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LA DIREZIONE SPIRITUALE»

DI P. R. PLUS S.J.

INTRODUZIONE

Cercare ed esporre ciò che hanno detto i Maestri Spirituali sulla questione cosi grave ed
attuale della direzione delle anime; ecco lo scopo, che ci siamo prefissi.
Con questo, però, non abbiamo inteso di offrire un’enumerazione, che esaurisca l’argomento;
né di fare un lavoro di sapiente erudizione, no; il nostro scopo è più modesto, mettere cioè in
piena luce la dottrina della direzione spirituale.
Avremmo certamente potuto abbreviare, or qui, or là, le testimonianze; il lettore affrettato, o
già profondo in materia, non avrà che da sorvolare.
Altra osservazione: parleremo qui della direzione in generale; ma non entreremo mai, salvo
talora a titolo d’esempio, nel dominio molto più vasto dell’applicazione della direzione ai
differenti stati di vita (impieghi, circostanze di ambiente, apprendisti, aspiranti alla vocazione,
malati, agonizzanti, gradi sociali, ecc.) o alle differenti categorie di coscienze (abitudinari,
scrupolosi, scoraggiati, ecc.). Per questi casi particolari si trovano opere e studi in gran
numero, ai quali rimandiamo.

***

A chi, dunque, servirà quest’opera?


Ai sacerdoti, per ben dirigere le anime; ai fedeli, per ben approfittare della direzione.
Il sacerdote, dovendo abbandonare ai laici, secondo le savie regole dell’Azione Cattolica, le
pratiche di zelo, che non sono specificatamente sacerdotali, deve sempre più specializzarsi,
per il maggior bene dei fedeli, nelle mansioni proprie del suo ministero.
Ora, che vi è di più eminentemente sacerdotale, della direzione spirituale delle anime? Il
valore della santità e dell’apostolato dei laici dipenderà dal valore della direzione spirituale ad
essi impartita dal sacerdote.
Queste pagine non saranno inutili nemmeno ai fedeli. Se è cosa preziosissima per un direttore
di anime sapere come deve guidarle nella loro vita interiore, non è forse ugualmente e anche
più opportuno per coloro, che sentono il bisogno di farsi guidare e hanno cura di ricavarne il
più gran profitto, sapere come procedere e a quali condizioni potranno ottenere il risultato
desiderato?

CAPITOLO I.
Che cosa è la Direzione?

Il lamento del paralitico sotto l’atrio del lavatoio delle pecore, che il Vangelo ci riferisce, non
solo esprime un rimpianto personale, ma il rimpianto eterno dei secoli: Hominem non
habeo! « non ho nessuno che mi aiuti! ».
Quanti sentono il bisogno, nel cammino che conduce a Dio, di avere non, come il paralitico di
Betsaida, una spalla soccorritrice, ma una competenza illuminata ed una bontà ricca di risorse!
Senza dubbio la grazia di Dio, che illumina e lavora interiormente le anime, non manca mai;
ma la grazia di Dio appartiene al mondo invisibile. Noi, immersi nel sensibile, abbiamo
bisogno di un intermediario che ci riveli, ci spieghi, ci autentichi le vie interiori di Dio.
Una delle caratteristiche della del Salvatore è appunto l’aver voluto inviare degli uomini agli
uomini. Egli stesso, il Verbo, ha preso un corpo di carne e ha creato organi visibili, incaricati
di spargere intorno la verità: «Andate, insegnate; chi ascolta voi, ascolta me». Ecco il
ministero della Chiesa.
Le intenzioni divine però vanno oltre questa provvidenziale disposizione. Che alcuni uomini
parlino a tutti gli uomini, è già un grande aiuto; ma non possiamo proprio augurarci qualcosa
di più? Non sarebbe bello se, oltre le indicazioni generali del Magistero ecclesiastico, oltre i
lumi fornitici, a loro insaputa, da anime eventualmente incontrate (e chi non ha ottenuto in
questo modo, a una svolta ignorata, un aiuto inatteso?), potessimo anche godere dei lumi, che
ci venissero comunicati da un uomo che sarebbe il nostro uomo; e a cui apriremmo
largamente, sia con una regolarità più o meno periodica o sia almeno nelle ore più oscure, le
porte segrete del nostro cuore?
L’influenza dell’azione divina di un’anima sopra un’altra anima è approvata dalla Chiesa e
Dio stesso l’autorizza; e anche quando sembra guidare egli medesimo un destino, come nel
caso di Saulo atterrato sulla via di Damasco, non si preoccupa forse di orientarlo verso un
intermediario umano? «Rientra in città, là troverai Anania».
La «direzione» è l’aiuto spirituale offerto individualmente alle anime, per dar loro il modo,
con appropriati consigli, di giungere a quel grado di virtù, a cui il Signore le chiama.
«Dirigere un’anima vuol dire condurla nelle vie di Dio, insegnarle ad ascoltare l’ispirazione
divina e a rispondervi; suggerirle la pratica della virtù conforme alla situazione in cui si trova;
vuol dire non solo conservarla nella purezza e nella innocenza, ma farla progredire nella
perfezione; in una parola, dirigere significa contribuire cori tutte le forze ad innalzare l’anima
a quel grado di santità, al quale è destinata da Dio. Così S. Gregorio Papa considerava la
direzione, quando scriveva che essa è l’arte per eccellenza, l’arte delle arti» (1).

***

A chi spetta in primo luogo la missione di dirigere le anime verso un amore sempre crescente
per Dio?
Al sacerdote.
Che oltre al sacerdote possano esservi, specialmente nelle congregazioni religiose, persone
atte a dirigerne altre nelle vie spirituali, è fuor di dubbio.
Anche prima di Cristo e dell’istituzione del sacerdozio troviamo direttori che non mancavano
né di competenza né di autorità; per quanto pagani, Plotino, Platone, Epitteto, Plutarco,
Cicerone, Seneca seppero trovare nella loro, rettitudine, nella loro scienza psicologica, nel
loro gusto del bene e nel desiderio di un’azione sana da esercitare siigli altri, attitudini molto
belle per guidare i loro fratelli. E proprio dalla penna dell’autore delle lettere a Lucilio, sgorgò
questo elogio, sull’opportunità della direzione:
«Nessuno abbastanza forte per sfuggire alle funeste influenze che ci allontanano dal bene.
Abbiamo bisogno di qualcuno che ci stenda la mano per condurci. Pur facendo ogni sforzo
per toglierci dal male, invochiamo l’aiuto di altri. A chi chiederemo aiuto? A questo od a
quello senza preferenza o distinzione? No. Cerchiamo invece, fra coloro che ci circondano,
quelli, la cui vita è una lezione; quelli, che, dopo aver detto ciò che dobbiamo fare,
confermano le parole con le azioni; quelli che, insegnandoci ciò che dobbiamo evitare, hanno
cura di non lasciarsi mai sorprendere nelle mancanze che riprovano. Insomma scegliamo una
guida che possiamo ammirare contemplandola più che non ascoltandola!» (2).
Anche dopo l’istituzione del sacerdozio esistono guide spirituali, che non sono sacerdoti;
senza contare, infatti, la direzione completamente profana del Montaigne verso La Boétie, o
del Voltaire verso Federico II, potremmo citare il medico Hamon e le sue relazioni con Porto
Reale (3); il Pascal e la signorina De Roannez; l’ufficiale di cavalleria Gastone di Renty e il
Carmelo di Beaune (4); Enrico di Bernières e sua sorella Giordana, priora delle Orsoline.
Né sono soltanto gli uomini a dirigere (5); anche le donne lo possono fare e lo fanno, e talora
con un’arte consumata, come per esempio: Elisabetta Leseur o Maria Antonietta de Geuser
(6). Altre volte si avrà persino il caso di donne che guidano sacerdoti nelle vie di Dio. Quanti
esempi non si potrebbero raccogliere a questo proposito nelle lettere di S. Caterina da Siena?
E, più vicino a noi, è pur vero che l’abate Lacordaire, dopo la condanna dell’Avenir, trovò
utile direzione e conforto presso la signora Swetchine:
«Grazie a voi – egli scrive – attraversai questo sentiero angusto ciò che mi mancò prima di
voi, non fu tanto l’amicizia quanto il consiglio… non ho trovato un uomo, a cui confidarmi.
Voi siete la prima che mi abbia guidato» (7).

Avverrà pure che persone, più o meno indicate e adatte allo scopo, si erigano a guida di altre
anime: e avremo così celebri scrittori di romanzi, che dispensano consigli; corrispondenze
introdotte per insegnar a volere, ad esercitare la memoria, a sviluppare la personalità; giornali
e riviste, più o meno audaci o bene intenzionate, nelle quali, sotto il velo dell’anonimo o dello
pseudonimo, alcuni oscuri scrittori o scrittrici arrischiano certe pseudo-direzioni, sovente
indiscrete, qualche volta anche immorali (8).
Più che non altri, i medici, specialmente gli psichiatri, possono essere autorizzati a fare da
guida. Se è vero,
che per un direttore sacerdote è utile il non ignorare certi dati della scienza medica è
ugualmente vero che un medico ci guadagnerà nel possedere alcune qualità del direttore (10).
Rimane, tuttavia, sempre certo che la missione di direttore è propria in primo luogo del
sacerdote; anzi, chi prenda la parola in senso stretto, è propria esclusivamente del sacerdote.
Questo dipende dal fatto, che il ministero della direzione non è se non una estensione normale
del ministero della confessione e che solo il sacerdote è abilitato a confessare. La missione del
tribunale di penitenza non si riduce tutta ad ascoltare l’enumerazione dei peccati e a dare
l’assoluzione; ma il sacerdote, scorgendo per una parte i bisogni di colui che si accusa e per
l’altra le vie del Signore su quell’anima, che si trova in stato di tentazione o di riabilitazione, o
è sollecitata dal desiderio del bene – se capirà perfettamente la sua parte, si sentirà spirito a
dare qualche consiglio, cioè a «dirigere». E chi meglio di lui sarebbe adatto a cosi delicato
lavoro?
Veramente, non vi è che una sola guida per le anime: Dio. Dio parla per mezzo dì Gesù
Cristo; Gesù Cristo per mezzo della Chiesa; la Chiesa per mezzo dei suoi ministri, i sacerdoti,
nota giustamente l’Olier:
«Non soltanto il sacerdote riceve la grazia da nostro Signore; ma per cosi dire, non c’è nella
Chiesa che un sol prete, Gesù Cristo. Così possiamo anche dire che nella Chiesa non vi è se
non un direttore solo, cioè ancora Gesù Cristo. Egli solo vuol condurre tutti i fedeli per mezzo
dei ministero dei sacerdoti ed essere in tutti i direttori per governare le anime a loro affidate»
(11).
Praticamente: mentre il ministero della confessione ha per iscopo di rimettere nelle anime lo
stato primiero di grazia dopo il peccato, il ministero della direzione mira in modo particolare,
benché non esclusivo, alla guida delle anime, viventi abitualmente lontane dal peccato e
desiderose di servir Dio con maggiore intensità.
A questo proposito Mons. Dupanloup scriveva una bellissima pagina:
«Diciamo francamente che cosa è il confessore e che cosa è il direttore, e quale differenza
passi fra uno e l’altro. Il confessore dà l’assoluzione; pensa ai peccati, che gli vengono
confessati, li valuta, li giudica, dice ciò che è bene e ciò che è male in conformità alla legge di
Dio; ciò che è permesso e ciò che è vietato. Pesa le disposizioni del penitente, e quando le
riconosce buone, pronuncia la sentenza di assoluzione ….. Considerando il precetto divino
soltanto nei suoi termini rigorosi: “i peccati saranno rimessi a coloro, ai quali voi li
rimetterete”, possiamo fermarci qui e accontentarci di arrivare all’assoluzione, e non pretendo
affatto dire che la direzione sia necessaria, come la confessione. Ma il ricevere l’assoluzione
dei propri peccati costituisce forse il solo bisogno dell’anima, il solo soccorso che il ministro
di Dio possa accordare? Non osserviamo forse spesse volte, che l’accusa dei peccati trascina
ad altre confessioni, estende il cerchio delle confidenze, di modo che l’azione stessa del
confessore lo conduce ad essere non solo giudice, ma medico o consigliere? Ecco la direzione
unita necessariamente alla confessione; ogni confessore, se è zelante, diventa più o meno
direttore.
«E questo è tanto vero che la maggior parte dei biasimi che si fanno alla direzione o piuttosto
all’abuso della direzione, potrebbe essere diretta contro la confessione. Eppure, la confessione
è di istituzione divina…
Posso dire della vita spirituale ciò che venne detto della vita materiale. La direzione è un
elemento superfluo molto necessario. Infatti, non è detto soltanto «declina a malo»; ma è
anche detto «et fac bonum», Ecco il vero campo della direzione, se vogliamo distinguerla
dalla confessione; è quello cioè della virtù e della perfezione, Il confessore assolve, il direttore
consiglia. Credete voi che in quest’ordine di cose il ministero sacerdotale non abbia proprio
nulla da fare? Ascoltiamo il Fénelon: «È sempre vero che la funzione di condurre le anime a
Dio è il ministero di vita confidato agli Apostoli da Gesù Cristo. La direzione è dunque una
missione divina e non è mai lecito disprezzarla, per quanto uomini, indegni di cosi alta
funzione, possano avvilirla e disonorarla. Non dobbiamo fare della direzione un mistero; essa
consiste nel ricevere un consiglio per tendere alla perfezione. E chi non ha bisogno di
consiglio?» (12).

