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La direzione spirituale

Appunti da Goya B., Luce e guida nel cammino. Manuale di direzione


spirituale, EDB, Bologna 2004, pp. 231.
Premessa

Esigenza pressante di personalizzazione del vangelo, dovuta a una nuova sensibilità e percezione della
singolarità della persona umana.

Oggi ogni persona è impegnata dinamicamente nella crescita cristiana e, superando una religiosità
anonima, nutrita di formule e di riti standardizzati, cerca un dialogo personale con Dio e un confronto
aperto coni fratelli alla luce del vangelo. Così un sempre maggior numero cerca una guida disponibile
all’accompagnamento spirituale per comprendere il Vangelo nella sua singola situazione di vita.

Oggi disponiamo della ricca e lunga tradizione cristiana sul tema, che ha insistito sull’aspetto teologico e
giuridico della pratica; occorre assumere anche la ricerca delle scienze umane, sviluppatesi nel Novecento.

Lo stile: oggi si tende a presentarsi come testimone senza soppiantare il protagonismo del discepolo; in
realtà la storia presenta diversi modelli, e quello qui presentato è quello ritenuto più confacente alla
sensibilità contemporanea.

1. Vicende storiche della direzione spirituale

L’accompagnamento spirituale si radica nella natura sociale della persona. La carrellata storica della
direzione spirituale, su cui la ricerca di G. Filoramo ha dato risultati buoni, si dovrà leggere nel contesto
culturale per capire come se ne è sviluppata la dinamica: dall’eremo al cenobio in oriente. Nella pratica
degli staretz sembra che ci sia il grande rispetto per l’originalità di ogni persona e per l’unicità dell’opera di
Dio: mi sembrano conseguenze di un immergersi nel silenzio e di un obbedire per amore di Cristo alla
richiesta del fratello.

In Occidente abbiamo Cassiano e Benedetto, che organizza la vita monastica e fa assumere all’abate un
ruolo centrale: egli è di fatto il maestro e il direttore spirituale. Lentamente e soprattutto a partire dal
secolo XI l’abate è d’obbligo un prete, riassumendo in sé la figura del superiore, del direttore e del
confessore. Con gli ordini mendicanti la pratica esce dal monastero e si rivolge a tutti i fedeli in
concomitanza con la predicazione. In età moderna si ha una certa svolta e una tematizzazione esplicita della
direzione, in corrispondenza alla spinta verso l’attività apostolica. Figure decisive sono Ignazio di Loyola,
Teresa d’Avila e Francesco di Sales.

Oggi la direzione è in crisi per cause esterne: eccessivo lavoro dei preti; ci sono cause esterne piuttosto
pesanti quali la secolarizzazione, come pure la nuova temperie culturale, lo sviluppo della psicoterapia. Tra
le cause interne: crisi del sacramento della penitenza, senso della libertà e della dignità della persona
umana di contro alla somma delle cariche che hanno un controllo su di essa; crisi della figura paterna;
tentazione di elitarismo.

2. Caratteristiche della direzione spirituale


Non è qualcosa che appartiene a una stagione della vita, ma uno strumento per essere accompagnati nella
sequela perseverante di Cristo superando gli ostacoli.

Si può definire: Scienza e arte di condurre le anime alla propria perfezione, secondo la vocazione personale.
È una scienza, fondata su principi teorici, teologici e psicologici, relativi alla natura della perfezione e ai
condizionamenti individuali. È imparentata con la teologia pastorale e spirituale e con la pedagogia e la
psicologia. È un’arte, perché implica un’applicazione creativa e duttile, adeguata al caso concreto.

Il fine a cui la direzione serve è lasciarsi condurre dalla volontà di Dio che unisce a sé il credente in modo
pieno secondo una misura e una forma prestabilite. Il ministero si rivolge ai credenti che avvertono la
chiamata di Dio a conformarsi al volere divino. Il fine immediato è legato a un aiuto spesso limitato nel
tempo per una scelta vocazionale, per l’emendazione di una sconveniente abitudine o nell’esercizio della
pratica d’orazione.

L’oggetto della direzione è la totale attività, interna ed esterna, del credente. Essenziale è l’unità della
personalità, onde l’accompagnamento si estende a tutte le manifestazioni dell’esistenza umana: i doveri
religiosi e quelli mondani.

L’utilità della direzione è indubbia; garantisce costanza, equilibrio e oggettività.

La necessità della direzione non è assoluta, ma è il mezzo ordinario per una vita di santità.

3. Fedele a Dio

È l’aspetto teologico della direzione, dove si analizzano le conseguenze pastorali dell’azione dello Spirito di
Dio nella vita del fedele. La natura teologica della direzione richiede di essere integrata dall’attenzione alla
sua dimensione psicologica. La cooperazione del direttore è una mediazione salvifica in cui si attua la
venuta dello Spirito e facilita la risposta del credente.

La spiritualità attuale ha recuperato la coscienza dell’azione trinitaria nella Chiesa e nei credenti e del
rapporto personale e intimo con le tre divine persone, come chiave di una spiritualità più completa e
coerente. Questa affermazione mi sembra fuori dalla realtà, sebbene adesso leggerò cosa dice in seguito. Si
vuol capire cosa intende un rapporto personale e intimo con le persone divine: è la scoperta di essere
dentro una reciprocità “nel principio” che illumina la coscienza dell’azione trinitaria e dell’identità
dell’uomo; in tale reciprocità principiale non c’è un trio indifferenziato, ma ben caratterizzato, personale.

Non si può dire che si sceglie e si segue una spiritualità teocentrica; non accade così il processo della
scoperta della propria chiamata e del piano di Dio su di sé.

L’esempio di Cristo, che non ha agito di testa sua ma come gli ha insegnato il Padre, e ha fatto sempre le
cose che gli sono gradite, costituisce il prototipo di questo processo di crescita. Il discepolo lo segue in
questo suo stile spirituale, lo imita nel suo atteggiamento filiale e ricorre incessantemente alla preghiera
per lasciarsi interpellare sempre dall’alto. Il direttore si impegna a mantenere accesa nei discepoli la
concentrazione sulla presenza e sull’azione del Risorto.

