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Direzione Spirituale

C’è una certa sensazione nel nostro ambiente, che la DS sia molto
apprezzata e raccomandata, ma che di fatto noi ne parliamo e
discutiamo molto più di quanto non la mettiamo concretamente in
atto. È come se il parlarne ci rassicurasse sul nostro dovere al
riguardo mettendoci la coscienza a posto.
In realtà la DS è una ricca eredità che ci è trasmessa dalla
tradizione antica, e che oggi trova una forte conferma in quello che
raccomandano le scienze della formazione, o la psicologia stessa.
Ma direi che in modo particolare oggi, in questi tempi di emergenza
educativa, avvertiamo sempre più l’importanza e l’esigenza
dell’accompagnamento spirituale. La chiesa, in momenti come quelli
odierni di latitanza delle normali o classiche agenzie educative,
deve riscoprire con decisione la sua missione educativa se non vuol
anch’essa risultar latitante; è all’interno di questa logica che la DS
assume un rilievo tutto particolare.

Definizione
La direzione spirituale (DS) è quell’aiuto strumentale e temporaneo
che un fratello maggiore, nella fede e nel discepolato, dà a un
fratello minore che voglia diventare adulto nella fede, perché sappia
riconoscere la voce e i passi di Dio che lo chiama, e decida di
risponderGli in libertà e responsabilità, per lasciarsi da Lui formare.
È dunque come un viaggio mirato verso la maturità della fede, che
implica una compagnia o condivisione lungo un tratto di vita, non
per tutta la vita; dunque nessun patto per la vita né alcuna
proprietà di nessuno verso altri1.
Appartiene alla categoria dei mezzi o degli strumenti, anzi, delle
mediazioni; e chiede dunque al direttore spirituale (ds) di non
dimenticare in nessun momento d’esser “solo” mediatore, e di non
usurpare in alcun modo quella centralità che spetta a Dio, verso il
quale egli conduce il giovane. Così s.Giovanni della Croce: “lo
Spirito Santo, non il direttore spirituale, è l’agente e la guida
principale delle anime, delle quali non tralascia mai di prendersi
cura: lui invece (il direttore spirituale) non è agente ma solo
strumento per guidarle per mezzo della fede e della legge di Dio,
secondo lo spirito dato a ciascuno dal Signore. Perciò l’unica sua
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Secondo un’altra definizione la DS è “il cammino e la comunicazione cui prendono parte
la persona che s’impegna per la santità (chiamata persona diretta), la persona che l’aiuta a
progredire nel cammino verso la santità (chiamata impropriamente direttore spirituale) e lo
Spirito Santo che effettivamente dirige, direttore e animatore per eccellenza” (E.Ancilli,
Direzione spirituale, in Dizionario enciclopedico di spiritualità, Roma 1990, p.793).
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preoccupazione non dev’essere quella di renderle conformi al suo


punto di vista e alla sua natura, ma si deve preoccupare di sapere
per quale via il Signore le conduce, se non lo sa, le lasci stare senza
disturbarle”2.
Più in particolare la DS mira esattamente a rendere adulto il
credente, capace di riconoscere quel che Dio gli sta donando e
chiedendo, per lasciarsene formare, per tutta la vita. Dunque tende
a render la persona autonoma, indipendente, capace poi da sola di
scoprire l’azione di Dio sulla propria esistenza. Perché è il Padre-Dio
il formatore, colui che m’accompagna e guida.

Tipo di relazione e comunicazione


La relazione che si stabilisce nella DS non è di tipo didattico o come
quella che si crea con l’esperto, non è neanche di tipo simmetrico
come quella che nasce con l’amico al quale si racconta
semplicemente la propria storia, né è la relazione del devoto che va
dal santo o dal guru; e il ds o accompagnatore, al di là di come lo si
voglia chiamare, non è colui che dà una direzione alla vita d’un
altro, e neppure solo colui che accompagna…
Eppure, se la relazione della DS non va identificata con nessuna di
queste relazioni, al tempo stesso prende qualcosa da ognuna
d’esse: è una relazione non paritaria, è asimmetrica, per quanto
questo possa non piacere ai cultori dell’educazione non direttiva,
poiché c’è uno che ha il compito di guidare e l’altro che invece è
guidato, dunque è relazione che adotta un po’ il registro didattico,
ma guai se la guida non ha imparato a imparare da colui che sta
guidando, o –più precisamente- da ciò che il Signore sta facendo in
lui o dal Signore stesso che gli parla (a lui, guida) attraverso quel
che fa in colui che è guidato.
Ma al tempo stesso la guida dev’esser pure un esperto, nel senso
letterale, ovvero dev’esser uno che ha fatto una certa esperienza
spirituale, deve conoscere la strada e lo stile, la voce e i passi
dell’Eterno chiamante. Così pure è anche una relazione umana,
fatta di comprensione e pure d’un certo calore umano, e implica
anche il coraggio della condivisione del pane-del-cammino. È il
registro del prendersi cura dell’altro. E del suo cammino di crescita.
Un compito che è tipico del presbitero “in cura d’anime”, proprio
come si suol dire.
Vediamo come intendere e metter in pratica tale compito,
concentrando la nostra attenzione sul presbitero stesso, per
2
Giovanni della Croce, Fiamma d’amore, III, 46, in Opere, Postulazione generale
Carmelitani Scalzi, Roma 1963.
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identificare le premesse o condizioni interiori indispensabili per


questo ministero, la precisazione dell’obiettivo cui mira, e la
modalità o alcuni elementi pratici che possano aiutarci a definirne la
modalità d’esecuzione.
Partiamo comunque da una premessa: la DS non è solo prassi
educativo-formativa garantita da una competenza tecnica acquisita
dal soggetto, ma è espressione immediata del livello di maturità
generale del presbitero, psicologica e spirituale, e assieme luogo di
formazione del presbitero stesso, di formazione permanente.

