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Alessia Cuomo IE 27/01/2022

RELAZIONE SUL ROMANZO “NARCISO E BOCCADORO” DI H. HESSE

“Noi due, caro amico, siamo il sole e la luna, siamo il


mare e la terra. La nostra meta non è di trasformarci
l’uno nell’altro, ma di conoscerci l’un l’altro e d’imparare
a rispettare nell’altro ciò ch’egli è: il nostro opposto e il
nostro complemento.”
Germania. Alto Medioevo. Convento di Mariabronn.
L’autore, Herman Hesse, si serve di questa
ambientazione per parlare della vita e maturazione di
un personaggio. E si serve della vita e maturazione di un
personaggio per parlare di un contrasto che caratterizza
l’esistenza: quello fra spirito e concretezza, intelletto e
sentimento.
Questa opposizione la si ritrova prima di tutto nei due
personaggi che fanno da titolo al romanzo, incarnazioni
di queste entità. Per il lettore questo appare
particolarmente evidente nella prima parte, dedicata
proprio all’incontro tra Narciso e Boccadoro, alla loro
conoscenza reciproca e allo sviluppo del rapporto
profondo e complicato tra i due. Da un lato troviamo
Narciso, giovane frate estremamente dotto e sapiente,
completamente immerso nella sua vita religiosa e
spirituale, caratterizzata da preghiera, studio e ricerca
della verità attraverso la filosofia. Narciso ha una vita
regolare, schematica, che segue un percorso
prestabilito: nel corso del romanzo intraprende una
brillante carriera religiosa, che lo porta a diventare
addirittura abate. Tuttavia all’arrivo dello scolaro
Boccadoro al monastero egli è semplicemente un
giovane maestro: ed è così che i due fanno il loro
incontro. Fin dall’inizio Boccadoro sente un profondo
attaccamento verso il precettore, rapporto che
inizialmente avviene soltanto attraverso un “linguaggio
d’anime e cenni”, “vincoli fra anima e anima”, e
successivamente arrivando a parlarsi e a conoscersi
realmente l’un l’altro. Narciso comprende fin da subito
che l’amico non è destinato a vivere tra le mura del
convento, e che la sua natura è estremamente diversa,
quasi diametralmente opposta alla sua; eppure non
riesce a fare a meno di sentirsi incredibilmente attratto
da lui, di provare un sentimento profondo, quasi non
connaturato al suo essere.
“Vedeva la natura di Boccadoro e, malgrado fosse
l’opposto della sua, la comprendeva a fondo, perché ne
era l’altra metà, la metà perduta. Vedeva questa natura
racchiusa entro una dura corazza (…). Il suo compito gli
era chiaro: svelare questo segreto a colui che lo portava
in sé, liberarlo dalla sua corazza, restituirgli la sua vera
natura. Sarebbe stato difficile, e ciò gli sarebbe forse
costato la perdita dell’amico.”
Il biondo Boccadoro è, infatti, un’anima passionale.
Rispetto a Narciso è molto più attaccato al mondo
concreto, alla natura, ai rapporti con le persone (in
particolar modo, come si vede nel corso della trama, a
quelli fisici con le donne) e alle esperienze della vita
terrena. E’ per natura un vagabondo, irrequieto ed
estremamente incerto, che si lascia prendere
completamente, quasi succube, dalle sue emozioni, che
sono sempre forti e travolgenti, sia in positivo che in
negativo.
Narciso, dunque, comprende fin da subito che un’indole
del genere non è fatta per la vita conventuale e
Boccadoro, scosso dalla rivelazione dell’amico, dopo
aver fatto conoscenza con una donna di nome Lidia
fugge per trovare la propria strada al di fuori di lì. Il
resto del romanzo è quindi la storia della sua crescita: è
la descrizione della vita errabonda di Boccadoro,
l’insieme delle esperienze che lo aiutano a maturare
psicologicamente e a trovare sé stesso. Il suo
pellegrinaggio è un saliscendi di emozioni: egli viene
posto davanti a orrori e sofferenze atroci, quali la peste
o addirittura l’uccisione di un uomo, ma che si alternano
a momenti di estrema gioia e travolgente piacere, come
quello che prova nei suoi innumerevoli rapporti carnali
con le donne. La sua vita subisce una radicale svolta
quando scopra l’arte e, in particolare, la scultura.
In questa, infatti, riesce a trovare la sua meta, e quindi
la sua reale natura, cioè quella di artista. Sperimenta
inoltre cosa significa doversi sacrificare per raggiungere
i propri obbiettivi. In questa fase matura l’idea di voler
rappresentare l’immagine di sua madre, morta