Dopo aver reso possibile la nascita della chiesa, lo Spirito Santo agisce attivamente nei singoli credenti
attraverso le ispirazioni, la parola, i sacramenti, la preghiera, la liturgia, il magistero e, in modo più
immediato, tramite coloro che hanno ricevuto il carisma di accompagnare i fratelli nello sviluppo della
grazia battesimale. Egli è l’unico direttore della anima, e la sua guida rende riconoscibili coloro che sono
generati da Dio, perché si muovono secondo gli atteggiamenti del Figlio, dimostrando concretamente che
sono figli di Dio. Imprime inclinazione, suscita energie e muove le facoltà così da consentire un genere di
vita che si deve chiamare spirituale e una possibilità concreta di maturare come conviene all’erede dei beni
eterni. Diventa poi Spirito di comunione e di fratellanza mediante la carità cristiana. Il suo ruolo si manifesta
in forma progressiva. L’avvicinarsi alla maturità spirituale apre uno spazio maggiore alle sue emozioni e può
diminuire l’apporto dell’aiuto umano.

È indispensabile per l’accompagnatore crescere in umanità e diventare persona accogliente revisionando


costantemente il suo agire per riflettere il volto di Cristo pieno di umanità. Gesù usa il principio maieutico
per far nascere dal di dentro o far cogliere da se stessi le verità che sono latenti nel proprio spirito,,
attraverso successive domande o interventi.

4. Fedele al credente

La fedeltà al credente e al suo tempo esige dal direttore la preoccupazione di capire la sua situazione unica
e originale e le circostanze storiche nelle quali si sta compiendo la sua risposta all’invito di Dio.

Dato che la comprensione prepara l’adesione, il sentimento di essere apprezzato permetterà al singolo di
sentire come qualcosa di proprio l’invito a illuminare la sua fede cristiana con una luce superiore, e a
favorire la maturazione della propria esistenza come qualcosa che completa intimamente la sua
personalità.

L’a. descrive i tratti salienti della personalità globale che il direttore deve tener presente: mi sembra sempre
qualcosa di artificioso, di troppo ovvio per un verso, e di costruito per un altro. Non so quanto aiutano in
concreto un direttore spirituale.

Si parla di fedeltà al tempo: anche questo è piuttosto parenetico o fuor di luogo, perché anche il direttore
appartiene pienamente a quel tempo. Si vuol ipotizzare una distanza di cultura temporale dal credente? Si
tratta solo di sclerotizzazioni presenti in momenti di mutamento come il nostro, ma che sono residuali
rispetto al problema.

L’attenzione all’originalità e all’irripetibilità è invece un punto più serio e richiede un vero sforzo del
direttore nel coglierla. Oltretutto c’è una sensibilità spiccata a cogliere l’originalità e gli scambi della
comunicazione mondiale creano situazioni nuove e non omogenee nello stesso territorio. La
personalizzazione richiede il rispetto del principio della progressività e della gradualità: tutta la durata
dell’esistenza umana diventa un cammino di crescita e di perfezionamento. Si tratta di tener conto del fatto
che ogni sviluppo vitale ha i suoi stadi o cicli, i suoi momenti forti di crisi, di opzioni fondamentali che
decidono l’avvenire; ogni fase viene considerata come una continuazione della precedente e una
preparazione della successiva.

L’accompagnatore è un pedagogo della libertà spirituale della persona, frutto della pienezza dell’amore che
perviene fino al “ama e fa’ ciò che vuoi”, e della sua situazione di creatura nuova motivata da un amore in
ordine alla grazia. La dinamica di tale liberazione è un processo continuo. L’essere umano non esce
compiuto dalle mani del Creatore, ma viene al mondo come una vocazione da realizzare o una missione da
compiere: ciò equivale ad essere spinto in avanti verso una meta da raggiungere progressivamente.

La direzione spirituale incita efficacemente a creare le condizioni interiori dell’atto libero e contribuisce
decisamente a creare lo spazio di libertà necessaria per l’ascolto della Parola e per un’azione incisiva dello
Spirito. Tende a evitare ogni costrizione esterna, anche di tipo magisteriale, e a promuovere in lui la presa
di coscienza del dono ricevuto e della responsabilità prioritaria che si deve assumere per far fruttificare
abbondantemente la grazia del battesimo.

La direzione spirituale si inserisce pienamente entro l’attività pastorale della chiesa e si rivolge a un settore
particolare di fedeli che sente il desiderio di realizzare in pienezza la grazia battesimale e la vocazione di
figli di Dio. Nella sua attività pastorale la chiesa offre alle anime una triplice assistenza: quella pastorale
comune, quella sacramentale e la direzione spirituale. È un carisma speciale concesso alla chiesa. In quanto
momento personale della fede, riguarda l’impegno che il soggetto deve assumersi di attuare, con coscienza
e libertà, con spirito di fede e di ascolto della divina rivelazione, una risposta originale e unica. Il battezzato
sente la chiamata a uniformarsi a Cristo e a formare in sé l’uomo perfetto nella misura che conviene alla
piena maturità di Cristo e a essere sempre più radicato, edificato e confermato nella fede. Può essere
esercitato da chiunque abbia la competenza necessaria e venga liberamente richiesto da un credente
disposto ad aprirgli spontaneamente la propria coscienza e desideroso di essere orientato da lui.

5. La nuova figura del direttore spirituale

Vi sono convinzioni che devono animare il direttore. La prima è che lo Spirito è presente e operante in
modo attivo nell’intimo del cuore umano. Egli deve scoprire le pienezze di umanità presenti nel mistero di
Cristo e risvegliare i desideri umani, far fiorire e dar nuovo vigore a tutte le sue dimensioni, alle nuove
intuizioni e alle domande profonde che vengono represse da certi movimenti spirituali.

Il soggetto non è solo parte passiva o ricettiva, ma possiede una responsabilità attiva con obblighi specifici
e, senza la sua collaborazione, sarebbe impossibile qualsiasi crescita nella grazia. L’accompagnatore lo può
stimolare, sorvegliare e indirizzare, ma è egli stesso a restare l’artefice principale della propria santità. Il
ministero di sostegno spirituale esige precise qualità personali, una certa formazione e un’esperienza
rilevante nelle vie del Signore.

IL modo di vedere la figura del direttore spirituale è stato sottoposto agli influssi delle istanze culturali e
storiche e alle varie forme di sentire i valori affini a essa. Oggi si preferisce un animatore che potenzia al
massimo la partecipazione del discepolo, da cooperatore più che operatore della condotta, il quale tenta di
camminare insieme e trovare soluzioni in modo condiviso.

Doti e qualità del direttore. Personalità umana integrata e matura, ricca di risorse umane e spirituali, in
grado di comunicare con i fratelli per agevolarne il cammino. L’essenza della direzione consiste nella
relazione. Il miglior mezzo per capire e affinare le proprie relazioni con gli altri è la chiarificazione dei propri
rapporti con se stessi. Questo suppone la conoscenza e l’accettazione della propria storia e del proprio
passato e l’attenzione focalizzata sulle motivazioni e sui comportamenti attuali. Ciò suscita anche il
desiderio di liberazione da quanto non armonizzato in essi.

