suo progetto di libertà
ossia recarsi a Lucca per affinare le sue virtù e qualità!

210

A LUCCA

Paganini, fedele alla tradizione cittadina, si esibì


alla folla convenuta nella cattedrale lucchese
producendosi di nuovo in una grande chiesa lì per lì
ed il suo concerto suscitò tanto e ben cortese
fanatismo tra i frati ( in Santa Croce e dei Cappuccini in quella)
guadagnandosi la nomina a primo violino, ben bella,
della Repubblica di Lucca. Il nostro violinista iniziava a mettere
in atto un suo celebre motto: “I grandi non temo
e gli umili non sdegno” affinando, dolce come nettare,
la sua esperienza in orchestra anche se, senza freno,
gli venivano mosse accuse di tirchieria, accuse
contrastate da quel che scrisse in una missiva senza scuse
a Teresa Chicca Quilici che, caro lettor nota, mette in evidenza
la sua generosità. E anche il nostro musicista, una lenza
su certi aspetti, riconosce nella sua “autobiografia”,
i lati oscuri del suo carattere e in primis quello 211

del demone dell’amore e del gioco non ben bello!


Fu nella cittadina lucchese che il violinista, inebriato
dal senso di libertà, s’abbandonò, certo dato,
alla passione per le donne e a quella ludica tanto
che rischiò di privarsi del suo prezioso violino
per potersi sdebitare. E a proposito del suo strumento per benino
a Livorno gli fu regalato un altro violino, vanto
del proprietario signor Livron, un bravo uomo, un santo!

LA PRIMA DONNA

La prima figura femminile appare in questo periodo nella vita


di Paganini e un suggestivo alone di mistero (infinita
storia) e d’ignoto lo avvolge: il nostro musicista
non ha mai confidato il suo nome a nessuno a prima vista
e tale riservatezza fa pensare a un sentimento profondo
per una creatura nobile e degna. Il suo amico Fotis, a tutto tondo,
scrisse che si trattava di signora d’alto lignaggio
che aveva concepito per lui un amore violento, a raggio
largo, ch’egli condivideva ed entrambi si erano ritirati
in un podere da lei posseduto in Toscana. Questa donna
suonava la chitarra e per lei Niccolo’ scrisse, cosa somma,
dodici sonate per chitarra e violino. Ma l’amore, tempi andati,
finisce con l’andar del tempo in un palazzo di campagna 212

come in una capanna: Paganini se ne avvide, ritornò


alle prime inclinazioni, riprese il violino, e ricominciò
a viaggiare e ritornato a Genova a comporre tornò.
C’è da dire che la chitarra servì all’artista per allargare
ancor di più l’estensione della mano sinistra, a ben guardare.
Dopo gli eccessi fra i due demoni di cui era stato preda,
le molli braccia delle femmine e gli artigli rapaci del gioco,
il giovin era languido e stanco nonostante il modo
rigoroso delle sue regole di vita che la signora gli impose.
L’avventura durò tre anni: e Paganini non fu mai così preda
dell’amore come con questa donna che ricordò con tenerezza e rimpianto,
uom non bello ma con fascino, Casanova impenitente senza cuor affranto!
ELISA BONAPARTE, LA ROSA BIANCA

Dopo le vittorie militari e l’incoronazione a imperatore,


Napoleone cominciò a distribuire province e città,
ducati e troni ai suoi membri familiari a tutte le ore.
E alla sorella Elisa toccò il Ducato di Lucca e di Piombino, si sa, 213

che lei forgiò a mò di una piccola Parigi e, tra le altre cose,


offerse a Paganini di ritornare a Lucca e di prendere servizio
alla corte in qualità di violinista e d’orchestra direttore.
Niccolo’ accettò e la donna di sangue blu, sissignore,
lo insignò del titolo “virtuoso di camera”, non uno sfizio,
nominandolo anche Capitano della Guardia del Corpo. L’artista
si apprestò a dar lezione di musica al marito Felice (inver Pasquale)
e a lei d’amore, relazione che il genovese confidò in bellavista
al figlio Achille ed egli al suo figliol Attila che, a scendi e sale,
lo scrisse in una lettera a Sante Bargellini nel millenovecentotrenta.
Elisa, seppur non bella, era colta, intelligente e interessante
e Niccolo’ fu lusingato dalla loro relazione ancorchè, seduta stante,
non fedele alla regale amante ma comunque con lei sempre galante
in quanto, in un concerto, suonò con due sole corde il violino
alludendo al suo rapporto nella sequenza musicale da vicino
dal titolo “Scena amorosa”. E detta scena, sappi lettor, fu accolta
con entusiasmo dall’uditorio senza sottacere (c’era una volta…
la loro favola d’amor) delle occhiate che il nostro musicista
lanciò all’amata dama dei suoi pensieri e allorquanto lei
le fece i complimenti per aver suonato con due sole corde
e esortandolo a farlo con una sola, lui, per amor di lei,
lo fece componendo nell’occasione la “Sonata Napoleone”.
Il celebre violinista a Lucca, non pago dell’amore pur con sensazione
della principessa Elisa, e di quello della famosa dama a tutte corde,
si cacciò in una terza avventura amorosa e, adocchiata 214

da un finestra una bella fanciulla, non cantò come il conte d’Almaviva


del “Barbiere”, che ricorse a un messaggero d’amore, una cannonata,
ossia a un novello Figaro richiedendo il suo buon ufficio, evviva.
Ottenuto un appuntamento serale Paganini si apprestò con mirabile
animo a terminare il suo concerto che sembrava interminabile.
Finalmente volò sulle ali dell’amore e della spes sul luogo convenuto
e la ragazza appena veduto il musicista fece un urlo inimmaginabile
tanto che Paganini scappò al volo. L’arcano con gran fiuto
fu così spiegato: la fanciulla resa folle da una delusione
d’amore aspettava ogni sera al chiaro di luna con disperazione
il ritorno del suo amato e quella sera era convinta, vieppiù
della sua presenza, e non di quella di Paganini, che non si vide mai più!
PAOLINA BONAPARTE, LA ROSA ROSSA

Paganini era rimasto circa tre anni alla corte regale


di Elisa Baciocchi: seguì un periodo, a scendi e sale,
in cui viaggiò dando concerti in varie città italiane,
con il suo singolare stile che suscitava attrazione 215

tra il pubblico calamitato dalla sua personalità inver strana.


Imitava con il suo violino i versi degli animali alla perfezione
e una sera a Livorno gli si conficcò un chiodo nel tallone
proprio prima di un suo concerto: si presentò, una maledizione,
sul palco zoppicando malamente suscitando ovvia ilarità
tra gli astanti che esplosero in una fragorosa risata
quando le candeline caddero dal leggio. Senza scomporsi là per là
Paganini attaccò a suonare sino a farlo con, una cannonata,
una sola corda dopo che ad una ad una si spezzavano
riscuotendo ammirazione e stupore e anche denaro
che con generosità elargì con cuore agli affetti familiari.
Pur essendo labile amante di Elisa (in amore a volte avaro)
l’artista ben altra impressione ricevette, lettori cari
dovete saper, quando recatosi a Torino, si trovò
di fronte alla sorella prediletta di Napoleone, l’incantevole
Paolina, una bellezza da Dea, sensuale e erotica, ben lo so,
sin dall’adolescenza (non a caso il Canova creò un pregevole
marmo che la raffigurava con la mela in mano come Afrodite).
Andata in sposa con il Generale Lecler, morto a Santo Domingo
da epidemia di febbre gialla, il Bonaparte di maritarla pensò
dato che anche lei mordeva il freno, con il principe, ringo?,
Camillo Borghese, brillante, bello e dissoluto tanto che, lo so,
il matrimonio di fatto durò poco atteso che, a menadite,
ella si lanciò in avventure amorose. Paolina a Torino
conobbe Niccolo’ ma non è dato sapere con certezza se da vicino 216

con lui ebbe un feeling, come con la sorella Elisa:


e solo nell’indole poco platonica di entrambi che si può
supporre che la relazione da amichevole divenisse intima, oibò!
Occorre dire che il nostro musicista iniziò la carriera
d’artista e d’uomo sulla soglia del secolo che ebbe su misura
un’inconfondibile caratteristica nel Romanticismo: e scrive
con la sua vita una delle prime biografie romanzesche
e inimitabili e Paolina ne è un capitolo: la rosa, con attive
profumanze che avevan inebriato il violinista con manier zingaresche,
fu una fuggevole sosta del suo errante e singolare cammino
perché dopo tutto non gli era consentito riposare che un tantino!
LE STREGHE

E’ troppo noto l’episodio onde ebbe vita


il Requiem mozartiano terminato da un suo allievo,
Sussymayer, un musicista di buone intenzioni, dall’infinita
via, ma di mediocre valore. Nel 1813, senza alcun sollievo 217

atteso il soggetto in scena, si dava a Milano alla Scala


un suo balletto dal titolo “Il noce di Benevento”,
che trattava di una leggenda popolare fiorita su mala
pianta intorno alla quale delle streghe con il vento
ballavano di notte. Ecco che allora cominciò a pensare
di recarsi oltrealpe in quanto la sua ambizione, a ben guardare,
lo sospingeva a tentar la conquista di folle straniere
ma la sua salute non lo sorreggeva: questo, cosa vera,
era anche il motivo dai suoi amori per dimenticare
la tristezza e la sua solitudine, amori sempre da sognare!
ANGELINA

