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Il 26 aprile 1914, nell’ultimo capoverso di un suo articolo, Sul principio di relatività, viene formulata la
seguente domanda: “La teoria della relatività ristretta delineata fin qui è essenzialmente completa o
rappresenta solo il primo passo di uno sviluppo destinato ad andare oltre?”. Einstein ben presto comprese
che la teoria, così posta, fosse sotto alcuni aspetti ancora incompleta:
Postulava che nessuna interazione fisica potesse propagarsi a una velocità superiore a quella della
luce, e ciò era in contrasto con la teoria della gravitazione di Newton, la quale concepiva la gravità
come una forza che agisce istantaneamente tra corpi distanti.
Valeva solo per moti con velocità costante e quindi non valeva per quelli accelerati.
Non includeva la teoria della gravitazione di Newton.
Può sembrare strano che la forza gravitazionale non possa essere descritta dalla relatività ristretta, come la
forza elettromagnetica. Perché non possiamo usare la legge della gravitazione di Newton nelle equazioni
del moto della relatività ristretta? La risposta è che la forza di gravità, così come e rappresentata dalla legge
di Newton, è un'interazione a distanza che si propaga a velocità infinita e pertanto non è compatibile con i
postulati relativistici. Non è difficile verificare, in effetti, che le equazioni del moto di un corpo soggetto alla
gravità newtoniana non sono invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz.
La teoria della relatività ristretta, dunque, non è in grado di descrivere i fenomeni gravitazionali.
Ma nonostante tutti i tentativi di introdurre la gravità nella teoria della relatività ristretta, Einstein si rese
conto che fosse necessario elaborare una nuova teoria relativistica. -> Fu proprio con quella che prende il
nome di Relatività Generale, che Einstein fu finalmente in grado di far conciliare la relatività ristretta e la
gravitazione.
La teoria della relatività generale è infatti una teoria della gravitazione ed è, matematicamente, una teoria
estremamente complessa. Einstein stesso disse che questa fosse il problema più complicato che avesse mai
affrontato. Impiegò circa dieci anni a sviluppare tutta la teoria, presentata all'Accademia prussiana delle
scienze nel novembre 1915. L'articolo originale fu pubblicato qualche mese dopo, nel 1916. La relatività
generale generalizza le teorie di Einstein, nel senso che estende le leggi della relatività ristretta, valide solo
per i sistemi di riferimento inerziali, anche ai sistemi non inerziali, cioè i sistemi di riferimento accelerati ed
estendere anche a questi il postulato di invarianza delle leggi fisiche. Questa estensione conduce a una
nuova, rivoluzionaria, interpretazione della gravità. Come la relatività galileiana è un caso particolare della
relatività ristretta, quest'ultima rappresenta un caso particolare della relatività generale.
Il primo passo concettuale verso la generalizzazione della teoria della relatività ristretta, che lo spinse verso
una teoria della gravitazione, avvenne alla fine del 1907: “Ero seduto sulla mia sedia all’Ufficio Brevetti
quando, all’improvviso, pensai che se una persona fosse scivolata dal tetto non avrebbe avvertito il suo peso
durante tutta la fase di caduta. Questa semplice idea mi fece un’impressione profonda, e divenne la base
della mia teoria della gravitazione”.
Il punto di partenza del ragionamento einsteiniano è il principio di equivalenza classico, incontrato durante
lo studio della meccanica newtoniana.
La legge che descrive la dinamica dei corpi in movimento è la seconda legge della dinamica:
F=mi a.
Dove mi è la massa inerziale.
La legge che descrive la forza gravitazionale è la legge di gravitazione universale di Newton:
mg M
F g=G
r2
Dove mg è la massa gravitazionale.
Secondo il principio di equivalenza classico queste due grandezze sono uguali (mi= mg). E poiché la massa
inerziale e la massa gravitazionale sono uguali, sebbene le due grandezze siano definite in modo diverso,
tutti i corpi, in un campo gravitazionale uniforme, cadono con la stessa accelerazione.
L’esperimento mentale prosegue immaginando l’ufficio (dotato di razzi propulsori) e il malcapitato (vestito
da astronauta) traslati nello spazio profondo. L’ufficio può muoversi con moto uniformemente accelerato
rispetto allo spazio ed Einstein non si accorge del cambiamento purché si abbia: a = -g. Infatti, gli oggetti
cadono dalla scrivania e il malcapitato va verso il basso con accelerazione g mentre, su una bilancia,
Einstein leggerebbe un valore del proprio peso uguale a quello misurato sulla Terra. Perciò se il
laboratorio è collocato all'interno di un campo gravitazionale uniforme, il comportamento degli oggetti
materiali è identico al comportamento degli stessi oggetti quando si trovano, in assenza di gravità, in un
laboratorio sottoposto a un'accelerazione costante.