La comprensione empatica è una disposizione naturale, che può essere molto sviluppata con l’esercizio e
diventa fondamentale: essa tende a incitare il direttore a concentrarsi sulla persona che chiede aiuto.
L’empatia comprende i settori oggettivi, cognitivi ed emotivi dell’esperienza altrui. L’elemento caratteristico
di questa forma di conoscenza è il fatto di raggiungere il quadro di riferimento interno e di immergersi nel
mondo soggettivo altrui, contemplando i fatti e le esperienze dal suo punto di vista, secondo il suo modo di
vedere e di sentire il mondo. è la capacità di mettersi al posto dell’altro, di percepire l’ambiente come lo fa
lui e di comprendere allo stesso modo. Non si tratta di interpretare, ma di capire. Si tratta di comprendere
oggettivamente, senza perdere distacco e oggettività: un’attenzione coinvolgente che obbliga a mettere da
parte il proprio modo di vedere e di pensare per cogliere oggettivamente quello della persona guidata.
Questo atteggiamento empatico richiede un’attenzione particolare a due dimensioni della personalità: il
settore affettivo e quello percettivo. Ci sono pure certi ostacoli per la comprensione empatica: differenze
socio-culturali, di sesso, di età e linguaggio.

È indispensabile la presenza di un elevato grado di stima e di conseguente fiducia nel valore del soggetto in
tutta la sua realtà attuale e potenziale, così come nella sua capacità di assimilare i valori che egli deve
realizzare; deve esserci un sentimento di affidamento nelle possibilità si sviluppare tutte le sue potenzialità
e di arrivare alla pienezza della santità. La stima del diretto deve riflettersi nei suoi confronti nei seguenti
atteggiamenti: riconoscimento della personalità del diretto, interesse e stima per ciò che egli può sentire
come suoi interessi per il futuro e anche lode, atteggiamento sereno di fronte alle condotte indesiderabili.

Per concretizzare uno stile di rapporti sereni si richiede un’affettività matura: esiste soprattutto nella
sicurezza emozionale e genera un atteggiamento oblativo, oltre alla reale capacità di offrire un amore
disinteressato al diretto. La maturità affettiva suppone il superamento di una forma di agire in modo
narcisistico o egocentrico e la liberazione dalla ricerca soffocante dell’affetto e della stima del diretto, per
riempire le proprie carenze emotive con la sua manipolazione e servendosi di lui per i propri scopi, invece di
mettersi a sua disposizione. La sicurezza affettiva individuale conferisce alla guida la forza di mantenersi
equanime di fronte alle oscillazioni degli accompagnati.

Nelle crisi di scoraggiamento del diretto, la sicurezza della guida gli darà la forza sufficiente per non
spaventarsi per le circostanze avverse e per prolungare lucidamente la sua missione in tali momenti difficili.

La guida deve avere la capacità di comunicazione e di sincero dialogo. Esso si manifesta nell’abilità di
riflettere sull’interlocutore il messaggio integrale da lui trasmesso. Questo riflesso del messaggi, verbale o
non verbale, costituisce un mezzo straordinario per favorire l’auto-cononoscenza e l’auto-valutazione
dell’aiutato.

Le qualità spirituali: esperienza di Dio e della preghiera, la sapienza spirituale, la conoscenza dei cuori,
carisma del consiglio e virtù della prudenza.

Le guide vanno scelte e formate. La scelta deve cadere su chi ha una chiamata interiore, perché è un
carisma che va accertato e provato. Poi ci vuole la formazione prossima da prolungare con la permanente,
che è facilitata dalla supervisione. La formazione deve essere di carattere teologico – spirituale e
psicopedagogico.

6. Compiti del diretto e del direttore

Le qualità e la formazione del direttore sono strettamente collegati alle funzioni che egli deve compiere,
contribuire alla maturazione umana e cristiana del diretto, oggi collegata con l’interesse attuale per la
chiamata universale alla santità. Sono necessarie nel diretto alcune disposizioni di base perché la direzione
sia efficace.

Anzitutto la necessità di discernere ciò che il diretto cerca nell’incontro personale: essere rincuorato nei
suoi problemi, senza intenzione di cambiare il suo atteggiamento abituale. La direzione spirituale ha come
suo obiettivo la liberazione e la conversione integrale della personalità e il suo sviluppo globale
attualizzando tutte le sue potenzialità, umane e spirituali. Il diretto ha in mano le redini di questo processo,
in cui impegnarsi generosamente. Senza la sua collaborazione è impossibile qualsiasi progresso.
La scelta del direttore a volte è imposta istituzionalmente, come nelle case di formazione, o dalle
circostanze e dalle condizioni sociali. Il credente deve trovare un direttore adatto al suo modo di essere e
alle sue esigenze. È indispensabile non procedere con leggerezze e superficialità, affidandosi al caso o
lasciandosi guidare da considerazioni umane, da vanità o curiosità. Si osservi se il possibile accompagnatore
è un credente maturo e possiede le doti di scienza, di prudenza ed esperienza e le virtù richieste. Deve
apparire una persona che ispira fiducia, in modo che non diventi troppo difficile aprirsi a lui. Meglio
conferire una o due volte con la persona che sembra adatta, prima di scegliere in modo definitivo.

La pratica dell’accompagnamento rileva che non pochi chiedono l’aiuto spirituale senza la minima
intenzione di un radicale cambiamento delle loro abitudini. Capita che non pochi vadano ala direzione non
per una decisione spontanea e libera; altri si presentano con scopi diversi da quelli della direzione. Altri
accedono con motivazioni parziali, volendosi limitare a parlare solo di un certo problema particolare,
rimanendo a un livello puramente superficiale ed evitando di affrontare nella sua globalità il loro complesso
mondo interiore. Tale atteggiamento parziale fa sorgere resistenze e proiezioni dei lati negativi del proprio
inconscio sugli altri, l’attaccamento intoccabile alla propria volontà, la ricerca di essere accontentati nei
gusti e capricci, senza il coraggio di incontrarsi e di confrontarsi con i propri condizionamenti e ferite
affettive. La conseguenza di tutto ciò è la difficoltà ad aprirsi interamente, mettendo mille barriere alla
conoscenza piena di sé e alla decisione di prendere in mano coraggiosamente la propria esistenza. Lo sforzo
della guida per indurre a un impegno spirituale più intenso viene combattuto in vari modi, e più ancora
rimangono inascoltate le sue osservazioni sul loro atteggiamento, o sulla loro necessità di essere più liberi
dall’attaccamento al loro modo di porsi di fronte al mondo. Essi sono venuti cercando di essere diretti
secondo i loro gusti, e finiscono per proseguire nel comportarsi secondo il loro parere e il loro stile di vita.
Queste persone non si aprono mai interamente, e in luogo di accogliere docilmente l’accompagnamento
preferiscono avanzare riserve e obiezioni. La chiusura egocentrica e l’eccessiva confidenza nelle proprie
forze impediscono una sottomissione docile.