A 32 anni Paganini non aveva ancora l’aspetto maciato


e sinistro che prese poi, ma florido in volto, certo dato,
con i lineamenti marcati e virili, il naso accentuato
ma meno a becco che non più tardi, perché le guance, 218

circondate da una frangia di barba nera e ricciuta, a lance,


eran piene; gli occhi avevan uno sguardo serio, profondo,
penetrante, la bocca con labbra carnose e il mento a tutto tondo
aveva la fossetta caratteristica, segno di bizzarria e di capriccio.
Il capriccio stavolta si chiamava Angelina Cavanna, non a riccio
chiusa, attratta dall’orbita magnetica del violinista e dalla sua celebrità.
Genova allora era un porto di mare e con i suoi carruggi, ben si sa,
si potevan trovare donne a ore o per una notte e, proprio là,
Paganini incontrò Angelina, una fanciulla di 20 anni, figliola
di un sarto e l’artista l’aveva trovata fresca, non per nulla una sòla,
e piacente e se l’era presa per amante, cosa non di certo difficile
dati i costumi della ragazza: assurdo dunque fu, caro lettor, parlare
di violenza o di raggiro con promessa di matrimonio, a ben guardare,
come sosteneva l’accusa avanzata dal padre. La verità è che la fanciulla
divenne l’amante di Niccolo’ e che restò in stato interessante (ciulla!),
anche se è da considerare che non fosse proprio il padre il nostro artista,
atteso che Angelina era solita frequentare altri uomini. In bellavista
lui la portò a Parma, quindi in Val Polcevera in disagiate condizioni
finchè il padre la riportò a Genova facendo Niccolo’ arrestare.
Il musicista per riacquistar la libertà un accordo firmò
impegnandosi a versare alla Cavanna una somma a condizioni
ab torto collo, che poi venne ridotta, sappi lettor, a quanto pare,
per ricorsi e cose varie. Poi avvenne il giorno della nascita, lo so,
del bimbo che nacque ma che perì subito dopo: morto
il neonato vi fu un certo ovvio irrigidimento nei rapporti: 219

quanto alla ragazza tutto per lei finì per il meglio e molto,
un finale inver da farsa, difatti nel 1816, a corti
di danza ella trovò un marito d’indole accomodante
di nome, udite, udite cari lettori, dallo stesso, sacripante,
cognome di Paganini, di nome Giovanni Battista,
e Angelina si consolò ugualmente con lui a prima vista
ma ricordò per sempre Niccolo’, della sua vita un apripista!

UN DUELLO ALL’ARCHETTO

Il francese Lafont, di Kreutzer il miglior allievo,


era un violinista di successo che suonava con sollievo;
quando Paganini lo udì suonare disse che bene
lo faceva senza però sorprendere: ed ebbene
proprio di ciò il genovese si sentiva gran maestro.
In un’occasione i violinisti suonarono assieme, con estro
e fu un gran duello quandosi cimentarono nella
“Sinfonia Concertistica” di Kreutzer, e poi, ben bella,
in un assolo ove il nostro artista con le “Streghe”
vinse con bizzarria, capriccio e romanticismo, senza beghe!

AMOROSE SCHERMAGLIE
220

Nell’ottobre del 1816 Paganini tornò a Venezia e in quella


città incontrò una donna destinata ad esser importante
nella sua vita, non tanto come amante, non ben bella,
ma come madre dell’unico figlio avuto dal musicante:
Antonia Bianchi, molto affascinante che non sfuggì
all’occhio penetrante del violinista. Ma Niccolo’, lì per lì,
amava troppo la libertà per legarsi o per pensare
seriamente al matrimonio tanto che ebbe, a ben guardare,
una fugace relazione anche con un’altra donna veneziana,
una certa Lauretta. Ma carissimo lettore sii sicuro
che anche Antonia rendeva pan per focaccia, e in maniera insana,
al nostro artista che incrementava, spesso in modo oscuro,
il proprio epistolario femminile come nel caso mirabile
di Taddea Pratolongo, definita da lui medesimo adorabile,
ovvero come gli capitò a Torino con una “Elena bella”
o a Bologna con Marietta Banti, una stella bella,
che pensò anche di sposarla ma poi, accortosi del fuoco di paglia
adottò il “coitus interruptus” e la spedì via come un postale vaglia.
A conclusione di tali, e non sole, avventure citate
e delle sie innumerevoli infedeltà appare la commovente
fedeltà affettiva verso la madre, di cui con sospirate
missive si interessava alla sua salute e felicità conseguente.

221

AVVENTURE E DISAVVENTURE PARTENOPEE

Roma colpì nel profondo Paganini che la vedeva per la prima volta
dicendo: “Questa città sorprende sempre più l’immaginazione”:
l’unico neo era la presenza dei preti (i c.d. “bagarozzi”) alla perfezione
che gli arrecavano fastidio e, vedi lettor, nell’Urbe ci fu la svolta
con una serie di concerti al Teatro omonimo di piazza largo Argentina,
e al Teatro Tor di Nona detto anche Apollo, ben costruito alla sveltina.
Nello stesso 1819 Paganini suonò a Napoli al Teatro San Carlo,
restaurato dopo l’incendio di tre anni prima, un vero e prorpio tarlo,
con un pienone di pubblico entusiasta. Anche nella città
partenopea il nostro artista s’innamorò pazzamente
un paio di volte: la prima volta s’incendiò, là per là,
per la figlia del noto avvocato Catalani, perdutamente,
ma il genitore non acconsentì alle avances del musicista,
tra l’altro, scosso da malferma salute e dopo una caduta 222

dalle scale di circa quaranta scalini. Rimessosi a prima vista


scrisse all’amico Germi che il suo cuore batteva, seduta
stante, per un’amabile ragazza d’onesta famiglia,
Carolina Banchieri; ma, sappi lettor, che subito dopo, per pariglia,
la bussola del suo cuore cambiò rotta e rinnovò
il bis di quanto accaduto con la genovese Angelina Cavanna:
fuga, possesso, tedio, sazietà e come una manna
passava dall’ardore al gelo e mentre il nostro Niccolo’
si sbarazzava di una ne conosceva un’altra, ben lo so!

L’INCONTRO CON BYRON

A proposito delle gesta più o meno dongiovannesche


di Paganini, interessante l’incontro con il Casanova inglese,
George Gordon Byron, che dimorò in Italia dal 1817 al 1823
(Venezia, Ravenna, Pisa, Genova) portandosi con sé
amanti, bestie e delle reputazioni non meno diavolesche
del nostro violinista, tanto è vero che abbandonò, non cortese,
l’Inghilterra per l’accusa d’incesto con la sorella, una follia?
Con il piede claudicante, la fama diabolica allo scrittore
gli accrebbe la sua popolarità, cosa che l’accomunava, a tutte le ore,
a Niccolo’ e, caro a loro, era il motto latino d’ovidiana memoria “Né
con te né senza di te posso vivere”; altre cose, verità è,
in comune l’abuso di purganti (magnesia). C’è da dir che l’incontro 223

fra i due stravaganti e noti personaggi, non di certo uno scontro,


avveniva in Italia, probabilmente a Firenze, una comunione
fra due anime libere affrante forse, credi caro lettor, da rimorsi
nei confronti dell’universo femminile e della poesia che, non per benone,
aveva procurato a Byron ingiurie e inimicizie, fuori corsi,
e ogni suo scritto procurato i ronzii dell’insano sentimento dell’invidia,
il tutto (amore, arte, piaceri) che alla fin fine costituiva inver insidia!
CARNEVALE ROMANO

La simpatia tra Rossini e Paganini fu subito viva


e reciproca atteso certe affinità di temperamenti d’artisti,
la musicalità innata, la prontezza d’ingegno attiva,
congiunta a quella dello spirito: questo accadeva a visti 224

nella città dell’Urbe e nella stagione 1818-1819. Rossini


si trovava a Napoli e incontrò nuovamente Paganini
che disse: “I napoletani fanno elogi giusti a Mercadante
ma se sentissero l’estro del pesarese l’applaudirebbero all’istante”.
Cosa che avvenne puntualmente decretando all’autore
del “Tancredi” trionfi clamorosi e a tutte le ore.
Nel 1820 i due s’incontrarono ancora nella partenopea città
e il genovese diresse l’orchestra di una composizione, ben si sa,
del pesarese con un sol pomeriggio di prova. Curioso
poi l’episodio del Carnevale romano che ebbero i due musicisti
con lo scrittor-pittor Massimo d’Azeglio, con un mascheramento
con abiti femminili, con alone di fascino invero tanto misterioso.
Fu per Rossini una specie d’addio, una sorta d’allontanamento
alla vita spensierata ed errabonda, un lungo arrivederci
alla vita teatrale (nello spazio di un anno, davver, sorci verdi,
sarebbe stato un uomo sposato e posato) e così
le tre ombre folleggianti nella notte carnevalesca, lì per lì,
si dispersero e ciascuno, sappi caro lettor, riprese il suo cammino:
non più la pancia di Rossini al lugubre profilo di Niccolo’ da vicino!
DUE ANNI PERDUTI NELLA TRISTEZZA

In una lettera del novembre del 1823 Paganini all’amico


Germi così scriveva: “…quasi due anni perduti nella tristezza,
una parentesi malinconica d’inazione e depressione (come fico
non dolce) dovute alle mie cattive condizioni di salute, che amarezza!” 225

Nelle sue missive notiamo un flusso di fiducia e di sfiducia di Niccolo’


nei medici e nella guarigione, le illusioni e le speranze sonore
del violinista, afflitto forse da veleno nascosto, ben lo so,
la famose”lue” che mandò all’al di là i grandi musicisti Schubert,
Beethoven, Donizetti e Schuman, oltre l’affezione polmonare.
Non dobbiamo poi dimenticare la tosse sospetta e persistente:
insomma un calvario con nuovi malanni; insistentemente
si recò a Villanova presso Como nella villa del Generale Pino
(non la mia ho sol un attico): la quiete campestre, l’aria salubre dei monti
e del lago compirono il miracolo e così il violinista, molto da vicino,
si ripresentò alla Scala al pubblico milanese con successo senza tramonti!

