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Direzione Spirituale
C’è una certa sensazione nel nostro ambiente, che la DS sia molto
apprezzata e raccomandata, ma che di fatto noi ne parliamo e
discutiamo molto più di quanto non la mettiamo concretamente in
atto. È come se il parlarne ci rassicurasse sul nostro dovere al
riguardo mettendoci la coscienza a posto.
In realtà la DS è una ricca eredità che ci è trasmessa dalla
tradizione antica, e che oggi trova una forte conferma in quello che
raccomandano le scienze della formazione, o la psicologia stessa.
Ma direi che in modo particolare oggi, in questi tempi di emergenza
educativa, avvertiamo sempre più l’importanza e l’esigenza
dell’accompagnamento spirituale. La chiesa, in momenti come quelli
odierni di latitanza delle normali o classiche agenzie educative,
deve riscoprire con decisione la sua missione educativa se non vuol
anch’essa risultar latitante; è all’interno di questa logica che la DS
assume un rilievo tutto particolare.
Definizione
La direzione spirituale (DS) è quell’aiuto strumentale e temporaneo
che un fratello maggiore, nella fede e nel discepolato, dà a un
fratello minore che voglia diventare adulto nella fede, perché sappia
riconoscere la voce e i passi di Dio che lo chiama, e decida di
risponderGli in libertà e responsabilità, per lasciarsi da Lui formare.
È dunque come un viaggio mirato verso la maturità della fede, che
implica una compagnia o condivisione lungo un tratto di vita, non
per tutta la vita; dunque nessun patto per la vita né alcuna
proprietà di nessuno verso altri1.
Appartiene alla categoria dei mezzi o degli strumenti, anzi, delle
mediazioni; e chiede dunque al direttore spirituale (ds) di non
dimenticare in nessun momento d’esser “solo” mediatore, e di non
usurpare in alcun modo quella centralità che spetta a Dio, verso il
quale egli conduce il giovane. Così s.Giovanni della Croce: “lo
Spirito Santo, non il direttore spirituale, è l’agente e la guida
principale delle anime, delle quali non tralascia mai di prendersi
cura: lui invece (il direttore spirituale) non è agente ma solo
strumento per guidarle per mezzo della fede e della legge di Dio,
secondo lo spirito dato a ciascuno dal Signore. Perciò l’unica sua
1
Secondo un’altra definizione la DS è “il cammino e la comunicazione cui prendono parte
la persona che s’impegna per la santità (chiamata persona diretta), la persona che l’aiuta a
progredire nel cammino verso la santità (chiamata impropriamente direttore spirituale) e lo
Spirito Santo che effettivamente dirige, direttore e animatore per eccellenza” (E.Ancilli,
Direzione spirituale, in Dizionario enciclopedico di spiritualità, Roma 1990, p.793).
2
La guida
Ovviamente decisiva è la figura della guida. In certo senso
potremmo dire che qualsiasi prete è anche chiamato a esercitare la
DS, ma questo non significa alcun automatismo, né che non vi sia
bisogno d’una formazione specifica a esser ds. Notiamo bene,
parliamo di “esser direttori spirituali” (o “padri spirituali”), non
semplicemente di “fare DS”.
3.1- Convinzione
Ogni sacerdote deve sentirsi chiamato a svolgere questo ministero.
Per un semplice motivo, l’educazione, e tanto più la crescita nella
fede, è sempre un processo che riguarda la persona singola, e
dunque non può avvenire senza un coinvolgimento del singolo,
senza una sua provocazione su misura della sua persona, senza
portare a galla tutte quelle resistenze e paure, reticenze e ferite che
spesso bloccano un cammino credente, e che per natura loro
possono esser trattate solo in un ambito confidenziale e con quelle
caratteristiche tipiche dell’incontro individuale.