In un dato punto dello spazio, la gravità e un'opportuna accelerazione del riferimento producono effetti del
tutto equivalenti.
Questa equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale ovviamente era qualcosa di più di una
semplice coincidenza.
Insoddisfatto di una situazione in cui c’erano due spiegazioni per quello che sembrava un unico fenomeno,
Einstein cercò di approfondire la questione. Per questo nel 1916 fa qualcosa di più e di diverso: crea una
nuova teoria della gravitazione in cui il punto di partenza è il principio dell’equivalenza fra massa inerziale e
massa gravitazionale. Perché? Tutto parte da un altro esperimento mentale, noto come l'ascensore di
Einstein.
Consideriamo un osservatore dentro un ascensore fermo
rispetto alla Terra e supponiamo che questo lasci cadere un
oggetto sul pavimento. Tutti gli oggetti cadono al suolo con
la stessa accelerazione gravitazionale e questo era già noto
dall'esperimento di Galileo. Immaginiamo ora un ascensore
all'ultimo piano di un grattacielo e supponiamo che non vi
sia aria in esso. Di colpo si spezza il cavo portante e
l'ascensore inizia a cadere liberamente con accelerazione
costante. Contemporaneamente una persona che si trova
nel suo interno lascia cadere un oggetto.
La forza di gravità attrae allo stesso modo sia l’oggetto che l'ascensore, in tal modo sia il sasso che la piuma
non arriveranno a toccare il fondo dell'ascensore, dal momento che quest'ultimo sta cadendo con la loro
stessa accelerazione. Supponiamo ora che l'ascensore venga posto nello spazio profondo, dove non
agiscono forze gravitazionali. Se l'ascensore è in quiete o in moto uniforme, l'osservatore al suo interno è
senza peso; se l'osservatore lascia libero un oggetto, questo rimane immobile al suo posto.
Ma se a questo ascensore viene fornita un'accelerazione a - uguale al modulo di g - che lo tira verso l'alto,
allora, se la persona all'interno dell'ascensore lascia andare un oggetto, esso rimarrà al suo posto dal
momento che nessuna forza agisce su di lui. Ma è il pavimento che si sta muovendo verso l'alto e, prima o
poi, raggiungerà i due oggetti. La persona all’interno dell'ascensore, ignorando la situazione esterna, non
nota alcuna differenza; può benissimo credere di trovarsi dentro un campo gravitazionale dal momento
che, lasciando andare gli oggetti, essi "cadono" sul pavimento.
Si può quindi affermare che: gli effetti di un'accelerazione costante su di un osservatore sono equivalenti a
quelli di un campo gravitazionale uniforme sullo stesso osservatore supposto in quiete.
Quindi, i due osservatori (quello nello spazio e quello sulla terra) non possono dire, senza guardare fuori
dall’ascensore, se sono in quiete in un campo gravitazionale o in un ascensore accelerato nello spazio
profondo
Questo principio divenne la base del suo tentativo di generalizzare la teoria della relatività in modo che
includesse anche i moti in sistemi non inerziali, cioè accelerati. Secondo Einstein, non c’è alcuna ragione
convincente per la quale i sistemi di riferimento inerziali debbano essere «privilegiati» rispetto a tutti gli
altri sistemi di riferimento. Anzi, tutti i sistemi di riferimento devono avere la stessa «dignità»: in fin dei
conti, ciò che accade in un sistema di riferimento inerziale in cui non agiscono forze avviene, in modo
indistinguibile, in un sistema di riferimento che è in caduta libera all’interno di un campo gravitazionale.
Allo stesso modo, ciò che accade in un sistema di riferimento inerziale in presenza della gravità è identico a
ciò che avviene in un sistema di riferimento accelerato. Ma questa analogia tra i fenomeni meccanici che si
registrano all'interno di una nave spaziale accelerata e nel campo gravitazionale prodotto dalla massa della
Terra (o di qualsiasi altro corpo) è puramente casuale o ha una più profonda connessione con la natura
delle forze gravitazionali? Einstein era sicuro che si trattasse della seconda ipotesi e si domandò come si
sarebbe comportato un raggio di luce dentro una cabina accelerata. Ossia, la gravità deve esercitare sulla
luce lo stesso effetto che esercita sulla massa. Ciò significa che la luce segue una traiettoria curva in
presenza di gravità.
