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I modelli VaR

Il rischio di mercato è rischio di variazioni del valore di mercato di uno strumento o di un


portafoglio di strumenti finanziari connesse a variazioni inattese dei fattori di mercato.
Esistono cinque categorie di rischi di mercato: 1. Rischio di cambio 2. Rischio di interesse 3.
Rischio azionario 4. Rischio merci 5. Rischio di volatilità
Nel corso del tempo la modellistica per misurare il rischio di tasso che prima era molto elementare
si è evoluta e complicata. L’approccio tradizionale era basato sui valori nominali delle singole
posizioni, e le misure di sensibilità impiegate erano la duration per le obbligazioni, il beta per le
azioni e Delta, gamma, vega, rho per le opzioni.
L’approccio moderno che è risultato utile per eliminare i difetti della modellistica tradizionale ed
efficace nel fornire risultati semplici da capire per il banchiere, è stato quello del modello Var, il
quale consente di quantificare, confrontare e aggregare il rischio connesso a posizioni e portafogli
differenti.
Il Var è la perdita massima che potrebbe essere subita entro un determinato orizzonte temporale
tale che vi sia una probabilità molto bassa che la perdita effettiva risulti superiore a tale importo. Il
VaR è una misura probabilistica basata su un orizzonte temporale e su un determinato intervallo di
confidenza.

1.
Il modello base (in cui vi rientra anche la teoria di Markowitz) è fondato sull’approccio varianze
covarianze, in quanto dice che tutti gli strumenti presenti nel trading book (portafoglio) hanno tra
loro delle correlazioni e sono dunque esprimibili attraverso una matrice di varianza e covarianza. Il
VaR, cioè la perdita massima a cui la banca può andare in conto, aumenta se non si diversifica
adeguatamente il portafoglio, e diminuisce se si usufruisce del beneficio da diversificazione.
L’approccio varianze-covarianze è quello più diffuso presso le istituzioni finanziarie per la
misurazione dei rischi di mercato, per una serie di motivi:
1. semplicità in termini di onerosità dei calcoli
2. è la versione originale dei modelli VaR
3. presenza di una banca dati (RiskMetrics® originariamente sviluppata dalla banca
statunitense J.P.Morgan), che si basa sull’approccio in esame
Tale approccio presenta però diversi svantaggi, legati alle ipotesi teoriche alla base dell’intera
metodologia:
1. la distribuzione dei rendimenti dei fattori di mercato
2. la sensibilità delle posizioni in portafoglio al variare dei fattori di mercato
Per quanto riguarda le ipotesi sottostanti al metodo, è assunto che le possibili variazioni di valore
di tutti i fattori di mercato seguono una distribuzione normale.
È possibile costruire una matrice di varianze-covarianze dei possibili valori futuri dei fattori di
mercato e delle loro correlazioni . Le possibili perdite dipendono da tale matrice e dalla sensibilità
di ciascuna esposizione alle variazioni dei fattori di mercato. Il VaR è un multiplo della deviazione
standard delle perdite future, quindi va a misurare cosa possa succedere all’investimento con una
probabilità pari all’intervallo di confidenza, dunque quale sia la perdita massima in cui si incorre e
il peggior La scelta dell’intervallo di confidenza dipende dalla propensione o avversione al rischio
dell’investitore: chi è avverso sceglierà il 99% perché vuole coprirsi conto tutti i rischi, e
accantonerà più capitale o userà strumenti di copertura, chi invece è propenso a sopportare
rischio sceglierà anche il 90%.
Il funzionamento dell’approccio varianze covarianze ha subito diverse critiche, perché nella realtà
non sempre i rendimenti seguono l’andamento di una gaussiana.