Se abbiamo veramente capito in che consista l’importanza di questo ministero, che bisogno
abbiamo di dilungarci in inchieste? La funzione di pastore in generale e la direzione delle
anime in particolare, San Gregorio Magno non ha esitato a chiamarle: «Ars artium», l’arte per
eccellenza. E il Cardinale Bérulle, facendo eco alla parola conosciuta di S. Francesco di Sales:
«Un’anima sola è una diocesi sufficientemente vasta», scriveva nel suo Memoriale diretto ad
aiutare i confratelli dell’Oratorio a guidare coloro, che ad essi ricorrevano: «Dirigere
un’anima è dirigere un mondo, un mondo che ha più segreti e diversità, più perfezioni e rarità
che non il mondo che vediamo. Un’anima sola, davanti a Dio, pesa più che non il mondo
intero»

***

Posta la relazione che abbiamo veduta fra direzione e confessione, si comprenderà facilmente
come sia più vantaggioso che la stessa persona assuma e la funzione di confessore e quella di
direttore; e il P. Grou, nel suo Manuale delle anime interiori, osserva giustamente:
«Non si dovrebbe distinguere il confessore dal direttore più che non si distingua il medico,
che guarisce i malati, da colui che prescrive i rimedi per la salute».
Mons. Camus, vescovo di Belley e amico di S. Francesco di Sales, espone arditamente questo
paragone assai originale:
«Se due cavalli tirano una carrozza e non sono bene ammaestrati e non vanno di ugual passo,
vi è pericolo che si sbandino uno da un lato e l’altro dall’altro, rovesciando e sfasciando la
vettura. Nello stesso modo se un povero cuore è stiracchiato e come spezzato da due correnti
contrarie, che cosa può sperare se non di trovare un supplizio là dove avrebbe dovuto trovare
consolazione e indirizzo alla grazia?» (13).

Non si deve tuttavia esagerare, perchè può avvenire che il confessore sia lontano e che
convenga ricevere l’assoluzione da un altro sacerdote; dal 1604 al 1610, S. Francesco di
Sales, per esempio, non confessò Santa Giovanna di Chantal che quattro o cinque volte.
Possono anche venire in gioco questioni di simpatia o di competenza; e lo spirito della santa
Chiesa, ancor più accentuato dopo l’ultima revisione del Diritto Canonico, è di lasciare alle
anime la più grande libertà. Alcuni sacerdoti oltrepassano quindi i loro poteri costringendo,
almeno moralmente, coloro, che si indirizzano ad essi, a non rivolgersi ad altri.
Ma se il confessore e il direttore sono, per necessità. due persone distinte, non sorge forse una
grave difficoltà pratica? – Una penitente dell’abate Frémont, obbligata, a cagione della
lontananza da lui, che l’aveva convertita, a rivolgersi ad un altro prete, gli chiese una volta
come doveva comportarsi verso il confessore che aveva sul luogo:
«Come potrò far armonizzare la sua autorità con la vostra? Se non avessi un confessore già
scelto, cioè se fossi sconosciuta al mio confessore d’occasione, la vostra autorità resterebbe
unica e a questo ci tengo sopra ogni cosa. Ma agendo così, mi priverei di un aiuto immediato,
qualche volta necessario e di una consolazione nel mio isolamento».

L’abate Frèmont le rispose:


«Avete bisogno di avere un direttore di coscienza vicino a voi. Scriverò a Monsignore di
indicarmi un sacerdote, al quale voi possiate confidarvi. Non temete che vi siano lotte fra le
due direzioni. Spesso saranno d’accordo; se per caso non lo fossero, la vostra coscienza, dopo
una preghiera a Dio, troncherà da sola ogni difficoltà. Conservate del protestantesimo
l’abitudine di lasciarvi guidare dalla coscienza sotto lo sguardo divino. Il cattolicismo nel
darci un confessore non volle sopprimere l’azione diretta della nostra coscienza, ma volle
fortificarla, rischiarandola maggiormente. Le due luci, quella del direttore e quella del
penitente, devono unirsi senza che la prima offuschi la seconda. Ricordate bene questa
raccomandazione perchè è assai importante. In ultima analisi è sempre a ciascuno di noi che
spetta prendere energicamente tutta la responsabilità dei propri atti» (14)
Questa ci pare saggezza giudiziosa. Aggiungiamo che confessore e direttore dovranno essere
obbligatoriamente due persone distinte, nel caso contemplato dal diritto ecclesiastico nel
Canone 891, e cioè nei conventi e istituti religiosi i superiori o maestri dei novizi, che
ricevono, data la loro carica, il rendiconto di coscienza, non devono essere, salvo eccezione, i
confessori dei loro subordinati; affinché vi sia separazione fra le due giurisdizioni: quella
interna e quella esterna; perchè è necessario che il Maestro dei novizi o il superiore non siano
legati dalla conoscenza acquistata al confessionale, quando, per esempio, si trattasse di
rimandare un soggetto o di obbligarlo a partire.

Giunti a questo punto, è forse opportuno toccare un argomento assai delicato. Non è raro, che
un certo numero di persone, invece di rivolgersi ai sacerdoti della propria parrocchia, che
sembrerebbero tuttavia i più immediatamente indicati, preferiscano cercare altrove la loro
guida spirituale. Il Ribet, che tratta eccellentemente la questione nella sua Ascétique
Chrétienne si esprime così:
«Invece di consigliate ai cristiani desiderosi della propria perfezione di scegliere il loro
direttore fra mille, non sarebbe meglio indicare ad essi i loro rispettivi pastori come le guide
provvidenziali, che hanno la grazia per guidarli?».

E risponde:
«Corne principio, è augurabile che le anime trovino intorno a se i soccorsi spirituali di cui
hanno bisogno; ed è l’ordine della Provvidenza che si rivolgano di preferenza, tanto per la
confessione che per la direzione, ai sacerdoti che hanno l’incarico ufficiale di pastori. E
questo è tanto più desiderabile, in quanto che per il maggior numero di persone il non avere
là, dove si trovano e dove vivono, la guida necessaria, equivale ad esserne prive quasi del
tutto. Ma se non la si trova là, dove pur si dovrebbe trovare, perchè biasimare che si vada a
cercarla altrove? Le anime si trovano da per tutto; i buoni direttori invece son rari, secondo il
parere dei Maestri più autorevoli nelle vie spirituali. Orbene questo non equivale forse ad
invitare ciascuno a cercare nella moltitudine, vicino o lontano, la guida che gli conviene? La
Chiesa lascia la più ampia libertà per la confessione sacramentale; a maggior ragione la lascia
per la direzione spirituale» (15).

Conviene aggiungere che talvolta certe anime si sentono a disagio nel confidarsi ai sacerdoti,
coi quali, a cagione del servizio parrocchiale, hanno frequenti relazioni. È chiaro ed è da
augurarsi che la fede sia cosi grande da far sormontare queste difficoltà; ma poiché di fatto vi
sono e possono in certo modo paralizzare l’indipendenza e la piena confidenza, la Chiesa
preferisce lasciare libera la scelta. Certo la storia dimostra come, sotto l’influenza giansenista,
le gelosie di influenza tentarono di armare contro la direzione dei religiosi parte del clero
secolare; e quelle non sono evidentemente pagine gloriose. A centinaia si contano i libri
giansenisti grandi e piccoli, scritti molto meno allo scopo di sviluppare il culto e il retto spirito
parrocchiale, che non con l’intenzione evidente di combattere il ministero dei regolari (16), di
vuotare le loro chiese e il loro confessionali (17). Lasciamo queste Competizioni meschine; se
vi deve essere una rivalità fra parrocchie e chiese di regolari, sia questa una rivalità di santità
(dunque di distacco) e di competenza.
***

A che grado di segreto è obbligato il sacerdote per rispetto o ciò che concerne la direzione
spirituale? Nel caso di confidenze fatte in confessionale, tutto ciò, che si riferisce alla
confessione dei peccati, resta sotto il segreto sacramentale. Gli atti di virtù del penitente non
cadono per se stessi sotto il suggello del segreto; vi cadrebbero indirettamente, se il penitente
non ne avesse parlato che per meglio spiegare i suoi peccati; in pratica però, s’impone il più
rigoroso silenzio, a meno che il penitente non ne sciolga il direttore, perchè non si tratta di
segreto sacramentale propriamente detto, ma tutt’al più di segreto confidato o segreto naturale
(18).
Se si tratta di confidenze avute fuori di confessione, non c’e «sigillo sacramentale»: ma
sussiste l’obbligo di una discrezione assoluta in virtù della legge del segreto confidato o
naturale, come si disse più sopra.
Dopo la morte degli interessati, può il direttore svelare le grazie ed i meriti di un penitente o
di una penitente? Pare di sì, quando si tratta di edificare il prossimo. Alcuni autori, tuttavia,
propendono a consigliare il silenzio se si tratta di particolari avuti in confessione.
Nei processi di beatificazione la testimonianza del direttore può venire richiesta e Benedetto
XIV dice che la si deve esigere, quando è possibile, benché questa deposizione non sia
sufficiente da sola (19).

NOTE

(1) Grou, Manuel des âmes intérieures, Parigi 1895. p. 109.