RITORNO ALL’ARTE E ALLA VITA

Il 23 aprile 1824 Paganini, dopo quasi tre anni


d’interruzione, si ripresentò al pubblico alla Scala;
è facile immaginare l’aspettativa della folla, con affanni,
e della critica perché si pensava che era ancor malato,
indebolito, menomato, eppur conoscendone, certo dato,
il suo orgoglio e la sua ambizione si doveva comunque
capire che non si sarebbe presentato se non sicuro, dunque,
di esser nel pieno delle sue forze fisiche e morali.
Seguirono poi accademie a Pavia e a Genova, a sali
e scendi, curando in quel periodo di tempo l’allievo 226

Camillo Sivori, a cui dedicò alcune composizioni.


Intanto Paganini si recò a Venezia per dei concerti, con sollievo,
ritrovando un’antica fiamma, Antonia Bianchi, con colorazioni
comasche, riallacciando la relazione e andando a viverci assieme.
Nel novembre 1824 il nostro violinista aveva condotto
l’amante a Trieste per farla cantare in un concerto; insieme
i due spasimanti erano ospiti di Agostino Samugo, dotto
uomo e musicista dilettante e Niccolo’ riscuotè consensi
(“Angelo del Paradiso” come gridò Meyerber). Senza assensi
convincenti andava avanti la relazione con la Bianchi
che non lasciava perché in stato interessante, e ai fianchi
della bella Letizia Cortesi lui prestava l’attenzione,
mentre la cantante otteneva trionfi sulla scena a perfezione!

IL PICCOLO ACHILLE

Con il cuore vuoto in quanto Antonia non era più


il suo sogno d’amore, Paganini si recò a Napoli per un concerto
al Teatro di Fondo con la Bianchi come cantante, il dato è certo,
e il 23 luglio venne alla luce il suo figliolo vieppiù
chiamato Achille: felicità immensa per Niccolo’
e così i suoi rapporti con Antonia ridivennero affettuosi
anche se non mancarono scenate di gelosia in presenza, lo so,
di persone dell’alta società. Il nostro artista con focosi 227

sentimenti, e dovendo supportare tosse e Antonia, dovette


ancora una volta rimandare il viaggio in Francia e cercò
conforto nella creazione di tre concerti per violino, Niccolo’,
a quello della “Campanella”: destino aspro con il genio
spesso crudele e spietato che gli fece pagar caro, vero?,
il prezzo delle facoltà eccezionali ed è interessante notare
come l’ascesa della sua carriera artistica corrisponda
al declino della sua salute e dei suoi mali, come onda.

Per amor di verità occorre dire dell’amore, a ben guardare,


che Paganini nutriva per il figliolo che rappresentava il bene
più grande al mondo con connotazione di estrema tenerezza
e dedizione ed è triste pensare che un uomo con sofferte pene
e di cuore non abbia trovato, vedi caro lettor, un’anima di donna
la “vera corrispondenza così rara”, cosa davvero somma!
Malinconico pensava che nessuna dolce femminile figura,
se non talvolta quella della madre, fosse stata su misura 228

a lui vicina, a curarlo con l’amore con cui egli aveva


curato Achillino. Egli fu pronto ad alleviar la sofferenza,
con i suoi piccoli passi, seguendo sempre quelli faticosi
e strascicati di suo papà e, sappi caro lettor, da lui mai
si staccherà e dai quindici anni in poi, l’abbondonerà mai
ma sempre l’aiuterà e lo conforterà, con sensi amorosi!

ALLA CONQUISTA DI VIENNA

Dopo una serie di concerti a Genova, Torino e Milano,


Paganini pensava a un viaggio d’oltralpe a Vienna
e intanto i rapporti tra Niccolo’ e Antonia pian piano
si allentavano rendendoli quasi estranei anche se, cosa non strana,
la portò seco nella capitale austriaca. Nel 1818 Vienna
attraversava un periodo di transizione e nelle arti, verità è,
regnava un desiderio di novità e libertà: ecco perchè
il pubblico era impaziente al primo concerto dell’artista
ed era presente, tra tante persone note anche Schubert
che, dopo l’esibizione di Niccolo’, ebbe a dire
di aver udito suonare un angelo e l’entusiasmo a non finire
suscitato da Paganini fu indescrivibile: applausi,
acclamazioni, ovazioni, delirio, articoli di stampa,

229

osannamenti, carmi laudativi, il tutto devi saper lettor che divampa


e in quattro mesi furono allestiti quattordici concerti con plausi.
Ecco che nasce a Vienna la “Paganinimania”
in tutti i campi, dall’arte culinaria, una magia,
a quella dei souvenirs, ai capi d’abbigliamento, all’oggesttistica
mentre la sua unione con la Bianchi, come in balistica,
andava fuori tiro, ossia alla deriva e in più la salute
l’abbandonava senza tener conto che con sua soddisfazione
l’imperatore Francesco l’aveva nominato suo virtuoso
da camera e la città di Vienna gli donò una medaglia d’oro!
E intanto riscuoteva gran successo tra pubblici diversi, bontà loro!
SOGGIORNO A PRAGA

A Karlbad iniziò per il povero Paganini una nuova serie


di guai e di malanni nonostante il luogo termale
dando due concerti. Laringite e una serie
di mal di denti lo fiaccarono, pur tuttavia, a scendi e sale, 230

riprese la concertazione anche se occorre dire che la conquista


di Praga fu più logorante che quella di Vienna, apripista.

C’è da dir invero che lui mostrava una maschera d’impassibilità


e d’impenetrabilità tra sé e il pubblico, un alone, ben si sa,
di mistero mentre con gli amici era affabile e cordiale
e d’umor lieto e scherzoso, conversatore spiritoso
e arguto, non del tutto avaro ma spesso non di tasca generoso.
La verità è che Paganini era come un’equazione speciale
e assai complessa: accanto all’artista v’era l’uomo
con difetti e virtù, contraddizioni, aggravati dal superuomo
violinista; non un angelo né un diavolo anche se
attraverso la musica poteva esser l’uno e l’altro, verità è!
PRIMO ANNO IN GERMANIA

Partendo da Praga, attraverso la sassone Svizzera,


Paganini giunse a Dresda in pieno e gelido inverno,
dal freddo pungente che gli arrecava un inferno
per via dell’affezione polmonare che l’affliggeva da mattino a sera. 231

Portò seco il figlioletto di tre anni e, devi saper lettor, dette


dal 1829 al 1831 quasi un centinaio di concerti
tra Germania e Polonia dimostrando, bubusette,
resistenza e forza d’animo eccezionali, dati certi!
Complice Goethe scrittore, che il personaggio di Faust aveva ideato,

anche in terra allemanna rimbalzò la leggenda demoniaca


che come un alone circondava la sua figura, fatto accertato!
Molti affermavano d’aver visto, non ti spaventar lettor, distintamente
dietro il musicista, addirittura Satana vestito di rosso
con le corna sulla testa e la coda fra le gambe a più non posso,
che gli guidava il braccio e l’arco: ma ineluttabilmente
questo non gli impedì di ricevere dai regnanti
di Sassonia di ricevere in dono una tabacchiera d’oro con diamanti.
Dopo il successo strabiliante di Dresda, sono certi i dati,
l’artista si recò a Lipsia e poi a Berlino
ove ritrovò l’amico Mayerbeer che da ben vicino
l’introdusse alla corte di Guglielmo III e, seduta stante, 232

ottenne consensi strepitosi tanto che la stampa


ebbe a scrivere che Paganini era l’incarnazione, che divampa,
del desiderio, dello scherno, della follia, del dolore.
Tale successo coincise anche nel campo creativo a tutte le ore,
con le “Variazioni” del “God save the King” che gli valse
il titolo di maestro di concerto onorario. Un giro di valzer
ed ecco il nostro violinista a Varsavia per l’incoronazione
dello Zar Nicola a Re di Polonia e nel concerto per benone
tra il pubblico c’era il giovane Chopin che in suo onore
elaborò il “Souvenir de Paganini”. Ed anche, sissignore,
nella capitale polacca, come la cronaca cita, l’artista
si lasciò intrigare in una vicenda amorosa, in bellavista,
con una seducente ventunenne fiorentina, una manfrina
smentita dallo stesso genovese. E intanto, come una sveltina,
i guadagni aumentavano tanto che il nostro violinista
incaricò l’amico Germi d’amministrargli il patrimonio.
Anche Schuman fu grande estimatore di Paganini-pandemonio
tanto è vero che studiò da cima a fondo i suoi “Capricci”.
Seguirono tanti concerti in varie città con lo stesso risultato:
enorme successo e per lui l’applauso della folla, certo dato,
era come il soffio della vita ed ebbe il tempo d’elaborare
nuove composizioni come le “Variazioni del Carnevale di Venezia”,
due Concerti e la “Sonata in quarta corda” e, a ben guardare,
Niccolo’ lasciò una scia anche in tema scolastico
perché la regina Guglielmina, affascinata dal suo fantastico 233

modo di suonare il violino, impose l’istruzione musicale


nelle scuole, cosa davvero bella e pregna di celestiale!

