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1
I due passaggi con i quali si ottiene questo scopo sono:
2x + 3 = 0 → 2x = −3
2x + (3 + (−3)) = −3
ovvero, sfruttando la proprietà dell’opposto a + (−a) = (−a) + a = 0,
2x + 0 = −3.
Infine, usando di nuovo il fatto che 0 è elemento neutro per la somma,
possiamo scrivere
2x = −3.
Analogamente, quello che ci serve per svolgere il secondo passaggio (dividere
entrambi i membri di 2x = −3 per 2) è l’esistenza per ogni numero a diverso
da zero2 di un suo inverso moltiplicativo o semplicemente inverso, ovvero di
un altro numero, denotato a−1 o a1 , tale che aa−1 = a−1 a = 1.
2
Se pretendessimo che anche lo 0 debba avere un inverso moltiplicativo, diciamo 0−1 ,
avremmo che tale numero soddisferebbe la proprietà 00−1 = 1, entrando cosı̀ in conflitto
con la nota proprietà che quando moltiplico per zero qualunque numero (quindi anche
0−1 ) il risultato deve essere zero, e non uno.
2
Infatti, grazie a questo fatto possiamo moltiplicare primo e secondo membro
di 2x = −3 per l’inverso 12 di 2 ottenendo
1 1
(2x) = (−3).
2 2
Sfruttando ora a primo membro la proprietà associativa della moltiplicazione
(ab)c = a(bc) si può scrivere
1 3
( 2)x = −
2 2
ovvero, sfruttando la proprietà dell’inverso aa−1 = a−1 a = 1
3
1x = −
2
cioè, essendo 1 l’elemento neutro per la moltiplicazione (per ogni numero a
si ha 1a = a1 = a)
3
x=−
2
Quindi, riassumendo, già le operazioni che usiamo per risolvere la semplice
equazione 2x + 3 = 0 mostrano come l’insieme numerico nel quale lavoriamo
deve avere almeno le seguenti proprietà:
(2) per ogni numero a, deve esistere un inverso additivo −a tale che a +
(−a) = (−a) + a = 0
(5) per ogni numero a 6= 0, deve esistere un inverso moltiplicativo a−1 tale
che aa−1 = a−1 a = 1
3
Ad esempio, l’insieme dei numeri naturali {0, 1, 2, . . . } (quelli che “si usano
per contare”), denotato solitamente N, possiede le proprietà (1),(3),(4),(6)
ma non le proprietà (2) e (5): quindi, limitarsi ai numeri naturali renderebbe
impossibile la risoluzione anche di semplici equazioni come 2x + 3 = 0.
L’insieme dei numeri interi {0, ±1, ±2, . . . }, che si può pensare ottenuto dai
naturali aggiungendo a ogni numero naturale il suo opposto, e denotato so-
litamente Z, possiede tutte le proprietà tranne la (5): quindi neanche tale
insieme è sufficiente per i nostri scopi.
Il più semplice insieme numerico nel quale valgono tutte le proprietà (1)-
(6) di sopra è l’insieme dei numeri razionali, denotato solitamente Q, che
possiamo pensare come l’insieme di tutte le frazioni ± ab (dove a, b sono numeri
naturali con b 6= 0) o, equivalentemente, come l’insieme di tutte le espressioni
decimali con un numero limitato di cifre dopo la virgola o con una successione
illimitata di cifre ma periodica.
Accanto alle proprietà (1)-(6), l’insieme Q ha anche le seguenti proprietà:
2(1 + y) + y = 4
A questo punto, per procedere è necessario usare la proprietà distributiva,
che ci dice che 2(1 + y) = 2 · 1 + 2 · y = 2 + 2y ottenendo
2 + 2y + y = 4
ovvero
4
2 + 3y = 4
e si continua risolvendo questa equazione nella sola incognita y.
Si capisce quindi che, per poter manipolare le equazioni lineari e i loro sistemi
e sviluppare dei metodi soddisfacenti per la loro risoluzione, bisogna supporre
che valgano le proprietà (1)-(9) viste sopra.
Questo giustifica la seguente:
5
numerici che ci dicono di quale incognita si tratta: x1 indicherà quindi la
prima incognita, x2 la seconda, e cosı̀ via in generale xn indicherà la n-esima
incognita, dove n è un numero naturale.