La guida
Ovviamente decisiva è la figura della guida. In certo senso
potremmo dire che qualsiasi prete è anche chiamato a esercitare la
DS, ma questo non significa alcun automatismo, né che non vi sia
bisogno d’una formazione specifica a esser ds. Notiamo bene,
parliamo di “esser direttori spirituali” (o “padri spirituali”), non
semplicemente di “fare DS”.

3.1- Convinzione
Ogni sacerdote deve sentirsi chiamato a svolgere questo ministero.
Per un semplice motivo, l’educazione, e tanto più la crescita nella
fede, è sempre un processo che riguarda la persona singola, e
dunque non può avvenire senza un coinvolgimento del singolo,
senza una sua provocazione su misura della sua persona, senza
portare a galla tutte quelle resistenze e paure, reticenze e ferite che
spesso bloccano un cammino credente, e che per natura loro
possono esser trattate solo in un ambito confidenziale e con quelle
caratteristiche tipiche dell’incontro individuale.
Se la DS, dunque, è via normale per la crescita nella fede, ogni
presbitero, maestro nella fede, deve non solo prevedere tale
cammino come offerta teoricamente fatta a tutti, ma soprattutto
esser lui che in qualche modo promuove questa possibilità e la
sensibilità corrispondente, fa nascere una domanda e un’esigenza,
si rende disponibile, investe pastoralmente su di essa, fa scelte
precise in tal senso (scelte di tempo, di priorità, di preparazione
personale, di obiettivi cui tendere…). Non possiamo continuare a
considerare la DS come un’eccezione, un privilegio per pochi, o uno
strumento in funzione esclusiva dell’orientamento vocazionale
(come quel prete che iniziò una DS con un giovane che mostrava
un certo interesse vocazionale, per piantarlo immediatamente non
appena quel giovane gli comunicò che aveva capito d’esser
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chiamato alla vita coniugale). Come esiste la pastorale vocazionale


mercantile, così esiste la DS mercantile.
La sensazione è comunque che vi sia una povertà di offerta o di
proposta di DS nella nostra pastorale, compresa quella giovanile.

3.2- Esperienza
Come abbiamo già accennato al “fratello maggiore” si chiede
fondamentalmente questo: che sappia riconoscere la voce del Dio-
che-chiama, i suoi passi, il suo stile, la sua assenza-presenza, il
lavoro della sua grazia nell’animo umano…, e la conosca per averne
fatto l’esperienza personale, come esperienza di accoglienza e di
risposta all’azione divina, aiutato anche lui a suo tempo da una
mediazione umana provvidenziale. Solo chi è stato “figlio spirituale”
può esser “padre spirituale”, e tanto meglio se continua ancora a
esser figlio (così come solo il prete penitente può autenticamente
esser prete confessore). In altre parole, solo chi ha imparato a
fidarsi dell’uomo (per giungere a Dio) può proporsi come fratello
affidabile per chi vuole imparare a fidarsi di Dio (e scoprirne la
presenza nella propria vita).

3.3- Sapienza
Ma non basta aver fatto una generica esperienza di Dio per fare DS,
occorre che la persona avverta, da un lato, il desiderio intenso di
condividere con altri questa stessa esperienza, soprattutto la
bellezza d’un cammino progressivo, con tutte le sue fatiche e
sorprese, e –dall’altro- occorre che l’individuo sia capace di “dire”
questa esperienza, di convertirla in metodo che possa esser
proposto ad altri, al tempo stesso adattandosi alla originalità del
cammino che il Signore fa in ogni anima. È questa la sapienza del
vero ds: la capacità di metter insieme la propria esperienza
spirituale con quella dell’altro, o di intuire, a partire dalla propria
avventura spirituale, quella che lo Spirito sta attuando nella
persona che di fronte.
Si stabilisce così un rapporto reciproco tra chi guida e chi è guidato:
l’esperienza-sapienza di base del primo diviene ricchezza per il
secondo, ma anche viceversa, l’esperienza originale di chi è guidato
arricchisce la sapienza della guida. Determinando, a un certo punto,
una vera e propria inversione di ruoli.