(2) Lettere a Lucilio, Lett. II, – Interessanti particolari sulla direzione spirituale presso gli
Indù si trovano nelle «Mémoires» di Gandhi. Il Mahatma dice che cercò lungamente – senza
averlo ancora trovato – un maestro- per la sua anima. Questi si chiama Gurù: «Credo alla
téoria indú del Gurù ed alla sua importanza spirituale. Vi è una gran parte di verità nella
dottrina che trova indispensabile l’aiuto del Gurù per raggiungere una vera conoscenza. Un
maestro imperfetto, quando si tratta di studi superficiali, è, strettamente parlando, tollerabile;
ma un maestro imperfetto non può venir accettato, quando si tratta di spiritualità. Solo chi è
maestro perfetto di sapienza spirituale può venir eletto Gurù. Per giungere alla perfezione
sono necessari sforzi costanti, perchè ciascuno ha il Gurù che sì merita; e il nostro dovere
umano è una lotta senza tregua e senza fine per giungere alla perfezione» (Vie de Gandhi par
lui méme, trad. di Georgette Camille, Rieder, pag. 93).

(3) Sull’Hamon, direttore delle suore di Porto Reale e specialmente di Angelica Arnauld, Cfr.
Cecile Gazier: Ces Messieurs de Port Royal (Perrin, 1922, pp. 186-190). Su Singlin (pag.
1055) aggiungiamo un’osservazione giustissima di L. Navatel: «La direzione spirituale di
Porto Reale è un angolo ancora inesplorato. Quanti nomi illustri, quante amabili figure vissero
sotto la disciplina religiosa di questi uomini così severi e arcigni!» (Fénelon et la confrérie
secrète du pur amour, Emile-Paul 1913, p. 59). Utili indicazioni si trovano nel t. IV del
Bremond, Histoire du sentiment religieux en France, Pott-Royal.
(4) P. Bessières, G. de Renty et Henry Buch, Spes, pp. 312-332.
(5) In alcune congregazioni, specialmente femminili, dove si pratica l’apostolato con gli
esercizi chiusi (Dames de la Retraite, Cenacolo Maria Riparatrice, Ausiliatrici del Purgatorio,
ecc.), alcune religiose possono essere chiamate ad aiutare le anime nelle vie di Dio. È chiaro
che è necessaria una certa discrezione per non entrare nel campo del sacerdote. Del resto
queste suore, chiamate a sentire certe confidenze, sono le prime a rimandare al sacerdote che è
la sola persona abilitata a risolvere quanto riguardi la – questione «peccato».
(6). Leseur, Vita; Id., Vita Spirituale; Id., Lettere agli increduli, Id., Lettere sulla sofferenza;
Id., Diario d’una bimba; tutti editi dalla Casa Ed. Marietti, Torino. Così pure:
Plus, Consummata: I. Vita di Maria Antonietta de Geuser; II. Lettere e scritti spirituali –
Marietti, Torino.
(7) Rouet de Journal, Madame Swetchine.
(8) Basterebbe già il semplice buon senso a mettere in guardia contro le direzioni di coscienza
anonime e pseudonime, provenienti da persone sconosciute, senza preparazione, senza
responsabilità, a volte senza principî, spesso senza fede né pratiche religiose, e abandonate a
tutte le divagazioni delle loro fantasie.
(9) Sopra tutto quando egli si uova in presenza di fenomeni, che rivestono un carattere
patologico (scrupoli, introspezioni, perpetui esami, o anche estasi, stimmate, ccc,).
(10) Non esiste forse un cerca parallelismo fra le Industriae ad curandos animi morbos, del P.
Aquaviva, per esempio, e lo studio delle Psychonévroses, del Dubois o delle Maladies de la
Volonté del Ribot?
(11) L’esprit d’un directeur des âmes, o massime e pratiche dell’Olier. concernenti la
direzione: opera raccolta dalle conversazioni e dalla condotta dell’Olier dal De Bretonvilliers,
riveduta dal Tronson, Paris, Poussielgue, 1859, pp. 23-25.
(12) E. Faguet, Mons. Dupanloup, p. 190 (Ed. Hachette).
(13) Le directeur spirituel désintéressé, Paris, 1631, p. I, pag. 9.
(14) Histoire d’une direction. Correspodance de l’Abbé Frémont et de la
Comtesse d’A… I, 10 (Bloud et Gay).
(15) Ribet, Ascétique Chrétienne, pp. 367-368.
(16) Che non si disse specialmente contro i Gesuiti, quando furono scelti quali confessori o
direttori alla Corte sono Luigi XIV? I libelli del tempo, e le Provinciali di Pascal, parlano di
bassi intrighi o di disonorevoli concessioni per giungere a captare quei posti di vedetta. La
storia esatta dimostra invece la ripulsione della maggior parte di quei religiosi per quel
temibile ministero. Non vogliamo entrare in questo problema storico, che interessa soltanto
gli specialisti; e ci limitiamo a rinviare alle testimonianze delle Mémoires sur la destruction
des Jésuites en France par un auteur désintéressé, dove il d’Alembert, che ne è l’autore, dice
espressamente così (pp. 130-131): «I Gesuiti… questi uomini, che si aveva tanto accusati di
morale rilassata, rifiutarono di ricevere sotto la loro direzione (a Versailles) persone Potenti…
si alienarono con i loro scrupoli… le persone della Corte, che avevano maggior credito…
questa mancanza capitale preparò da lontano il loro disastro… ».
(17) Cf. un interessante capitolo del P. Cros S. Jl. nel Confesseur de l’Enfance et de la
Jeunesse, Regnault. Tolouse, 1877, 3ª edizione, pp. 15-47. Per i confessori di Luigi XIV e di
Luigi XV, cfr.: Fullop-Miller: Il segreto sella potenza dei Gesuiti, Verona, Mondadori.
(18) Si paenitens secretum de huiusmodi rebus postulaverit vel aegre laturus est earum
revelationem, saltem viget lex secreti commissi vel naturalis (Genicot, Morale, t. II n. 387).
(19) Riguardo alla questione del segreto si trova una spiegazione assai chiara in
Ribet: Ascétique Chrétienne, pp. 353-354 – Il Confessore (che non sempre è il Direttore) a
norma del Can. 2027, § 2, non può essere ammesso quale testimone, nei processi di
beatificazione.

testo tratto da: Rodolfo Plus S.J., La direzione spirituale. Natura – necessità – metodo,
Torino: Marietti, 1944/2, pp. 5-23.

CAPITOLO II.
Natura e necessità della Direzione.

La direzione ha un triplice oggetto: illuminare lo spirito, aiutare la volontà, consolare nelle


pene.
Prima di tutto: illuminare lo spirito, scoprire all’anima le mire di Dio sopra di lei. È fuor di
dubbio che ogni anima fervente sa di dover aspirare alla perfezione secondo il detto del
Vangelo: «Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre Celeste»; ma non sempre vede con
quali mezzi particolari e conformi alla propria grazia debba attuarla. Sopratutto quando si
tratta di scegliere e determinate lo stato di vita o di prendere importanti decisioni, o di
sottomettere a controllo un modo di orazione o di praticare questa o quella penitenza, una
guida è sommamente preziosa.
F. Strowski definisce con molto buon senso come essenziale nella direzione la parte
«illuminativa»:.
«La perfezione consiste nell’attuare il meglio possibile, ciascuno con mezzi differenti e con
personalità differente, un ideale divino. E quantunque questo ideale sia uguale per tutti, ci
sono tuttavia tante perfezioni quanti sono i perfetti. Il primo dovere di un direttore di
coscienza è di insegnare, a chi vuol diventare perfetto, in che consista questa perfezione
generale e universale, che è il modello comune, e poi qual è la perfezione particolare alle sue
disposizioni, la perfezione, personale, che ciascuno attua secondo la propria personalità. Il
secondo dovere è d’insegnare a questo cristiano, che vuol essere perfetto e che ora conosce il
suo scopo, i mezzi per raggiungerlo. Anche qui vi saranno istruzioni generali e istruzioni
individuali. La confessione, l’esame di coscienza, la meditazione saranno consigliate
generalmente a tutti; ma vi saranno avvertimenti speciali per una vedova, altri per una sposa,
ecc. ecc.; anzi anche nelle medesime condizioni di vita, le anime non si rassomigliano;
ciascuna ha la sua differenza particolare; a ciascuna quindi conviene una pedagogia
particolare» (1).

Un’altra ragion di essere della direzione è quella di fortificare la volontà. Insegnare la via è
cosa ottima, ma si deve anche aiutare l’anima a munirsi del viatico necessario lungo il
cammino. Fra il numero ristretto di persone, che vedono chiaramente ciò che il Signore vuole
da loro, quante ve ne sono che hanno il coraggio di attuare in se stesse il disegno di Dio! Non
basta vedere, dobbiamo volere. Il secondo scopo della direzione è dunque di insegnare e
aiutare a volere.
«Non sembra che per ora abbiate bisogno di consigli» – scrive Mons. Gav a una delle anime
da lui dirette – «la vostra vita è cosi semplice e il sentiero sul quale dovete camminare è già
tracciato! C’è piuttosto da sostenervi, che non da condurvi» (2).

Resta il terzo scopo della direzione, che è di portare consolazione spirituale alle anime.
Molti, specialmente le donne, credono che questo sia l’unico scopo della direzione. No; e da
questo errore provengono molti abusi: il bisogno intemperante di farsi compatire e di sentire
parole che calmano, lettere interminabili o visite esagerate, e per la lunghezza e per la
frequenza, al direttore, non già per ricevere un ordine – questo si ha già da tempo – ma per
sentire la centesima volta una parola che imbalsama il cuore… per qualche giorno. Vi
insisteremo più oltre, trattando della direzione delle donne.
Se la direzione non ha per unico scopo la consolazione, non si esclude però che il consolare
non entri per buona parte in questo ministero. Lo Spirito Santo, il principale, l’unico Maestro
e guida delle coscienze, volle essere chiamato «consolator optime»; e a questo proposito
Mons. Gay scrive:
«Quando sarete molto afflitta venite da me; da me stesso non sono capace di farvi il minimo
bene; ma nostro Signore me ne renderà capace e ve ne farò per merito suo».
Il P. Faber ci dà la regola esatta:
«Non dobbiamo andare dal nostro direttore solo per chiedere consolazione; sarebbe un essere
avidi e pusillanimi nel medesimo tempo. La direzione spirituale ha per iscopo di elevare
l’anima dell’uomo, e tuttavia essa produce molto spesso l’effetto contrario. Perché mai?
Perché dimentichiamo che, come tutto ciò che concerne il servizio di Dio, essa deve essere
prima di tutto ragionevole» (3).
Necessità della direzione.

Quando si parla della necessità della direzione, non si tratta di una necessità cosi stretta che
sia sotto pena di peccato, o renda altrimenti impossibile la salvezza eterna.
«Come si santificarono tanti eremiti nelle grotte e nei deserti, dove non c’erano altri direttori
che gli uccelli e le piante? Quando manca il direttore… Dio fa tutto; Dio non può rifiutarsi a
chi lo cerca di tutto cuore!» (4).
S. Vincenzo de’ Paoli professa la medesima dottrina; là dove mancano gli uomini, incomincia
il soccorso di Dio. Scrive infatti a suor Giovanna Lepeintre, rimasta priva per qualche tempo
del direttore:
«Se Dio permette che non abbiate un padre spirituale, a cui possiate ricorrere in ogni
circostanza, credete forse che questo avvenga per privarvi della direzione di questo Padre?
No. Al contrario, nostro Signore ne prende il posto e ha la bontà di dirigervi. Pare che lo abbia
fatto finora; non temete dunque che non sia per farlo anche per l’avvenire o non vi provveda
altrimenti».