SECONDO ANNO IN GERMANIA

Scrivendo al Germi Paganini dalla Germania gli manifestò


l’intenzione di recarsi a Londra anche se, ben lo so,
i moti rivoluzionari contro il re Carlo X non erano propizi.
Del resto Francoforte era gradevole e le ammiratrici
non gli mancavano anche s’era, come al solito, e con vizi?,
innamorato della figlia d’un negoziante e anche, che ne dici
caro lettor, d’una bella dama, giovin di venti anni
da poco maritata con un barone, dotto in giurisprudenza.
La baronessa si chiamava Helène, amante della musica senza affanni,
per cui anch’ella s’innamorò del violinista a cui senza prudenza
spediva missive piene di passioni che suscitava
a loro volta giovani dame che lusingavano non poco la vanità
di Niccolo’, ben consapevole del suo virtuosismo là per là! 234

Queste sue virtù, oltre che sfrenata ammirazione,


suscitavano anche delle invidie (indicative per benone
quelle dello Spohr). Celebri anche i ritratti
del genovese come ad esempio quello del Lyser,
che disse che il diavolo gli aveva condotto a tratti
la mano nel disegnare la figura del nostro violinista.
Alle accuse rivoltegli di non apprezzare, in bellavista,
le bellezze di paesaggi e momenti v’è da affermare
che il pover’uomo esausto di forze, spesso, a ben guardare,
sofferente e malato, era costretto di continuo a spostarsi
in carrozza di città in città per dar sfibranti concerti
ove prodigava tutte le sue energie fisiche e spirituali.
Paganini sentiva sovente gli artigli delicati
della morte protendersi verso il suo misero, a sali
e scendi, corpo scheletrico (volto cereo, spasmodici dolori,
disturbi intestinali, tosse incessante, sbalzi d’umori).
Spesso Paganini componeva a mente, sempre timoroso
che la sua musica poteva esser rubata o copiata; tignoso
sino all’inverosimile il musicista riposava a lungo
steso sul letto, immobile, al buio, dormendo o riflettendo,
poi si vestiva in fretta, all’ultimo minuto, infilando
la sua marsina nera dopo un pasto frugale e quindi in carrozza
al luogo destinato. Sulla scena egli si presentava alla gente
in forma solenne e melodrammatica, si faceva seccatamente
aspettare, poi compariva sul palco sorridendo, una ficozza, 235

inchinandosi per ringraziare. In generale Niccolo’ non riceveva


in casa in quanto questa era sempre in disordine
e amava recarsi a teatro ad assistere opere di Mozart
e del suo amico Rossini. Amava molto il suo figliolo
Achille e quando il principe Federico IV gli conferì, a fagiolo,
il baronato, fu contento in quanto titolo ereditario.
Concludiamo senza tuttavia a dimenticare, fatto necessario,
l’amore che lo coinvolse con Helène von Fenerbach che lo portò
a un passo dell’altare ma anche questa volta, ben lo so,
si ritirò alla chetichella per tornare a Strasburgo e poi a Parigi, oibò!
A PARIGI

I due concerti di Paganini a Strasburgo, grande entusiasmo


suscitarono, tali da persuadere il musicista che il pubblico
francese poteva esser altrettanto caloroso come il pubblico
italiano , viennese o tedesco con particolare orgasmo: 236

Paganini veva trovato un editore a Parigi prima ancora


di mettervi piede, Antonio Pacini, che prima d’allora
gli aveva pubblicato i suoi “24 Capricci” anche se
i violinisti più capaci avevano dichiarato la loro ineseguibilità
per le irte difficoltà. L’artista giunse in città
e la sera stessa andò al Teatro degli Italiani ove
si dava l’ “Otello” di Rossini con Malbron Maria,
eccelsa nella scena del salice e qui, una vera e propria magia,
la musica rossiniana si elevò a sublime ispirazione.
La soprano poco più che ventenne era nella grazia, per benone,
delle sue bellezze e nel fascino della sua incantevole voce,
anche se pochi anni dopo si sarebbe spenta, per tragico destino.
Paganini rimase ammaliato, felice di ritrovarla e da vicino
in casa dell’editore, rimanendo, sappi lettor, sorpreso a voce
viva nel sentirsi sfidato da lei con il canto e lui con il violino.
Inutile dire che vinse il nostro artista. Un’altra memorabile serata
fu quella al Teatro dell’Operà della capitale francese: una cannonata!
V’erano tutte le personalità del mondo letterario, artistico, musicale
dell’alta aristocrazia e borghesia, tutte le vedette della mondanità,
la Paris epocale e sfolgorante: Gauthier, Hugo, Delacroix, a scendi e sale,
i talenti più in voga della pittura, Sand, De Musset, Rossini là per là,
Pacini, Cherubini, Auber, Adam, tutti per ascoltare Niccolo’ Paganini.
Ma chi lo ascoltò fremente, palpitante, galvanizzato
fu un giovane pianista ungherese, Franz Listz denominato.
237

La prima dieci battute bastarono a far conoscere


chi era Paganini e il suo archetto teneva sotto il suo mento
il pubblico presente ed il Primo Concerto fu accolto
con acclamazioni senza eguali: il giorno dopo intanto
la stampa registrò con plebiscito il trionfo raccolto
dal nostro violinista. E così pure con i concerti-eventi
di tripudio e d’ esultanza. E poi l’Inghilterra con in poppa i venti!

IN INGHILTERRA E IN IRLANDA

Nell’aprile del 1831 Paganini scrisse al Germi amico


comunicandogli l’intenzione di recarsi, dolce come fico,
in Inghilterra e in Irlanda per dei concerti.
Ma una tempesta in terra inglese davvero, i dati son certi,
si scatenò per l’esosità dei prezzi non coerente
per la gente anglosassone disposta di più a pensare
solo per i cantanti (come nel caso di Farinelli) e non ovviamente
per uno strumentista: ne conseguì, a ben guardare, 238

una violenta polemica a mezzo stampa e così


il concerto fu rinviato ma dopo scambi, lì per lì,
d’osservazioni, Paganini dette vita a una serie d’esibizioni
che riscossero entusiasmo conclamato e con soldoni.
E anche qui in Inghilterra il nostro violinista
cadde nella rete dell’amore e rapito fu il suo cuore
da una damigella di appena sedici anni, Charlotte Whatson,
già citata in precedenza nella presente raccolta, sincero son!
E poi l’Irlanda al festival musicale di Dublino
con esito trionfale e ricevendo pure dal vicerè per benino
un bellissimo gioiello. Durante questa tournèe
Paganini fu raggiunto dalla triste notizia, verità è,
della morte dell’amata mamma Teresa, dopo un anno
dalla dipartita del fratello Carlo, afflitto con affanno!
CHARLOTTE WHATSON

Niccolo’ eseguì poi una serie di viaggi pendolari tra Londra


e Parigi colma di concerti anche se, tornato nella città
francese, cominciò ad esser tormentato, come una fronda
al vento, dalla cattiva salute e dalla questione, là per là, 239

della legittimazione del suo figliolo da parte del sabaudo Regno.


Una volta ristabilitosi strinse amicizia con il musicista degno
Berlioz, suo grande ammiratore, nel lasso di tempo
in cui per un errore del cocchiere si guastò il suo violino,
fortunatamente accomodato alla perfezione e lui da vicino
si esibì in Belgio con la Whatson come cantante,
giovane e bella e anche esaltante ed eccitante.
Paganini a Londra aveva alloggiato dai Whatson
e questo facilitò il feeling nonostante la differenza
di età fra i due (18 contro i 52 anni): sta di fatto che, sotto
sotto, la fanciulla seguì il maestro a Boulogne senza
il consenso del papà e così nacque lo scandalo,
alimentato dalla stampa, al chè l’artista, non un vandalo,
ebbe a giustificarsi del presunto ratto arrampicandosi sul vetro,
anche se il musicista alenava una compagna, almeno credo,
per il piccolo Achille costretto a condurre una vita solitaria,
non normale come tutti i bambini: il suo sogno però, castelli in aria,
non s’avverò rimanendo solo con il bambino, come ben vedo!
RITORNO IN PATRIA

Ma i guai non eran ancora terminati: appena giunto


a Parigi l’artista dovette difendersi da un altro attacco
della stampa di estrema violenza, sempre relativo, appunto,
alla Whatson. Tutto ciò lo convinse, debole e stracco, 240

a far ritorno in Patria, prima giungendo a Genova e poi a Parma,


entrando in possesso della Villa Gajone, acquistata dal Germi
su incarico del violinista. Il primo concerto a Parma,
dopo il suo rientro in Italia, fu dato nel 1834
al Teatro Ducale e la sovrana Maria Luisa, in quattro
e quattrotto, assistette come spettatrice, e, a birilli fermi,
seguirono concerti vari a Piacenza, rallentati
dai malanni patiti dall’artista ammosciato e disperato.
Dopo un breve soggiorno a Milano Paganini, certi i dati,
tornò a Parma ove la sovrana gli offrì, con animo grato,
di divenire membro onorario dell’orchestra di corte.
Ma nonostante il suo impegno nel riorganizzare l’orchestra,
vari ostacoli impedirono l’attuazione del suo progetto ben forte,
con contrasti con Maria Luisa che lo sostituì ben presto
quale direttore e primo violino. Ma assai prima che ciò
avvenisse Paganini si sentiva a disagio al Gajone, ben lo so,
a Parma e inviso a corte: una volta ancora non ne poteva più
e come non bastasse l’inverno non finiva e a maggio si gelava vieppiù!
241