3.4- Inversione dei ruoli (o la guida che ha imparato a lasciarsi guidare)


È un incontro, dunque, fecondo per lo stesso ds, che viene come
arricchito da una realtà nuova, come se la strada o avventura
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spirituale dell’altro adesso divenisse anche la sua, o incrociasse la


sua, in qualche modo aprendogli nuovi spazi per la sua personale
relazione col divino. Ecco perché un’esperienza di DS è anche
momento di formazione permanente, ma naturalmente a condizione
che la guida abbia imparato una certa disponibilità interiore ad
apprendere, abbia imparato a imparare dalla vita e dagli altri. È la
famosa docibilitas, che è come una versione moderna e aggiornata
della sapienza biblica, del dono della sapienza.
Ed ecco anche perché, in negativo, più di qualche presbitero non si
sente così portato a offrire DS, perché probabilmente non ha
sufficientemente sviluppato in sé un atteggiamento docibilis. Mi
viene in mente la storia di don Carlo, bravo giovane prete, curato
con un certo successo in una grossa parrocchia, stimato e
benvoluto dalla gente, che il vescovo a un certo punto trasferisce in
un’altra parrocchia. A Don Carlo la cosa non va proprio, d’altro
canto –stimato com’è dal vescovo- non gli va nemmeno di opporgli
una indisponibilità rischiando di perdere la di lui considerazione, e
allora fa di tutto, in modo per altro molto sottile e indiretto, perché
sia la sua gente a perorare la sua causa, con delegazioni a non
finire da Sua Eccellenza e pressioni varie. Alla fine ottiene quel che
voleva, e resta tra la sua gente, che lo gratifica in molti modi senza
correre il rischio d’un ambiente nuovo. È riuscito a pilotare
abilmente la situazione e riprende il suo lavoro. Bravo prete com’è,
almeno per quanto risulta all’esterno, ha anche un certo successo
come consigliere e ds. Tra le tante “anime” che dirige c’è anche un
giovane, Giorgio, che da tempo sta pensando di consacrarsi al
Signore, ma come tanti bravi giovani oggi non si decide mai. Don
Carlo cerca di provocarlo in tutti i modi, gli fa vedere tutte le
resistenze che scattano in lui, le paure e i pregiudizi vocazionali, e
d’altro canto gli mostra pure i tanti segni evidenti di chiamata
presenti in lui. E lo provoca: ha solo bisogno di fidarsi, di
abbandonarsi al progetto che Dio ha su di lui, e poi deve anche
fidarsi del padre spirituale e credere nella sua autorità; non può
pensare di gestire la sua vita secondo i suoi propri calcoli e timori.
Non deve aver paura del futuro con la sua parte di inedito e
incognito. Non può…
Giorgio sembra molto duro e cerca d’opporsi in tutti i modi, ma a
un certo punto succede l’insperato e s’arrende, meravigliando molto
anche il nostro don. Ma la cosa che più lo sorprende è la serenità
esibita da Giorgio a partire proprio da quel momento: s’è fidato di
Dio e s’è abbandonato a un progetto che prima gl’incuteva paura e
in cambio ne ha una pace e gioia che… mettono in crisi proprio don
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Carlo. Il quale non può fare a meno di sentirsi interpellato da quel


Dio che sta scoprendo nella vicenda di Giorgio: non solo è edificato
dal suo coraggio (e anche un po’ svergognato), ma è come si
trovasse inaspettatamente inserito e quasi scaraventato in quella
vicenda, braccato e intercettato da quello stesso Dio che ora sta
riempiendo la vita di Giorgio di serenità e gaudio dello spirito, e
inevitabilmente confrontato con la sua personale vicenda (quella del
trasferimento rifiutato), conclusasi in modo esattamente opposto. E
ne prova salutare confusione: Giorgio gli ha fatto da ds! O, meglio,
quel che il Padre-Dio ha fatto nella vita di Giorgio è diventato
esperienza e sapienza per don Carlo, momento estremamente
significativo per la sua FP. O, in termini ancor più espliciti, il Dio che
Giorgio ha a un certo punto incontrato ora “chiama” don Carlo, lo
rimprovera forse, gli rivolge una parola nuova, gli propone un passo
importante per il suo cammino di formazione permanente!

3.5- Preparazione
Inoltre, fa parte sempre di questa sapienza l’esigenza, avvertita
dalla guida, di raggiungere una certa competenza per compiere in
maniera efficace tale servizio. Ovviamente solo le persone umili,
profondamente vere, avvertono questa esigenza, e capiscono che
dirigere o accompagnare una vita significa avere tante attenzioni e
imparare un’arte che vuol dire anche studio, esercizio, confronto e
disponibilità a lasciarsi aiutare, ricorso a settori del sapere umano
che possono dare informazioni preziose, libertà di riconoscere i
propri errori. È una doppia sapienza quella dell’autentico ds: una
sapienza spirituale, anzitutto, tipica dell’uomo di Dio, e una
sapienza umana, di chi conosce l’animo umano e il modo di
scrutarlo, per coglierne non solo gli aspetti consci, ma pure quelli
inconsci, e che fa per questo un intelligente uso delle scienze
umane per scoprire la ricchezza e il mistero dell’io: “di questo
processo di scoperta (dell’io) e di crescita (nella libertà) le scienze
cosiddette umane sono l’umile serva”, afferma un maestro
riconosciuto dello spirito come A.Louf3.
Anche per questo motivo la DS suppone una certa maturità anche
anagrafica da parte della guida, o per lo meno non è cosa da
improvvisare troppo presto. Per cui è da osservare con un certo
sospetto il fenomeno di preti giovani, giovanissimi, o addirittura
ancora seminaristi negli ultimi anni prima dell’ordinazione, che
s’improvvisano, seriosi e sapienti, padri spirituali di mezzo mondo,
tanto più se hanno fatto qualche veloce corso di counseling, ma
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A.Louf, Generati dallo Spirito, Bose-Magnano 1994, p.47.
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senza aver vissuto una normale fase esperienziale e sapienziale, da


questo punto di vista. E finiscono per consumare tutto il loro tempo
in interminabili colloqui, a volte legando le persone a sé e
stabilendo rapporti di dipendenza reciproca, che –prima o poi-
imploderanno su se stessi. E allora andranno ( e faranno andare) in
crisi.