Il caso non è isolato:


«Ho sempre notato» – scrive ancora il santo – «la cura particolare che la Provvidenza si
prende di certe persone pie, prive di tale aiuto da parte degli uomini e potrei indicarvi una
quantità di magnifici esempi e dirvi cose mirabili su questo argomento!» (5).

Il P. de Foucauld, trovandosi nel deserto del Sahara, stette un anno intero senza vedere un
confessore.
Non pretendiamo neppure che la necessità della direzione debba essere uguale per tutti, e
uguale per la stessa anima in tutte le epoche della sua vita.
«Santa Caterina da Genova nel momento, che essa chiama della sua conversione, senti un
gran bisogno di direzione spirituale; più tardi nostro Signore stesso la diresse per ben
trent’anni; e poi verso la fine della sua vita, entrò in vie straordinarie molto ardue, che le
fecero sentire nuovamente la necessità di una direzione molto regolare» (6).

Il problema, invece, è questo: la direzione è una cosa di lusso o un bisogno reale dell’anima?
Rispondiamo: è un bisogno reale dell’anima. Potremmo addurne in prova prima di tutto il
fatto, che il sacramento della penitenza, profondamente percepito, se non comporta, a rigor di
termini, la direzione, almeno l’insinua e la suppone; e poi la chiesa non autorizza, forse, e non
consiglia nelle comunità religiose il rendiconto di coscienza?
Conviene però insistere, per provare la necessità della direzione, su altri argomenti, ed in
primo luogo sulla testimonianza dei maestri spirituali più autorevoli.

***

Non è il caso di citare qui molti testi; ci limiteremo a qualche nome.


Degli antichi possiamo mettere in prima linea, fra i greci, le chiare parole di S. Giovanni
Climaco (7), e fra i latini quelle di Cassiano (8); il quale, come molti altri, vede rappresentato
l’ufficio del direttore dì anime nelle relazioni fra Samuele ed Eli (9), tra Cornelio e S. Pietro
(10), tra Paolo ed Anania (11). La prova, naturalmente, non è che di analogia.
Quando si tratta di testimonianze di autori anteriori al secolo XVI (S. Basilio, Sant’Ambrogio,
S. Bernardo ecc.), si deve notare che si parla il più sovente della direzione in quanto
necessaria ai monaci. Sovente, ma non sempre, come ne fanno testimonianza S. Gerolamo
scrivendo a Paola; Sant’Agostino dirigendo vergini, vedove e donne maritate. San Luigi [IX,
re di Francia] raccomandava a suo figlio: «Confessati di frequente, scegli un confessore
idoneo, che sia prudente e che ti possa insegnare con sicurezza ciò che ti è necessario» (12).
Anche là dove si tratta dì consigli dati a religiosi, i termini adoperati sono tanto larghi che
possono convenire, fatta la debita proporzione, anche alle persone del mondo. Secondo
Gersone la direzione è utile almeno per il caso, in cui uno percorra le vie della mistica (13).
Soltanto a partire dal secolo XVI noi troviamo consigliata in modo generale (14) la pratica
della direzione tanto alle persone del mondo, quanto alle anime religiose. Due cause
influirono su questo risultato: da una parte la pratica dei Ritiri Spirituali accreditati
dagli Esercizi di S. Ignazio, e le formali insistenze dei primi autori ascetici della Compagnia
di Gesù (15); dall’altra i consigli di S. Francesco di Sales (16): «Cercate un uomo dabbene
che vi guidi e vi conduca; questo è il consiglio dei consigli». Da alcuni particolari della vita di
S. Giovanna di Chantal possiamo dedurre che ai suoi tempi le stesse persone pie non
pensavano affatto a farsi dirigere; tanto che le fu necessaria un’ispirazione dall’Alto, perchè vi
pensasse. E confessa:
«Quantunque fossi stata educata da persone virtuose, tuttavia non intesi mai parlare di
direttore spirituale, né di alcuna cosa simile» (17).

In seguito, invece, l’invito a cercarsi un direttore diventa frequente negli autori spirituali.
Sant’Alfonso de’ Liguori, nella sua Morale e nelle sue Lettere ne parla esplicitamente; il
Godinez è persino di una forza, che alcuni trovano eccessiva;
«Su mille persone che Dio chiama alla perfezione, appena dieci corrispondono; e su cento,
che Dio chiama alla contemplazione, novantanove mancano alla chiamata. Questo è il motivo,
per cui io dico: molti sono ì chiamati, ma pochi gli eletti. Invece di esagerare le difficoltà di
quest’impresa e di appellarsi cosi tanto alla debolezza umana, si deve riconoscere che una
delle cause principali è la mancanza di Maestri spirituali. Guai alle comunità religiose, in cui
mancano questi Maestri, o che, avendoli, non sanno riconoscerli o stimarli. Dopo la grazia di
Dio, essi sono i piloti che guidano le anime su questo mare sconosciuto della vita spirituale. E
se nessun’arte e nessuna scienza, per semplice che sia, noi possiamo imparare senza l’aiuto di
un maestro che l’insegni, molto meno potremo imparare l’alta saggezza della perfezione
evangelica, nella quale s’incontrano misteri cosi profondi; visioni e rivelazioni cosi ambigue;
rapimenti ed estasi che possono provenire da Dio o dal demonio; e dove le virtù morali,
scostandosi dal giusto mezzo per eccesso o per difetto, possono diventare vizi; il balsamo
dell’orazione può divenire un veleno di perdizione; le visioni possono essere semplici
illusioni, e un’anima può lavorare molto e guadagnare poco. Per questo, io considero
moralmente impossibile che, senza miracolo o senza maestro, un’anima possa per il corso di
lunghi anni attraversare quello che vi è di più elevato e di più arduo nella vita spirituale senza
correre il rischio di perdersi. Orbene, quanto Iddio, e nemico dei miracoli che non considera
necessari, altrettanto ama che coloro, i quali si applicano a vivere dello spirito, abbiano un
padre spirituale, nelle cui mani rimettere ed affidare le loro azioni, la loro volontà, i loro
piaceri, senza confidare ne poco ne tanto in se stessi. Nella Chiesa trionfante gli angeli si
trasmettono l’un l’altro le verità che contemplano; ed è dunque beneplacito di Dio che nella
chiesa militante gli uomini s’istruiscano fra dì loro senza ricorrere al miracolo degli angeli»
(18).

Più vicino a noi troviamo il Faber, il Saudreau, il Marmion e molti altri.


«Allorché gettiamo uno sguardo sulla moltitudine delle anime pie, che cosa eccita in noi il più
vivo rincrescimento? E vedere come la grazia venga dissipata e i grandi principî spariscano
gli uni dopo gli altri, e il constatare la fragilitá dei più nobili disegni. Orbene la maggior parte
di questi mali ha per causa la mancanza di un direttore spirituale. Potremmo dire di più per far
capire l’importanza di tale guida? Tutti i santi hanno un’unica opinione a questo riguardo;
avere un direttore, essere schietti con lui, ubbidirgli senza scrupolo e senza sforzo. Raggiunto
questo, possiamo dire di essere mezzo vincitori nel combattimento della vita spirituale» (19).
«Quanti pagani potrebbero salvarsi e tuttavia non opereranno la loro salvezza se non
incontreranno qualche missionario pieno di zelo! Cosi pure, quanti fedeli chiamati alla
perfezione non la raggiungeranno per mancanza di una guida illuminata!» (20).
«È secondo l’ordine della Provvidenza di nostro Signor, che siamo guidati non per mezzo di
visioni o ma da quegli uomini, che Egli si è degnato di darci a questo scopo; ed per mezzo
della loro bocca che Egli: vuole parlare a noi» (21).

***

Anche non avendo tutte queste testimonianze, sarebbe sufficiente, per comprenderne la
sovrana opportunità in una vita spirituale ordinata, esaminare ciò che è la direzione in se
stessa.
Prendendo la cosa in largo senso, esistono tre categorie di anime: I principianti (via
purgativa); i proficienti (via illuminativa); i perfetti (via unitiva). Ora per ciascuna di queste
tre vie la direzione si dimostra indispensabile.
Via Purgativa: Senza tirocinio né consiglio, nessun mestiere potrà essere praticato seriamente
e rapidamente; orbene: il «mestiere» di servir Dio non è sempre facile. Per imparare a lottare
contro le tentazioni, veder chiaramente e tener fermo dinanzi alle occasioni del peccato,
adattarsi al dovere e alle virtù che s’iniziano, che cosa vi è di più utile quanto l’avere una
guida vicino a sé? Di consigli buoni ne troviamo certamente nei libri; ma prima di tutto
dovremmo consultarli, sceglierne i più adatti, ed anche allora nulla potrà supplire una guida
orale.
Per i giovani specialmente la direzione spirituale è indispensabile: «L’assistenza, e assai
frequente, di un sacerdote all’inizio della vita spirituale è altrettanto indispensabile che quella
di un maestro durante i lunghi anni di formazione intellettuale. Questa è la legge comune, e
gli autodidatti non fanno che confermare questa regola. Quanti giovani imprudenti
eviterebbero i lamentevoli naufragi della fede e di tutto il resto, se, quando sorgono loro
dinanzi le prime difficoltà, le prime nubi delle Passioni o dei dubbi, avessero il coraggio di
confidarsi a un sacerdote sperimentato! Invece spezzano con una premura insensata i legami
che avevano con lui, abbandonano l’uso della confessione, troncano di propria testa, da
giovani presuntuosi, i problemi più gravi della vIta religiosa e morale, e se ne vanno alla
deriva! Poveri ragazzi!» (22).

A volte si confidano e la loro confessione commuove! Claudio Bouvier che si farà più tardi
sacerdote, scrive: «Se avessi incontrato, specialmente durante la mia infanzia, un direttore
illuminato e forte, avrei trovato più facilmente la buona via» (23). Più fortunato, il Canisio
trova verso i quindici anni l’impareggiabile aiuto di uno dei suoi maestri:

«Tornando nuovamente a Nicolò Van Esche, mio confessore, o, meglio, padre mio, benedici
anima mia il Signore e non dimenticare mai le sue misericordie. Egli ti procurò un maestro
per formarti alla pietà, per eccitarti alla virtù e occuparti ogni giorno con zelo non dei tuoi
vani interessi, ma di ciò che hai di più intimo: la tua perfezione e la tua salvezza.
«Sotto la sua guida, imparai poco a poco a dispiacere a me stesso ed a piacere di più a Dio,
che nel fiore dei miei anni conoscevo poco e temevo ancor meno. I suoi consigli, la sua
sollecitudine, i suoi esempi mi aprivano gli occhi a una nuova luce e mi facevano intendere
una lingua nuova. Grazie alla sua influenza, spezzai la rigidezza della mia natura, dominai gli
scatti del mio carattere e i vani ardori della mia adolescenza. Contento di vivere nella sua
familiarità, sdegnai volentieri ogni altra attrattiva ed ogni altra relazione.
«Nessuna persona, almeno che io sappia, mi era più cara e più unita. Avevo per lui tutta la
deferenza che un padre può aspettarsi da un figlio. Non solo gli aprivo il mio cuore
interamente nel segreto nella confessione; ma ogni sera, prima di coricarmi, gli espnevo in
una conversazione familiare le cadute, le stupidaggini, e le macchie della mia anima; gli
rendevo conto delle mancanze della giornata e gli chiedevo anche di impormi una penitenza
per le mie mancanze…
« Ed a volte, quando rimanevo troppo tempo lontano da lui, egli mi scriveva per risvegliare il
mio zelo, correggermi delle negligenze, impedirmi di cadere e richiamarmi a lui!
«Servire Dio è regnare, mi ripeteva sovente; tutto il resto non è che vanità. Conoscere Gesù
Cristo è sufficiente; poco importa l’ignorare tutto quello che non è Lui».
Chi può dire che sarebbe stato del Canisio, senza il P. Van Esche?
Intorno alla questione assai grave dell’importanza di una direzione spirituale specialmente per
la scelta di uno stato di vita, non vi è persona che non ceda all’evidenza; crediamo quindi
inutile insistervi; altrove, del resto, si possono facilmente trovare bellissime pagine (24).

