RELAZIONE SUL ROMANZO “NARCISO E BOCCADORO” DI H. HESSE
“Noi due, caro amico, siamo il sole e la luna, siamo il
mare e la terra. La nostra meta non è di trasformarci l’uno nell’altro, ma di conoscerci l’un l’altro e d’imparare a rispettare nell’altro ciò ch’egli è: il nostro opposto e il nostro complemento.” Germania. Alto Medioevo. Convento di Mariabronn. L’autore, Herman Hesse, si serve di questa ambientazione per parlare della vita e maturazione di un personaggio. E si serve della vita e maturazione di un personaggio per parlare di un contrasto che caratterizza l’esistenza: quello fra spirito e concretezza, intelletto e sentimento. Questa opposizione la si ritrova prima di tutto nei due personaggi che fanno da titolo al romanzo, incarnazioni di queste entità. Per il lettore questo appare particolarmente evidente nella prima parte, dedicata proprio all’incontro tra Narciso e Boccadoro, alla loro conoscenza reciproca e allo sviluppo del rapporto profondo e complicato tra i due. Da un lato troviamo Narciso, giovane frate estremamente dotto e sapiente, completamente immerso nella sua vita religiosa e spirituale, caratterizzata da preghiera, studio e ricerca della verità attraverso la filosofia. Narciso ha una vita regolare, schematica, che segue un percorso prestabilito: nel corso del romanzo intraprende una brillante carriera religiosa, che lo porta a diventare addirittura abate. Tuttavia all’arrivo dello scolaro Boccadoro al monastero egli è semplicemente un giovane maestro: ed è così che i due fanno il loro incontro. Fin dall’inizio Boccadoro sente un profondo attaccamento verso il precettore, rapporto che inizialmente avviene soltanto attraverso un “linguaggio d’anime e cenni”, “vincoli fra anima e anima”, e successivamente arrivando a parlarsi e a conoscersi realmente l’un l’altro. Narciso comprende fin da subito che l’amico non è destinato a vivere tra le mura del convento, e che la sua natura è estremamente diversa, quasi diametralmente opposta alla sua; eppure non riesce a fare a meno di sentirsi incredibilmente attratto da lui, di provare un sentimento profondo, quasi non connaturato al suo essere. “Vedeva la natura di Boccadoro e, malgrado fosse l’opposto della sua, la comprendeva a fondo, perché ne era l’altra metà, la metà perduta. Vedeva questa natura racchiusa entro una dura corazza (…). Il suo compito gli era chiaro: svelare questo segreto a colui che lo portava in sé, liberarlo dalla sua corazza, restituirgli la sua vera natura. Sarebbe stato difficile, e ciò gli sarebbe forse costato la perdita dell’amico.” Il biondo Boccadoro è, infatti, un’anima passionale. Rispetto a Narciso è molto più attaccato al mondo concreto, alla natura, ai rapporti con le persone (in particolar modo, come si vede nel corso della trama, a quelli fisici con le donne) e alle esperienze della vita terrena. E’ per natura un vagabondo, irrequieto ed estremamente incerto, che si lascia prendere completamente, quasi succube, dalle sue emozioni, che sono sempre forti e travolgenti, sia in positivo che in negativo. Narciso, dunque, comprende fin da subito che un’indole del genere non è fatta per la vita conventuale e Boccadoro, scosso dalla rivelazione dell’amico, dopo aver fatto conoscenza con una donna di nome Lidia fugge per trovare la propria strada al di fuori di lì. Il resto del romanzo è quindi la storia della sua crescita: è la descrizione della vita errabonda di Boccadoro, l’insieme delle esperienze che lo aiutano a maturare psicologicamente e a trovare sé stesso. Il suo pellegrinaggio è un saliscendi di emozioni: egli viene posto davanti a orrori e sofferenze atroci, quali la peste o addirittura l’uccisione di un uomo, ma che si alternano a momenti di estrema gioia e travolgente piacere, come quello che prova nei suoi innumerevoli rapporti carnali con le donne. La sua vita subisce una radicale svolta quando scopra l’arte e, in particolare, la scultura. In questa, infatti, riesce a trovare la sua meta, e quindi la sua reale natura, cioè quella di artista. Sperimenta inoltre cosa significa doversi sacrificare per raggiungere i propri obbiettivi. In questa fase matura l’idea di voler rappresentare l’immagine di sua madre, morta