Obiettivo
La definizione che abbiamo dato di DS ne indica già l’obiettivo:
riconoscere la voce di Dio e decidere di rispondergli in libertà e
responsabilità per lasciarsi da lui formare. Ma potremmo forse
specificare ulteriormente.

4.1- Dalla docilitas alla docibilitas


L’accompagnamento mira, abbiamo detto, a render la persona
adulta nella fede, proprio per questo abbraccia solo una fase della
vita, lungo la quale il credente impara qualcosa che dovrebbe poi
saper metter in atto da solo. Egli dovrebbe imparare a imparare
dalla vita per tutta la vita, ovvero a entrare come in un’ottica di
formazione permanente, per davvero vivere la vita da credente, in
ultima analisi, da cercatore di Dio che in ogni momento e fase
esistenziale, nella buona e nella cattiva sorte, in ogni persona
accanto a sé, buona o meno buona, santa o peccatrice… cerca Dio,
quel Dio misterioso che abita ogni istante del suo vivere umano. La
DS insegna la docibilitas, in definitiva, forma questo atteggiamento
intelligente e intraprendente dell’anima e del cuore, della mente e
dei sensi…, di tutto l’uomo, sempre proteso a scoprire Dio lungo i
suoi giorni. Al punto da lasciarsi educare e formare dalla vita, dalle
situazioni e circostanze, più o meno gradite, dagli altri, soprattutto,
perché se la formazione della creatura è in mano al Creatore, allora
ogni evento di vita e ogni persona possono diventare mediazione
preziosa, ancorché misteriosa, di quest’azione formativa divina.
Ebbene, la DS dovrebbe mirare esplicitamente a questo: metter il
credente in condizione di riconoscere nella vita d’ogni giorno come
nelle persone che gli stanno accanto, che lui non ha scelto e da cui
non è stato scelto, la presenza dell’Eterno che vuole plasmare in lui
il cuore del Figlio.
Dunque non è più sufficiente quel che forse una certa tradizione
spirituale ha sempre raccomandato, cioè di formare persone docili,
guidare credenti docili…; è troppo poco oggi (oltre a esporsi al
rischio di creare persone passive, poco intraprendenti e dipendenze
varie), occorre promuovere l’intraprendenza e intelligenza della
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docibilitas. Chiaro che questo diventa un obiettivo raggiungibile


nella misura in cui lo stesso ds ha imparato a esser docibilis, e vive
già questa relazione di guida con questo atteggiamento, lasciandosi
in qualche modo formare lui per primo da quello che Dio sta
facendo nella vita dell’altro, come il nostro don Carlo ha scoperto di
non saper fare…

4.2- Dallo straordinario all’ordinario


Può sembrare un aspetto un po’ paradossale della DS, poiché chi la
chiede normalmente fa del padre spirituale il punto di riferimento
dei suoi discernimenti, ed è giusto che sia così, ma una buona ds
non si conclude con la… rivelazione di Dio e della sua volontà fatta
dalla guida (alla fine il profeta ha parlato…), ma con la conversione,
in qualche modo, della pretesa, per cui chi è guidato non si aspetta
più esclusivamente dall’uomo di Dio lo svelamento del mistero, ma
impara a cercare il mistero in ogni frangente della vita, in ogni
persona, in ogni età, in ogni imprevisto…
Quando la guida è riuscita a trasmettere questa sensibilità interiore
ha pienamente fatto il suo compito, perché da quel momento il
giovane credente è diventato adulto, adulto nella fede, dunque
anche responsabile del suo proprio cammino credente e della sua
formazione, ma libero di cercare ovunque le tracce del passaggio di
Dio, anche nei suoi divini silenzi e assenze, come nei propri umani
fallimenti e delusioni, come nei limiti delle persone che gli stano
accanto.
In realtà avverrebbe qui il passaggio dalla formazione permanente
straordinaria a quella ordinaria, che è la vera formazione
permanente (FP). Spieghiamoci. La DS appartiene alla concezione
straordinaria della vita intesa come FP, ovvero è uno strumento
d’essa, dal punto di vista della relazione umana che fa da
mediazione dell’azione formativa del Padre, nel senso che la guida è
scelta dal soggetto e costituisce un rapporto privilegiato. Mentre
nella concezione ordinaria della FP, la relazione umana che fa da
mediazione sempre dell’azione formativa del Padre, è la relazione
qualsiasi, con qualsivoglia persona che la vita in qualche modo mi
mette accanto o davanti. Quella persona e quell’incontro imprevisto
rappresentano la via che in questo momento il Padre sta facendo
per giungere a me o per farmi giungere i suoi doni, o magari le sue
richieste o il suo richiamo; sono mediazione formativa, ancorché
misteriosa, di cui il Padre si serve per formare in me i sentimenti
del Figlio e dalla quale mi lascio provocare, metter in crisi,
purificare… Quando uno entra in questa sensibilità interiore è
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diventato adulto, non ha più bisogno d’esser guidato. Ha appreso a


esser docibilis. A lasciarsi formare dalla vita per tutta la vita. La sua
esistenza, nel ritmo ordinario dei suoi giorni, è diventata luogo di
FP.
Ecco il vero obiettivo della DS. Destino paradossale, ma tipico di
tutte le mediazioni: quello di… rendersi inutile a un certo punto.
Quando la guida ha aiutato il giovane a entrare in questa
disponibilità intelligente, si può far da parte. La sua missione è
compiuta. E, naturalmente, lo ripetiamo, tanto più diventa possibile
questo risultato quanto più la guida stessa vive la sua propria
docibilitas personale, anche nel momento in cui fa la guida, e
apparentemente ha solo da insegnare a un altro.