2.
Un ulteriore metodo di misurazione del Var è quello delle Tecniche di simulazione.
Si distingue dall’approccio varianze-covarianze perché:
1. La distribuzione delle variazioni di valore dei fattori di rischio non è necessariamente
normale
2. L’impatto sulle possibili perdite p misurato attraverso la full valuation: ricalcolo di tutte le
posizioni sulla base dei nuovi valori dei fattori di mercato
3. Il VaR deve essere calcolato sulla base dell’intera distribuzione delle perdite future (oltre
un certo cutoff) e non è un multiplo della deviazione standard.
Tuttavia è stato dimostrato prendendo un campione di rendimenti logaritmici giornalieri di un
indice di borsa relativi ad un periodo di 100 giornate, che non è irragionevole ipotizzare che i dati
in questione provengano da una distribuzione normale.
Se abbiamo uno strumento finanziario in portafoglio che viene scambiato di continuo e che genera
continuamente prezzi diversi, e quindi rendimenti, c’è un movimento che viene approssimato nel
continuo e soprattutto per i titoli più liquidi; a conti fatti, con riferimento a orizzonti temporali
giornalieri, studi empirici dimostrano che la miglior previsione del rendimento futuro non è il
rendimento medio storico ma un valore nullo e si tratta di un’approssimazione che non induce a
fare un errore grosso, ma un errore piccolo e tollerabile.
Il VaR risulta essere secondo tale metodo il prodotto di tre elementi:
1.il valore di mercato della posizione (VM)
2.un fattore scalare |zα|che consente di ottenere una misura di rischio corrispondente al livello di
confidenza desiderato. Maggiore è l'intervallo di confidenza 1-α, maggiore risulta essere |zα| e, a
parità di altre condizioni, il valore a rischio.
3.la volatilità stimata dei rendimenti del fattore di mercato (σ), legato all’orizzonte temporale di
osservazione scelto.

 La scelta del livello di confidenza sarà basata sulla variabile critica del grado di avversione
al rischio della banca. Maggiore è l’avversione al rischio, più sarà elevato il fatto |zα|. Se la
banca si dota di una quantità di capitale proprio pari al VaR, un livello di confidenza elevato
implica ovviamente un grado di protezione maggiore, quindi una minor probabilità di
ottenere perdite superiori al capitale.
 Il VaR viene definito come la massima perdita che la banca può subire dal portafoglio titoli,
ma dobbiamo chiederci in quanto tempo. La scelta dell’orizzonte temporale di riferimento
sarà effettuata tenendo in considerazione 3 fattori:
o Il grado di liquidità del mercato di riferimento Il VaR rappresenta una perdita
massima solo se la posizione può essere ceduta entro l’orizzonte di rischio
o La dimensione della posizione assunta. La possibilità di liquidare un investimento
senza subire perdite dovute all’ampliamento del bid/ask spread dipende anche
dalla sua dimensione
o Holding period della singola posizione. Le posizioni di trading devono essere
valutate con un orizzonte temporale più breve delle posizioni considerate di
investimento. Valori ritenuti normali per il trading book potrebbero essere VaR ad 1
settimana, massimo 1 mese, come orizzonte temporale di riferimento, proprio
perché sono rischi riferiti a posizioni in continua movimentazione.
La stima della volatilità per intervalli di tempo prolungati comporta problemi dovuti alla scarsità di
dati. Ad esempio per un orizzonte temporale di un anno occorrerebbe un campione
sufficientemente ampio di 20 o 30 osservazioni annuali e risulta essere difficile reperire i dati o
esservi scarsa significatività degli stessi, perché dati troppo vecchi.
Una soluzione derivata dalla Teoria del pricing dei derivati è quella di utilizzare la volatilità
giornaliera per stimare la volatilità di periodi più prolungati, ipotizzando che i rendimenti
giornalieri siano variabili casuali indipendenti e identicamente distribuite.
Il concetto di indipendenza è legato al fatto che i prezzi degli strumenti finanziari quotati sono
legati alle aspettative dei trader; quindi, trader diversi, aspettative diverse e negoziatori diversi
portano a dire che ciascuno scambio è indipendente da tutti gli altri.
In statistica la varianza, o la deviazione standard, di una serie di variabili che sono tra loro
indipendenti, cioè con correlazione pari a zero, sarà pari alla somma delle singole varianze. Per
cui possiamo dire, ad esempio che la varianza settimanale è la somma di tutte le varianze
giornaliere.
Così facendo noi basiamo tutto il nostro ragionamento sull’esistenza di questa esistenza seriale dei
rendimenti, cioè le variazioni di prezzo da un giorno all’altro sono dunque descritte dalla stessa
campana, con la stessa forma, con la stessa media e con lo stesso scarto quadratico medio, che
nella maggior parte dei casi è un’approssimazione che va bene per non commettere errori gravi,
ma in alcuni casi particolari potremmo andare incontro a delle problematiche.
Vi sono delle fasi di mercato o delle tipologie di mercato (o strumenti finanziari) in cui
palesemente i movimenti di prezzo non sono indipendenti tra loro, ma risultano essere
caratterizzati da autocorrelazione, ciò significa che la variazione di prezzo successiva tende a
mimare la precedente, e può essere correlazione positiva (stessa direzione) o negativa (direzione
opposta).

