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I. Introduzione
Ciò detto rimane anche vero che, avendoci creati liberi, Dio chiede
sempre la nostra collaborazione. Il che significa, come accennato, che
possiamo aiutarlo e possiamo aiutarci in questo nostro sforzo di
apprendimento della preghiera. Capita spesso, inoltre, che questo “respiro”
sia in qualche modo impedito o deformato, per cui ci si deve sforzare di
correggerlo e migliorarlo; e questo non è facile, come ben sa chiunque
abbia provato a rendere più piena e profonda la propria respirazione. E’
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necessario, dunque, impegnarsi con serietà e costanza perché, come si
impara una lingua parlando, così si impara a pregare pregando.
L’oggetto della nostra riflessione non sarà la preghiera nelle sue varie
forme (liturgica, comunitaria, vocale…), ma una sua attuazione specifica,
la orazione mentale, cioè quella forma di preghiera che caratterizza la
nostra vocazione carmelitana. Essa, per noi, non è un optional, ma una
esigenza e un impegno che esprime la coerente fedeltà alla nostra
vocazione. Senza orazione mentale non c’è vero carmelitano o vera
carmelitana. E’ importante capirlo per non illudersi che basta compiere
certi adempimenti per definirci ed essere davvero carmelitani teresiani.
Inoltre, per non illudersi e non partire con il piede sbagliato ci sono
alcuni preliminari da tenere presenti e da rispettare. Cioè sapere e accettare
che per pregare occorre tempo, solitudine e perseveranza.
Bisogna , poi, anche avere ben chiaro che per poter far bene
l’orazione c’è bisogno di silenzio e di solitudine. Per questo non è
necessario tanto il luogo materiale che, potendolo, devo comunque saper
scegliere, tenendo presenti le mie condizioni. Se mi sento più solo in
camera mia mi chiuderò in camera (Mt 6,6); se sono più solo in chiesa,
andrò in chiesa; o su una terrazza, o in giardino, ecc.
In ogni caso ci vuole soprattutto silenzio interiore, cercando di
accantonare preoccupazioni, fantasie e progetti vari. Per questo è
necessario porre un impegno particolare nel cercare di tenere “raccolte” le
proprie facoltà evitando dissipazione e distrazioni inutili. La libertà
interiore non si raggiunge senza un grande controllo sia dei sensi che sono
finestre aperte sulle cose terrene, sia della memoria che, con i ricordi, ci
riporta nel mondo; lo spirito stesso deve evitare i pensieri inutili, e la
ricerca di notizie ed informazioni che, spesso, servono solo ad ingombrare
l’anima e a rendere molto problematico il raccoglimento, necessario per
pregare. La custodia dei sensi è una raccomandazione classica e presente
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in tutta la spiritualità cristiana. Bisogna quindi sorvegliare i sensi, il cuore
e lo spirito.
1. La preparazione
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Il peccato veniale scelto e voluto, cioè pienamente deliberato e
pienamente cosciente, costituisce un ostacolo formidabile all’avanzamento
nella vita spirituale. Non dico che si perde lo stato di grazia, ma
certamente non la si vive e, perciò, non la si accresce. I frutti che dicono
la grazia in atto, cioè una vita di fede, di speranza e di amore vengono a
mancare. In un certo senso la grazia viene sterilizzata, si cade nella
tiepidezza e nel torpore, si può raggiungere una stasi tale da essere molto
vicina alla morte.
Gesù ha chiaramente affermato che non si può servire a due padroni.
Non ci si può avvicinare al Signore se non ci si allontana da ciò che è a Lui
contrario. E’ come se un nucleo di ferro venisse a trovarsi tra due calamite:
quanto più si avvicina all’una, tanto meno sente l’influsso dell’altra e da
essa si distacca.
Tutto quanto detto vuol dire impegno a eliminare gli ostacoli che
impediscono il desiderio e la ricerca del Signore, la riflessione e il ritorno
in sé stessi. L’assorbimento totale o quasi esclusivo negli interessi
mondani non permette la libertà del cuore, e rende sempre meno sensibili
al richiamo ed attrazione dei beni spirituali e divini. Chi è totalmente
ingolfato nei beni terreni non solo non sarà capace di pregare, ma non ne
sentirà mai alcuna voglia.
In sintesi: chi vive una vita disordinata e non è determinato ad
uscirne non può pregare. Chi vive una vita ripiegata su se stesso e pensa
solo ai suoi interessi non può pregare. Chi vive una vita piatta,
abitudinaria, distratta e superficiale, senza slancio e senza vero desiderio di
incontrare il Signore, non può pregare. Chi va alla preghiera per compiere
un dovere da cui liberarsi adempiendolo, non può pregare.