Itinerario
Solo qualche indicazione metodologica.
Che ruota attorno ai due momenti classici d’ogni pedagogia di
crescita: l’educazione e la formazione, come concetti distinti.

5.1- Educare alla docibilitas


Il primo passo o attenzione in una DS è la conoscenza
dell’individuo, della sua verità interiore (a volte non subito visibile
nella sua totalità). Si tratta, cioè, di educere veritatem, di tirar fuori
la verità del soggetto, e questa è operazione che deve precedere
assolutamente il momento tipicamente formativo o accompagnarlo
costantemente. Che non è, purtroppo, quel che succede di solito nei
nostri modi di praticare la DS. C’è come un salto immediato nel
momento formativo, che rischia una sorta d’ipertrofia, quello in cui
probabilmente ci sentiamo più competenti (i soliti preti “dottori”) e
ove si propongono contenuti e ideali, sublimi di solito, dando per
scontato che la persona sia in grado di recepirli nella loro bellezza-
verità-bontà e sublimità per farli propri. Ora questo non è per nulla
scontato: uno per scoprire verità-bellezza-bontà deve avere sensi
esterni e interni sufficientemente liberi, cioè capaci davvero di
cogliere la realtà nel suo significato autentico, anche la realtà ideale
e credente (quella cui sarà poi connessa la propria vocazione), per
giungere poi alla decisione di far propria quella idealità.
È molto interessante che Gesù nella sua attività taumaturgica abbia
dato molto rilievo alla guarigione dei sensi, perché in effetti i nostri
sensi sono malati e hanno bisogno d’essere purificati. Così anche
quelli dei nostri giovani. È grave e banale, di quella banalità che
rende inconcludente una certa proposta pedagogica,
l’atteggiamento di quella guida che nemmeno si pone il dubbio che
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colui che sta guidando possa non esser subito capace di vivere un
rapporto oggettivo e libero con la realtà, con i valori, con il vangelo
che medita, con la teologia –eventualmente- che studia, con i
contenuti che gli vengono proposti…, sentendo una corrispondente
repulsione per ciò che è male e attrazione per ciò che è bene.
È, in fondo, il problema della sensibilità, ovvero d’una sensibilità
che va costruita e plasmata, cioè educata e formata, perché poi la
formazione del credente è proprio formazione dei sentimenti,
perché siano quelli di Cristo. È da questa sensibilità che deriva poi
un corrispondente modo di vedere, sentire, gustare, apprezzare…
che poi saranno decisivi per apprendere e vivere quella docibilitas di
cui abbiamo detto. Ora, è chiaro che ogni giovane cristiano o
aspirante tale vive già con la sua sensibilità (o orientamento
emotivo) che s’è già formata nel corso degli anni, che costituisce
normalmente come una premessa mai messa in discussione, ma
che in realtà diventa responsabile dello stile percettivo-
interpretativo del soggetto stesso, come il filtro attraverso cui passa
tutto il materiale che gli è proposto, dalle prediche del Parroco alle
raccomandazioni degli adulti, dall’esperienza che fa in parrocchia
alle relazioni interpersonali qualsiasi. Filtro che inevitabilmente ha e
determina le sue proprie precomprensioni che si sono solidificate
nel corso degli anni e che possono a volte determinare raccolta di
dati selettiva, percezioni superficiali e a volte distorte della realtà,
sguardo che si ferma al visibile e non attinge il mistero, rifiuto di
elementi particolari del reale, incapacità di cogliere la domanda che
sale dalla realtà nei confronti del soggetto e di lasciarsene metter in
crisi, interpretazioni errate o parziali…, e altri atteggiamenti che
svelerebbero una profonda indocibilitas da parte di chi
dovrebb’esser in un cammino d’importante discernimento sulla sua
vita.

5.2- Formare alla docibilitas


La docibilitas, come intelligenza dello spirito e dei sensi, della
sensibilità e della coscienza, implica alcuni fattori precisi oltre
l’accoglienza “docile”, obbediente e un po’ passiva, ma che
implicano anche un atteggiamento formativo corrispondente.
Vediamoli allora questi fattori.