Possiamo allora dire che per equazione lineare in n incognite x1 , x2 , . . . , xn (i
puntini indicano che stiamo omettendo di scrivere le incognite tra la seconda
e l’ultima) a coefficienti in un campo K intendiamo un’equazione del tipo
a1 x1 + a2 x2 + · · · + an xn = b (1.1)
dove b, a1 , a2 , . . . , an sono elementi di K che svolgono il ruolo rispettivamente
di termine noto e coefficienti delle incognite (per ogni incognita xi , denotiamo
il suo coefficiente con una lettera, a, con lo stesso indice dell’incognita).
Dare una soluzione dell’equazione (1.1) significa trovare dei numeri (o, più
precisamente, elementi del campo K) che sostituiti alle incognite rendano
l’uguaglianza vera.
Ad esempio, nell’equazione lineare in due incognite x1 − x2 = 1 a coefficienti
nel campo dei reali R, ponendo x1 = 2 e x2 = 1 si ottiene l’uguaglianza vera
2 − 1 = 1, mentre ad esempio ponendo x1 = 1 e x2 = 2 si ottiene 1 − 2 = 1
che è falsa.
Da questo semplice esempio si vede come dare una soluzione dell’equazione
x1 − x2 = 1 significa non solo dare due elementi di K, da sostituire alle
due incognite dell’equazione, ma è necessario precisare quale vada sostituito
alla prima incognita e quale alla seconda, ovvero specificare in quale ordine
stiamo prendendo questi due elementi.
La soluzione data di tale equazione può allora essere pensata e scritta come
una coppia ordinata di numeri, che denotiamo (2, 1). La coppia (2, 1) è una
soluzione dell’equazione x1 − x2 = 1, mentre la coppia (1, 2) non lo è.
Analogamente, per un’equazione con 3 incognite, una sua soluzione sarà data
da una cosiddetta terna ordinata: ad esempio, se l’equazione è x1 − x2 + x3 =
2, possiamo dire che la terna ordinata (3, 2, 1) è una sua soluzione, in quanto
sostituendo x1 = 3, x2 = 2, x3 = 1 si ottiene l’uguaglianza vera 3 − 2 + 1 = 2;
la terna (2, 1, 3) invece, non è una sua soluzione.
La generalizzazione dei concetti di coppia e terna ordinata è quello di n-
upla ordinata (v1 , v2 , . . . , vn ) (o semplicemente n-upla), che può essere quindi
definita come una sequenza di n elementi v1 , v2 , . . . , vn di K disposti in un
preciso ordine4
Possiamo allora dare la seguente:
4
Non bisogna quindi confondere la n-upla (v1 , v2 , . . . , vn ) con l’insieme {v1 , v2 , . . . , vn },
per denotare il quale usiamo le parentesi graffe, che è determinato solo dagli elementi
v1 , v2 , . . . , vn indipendentemente dal loro ordine.
6
Definizione 1.2. Data un’equazione lineare a1 x1 + a2 x2 + · · · + an xn = b in
n incognite a coefficienti in un campo K, si dice soluzione dell’equazione una
n-upla ordinata (v1 , v2 , . . . , vn ) di elementi di K tale che sostituendo v1 al
posto di x1 , v2 al posto di x2 etc. fino a vn al posto di xn l’equazione risulta
verificata (ovvero l’uguaglianza a1 v1 + a2 v2 + · · · + an vn = b risulta vera).
Definizione 1.3. Una soluzione del sistema (1.2) è una n-upla (v1 , v2 , . . . , vn ) ∈
Kn che è soluzione comune di tutte le equazioni del sistema.
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tabella conterrà tutte le informazioni che ci servono sul sistema. Ad esempio,
il sistema
x1 + 3x2 = 5
(1.3)
2x1 − x2 = 4
può essere rappresentato dalla tabella
1 3 5
(1.4)
2 −1 4
che chiameremo la matrice completa del sistema.
Come vedremo, non solo la matrice completa costituisce una “fotografia”
fedele di un sistema e contiene tutte le informazioni necessarie a determinarlo,
ma sarà anche l’oggetto sul quale lavoreremo per risolverlo.