Via illuminativa. – L’anima che si decide a servire Iddio deve lottare contro il demonio,
contro i propri difetti e contro l’abitudine… Inoltre si può possedere un coraggio ardito ma
poca discrezione; quante pra tiche incoerenti o mal ordinate in alcune persone! Anche presso i
più illuminati e i più coraggiosi possono sorgere conflitti di doveri, problemi di coscienza. Chi
è senza aiuto, corre pericolo di far passi imprudenti o di dare in eccessi, per esempio, nella
mortificazione; o può darsi a contraffazioni equivoche, speciem quidem pietatis habentes,
virtutem autem ejus abnegantes (con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la
forza interiore; 2 Tim 3,5) o facilmente scivolare e fermarsi.

Nella via unitiva, poi, tranne forse che per le anime, le quali hanno raggiunto, di già lo stato di
unione, le illusioni sono molto facili. E poi in mezzo alle diverse notti, notte dei sensi e notte
dello spirito, non è forse una gran sicurezza e una gran consolazione l’aver vicino a se un faro,
un porto sicuro? Che avrebbero mai fatto in alcuni momenti della loro vita spirituale, per
esempio, una Luisa Marillac, se non avesse avuto i consigli di S. Vincenzo de’ Paoli, o S.
Margherita Maria senza il Padre de la Colombière? (25).
«È regola generale della Provvidenza che gli uomini, i quali il più delle volte non sono salvati
se non dal soccorso di altri uomini, non possano neppure giungere, quando vi sono chiamati, a
un grado più elevato di santità, se non sotto la guida di altri uomini…; coloro che tendono ad
una maggior perfezione, appunto perché seguono una via meno frequentata, sono più esposti
all’errore, ed hanno, per questo stesso fatto, bilsogno più degli altri di un maestro e di una
guida».
Così parlava Leone XIII al vescovo di Baltimoria (26), deprecando la tendenza
dell’americanismo di negare il giusto, fondamento della direzione sia in generale sia
sopratutto per coloro che si trovano nella via unitiva.

Ecco, ora, come il Ven. Libermann e Mons. Gay si esprimono a loro volta sull’utilità, in ogni
momento della vita spirituale, dell’appoggio di una direzione:
«Nel tempo dei primi desideri di darsi a Dio si è nella completa ignoranza di tutto ciò che si
riferisce alla santificazione dell’anima; non si sa neppure camminare a tastoni. In questo stato
si corre spesso pericolo di fare e di intraprendere cose che sono del tutto opposte alla volontà
di Dio e che, sovente, sono causa della perdita di queste buone anime. Nei primi tempi del
fervore della conversione non vi è follia, che un’anima non sarebbe capace di fare, se fosse
lasciata libera a se stessa; essendo tutta la sua condotta immaginaria e trovandosi in estrema
effervescenza, l’immaginazione la getta in gravi errori. Se queste anime non sono dirette,
prendono talora un indirizzo così falso, che finiscono con allontanarsi interamente da Dio. –
Nel tempo, in cui l’anima incomincia a progredire e segue un certo grado di orazione, essa
non può fare senza direttore, perchè non capisce il suo stato; va a tastoni e ciò non ostante
corre così presto da mettersi nel rischio di perdersi pericolosamente. – Quando poi incomincia
a stabilirsi solidamente, ha tuttavia ancor bisogno di direttore per non cadere nella tiepidezza,
allorché tutto segue il corso normale; per non sbagliarsi nel caso in cui si allontani dal
normale e finalmente per sostenersi nelle tentazioni quando verranno. – Le persone che sono
in uno stato straordinario hanno bisogno più delle altre di essere guidate e non devono mai
fidarsi dei propri lumi. Se non diffidano di se stesse, si confondono in ogni circostanza:
perchè pochi sono i casi, nei quali Dio si compiace di guidarle Lui stesso senza il socccorso di
un direttore» (27).
«Giunte ad un certo grado dì esperienza e dì unione con Dio» – scriveva ad un corrispondente
Monsignor Gay – «le anime riconoscono l’impulso divino e ne hanno percezione tanto più
chiara, quanto nella pratica sono più fedeli a seguirlo; ma oltre che, anche per queste anime
esperimentate, il controllo esteriore della Chiesa resta sempre l’elemento giudicatore, la
Chiesa osserva se l’impulso, e la moralità dell’atto che esso fa compiere, sono di origine
divina. Per le anime, che sono all’inizio, che hanno una natura ancora molto viva, sono
inclinate all’esaltazione e hanno tendenza all’eccesso, è assolutamente necessario che si
eserciti questo controllo e che esse agiscano dipendentemente, o almeno per consiglio. Il
vostro Padre spirituale deve dunque approvare ciò che fate, e dirvi se ciò che vi anima, viene
da Dio. «Esaminate gli spiriti per vedere se sono da Dio» dice S. Paolo; il che equivale a dire
che i fedeli devono fare esaminare il loro spirito dai rappresentanti di Dio sulla terra. In questo
caso non si ha un uomo che controlli Dio: è Dio, presente in ogni sacerdote, che rende
testimonianza a Dio, operante nell’interno delle anime» (28).
***
Una sapiente psicologia viene a sua volta a legittimare il bisogno, che hanno le anime, di
direzione. Gli spiriti illuminati, almeno in materia spirituale, sono così scarsi, e tanto rari sono
i temperamenti perfettamente equilibrati, le persone rettamente istruite! E anche in coloro, che
hanno un perfetto equilibrio e un sano giudizio interiore, non lascia di farsi sentire il bisogno
di appoggiarsi ad altri; sembra che, dopo la caduta, l’uomo abbia ricavato dalla sua
disubbidienza l’incapacità di agire altrimenti, se non ubbidendo: coloro stessi, che sono capaci
dì guidare gli altri, hanno sovente necessità per la loro coscienza di una guida versa da se
stessi.
«S. Francesco di Sales parla di alcune anime, che egli conosce bene e di una che non conosce
affatto. Quella che non conosce e la sua; lo psicologo più profondo non vede chiaro
nell’intimo di se stesso, o almeno non è mai sicuro di veder bene. Donde l’evidente necessità
di una guida che veda chiaro» (29).

Il Canonico Beaudenom, oltre il vantaggio di far praticare una forma molto meritoria di
ubbidienza e di radicare nell’umiltà, vede nella direzione i seguenti tre frutti:

1° – «Esponendo una situazione, la si chiarisce. La presenza di un ascoltatore ci stimola e la


necessità di farci capire semplifica le nostre idee;
2° – «Noi siamo troppo vicini a noi stessi per vedere bene; un altro, invece, si trova alla
distanza voluta. Quante illusioni parziali ci ingannano, mentre, sentite da altri, non ci
ingannerebbero! Vi sono persone molto abili nel dare consigli, che poi esitano dinanzi ad una
decisione personale. Altre, invece, hanno il torto dì non esitare abbastanza;
3° «La direzione dà coraggio e confidenza. Anche nelle decisioni più comuni, ogni persona
prudente conserva un lontano timore di sbagliare; questo timore viene interamente dissipato
dalla parola dei direttore: e così, liberato il cuore, sì agirà con ben altro entusiasmo» (30).
Troviamo l’elogio della direzione e il rimpianto di non poterne godere, come converrebbe,
anche presso coloro che non accettano le discipline cattoliche, o almeno comunemente non se
ne servono. G. Payot, nel suo libro abbastanza antiquato, ma dove possiamo raccogliere
alcune osservazioni di giudiziosa sapienza umana, biasima l’Università che non coltiva affatto
o almeno sufficientemente nell’educazione, che essa preconizza, il bisogno ed il gusto che
sentono i giovani di confidarsi.
«E’ un bisogno cosi umano» – scrive – «e la Chiesa cattolica lo soddisfa coi direttori di
coscienza. Oh se anche solo si sospettasse quale importanza possono avere una parola
d’incoraggiamento, un buon consiglio nelle ore benedette dei venti anni! Se l’Università
prendesse dalla Chiesa cattolica tutto ciò che la conoscenza del cuore umano ha suggerito a
questa prodigiosa istituzione, governerebbe senza contestazioni e senza rivalità l’anima della
gioventù» (31).

E sogna la direzione per mezzo dei professori!

NOTE

(1) F. Strowski, S. Francesco di Sales, Collez.: La pensée Chrétienne, pag. 48.


(2) Lettres de Direction Spirituelle.
(3) Progressi dell’anima nella vita spirituale (Marietti, Torino).
(4) Corresp. de S. Alph. de Líguori, t. I, p. 28.
(5) P. Coste, S.Vincent de Paul. Correspondance, entretiens et documents, Paris,
1922, Corresp. III, 614, 615, n. 1192.
(6) Chan. Decrouille, La Sainteté Sacerdotale, t. I, 22 entretien, p. 263. Giard, Lille.
(7) Scala Paradisi, Grad. IV, 5-12 (P. G., LXXXVIII, 68o-681).
(8) Collationes, coll. II, c. 1-13 (P. L. XLIX, 526-542).
(9) I Re, III.
(10) Atti, X.
(11) Atti, V, 7,
(12) Mémoires de Joinville, cap. ultimo.
(13) Pourrat, Spiritualité, t. II, p. 409.
(14) Prima di questa data qualche nome si trova: S. Vincenzo Ferreri, per esempio. Cfr. il
suo Traité de la Vie Spirituelle, tradotto dal P. Rousset, parte 2ª, cap. I, p. 35 e segg.
(15) Per esempio Alfonso Rodriguez, 1616: Pratica della perfezione e delle virtù cristiane, p.
III, tr. 7; Alvarez de Paz, 1620; De vita spirituali, t. 1, l. V, cap. 12-13; Ant. Le Gaudier,
1622; De perfectione vitae spiritualis, p. II, lect. 2; De christiana perfectione, l. I, cap. I.
(16) Introduzione alla vita devota, p. I, cap. IV.
(17) Cfr. Bremond, L’invasion mystique, p. 541.
(18) Théologie Mystique, l. 7, c. I, p. 271.
(19) Faber, Progressi dell’anima nella vita spirituale (Marietti, Torino).
(20) Saudreau, I gradi della vita spirituale, Milano, Vita e Pensiero, 1937, Vol. II, pp. 205 e
segg.
(21) Dom Marmion, Vie, scritta da Dom Thibaut.
(22) Lippert (trad, Henusse), Coeurs inquiets, Beyaert, Bruges, p. 124. Cfr. Charmot: L’áme
de l’éducation, la direction spirituelle, Spes, cap. III.
(23) Confessione dell’Abate Claude Bouvier. Vita scritta da Enrico Bouvier e Ippolito
Hemmer, Gabalda, p. 96.
(24) Per esempio in Charmot, Loc. cit., specialmente pp. 42, 49.
(25) Come San Vincenzo de’ Paoli difenda Luisa de Marillac contro le sue perplessità,
cfr. Vie de L. de M., scritta da E. De Broglie, p. 12, 59 (Gabalda). Come il P. de la Colombière
sia stato di un aiuto prezioso a Santa Margherita-Maria, cfr. Vie et oeuvres de la sainte (ed. de
Gigord, 1915, I, 174).
(26) Lettera del 22 gennaio 1899.
(27) Ecrits spirituels du Vénérable Libermann, pp. 355-6, Paris, Gaume, 1991.
(28) Lettres de direction, I serie, pp. 10 e 11.
(29) F. Strowski, Saint François de Sales, ediz. di: La Pensée Chrétienne, p. 49.
(30) Pratica progressiva della confessione e della direzione, (Marietti, Torino, 1944).
(31) L’éducation de la volonté, p. 258 (Alcan).

testo tratto da: Rodolfo Plus S.J., La direzione spirituale. Natura – necessità – metodo,
Torino: Marietti, 1944/2, pp. 24-43.