quand’era piccolo e il cui ricordo è sfuocato nella sua mente. Questa entità gli è sempre stata sconosciuta per tutto il corso della sua vita e con il passare del tempo più che assumere i reali connotati della donna, nella testa di Boccadoro era diventata più una figura eterea, universale, una Eva-Madre di tutte le cose. Questa immagine fa la sua comparsa a Boccadoro solo in vecchiaia, e in quel momento egli capisce di poter morire sereno, avendo raggiunto il proprio scopo. La sua morte avviene all’interno del convento: il personaggio, infatti, verso la fine del romanzo incontra di nuovo, dopo anni, l’amico Narciso e con lui vi fa ritorno. In questo modo il romanzo si conclude con la stessa ambientazione in cui si apre. “Narciso e Boccadoro” si colloca senza dubbio tra i romanzi di formazione, essendo incentrato sulla crescita personale del personaggio di Boccadoro. Le vicende vengono presentate da un narratore esterno con un registro formale (a volta sono presenti addirittura latinismi) ma mai di difficile comprensione. Sono molte le descrizioni, spesso lunghe e accurate, soprattutto riguardanti le riflessioni dei due personaggi, e non mancano riferimenti filosofici, soprattutto nel pensiero e negli insegnamenti di Narciso. E queste riflessioni, questa maturazione psicologica che avviene nella mente di Boccadoro sono fondamentali per cogliere il tema fondamentale del romanzo. “Pareva che tutta l’esistenza fosse basata sulla duplicità, sul contrasto: uomo e donna, vagabondo o borghesuccio, uomo d’intelletto o di sentimento.” Narciso rappresenta quindi la sfera razionale, spirituale, Boccadoro quella sentimentale, legata al mondo concreto e ai sensi, e per questo anche transitoria (tanto che alla fine lui muore, mentre l’amico no). Per questo motivo la meta di Boccadoro per tutto il corso del romanzo rimane sempre la madre-Eva: essa in quanto generatrice della Terra è simbolo della dimensione concreta di cui fa parte la natura di Boccadoro. Essa è fonte di felicità, ma anche di morte e profonda sofferenza, entrambi sentimenti travolgenti e terreni, di cui la vita del giovane è impregnata. Il mondo di Narciso, invece, viene definito dall’amico come “paterno”, l’esatto opposto. L’amore tra i due è paragonabile a quello descritto da Platone nel mito degli androgini, un’aspirazione alla completezza, un tentativo di ristabilire la totalità. Il giovane nel momento in cui scopre l’arte e comincia a dedicarvisi arriva a comprendere che in essa questa duplicità coesiste, tanto che definisce la disciplina come unione del mondo paterno e di quello materno: ogni opera, infatti, nasce in un “puro mondo d’idee”, che l’artista ha come obiettivo di rappresentare, ed è in grado di superare la transitorietà della vita persistendo nel tempo, eppure quello dello scultore è di per sé un lavoro estremamente concreto, che richiede fatica, impegno, strumenti. Ed è per la presenza di entrambe le realtà che Boccadoro nel corso del romanzo proverà per la disciplina sentimenti così contrastanti. Eppure, se l’intera esistenza è composta da questi due aspetti, mentre nell’arte riescono a coesistere, rimane aperto l’interrogativo se questi siano conciliabili anche in natura. “(…) aspirare ed espirare insieme, essere uomo o donna, conciliare libertà e ordine, istinto e spirito, non era possibile; bisognava sempre pagare l’una cosa con la perdita dell’altra e sempre l’una era altrettanto importante e desiderabile quanto l’altra!” Infatti, in linea con la conclusione a cui arriva Boccadoro, il romanzo si conclude lasciando un po’ di amaro in bocca: entrambi i personaggi trovano apparentemente la loro realizzazione (il primo con la sua carriera da abate, il secondo servendo la Madre eterna), tuttavia appaiono entrambi insoddisfatti. Se ci si attiene a questa interpretazione, infatti, rimangono “incompleti”: in pace, sì, ma uno perde la spiritualità, e l’altro alla fine si rende conto che il mondo di Boccadoro non ha nulla di che invidiare al suo, nonostante un tempo sia stato lui a fargli da maestro. E’ proprio in quest’ottica che possiamo parlare di Narciso e Boccadoro come di una grande riflessione riguardo il contrasto tra spirito e natura concreta.