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Bisogna nutrire un sincero desiderio di Dio, sapendo che a Lui siamo
destinati e che solo nel possesso e comunione con Lui la nostra vita
acquista un senso e raggiunge la sua pienezza. Nella misura in cui questo
si realizza si sta già vivendo una forma, iniziale ma reale, di preghiera; in
caso contrario, cioè senza desiderio di Dio e della sua provvidenza, non ha
senso parlare di preghiera. Ci manca il presupposto, perché uno non si
mette seriamente a cercare ciò che non desidera
E’ pur vero che anche chi prega sarà sempre soggetto a cadute di
fronte alle tentazioni, e spesso resterà irretito e come prigioniero delle cose
di questo mondo, ma proprio per questo dovrà, senza scoraggiarsi,
continuare ad imporsi una ordinata regola di vita e un serio impegno
ascetico. Comunque, è altrettanto vero che la vittoria sarà più facile se ci
si sforza di pregare. Orazione e peccato non possono a lungo coesistere: o
si abbandona l’una o si abbandona l’altro. Chi persevera nell’orazione
cambierà progressivamente vita e peccherà sempre meno.
Ciò che spesso rende difficile questo atto di fede è anche il pensiero
che Gesù ora si trova in cielo, in Paradiso, quindi lontano da noi.
Dobbiamo correggere tale concezione del cielo e del Paradiso. Proprio
perché glorioso alla destra del Padre, ora Gesù può essere presente
dovunque c’è un cuore che lo accoglie.
Nella sua vita terrena Egli era condizionato dal tempo e dallo spazio.
Anche lui, come tutti noi, non poteva stare in due posti diversi allo stesso
tempo, se era a Betlemme non era a Nazareth, se era a Gerusalemme non
era in Samaria. Nella sua umanità Gesù non poteva vivere che in un solo
luogo, in un unico momento non poteva esprimere che un solo atto di
amore.
Ma dopo la sua risurrezione gloriosa Gesù vive al modo di Dio che è
onnipresente e, dunque, si fa presente ad ogni anima, si unisce ad ognuno
di noi e vive in ciascuno di noi. Non è soltanto una presenza fatta con la
memoria come quando si ricorda qualcosa; né soltanto una presenza
spirituale come la presenza, in noi, del nostro affetto e del nostro amore
per tutti coloro che amiamo. Non è così: è una presenza reale; perché
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Gesù, anche nella sua umanità, ora non è più condizionato dal tempo e
dallo spazio. Non più legato a luoghi e spazi temporali, Gesù viene a
ciascuna anima che è disposta ad accoglierlo per vivere con Lui un
rapporto di amore. Gesù non ha più bisogno di ripetere, come allora,
diversi atti di amore secondo le persone che progressivamente incontrava.
Egli vive soltanto, in perennità, la pienezza dell’amore, totalmente
trasfigurato in amore; e questo gli rende possibile di venire in ciascuno che
ama e vivere con ciascuno di coloro che ama.
Da quanto detto risulta che imparare a pregare non vuol dire vivere
qualche cosa di nuovo, vuol dire vivere con una consapevolezza nuova,
quella che è la vita di ogni giorno: vivere in Dio, vivere per Dio, vivere di
Dio; e vivere per Dio, in Dio, di Dio vuol dire vivere in Cristo,
abbandonandosi alla potenza dello Spirito, perché operi in noi quello che
ha operato un giorno nel grembo della Vergine, cioè l’incarnazione del
Verbo! Per l’azione dello Spirito Santo deve prolungarsi in noi questo
mistero, in tal modo che viva in noi Cristo, viva solo Cristo, e vivendo in
noi Cristo e solo Cristo, vivremo di Dio, in Dio e per Dio come ha vissuto
il Verbo incarnato nella natura umana assunta.
4. La lettura
a. Il libro
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Si badi, pertanto, a non trasformare l’orazione in una semplice
lettura. Essa deve rimanere almeno una lettura meditata, nella quale ci
soffermiamo per suscitare e dare posto agli affetti e ai propositi. Allora la
lettura stessa diviene uno strumento della nostra conversazione con Dio.
I libri più adatti, come è ovvio, sono i Vangeli e, in genere, la S.
Scrittura, specialmente i salmi; ma anche le vite dei santi possono essere
utili. Spesso si è più stimolati dall’esempio dei santi che da una
esposizione dottrinale astratta, per quanto profonda.
b. La natura.