3.
La sensibilità delle posizioni ai fattori di mercato
Un altro problema che potrebbe porsi nel calcolo del VaR riguarda il fattore di rischio. Infatti,
capita che il fattore di rischio potrebbe non coincidere perfettamente con il nostro rendimento di
portafoglio; ciò significa che la variazione che si osserva sul mercato non ha un rapporto 1 a 1 con
la variazione che si osserva nel nostro portafoglio.
Per prendere in considerazione questa “imperfetta relazione” tra il fattore di rischio e lo
strumento in portafoglio si introduce il fattore delta d. Il 𝛿 è un coefficiente rappresentativo della
sensibilità del valore di mercato della posizione in portafoglio a variazioni del fattore di mercato.
Il coefficiente di sensibilità δ è dato da –DM, cioè dalla duration modificata cambiata di segno.
Questa misura di rischio non solo riflette la sensibilità del prezzo dei titoli a variazioni dei tassi di
interesse, ma anche la volatilità di tali variazioni.
La duration va presa con il segno negativo perché quel legame presente tra tassi e prezzi è un
legame inverso: tassi scendono-prezzi salgono e viceversa.

4.
Il Var di Portafoglio
Quando abbiamo una portafoglio composto da diversi strumenti possiamo calcolare i singoli VaR,
ma questi non vengono sommati, perché bisogna tenere conto che esistono degli effetti
correlazione. Dunque il VaR di portafoglio è inferiore alla somma dei singoli VaR perché esiste il
problema delle correlazioni.
Poiché i fattori di rischio sono, per ipotesi, distribuiti normalmente, anche la variazione di valore
del portafoglio è distribuita secondo una normale. Se tutti i fattori di rischio fossero perfettamente
correlati il VaR complessivo coinciderebbe con la somma dei VaR individuali.
Il VaR calcolato con l’approccio parametrico è una misura di rischio subadditiva.
Dev. std . = √varianza = VaR1 + VaR2 + 2 * Var1 * VaR2 *Correlazione
Approccio delta-normal e asset normal
Nel calcolare il VaR possiamo decide di procedere in due differenti modi:
- Il nostro caso può essere quello in cui il fattore di rischio non segue lo stesso andamento
delle posizioni in portafoglio, ma la distribuzione delle variazioni del fattore di rischio (ad
esempio, il movimento dei tassi di interesse) e la distribuzione delle variazioni di valore
delle posizioni in portafoglio (ad esempio, i rendimenti di un’obbligazione) sono collegati
attraverso un coefficiente di sensibilità lineare 𝛿. Il 𝛿 è un coefficiente rappresentativo
della sensibilità del valore di mercato della posizione in portafoglio a variazioni del fattore
di mercato. Questo approccio è definito delta-normal.