quand’era piccolo e il cui ricordo è sfuocato nella sua
mente. Questa entità gli è sempre stata sconosciuta per
tutto il corso della sua vita e con il passare del tempo
più che assumere i reali connotati della donna, nella
testa di Boccadoro era diventata più una figura eterea,
universale, una Eva-Madre di tutte le cose.
Questa immagine fa la sua comparsa a Boccadoro solo
in vecchiaia, e in quel momento egli capisce di poter
morire sereno, avendo raggiunto il proprio scopo. La
sua morte avviene all’interno del convento: il
personaggio, infatti, verso la fine del romanzo incontra
di nuovo, dopo anni, l’amico Narciso e con lui vi fa
ritorno. In questo modo il romanzo si conclude con la
stessa ambientazione in cui si apre.
“Narciso e Boccadoro” si colloca senza dubbio tra i
romanzi di formazione, essendo incentrato sulla crescita
personale del personaggio di Boccadoro. Le vicende
vengono presentate da un narratore esterno con un
registro formale (a volta sono presenti addirittura
latinismi) ma mai di difficile comprensione. Sono molte
le descrizioni, spesso lunghe e accurate, soprattutto
riguardanti le riflessioni dei due personaggi, e non
mancano riferimenti filosofici, soprattutto nel pensiero
e negli insegnamenti di Narciso. E queste riflessioni,
questa maturazione psicologica che avviene nella mente
di Boccadoro sono fondamentali per cogliere il tema
fondamentale del romanzo.
“Pareva che tutta l’esistenza fosse basata sulla
duplicità, sul contrasto: uomo e donna, vagabondo o
borghesuccio, uomo d’intelletto o di sentimento.”
Narciso rappresenta quindi la sfera razionale, spirituale,
Boccadoro quella sentimentale, legata al mondo
concreto e ai sensi, e per questo anche transitoria
(tanto che alla fine lui muore, mentre l’amico no). Per
questo motivo la meta di Boccadoro per tutto il corso
del romanzo rimane sempre la madre-Eva: essa in
quanto generatrice della Terra è simbolo della
dimensione concreta di cui fa parte la natura di
Boccadoro. Essa è fonte di felicità, ma anche di morte e
profonda sofferenza, entrambi sentimenti travolgenti e
terreni, di cui la vita del giovane è impregnata. Il mondo
di Narciso, invece, viene definito dall’amico come
“paterno”, l’esatto opposto. L’amore tra i due è
paragonabile a quello descritto da Platone nel mito
degli androgini, un’aspirazione alla completezza, un
tentativo di ristabilire la totalità.
Il giovane nel momento in cui scopre l’arte e comincia a
dedicarvisi arriva a comprendere che in essa questa
duplicità coesiste, tanto che definisce la disciplina come
unione del mondo paterno e di quello materno: ogni
opera, infatti, nasce in un “puro mondo d’idee”, che
l’artista ha come obiettivo di rappresentare, ed è in
grado di superare la transitorietà della vita persistendo
nel tempo, eppure quello dello scultore è di per sé un
lavoro estremamente concreto, che richiede fatica,
impegno, strumenti. Ed è per la presenza di entrambe le
realtà che Boccadoro nel corso del romanzo proverà per
la disciplina sentimenti così contrastanti.
Eppure, se l’intera esistenza è composta da questi due
aspetti, mentre nell’arte riescono a coesistere, rimane
aperto l’interrogativo se questi siano conciliabili anche
in natura.
“(…) aspirare ed espirare insieme, essere uomo o donna,
conciliare libertà e ordine, istinto e spirito, non era
possibile; bisognava sempre pagare l’una cosa con la
perdita dell’altra e sempre l’una era altrettanto
importante e desiderabile quanto l’altra!”
Infatti, in linea con la conclusione a cui arriva
Boccadoro, il romanzo si conclude lasciando un po’ di
amaro in bocca: entrambi i personaggi trovano
apparentemente la loro realizzazione (il primo con la
sua carriera da abate, il secondo servendo la Madre
eterna), tuttavia appaiono entrambi insoddisfatti. Se ci
si attiene a questa interpretazione, infatti, rimangono
“incompleti”: in pace, sì, ma uno perde la spiritualità, e
l’altro alla fine si rende conto che il mondo di Boccadoro
non ha nulla di che invidiare al suo, nonostante un
tempo sia stato lui a fargli da maestro.
E’ proprio in quest’ottica che possiamo parlare di
Narciso e Boccadoro come di una grande riflessione
riguardo il contrasto tra spirito e natura concreta.

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