Pieno coinvolgimento attivo e responsabile della persona, prima


protagonista del processo educativo
La vita è piena di valenza formativa, anche le situazioni considerate
negative (una calunnia, un insuccesso, una malattia seria, persino
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una fragilità morale…) possono diventare occasione di crescita se il


giovane viene aiutato nella DS a porsi dinanzi alla vita con senso di
responsabilità, poiché la vita parla se c’è un cuore che ascolta. Nella
concezione della FP ordinaria il responsabile è indubitabilmente il
singolo (mentre in quella straordinaria è l’istituzione). Che è come
dire (e ripetere) che ogni situazione esistenziale può diventare
mediazione dell’azione formativa del Padre, e dunque occasione
preziosa per continuare nel proprio cammino formativo.
La formazione alla responsabilità è formazione al senso dell’io,
anzitutto, come destinatario d’una proposta di salvezza, che però
non si compie senza la sua partecipazione responsabile; e poi al
senso dell’attenzione vigile per accorgersi dei tanti modi in cui
questa salvezza, e la realtà di Dio, in ultima analisi, si fanno
presenti. È in fondo la spiritualità del pellegrino come del vir ob-
audiens, come di colui che porta una mano all’orecchio ogni istante
per scrutare il dono e la proposta che Dio gli fa nella vita.

Atteggiamento fondamentalmente positivo nei confronti della realtà: di


riconciliazione e gratitudine verso la propria storia e di fiducia
verso il futuro
Con questa seconda componente vogliamo alludere all’importanza
che il soggetto sia aiutato a rileggere la propria vita, per cogliere
quanta grazia e possibilità di crescita vi sia stata concretamente in
essa, anche nei momenti in cui non se n’è accorto o in cui non ha
comunque saputo accogliere la proposta divina nella mediazione
umana. È fondamentale che il giovane venga provocato a fare
questa rilettura della propria storia, per capire che ha tutto
l’interesse a fidarsi d’essa, scoperta sempre più come luogo “pieno
di grazia”.
È il cammino, non semplice in verità, dell’integrazione (sul piano
psicologico), o della ricapitolazione in Cristo (su quello spirituale),
grazie al quale è persino possibile riattivare quella proposta di
formazione non abbastanza sfruttata, o ridare senso a ciò che ne
sembra privo o dare senso positivo a ciò che sembra averne solo
uno negativo. Ed è un lavoro indispensabile da compiere in un
cammino di DS. In tal modo il credente si riappropria, in qualche
modo, della grazia perduta, la riattiva in se stesso. E soprattutto si
pone con fiducia dinanzi al futuro, nella certezza che sarà anch’esso
dono che viene dall’alto attraverso il quale il Padre continua in lui la
sua propria formazione.
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Libertà interiore e desiderio di lasciarsi istruire da qualsiasi frammento


di verità e bellezza attorno a sé, godendo di ciò che è vero e bello
È l’atteggiamento prima chiamato del vir ob-audiens, ovvero di
colui che cerca Dio, la sua presenza e la sua parola di vita con così
tanto desiderio e passione da imparare a riconoscerla anche
quand’è difficile riconoscerla, quand’è sottile o frammista a elementi
che sembrerebbero contrari (un fallimento, una caduta,
un’ingiustizia…); è il contrario del credente rozzo che pretende i
segni evidenti e non si rende conto che sta perdendo una certa
sensibilità interiore, spirituale. È fondamentale formare nel giovane
una personale soglia percettiva bassa, che sa riconoscere il tutto
nel frammento, o nella cognitio vespertina, e che soprattutto
impara a ricondurre ogni circostanza della vita, anche le più
avverse, a ciò che gli possono svelare della verità di sé.
Docibilitas è anche coscienza di non sapere o di sapere molto poco,
per questo è pure disponibilità e desiderio di apprendere da ogni
frammento di realtà e da ogni altro.

Capacità di relazione con l’alterità, di interazione feconda, attiva e


passiva, con la realtà oggettiva, altra e diversa rispetto all’io, fino a
lasciarsene formare
Se la relazione interpersonale rappresenta la mediazione formativa
per eccellenza, come abbiamo detto, allora occorre una formazione
mirata in tal senso, che metta il giovane in condizione di lasciarsi
provocare, metter in crisi dall’altro, di accogliere quella verità (per
quanto minima) di sé che emerge nel rapporto con l’altro,
d’imparare da lui, di lasciarsi confrontare e anche condizionare
dall’altro e dai suoi limiti, fino al punto di lasciarsene educare e
formare. L’altro come colui che egli non ha scelto e da cui non è
stato scelto, come possono essere gli amici e pure la gente
qualsiasi, gl’incontri imprevisti, amche quelli faticosi. Senza tanta
distinzione tra santi e meno santi. Poiché il Perfetto sopporta
l’imperfezione…
Tale disponibilità nei confronti dell’altro è in fondo un simbolo del
senso della vocazione cristiana come chiamata che viene da un
Altro, e che si compirà in pienezza quando “un altro ti cingerà e ti
condurrà dove tu non vuoi” (Gv 21,18). Allora sarà richiesto il
livello più alto di docibilitas, ma sarà molto dura per chi non ha
imparato quest’arte e libertà interiore.

Questi atteggiamenti mettono il giovane in condizione di “imparare


a imparare”, ovvero di vivere in perenne stato di formazione per
1

tutta l’esistenza. Proprio questo stato interiore costante di libertà


d’apprendere nella vita e dalla vita è il punto d’arrivo d’un cammino
di DS; e proprio in tal punto la formazione ricevuta nella DS “apre”
a quella continua e si salda con essa.

