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(Trascrizione rivista)

Rocca di Papa, 3 febbraio 2024

Laboratorio consiglieri del Rosso nelle Zone


Dal dialogo con Margaret Karram e Jesús Morán

(...) Introduzione e esperienze dei partecipanti

1) Unità trasparente

Margaret: Spesso mi ritrovo a dire che nonostante le difficoltà che stiamo


affrontando in questo momento, sono felice di poter vivere in questo tempo
dell'Opera, in cui Gesù ci chiede di averlo in mezzo a noi e, ascoltando lo Spirito Santo,
possiamo trovare insieme le risposte a tutto quello che viviamo.
Anche la mia esperienza al Sinodo era sintetizzata in queste due parole:
partecipazione e corresponsabilità, allora questo già dice tutto.
Una cosa interessante era questa conversazione nello Spirito, che voi in questi
giorni penso che l'avete un pochino vissuta in qualche modo. Per me era veramente
una novità, nel senso che non era semplicemente incontrarci, fare piccoli gruppi,
discutere delle cose, ognuno parla e poi è finito. Invece era questo esercizio, per quello
si chiama conversazione nello Spirito: ascoltare insieme lo Spirito Santo. Era
un'esperienza nuova per me. Non era ognuno che ascolta la voce di Dio, dello Spirito
Santo, però insieme anche, ed era basato non tanto sul dire le cose, ma anche sul
pregare. Questo per me era molto forte perché dicevo: certo che senza la preghiera,
senza chiedere lo Spirito Santo noi lavoriamo contando soltanto sulle nostre forze;
invece, dobbiamo trovare le soluzioni che lo Spirito Santo ha per un'Opera di Dio.
La cosa interessante era che in questi piccoli gruppi ognuno doveva parlare, ma
non solo: ognuno parlava, ma dopo il secondo giro era: che cosa ci ha colpito dagli altri,

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che cosa il pensiero degli altri ha suscitato in me? Questo era molto bello!
Poi c'erano le relazioni di ogni gruppo. Anche se non tutti eravamo d'accordo, i
10, 12, bisognava arrivare a un accordo finale, anche scrivendo che non tutti eravamo
d'accordo. E poi la relazione finale di tutti i 40 gruppi
Anche io ho fatto questa esperienza. Dicevo: mamma mia, ma non è venuto
fuori quello che il nostro gruppo ha lavorato per ore e ore, non è venuta neanche una
frase nella relazione finale… ma non importa, l’importante è che tutto quello che è
venuto in questo momento era quello che è venuto dall'insieme. Io devo essere
contenta del risultato. Poi, se non è quello che Dio vuole, verrà in un altro momento.
Allora, vivere in questa serenità, se non siamo sempre lì a pensare: “quello che ho
detto non è venuto fuori, non l'hanno ascoltato, i teologi non l'hanno capito. Questo
ancora nella Chiesa non si capisce…” e cominciano tutti i giudizi dentro ognuno di noi, e
questo non costruisce.
Così, in sintesi, quello che ho capito è che fra noi, soprattutto se applichiamo
questo all'Opera di Maria, dobbiamo vivere in una unità che chiamerei unità
trasparente. E cosa intendo con questo? Mi ha aiutato a capirlo padre Timothy
Radcliffe, un domenicano, uno dei teologi che ha offerto al Sinodo delle riflessioni
spirituali. Voglio ripetere questa cosa, che avevo già detto in un incontro, perché è
molto importante capirla. Per me è stato molto importante. Lui dice così: “La cosa più
coraggiosa che possiamo fare in questo Sinodo è essere sinceri sulle nostre convinzioni,
ma anche sui nostri dubbi e sulle domande per le quali non abbiamo risposte chiare.
Allora ci avvicineremo gli uni agli altri come compagni di ricerca, discepoli mendicanti
della verità”.
Ho pensato: cosa significa per me questo? Forse voi non fate quest’esperienza,
però ho fatto quest’esperienza tante volte, che non abbiamo il coraggio di dire
veramente quello che pensiamo, almeno non sempre. Abbiamo timore di non essere
capiti, o forse diciamo una cosa che è completamente diversa dalla maggioranza, o
diciamo qualcosa differente da chi è responsabile. Per me essere mendicanti della
verità significa avere quell'atteggiamento di prossimità gli uni verso gli altri, in cui
vogliamo tutti quello che Dio vuole, in cui tutti insieme cerchiamo il bene dell'Opera, e
non solo uno. Ma questo non vuol dire che solamente ci ascoltiamo all'infinito, non è
questo: alla fine bisogna anche prendere delle decisioni, ma se lo facciamo con questo
spirito di fiducia reciproca, Dio ci guiderà.
Per quello dico anche che voi chiedete delle decisioni, è importante prendere
delle decisioni, anche se non tutti siamo d'accordo, però quello che voglio sottolineare
è che dobbiamo sentirci tutti partecipi, tutti corresponsabili, e poi stare tranquilli che
quello che viene fuori, la decisione che si prende… dobbiamo andare avanti se no si