Se ci limitiamo ai coefficienti delle incognite otterremo la cosiddetta matrice
dei coefficienti del sistema. Ad esempio, la matrice dei coefficienti del sistema
(1.3) è
1 3
(1.5)
2 −1
8
5 3
Ad esempio, nella matrice 2 −1 che ha tre righe e due colonne, 5
0 7
è la prima entrata della prima riga, e quindi a11 = 5; il numero 7 invece lo
troviamo in corrispondenza della terza riga e seconda colonna, quindi a32 = 7.
9
anche la seconda, che afferma semplicemente che x1 = x2 , cioè i due elementi
della coppia devono essere non solo opposti ma anche uguali tra loro. Ma
l’unico numero reale uguale al suo opposto è lo zero, e quindi il sistema ha
come unica soluzione la coppia (0, 0).
Questo esempio suggerisce che in generale più equazioni ci sono in un sistema,
maggiori sono i vincoli che imponiamo sulle incognite e quindi meno n-uple
ci saranno che soddisfano tutte le condizioni espresse dalle equazioni, ovvero
meno soluzioni: il sistema (1.7) sembra ad esempio suggerire che con due
incognite, due condizioni siano sufficienti a ottenere una sola soluzione.
Tuttavia, è facile fare un altro esempio che mostra che questa prima impres-
sione non è del tutto esatta: consideriamo il sistema
x1 + x2 = 0
(1.8)
2x1 + 2x2 = 0
Ora, è immediato vedere che le soluzioni (t, −t) della prima equazione sod-
disfano tutte anche la seconda, quindi il sistema continua ad avere le infinite
soluzioni (t, −t). Questo accade perché la seconda equazione è in realtà del
tutto equivalente alla prima (mettendo in evidenza il 2, si può riscrivere
2x1 + 2x2 = 0 come 2(x1 + x2 ) = 0, ovvero, dividendo per 2, proprio la prima
equazione) e non aggiunge nessun nuovo vincolo sulle incognite: si tratta di
un’equazione superflua, la cui presenza o meno non cambia l’insieme delle
soluzioni.
Le equazioni superflue presenti in un sistema possono essere tuttavia molto
meno evidenti che nel caso appena visto. Ad esempio, consideriamo il sistema
di due equazioni in tre incognite
x1 + x2 + x 3 = 1
(1.9)
2x1 + x2 + 3x3 = 2
Una qualunque terna (x1 , x2 , x3 ) che verifica le due equazioni soddisfa neces-
sariamente anche l’uguaglianza che si ottiene sommandole membro a mem-
bro, ovvero
10
x1 + x 2 + x3 = 1
2x1 + x2 + 3x3 = 2 (1.10)
3x1 + 2x2 + 4x3 = 3
11
5R1 + (−3)R2 (ovvero ogni entrata della terza riga si ottiene moltiplicando
la corrispondente entrata della prima per 5 e sommando la corrispondente
entrata della seconda riga moltiplicata per -3).
Per quello che riguarda i sistemi senza soluzioni, è abbastanza semplice
esibirne uno. Ad esempio, il sistema di due equazioni in due incognite
seguente
x1 + x2 = 0
x1 + x2 = 1
è evidentemente privo di soluzioni, in quanto se la somma di due numeri è
uguale a 0 non può certamente nello stesso tempo essere uguale a 1.
In altre parole, le due equazioni del sistema sono tra loro incompatibili, ovvero
esprimono condizioni contraddittorie.
Per questo motivo, un sistema che non ha soluzioni si dice incompatibile (e
per contro, si dirà compatibile un sistema che ha almeno una soluzione).
Analogamente a quanto fatto sopra per le equazioni superflue, si possono
costruire esempi di sistemi in cui l’incompatibilità di una equazione con le
altre non è cosı̀ evidente come nel semplice sistema precedente.
Ad esempio, prendiamo sempre come punto di partenza il sistema (1.9).
Come abbiamo visto sopra, una terna che soddisfi le due equazioni soddisfa
anche l’uguaglianza 3x1 + 2x2 + 4x3 = 3 che si ottiene sommando le due
equazioni membro a membro.