Definizione........................................................................... 1
Tipo di relazione e comunicazione........................................2
La guida............................................................................... 3
3.1- Convinzione...............................................................3
3.2- Esperienza.................................................................4
3.3- Sapienza.................................................................... 4
3.4- Inversione dei ruoli (o la guida che ha imparato a
lasciarsi guidare)..............................................................5
3.5- Preparazione..............................................................6
Obiettivo.............................................................................. 7
4.1- Dalla docilitas alla docibilitas.....................................7
4.2- Dallo straordinario all’ordinario..................................8
Itinerario............................................................................. 9
5.1- Educare alla docibilitas...............................................9
5.2- Formare alla docibilitas............................................10
Pieno coinvolgimento attivo e responsabile della
persona, prima protagonista del processo educativo. . . .11
Atteggiamento fondamentalmente positivo nei confronti
della realtà: di riconciliazione e gratitudine verso la propria
storia e di fiducia verso il futuro......................................11
Libertà interiore e desiderio di lasciarsi istruire da
qualsiasi frammento di verità e bellezza attorno a sé,
godendo di ciò che è vero e bello.....................................12
Capacità di relazione con l’alterità, di interazione feconda,
attiva e passiva, con la realtà oggettiva, altra e diversa
rispetto all’io, fino a lasciarsene formare.........................12
Tipologia della guida
possiamo fare queste distinzioni circa la figura dell’accompagnatore,
come le propone Louf in senso progressivo4.
Dialogo di accompagnamento
È il caso più frequente. Si stabilisce a poco a poco un’intimità con
una persona del proprio ambiente di cui si apprezzano certe qualità
(il confessore, un confratello, un anziano di comunità, un amico
buono e saggio…). La frequenza degli scambi varia a seconda
dell’età e del bisogno. Si tratta d’una relazione fraterna e
amichevole, su un piano di parità, libertà e spontaneità. Può
divenire un rapporto profondo, significativo e fruttuoso, ma
normalmente non è né duraturo né unico.
Pedagogia spirituale
Caso più specifico, poiché suppone una figura istituzionale di
educatore o formatore in una situazione altrettanto istituzionale
come può essere il cammino di formazione vera e propria o una
esperienza straordinaria come un mese ignaziano, o una situazione
particolare di vita in cui il soggetto chiede di esser aiutato, ad es.
per fare un discernimento o superare una certa difficoltà o crisi, o
per attraversare una certa fase dell’esistenza. Occupa un periodo
ben delimitato.
La guida dovrà essere una persona preparata esplicitamente per
queste servizio. Il rapporto stabilito con questa persona sarà in
genere unico, e il suo intervento avrà la priorità su quello di altri
confidenti. Sarà come la relazione stabilita tra maestro e discepolo.
Paternità spirituale
È dono e carisma relativamente raro. Al “Padre spirituale” tale
carisma non viene dalla sua abilità o esperienza e nemmeno dal
ruolo che eventualmente esercita (di formatore); gli viene da Dio
come un dono imprevedibile e come rivelazione della sua stessa
paternità. È dono che non va mai presupposto né presunto. Ma
conferisce un’autorità grande, spirituale, che si accetta nella libertà
dell’amore.
È per natura sua relazione unica ed esclusiva; quando il padre
scomparirà all’orizzonte non si dovrà andare a cercarne un altro.
Né questo tipo di padre va cercato a ogni costo. La paternità di Dio
si verifica e dimostra in mille modi in ogni esistenza, ma non
necessariamente in questa forma. Né, tanto meno, ci si deve

4
Cf A.Louf, Generati dallo Spirito, Magnano 1994, pp.54-59.
credere personalmente investiti di questo carisma nei confronti di
qualcuno.
Un vero accompagnamento può d’altronde esercitarsi in tante altre
forme, e nulla vieta di pensare che qualcosa di questo carisma
eccezionale sia oscuramente presente in ogni relazione tra credenti.
Tutti forse siamo chiamati a essere un po’ madre e padre d’una
moltitudine di fratelli.
Per un presbitero o un consacrato è importante che vi sia una
qualche forma di accompagnamento tra queste indicate. Da evitare
in ogni caso è la pretesa di fare da soli o la presunzione di non aver
bisogno d’alcuno.
4.2- Funzione della guida
Il padre spirituale aiuta a scoprire “l’uomo nascosto nel cuore”. La
paternità spirituale costituisce, infatti, uno spazio di relazione
personalissima ed ecclesiale: Riafferma l’essenzialità della fede
come vita in Cristo, come esperienza dello Spirito, come cammino
di fede nella relazione sacramentale.
La paternità spirituale è necessaria per fuggire il soggettivismo, il
rischio del fai-da-te, dell’illusione che coglie chi pretende di guidarsi
da se stesso.
La paternità spirituale è a servizio del processo di crescita verso lo
stato di “uomo maturo, nella misura che conviene alla piena
maturità di Cristo” (Ef 4,13). Ed è necessaria perché rende
oggettivo il cammino spirituale d’una persona portandola
all’adesione alla realtà, soprattutto al riconoscimento dei propri
limiti, delle proprie negatività, e dunque al superamento delle
inibizioni profonde, delle censure radicate, dei doveri e degli
interdetti introiettati che impediscono un cammino umano spirituale
nella libertà e nell’amore.
In particolare la paternità spirituale può condurre all’esperienza
della misericordia di Dio, cioè a conoscere il volto del Padre
Il padre aiuta il figlio ad ascoltare la parola di Dio che non è lontana
né esterna a lui, ma nel suo cuore (Dt 30,14), a discernere lo
Spirito che lo abita, a far emergere la vita di Dio che è in lui.
Il padre spirituale non deve né insegnare, né vietare, né giudicare,
né pianificare, ma solo acconsentire a questa vita, a lasciare che la
vita di Dio faccia il suo corso in un altro.
Il padre spirituale aiuta a scoprire l’io più profondo, la nostra verità,
il luogo profondo di noi stessi in cui i nostri gemiti s’uniscono a
quelli dello Spirito in noi.
La paternità spirituale è aiuto al descensus ad cor, ove l’uomo
ascolta la parola di Dio e dove nasce la fede 5