Infatti, consideriamo il seguente esperimento: supponiamo
che nell’ascensore vi sia un osservatore che emette un
fascio di luce verso destra. Se l’ascensore ha accelerazione
nulla, quindi a=0, allora il fascio luminoso colpirà la parete
alla stessa altezza dalla quale è stato emesso. Se lo stesso
esperimento viene effettuato in un ascensore che si muove
verso l’alto con un’accelerazione costante, durante
l’intervallo di tempo in cui la luce attraversa l’ascensore,
questo accelera vesso l’alto e la luce si muove verso il
basso; cioè quando colpirà la parete, la colpirà in un punto
più basso.
Applicando il principio di equivalenza, Einstein concluse che anche in un campo gravitazionale un fascio di
luce deve deviare verso il basso, esattamente come avviene in un ascensore accelerato; in altre parole, la
gravità devia la luce. Questo effetto ci è noto come deviazione della luce.
Se il principio di equivalenza non riguarda solo i fenomeni meccanici, ma tutti i fenomeni fisici, allora il
primo principio della relatività ristretta (valido solo nei sistemi inerziali) può essere esteso a tutti i sistemi,
compresi quelli non inerziali, per cui: PRINCIPIO DI RELATIVITA’ GENERALE Le leggi della fisica hanno la
stessa forma in tutti i sistemi di riferimento.
Ossia: se non c’è modo di differenziare i sistemi di riferimento in moto, allora in ognuno di essi le leggi della
fisica devono funzionare esattamente nello stesso modo.
Con lo studio della Relatività Ristretta abbiamo visto che nel 1908, il matematico tedesco, Herman
Minkowski si occupò di combinare le nostre classiche nozioni distinte di spazio e di tempo, in un'unica
entità omogenea: lo spazio-tempo.
La più importante novità che la relatività generale apporta alla nostra concezione dell'universo è l'idea di
uno spazio-tempo curvo. Secondo Einstein, lo spazio-tempo determina il moto degli oggetti, e, viceversa, gli
oggetti determinano la geometria dello spazio-tempo.
Ogni forma di materia o di energia, come per esempio la radiazione, produce un campo gravitazionale, che
si manifesta come una curvatura del cronotopo.
Alla luce della relatività generale, quindi, geometria e fisica sono intimamente legate.
La curvatura dello spazio-tempo è tanto più marcata quanto più massiccio e denso è il corpo che la genera,
cioè quanto più intenso è il campo gravitazionale.
Lo spazio-tempo di Minkowski della teoria della relatività ristretta, invece, è piatto perché in esso
non si tiene conto degli effetti gravitazionali delle masse
Come sappiamo dalla fisica classica, due corpi che possiedono una massa sono attratti tra loro da una forza
direttamente proporzionale alle masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Secondo la
relatività generale, invece, tale forza non esiste. Einstein affermò che la presenza di una massa incurva lo
spazio in cui essa si trova, e tale deformazione è responsabile dell’avvicinamento delle due masse. Lo
spazio-tempo presenta deformazioni più accentuate nelle zone più vicine alle masse, rispetto a quelle più
lontane.
Dunque, è la curvatura dello spazio-tempo la ragione del fatto che la luce e le particelle non si muovono in
linea retta, ma seguono traiettorie curve.
Se la massa che genera il campo gravitazionale è piccola e guardiamo solo la porzione circoscritta
dello spazio-tempo, la geometria di questa regione ci appare approssimativamente piatta, e
potremo descrivere fenomeni fisici per mezzo della relatività ristretta. È in questo senso che la
relatività ristretta emerge come un’approssimazione della relatività generale.
Nella relatività generale, lo spazio-tempo diventa quindi curvo e i corpi si muovono seguendo le linee curve
dell’universo.
Le curve di minima lunghezza che uniscono due punti si chiamano geodetiche.
In uno spazio euclideo le geodetiche sono linee rette.
In uno spazio curvo (sopra una superficie sferica), le geodetiche sono archi di circonferenze
massime.
Le curve geodetiche hanno un’enorme importanza in relatività generale, in quanto le masse, che sono
soggette alla forza di gravità, seguono delle traiettorie che sono delle curve geodetiche nello spazio-tempo.