La maggioranza dei diretti si presenta con motivazioni autentiche e buoni atteggiamenti: spirito di fede, di
apertura di animo, desiderio sincero di cambiare gli atteggiamenti.

Le funzioni del direttore. Il primo compito del direttore consiste nello stimolare l’aiutato a cogliere la
bellezza e la grandezza della sua vocazione e a maturare in essa. Poi far scoprire il disegno divino e
comprenderlo attraverso un rapporto di amicizia con Gesù. Se poi c’è un addentrarsi nelle vie dell’orazione,
allora ci sono esigenze piuttosto svariate e precise, con l’attraversamento di stagioni buie.

L’ascesi cristiana adempie una finalità essenziale in questo processo, in quanto liberazione da tutti gli
ostacoli che possono impedire l’irradiazione della carità. Sono da evitare la dispersione, l’incoerenza e la
superficialità.

7. L’incontro di aiuto spirituale

La frequenza e la durata del colloquio sono misurate dalla necessità e dal tempo disponibile per compiere la
missione, per esempio un anno o tre anni. All’inizio i colloqui sono con frequenza quasi settimanale; poi
possono anche tenersi una volta al mese. La forma oggi privilegiata è il dialogo, che mira ad instaurare un
clima di fiducia. Esso non è una discussione né una semplice conversazione. L’accompagnamento spirituale
ricerca il compimento integrale della persona, senza escludere altri possibili interventi di tipo terapeutico,
quando questi sono necessari per l’armonia e la liberazione della personalità. Essa tiene conto della
presenza operante della Trinità, di cui l’aiutante è una mediazione. Egli mira alla crescita e alla docilità
sempre maggiori verso Dio.
I primi momenti dell’incontro sono importanti: accogliere con bontà, specialmente coloro che nutrono
scarsa stima di sé. Il direttore deve aver presente la situazione lasciata nell’incontro precedente, e
provvedere a che il colloquio non venga disturbato né affrettato. La conclusione dell’incontro sarà con un
congedo affettuoso e accompagnando l’aiutato fino alla porta. Iniziato l’incontro, occorre prestare molta
attenzione a cogliere il significato non verbale del diretto. Ciò suppone nel direttore l’abilità di osservare
soprattutto le espressioni non verbali. La componente affettiva costituisce una preziosa dimensione per la
scoperta del mondo emozionale del diretto e per stabilire un rapporto positivo con lui; la disposizione
intellettuale evidenzia la sua prontezza nell’apprendere e il suo impegno nella realizzazione degli obiettivi
fissati in comune. Conviene osservare pure le incongruenze tra il messaggio verbale e quello non verbale:
sono segni chiari di difficoltà.

La persona umana, in quanto essere sociale, porta dentro di sé questo bisogno fondamentale di
comunicarsi, di parlare e di parlare di se stessa. Il diretto comunica l’interiorità della sua coscienza e del suo
inconscio carico di ricordi, ambizioni, tristezze e speranze. Quando rivela sinceramente i suoi sentimenti,
egli compie una vera comunicazione di vita e condivide tutta la sua personalità con le sue ricchezze e le sue
debolezze: questo atto inizia la sua liberazione e della costruzione della nuova personalità. Ascoltarlo
significa cogliere, intendere e ricordare il più fedelmente possibile tutta la ricchezza interiore che il diretto
sta condividendo. L’ascolto è un compito molto impegnativo. Richiede un’attenta presenza di sé, far tacere
se stessi per dare precedenza all’altro e investire tutte le energie nell’ascolto dell’interlocutore e della sua
comunicazione verbale e non verbale. Tale ascolto presuppone una grande sicurezza e serenità per non
aver paura delle pause di silenzio e per dare spazio al diretto affinché possa esprimersi nel modo e nei
tempi a lui più opportuni. È importante non intervenire e non interferire con commenti, valutazioni,
riflessioni personali, finché si vede che l’altro desidera dire ancora qualcosa: si potrebbe spezzare il filo
della sua comunicazione.

L’ultima fase dell’incontro è il servizio dell’illuminazione, affinché il diretto possa contemplare le sue
esperienze alla luce del progetto di Dio su di lui e scoprire progressivamente dove si trova e dove dovrebbe
essere alla luce dello spirito evangelico. La preoccupazione prioritaria dell’accompagnatore è che il guidato
si orienti sempre più verso il Signore. Per questa sua funzione egli possiede la scienza di Dio ed è abilitato
per capire il senso spirituale degli eventi, per poter proiettare la sua luce su di essi e per far scoprire la sua
presenza e la sua opera nelle circostanze concrete del credente.

8. Le fasi dell’incontro

Nel colloquio impostato sulla crescita integrale della persona, la guida tende a stabilire un rapporto
duraturo di confidenza, fondato sulla capacità del diretto di orientare la propria esistenza e di creare un
atteggiamento di sicurezza. Come creare il clima adeguato affinché il soggetto si senta capito e accettato in
maniera confidenziale? Occorrono: accoglienza ed apertura, senza atteggiamenti difensivi da parte del
direttore; apertura del diretto; facilità di comunicazione. Quanto più l’animatore sperimenta e manifesta un
sentimento di stima e di speranza verso il discepoli, quanto più l’accompagnato si sente accolto e
disponibile, tanto più si faciliterà l’autenticità nel rapporto e si allontanerà il pericolo di mettersi in
atteggiamenti di difesa e di chiusura.