Se la DS, dunque, è via normale per la crescita nella fede, ogni
presbitero, maestro nella fede, deve non solo prevedere tale
cammino come offerta teoricamente fatta a tutti, ma soprattutto
esser lui che in qualche modo promuove questa possibilità e la
sensibilità corrispondente, fa nascere una domanda e un’esigenza,
si rende disponibile, investe pastoralmente su di essa, fa scelte
precise in tal senso (scelte di tempo, di priorità, di preparazione
personale, di obiettivi cui tendere…). Non possiamo continuare a
considerare la DS come un’eccezione, un privilegio per pochi, o uno
strumento in funzione esclusiva dell’orientamento vocazionale
(come quel prete che iniziò una DS con un giovane che mostrava
un certo interesse vocazionale, per piantarlo immediatamente non
appena quel giovane gli comunicò che aveva capito d’esser
4
3.2- Esperienza
Come abbiamo già accennato al “fratello maggiore” si chiede
fondamentalmente questo: che sappia riconoscere la voce del Dio-
che-chiama, i suoi passi, il suo stile, la sua assenza-presenza, il
lavoro della sua grazia nell’animo umano…, e la conosca per averne
fatto l’esperienza personale, come esperienza di accoglienza e di
risposta all’azione divina, aiutato anche lui a suo tempo da una
mediazione umana provvidenziale. Solo chi è stato “figlio spirituale”
può esser “padre spirituale”, e tanto meglio se continua ancora a
esser figlio (così come solo il prete penitente può autenticamente
esser prete confessore). In altre parole, solo chi ha imparato a
fidarsi dell’uomo (per giungere a Dio) può proporsi come fratello
affidabile per chi vuole imparare a fidarsi di Dio (e scoprirne la
presenza nella propria vita).
3.3- Sapienza
Ma non basta aver fatto una generica esperienza di Dio per fare DS,
occorre che la persona avverta, da un lato, il desiderio intenso di
condividere con altri questa stessa esperienza, soprattutto la
bellezza d’un cammino progressivo, con tutte le sue fatiche e
sorprese, e –dall’altro- occorre che l’individuo sia capace di “dire”
questa esperienza, di convertirla in metodo che possa esser
proposto ad altri, al tempo stesso adattandosi alla originalità del
cammino che il Signore fa in ogni anima. È questa la sapienza del
vero ds: la capacità di metter insieme la propria esperienza
spirituale con quella dell’altro, o di intuire, a partire dalla propria
avventura spirituale, quella che lo Spirito sta attuando nella
persona che di fronte.
Si stabilisce così un rapporto reciproco tra chi guida e chi è guidato:
l’esperienza-sapienza di base del primo diviene ricchezza per il
secondo, ma anche viceversa, l’esperienza originale di chi è guidato
arricchisce la sapienza della guida. Determinando, a un certo punto,
una vera e propria inversione di ruoli.
3.5- Preparazione
Inoltre, fa parte sempre di questa sapienza l’esigenza, avvertita
dalla guida, di raggiungere una certa competenza per compiere in
maniera efficace tale servizio. Ovviamente solo le persone umili,
profondamente vere, avvertono questa esigenza, e capiscono che
dirigere o accompagnare una vita significa avere tante attenzioni e
imparare un’arte che vuol dire anche studio, esercizio, confronto e
disponibilità a lasciarsi aiutare, ricorso a settori del sapere umano
che possono dare informazioni preziose, libertà di riconoscere i
propri errori. È una doppia sapienza quella dell’autentico ds: una
sapienza spirituale, anzitutto, tipica dell’uomo di Dio, e una
sapienza umana, di chi conosce l’animo umano e il modo di
scrutarlo, per coglierne non solo gli aspetti consci, ma pure quelli
inconsci, e che fa per questo un intelligente uso delle scienze
umane per scoprire la ricchezza e il mistero dell’io: “di questo
processo di scoperta (dell’io) e di crescita (nella libertà) le scienze
cosiddette umane sono l’umile serva”, afferma un maestro
riconosciuto dello spirito come A.Louf3.
Anche per questo motivo la DS suppone una certa maturità anche
anagrafica da parte della guida, o per lo meno non è cosa da
improvvisare troppo presto. Per cui è da osservare con un certo
sospetto il fenomeno di preti giovani, giovanissimi, o addirittura
ancora seminaristi negli ultimi anni prima dell’ordinazione, che
s’improvvisano, seriosi e sapienti, padri spirituali di mezzo mondo,
tanto più se hanno fatto qualche veloce corso di counseling, ma
3
A.Louf, Generati dallo Spirito, Bose-Magnano 1994, p.47.