Ma allora, se modifichiamo solo il termine noto di quest’ultima uguaglianza,
ne otteniamo una che è incompatibile con le altre due: ad esempio, il sistema
x1 + x2 + x3 = 1
2x1 + x2 + 3x3 = 2 (1.14)
3x1 + 2x2 + 4x3 = 5
non ha soluzioni, perchè per una qualunque terna che soddisfi le prime due
equazioni si deve avere che 3x1 + 2x2 + 4x3 è uguale a 3, e non a 5.
Confrontando la matrice dei coefficienti e la matrice completa del sistema
(1.14)
1 1 1 1 1 1 1
2 1 3 , 2 1 3 2
3 2 4 3 2 4 5
notiamo che l’incompatibilità delle equazioni si traduce nel fatto che nella
matrice dei coefficienti la terza riga è somma delle prime due, mentre nella
matrice completa no (l’ultima entrata non soddisfa 5 = 1 + 2): la matrice
12
dei coefficienti presenta una relazione di dipendenza tra le sue righe che nella
matrice completa non vale (giustamente, in quanto l’incompatibilità è stata
ottenuta sommando i primi membri delle due equazioni, che contengono i
coefficienti delle incognite, ma non i termini noti).
Definizione 1.5. Una matrice si dice a gradini se, guardando le righe dalla
prima all’ultima, il primo elemento non nullo in ogni riga compare con un
indice di colonna sempre più grande.
Il primo elemento non nullo in ogni riga di una matrice a gradini si chiama
pivot.
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della seconda riga; nella seconda matrice, il primo elemento non nullo della
terza riga sta in una colonna di indice più piccolo del primo elemento non
nullo della seconda riga.
Ora, lo scopo del procedimento che descriveremo per risolvere un sistema,
detto procedimento di riduzione a gradini o procedimento di eliminazione di
Gauss-Jordan, consiste nel trasformarlo in un sistema cosiddetto a gradini.
Definizione 1.6. Un sistema si dice a gradini se la sua matrice completa è
una matrice a gradini.
Ad esempio, il seguente sistema
x1 + x2 + x3 = 1
2x2 + 3x3 = 2
4x3 = 5
14
Come esempio di operazione elementare del secondo tipo, possiamo moltipli-
care la prima riga della matrice per 3:
1 1 1 3 3 3
→
2 3 4 2 3 4
Infine, come esempio di operazione elementare del terzo tipo, possiamo som-
mare alla seconda riga della matrice la prima moltiplicata per 2
1 1 1 1 1 1
→
2 3 4 4 5 6
In generale, se R1 , . . . , Rm indicano le righe di una matrice, scriveremo Ri ↔
Rj per dire che stiamo scambiando tra loro la riga i-esima con la riga j-
esima (operazione del primo tipo); Ri → cRi per indicare che stiamo mol-
tiplicando la riga i-esima della matrice per c (operazione del secondo tipo);
Ri → Ri + cRj per indicare che stiamo sommando alla riga i-esima la riga
j-esima moltiplicata per c (operazione del terzo tipo).
Ad esempio, le tre operazioni fatte nella matrice dell’Esempio 1.7 sono,
nell’ordine, R1 ↔ R2 , R1 → 3R1 , R2 → R2 + 2R1 .
Ora, dimostriamo il seguente importante risultato:
Proposizione 1.8. Se effettuiamo operazioni elementari sulla matrice com-
pleta di un sistema, la matrice trasformata è la matrice completa di un siste-
ma equivalente a quello iniziale (ovvero avente le stesse soluzioni del sistema
iniziale).
Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che in seguito a ciascuna delle opera-
zioni elementari, l’insieme, diciamo S, delle soluzioni del sistema originale
e l’insieme, diciamo S 0 , delle soluzioni del sistema trasformato rimangono
uguali.
Ricordiamo che verificare che due insiemi S e S 0 sono uguali significa verificare
che ogni elemento del primo insieme S sta anche nell’insieme S 0 (cioè nel
passare da S a S 0 non abbiamo perso soluzioni), e viceversa che ogni elemento
di S 0 appartiene anche a S (cioè nel passare da S a S 0 non abbiamo aggiunto
soluzioni)6 .