4.3- Indice di disponibilità a lasciarsi accompagnare


Ciò che è decisivo nel cammino dell’accompagnamento personale o
della direzione spirituale, è l’atteggiamento dell’accompagnato più
che di quello dell’accompagnatore. In altre parole l’elemento
fondamentale è proprio il nostro indice di disponibilità relazionale,
che è senz’altro legato agli altri due indici (educativo e formativo),
e che di fatto consente alla persona di fare un uso ottimale della
relazione d’aiuto. Al limite, dice Louf, è il solo atteggiamento
richiesto: di desiderio, di attesa, di responsabilità, di docibilitas. È
esso che susciterà nella guida la guida e il maestro6.
Vogliamo dire che in questo nessuno può stare semplicemente ad
aspettare il padre spirituale perfetto, o lamentarsi di non trovarlo…
“Quando il discepolo è pronto, compare il maestro”, così un detto
della sapienza indù. O secondo un celebre apoftegma (di abba
Felice): “Un abba del deserto domanda a un altro abba: perché i
monaci di oggi non hanno più parole da dare? (=perché non ci sono
più padri spirituali?). Risposta: perché i figli non sanno più
ascoltare”. La qualità della ricerca e dell’ascolto finisce per suscitare
l’accompagnatore.
Così Doroteo di Gaza a certi monaci che si lamentavano di non
trovare il padre spirituale adatto capace di rivelare loro la volontà di
Dio: basta, rispose, cercare veramente e umilmente la volontà di
Dio. Dopo di che si potrebbe, a rigor di logica, rivolgersi a chiunque,
anche a un bambino piccolo, perché Dio metterebbe le proprie
parole in bocca al bambino, per esaudire la fede di colui che cerca…
Ancora una volta, non è il sapere né l’esperienza né la competenza
dell’accompagnatore che conta, ma piuttosto la disponibilità
profonda di colui che chiede e cerca7, la docibilitas.
Così Louf, questo maestro dello spirito. Forse un po’ unilaterale, ma
sostanzialmente convergente con la nostra prospettiva
psicopedagogia.
Se vogliamo un po’ più specificare e dare ragione della posizione
qui sostenuta è sufficiente che pensiamo all’uso ottimale, per così
dire, della relazione di accompagnamento, da parte di chi sta già
facendo per conto suo un certo cammino di “educazione della verità
di sé”, nel senso che gli abbiamo dato prima. Costui metterà
5
Cf E.Bianchi, Il padre spirituale, in “Parola, Spirito e Vita”, 39(1999), 22.
6
Cf Louf, Generati, 66.
7
Ibidem,
davvero la guida in grado di conoscerlo, di coglierne gli aspetti più
nascosti, in qualche modo lo “aiuterà” enormemente a dirgli cose
sagge e ispirate. Al contrario di chi va dalla guida senz’alcuna
preparazione a livello educativo e s’aspetta tutto dall’altro.
In fondo è un po’ vero che “ognuno ha la guida che si merita”.

ALCUNE POSSIBILI PISTE DI RIFLESSIONE

1- Se ne parla in continuazione della DS, ma di fatto la si pratica


ben poco. È più un’eccezione che la norma. E forse proprio
perché il presbitero ne è poco convinto o è attratto da altre
forme pastorali più sbrigative (l’intervento sul gruppo) e
redditizie sul piano dell’immagine (del don)
2- Probabilmente all’origine di questo fenomeno c’è una non
offerta, da parte del prete, di questo servizio, o una non
esperienza della sua efficacia su stesso
3- Ma soprattutto sembra povero e non considerato
sufficientemente il rapporto tra direzione spirituale e
formazione permanente, o la direzione spirituale è solo o
prevalentemente intesa come servizio a senso unico, dalla
guida verso chi è guidato
4- D’altro canto investire pastoralmente sulla direzione spirituale
significherebbe tutta una serie di conseguenze sul fronte delle
priorità da privilegiare, dei tempi e dei ritmi di vita, degli
equilibri con altre urgenze… La nostra pastorale rispetta o
rispetterebbe questa scelta?
5- Più in generale, la nostra è davvero una pastorale che forma
adulti nella fede, anche attraverso la DS?
6- La crisi della direzione spirituale è la stessa crisi della
confessione? Cosa dice, tale crisi, della qualità e coerenza
della vita e testimonianza del presbitero? Quanto è chiaro,
nella sua mente, il raccordo tra prete penitente e prete
confessore?
7- Fasi educativa e formativa: quanto siamo capaci di rispettare
la specificità delle fasi, dando priorità al lavoro educativo, e
mirando alla formazione della docibilitas del credente?

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