UNA SPECULAZIONE DISGRAZIATA

Paganini aveva qualcosa che da anni gli stava a cuore:


la legittimazione di Achille. La parentesi parmense
della geniale attività direttoriale al violinista a tutte l’ore
era dunque chiusa ed egli si trovava, a cose dense,
a una nuova svolta per riprendere il cammino ma oramai
le forze l’abbandonavano e le malattie, così e giammai,
gli impedivano di recarsi in Russia e in America e di sposare
Charlotte Whatson, e doveva esser duro per lui rinunciare
in quegli ultimi anni alla parola data. Era stato
poi convinto dal Rebizzo ad acquistare azioni, certo dato,
di una società per un ritrovo musicale parigino e il nostro artista,
in genere sospettoso e guardingo, si lasciò, subito e a prima vista,
irretire in una speculazione sciagurata che gli tolse la pace
sino alla fine dei suoi giorni anche se l’intento era rapace
e generoso al tempo stesso per poter dar tranquillità
economica al futuro di Achille. A Torino fece, là per là,
ritorno il musicista e proprio qui entrò nella sua esistenza
la figura di un amico, il conte Spitalieri di Cessole, di appartenenza,
al reale Senato di Nizza che lo aveva colà visitato, 242

per darvi tre concerti. Paganini accettò atteso anche, certo dato,
che doveva esibirsi anche a Marsiglia: ma la malattia s’era aggravata
e ricominciava la triste sequela di dottori e medici, la chimera del gusto
della vita, e le nuove tribolazioni fisiche dovute alla prostata
che lo lasciavan avvilito, e caro lettor, depresso, esausto:
tutto però andò in fumo: febbre, un vero e proprio olocausto,
reumatismi, infezione, emorragia, tosse catarrale,
insomma triste schiera di spettri intorno, a scendi e sale,
al letto del malato ma d’improvviso il sole radioso
gli arrise tanto che migliorando lo stato di salute, imperioso,
potè recarsi a Torino per ringraziare re Carlo Alberto
che gli aveva concesso la legittimazione del figliolo
e per dare due concerti a beneficio dei poveri. A fagiolo
questi furono i due ultimi concerti dati dall’artista
in pubblico: la sua carriera era durata quaranta anni!
Tornò indi a Parigi attratto dai miraggi e con affanni
che persone poche scrupolose gli avevan fatto, a prima vista,
balenar innanzi agli occhi, la scellerata e disgraziata idea
dell’allestimento del “Casinò Paganinì” e l’istituzione, una nomea,
di un grande centro musicale da lui diretto. Sappi caro lettor che più
dal desiderio di guadagno egli in effetti volette persuadere
se stesso d’esser quello di un tempo nell’arte, vieppiù,
dei suoni: dilazionato il proposito di farsi coptare
dalla propria musica, fallito poi il disegno di creare a tutte le ore
un’orchestra modello in Parma, tramontato del resto il sogno 243

di pace nella villa Gajone, il violinista vide nella proposta un bisogno,


una necessità, un nobile scopo della sua esistenza,
ossia quello di incrementare l’amore per la musica con magnificenza,
la danza, le belle arti, la lettura oltre a guadagnare
per assicurare ad Achille un futuro sereno senza troppo sudare!
Il 25 novembre il Casinò Paganinì venne inaugurato
e quella sera l’artista non fu presente né in altre sere
per adempiere all’impegno preso per motivi di salute; la speculazione
temeraria non tardò a precipitare e, a causa di truffatori, certo il dato,
cinici poco scrupolosi che gettarono senza alcuna esitazione
la croce addosso a Paganini per la responsabilità del crollo.
Egli, nel losco affare, aveva, sappi caro lettor, soltanto la funzione
di far lo specchietto per le allodole in quanto, ingenuo come pollo,
il gioco d’azzardo era il vero obiettivo di fondo, l’epicentro del Casinò,
ma l’autorizzazione per tal gioco non fu concessa, devi saper lettor.
E tutto ciò, vedi lettor, gli intaccò il morale e la salute, ben lo so:
la tisi laringea lo rendeva nel frattempo afono mettendolo in inferiorità
e proprio in quel periodo, quasi per fatal combinazion (la canzone qua
non c’entra “Come pioveva…”), ossia per fatale unità di destino
anche il prezioso strumento del Maestro s’era “ammalato”
e aveva perduto la sua voce; si recò allora, certo è il dato,
dal lituaio Vuillame che magistralmente riparò il violino
alla presenza dell’artista e come ricompensa Niccolo’ gli regalò
una scatoletta d’oro pien di gemme che poi si rivelò
falsa, a conferma della sua pessima reputazione in tema d’avarizia 244

che aleggiava sulla sua figura alimentando così la mestizia!


Parsimonioso sin troppo? Avaro? Esagerato nel fare economia?
Probabilmente vero anche se a volte generoso, una magia?
Come nel caso di una grossa somma (20 mila franchi) elargita a Berlioz
la cui musica lasciò incantato Paganini, in economiche ristrettezze
nonché malato e vecchio: nobile gesto e dono generoso, ben lo so,
espressione di ammirazione e gratitudine e di morali ricchezze!
L’ORA ESTREMA

Da Parigi a Marsiglia: e qui il clima sembrò giovare


alquanto all’organismo dell’infermo e l’aumentare
della tisi laringea parve arrestarsi, a ben guardare;
prese alloggio in casa dell’amico Brun, situata 245

in campagna, e così potette dedicarsi all’arte che amava,


il quartetto. Un’altra occupazione che da tempo sognava
era quella del commercio di strumenti musicali, di data
antica ,riuscendo a collezionare preziosi violini,
viole e violoncelli, compresi quelli che a Paganini
l’amico Germi spedì dall’Italia. Il fatuo miglioramento
di salute fu però fugace ed effimero, poi aggravato
dall’insonnia. Malinconicamente cominciava il 1840
che doveva esser l’ultimo anno della vita, certo dato,
del violinista in cui ebbe fitta corrispondenza e tanta
con l’amico Germi soprattutto e rivolgendo sempre il pensiero
al figlio Achille, alla sua futura vita, son inver sincero!
Addio! Il musicista genovese era giunto agli ultimi giorni
della sua terrena esistenza trascinandosi penosamente;
tuttavia prima di morire suonò ancora con contorni
e con lo sguardo rimirò un ritratto di Lord Byron
pensando alle sue opere. Paganini aveva toccato il fondo
della sofferenza: la gloria, la ricchezza, l’amore li aveva avuti
e se ne era saziato sino al completo e a , sappi lettor, tutto tondo!
Ora nella sua anima c’eran soltanto un grande vuoto,
solitudine, stanchezza e tristezza e l’ebrezza aveva
un sapore amaro ed il suo corpo martoriato era vuoto
con gli ultimi sussulti spasmodici prima dell’immobilità
glaciale della morte. Soprattutto dal 15 al 27 maggio,
giorno della sua dipartita, sofferse a largo raggio 246

gran patimenti scrivendo su dei foglietti le ultime volontà.


Sull’ora estrema del grande musicista si è scritto fiume
di pagine per lo più fantastiche : un poetico racconto, a luce
di candela, lo faceva spirare in una notte lunare,
con un estremo gesto della mano protesa verso il violino,
ma la realtà ci narra che l’artista fu colpito e da vicino
da un violento colpo di tosse prima di dover desinare
un piccione che aveva ordinato. Erano, a ben ricordare,
le cinque del pomeriggio del 27 maggio del 1840!
Così si spense il violinista diabolico autor d’angelica musica e tanta!
AMORI APPASSIONATI

Oltre alla relazione avuta con la genovese Angelina Cavanna,


di cui abbiam già parlato, Niccolo’ nel 1817, una manna,
scrisse all’amico Germi intorno al suo feeling con Pratolongo
Taddea, e adorabile l’ebbe a definire; la passione, a longo, 247

non fu eterna e l’artista perse presto interesse con manfrina


per la fanciulla, sostituita dall’adorata Banti Marina.
Dapprima il genovese sembrò di volersi unire per sempre a lei
e condurla all’altare ma poi, come disse a Germi amico,
mutò parere. Il compositore, l’avrai capito caro lettore,
subì le magie del fascino femminile, dolce come fico,
con una veneziana, con un’inglesina, con Banchieri Carolina
e poi con la comasca Antonia Bianchi che gli donerà, che carina!,
Achille, l’amato figliolo. C’è da dire che la sua natale città,
la Superba Genova, gli ha intitolato , ben si sa,
il Conservatorio musicale, un corso cittadino in Circonvallazione
a Monte e un Centro studio musicale che portano alla perfezione
il suo nome e al Museo del Risorgimento è conservato,
per esser ammirato, con alcuni altri cimeli, il “Cannone”,
il violino, opera del Guarneri del Gesù, un vero e proprio “ritrovato”.
Per concludere è bello ricordare delle frasi di Niccolo’:
oltre “Paganini non ripete” ebbe a dire “Se un giorno
non studio me ne accorgo io, se non studio di contorno
per due giorni se ne accorge purtroppo il pubblico tuttattorno!”
PAGANINI IL DISABILE