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blocca tutto e non si va avanti. Poi, se non è quella che Dio vuole, lui ci guiderà se
abbiamo questa intenzione, se abbiamo questa unità veramente trasparente, se
ascoltiamo la sua voce e preghiamo, perché se no veramente non si esce più.
L'altra cosa che volevo dire, che non è come un rimprovero o niente, ma è che
bisogna ad un certo punto aver fiducia in chi prende decisioni al Centro, nei delegati, in
voi che avete deciso qualcosa come incaricati per la zona, in chi deve prendere una
decisione. Non si può mettere sempre in discussione che la decisione non è giusta o io
non mi sento (espresso) in quella decisione. Perché se no, l'Opera non andrà avanti e
blocchiamo certi processi per causa nostra. Questo io veramente sento molto forte,
cioè, questa libertà di poter dire tutto, sicuri di questa unità, di questa trasparenza, non
aver paura di dire. E se le cose che si decidono sono contrarie a quello che noi
sentiamo, va bene, godiamo che qualcosa di più bello è venuto fuori, o forse peggio,
però non importa, non importa. Penso che questo farà crescere l'unità fra tutti noi
nell'Opera. Mi sembrava importante dire questo.

2) Tutto o quasi tutto

Jesús: Un'altra domanda che avete fatto, molto articolata: vivere la sobrietà
nella vita di focolare, nell'Opera di Maria. Convertirsi a vivere una vita più semplice.
Apprezziamo molto questa frase e ci chiediamo come possiamo fare meglio e rivedere
le nostre strutture?
Io penso questo: rivedere ciò che abbiamo come strutture e anche
singolarmente, penso che sia sempre molto sano. Rivedere, fare un esame se quello
che abbiamo è proprio quello che dobbiamo avere. È sempre una domanda molto
sana. O se veramente ci avanza (qualcosa), questo sia a livello personale, sia a livello
strutturale, a livello d'Opera. Vi ricordate, è la sana prassi del fagotto, che purtroppo
l'abbiamo dimenticata e che io credo che vada ripresa nel vero senso della parola.
Perché il fagotto è un esercizio di liberazione dagli attaccamenti. Ad un certo punto,
una volta all'anno io dico: ma tutte queste cose che ho, ne ho bisogno? O le sto
accumulando? A livello personale, a livello focolare, a livello comunità, a livello Opera,
in una zona.
Questo lo dico a me: non abbiamo bisogno di tante cose, anzi, dobbiamo fare
una revisione concreta e costante di quello che abbiamo per non mettere in pericolo la
missione.
Lì ho scoperto la forza che ha il rosso, perché effettivamente possiamo mettere
a rischio la missione se ci riempiamo di cose che ci fanno perdere l'essenziale che sono

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Gesù in mezzo e Gesù abbandonato.