- Nel caso in cui le variazioni del fattore di rischio abbiano un legame diretto con le variazioni
di prezzo delle posizioni in portafoglio, la distribuzione risulta normale e parliamo di
approccio asset-normal, in cui non è necessario utilizzare alcun coefficiente delta per
calcolare il Var. (esempio, prezzi di mercato delle azioni-portafoglio azionario).
È possibile utilizzare come fattori di rischio anche le variazioni logaritmiche dei prezzi delle
attività finanziarie presenti nel portafoglio e ciò equivale a imporre che i prezzi delle attività
in portafoglio seguano una distribuzione log normale.
 Rispetto all’approccio delta-normal, l’approccio asset-normal presenta il vantaggio di
semplificare l’analisi, limitandosi a considerare come fattori di rischio i rendimenti unitari delle
diverse posizioni
5.
Il mapping delle posizioni a rischio
Può accadere che il valore di mercato delle posizioni detenute in portafoglio sia funzione di più
variabili di mercato, quindi soggetta a diverse fonti di rischio di mercato.
Per questi contratti, la stima del VaR nell’approccio varianze-covarianze prevede che le singole
posizioni vengano scomposte in componenti elementari, ovvero fare il mapping, tali che il loro
valore dipenda dalle variazioni di un solo fattore di mercato.
È come se ipoteticamente avessimo due strumenti finanziari dove uno dipende, ad esempio, dal
movimento dei tassi, e uno il cui rischio dipende dai movimenti del tasso di cambio e poi
dobbiamo metterli insieme per ricondurci ad un unico VaR.
 Il rischio dell’intera posizione viene poi determinato aggregando i rischi delle componenti
elementari sulla base delle correlazioni
1. Mapping delle posizioni in titoli azionari
Una posizione azionaria presenta un valore di mercato sensibile a un solo fattore: il prezzo del
titolo. Considerando ogni singolo prezzo azionario come un fattore di rischio si otterrebbe, nel
caso di un portafoglio, un elevato numero di fattori di mercato dei quali stimare volatilità e
correlazioni.
Le posizioni vengono aggregate sulla base della comune sensibilità a un unico fattore di mercato e
possiamo immaginare ciascuna singola azione come un’esposizione verso il mercato.
La tecnica mapping si fonda sull’ipotesi che la variabilità del rendimento di ogni singolo titolo
azionario possa essere interamente spiegata dalla variabilità del rendimento dell’indice di
mercato.
Il grado di parentela che c’è fra ogni singola azione e il mercato è misurato da un numero chiamato
Beta, che appunto rappresenta il legame che esiste fra i movimenti di prezzo del singolo titolo
azionario e i movimento di prezzo del mercato (detto anche rischio sistematico). Il Beta dice
dunque quanto si muove la singola azione in conseguenza al movimento unitario del mercato.
Si assume che il beta del mercato sia pari a 1.
- Azioni che hanno beta > 1 sono quelle che tendono a reagire di più del mercato
- Azioni che hanno beta < 1 sono quelle meno rischiose del mercato, quindi a parità di good new e
bad news la loro performance sarà dello stesso segno del mercato ma più piccola in valore
assoluto.

Se tutte le azioni dipendono dallo stesso fattore di rischio e abbiamo n grado di parentela (un
numero) che mette in corrispondenza il legame tra ciascuna singola azione e il mercato, se
vogliamo, possiamo decidere di non calcolare tanti VaR e poi metterli insieme con la tecnica delle
correlazioni, ma possiamo decidere di calcolare i VaR che dipendono dallo stesso fattore di rischio
e poi dobbiamo solo sommarli in quanto non è più presente la correlazione dato che il fattore di
rischio è 1

2. Mapping dei titoli obbligazionari


Il rischio di un titolo obbligazionario può essere modellato utilizzando lo Yield to Maturity come
unico fattore di rischio, cioè la curva dei tassi di rendimento e come coefficiente di sensibilità la
duration modificata.
Una banca che detiene nel proprio portafoglio molte obbligazioni dovrebbe dunque considerare
un numero elevato di fattori di rischio.
Normalmente le banche preferiscono non utilizzare come fattore di rischio i tassi interni di
rendimento, bensì i tassi zero coupon legati ad un insieme predeterminato di scadenze, che
rappresenta la term structure. Ciò significa che un Treasury bond va scomposto nei suoi flussi di
cassa elementari che vanno successivamente tradotti (clumping), in flussi di cassa “fittizi” associati
ai nodi della term structure.

6.
Riepilogo approccio, limiti e pregi
L’approccio parametrico ipotizza che le variazioni dei fattori di rischio siano distribuite secondo
una normale con media nulla e volatilità stabile nel tempo; nell’approccio asset normal tale
ipotesi è applicata direttamente alle variazioni dei prezzi.
Le variazioni di valore delle posizioni vengono derivate da quelle dei fattori di rischio attraverso
coefficienti lineari(delta) e le posizioni complesse vengono suddivise in componente elementari
tramite le tecniche di mapping.
Le variazioni di valore di un portafoglio di posizioni e/o componenti elementari sono ottenute in
modo parametrico, utilizzando la matrice delle correlazioni tra le variazioni dei fattori di rischio. Di
conseguenza anche il VaR è ottenuto in modo parametrico, moltiplicando la deviazione standard
per un coefficiente |zα|.

Limiti dell’approccio:
1. Ipotesi di distribuzione normale
Problema 1: leptocurtosi
Nel modello i rendimenti di mercato sono approssimati come una normale, ma nella realtà non
viene seguita questa distribuzione. La differenza più marcata sta nel fatto che le distribuzioni dei
rendimenti di mercato presentano in genere code più spesse di quelle di una distribuzione
normale. Dunque gli eventi estremi lontani dal valore medio tendono a verificarsi con una
probabilità superiore rispetto a quello riportato nella distribuzione normale.