CAPITOLO III.
I limiti della Direzione.

Il titolo di questo capitolo potrà parere strano; possiamo forse essere troppo diretti?
Ecco di che si tratta: o si insiste troppo sulla necessità e sulla pratica della direzione, col
pericolo di dimenticare che il gran maestro dell’anima è pur sempre lo Spirito Santo e che
molto anime sono esposte le une ad una passività penosa, le altre ad una dannosa
introspezione, o si tende a dare alle anime troppa libertà di coscienza nel governo di se stesse,
col rischio d’incorrere nelle condanne della Chiesa (1).
La verità si trova in una saggia «via media», la quale, conservando allo Spirito Santo il
primato della direzione sulle coscienze, evita di lasciar cadere tutte le anime in un passività e
in una introspezione dannose, senza volerle però privare dell’immenso beneficio di una
direzione ben compresa.

I.

Contro coloro che sarebbero tentati di peccare per eccesso è necessario mantenere il Primato
che nella direzione spetta allo Spirito Santo.
Secondo l’Olier il direttore deve rassomigliare alla stella dei Magi, la quale «non apparve che
per far loro conoscere nostro Signore e condurli a Lui e poi subito scomparve». Può
ugualmente servire da modello S. Giovanni Battista, «il quale diceva pubblicamente di essere
mandato da Dio per far conoscere Gesù Cristo suo Figlio. Sotto questo aspetto egli portava
tutti a Gesù Cristo; e gl’inviava tutti i suoi discepoli» (2).
È dottrina famigliare al Bossuet, che il gran Maestro delle anime è lo Spirito Santo; e suor
Cornuau afferma che »il suo eminente direttore non aveva se non uno scopo, quello di «farle
ascoltar Dio e seguire le sue sante ispirazioni; questa era l’unica sua mira».
Più vicino a noi, il P. Lippert osserva:
«La direzione spirituale è il mezzo discreto per aiutare l’anima a camminare; e tanto migliore
si dimostrerà quanto più l’anima, grazie ad essa, diventerà capace di camminare da sola. La
direzione assidua e gelosa è un nonsenso, come lo sarebbe per una, madre il portar sempre in
braccio il suo bambino, invece d’insegnargli a camminare. Essa deve appena sostenerlo con la
punta delle dita, deve abbandonarlo di tanto in tanto a sé solo; gioire quando si libera e si
slancia… La vera guida dell’anima è Dio. Questo principio traccia i propri doveri al direttore
e alla sua pecorella.
«Il direttore deve desiderare una sola cosa, servire Dio nell’anima che gli è affidata; deve, per
giungere ad imitarle, studiare le azioni di Dio sulle anime, la loro infinita delicatezza, la soave
fermezza, la perseveranza instancabile, non interponendosi mai fra Dio e l’anima e
imponendosi perciò una legge di prudenza e di discrezione. Vi sono nell’anima dei punti cosi
delicati, che Dio solo può toccarli con le sue dita fatte di luce; le nostre sciuperebbero
inutilmente quel sacro tessuto. Lo stesso riserbo userà il discepolo col suo maestro; si servirà
di lui; ma non ne diverrà schiavo; ne ascolterà la voce, ma non con ardore tale, da non
percepire più il soffio delicato dello Spirito» (3).

Tutti i veri maestri sono di questo parere e agiscono secondo queste regole.
«Considero come punto principale della direzione» – scriveva il P. Libermann – «il discernere
in ogni anima le disposizioni che vi si trovano… e ciò che lo stato interiore di esse può
portare; il lasciare agire la grazia con grande libertà, il distinguere le attrazioni vere dalle
false».

E in un’altra lettera aggiunge:


«Il direttore, quando ha vista e studiata l’azione di Dio in un’anima, non deve far altro che
guidarla perchè segua la grazia e le sia fedele… Non dovrà mai imporre ad un’anima i suoi
gusti, ne le sue attrattive; né condurla secondo il suo modo di agire e di vedere lo cose. Il
direttore che si diportasse in tal modo, stornerebbe le anime dalla guida di Dio, contrariando
sovente in esse la grazia divina» (4).

Dom Marmion pensava ed agiva come il Bossuet, come l’Olier, come il Libermann:
«Ciò che è necessario si è che il direttore conosca perfettamente l’anima; fatto questo, deve
indicarle la via da seguire e poi abbandonarla allo Spirito Santo. Di tempo in tempo, a lunghi
intervalli, esaminarne i progressi».

E ancora:
«Non sono guari fautore della molta direzione. Sento che lo Spirito Santo è il solo direttore
capace di dare la vera luce e la vera ispirazione» (5).
Ad un professore di Salamanca che interrogava Teresa d’Avila sul modo di guidare le novizie
alla perfezione, la santa rispose:
«Mi limito a considerare ed a seguire la condotta di Dio nella direzione di ciascuna di esse e
non faccio altro se non evitare ciò che potrebbe ostruire, impedire o cambiare la via
particolare per cui Dio le conduce» (6).

La stessa cosa ripete l’abate de Tourville, l’autore della Piété confiante:


«La parte di ogni direzione qui, come altrove, non è di creare in pieno nell’anima vostra una
vita interiore prescritta e importata; ma consiste nel dirigere gli sforzi e gli slanci che il
Signore si compiace di suscitare nel vostro cuore e che Egli solo può ispirare. Questo è il
senso della bella pagina di S. Giovanni sul Buon Pastore, il quale conduce Egli stesso le
pecorelle, camminando alla loro testa, facendo loro sentire la sua voce e chiamando
distintamente ciascuna col proprio nome» (7).

**

Un altro inconveniente dell’eccesso, nella direzione delle anime è quello di incoraggiarne la


passività. È doveroso confessarlo: alcuni direttori sono incorsi più o meno in questo errore.

Santa Chantal scrive dello Zamet (8):


«Ammiro come il nostro caro Mons. di Langres tiene stretti fra le sue mani».
Tale rimprovero muovono alcuni allo stesso Fénelon, pur cosi parco e fine conoscitore delle
difficoltà, il quale ha scritto:
«Ciò che rende la direzione cosi vilipesa, si è che il mondo la considera come un’arte per
condurre i deboli» (9).
«Eppure egli amava dirigere e dominare coloro che dirigeva; ossessionato da un ideale troppo
elevato, esercitava sulle anime, e particolarmente su quelle giovani e delicate, un’influenza
troppo forte, che alla lunga le indeboliva e le snervava col pretesto di fortificarle».

Questa almeno è l’opinione, forse un po’ severa, di uno dei buoni storici del Vescovo di
Cambrai (10); ma anche l’autore di un vigoroso studio psicologico intorno a «Fénelon e la
confraternita segreta del puro amore», studiando l’azione del precettore sul Duca di Borgogna
suo allievo, propende per il medesimo giudizio:
«L’autorità assoluta, che Fénelon esercitava sul suo allievo; la sua direzione, che non
l’abbandonava mai, ma lo teneva continuamente in briglia, e gli dettava, parola per parola, i
particolari del suo pensiero, dei suoi sentimenti, delle sue azioni, non arrischiavano forse di
snervarne la volontà, lasciarne irrugginire le molle della risoluzione, in modo che quando
l’alunno doveva decidere da solo e camminare senza aiuto, era incapace di prendere un partito
personale e di seguirlo decisamente? Riteniamo che sia stato un errore da parte del Fenelon
quello di dominare e assoggettare la personalità del suo pupillo, credendo soltanto di dirigerla,
e di raccomandargli a parole la larghezza di spirito e di decisione, soffocando nel medesimo
tempo in lui, con la sua autorità opprimente, ogni iniziativa» (11).

Alcuni, forse non sufficientemente atti a giudicare, credono che questa forma autoritaria della
direzione sia il metodo ordinario e quasi fatale.
«Quanto al bisogno di dominio» – scriveva il Doumic – «esso venne notato sovente negli
ecclesiastici e si comprende facilmente che sia la parte essenziale del direttore di coscienza»
(12).
E il Caro aveva già detto:
«Temo che l’anima devota si abbandoni completamente in mano d’altri e cerchi il suo riposo
in una abdicazione. Siamo quasi felici di sentire che non ci apparteniamo più, perchè
vagamente speriamo che non avremo più a rispondere di noi stessi… Ecco, secondo me, il
pericolo più serio della direzione».
Essendo tuttavia un nobile difensore della indipendenza delle anime, conclude:
«L’anima non ha il diritto, sotto nessun pretesto, di abdicare alla sua responsabilità; essa non
ha il diritto di rinunciare alla nobile fatica di vivere» (13).

Praticamente tutto questo dimostra come s’ignori la vera natura della direzione. A proposito,
poi, del caso particolare di S. Francesco di Sales, F. Strowski (14) porta un doppio giudizio
sulla direzione del santo e sull’ideale della direzione:
«Il vescovo di Ginevra è un direttore, come voleva esserlo, cioè un po’ troppo, secondo noi.
Lascia agire troppo poco l’anima, la cui volontà sottomette alla propria volontà ed ai suoi
modi di vedere. A noi, oggi, sembra più virile offrire la formula del dovere da compiere e poi
lasciare libertà a ciascuno nella scelta dei mezzi. Crediamo pure che tanta abilità e
sottigliezza, tanta sollecitudine nel condurci per mano e nel non lasciarci un istante, non siano
fatte per secondare la libera iniziativa e l’autonomia della volontà nel bene. Quando il
Corneille mette i suoi eroi di fronte a un dovere doloroso e sanguinante, non dice loro che tre
parole. Essi, poi, devono camminare sicuri verso la mèta con gli occhi rivolti ad essa, e
sempre diritti. Oggi preferiamo questo metodo».

Lo Strowski ha ragione per quel che riguarda la conciliazione della libera iniziativa con la
direzione; ha invece torto nell’apprezzare così severamente i metodi del Vescovo di Ginevra
(15). Del resto in un altro suo volume sul santo, della collezione «Pensée chrétienne» difese
molto più felicemente la tesi contraria, ed ha nettamente affermato (p. 353):
«Egli non cerca né di forzare né di irritare le anime; ma le conduce secondo le leggi
particolari a loro; e nel senso in cui le porta il loro interno. Le lascia vivere, le eccita ad essere
sempre vive; si crederebbe davvero che egli insegni loro a diventare, per mezzo di sforzi e di
riflessioni, quello che diventerebbero spontaneamente, se la loro spontaneità non fosse
ostacolata per ogni parte dall’impotenza».