Poi c'era anche quest'altra domanda che dicevate: da sempre abbiamo
imparato che dobbiamo dare tutto a Dio e poi l'Opera penserà a noi. Sicuramente
vivere il distacco ha portato frutti, ha testimoniato lo stile evangelico; tuttavia, questo
sistema rischia a volte di appiattire le nostre scelte generando in alcuni casi persone
accomodate - la domanda è molto articolata – imborghesimento…
Allora, cos'è questo ‘dopo l'Opera ci penserà’? Perché che cos'è l'Opera?
L’Opera non è una banca anonima, come si potrebbe pensare. Io dico: l'Opera è un
ecosistema di comunione. Non so chi mi ha detto che la Bruna aveva detto a una popa
della Germania: ricordati sempre che l'Opera sono le persone. Quindi anche la
comunione, i beni che abbiamo sono frutto delle persone.
La mia esperienza anche qui è che quando appunto cala la donazione a Dio, che
è la scelta del primo amore come unico tutto, comincio ad avere bisogno di tante cose.
Io lo vedo chiarissimo: quando prego di meno, ho bisogno di tante cose e subentra il
disordine. Io lo noto chiaramente, subentra il disordine per cui appunto ho bisogno di
mangiare di più, di comprarmi questa cosa, quando cala la tensione spirituale. Per
quello io vedo il vostro compito, sembra il più concreto, certo, ma è anche il più
spirituale perché va a toccare questo, dove comincia tutta la vita spirituale.
Se avete visto le disuguaglianze nel mondo, sempre più forti, sempre più acute,
curiosamente sono prodotto della mancanza di Dio, dell'assenza di Dio, da lì nasce il
bisogno di avere, del potere.
Vi ricordo - e con questo finisco - c'è un gesuita della Catalogna, in Spagna, che
è morto purtroppo, Marc Vilarasau che ha scritto una cosa, una meditazione che
sempre mi ha colpito. Ve ne traduco solo un pezzo. Questo è per noi focolarini. “La
differenza fondamentale non è quella che c'è tra il tutto e il niente, ma quella che c'è
tra il tutto e il quasi tutto. È lì che ci scappa la vita”. Perché effettivamente il nostro
problema non è il tutto e il nulla, perché noi ci siamo donati a Dio, mettiamo in comune
tutto, però ci teniamo le cose. Quindi noi, direi, non siamo di quelli del nulla, che non
mettono in comune tutto. Il problema è il quasi tutto. Allora, lui dice, ognuno di noi può
avere una specie di fondo di riserva, questo è il titolo della meditazione, un fondo di
riserva che è proprio quel quasi tutto che mi tengo, e lì ci scappa la vita spirituale, ci
scappa Gesù in mezzo. Ma questo può essere il tuo spazio, il tuo tempo, le tue cose, i
tuoi viaggi, ci possono essere tante cose. Questo ci rovina, ci rovina! Allora io dico:
cominciamo da noi, da noi popi a vedere se proprio non abbiamo questo problema, e
dopo facciamo dilagare con tutti gli altri impegnati nell'Opera.

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3) Costruire con la croce

Margaret: Una delle vostre domande era: come vivi, come vivete voi questo
periodo dell'Opera? Sappiamo che sono stati anni non facili.

Se devo dire molto in sintesi: due giorni fa sono passati tre anni dalla mia
elezione. Per me sono stati un’esperienza molto forte. Non era facile, non lo è neanche
adesso, però la mia esperienza, sinceramente, era di credere e credere e ricredere che
è lo Spirito Santo, che è Dio che agisce in quest’Opera, e attraverso di noi, al di là di
tutti i nostri sbagli, al di là di tutte le nostre fragilità. Un aiuto in questo era quello che il
Papa aveva detto a noi due nel 2021, subito dopo l'assemblea tre anni fa. Ci
sottolineava di stare in ascolto dello Spirito Santo che “suscita l'esigenza di operare un
aggiornamento senza scoraggiarci davanti alla complessità umana e alle sue
contraddizioni”. Perciò anche questo per noi: non dobbiamo scoraggiarci, ma tutto
questo ci richiede un aggiornamento, un cambiamento, ci vuole un aggiornamento a
quello che viviamo, perché il mondo è cambiato e cambia continuamente e noi non
possiamo rimanere fermi. E lo dobbiamo fare con questo spirito e con coraggio.
Pensando a questa vostra domanda, su come vivo questo periodo: me lo sono
chiesta tante volte, in ogni anno, in ogni circostanza che mi arriva un dolore, ma anche
una gioia, perché veramente sono tantissime le gioie nell'Opera di Maria.
Anche quest’anno che abbiamo lanciato la missione, ci sono tantissime belle
cose in tutte le zone del mondo, c'è tanta vita e tante conversioni, tante cose
veramente belle.
Quello che mi ha aiutato in questi ultimi giorni è stata una risposta di Chiara a
Loppiano del 1981, con cui abbiamo fatto meditazione in focolare. Chiara diceva:

“Voglio mettervi in testa che non si costruisce niente, niente, niente di divino
senza la croce. È inutile farsi illusioni, non c'è altra strada per seguire Gesù, c'è solo
quella della croce. Col dolore il Signore ci dà occhi nuovi e si vede, si vede chiaro quanti
difetti abbiamo. Ma non è una somma di difetti, è uno stato in cui siamo, di
imperfezione, uno stato, certuni anche di peccato che naturalmente è misurato da Dio,
dipende dalle circostanze, da tante cose, dalle tentazioni e dalle influenze
dell'ambiente”.
“Poi, un'altra cosa che il Signore ci ha messo in testa: in quei tempi scoprivamo
in tutte le grandi opere di Dio, come ogni opera di Dio è segnata dal dolore, ha bisogno
di prove”.

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Cioè, l'Opera di Dio ha bisogno di prove, se non c'è la prova, non si può dire che
è Opera di Dio, perciò per me questo è credere, è credere che al di là e anche
attraverso queste prove che Dio ci sta mandando in questo periodo per l'Opera di
Maria, credere ed essere grati a Dio di queste prove, perché ci purifica ma ci fa capire
che è un'Opera di Dio e che noi stiamo tutti lavorando per il Regno di Dio, per costruire
un'Opera di Dio, allora tutto ha senso, tutto ha senso. È questo.

4) Comunione-Reciprocità-Comunità

Margaret: E veramente vi siamo grati perché avete preso su di voi questo


compito che non è facile e che richiede tanto lavoro. Mi venivano queste tre parole:
prima di tutto la comunione: la comunione dei beni, la comunione spirituale, e mi
faceva pensare che la comunione è sempre con qualcuno, con qualcun altro. La
comunione può essere con Dio, ma è sempre con qualcun altro, non posso fare
comunione da sola, non è una comunione. È con un prossimo che condivido un
pensiero, un’idea, una preoccupazione. Averlo sempre presente, che noi viviamo la
comunione con qualcun altro, con qualcun altro che è più alto di noi, ma con qualcun
altro che è vicino a noi, e questo è importantissimo. E questa comunione ci aiuta alla
reciprocità, perché io dico: se io faccio una comunione ma l'altro non fa nulla, non è
una comunione neanche, perché la mia comunione non ha suscitato nell'altro un
ritorno. Allora anche in questo mi sembrava di vedere che il Rosso includeva, come
sempre Chiara l'ha detto, anche tutti gli altri colori, perché ti aiuta nell'amore
reciproco, ti aiuta nella testimonianza, ti aiuta a vedere di che cosa l'altro ha bisogno e
tutto questo è bellissimo. Perciò questa comunione che ti fa vivere nella reciprocità, se
no non c'è una vera comunione.
Pensavo che se c'è la comunione, c'è la reciprocità, allora c'è la comunità perché
questo crea la comunità. Allora qui si vive anche l'arancio, perché se c'è questo spirito
allora è vero che c'è una comunità. I primi cristiani si radunavano insieme per fare
comunione, per riportare ai piedi degli apostoli il loro operato, ma anche le necessità
della comunità, le cose che vivevano, i loro dubbi e le loro cose, e questo creava la
comunità perché si rafforzavano di questa reciprocità, comunione e partivano per
diffondere il Regno di Dio.
Perciò mi sembrava che il compito degli incaricati sia anche creare comunità. E
se c'è tutto questo, allora c'è la provvidenza perché Dio provvede a una comunità che
vive così; perciò, sarà una comunità che attira la provvidenza non solo di chi dà ma

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anche di tutti quelli che ci vedono. Per quello dicevo all'inizio: convertirci anche in
questo senso, perché se noi viviamo così, sì che avremo la provvidenza, ne sono sicura.
E voi avete fatto l'esperienza, tutti quanti, in tutte le zone. Quando si vive in focolare, in
una comunità così, la provvidenza arriva da parti che neanche immaginavamo. E questo
non solo attira i soldi, ma attira anche le vocazioni.
Perciò sono queste tre parole che vorrei lasciare: comunione, reciprocità e
comunità.

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