La guida dovrà aiutare il progresso dell’aiutato nella sua conoscenza. Sarà possibile, successivamente
condurlo a svelare e ad assumere la parte della responsabilità che egli può avere nella sua situazione
attuale per stimolarlo, poi, a elaborare un nuovo progetto di vita più concorde ai nuovi valori che sta
scoprendo. E accompagnarlo nell’impegno assiduo del loro raggiungimento.
La guida sostiene lo studio minuzioso di sé del soggetto, perché la conoscenza del proprio passato è la
radice e la fonte della liberazione che illumina il presente. La durata di questo periodo di conoscenza
propria varia molto, poiché dipende dall’atteggiamento psichico e dalla libertà personale del principiante.
Se egli si trova nelle autentiche condizioni di apertura e di ricerca sincera della santità personale, allora il
lavoro diventa relativamente breve, facile e gratificante. Se invece egli fosse frenato da un certo contegno
difensivo, inconscio, prodotto forse da un sentimento di bassa stima di sé, insicurezza, di incomprensione,
verso se stesso e, quindi, paura per ciò che potrà apprendere nel proprio intimo, allora il lavoro andrà
avanti in maniera piuttosto lenta e indiretta. La guida deve motivare la persona a prendere coscienza della
origine delle proprie tendenze e di certi comportamenti con le loro conseguenze nei suoi comportamenti
attuali.

Un altro principio da tener presente: ciò che si conosce si può controllare, ciò che si ignora domina
dall’intimo. Le tendenze interne non possono ignorarle e reprimerle, perché rimangono molto attive e
inducono a reazioni corrispondenti. Il discepolo dovrà prestare attenzione a tutti i fattori naturali e
soprannaturali che influiscono e limitano l’evoluzione e la perseveranza del credente. E nello specifico
presterà attenzione: alla storia personale e alle inclinazioni acquisite; alla vita e alle disposizioni spirituali
verso l’orazione e le pratiche spirituali. Qui talvolta si sono richieste relazioni scritte.

Quando gli accompagnati avranno acquistato la capacità di esplorare liberamente se stessi, di dare un
nome ai loro sentimenti, pulsioni e reazioni, e di chiarire il contenuto e il significato delle proprie
esperienze, saranno pronti per lavorare sull’obiettivo successivo, che è quello di accettare la responsabilità
che hanno avuto negli eventi vissuti e nei condizionamenti accumulati.

Segue la necessità di far comprendere e assumere oggettivamente la parte di responsabilità che


corrisponde al guidato, tanto in rapporto agli eventi passati in se stessi quanto in relazione al cambiamento
che sente di dover operare, così come in rapporto alle mete future che deve proiettare. È riconoscere la
capacità nel diretto di prendere in mano la propria vita e orientarla, indipendentemente dal passato o
dall’ambiente che hanno respirato. Evidenziare le mancanze o gli errori dell’accompagnato può suscitare in
lui la sensazione che il direttore non lo stimi più come prima o che rimanga deluso del suo passato o
meravigliato di fronte a questa dimensione nuova che inizia ad emergere. Rimane il rischio che il guidato si
rifugi nei meccanismi di difesa in modo inconscio; il direttore non recrimini, perché avrà modo di
promuovere in lui la presa di coscienza di questo meccanismo e incoraggiarlo ad affrontare in prima
persona la responsabilità di quanto è avvenuto e lo sforzo che deve effettuare per superare la difficoltà in
cui si trova per dirigersi verso un atteggiamento nuovo. Per passare avanti, bisognerà che il diretto accetti e
riconosca come vero il senso e l’effetto che gli eventi passati hanno avuto nella genesi e nell’evoluzione del
suo modo di reagire e di comportarsi.

Quando l’aiutato ha individuato la portata reale della situazione personale e della sua responsabilità in
essa, scaturisce in lui il desiderio di liberarsi dall’influsso negativo precedente per poter cambiare il suo
modo di comportarsi. Si impegna con risoluzione nell’identificazione e nella personalizzazione della meta
nuova verso la quale sente di dover e di poter camminare.

A questo punto si passa alla fase operativa della nuova costruzione: definire gli obiettivi (specificare i
comportamenti concreti a cui mirare), elaborare un programma (tracciare la sequenza dei passi necessari
per raggiungere gli obiettivi), fissare le scadenze (attribuire un tempo preciso), individuare i rinforzi,
realizzare i passi (provare, esaminare, correggere).
Le motivazioni e l’esperienza del fervore iniziale perdono con il passare del tempo la loro chiarezza e il loro
dinamismo iniziale. L’accompagnatore ha una funzione ancora molto importante che svolge con il sostegno
del desiderio di identificarsi con Cristo. Per assicurare la perseveranza durante il periodo
dell’accompagnamento permanente è consigliabile l’elaborazione di un progetto di vita personale, concreto
e sottoposto alla supervisione della guida. Il guidato scrive ciò che percepisce come il progetti di Dio su di
lui. [segue la proposta di uno schema che è utile – p. 137].

Riguardo all’accompagnamento permanente c’è una classificazione tripartita in relazione ai cicli vitali: il
giovane adulto, l’adulto maturo, l’adulto anziano.

Giovane – adulto (20-45 anni): periodo delle grandi decisioni esistenziali. Si creano nuovi vincoli affettivi e si
entra nei nuovi circuiti di collaborazione. Si percepiscono i divari tra gli ideali giovanili e la realtà, con i rischi
di un rifiuto, di un isolamento, di attaccarsi a rapporti stereotipati. Le delusioni e gli scontri rischiano di
minare l’assiduità; il direttore mirerà a rafforzare l’impegno favorendo l’uscita dal proprio io e dal fondarsi
sulle proprie forze.

Crisi dell’età di mezzo: nell’età di mezzo si può sperimentare una crisi del senso della vita, quando si genera
una certa stanchezza provocata dall’urto con la dura realtà del lavoro o della convivenza. I temperamenti
più ambiziosi rischiano l’attivismo al punto che l’idolatria del lavoro diventa il centro esclusivo del loro agire
e paralizza la vita interiore. È l’epoca dei grandi assestamenti e della ricapitolazione definitiva dell’esistenza
secondo verità. L’accettazione della morte, progressiva o definitiva, sarà uno dei compiti urgenti per tutti
per il raggiungimento della serenità adulta. Occorre perseveranza. È il passaggio lento dal progetto
individuale all’accettazione piena del progetto divino.

Adulto – maturo (45-70 anni): appare il più sereno e gratificante dell’esistenza. È il tempo della revisione
dei progetti personali, da ri-orientare in Dio stesso in modo più interiorizzato.

Adulto – anziano (70 anni e oltre): completamento della propria vocazione, dove sono condotti al culmine
gli smacchi e le conquiste. Il direttore lo inciterà ad essere con pienezza figlio di Dio e servitore della chiesa.

