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L'anello conferisce una vita perpetua e infonde un tedio sconfinato al mortale che lo infili al dito, il

quale però non cresce, non ottiene maggior vita, prosegue soltanto, in un mondo di larve, in un
crepuscolo sotto l'occhio del Maligno che lo divorerà, dunque è l'elisir del Septimius Felton di
Hawthorne. Quali segreti, per un povero Hobbit! Frodo non desidera capirli, ma Gandalf incalza
con verità vieppiù intollerabili. Il Male s'incarna di ciclo in ciclo in forme diverse, ma resta uguale e
mira alla schiavitù universale. «E perché vorrebbe aver tutti schiavi?», geme Frodo. «Per mera
malizia e oscura vendetta», replica Gandalf. Il potere del Male si va dilatando via via, un tempo gli
Elfi reggevano robusti, gli uomini ancora non s'erano straniati da loro, ma ormai ogni traccia elfica
è per svanire. W.H. Auden non ha sopportato la visione, e in un articolo comparso sul «Critical
Quarterly» ha protestato: non esistono esseri che ubbidiscano al Male assoluto, la loro presenza
nell'opera di Tolkien gli spiace, «non mi rallegrano, perché la loro esistenza sembra significare che è
possibile che una specie dotata di parola e perciò capace di scelta morale sia maligna per natura».
Se le concezioni di Tolkien fossero meno velate, questa voce di protesta diventerebbe un coro:
un'umanità dagli occhi quasi spenti non regge a luci troppo gagliarde: non tollera l'idea che esistano
santi, carismatici che perseguano il bene (il divino, non le buone azioni) fine a se stesso, perciò
nemmeno può ammettere l'esistenza d'un satanico, consapevole esecutore di un male senza secondi
fini.

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