6
Verificare una sola di queste due affermazioni significa verificare solo che uno dei due
insiemi è incluso nell’altro. Prendiamo ad esempio le due equazioni 2x = 6 e 4x2 = 36
(ottenuta dalla prima elevando al quadrato entrambi i membri): l’unica soluzione x = 3
della prima equazione è anche soluzione della seconda, ma viceversa non è vero che tutte
le soluzioni della seconda equazione sono soluzioni della prima (la seconda equazione ha
anche la soluzione x = −3, che non è soluzione della prima). Ovvero, l’insieme {3} delle
soluzioni della prima equazione è incluso nell’insieme {3, −3} delle soluzioni della seconda,
ma non uguale.
15
Iniziamo dalle operazioni elementari del primo tipo:
Data la matrice completa
a11 a12 · · · a1n b1
..
.
ai1 ai2 · · · ain bi
..
(1.15)
.
j1 aj2 · · · ajn bj
a
..
.
am1 am2 · · · amn bm
del sistema
a11 x1 + a12 x2 + · · · + a1n xn = b1
..
.
a x + a x + · · · + ain xn = bi
i1 1 i2 2
.. (1.16)
.
aj1 x1 + aj2 x2 + · · · + ajn xn = bj
..
.
am1 x1 + am2 x2 + · · · + amn xn = bm
16
Notiamo che, chiaramente, il sistema originale (1.16) e il sistema trasformato
(1.18) hanno esattamente le stesse equazioni: scambiare le righe della matrice
ha avuto solo l’effetto di scambiare le corrispondenti equazioni nel sistema
che rimangono le stesse anche se disposte in un altro ordine.
Ma allora è chiaro che gli insiemi S e S 0 delle soluzioni del sistema originale
e del sistema trasformato sono uguali, in quanto il fatto che una n-upla sia
soluzione di una sistema non dipende dall’ordine in cui mettiamo le equazioni
del sistema.
Vediamo ora cosa succede nel caso di operazioni elementari del secondo tipo.
Effettuiamo sulla matrice completa
a11 a12 · · · a1n b1
..
.
ai1 ai2 · · · ain bi (1.19)
.
..
am1 am2 · · · amn bm
del sistema
17
Ora, se (v1 , . . . , vn ) ∈ S è una soluzione del sistema (1.20), questa verifica in
particolare la sua i-esima equazione, ovvero
18
Effettuiamo sulla matrice completa
a11 a12 · · · a1n b1
..
.
ai1 ai2 · · · ain bi
..
(1.23)
.
a
j1 a j2 · · · ajn bj
.
..
am1 am2 · · · amn bm
del sistema
a11 x1 + a12 x2 + · · · + a1n xn = b1
..
.
a x + a x + · · · + ain xn = bi
i1 1 i2 2
.. (1.24)
.
aj1 x1 + aj2 x2 + · · · + ajn xn = bj
..
.
am1 x1 + am2 x2 + · · · + amn xn = bm
l’operazione elementare che consiste nel sommare alla riga j-esima la riga
i-esima moltiplicata per c, ottenendo quindi la matrice
a11 a12 ··· a1n b1
..
.
ai1 ai2 ··· ain bi
..
(1.25)
.
a + ca a + ca · · · a + ca
in bj + cbi
j1 i1 j2 i2 jn
.
..
am1 am2 ··· amn bm
che corrisponde al sistema
a11 x1 + a12 x2 + · · · + a1n xn = b1
..
.
ai1 x1 + ai2 x2 + · · · + ain xn = bi
.. (1.26)
.
(aj1 + cai1 )x1 + (aj2 + cai2 )x2 + · · · + (ajn + cain )xn = bj + cbi
..
.
am1 x1 + am2 x2 + · · · + amn xn = bm
19
Ora, se (v1 , . . . , vn ) ∈ S, cioè è una soluzione del sistema (1.24), essa verifica
in particolare le sue i-esima e j-esima equazione, ovvero
Sviluppando i calcoli,
(aj1 + cai1 )v1 + (aj2 + cai2 )v2 + · · · + (ajn + cain )vn = bj + cbi
20
Ora, poichè (v1 , . . . , vn ) soddisfa la prima delle uguaglianze (1.28), la quantità
che moltiplica c a primo membro della (1.29) è uguale a bi , e quindi possiamo
riscrivere la (1.29) come
21
primi elementi diversi da zero della seconda e della terza riga non possono
stare anche loro nella prima colonna: in altre parole, dobbiamo trasformare
la matrice in modo che a21 e a31 siano uguali a zero.