9. Il discernimento spirituale

Uno dei compiti più impegnativi del direttore spirituale consiste nel discernere la volontà di Dio sul guidato
e la conformità delle sue motivazioni,dei suoi atteggiamenti e delle sue risposte. Egli deve esaminare e
riconoscere le diverse circostanze delle decisioni e dei comportamenti in questione: il discernimento degli
spiriti. Come è possibile riconoscere la volontà di Dio, se un credente è in rapporto con lui o si muove in
piena illusione? Quale criterio? Quali segni?

Radici bibliche. Appare nei vangeli in modo progressivo e è incentrato sulla persona e l’opera di Gesù: egli si
pone come segno di contraddizione. Quelli che incontrano Gesù sono obbligati a discernere la persona e
l’opera di lui e nel contempo avviene un discernimento in loro medesimi. La capacità di discernere è la
chiave della moralità evangelica. Paolo infatti ripete: «Sottoponete tutto a discernimento» (1Tess 5,21). Il
credente comprende che Dio ha un progetto su di lui che è di farlo partecipe della sua natura nel Figlio per
l’azione dello Spirito. Le lettere di paolo contengono in forma non sistematica un abbonante materiale
sull’argomento e presentano l’autore in atto di compierlo. Esso può essere attuato solo dagli spirituali e dai
perfetti che godono di una vera e vagliata esperienza spirituale. Discernere è un carisma ricevuto dall’alto,
ma lo si ottiene mediante la preghiera e il desiderio di raccogliere i suoi frutti. Rom 12,2: esige uno spirito
critico per non continuare a comportarsi da uomo vecchio, ma secondo le esigenze della creatura nuova,
con la mente rinnovata dalla luce del vangelo. Il cristiano è stato rinnovato dal dono dello Spirito per
possedere questa luce della sapienza e per adeguare il cuore alle ispirazioni nella libertà interiore , nella
purificazione della coscienza e nella disponibilità gratuita alle sue ispirazioni.

Dokimàzein designava la funzione di saggiare le monete d’oro e d’argento per provare se erano genuine e
autentiche. Significava pure l’esame a cui venivano sottoposti i magistrati e gli altri funzionari forensi per
verificare se possedevano o no le qualità necessarie alle cariche cui ambivano. Non è soltanto lo Spirito ch
agisce e parla nell’intimo dell’uomo. Vi sono molteplici pressioni provenienti anche dalla concupiscenza e
dal maligno; perciò può accadere che il discepolo, per errore, ritenga impulso divino in lui qualcosa che è
frutto di un’elaborazione soggettiva o di origine diabolica. La motivazione è una realtà complessa e
multiforme non facilmente percepibile nella sua radice. Il fatto di una motivazione multipla nella sua origine
e di un’interazione costante dei diversi livelli affettivi e intellettivi, naturali e soprannaturali, fanno di essa
una materia complessa e difficoltosa, ma allo stesso tempo necessaria e irrinunciabile. Il direttore deve
saper discernere qual è il progetto di Dio e quali siano i mezzi più adatti per realizzarlo. Il discernimento
allora è l’intima conoscenza dell’opera di Dio nel cuore degli uomini, dono dello Spirito e frutto di amore. È
un carisma per il servizio della Chiesa, che può essere passeggero o stabile o ordinario (frutto dello sviluppo
normale e graduale dell’amore): il direttore attraverso lunghi periodi di preghiera e di apertura costante
all’azione dello Spirito, mediante l’esercizio incessante del servizio ai fedeli e lo studio delle vie percorse dai
santi, acquista quella scienza di Dio che si manifesta in uno sviluppo straordinario della virtù della prudenza
e del dono del consiglio, che induce a sintonizzare con il Signore.

Con la parola spirito si indica l’energia o l’impulso, il desiderio o la motivazione che si risveglia nel diretto e
che lo sollecita ad agire e lo orienta a farlo in un determinato modo. Il discernimento mira a scoprire quale
spirito sia in azione nel credente: divino, umano, diabolico, e ciò accade sotto l’azione dello Spirito. Esso
deve essere frutto di una mentalità ispirata dalla luce della fede, che vede il senso del vivere e l’amore nel
vivere.

Accogliere la fede e seguire Cristo significa entrare in una dinamica permanente di discernimento spirituale.

Origine e forme degli spiriti. L’origine è molto varia; dall’interno come i bisogni non soddisfatti a suo tempo,
le pulsioni non controllate di tipo passionale, le attrattive verso il bene o verso il male, l’io e la brama della
sua realizzazione egocentrica. A volte sono inconsci e alterano il campo della libertà.

Le motivazioni esterne vengono a) dallo Spirito, che solitamente agisce in modo ordinario, non
appariscente, attraverso le virtù, i carismi e i doni, e in modo straordinario con grazie speciali e ispirazioni
particolari. b) dallo spirito umano, c) dallo spirito diabolico, che incita al male oltre la normalità umana. Il
diavolo non può agire direttamente su intelletto e volontà senza il consenso della persona, m li può
indirizzare indirettamente eccitando l’immaginazione e turbando l’attività dei sensi esterni. Talvolta utilizza
attività esterne e cose in se stesse buone, per iniziare la sua azione e allontanare i credenti dal gusto della
preghiera e da Dio. Rare volte usa la modalità straordinaria della possessione, ossessione, vessazione e
infestazione.

10. Criteri di discernimento

Lo Spirito di Dio è presente nel nostro spirito, ma agisce attraverso i suoi stessi meccanismi; lo spirito del
male tenta a sua volta di imitare questa azione per ingannare e distogliere il fedele dal cammino della
crescita spirituale. Non essendoci conoscenza diretta, la regola generale è la conoscenza indiretta tramite i
frutti. Altro principio generale: “il bene deve essere integrale, per il male basta qualunque difetto”. Siccome
si dà l’interazione dinamica dei vari livelli dell’essere e l’intima connessione degli abiti virtuosi, si richiede lo
sviluppo armonico di tutto l’organismo spirituale. È pur vero che in un’azione fondamentalmente ispirata da
Dio, non tutto ciò che l’accompagna è opera del Signore. Poi c’è il criterio della comunione ecclesiale con i
doni e i carismi.