7
Obiettivo
La definizione che abbiamo dato di DS ne indica già l’obiettivo:
riconoscere la voce di Dio e decidere di rispondergli in libertà e
responsabilità per lasciarsi da lui formare. Ma potremmo forse
specificare ulteriormente.
Itinerario
Solo qualche indicazione metodologica.
Che ruota attorno ai due momenti classici d’ogni pedagogia di
crescita: l’educazione e la formazione, come concetti distinti.
colui che sta guidando possa non esser subito capace di vivere un
rapporto oggettivo e libero con la realtà, con i valori, con il vangelo
che medita, con la teologia –eventualmente- che studia, con i
contenuti che gli vengono proposti…, sentendo una corrispondente
repulsione per ciò che è male e attrazione per ciò che è bene.
È, in fondo, il problema della sensibilità, ovvero d’una sensibilità
che va costruita e plasmata, cioè educata e formata, perché poi la
formazione del credente è proprio formazione dei sentimenti,
perché siano quelli di Cristo. È da questa sensibilità che deriva poi
un corrispondente modo di vedere, sentire, gustare, apprezzare…
che poi saranno decisivi per apprendere e vivere quella docibilitas di
cui abbiamo detto. Ora, è chiaro che ogni giovane cristiano o
aspirante tale vive già con la sua sensibilità (o orientamento
emotivo) che s’è già formata nel corso degli anni, che costituisce
normalmente come una premessa mai messa in discussione, ma
che in realtà diventa responsabile dello stile percettivo-
interpretativo del soggetto stesso, come il filtro attraverso cui passa
tutto il materiale che gli è proposto, dalle prediche del Parroco alle
raccomandazioni degli adulti, dall’esperienza che fa in parrocchia
alle relazioni interpersonali qualsiasi. Filtro che inevitabilmente ha e
determina le sue proprie precomprensioni che si sono solidificate
nel corso degli anni e che possono a volte determinare raccolta di
dati selettiva, percezioni superficiali e a volte distorte della realtà,
sguardo che si ferma al visibile e non attinge il mistero, rifiuto di
elementi particolari del reale, incapacità di cogliere la domanda che
sale dalla realtà nei confronti del soggetto e di lasciarsene metter in
crisi, interpretazioni errate o parziali…, e altri atteggiamenti che
svelerebbero una profonda indocibilitas da parte di chi
dovrebb’esser in un cammino d’importante discernimento sulla sua
vita.
Definizione........................................................................... 1
Tipo di relazione e comunicazione........................................2
La guida............................................................................... 3
3.1- Convinzione...............................................................3
3.2- Esperienza.................................................................4
3.3- Sapienza.................................................................... 4
3.4- Inversione dei ruoli (o la guida che ha imparato a
lasciarsi guidare)..............................................................5
3.5- Preparazione..............................................................6
Obiettivo.............................................................................. 7
4.1- Dalla docilitas alla docibilitas.....................................7
4.2- Dallo straordinario all’ordinario..................................8
Itinerario............................................................................. 9
5.1- Educare alla docibilitas...............................................9
5.2- Formare alla docibilitas............................................10
Pieno coinvolgimento attivo e responsabile della
persona, prima protagonista del processo educativo. . . .11
Atteggiamento fondamentalmente positivo nei confronti
della realtà: di riconciliazione e gratitudine verso la propria
storia e di fiducia verso il futuro......................................11
Libertà interiore e desiderio di lasciarsi istruire da
qualsiasi frammento di verità e bellezza attorno a sé,
godendo di ciò che è vero e bello.....................................12
Capacità di relazione con l’alterità, di interazione feconda,
attiva e passiva, con la realtà oggettiva, altra e diversa
rispetto all’io, fino a lasciarsene formare.........................12
Tipologia della guida
possiamo fare queste distinzioni circa la figura dell’accompagnatore,
come le propone Louf in senso progressivo4.
Dialogo di accompagnamento
È il caso più frequente. Si stabilisce a poco a poco un’intimità con
una persona del proprio ambiente di cui si apprezzano certe qualità
(il confessore, un confratello, un anziano di comunità, un amico
buono e saggio…). La frequenza degli scambi varia a seconda
dell’età e del bisogno. Si tratta d’una relazione fraterna e
amichevole, su un piano di parità, libertà e spontaneità. Può
divenire un rapporto profondo, significativo e fruttuoso, ma
normalmente non è né duraturo né unico.