Una persona, che può essere buon giudice, è proprio Santa Chantal, la quale fa rilevare nelle
lettere del vescovo di Ginevra queste energiche espressioni: «Mi piacciono le anime
indipendenti, vigorose, e non femmine» e queste frequenti indicazioni dopo ogni consiglio:
«Sono consigli buoni e adatti per voi; ma non comandamenti» (16). E poi confessa: «Per me
ho provato spesse volte dispiacere che egli non comandasse abbastanza» (17).

Ma lasciando a parte questa questione, noi vediamo che il savio spirito di direzione del santo
si esprime eccellentemente in osservazioni com’è la seguente:
«Voi vorreste che io v’insegnassi una via di perfezione già bell’e fatta, in modo che a voi non
restasse altro da fare che infilarvela come infilereste un abito, per trovarvi, cosi, perfetta,
senza fatica; vorreste, insomma, che vi dessi la perfezione bell’e fatta. Oh ! certo, se questo
fosse in mio potere, sarei l’uomo più perfetto del mondo; perché se potessi dare la perfezione
agli altri, senza che nulla restasse loro da fare, vi assicuro che me la prenderci prima per me»
(18).

E ancora:
«Chi aprisse di viva forza la bocca ad un amico per cacciargli in gola il cibo da inghiottire,
non gli farebbe certamente una cortesia, ma lo tratterebbe da bestia e come un cappone che si
vuol ingrassare. Questo beneficio (della direzione) deve essere offerto per mezzo di
osservazioni, di rimostranze, di sollecitazioni, e non con violenza e per forza: ecco il motivo
per cui lo si fa per modo di desiderio e non di volontà assoluta» (11).

Tutti i direttori esperimentati dànno consigli analoghi – tranne quando si tratta di scrupolosi
(20), per i quali soltanto il metodo autoritario si rivela efficace – tutti sono d’avviso di
proporre più che d’imporre.
«Invece di legare a voi queste anime ammalate» – scriveva il Bossuet – «date loro la libertà;
mettetele in grado di non aver bisogno di voi e di camminare da sole coi principî di condotta,
che darete loro» (21).

S. Vincenzo de’ Paoli si rallegra con uno dei suoi missionari, il signor Cabel, perchè dà i suoi
consigli, non per mezzo di ingiunzioni imperative, ma semplicemente proponendo, come
fanno gli Angeli, che ci ispirano senza premerci o soffocarci. Egli stesso evita ogni esigenza
tirannica; non è despota; non dà comandi; ma solo schiarimenti pieni di luce e di
incoraggiamento; e non in suo nome, ma in nome di nostro Signore; e abitua le anime ad
ascoltare Dio ed a regolare la loro condotta sulle sue ispirazioni.
«Prego nostro Signore» – scrive a Luisa di Marillac – «che si compiaccia dirvi Egli stesso ciò
che dovete fare. Andate dunque e fate in nomine Domini ciò che vi sembrerà che il nostro
amabile e sempre adorabile Salvatore vi domandi» (22).

Le stesse categoriche opinioni troviamo anche fra i moderni; ad una penitente, la quale
desiderava di essere diretta con modi,più forti, Mons. Gay rispose:
«Non userò le formule imperative di cui mi parlate… perchè vi toglierebbero il peso della
vostra vita; mentre non è bene che non lo sentiate più. Io sarò il vostro Cireneo; null’altro; vi
aiuterò, ma non mi sostituirò a voi» (23)

Per Mons. d’Hulst la parte principale del direttore è sopratutto quella dell’osservatore;
guardare ed esaminare, più che non intervenire e dare regole:
«Vi è una scienza anche della direzione come di, tutto il resto; ed è una scienza di
osservazione. Dio agisce, l’anima coopera; la si lascia fare e la guida nota ed osserva se tutto
va bene, seguendo come norma quello che è avvenuto nelle anime di tempra salda e sicura»
(24).

L’abate Chaumont, pur riconoscendo l’utilità della direzione, non vuole ch’essa diventi un
ingombro, né che se ne abusi e la si prenda come mezzo che agisca ex opere operato:
«Quanto la direzione seria e completa è utile per l’avanzamento dell’anima nella vita
interiore, altrettanto questa direzione, una volta ben avviata, si fa semplice. Parigi è lontana…
e non fu lavoro tanto semplice quello di tracciare la strada ferrata e ordinare tutto l’occorrente
per condurvi i viaggiatori. Ma ora che tutto è fatto, al conduttore altro, non resta che non
uscire dalle rotaie… Cosi, fin che nella vita spirituale non succede nulla di nuovo, non c’è se
non da seguire le rotaie, cioè i consigli dati una volta per sempre… L’errore delle anime è di
confondere la direzione col sostegno dell’anima. Per questo essa ha certamente un bisogno
costante di soccorso; occorre acqua e carbone, senza di cui non potrà avanzare; ma questa non
è la parte riserbata ai sacramenti?» (25).
E se altrove sembra adoperare una fermezza, che è in opposizione apparente con i principî ora
esposti, e dice: – «Decidetevi a sacrificare il vostro modo di vedere per seguire con
l’ubbidienza di un bimbo i consigli che vi ordinerà il vostro direttore» (26) – gli è che si tratta
di un caso particolare e di un’anima particolare, nella quale bisogna ad ogni costo far cessare
l’indecisione.
Secondo il P. Faber «è cosa pericolosa fare della direzione una superstizione». Alcune forme
di ubbidienza verso il direttore sono troppo sovente un ostacolo. Credo che non avverrebbe
così, se ne avessimo una idea chiara o spoglia di ogni esagerazione. Un direttore spirituale
non è prima di tutto un superiore di convento… La nostra ubbidienza verso il primo è
parziale, mentre verso il secondo è totale. La giurisdizione del superiore è universale; quella
del direttore non riguarda che i punti, sui quali noi lo interroghiamo o sui quali gli
permettiamo di estenderla, dietro sua domanda. Il superiore ci comanda come capo; gli ordini
del direttore sono provocati dalle nostre domande. Il Negroni dice di non aver mai
pronosticato bene dì un uomo, che lasciava l’iniziativa al suo direttore. Il superiore cambia in
precetto le opere di supererogazione; un savio direttore non se lo permetterà mai..! Non si fa
mai impunemente cattivo uso di una cosa buona… Questa obbedienza ci snerva e favorisce lo
sviluppo di alcune fra le mille forme di pigrizia spirituale. Noi amiamo credere di essere
ubbidienti e sentire che ci si dirige».

E conchiude con queste energiche parole:


«Non ho mai inteso parlare di una persona, che, avendo un direttore, abbia dovuto lamentarsi
di essere troppo poco diretta. Il numero invece di quelle, che hanno sofferto per una direzione
forzata, riempirebbe l’ospedale dì una città considerevole» (27).

Il canonico Beaudenom va forse ancora più oltre:


«La direzione non esige necessariamente l’ubbidienza. – Essa è un consiglio illuminato, di cui
si deve far uso con prudenza e perciò secondo il valore dei consigli domandati e di colui che li
dà. Si può non ascoltarli se, in buona fede, non si trovano molto giusti e molto applicabili.
Sarebbe troppo comodo non avere la responsabilità di questo esame; all’obbedienza cieca
dobbiamo ricorrere soltanto come eccezione e in misura sempre limitata. Un’obbedienza
abituale del giudizio tenderebbe piuttosto a sminuirci… A parer mio, la direzione non è
l’imperativo categorico, che s’impone per diritto acquisito; ma un imperativo, che può
imporsi come luce. L’anima rimane l’arbitra. Se ella crede doversi conformare al consiglio
ricevuto, perchè l’aiuta nelle incertezze del suo spirito, allora lo riceve come venuto da Dio, il
quale lo trasmette al suo pensiero attraverso il direttore» (28).

Dello stesso parere è il P. Chevrier:


«Ciò che è troppo consigliato non ha base solida e durevole; si deve lasciar l’anima libera
della sua volontà; solo allora si potrà sperare in una maggior costanza» (29).

« Sono nemico mortale di quella che sì chiama direzione» – scriverà Dom Marmion, che
chiarirà altrove il suo pensiero così: – «Detesto ciò che comunemente si chiama direzione e
direzione alla moda». – In una conversazione familiare, poi, sviluppa ancor meglio la sua
idea:
«Il direttore non è un fabbricatore di coscienze… egli non deve mai sostituirsi alla coscienza
di chi dirige.
Questi, in ultima analisi, resta, dopo Dio e con Dio, la causa della sua salute e della sua
perfezione; e deve necessariamente imparare a camminare da solo, almeno nelle grandi linee,
riservandosi di ricorrere al direttore solo nei casi difficili e nei momenti più penosi. È
pericoloso ricorrere al direttore per cose che si dovrebbero risolvere da soli; perché in questo
modo si atrofizza la propria coscienza» (30).

Del resto, anche indipendentemente da queste autorità, la cosa ci sembra in se stessa di un


evidente chiarezza. Si richiede certamente un rimorchiatore per entrare ed uscire dal porto, per
i passaggi difficili ecc.; ma fuori di questi casi la nave deve avere i suoi apparecchi, il suo
comandante di bordo e procedere senza il continuo soccorso del pilota.
Della direzione avviene ciò che avviene dell’educazione; si ha un maestro e una guida non per
soffocare in noi l’iniziativa e il volere, ma per camminare appena sia possibile, da soli. Ci
facciamo dirigere per condurci – condurci è un verbo personale; – e lo se lo scopo della
direzione, è d’imparare a fare a meno di essa, quando sia giunto il momento; o di sentirne solo
un bisogno intermittente, sempre più attenuato, fino a non avere, salvo eccezione, che un
semplice controllo.
L’abate Aubry, già professore del gran seminario di Beauvais, e poi missionario in Manciuria,
esponeva ad un seminarista, che si doleva di non sentire l’opera del direttore, il giusto
fondamento della direzione; ricordandone, però, subito e giudiziosamente, i limiti:
«Non siamo protestanti; quantunque riceviamo tutto da Dio, abbiamo bisogno di uomini che
formino la Chiesa ed abbiano la missione di governare. Ma ricordatevi bene: la persona diretta
deve far molto più che non il direttore; se questi mette comunemente sulla buona via, può
anche deviarcene. Il direttore spirituale è necessario, si; però non contate troppo su di lui,
imparate a camminare senza il suo aiuto e a portare in voi stesso le vostre risorse spirituali.
Nostro Signore si riserba la miglior parte nella direzione spirituale; appoggiatevi specialmente
su di Lui, stringetevi a Lui per mezzo della meditazione, della preghiera, dello studio
santificato, dei sacrifici» (31).