Segni dello Spirito divino: uno degli indizi più sicuri è l’amore del prossimo; la conformità alla rivelazione e
alla dottrina e disciplina della chiesa; la sete di verità che si manifesta nella sincerità ed apertura con il
direttore spirituale; l’umiltà del cuore predispone alla docilità verso Dio e all’accoglienza dei consigli e degli
insegnamenti del direttore; lo spirito di trasparenza e di obbedienza a Dio, alle sue mediazioni e a tutto ciò
che viene comandato secondo la sua volontà, è una delle caratteristiche più evidenti dell’autenticità di una
persona distaccata da se stessa e centrata in Dio; misura ed equilibrio; il frutto della pace interiore, della
gioia e della libertà nella scelta eventualmente operata. Quando questi segni sono tutti presenti in un
soggetto, la guida può essere moralmente sicura di trovarsi di fronte a un credente che opera secondo lo
Spirito di Dio; se manca uno solo di questi criteri in modo abituale, ciò significa che il credente si comporta
secondo la carne.

Segni dello spirito umano: la persona soprattutto agli inizi è motivata dal suo mondo inconscio, dagli istinti,
dalla concupiscenza, dalle tendenze incontrollate, dai modi di pensare troppo individualistici, per cui ella ha
sempre se stessa come fine. La persona giudica e valuta le cose e gli avvenimenti secondo i propri interessi
e gusti personali, rimanendo attaccata i propri punti di vista: egocentrismo mentale. Poi l’egocentrismo
esistenziale: pretendere ad ogni costo di soddisfare i propri bisogni e interessi individuali, ricorrendo a
strategie per strappare permessi o rifugiandosi in isolamenti che sono difese; c’è anche la falsa umiltà che
nasconde un’angosciosa ricerca dei sé, ma che conduce allo scoraggiamento e perfino alla disperazione.
Nella mancanza di docilità la persona crede al proprio criterio e cerca un direttore spirituale che lo confermi
nelle sue convinzioni. Se poi c’è la necessità di comprensione, di stima esterna e di affetto umano, la
persona si rende soffocante nelle relazioni intersoggettive, e siccome cerca sempre di strappare qualcosa,
tutti si mettono in guardia e prendono le distanze. La funzione del direttore con gli egocentrici è ardua,
occorre un lavoro lungo e poco gratificante, cautela e sagacità per non lasciarsi coinvolgere dai loro
desideri, per demolire le loro illusioni e per compiere il proprio dovere con pazienza e fermezza.

Segni di spirito diabolico: colui che spinge costantemente alla cattiveria. Satana in ebraico significa
“avversario”, diavolo in greco “separatore”. Chi si lascia sedurre dal diavolo manifesta qualche segno dei
seguenti. Tendenza alla falsità: distorcere la verità e screditare le iniziative dello Spirito o far camminare
nella menzogna e nell’inganno. Dirige i suoi attacchi a creare confusione e scoraggiamento o a deviare
iniziative apostoliche. Inventa fatti inesistenti o nasconde quelli che possono sembrare sfavorevoli. Spirito
di orgoglio e di ribellione, di discordia. Il maligno lotta per rimuovere le persone dal loro centro spirituale;
suscita in coloro che consentono alle sue insinuazioni, agitazione, ansietà, depressione, travaglio
turbamento, disperazione, desolazione; essi si sentono in preda a sentimenti di gelosia, do odio e di
vendetta. Basta l’evidente presenza di uno solo dei criteri indicati per mettere in guardia il direttore. Per
esempio la negazione di una verità rivelata è un segno evidente di uno spirito cattivo. Occorre intervenire
presto perché il credente si liberi dagli influssi dello spirito cattivo.

Discernimento di fenomeni straordinari: sono di ordine psicofisiologico e conoscitivo. Il loro discernimento


si compie in modo generale secondo i criteri ordinari; ne esistono altri più particolareggiati. Il primo
atteggiamento è un certo distacco da essi, perché non sono necessari per mostrare la santità o la
perfezione di un fedele. Non ricorrere a spiegazioni preternaturali finché non siano escluse le spiegazioni
naturali. Osservare attentamente la condotta e le reazioni degli interessati per accertarsi che tali fenomeni
non abbiano cause di ordine caratteriologico o patologico. Nel giudizio teologico, non ci sono metodo
diretti, ma indiretti, quelli che rilevano la presenza di una sana vita teologale e di una condotta virtuosa
fedele ai doveri di stato. Conviene osservare l’andamento generale della persona, il suo equilibrio psichico e
la maturità umana; gli effetti del fenomeno, quando è buono, fanno uscire dall’egoismo, procedere in
umiltà e docilità, ricercano solo Dio anche attraverso il servizio dei fratelli. Se i fatti sono autentici, il
contenuto mira a motivare i credenti nella maturazione della fede al servizio del bene comune; debbono
perciò essere in perfetto accordo con la rivelazione e la dottrina della chiesa. Quanto alle circostanze,
qualunque sospetto è grave: contraddizioni, ricerca di fama, scarso senso di sottomissione alla chiesa. Il
direttore non deve manifestare troppo entusiasmo verso questi eventi straordinari; se essi provengono da
Dio produrranno infallibilmente il frutto. È bene cercare il consiglio di altre persone spirituali e specialisti
nella materia per effettuare con più sicurezza e libertà interiore il discernimento. I principali mezzi per
pervenire a un discernimento sono la preghiera, l’ascolto della Parola, lo studio dell’esperienza e
dell’insegnamento dei santi, la purezza di mente e cuore.

11. L’ ACCOMPAGNAMENTO NELLA SCELTA DELLO STATO DI VITA

Anche se la responsabilità della scelta di vita rimane del soggetto interessato, è pur vero che la guida
spirituale possiede grande rilievo sia nel favorire un discernimento chiaro dell’essere e dell’agire, sia nel
promuovere una donazione magnanima e incrollabile.

Ciascun credente è amato da Dio personalmente con una chiamata alla santità sfruttando i doni ricevuti
nella creazione e nel battesimo. La vocazione cristiana è quella di essere figli di Dio e crescere
costantemente fino alla piena maturità di Cristo. La voce divina non viene percepita distintamente dal
giovane, ma solo mediante segni interiori come pensieri fissi, attrattive interiori forti e incancellabili, che
vanno interpretati dalla coscienza personale con l’illuminazione del padre spirituale. L’accompagnamento
consiste nello sviluppare armonicamente le vocazioni lungo l’esistenza del giovane, affinché egli sia
disponibile all’ascolto, capace di scorgere il progetto di Dio sulla sua vita e abilitato per rispondere a essa
compiendo la sua missione nel mondo. La consapevolezza che la missione non inizia con la volontà
generosa del fedele, ma parte da un dono gratuito del Signore, immerge l’opera della guida in un clima di
fede e di docilità interiore allo Spirito.