Per chi ha fede anche la natura è un libro aperto che parla di Dio. Per
questo è molto utile impegnare i nostri sensi esterni ed interni nella
contemplazione della natura; ci serve a stabilire il contatto con Dio perché
ci aiuta a trovare in ogni creatura la rivelazione del suo amore e a scoprire
i segreti della sua comunicazione con gli uomini. Tutto infatti è penetrato
dalla sua presenza. Il cielo e le stelle, le montagne e il mare, la campagna,
l’acqua, i fiori; ricordano e rimandano al Creatore, inducono al
raccoglimento e lo fanno percepire presente. La natura ci fa vedere ciò che
Dio in questo momento sta facendo, e si fa tramite di un messaggio in cui
Egli ci si rivela e ci si fa conoscere. In tutto ciò che Dio, tanto grande e
sapiente, ha creato devono esserci molti segreti di cui possiamo giovarci
nella misura in cui possiamo capirlo; anche se in ogni minima cosa da Lui
creata, si tratti pur di una piccola formica, si nascondono più meraviglie di
quante noi ne possiamo capire.
c. L’immagine devota
d. La preghiera vocale
5. La meditazione
Per quanto riguarda il nostro corpo, una cura particolare va data alla
sua stessa posizione. Innanzi tutto esso deve essere composto, in modo da
esprimere raccoglimento, accoglienza, adorazione, supplica. Perciò si starà
in ginocchio o seduti o in piedi o prostrati a seconda che verrà
maggiormente facilitata la dimenticanza di ogni cosa, favorito il
raccoglimento in Dio. Anche gli occhi potranno essere tenuti chiusi o fissi
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in un punto, come più piace e riesce utile per concentrarsi. La stessa
respirazione, quando è corretta e serena, invita a lasciarsi andare al senso
di accoglienza (inspirazione) e di abbandono (espirazione). Abbiamo tutti
esperimentato che quando ci si agita la inspirazione è frequente e
superficiale; l’inspirazione lenta e profonda, invece, è segno di distensione
e genera distensione.
La rappresentazione
La riflessione
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Fatta alla presenza di Dio la meditazione porta sempre alla preghiera.
La Bibbia è ricca di uomini che si pongono davanti a Dio e gli parlano,
riflettono, discutono con Lui. Nel libro di Giobbe troviamo un uomo che
riflette sul problema dell’esistenza, del bene e del male, del perché anche
l’innocente soffre, e anche questo diventa preghiera.
L’uomo può riflettere con se stesso o con gli altri, ma tutto porta e
diventa preghiera se è fatto, non solo con se stesso o con gli altri, ma se è
un continuo confrontarsi con Dio, un chiamare in causa Dio, un vedere e
valutare la realtà alla sua luce.
La meditazione, dicevamo, è anche ascolto che comporta una specie
di scambio (dialogo), e questo di per sé porta sempre ad un confronto di
me stesso con la parola ascoltata. Ad esempio, dopo aver meditato sulla
disponibilità di Maria, la fede di Giuseppe, la obbedienza di Gesù, mi ci
devo specchiare, per vedere se e come mi ci ritrovo, e suscitare il desiderio
e l’impegno a conformarmici. Il confronto aiuta ad approfondire la nostra
povertà e, insieme, stimola ad elevarci sopra di essa e sollecitare il nostro
impegno.
6. Il colloquio affettivo
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dono. “Intimo rapporto di amicizia con colui dal quale ci sappiamo amati”
(Vita 8,5).
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E’ questo il tipo di amore che Gesù ci chiede. Solo così si stabilisce
la convivenza e si approfondisce l’intimità. Tutto il resto è un sovrappiù,
più o meno utile. Se io mi commuovo per una lettura edificante e
esco dalla orazione senza aver fatto un piccolo passo per conformare la
mia volontà con quella di Gesù o averne rinnovato l’impegno, mi trovo
ancora ai preamboli della orazione vera.
Parlando del fine e del cuore della preghiera, che è l’accoglienza del
dono che Dio vuol farci di se stesso, S. Agostino insegna che “lo
riceveremo con tanta maggiore capacità, quanto più salda sarà la nostra
fede, più ferma la nostra speranza, più ardente il nostro desiderio. Noi
dunque preghiamo sempre in questa stessa fede speranza carità, con
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desiderio ininterrotto…. Quanto più vivo, infatti, sarà il desiderio, tanto
più ricco sarà l’effetto” .