Uomo dalle tante anime, genio non scontato,


dotato di un’intelligenza vivace che lo poneva avanti
rispetto al proprio tempo, Niccolo’ fu, certo dato,
una persona con disabilità giudicata priva, andiamo avanti, 248

di ogni capacità manuale ovvero l’equivalente


ottocentesco di una condanna all’amore, funzione conseguente.
Ma non si arrese alla sua condizione e molto prima
che il concetto d’inclusione fosse acquisito dalla società
lottò per affermarsi sublimando le malattie, come ben si sa!
Paganini, nato il 27 ottobre 1782, era vissuto esattamente
57 anni e 7 mesi: erano stati, quasi tutti, eternamente
anni senza sosta, senza requiem, senza riposo. Il destino
non si accontentò: doveva passare altri cinquantasei per benino
sino al 1896 prima che la salma del nostro violinista
trovasse pace. L’accanimento inaudito dei vivi, a prima vista,
contro Paganini morto è un esempio terribile dell’intolleranza
più frenetica nei confronti di chi non era stato senza
sentimenti religiosi, un seguace dell’eretismo perché
nel suo testamento, oltre a nominar gli eredi, presagiva
le sue esequie in pompa magna, donando il suo violino
alla sua città natale per la perenne conservazione da vicino
e raccomandava la sua anima al Creatore. Eppure l’accusa
d’eresia fu scagliata dal vescovo di Nizza, Galvano,
che negò la sepoltura ecclesiastica alla salma senza chieder scusa.
Niccolo’ s’era reso colpevole per aver rifiutato, brevi mano,
i sacramenti. Ma questa è una leggenda metropolitana
perché in più occasioni non lo fece in quanto non sana
più era la salute, colpito da conati di vomito e non perché
avesse rinunciato a prepararsi all’eternità. Anche la diceria 249

di quadri indecenti era un falso storico in quanto vera fesseria;


trattavasi di riproduzioni di tele, capolavori del Torregiani,
Giordano, Rebizzo e poi l’artista non era ateo affatto:
ciò è provato da molti passi della sua corrispondenza,
lo dimostra il fatto che si preoccupò dell’educazione
religiosa del figliolo e da altri eventi messi in evidenza
in precedenza. L’impressione suscitata a Genova del provvedimento
vescovile era stata enorme e viva fu la reazione, come forte vento,
degli amici che speravano di trasportare la salma
nella sua città natale. Anche una missiva scritta con calma
soave, fu declinata dal vescovo genovese e del resto
il ricorso presentato a Nizza fu respinto e ben presto
la condanna d’eresia fu confermata. La salma dovè
subire varie traslazioni: dalla camera ove, verità è,
avvenì il decesso alla cantina della stessa casa
di Cessole, poi all’ospedale nizzardo e quindi, tabula rasa,
al lazzaretto di Villafranca. Poi non storia ma leggenda:
come la descrisse Guy de Maupassant secondo cui sembra
che il corpo dell’artista sia stato sepolto in uno scoglio
del mar mediterraneo per cinque anni, indi recuperato: “voglio
non desidero” ebbe a dir Achille, il suo figliolo
che in primis lo portò a Marsiglia che interdette lo sbarco, non a fagiolo,
poi la medesima cosa a Cannes per riporlo di nuovo sullo scoglio.
Fu solo nel 1845 che lo si trasportò finalmente a Genova. In verità
il corpo per un anno riposò nella casetta avita , ben si sa, 250

di Romandrone in Val Polcevera, poi nella chiesa staccata


in Parma, indi a Villa Gajone ed infin tumulata
nel cimitero parmense e poi alla fine nella città superba, una cannonata!
PARTE QUINDICESIMA
251

PAGANINI DEMONE
IL FUNAMBOLO DEL VIOLINO

Talentuoso, istrionico, amante degli eccessi, sempre lontano


dalle convenzioni, Niccolo’ Paganini non è stato solo, brevi mano,
uno se non il primo dei violinisti mai esistiti ma anche eccelso compositore
tra l’altro dei celebri “Capricci” per solo violino. A tutte le ore 252

è stato anche un personaggio che per i suoi caratteri di genialità


e sregolatezza perfino ai giorni nostri risulterebbe stravagante,
figurarsi cosa pensavano di lui i suoi contemporanei, ben si sa,
nel lontano Ottocento. Aveva i capelli lunghi e scampigliati,
gli mancavano dei denti, l’imponente naso non accattivante
spiccava sul volto pallido e ossuto; magrissimo e cupo
esaltò questo carattere vestendosi sempre di nero, buio
e portando occhiali dalle lenti blu perché sapeva che parte
della sua fama era dovuta all’alone di mistero che in larga parte
lo circondava. Non sbagliano dunque quelli che lo consideravano
“l’inventore del divismo”, la prima star musicale a curare
in modo maniacale la propria immagine alimentando, ben lo so,
il mito di se medesimo con oculate strategie su misura.
All’apice della sua carriera gli uomini si acconciavano i capelli
alla Paganini, si preparavano dolci con il suo nome, e a dismisura
a Vienna le banconote di cinque fiorini venivano chiamate, ben belli,
“Paganininerl” e il cognome Paganini veniva usato come sostantivo
per definire qualunque virtuoso. L’aspetto tenebroso e la furbizia
nulla tolgono alle qualità del musicista e vedi caro lettor, istintivo
poter dire che le sue magiche esecuzioni incantarono con malizia
i colleghi dell’epoca. Celebre la frase “Ho sentito cantare 253

un angelo” di Schubert senza tuttavia dimenticare


il simpatico ma non men lusinghiero commento
di Rossini “Solo due volte ho pianto in vita mia,
quando un tacchino infarcito di tartufi con sgomento
mi cadde accidentalmente in acqua e quando con magia
sentii suonare Paganini”. In tempi relativamente recenti

si è scoperto che le sue straordinarie capacità artistiche


vennero probabilmente “esaltate” per vie del tutto mistiche
da una rara malattia, la “sindrome di Melfan” che
altera il tessuto connettivo e compromette, altroche,
vari apparati dell’organismo tra cui lo scheletro.
Le descrizioni di Paganini riferiscono di braccia lunghe,
mani con lunghe dita affusolate e piedi (non di vetro)
approssimati che muoveva al ritmo musicale
contorcendo l’esile corporatura in impossibili pose
raggiungendo livelli di virtuosismo inpensabili a jose
con un allenamento estenuante quotidiano. Se da un lato
la disabilità lo portò alla gloria dall’atro gli procurò 254

molte sofferenze ma rimase un genio dalla musica virtuosa, ben lo so!

IL VIOLINISTA DEL DIAVOLO

Niccolo’ Paganini è senza ombra di dubbio il più grande


violinista della storia: era anche uno strano, visto da vicino,
uomo, misterioso, inquietante. Le caratteristiche, alla grande,
che legano il famoso artista al sovrannaturale iniziano da bambino,
a sei anni d’età quando, sappi lettor caro, fu creduto morto dopo
un violento attacco di morbillo: egli fu avvolto a tale scopo
nel sudario e cominciò il servizio funebre quando
all’improvviso fece un piccolo movimento che venne subito notato
e così sfuggì a una prematura sepoltura, cero il dato!
Miracolo? Qualcuno nell’Italia superstiziosa d’allora
è sicuro si si. C’è poi da non dimenticare che allorquando
Niccolo’ crebbe e diventò il genio che conosciamo, la gente
iniziò a far girar strane leggende sul suo conto. Sapientemente
il suo brillante modo di suonare venne attribuito
a un “faustino” patto con il Demonio: il compositore
non negò mai queste illazioni, anzi, fece di tutto e a tutte le ore,
per incoraggiarle. Magrissimo, pallido in maniera cerea, a causa
della sifilide, con gli occhi rientrati nelle orbite, tabula rasa,
vestiva sempre di scuro e si presentava su di una carrozza
nera trainata da quattro cavalli anch’essi di colore nero. 255

Non aveva tutta la dentatura per l’ingerimento del mercurio, fatto vero,
somministrato e per curare la predetta malattia e la bocca, giocoforza,
gli era così rientrata e in tal maniera naso e mento s’erano avvicinati.

Quando Paganini suonava sul palcoscenico davvero


doveva sembrare uno scheletro in frack con il violino
incastrato sotto la mascella e nonostante, fatti a strati,
la sua brutta figura ebbe moltissime amanti.
Grazie a tutte queste caratteristiche l’immagine dell’artista
era assai attraente e tutti accorrevano a sentirlo in bellavista.
Ebbe un grande successo locale, nazionale e internazionale
e la sua apparizione faceva lievitare il prezzo, a scendi e sale,
del biglietto d’ingresso mentre la sua figura era sfruttata
per la vendita delle “caramelle Paganini”; era, a data
certa, una vera star con l’idea che la sua fama
era più dovuta all’immagine e al suo virtuosismo
che al suo talento artistico nei panni di “creatore”.
Era dotato di una tecnica straordinaria e, a tutte le ore, 256

la sua musica era considerata ineseguibile da principi del virtuosismo;


era velocissimo, compiendo salti melodici di diverse ottave
ed eseguendo lunghi passi con accordi che coprivano, a fave
e a pizza, tutte e quattro le corde; alternava velocemente
note eseguite con l’arco e note pizzicate sapientemente
con la mano sinistra eseguendo anche misteriosi
e spettrali armonici artificiali. Con sforzi focosi,
sappi caro lettor, ogni sua tecnica era portata all’eccesso
e le sue violente esecuzioni finivano quasi sempre, non da fesso,
con la volontaria e progressiva rottura delle corde
e la conclusione del concerto del concerto sull’unica delle corde
superstite, quella del sol. Occorre poi dire che sul letto di morte
Paganini rifiutò l’estrema unzione (fatto contestato) e accolte
fra le sue composizioni più famose “Il trillo del Diavolo”
e le “Streghe” con grande consenso colto dal pubblico al volo;
altra leggenda macabra che s’annida fra le corde del violino, 257

il famoso Stradivari e quello del Guarneri del Gesù, per benino!