La gioventù è più vicina all’esistenza adulta, alla quale si prepara per inserirsi attivamente. Ma non
partecipa pienamente della stabilità del periodo adulto e perciò diventa stagione inquieta e talvolta
burrascosa, dove abbondano le crisi morali e religiose, le conversioni e le prese di posizione. Il giovane
entra facilmente in una situazione conflittuale con la propria coscienza, con i genitori e con ogni tipo di
autorità. In un ambiente che sollecita alla libertà assoluta, a possedere e a godere senza limiti, egli può
sperimentare il vuoto esistenziale e il contrasto ideologico con il mondo circostante. Nel giovane i processi
di selezione e interiorizzazione dei valori incitano alla formazione di un organico progetto di sé; ciò si
compie attraverso la ricerca di significato delle cose, dell’esistenza e di un valore assoluto come fulcro del
sistema di valutazione dei sentimenti, dei desideri e dei valori, e come centro di unificazione del proprio
essere: è chiamato anche processo di assolutizzazione. L’esigenza di rapporti interpersonali autentici, il
bisogno di gruppo, che a volte sostituisce la famiglia, il dialogare e il comunicare sono sentiti dai giovani
come una delle urgenze prioritarie.

I giovani sentono la religione come un problema di vita. La fede è valorizzata in rapporto alla sua capacità di
rispondere alle loro profonde aspirazioni psicologiche, esistenziali e sociali. Rifiutano con spirito critico tutto
ciò che suona come imposizione. Desiderano che la religione soddisfi la loro esigenza fraterna mediante
una fede vissuta in comunione di credenze e di azione. Il loro spirito critico, le loro obiezioni religiose, la
loro diffidenza sistematica verso le istituzioni tradizionali sono una manifestazione del loro desiderio
inconscio di luce e della loro opportunità di crescere attraverso di esse in solidarietà e in impegno cristiano.
Nella scelta personale della vocazione l’accompagnatore conferma il candidato, a nome della Chiesa, circa
la certezza morale della presenza dei segni chiari della chiamata; i segni sono dati da un’intensa vita
spirituale, nutrita di orazione, di spirito di servizio, di ansia per identificarsi pienamente con Cristo e di far
conoscere la sua liberazione. L’accompagnatore dovrà animare, discernere e stimolare a maturare i segni
della vocazione, perché il giovane faccia responsabilmente la scelta.

Siccome i segni non sono statici e immutabili, all’inizio nel giovane saranno sufficienti gli indizi minimi di
sicurezza che poi, nelle fasi successive, diventeranno eventualmente più evidenti. Il sostegno spirituale del
direttore si orienta verso la maturazione globale del candidato nella sua personalità umana, cristiana e
vocazionale. Nella scelta dello stato di vita la persona deve avere l’occhio dell’intenzione solo al motivo per
cui è stato creato, cioè la lode di Dio, e alla salvezza dell’anima, come spiega Ignazio di Loyola. Occorre
tener conto del temperamento e del carattere del giovane, come pure delle sue capacità, delle sue
inclinazioni e delle sue possibilità soggettive. Se il candidato fa l’opzione in armonia con essa, progredisce
nella serenità e nella pace. Se devia dalla sua strada, ne consegue il turbamento interiore e, prima o poi,
scoppiano i conflitti che sfociano nell’insoddisfazione. La valutazione psicologica della personalità dei
candidati al sacerdozio e alla vita consacrata appare complessa e problematica a motivo della carenza di
parametri obiettivi e generalizzati di riferimento, soprattutto per ciò che riguarda ili giudizio sulla maturità
personale e sul rapporto di congruenza tra personalità, impegni da assumere e quadro di valori da
integrare. Non esiste, infatti, un profilo psicologico di una vocazione autentica, con tratti ben definiti né si
può diagnosticare con certezza il suo successo o insuccesso. Certi segni o criteri possono confermare la sua
presenza.

Le qualità indispensabili per una soddisfacente elezione sono: la retta intenzione, l’idoneità e la libertà, in
assenza di controindicazioni. Retta intenzione è la volontà chiara e decisa di consacrarsi interamente al
servizio del Signore. All’inizio raramente essa si manifesta in modo puramente soprannaturale, ma è
abbinata a tendenze naturali più o meno inconsce. Basta però che si manifesti chiaramente come
dominante e determinante. Ci sono segni: vivere abitualmente una rassicurante pace e serenità, capacità di
gustare gioie spirituali, superare i dubbi e le perplessità. La tristezza duratura e la tendenza all’isolamento
sono segni negativi riguardo alla vocazione. Ci possono essere motivazioni insufficienti, quando non si sono
raggiunte la piena libertà interiore o la retta intenzione dominante, oppure c’è una direzione egocentrica
dei desideri. Ci sono le motivazioni inconsce: la gratificazione vicaria o la fuga difensiva. C’è la motivazione
buona in sé, ma non adeguata per abbracciare lo stato di vita desiderato. Nei casi ambigui i soggetti si
mostrano molto sicuri di se stessi e non permettono che si dubiti dello loro autenticità. Se essi hanno
un’urgenza di coprire le loro carenze affettive o le loro compensazioni con ragioni mascherate, non sarà
facile rompere tale difesa che li protegge contro un nuovo fallimento personale. Il criterio più rivelatore
sarà l’origine indiretta della loro vocazione: essa è nata, quasi sempre, dalla fuga difensiva e dall’evasione
da situazioni insoddisfacenti. L’animatore vocazionale, se i diretti non si lasciano aiutare, dovrà decidere
con fermezza ed escluderli da questo cammino. Le motivazioni inconsce o insufficienti invece non sono per
se stesse delle controindicazioni, ma vallo illuminate e fatte regredire.

La mancanza delle attitudini indica l’illusorietà dei desideri degli aspiranti. Le principali attitudini sono: una
maturità psicofisica, affettiva, sociale e morale. Le controindicazioni assolute, come le lacune psichiche
gravi, e le relative, come disturbi psichici non gravi che non alterano la personalità né il comportamento e
sono percepiti dal soggetto. Poi ci sono le forme più o meno gravi di immaturità che incidono sulla
maturazione spirituale e vocazione. La ferita dei non stimati, che provoca insicurezza e instabilità con la
seguente voglia di ostentare le proprie capacità e fare bella figura; ciò rivela un’identità interiore debole
con un’inadeguata percezione di sé e una personalità fragile. La ferita dei non amati provoca immaturità
affettiva, con notevoli capacità ad accettare gli altri come sono o a lasciare i gruppi di provenienza e
collaborare con altri per il forte egocentrismo. La mancanza di maturità valoriale, dove i valori sono
scarsamente interiorizzati.

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