Ma non è raro il caso in cui noi pensiamo che, in fondo, Egli è poco
interessato ad avere un incontro con noi. E, visto che il Signore sarebbe
più o meno indifferente, la preghiera è spesso da noi ridotta ad una
pratica da sbrigare o a un dovere da compiere. Ma si può andare ad un
appuntamento di amore per compiere un dovere o per sbrigare una
pratica? E quando questo fosse il nostro atteggiamento, come pensare che
il Signore possa introdurci nella sua intimità? Il Signore che ci ama sul
serio, vuole essere preso sul serio!
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Questo colloquio affettivo, evidentemente, non deve essere
necessariamente espresso in parole, spesso anzi è fatto di silenzio, di
sguardi, di presenza e di cuore aperto, facendo amorosamente compagnia
al Signore. E’ nei momenti di questo silenzio amoroso che noi siamo
maggiormente capaci di ascoltare e percepire il Signore che ci parla
attraverso grazie di luce e di amore; queste grazie ci fanno meglio
intendere le sue vie, infervorano e muovono lo spirito ad entrarvi con
maggior generosità. Quindi ascoltare Gesù che così ci parla vuol dire
accettare queste grazie cercando di approfittarne.
6. Espressioni dell’amore
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Durante il colloquio affettivo si rendono normalmente presenti
elementi che in vari modi esprimono i sentimenti del cuore e il fiducioso
abbandono. Quelli più frequenti sono il ringraziamento, l’offerta, la
domanda; essi, tra l’altro, servono a prolungare più facilmente la nostra
conversazione affettuosa col Signore. Non sono infatti, come appena detto,
che una modalità e una esplicitazione del colloquio affettivo nato
spontaneamente dalla meditazione, ossia modi diversi di manifestare il
nostro amore e la nostra confidenza.
7. Difficoltà
a. Le distrazioni
Se si è fedeli, anche l’orazione vocale è una via che può portare alla
contemplazione, senza passare per la meditazione intesa in senso stretto.
Ascoltiamo ancora la testimonianza di Teresa: “Conosco molte persone
che mentre pregano vocalmente nel modo che ho detto, vengono elevate,
senza che ne sappiano come, a un’alta contemplazione. So di una che non
poté pregare altro che vocalmente. Eppure si trovava assai bene, tanto che
quando non recitava, il suo spirito vagava così distratto da non poterlo
raccogliere. Ma piacesse a Dio che la vostra orazione mentale fosse così
perfetta come era in lei la vocale! In certi Pater noster che recitava in
onore dei misteri dolorosi del Signore e in alcune altre preghiere, durava
alle volte per ore intere. Venne un giorno da me tutta in angustia, perché
non sapendo fare orazione mentale né applicarsi alla contemplazione, si
sentiva ridotta a non pregare che vocalmente. Io le domandai che cosa
recitasse e vidi che con la sola recita del Pater noster arrivava alla pura
contemplazione e che talvolta il Signore l’univa a Sé nell’unione. Del
resto, si vedeva dalla opere che doveva ricevere dal Signore grandi grazie,
perché menava vita molto perfetta. Io ne lodai il Signore, ed ebbi invidia
della sua orazione vocale. Ora, se questo è vero, come del resto è
verissimo, non vi date a credere … d’essere impossibile che lo diveniate
pur voi, purché, come dico, recitiate bene le vostre preghiere vocali e vi
manteniate pura la coscienza” (Cammino 30,7).
b. L’aridità spirituale
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L’aridità è la soppressione del conforto che si prova sovente nella
vita spirituale, specialmente nei primi tempi dopo la conversione ad una
vita migliore. Infatti, chi prende coscienza di possedere una vita spirituale
più intensa, ne prova una certa gioia, essendo legge psicologica che
l’uomo goda quando sa di possedere un grande bene. La vita spirituale
intensa però non sta in questo conforto, perché, come abbiamo prima
ricordato, la vera devozione consiste unicamente nella prontezza della
volontà nel servizio di Dio.
C’è un primo tipo di aridità che è frutto di dissipatezza e, talvolta, di
sostanziale indifferenza verso i beni spirituali; è ovvio che tale condizione
lascia il cuore arido e vuoto. Ed è altrettanto ovvio che tale tipo di aridità
può essere superato solo cercando di vivere meglio.
Ma questo non significa che, nell’attesa di migliorare la vita, non ci
si debba sforzare di pregare! (cfr Vita 8, 8) L’inizio di soluzione sta nel
prendere il coraggio a due mani, e cercare di pregare come si può. Bisogna
resistere alla tentazione di scappare, e stare lì, dicendo (almeno con l’apice
della volontà) di voler credere e di voler pregare, e sforzandosi di
utilizzare i mezzi e gli accorgimenti di cui possiamo disporre. Volere stare
lì, davanti a Lui, almeno con il corpo e dargli un po’ del nostro tempo che
consideriamo tanto importante, è già un modo per dire al Signore che gli
vogliamo dare un posto nella nostra vita e che desideriamo incontrarlo.