A tal proposito che queste fossero state fatte con le interiora
di una delle amanti del musicista che, in preda alla follia,
si sia fatta uccidere a causa della sua musica, ancora
e sì che la sua anima sarebbe stata un tramite tra i due mondi.
Ora il primo violino appartiene, pensa caro lettor, a tutti tondi,
al musicista ungherese Edvin Marton, un vero fenomeno tuttora!
PAGANINI NON RIPETE

Tutti conoscono queste parole ormai famose in tutto il mondo


ma pochi sanno dove sono state pronunciate per la prima volta.
E’ il febbraio del 1818 e al Teatro Carignano di Torino 258

Niccolo’ eseguì uno dei suoi più straordinari concerti: da vicino


tra il pubblico v’era anche Carlo Felice regnante che, dopo
la performance musicale del compositore, chiese poco
dopo la ripetizione di un brano, insomma il consueto “bis”.
Paganini, abituato ad improvvisare la sua musica e spesso, si,
lesionandosi i polpastrelli, decise di recare al predetto sovrano
questo messaggio: “Paganini non ripete”. Pian piano
al genovese, dopo questo incidente diplomatico venne tolto
il permesso d’eseguire il terzo concerto della sua tournèe.
Offeso dal regale gesto l’artista decise allora, forse da stolto,
di annullare i concerti programmati a Vercelli ed Alessandria, verità è!
All’amico Germi scrisse: “In questo regno il mio violino spero
di non farlo più sentire”: non sarà così, son proprio sincero,
poiché nel 1836 ritornò a Torino ringraziando re Carlo Alberto
per la concessione di legittimazione di Achille suo figliolo.
Questa è la breve storia che ha determinato, ne son certo,
il successo di una delle frasi più famose ereditate, proprio a fagiolo!
PARTE SEDICESIMA
259

CURIOSITA’ PAGANINIANE
L’OPERA EDITA E NON EDITA

Il destino dell’opera di Paganini è stato anche più tragico


di quello della sua vita. A tanto tempo dalla sua morte
soltanto una piccola parte delle sue composizioni, evento non magico,
son state stampate nel numero ll’incirca di 100, dato molto forte! 260

La maggior parte di tali manoscritti passarono in eredità al figliolo


e le pretese dicerie sulla gelosia della sua musica, proprio a fagiolo,
alla contrarietà di lui a pubblicare i suoi lavori, sfatate
rimangono: è vero che egli era riservato, fantastico come fate,
ma conosceva tutti i trucchi del mestiere come quello
della scordatura ma soprattutto una mano speciale, ben bello,
e alcune particolari fisiologiche innate e che il continuo esercizio
aveva sfruttato e sviluppato al massimo. Fu nel solstizio

parigino che Paganini, ormai cinquantenne, cominciò a passare


all’edizione dell’opera omnia, però non realizzata, a ben guardare.
Il figlio Achille curò presso vari editori alcune composizioni
mentre i nipoti Andrea, Giovanni e Attila, non con discrezioni,
pensarono a vendere sia alcuni manoscritti che i cimeli di Villa
Gajone, che alla redazione di un catalogo e a proporre, con favilla
speranza, l’acquisto da parte dello Stato di 86 autografi musicali,
cosa che non avvenne per mancanza di fondi a scendi e sali!
Gli eredi allora provvidero alla vendita attraverso un’asta 261

fiorentina ove vinse l’antiquario allemanno Baer e “hasta


la vista” poi passarono a Helck di Vienna, indi a Olschky
di Firenze e quindi a Heyer di Colonia, collezionista,
e infine al dottor Reu Reuther di Menhein di Germania a vista!

IL SEGRETO DI PAGANINI

Se Paganini creatore è rimasto vivo nell’opera, Paganini


virtuoso è irrevocabilmente scomparso e i prodigi
delle sue esecuzioni trascendentali rimangono solo nel ricordo.
Due scritti contemporanei appaiono soprattutto ligi
e interessanti nei riguardi del modo di suonare di Paganini:
la “Notice physiologique” del Bennati e, non accorre esser sordo,
l’”Arte di suonare il violino di Niccolo’ Paganini” di Guhr.
Il nostro artista, centauro del violino, aveva adattato, plasmato,
modificato le linee del proprio corpo, la forma, certo è il dato,
delle proprie membra secondo la sagoma dello strumento
e le necessità delle posizioni nell’atto, vedi lettor, del suonarlo, 262

di possederlo, di dominarlo. E mentre, come forte vento,


la sua carne s’immedesimava con il legno, entrava come tarlo
in esso facendo corpo unico connesso. Il nostro musicista
aveva una musica e una posizione personale, sgraziata a prima vista,
innaturale, grottesca. Secondo Guhr il genovese violinista

adoperava corde sottili per i suoi acuti, gli armonici in bellavista


semplici e doppi, il pizzicato della sinistra mano.
L’accordare, come lui faceva, il violino mezzo tono
sopra, costituiva uno stratagemma ingegnoso che gli permetteva un mono
suono dello strumento sull’orchestra con una diteggiatura
che non somigliava affatto a quella degli altri violinisti a dismisura,
e delle altre scuole: a volte un dito scavalcava l’altro,
a volte si valeva di un sol dito per far più note
eseguendo i trilli con il mignolo e con il pollice, a ruote
libere, della mano sinistra si rovesciava sin a toccare il dorso
della mano per effetti speciali di sovraccaricamento, come morso? 263

Questi e altri particolari della sua tecnica singolare


contribuirono a creare nel pubblico la convinzione magistrale
che egli possedesse un segreto più o meno umano, più o meno
magico, più o meno demoniaco e Paganini lasciò nondimeno
correre queste leggende che aleggiavano la sua figura.
E’ indubbio che il nostro artista aveva un suo metodo su misura,
eccellente, insomma un “segreto metodistico” d’insegnamento
del suonare, personalissimo e incomunicabile con il lato estroso
e capriccioso del temperamento sfociante nell’estro che passa come vento
e che entusiasma l’ascoltatore nei virtuosismi alla perfezione.
La materia incandescente ribollente nel crogiolo della sua immaginazione
aveva necessità d’espandersi nell’audacia delle sue creazioni
in quelle fioriture, ornamentazioni, cadenze con colorazioni.
Nell’intimo l’entusiasmo, la fede, la speranza bruciavano come fiamma
indistruttibile e lui sempre domava l’elettricismo con una gamma
impressionante del suo phatos, della sua passione, anima e cuore.
Questo era il segreto di Paganini, il solo, il più vero a tutte le ore,
quello che era impossibile spiegare, non possibile da trasmettere, rivelare 264

il segreto della sua personalità, della sua arte seriale, a ben guardare.
Alla sapienza e alla maestria della sua arte il nostro musicista
era giunto attraverso il tormento, il dolore e, in bellavista,
la folla era inconsciamente trascinata dalla guerra e tragicità
di quel destino prometeico e, acclamandolo là per là,
sentiva di esaltare un eroe incomparabile e inimitabile
quale sarebbe apparso nel mondo e Listz mirabile
aveva ragion da vendere: non vi sarebbe mai stato
più al mondo un secondo Paganini, poco ma vero, certo dato!
PREMIO PAGANINI

Per promuovere l’attività concertistica dei violinisti


debuttanti dal 1954 si svolge annualmente nella città genovese
presso il Teatro Carlo Felice il “Premio Paganini” a gran visti.
Il concorso di notevole difficoltà si articola, ben in arnese, 265

in tre prove nel corso delle quali i concorrenti devono eseguire


vari pezzi per violino solo o con accompagnamento a fluire
di pianoforte. Al vincitore è concesso di suonare il “Cannone”,
il famoso violino dell’artista costruito nel 1743
dal lituaio Bartolomeo Giuseppe Guarneri, lasciato, verità è,
dal musicista alla sua città natale onde fosse alla perfezione
perpetuamente conservato: oggi infatti trova allocazione
nel Palazzo Doria Tursi, con di tutti grandiosa ammirazione!
CURIOSITA’

Si ipotizza che Paganini fosse affetto da una malattia,


ossia da una sindrome marfanoide, patologia
che colpisce il collagene della matrice extracellulare:
questo spiegherebbe l’araenodattilia (a ben osservare 266

le dita estremamente lunghe e mobili) che gli permise


d’arrivare a livelli d’esecuzione tecnica insuperati.
Per mostrare le sue doti di violinista al Nostro gli arrise
l’abitudine d’incidere le corde dei violinisti, certi i dati,
durante i concerti, in modo tale che quasi tutte
si rompessero tranne l’ultima: ciò, a bizze tutte,
aveva lo scopo di mostrare la sua eccelsa versatilità:
queste le doti d’estro, di virtuosismo, di Niccolo’ re della celebrità!
POSTLUDIO