Problema 2: Negative skewness


Se sintetizziamo tutto con una gaussiana stiamo dicendo che la funzione sia simmetrica, quindi la
probabilità degli eventi estremi positivi è più o meno uguale alla probabilità degli eventi estremi
negativi. Nella realtà dei fatti non è così, perché le distribuzioni dei veri rendimenti di mercato
mostrano che sulla gaussiana le code oltre che ad essere più spesse non sono nemmeno uguali tra
di loro; generalmente la coda di sinistra è più spessa rispetto a quella di destra.

Le soluzioni che sono state introdotte nella teoria sono 2:


1. sostituire la distribuzione normale con altre distribuzioni, ad esempio con la distribuzione t
di Studente le misture di normali
a. La distribuzione t di Student è caratterizzata da code più spesse rispetto alla
distribuzione normale, quindi una migliore approssimazione dei movimenti del
mercato. La distribuzione t di Student è una distribuzione con media zero, varianza
unitaria, interamente definita da un parametro ν, denominato “gradi di libertà”, che
controlla il grado di leptocurtosi. A parità di media e deviazione standard, una
distribuzione t di Student produce stime di VaR più elevate di quelle di una
distribuzione normale
b. Un'altra distribuzione di probabilità alternativa alla normale è la combinazione di
più distribuzioni normali (mixture of normals), caratterizzate dalla medesima media
ma con varianze differenti. La mistura di normali risulta idonea per catturare gli
eventi eccezionali o estremi che una sola distribuzione normale non coglie
adeguatamente e risolve il problema delle fat-tails. Èpossibile utilizzare due
distribuzioni normali, entrambe a media nulla, la prima con varianza modesta e la
seconda con varianza assai più elevata, attribuendo ai rendimenti del fattore di
mercato una diversa probabilità di essere estratti da una delle due distribuzioni

2. le misure di VaR parametriche basate sulla normale vengano corrette per tenere conto
della skewness e della curtosi della distribuzione empirica dei rendimenti. Il percentile z a
viene corretto considerando i nuovi fattori di skewness S e curtosi K.

2. L’indipendenza seriale dei rendimenti dei fattori di mercato


La volatilità dei rendimenti giornalieri può essere utilizzata per stimare la volatilità di orizzonti di
rischio più prolungati, moltiplicando la prima per la radice quadrata del numero di giorni compresi
nel nuovo orizzonte di rischio
Questa soluzione è corretta se si assume che l’evoluzione dei fattori di mercato sia rappresentata
da un moto browniano geometrico, secondo cui:
- il fattore di rischio, il prezzo dello strumento finanziario, segue un percorso casuale che ha
una componente tendenziale di lungo periodo ma poi nei micromovimenti può andare un
po’ random
- i rendimenti relativi a intervalli temporali diversi sono fra loro indipendenti (ipotesi di
indipendenza seriale) e normalmente distribuiti
- la volatilità rappresenta un “disturbo” di quello che altrimenti sarebbe un processo guidato
unicamente dalla variazione attesa
Questa descrizione del fenomeno non è proprio vera, perché nella realtà dei fatti l’indipendenza
seriale dei rendimenti è raramente verificata e aveva detto che se osserviamo i prezzi degli
strumenti finanziari in portafoglio a distanze molto ravvicinate, ad esempio nelle negoziazioni
intraday, capita spesso di osservare una autocorrelazione seriale negativa, se invece si osservano i
prezzi di mercato nel lungo periodo, una-due settimane, spesso si osserva una autocorrelazione
positiva che è tanto più forte quando il titolo è illiquido.

3. Ipotesi di linearità dei payoff e l’approccio delta-gamma


L’ipotesi di una relazione lineare fra le variazioni dei fattori di mercato e le variazioni del valore
della posizione è scarsamente credibile. L’approssimazione di questa relazione può essere resa più
precisa introducendo il coefficiente gamma nel caso delle posizioni in opzioni e considerando non
solo la duration, ma anche la convessità nel caso dei titoli obbligazionari.

Pregi dell’approccio parametrico:


1. Efficienza computazionale: il tempo di stima è molto limitato
2. Non richiede di esplicitare i modelli di pricing relativi a ogni strumento in portafoglio: non
si basa sulla rivalutazione piena delle posizioni
3. Può essere applicato anche se i fattori di rischio non sono distribuiti normalmente, a
condizione che essi siano sufficientemente numerosi e relativamente indipendenti fra loro

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