Pedagogia spirituale
Caso più specifico, poiché suppone una figura istituzionale di
educatore o formatore in una situazione altrettanto istituzionale
come può essere il cammino di formazione vera e propria o una
esperienza straordinaria come un mese ignaziano, o una situazione
particolare di vita in cui il soggetto chiede di esser aiutato, ad es.
per fare un discernimento o superare una certa difficoltà o crisi, o
per attraversare una certa fase dell’esistenza. Occupa un periodo
ben delimitato.
La guida dovrà essere una persona preparata esplicitamente per
queste servizio. Il rapporto stabilito con questa persona sarà in
genere unico, e il suo intervento avrà la priorità su quello di altri
confidenti. Sarà come la relazione stabilita tra maestro e discepolo.
Paternità spirituale
È dono e carisma relativamente raro. Al “Padre spirituale” tale
carisma non viene dalla sua abilità o esperienza e nemmeno dal
ruolo che eventualmente esercita (di formatore); gli viene da Dio
come un dono imprevedibile e come rivelazione della sua stessa
paternità. È dono che non va mai presupposto né presunto. Ma
conferisce un’autorità grande, spirituale, che si accetta nella libertà
dell’amore.
È per natura sua relazione unica ed esclusiva; quando il padre
scomparirà all’orizzonte non si dovrà andare a cercarne un altro.
Né questo tipo di padre va cercato a ogni costo. La paternità di Dio
si verifica e dimostra in mille modi in ogni esistenza, ma non
necessariamente in questa forma. Né, tanto meno, ci si deve
4
Cf A.Louf, Generati dallo Spirito, Magnano 1994, pp.54-59.
credere personalmente investiti di questo carisma nei confronti di
qualcuno.
Un vero accompagnamento può d’altronde esercitarsi in tante altre
forme, e nulla vieta di pensare che qualcosa di questo carisma
eccezionale sia oscuramente presente in ogni relazione tra credenti.
Tutti forse siamo chiamati a essere un po’ madre e padre d’una
moltitudine di fratelli.
Per un presbitero o un consacrato è importante che vi sia una
qualche forma di accompagnamento tra queste indicate. Da evitare
in ogni caso è la pretesa di fare da soli o la presunzione di non aver
bisogno d’alcuno.
4.2- Funzione della guida
Il padre spirituale aiuta a scoprire “l’uomo nascosto nel cuore”. La
paternità spirituale costituisce, infatti, uno spazio di relazione
personalissima ed ecclesiale: Riafferma l’essenzialità della fede
come vita in Cristo, come esperienza dello Spirito, come cammino
di fede nella relazione sacramentale.
La paternità spirituale è necessaria per fuggire il soggettivismo, il
rischio del fai-da-te, dell’illusione che coglie chi pretende di guidarsi
da se stesso.
La paternità spirituale è a servizio del processo di crescita verso lo
stato di “uomo maturo, nella misura che conviene alla piena
maturità di Cristo” (Ef 4,13). Ed è necessaria perché rende
oggettivo il cammino spirituale d’una persona portandola
all’adesione alla realtà, soprattutto al riconoscimento dei propri
limiti, delle proprie negatività, e dunque al superamento delle
inibizioni profonde, delle censure radicate, dei doveri e degli
interdetti introiettati che impediscono un cammino umano spirituale
nella libertà e nell’amore.
In particolare la paternità spirituale può condurre all’esperienza
della misericordia di Dio, cioè a conoscere il volto del Padre
Il padre aiuta il figlio ad ascoltare la parola di Dio che non è lontana
né esterna a lui, ma nel suo cuore (Dt 30,14), a discernere lo
Spirito che lo abita, a far emergere la vita di Dio che è in lui.
Il padre spirituale non deve né insegnare, né vietare, né giudicare,
né pianificare, ma solo acconsentire a questa vita, a lasciare che la
vita di Dio faccia il suo corso in un altro.
Il padre spirituale aiuta a scoprire l’io più profondo, la nostra verità,
il luogo profondo di noi stessi in cui i nostri gemiti s’uniscono a
quelli dello Spirito in noi.
La paternità spirituale è aiuto al descensus ad cor, ove l’uomo
ascolta la parola di Dio e dove nasce la fede 5