Otteniamo sicuramente questo scopo se applichiamo le operazioni elementari
del terzo tipo R2 → R2 + R1 e R3 → R3 + R1 : infatti,
1 1 1 1 1 1 1 1
−1 1 −3 0 −→ 0 2 −2 1
R2 →R2 +R1
−1 1 1 −3 R3 →R3 +R1 0 2 2 −2
La matrice trasformata non è ancora una matrice a gradini in quanto il
primo elemento non nullo della terza riga si trova in corrispondenza della
stessa colonna (la seconda) del primo elemento non nullo nella seconda riga:
dobbiamo far sı̀ che a32 = 0. A questo scopo, basta applicare l’operazione
elementare R3 → R3 − R2 : cosı̀ facendo si ottiene
1 1 1 1 1 1 1 1
0 2 −2 1 −→ 0 2 −2 1
R3 →R3 −R2
0 2 2 −2 0 0 4 −3
Abbiamo ottenuto quindi lo scopo desiderato di trasformare la matrice in
una matrice a gradini.
Il sistema
x1 + x2 + x3 = 1
2x2 − 2x3 = 1 (1.32)
4x3 = −3
3 3 1 1
2x2 − 2x3 = 1 → 2x2 = 1 + 2x3 = 1 + 2(− ) = 1 − = − → x2 = −
4 2 2 4
e analogamente, sostituendo i valori di x2 e x3 cosı̀ ottenuti nella prima
equazione troviamo
22
1 3
x1 + x2 + x3 = 1 → x1 = 1 − x2 − x3 = 1 − (− ) − (− ) = 2
4 4
Riassumendo, la terna (2, − 14 , − 43 ) è l’unica soluzione del sistema (1.32),
ovvero del sistema iniziale (1.30).
Ora vediamo altri due esempi significativi di risoluzione di un sistema lineare,
che metteranno in evidenza ulteriori vantaggi della riduzione a gradini.
Consideriamo il sistema
x1 + x 2 + x3 = 1
x1 − x 2 − x3 = 0 (1.33)
x1 + 3x2 + 3x3 = 1
23
x1 + x2 + 3x3 = 1
x1 − 2x2 + x3 = 0 (1.35)
x1 − 5x2 − x3 = −1
1 1 3 1
1 1 3 1
1 −2 1 0 −→ 0 −3 −2 −1 (1.37)
R2 →R2 −R1
1 −5 −1 −1 R3 →R3 −R1 0 −6 −4 −2
1 1 3 1
1 1 3 1
0 −3 −2 −1 −→ 0 −3 −2 −1 (1.38)
R3 →R3 −2R2
0 −6 −4 −2 0 0 0 0
Notiamo che la terza riga della matrice trasformata corrisponde all’equazione
0x1 + 0x2 + 0x3 = 0, ovvero 0 = 0.
Quest’ultima condizione è un’identità vera indipendentemente dal valore che
diamo alle incognite, quindi essa può essere cancellata dal sistema senza
influire sulle sue soluzioni. In altre parole, il sistema iniziale di tre equazioni
si è trasformato nel sistema di due equazioni equivalente
x1 + x2 + 3x3 = 1
(1.39)
−3x2 − 2x3 = −1
Benché non sia rimasta un’equazione con una sola incognita come nel pri-
mo sistema che abbiamo risolto, possiamo comunque procedere nel modo
seguente: ricaviamo x2 dalla seconda equazione:
2 1
−3x2 − 2x3 = −1 → −3x2 = 2x3 − 1 → x2 = − x3 + (1.40)
3 3
e sostituiamo l’espressione ottenuta nella prima equazione per ricavare x1 :
2 1 2 7
x1 + x2 + 3x3 = 1 → x1 = 1 − x2 − 3x3 = 1 − − x3 + − 3x3 = − x3 .