La aridità spirituale è una variante della prova della fede che è ben
distinta dalla crisi della fede.
La crisi nasce dalla propria infedeltà. Essa si verifica quando
vogliamo far prevalere le nostre ragioni e la nostra logica, mettendoci,
così, fuori del disegno di Dio. E’ certo, infatti, che le sue vie non sono le
nostre vie. Ritornando alla logica umana è normale che si accantonino le
ragioni di fede. Ma una fede che viene esclusa dalle scelte di vita e si trova
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relegata nel campo delle astrazioni non può sostenersi, necessariamente
illanguidisce (entra in crisi!) e…. muore.
La prova della fede, al contrario, è legata alla nostra fedeltà. Il
Signore la permette o la provoca proprio per farci rinnovare il nostro
impegno e, allo stesso, tempo, per purificarla e spingerla ad andare oltre le
umane evidenze, così da penetrare più in profondità nel mistero di Dio e
dei suoi disegni.
Il secondo segno è più importante. Esso è dato dal fatto che l’anima
non nutre alcun desiderio di pensare o gustare nemmeno cose create e
mondane; si tratta, dunque, di una aridità che riguarda anche le cose e le
attrazioni naturali. Sparisce, così, qualunque soddisfazione sensibile, sia
per ciò che riguarda le realtà spirituali che quelle profane. La meditazione,
la lettura spirituale, la Messa, la comunione che prima davano gioia, ora, a
causa della indifferenza in cui ci lasciano, producono solo tristezza. Ma
anche il lavoro, lo studio, la predicazione, la musica, lo svago, il rapporto
con gli amici in cui prima si trovava soddisfazione, lasciano insoddisfatti.
Tutto il mondo sembra diventato grigio. S. Giovanni della croce parla di
“notte oscura”. In questa situazione l’anima si sforza, comunque, di
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compiere bene il suo dovere e, per quanto riguarda la preghiera, di
resistere alla noia, alla distrazione, alla stanchezza, al disgusto della
sensibilità, e, soprattutto, alla tentazione di lasciar perdere.
Parlando dei vari modi di cavare l’acqua dal pozzo, cioè dei
progressivi passi della preghiera (Vita c 11 ss), S. Teresa sottolinea come
l’anima comincia ad agire a forza di braccia per attingere l’acqua dal
pozzo, e come la fatica venga attenuata man mano che l’acqua si renda
disponibile attraverso una noria, un ruscello che sgorga dalla sorgente e,
più ancora, attraverso una generosa pioggia. Questa acqua irrora l’anima e
la feconda, provenendo dall’esterno. Quando il flusso si interrompe,
sopravviene la aridità e si ha la sensazione che tutto stia disseccando. E’ il
momento in cui il Signore cambia “sistema di irrigazione”, e comincia a
fecondare il giardino in modo sotterraneo, cioè tocca l’anima nel profondo.
All’inizio l’anima percepisce solo la fine dell’affluenza dell’acqua (aridità)
e, inoltre, un disorientamento profondo per ciò che le sta succedendo
dentro e di cui non sa dare alcuna spiegazione.
c. La trascendenza di Dio
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Il fatto, poi, che noi, di Dio, abbiamo una idea certamente
inadeguata non vuol dire che debba restare del tutto vaga e inconsistente.
Tale “idea”, infatti, esprime e richiama realtà e valori da noi amati e
desiderati. Ad esempio, che Dio è mio creatore e mio padre, che Gesù è
morto in croce per me.
Anche l’idea di patria è astratta, eppure si è disposti a lottare per
essa; così si dica della “scienza”, la “società”, la “virtù” ecc., ognuna di
queste è un’idea, eppure siamo disposti a sacrificarci per averla o
svilupparla. Le “idee”, buone e vere, richiamano ed esprimono beni e
valori che attirano e che conquistano. E’ evidente che, nel nostro caso, la
nostra “idea” deve essere supportata e illuminata dalla fede. Una fede che
mi stabilisce alla presenza di un Qualcuno che mi ama e che vuole stabilire
con me un rapporto di amore.
Ecco perché, per il fedele, Dio non è un’astrazione ma una persona
ben concreta che dimostrandogli un amore senza confini, lo tocca nel
cuore e lo attira a Sé.
Considerazione finale
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