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Di là della foresta si stende la marca di frontiera, il paese di Bree, dove l'ultima locanda si apre ad

accogliere gli Hobbits. In essa Frodo si lascia andare alla baldoria della compagnie che gremisce il
salone (o non sono gli sguardi pesanti di certi forestieri a squilibrarlo?) e si infila l'Anello, sparendo,
gettando in tutti l'allarme. La notte i cavalieri del Nemico metteranno in libertà i muli degli Hobbits,
i quali fuggiranno tra gli improperi degli abitanti. Hanno però acquistato uno strano, cupo
compagno, Aragorn. Con lui s'avventurano nelle lande desolate e grazie a lui sopravvivono a un
primo atroce attacco dei cavalieri. In che consiste l'attacco? In un trasognato piombare nel male:
Frodo non per speranza di fuggire, non nella convinzione di compiere checchessia di bene o di
male, ma come sentendo semplicemente di doverlo fare, si infila l'anello. Quale rappresentazione
perfetta della tentazione! I cavalieri neri non sono forse uguali al maggiordomo e alla governante
sinistra di The Turn of the Screw? Frodo rimane ferito alla spalla, attraversato da un terribile gelo,
che soltanto le erbe di Aragorn attenueranno; Aragorn così entra nella sua piena fiducia; è stato
finora tenuto in sospetto, come è naturale che desti un lieve allarme chi percorra le terre pericolose
sul confine tra l'umano e il soprannaturale. Ancora un altro assalto di cavalieri nemici viene
respinto, ma sulle soglie oramai del reame di Rivende, un luogo esente da ogni ombra, un riparo di
estasi e leggiadria. Frodo vi sarà assistito da Gandalf, vi ritroverà Bilbo, che vi si è ritirato per
comporre poemi e annali. Nelle conversazioni fra gli abitatori di Rivendell affiorano altre verità.
Aragorn osserva che «i semplici sono esenti da preoccupazione e timore, e semplici vogliono
restare, e noi dobbiamo restare segreti affinché essi restino come sono». Gandalf annuncia che il
capo dell'ordine dei maghi, Saruman, è diventato ligio al Nemico: i suoi manti che sono sempre
parsi candidi si sono svelati contessuti di tutti i colori dell'iride, ed egli ha proclamato: «Il bianco!
Serve per incominciare. Ma il panno bianco si può tingere. La pagina bianca si può coprire di
scrittura, e la luce bianca si può spezzare». Come il capitolo sul bianco, colore dell'innocenza che si
ribalta in lebbra e morte, in Moby Dick, questa rivelazione minaccia di far cadere nella terribile
confusione onde male e bene si fondono, l'uno e l'altro paiono intrecciati in modi inestricabili. Ma
Gandalf avverte che se il bianco non è più tale vuol dire che è sparito, non già che sia confuso e
infuso nel suo opposto, e chi infrange una cosa per scrutarla (analizzi il candore per scoprirvi altre
cose) ha abbandonato la strada della sapienza. Che resta degli inganni così cari ai mediatori di bene
e male, di salute e malattia, di divino e diabolico, così frequenti nel secolo scorso e in questo?
Infatti Saruman non perdona a Gandalf d'aver smascherato la sua falsa sapienza di mediatore fra
bene e male, fra virtù e vizio, ha tentato di imprigionarlo, e soltanto per la sua amicizia con le aquile
(col puro spirito?) Gandalf ha potuto mettersi in salvo ed è ora qui con gli amici. Saruman s'illude di
poter collaborare con il Signore del Male, fatale dominatore della nuova era, e suggerisce di tener
segreti i pensieri , deplorando nel cuore le nefandezze inevitabili, confidando che sotto qualsiasi
regime del Male i sapienti potranno sopravvivere e lentamente giungere alle leve di comando,
poiché infine anche la dominazione del Male si dovrà proporre «Conoscenza, Legge, Ordine, le
cose che finora abbiamo procurato invano di attuare, ostacolati piuttosto che assistiti com'eravamo
dai nostri deboli o inerti amici. Non è necessaria, non ci sarà un'alterazione dei nostri fini, ma solo
nei mezzi».

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