3 3 3 3
(1.41)
24
Ora, qualunque valore t ∈ R assegniamo a x3 , la (1.40) e la (1.41) ci dicono
che se poniamo x2 = − 32 t + 31 e x1 = 23 − 73 t, le equazioni del sistema saranno
soddisfatte, ovvero otterremo una soluzione.
In altre parole, le soluzioni del sistema sono esattamente tutte le terne del
tipo ( 23 − 37 t, − 23 t + 31 , t) al variare di t ∈ R: il sistema ha quindi infinite
soluzioni.
Più precisamente, dal momento che le infinite soluzioni del sistema dipendono
da un solo parametro libero t, si dice che il sistema ha “infinito alla uno” (si
scrive ∞1 ) soluzioni.
In generale, possiamo dare la seguente
Concludiamo questo capitolo con una dimostrazione rigorosa del fatto che
un sistema a gradini non ha equazioni dipendenti dalle altre, il che prova che
il procedimento di riduzione elimina tutte le eventuali equazioni dipendenti
(superflue) presenti in un sistema.
Poichè le equazioni di un sistema corrispondono alle righe della sua matrice
completa e, in base alla definizione di sistema a gradini, tale matrice è una
matrice a gradini, basterà dimostrare che in una matrice a gradini nessuna
riga può essere scritta come combinazione lineare delle altre.
Prima di dare la dimostrazione, osserviamo che il fatto che una tra le righe
R1 , R2 , . . . , Rm di una matrice si possa scrivere come combinazione delle altre
equivale all’esistenza di una relazione del tipo
c1 R1 + c2 R2 + · · · + cm Rm = 0 (1.42)
8
Osserviamo che questa affermazione è falsa se non ci limitiamo a sistemi ridotti a
gradini, come dimostra il semplice esempio del sistema (1.8) che ha due equazioni, due
incognite ma infinite soluzioni.
25
dove c1 , c2 , . . . , cm sono elementi di K non tutti uguali a zero (altrimenti tale
uguaglianza sarebbe sempre banalmente vera) e dove stiamo denotando con
0 la riga nulla.
Infatti, da una parte, se vale la (1.42) con coefficienti c1 , c2 , . . . , cm non tutti
nulli, allora, supponendo ad esempio che sia ci 6= 0, possiamo, portando a
secondo membro9 tutti gli addendi tranne ci Ri , scrivere
Proposizione 1.11. Tra le righe non nulle di una matrice a gradini non
esiste nessuna relazione di dipendenza del tipo (1.42) con i coefficienti ci non
tutti nulli.
R1 = (a11 , . . . ), a11 6= 0
R2 = (0, . . . , 0, a2k , . . . , ), a2k 6= 0
R3 = (0, . . . , 0, 0, . . . , 0, a3j , . . . , ), a3j 6= 0
9
Portare a secondo membro le righe presuppone, come abbiamo spiegato nel primo
paragrafo nella discussione preliminare alla definizione di campo (pag. 2), che ogni riga R
abbia un suo opposto, ovvero una riga R0 che sommata a R dà come risultato la riga nulla.
Ma questo in effetti è vero: basta prendere come R0 la riga che si ottiene da R cambiando
di segno tutte le sue entrate (in altre parole, R0 = (−1)R).
26
..
.
con k > 1, j > k etc. ovvero in ogni riga il primo elemento non nullo compare
via via con secondo indice sempre più grande.
Ora, se tra le righe valesse una relazione come la (1.42), questo vorrebbe dire
che
(1.43)
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In altre parole, se denotiamo con R20 e R30 la seconda e la terza riga trasformate
dopo il primo passaggio (cioè R20 = R2 − R1 e R30 = R3 − R1 ) abbiamo
trovato R30 − 2R20 = 0, ovvero, sostituendo l’espressione di R30 e R20 , si ha
(R3 − R1 ) − 2(R2 − R1 ) = 0, che svolgendo i conti ci dice
R3 + R1 − 2R2 = 0
che è proprio una relazione di dipendenza del tipo (1.42).
Procedendo come in questo esempio si può dimostrare rigorosamente che
in generale se dopo una riduzione si annulla una riga allora nella matrice
originaria era presente una relazione di dipendenza, ma omettiamo i dettagli.
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