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Quotiens aliqua infirmitas supervenerit, corpus et sanguinem Christi ille qui aegrotat
accipiat; oleum benedictum a presbyteris himiliter ac fideliter petat, et inde
corpusculum suum ungueat, ut illud quod scriptum est impleatur in eo:<<Infirmitur
aliquis? Inducat presbyteros, et orent super eum unguentes eum oleo: et oratio fidei
salvabit infirmum, et adlevabit eum Dominus; et si in peccatis sit, dimittuntur ei>>.
Ogni volta che capita una qualche malattia, colui che si è ammalato riceva il corpo e
il sangue di Cristo, chieda umilmente e con fede l’olio benedetto dati dagli anziani
della comunità che sono i preti e unga il suo corpo, di modo che si compia il lui ciò
che è stato scritto. Qualcuno si è ammalato? faccia venire i preti e preghino sopra di
lui ungendolo con l’olio e la preghiera di fede salverà l’infermo il Signore lo
solleverà e se è in condizioni di peccato, questi peccati gli verranno rimessi.
In questo passaggio notiamo il tecnicismo lessicale: presbyteros che è un grecismo
(anziani della comunità e poi anche i preti). Corpusculum altro diminutivo che non
ha una vera e propria connotazione come piccolo corpo, ma serve per ampliare il
corpo fonico.
Videte, fratres, quia qui in infirmitate ad ecclesiam currit, et corpis sanitatem
recipere, et peccatorum indulgentiam merebitur obtinere.
Vedete fratelli che chi in una condizione di malattia si rivolge alla chiesa meriterà di
ricevere la salvezza del corpo e l’indulgenza dei peccati.
Anche qui l’infinitiva viene resa con QUIA+ meretibus con un modo finito, e non con
l’accusativo + infinito.
merebitur obtinere= Cursus velox.
Cum ergo duplicia bona possimus in ecclesia inverire, quare per praecantatores, per
fontes et arbores et diabolica fylacterica, per caraios aut aruspices et divinos vel
sortilogos multiplicia sibi mala miseri homines conantur inferre?
dal momento che (cum ergo) possimo trovare un duplice beneficio nella chiesa
perché gli uomini miserabili tentano di prucurarsi mali molteplici ricorrendo a
incantatori, fontane e alberi e amuleti diabolici, maghi indovini e stregoni e altri
fattucchieri?
Abbiamo parole tecniche del culto pagano.
Ci rivela usi di retaggio pagano nella Gallia del VI secolo e che si sforza di estirpare.
Sicut iam supra diximus, filios et omnes familias vestras admonete semper, ut caste
et iuste ac sobrie vivant; nec solum eos verbis sed etiam exemplis ad bona opera
provocate.
Come abbiamo detto prima. Esortate sempre i vostri figli e i vostri familiari perché
vivano castamente, giustamente e in sobrietà non solo con le parole ma con gli
esempi, induceteli alle buone opere.
opera provocate= Cursus velox
Ante omnia , ubicumque fueritis, sive in domo, sive in itinere, sive in convivio, sive in
concessu, verba turpia et luxuriosa nolite ex ore proferre: sed magis vicinos et
proximos vestros iugiter admonete, ut semper quod bonum est et honestum loqui
studeant; ne forte detrahendo, male loquendo, et in sanctis festivitatibus choro
ducendo, cantica luxuriosa et turpida proferendo , de lingua sua, unde deberent
Deum laudare inde sibi vulnera videantur infligere.
Soprattutto in qualunque posto voi vi troviate sia che siate in casa, sia che siate in
viaggio, sia che siate in compagnia, sia che siate in solitudine, non proferite dalla
vostra bocca parole turpi e lussuriose ma piuttosto esortate i vostri vicini e i vostri
consanguinei senza sosta perché si preoccupino di parlare di dire sempre ciò che è
buono e ciò che è onesto, perchè calunniando, maledicendo, danzando nelle sacre
festività, intonando dei cantici lussuriosi e turpi, non infliggano con la loro lingua con
la quale dovrebbero piuttosto lodare Dio a se stessi delle ferite.
Qui si fa riferimento a pratiche in voga.
Interessante il parallelismo sive….
concessu= parola non attestata è un invenzione, forse deriva da secessu che
significa separatezza, solitudine.
Choro ducendo= intrecciare delle danze
videantur infligere= Cursus tardus. Vedeantur = affinchè non si infliggano. Serve per
ampliare il corpo del predicato, per creare un cursus ovvero una funzione stilistica.
Isti enim infelices et miseri 25, 22