Chiudo con questi versi questo cammino, pien d’emozioni e di fatica,


dopo aver bevuto, sorseggiando fino in fondo, tutto il bicchiere,
e consumato, con accanto Paganini e delle sue opere musicali tutti i canti;
ora, soltanto ora, posso affrontare anche i lamenti e i pianti 267

che farà quella mogliettina mia (non mi lagno, è del resto il suo mestiere),
brava, buona, non paziente come Antonia Bianchi, donna magnifica.
Sapendo dopo tutto che ho fatto per intero il mio dovere,
penso d’avere riportato un poco di musica di fine 800 agli “ignoranti”,
aprendo lor, uno squarcio sulla musica del Maestro già in avanti,
perciò sono soddisfatto con la gioia in cuore che è un piacere!
In effetti mi pare d’aver fatto in tutto questo tempo un sogno
ove, con Niccolo’, il suo violino, le sue donne, c’ero anch’io,
scrivendo dell’autore dei Capricci, per un’esigenza mia, come un bisogno
perché mi son accostato della musica virtuosistica al vero Dio!
EPILOGO

Come detto la colpa non è mia se ho dato vita a questo tipo di stornello,
responsabili son Belli, Pascarella, Zanazzo e Trilussa, illustri favolisti,
a cui, oltre l’indegna imitazione, son grato e faccio loro tanto di cappello
per l’ estro, genio e fantasia, virtù rare ai veri artisti! 268

Ecco perché ho voluto riscrivere la storia di Niccolo’ piena di ricordi


e di nostalgia violinistica, a cui non si può rimanere sordi.
E ora, anche se ancora tante idee avrei nella mente,
che è ricca, varia e che non ha paura dell’usura,
mi fermo qui perché l’arguzia è gradita se ha misura:
il troppo storpia e scoccia inopportunamente.
Perciò adesso che son proprio arrivato agli sgoccioli,
comunque sia quest’opera, frutto della Musa mia,
te, caro lettore, desidero che giudice tu sia:
l’onesto lodi, il disonesto lanci pure i moccoli;
io accetto la rosa e butto le spine per evitar l’insidia,
perché sopporto tutti i difetti meno che l’invidia.
Ma dato che non son presuntuoso e pieno di me,
faccio questa testimonianza che appartiene solo a te:
a chi mi leggerà lascio questi studi culturali e ardenti
e se il tuo intelletto sarà invaso da puri sentimenti,
è forse perché quel mondo è pieno di morale e di poesia,
versi scritti con il cuore anche se non sfiorano la maestria.
Mi dispiacerà se invece qualche lettore non apprezzerà
questi versi ma è anche vero che la buia notte passerà:
sopporterò allora questo malanno comunque con gran coraggio
offrendo alla critica il petto aperto come fauna rosa a maggio!
E poi anche se il dissenso sarà feroce, “me ne fotto”, non m’importa,
oramai ho un’esperienza e ne ho visto di tutti i colori e fatto una scorta,
ossia il callo e lo so’ che l’invidia è il sentimento che più s’è propagato 269

nel corso dell’umanità, addirittura più dell’odio e dell’amor immortalato;


del resto soffrire un po’ nella vita serve dopo tutto a farsi una corazza,
nulla questo rispetto al dolore che Paganini provò duro come una mazza!
La differenza è che il Maestro è il numero uno, il divino violinista-poeta,
io invece uno scrittore che merita sol un centesimo d’euro di moneta;
spero che non v’abbiano annoiato i miei versi, dormendo su una sedia,
non bocciateli perciò, sennò la cosa si fa’ seria come in una tragedia!
Insomma dopo che alla scuola degli autori citati son cresciuto,
caro signor lettore, forse non lo sai, ma a te io do’ l’ultimo saluto,
sì proprio a te, altrimenti me lo dici che ho studiato a far,
se non ti lascio queste pagine che son la mia eredità?
Ma bando alla malinconia: preferisco a chi mi legge fargli un bell’inchino
e dir grazie per gli applausi come fa, alla fine d’una danza, un ballerino!
BIBLIOGRAFIA

Wikipedia, Enciclopedia libera, Niccolo’ Paganini

I Grandi Musicisti, Ediz. Fabbri Fratelli, 1965


270

Alberto Cantù, Invito all’ascolto di Paganini, Ediz. Mursia 1988

Fausto Sartorelli, L’uomo violino: Paganini, Ediz. Abate 1981

Danilo Prefumo, Niccolo’ Paganini, Ediz. L’Epos 2006

Ettore Napoli-Marco Ravasini, Musica una storia a sospiri, Mursia 1980

Maria Tibaldi Chiesa, Paganini: la vita e l’opera, Ediz. Garzanti 1944


INDICE

3….…Dedica
4.......Introduzione dell’autore 271

7…...Presentazione
8…...Autoritratto d’autore
9…...Il prologo

10…. Parte Prima: La cultura del melodramma

11…Il Melodramma
14…Il melodramma fra Restaurazione e Risorgimento
14…L’opera romantica
17…Il melodramma negli anni della Restaurazione
18…Paganini nel melodramma
20…Verdi e il Romanticismo
22…Il libretto nell’opera di Verdi
24…L’opera fra realtà e illusioni
25…L’opera dei bassifondi
27…L’astro nascente e l’erede: Puccini

29…Parte Seconda: Vita


30…La vita
46…Parte Terza: La musica violinistica del 700

47…La musica violinistica del 700


50…Il violino
52…Lo strumento violinistico
53…Il suo Guarneri 272

57…Ancora sul violino

60…Parte Quarta: Paganini visto da vicino

61…Paganini visto da vicino


63…Il carruggio “Passo di Gatta Mora”
67…L’influsso sui romantici
68…Gli orientamenti della critica
70…Lo squillo dei Capricci
72 ..Personaggi d’opera

75…Parte Quinta: Paganini : chi era costui?

76…Paganini: chi era costui?


78…Niccolo’: un virtuoso?
81…Incontri

83…Parte Sesta: I primi anni


84…La giovinezza
86…Lucca
88…Primi successi in Italia
91…Il crollo di un mondo
94…Roma e Napoli

273

95…Parte Settima: Gli anni della maturità

96…La malattia
99…Vienna, Praga e Berlino
101..Varsavia e la Germania
102..Primo soggiorno a Parigi e a Londra
105..Secondo e terzo soggiorno a Parigi e a Londra
107..Gli ultimi fuochi: Belgio ed Inghilterra
109..Il declino e la morte

117...Parte Nona: Il mito di Paganini

118..Il mito di Paganini


121..Una figura d’oltretomba
123..Paganini in poche righe
125..Bibliografia
130..La tecnica
131..Malattia, morte e sepoltura
133..Parte Decima: Il diabolico Niccolo’

134..I predecessori e i contemporanei di Paganini


139..Il patto con il Diavolo
140..Paganini non ripete
274

141..Parte Undicesima: Niccolo’ Paganini: genio musicale

142..Il genio di Niccolo’ Paganini


143..Avventure ed esperienze
146..Il prodigio del secolo
148..Alla conquista dell’Europa
151..Il mago del violino
152..Tra realtà e leggenda

156..Parte Dodicesima: Opere

157..Concerti
163..Concerto nr. 1 in re maggiore per violino e orchestra
165..Ancora sul Concerto nr.1 op. 6
168..Concerto nr. 2 in si minore per violino e orchestra
169..Le vicende delle opere di Paganini
171..Altre opere per violino e orchestra
176..Niccolo’ Paganini a Mr. Henry
178..Le Convent du Mont Saint Bernard
178..La Grand Viola
180..Variazioni sulla quarta corda sul Mosè di Rossini
181. Il Cantabile
182..Capricci
183..Capriccio in si e in mi bemolle maggiore
275

185..Parte Tredicesima: Altre opere

186..Opere per violino solo


188..Opere per violino e pianoforte
189..Opere per violino e chitarra
192..La Sonata Concertata e la Grande Sonata
193..Opere per chitarra sola
196..Opere per mandolino
197..Terzetti e Quartetti con chitarra
200..Composizioni per soli archi e fiati
201..Musica vocale

203..Parte Quattordicesima: Una vita con il violino in mano

204..Il passo di Gatta Mora


205..I genitori
206..Gli studi
207..Il primo concerto
208..Il mecenate di Paganini
210..A Lucca
211..La prima donna
213..Elisa Bonaparte, la rosa bianca
215..Paolina Bonaparte, la rosa rossa
217..Le Streghe
218..Angelina 276

219..Un duello all’archetto


220..Amorose schermaglie
221..Avventure e disavventure partenopee
222.. L’incontro con Byron
224..Carnevale romano
225..Due anni perduti nella tristezza
226..Il piccolo Achille
228..Alla conquista di Vienna
230..Soggiorno a Praga
231..Primo anno in Germania
233.. Secondo anno in Germania
236..A Parigi
237..In Inghilterra e in Irlanda
239..Charlotte Whatson
240..Ritorno in Patria
241..Una speculazione disgraziata
245..L’ora estrema
247..Amori appassionati
248..Paganini il disabile
259..Parte Sedicesima: Curiosità paganiniane

260..L’opera edita e non edita


261..Il segreto di Paganini
265..Premio Paganini
266..Curiosità 277

267..Posludio
268..Epilogo
270..Bibliografia
271..Indice

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