Il La Bruyère diceva: – «La cosa capitale per una donna non è di avere un direttore; ma di
vivere cosi semplicemente da poterne far senza». – Questo è buon senso e la regola non vale
solo per le donne, ma per tutti. A questa massima, così saviamente ragionevole, Elisabetta
Leseur, aggiungendo la conoscenza delle vie di Dio, dà un complemento prezioso, tutto,
intonato al pensiero dell’abate Aubry:
«Io credo che in alcune anime il Divin Maestro s’incarica di fare tutto da solo; una vera
direzione spirituale è cosa preziosa; ma rarissima e possiamo essere consolati, sostenuti,
guidati da un santo sacerdote, senza tuttavia trovarvi quella pienezza di direzione, che nostro
Signore a volte riserba per sé. Vi sono infatti nell’anima profondità, nelle quali Egli solo può
penetrare. Egli solo ci conosce pienamente con le nostre debolezze ignorate, le nostre
aspirazioni, i nostri bisogni misconosciuti. Quello che dobbiamo chiedere con umiltà,
ubbidienza e semplicità alla nostra guida spirituale è una maggior luce sulle nostre miserie,
sono consigli sull’organizzazione della nostra vita soprannaturale, è il conforto nelle ore di
abbattimento e di sofferenza. Ma l’appoggio decisivo, la forza profonda e quella
comprensione della nostra anima e dei suoi bisogni, che ci fa progredire ed avanzare verso di
Gesù, la troveremo soltanto nel suo Cuore.
«Ad ogni modo una cosa è certa, che la divina volontà è benefica, qui, come da per tutto, e
che ci dà, ci rifiuta o ci misura la direzione spirituale, secondo che essa la giudica necessaria
al bene reale della nostra anima. Siamo cosi deboli, che abbiamo bisogno di essere guidati e
sorretti, sia dai pii intermediari voluti da Dio, e sia da Dio stesso, quando questi intermediari
ci fanno momentaneamente difetto o non li abbiamo ancora incontrati».

Un’ultima parola intorno a questa questione.


Il P. Leonzio de Grandmaison, con quell’arte equilibrata, che forma la sua dote particolare,
determina così la misura necessaria della libera iniziativa e dell’intelligenza sottomessa ad
esame:
«L’utilità attuale del direttore e la necessità di sottomettergli le ispirazioni interiori variano
molto col tempo. Esse toccano ordinariamente il loro massimo nel corso degli anni di
formazione, con alcune recrudescenze nei casi: a) di una nuova chiamata, che viene
apparentemente da Dio, in una vocazione già seguita ed accettata; per esempio, la chiamata ad
una vita molto più unita a Dio, più apostolica, più pura, più mortificata, ecc.; b) di una crisi
spirituale più intensa, la quale avvenga o per la via dolorosa di continue prove, di malattie, di
agitazioni, di tentazioni straordinarie, di abbandoni, o per la via di una unione con Dio più
sentita, più semplice, deliziosa, inebriante, assorbente, che spinga a pregare senza
interruzione, ad umiliarsi profondamente, ecc. In questi diversi casi abbiamo bisogno di una
direzione continuata ed abbastanza esplicita ed acquisteremo assai nel seguirla; essa è
moralmente indispensabile.
«Al contrario, quando, terminato il tempo, della formazione, si conduce una vita normale,
fissa, orientata nella pace, anche molto intensa, se si vuole, ma in una vocazione già
conosciuta, esaminata, approvata, provata, senza urti, senza brusche peripezie, senza elementi
nuovi considerevoli, progressiva ma unica; nei casi, insomma, normali ed ordinari, non si ha
bisogno che di una direzione molto meno frequente. Dobbiamo saperci guidare, saper
decidere i casi pratici per mezzo delle decisioni antiche, analoghe; approfittare della propria
esistenza spirituale. Un buon direttore deve insegnare a far a meno di lui. Si deve evitare di far
ripetere cento volte le medesime cose, di rimanere in uno stato persistente di minorità
spirituale (molto differente dallo spirito d’infanzia)» (32).

***

Un terzo inconveniente dell’abuso della direzione è quello di predisporre a malaugurate


introspezioni.
Il P. Faber stigmatizza come si conviene questo possibile inconveniente della direzione
praticata in modo intemperante o malaccorto:
«Troviamo un non so qual piacere nel vivere in mezzo al tumulto di una permanente
amministrazione spirituale. Teniamo consigli di stato a non più finire, e ci troviamo in breve
ripieni d’orgoglio, di stupidaggini, inquieti, misteriosi e vani; ci crediamo personaggi
importanti; esageriamo la poca esperienza, che abbiamo potuto acquistare, e finalmente
diventiamo rammolliti, effemminati, affettati, febbricitanti e languenti…» (33)
Anche Mons. Gay è del medesimo parere:
«Una causa molto temibile d’illusione è l’abuso di direzione… perchè esso è per l’anima un
fatale pendio che la porta a preoccuparsi troppo di se stessa, un alimento all’egoismo ed alla
vanità; un gran pericolo di battere falsa strada nella virtù, di sollevare fra Dio e se stessi un
po’ più che semplice polvere, e finalmente di perderlo di vista ed allontanarci da Lui; il che
sarebbe il male supremo. Se volete dunque camminare dritti nella verità e non indebolire in
voi la grazia, siate sobri, molto sobri in fatto di direzione. Qual sublime direttore diventa lo
Spirito Santo per un’anima semplice, povera e solitaria!» (34)

E notiamo che tutto questo non vien detto a un’anima particolare; ma a tutto un uditorio. Non
altrimenti parlano della direzione eccessiva Dom Marmion e il P. Lippert:
«In essa troviamo ben poche cose di Dio e molte di noi stessi. Tale direzione si riduce sovente
a rinchiuderci nel fondo del proprio essere, a seppellirci in noi stessi, senza trovarvi che
scoraggiamento e miseria» (35).
«Abbastanza spesso in quest’ esposizione, che facciamo di noi stessi agli occhi di un altro,
s’insinuano a poco a poco alcuni sentimenti non buoni, come una segreta compiacenza di noi
stessi, un po’ di ambizione, una punta di civetteria e quella dolcezza che si prova ad attirare e
fissare sopra di sé l’attenzione e l’interesse dell’interlocutore. Ma c’è qualcosa di più grave.
L’abitudine della confessione conduce insensibilmente l’anima ad occuparsi un po’ troppo di
se stessa, a darsi una importanza eccessiva, a riferire ogni cosa a sé, come a centro. Tutto,
questo in un senso cattivo – perchè può -interpretarsi in senso buono. Non dobbiamo
occuparci di noi, né studiare e cogliere le relazioni delle cose con noi stessi, e neppure pesare
noi medesimi, se non con la mira di occuparci degli altri, di riferirci agli altri, di dare tutto il
proprio rendimento per gli altri. Non dobbiamo interessarci di noi, se non come di uno dei
termini di una relazione, di cui l’altro termine è Dio. E allora è appunto questo termine, Dio,
ad attirare a sé il meglio del nostro interesse; allora diventa sempre più difficile per l’anima
distogliere l’attenzione da Lui per ricondurla su di se stessa. Le «confidenze», quando essa
s’incontri in un direttore spirituale, che le ordini di descrivere la sua vita interiore, le
diventano un supplizio. E io mi chiedo s’e questo è un ordine veramente savio!… L’analisi
delle grazie speciali non esente da pericoli di molte specie» (36).
Nelle conferenze tenute all’associazione S. Francesco Saverio, e che già abbiamo citate, il P.
Leonzio Grandmaison si esprime cosi intorno all’opportunità di render conto della propria
orazione al direttore:
«Se ogni cosa procede discretamente e possiamo cavarcela da soli, restiamo in pace. Non
diamo ai nostri stati d’animo, artificialmente o stupidamente, mediante una vana ambizione
spirituale o un timore esagerato, un’importanza che effettivamente non hanno. Non
attribuiamo a prove straordinarie ciò che spesso non è che frutto della nostra
immortificazione, dissipazione e amor proprio. Non stanchiamo il nostro direttore spirituale
con interminabili rendiconti. Qui vale l’antica formula della buona retorica: Clare, Paucis».

II.

Se si può peccare per eccesso, si può peccare anche per difetto, e, col pretesto di
salvaguardare la piena attività dell’anima, dimenticare i vantaggi della sana direzione.
Alle sette degli Illuminati e al Molinos, i quali pretendevano che gli accenni interiori dello
Spirito Santo fossero sufficienti da soli, senza il ricorso necessario o utile all’autorità
esteriore, la Chiesa rispose con una condanna formale (37). Più recentemente, essa condannò
le asserzioni dell’americanismo; sotto il qual nome intendiamo certe dottrine derivate dal
fondatore dei Paolisti, il P. Hecker.
Sembra però che il P. Hecker – nonostante ciò che gli si è fatto dire – non abbia disprezzato
ogni direzione (38). Convertito, infatti, dal protestantesimo, perchè nella sua antica religione
giustamente non trovava un’autorità esteriore che rendesse certa e sicura la credenza, scriveva
durante il suo noviziato nel 1845:
«Cerco di seguire i consigli del mio Padre spirituale, senza di che avrei paura di me stesso; gli
faccio nota ogni mia difficoltà, i miei peccati, le mie tentazioni».

Più tardi dirà categoricamente:


«La vera direzione spirituale consiste nello scoprire gli ostacoli che si oppongono alla
direzione divina, nell’aiutare e nell’incoraggiare il penitente a superarsi, nell’insegnargli i
mezzi di distinguere nella sua anima i movimenti dello Spirito Santo, e finalmente nel
renderlo sempre più docile. I direttori non debbono usurparsi il posto dello Spirito Santo, ma
devono farlo ingrandire nell’anima come prima e suprema guida di essa… Il primo agente
della santificazione dell’anima è lo Spirito Santo, che agisce in essa; l’azione del direttore è
secondaria e subordinata a quella dello Spirito: trascurare questa verità fondamentale della
vita spirituale è un grande errore, sia che provenga dal direttore, come dalla persona diretta».

Qualche testo, è vero, mette in rilievo particolare la necessità di ubbidire alle ispirazioni
interiori, per esempio: – «Lo scopo della perfezione cristiana è la direzione dell’anima per
mezzo dello Spirito Santo che abita in essa» (39). – «L’avvenire della razza umana dipende
dalla sottomissione più completa e più perfetta di ogni singola anima al giogo dello Spirito
Santo. Quello, di cui la società ha maggior bisogno, oggi, è il battesimo dello Spirito Santo. –
Un’anima e perfetta quando è guidata da una specie di istinto, che le rende sensibile l’azione
dello Spirito Santo» (40). – Con queste espressioni non nega però la direzione esterna;
soltanto gli pareva che questa tendesse talora a dar troppo poca importanza all’azione dello
Spirito Santo.
«Lo si disse già da tempo: la regola esteriore è un mezzo provvidenziale destinato a venir in
aiuto allo spirito interiore». E afferma sempre che più un’anima e condotta internamente dallo
Spirito Santo, e più si sottomette fedelmente alla Chiesa ed ai suoi rappresentanti. Al P. de la
Barre (41), a monsignor Ireland e ai cardinali Gibbons e Richard la sua dottrina non parve se
non la dottrina classica su la duplice necessità della regola interiore e della regola esteriore,
con un giudizioso adattamento della prima alla seconda.
È quindi probabile che i discepoli del P. Hecker, malaccorti ed intemperanti, abbiano fatto
torto al loro maestro mal comprendendo od abbreviandone la dottrina. Resta, però, che alcune
sue affermazioni isolate dal loro contesto o dalle spiegazioni complementari tradizionali, che
suppongono, si prestano ad interpretazioni arrischiate; e perciò la lettera precisa e chiara di
Leone XIII «Testem benevolentiae» raccomanda sopratutto di non dimenticare, nella condotta
delle anime, l’azione dell’autorità e dei magistero esteriore (42).

NOTE
(1) Condanna della proposizione 11ª degli Illuminati; della 60ª di Molinos,
dell’Americanismo.
(2) L’esprit d’un directeur des âmes selon M. Olier, Poussielgue, 1859,
pp. 57-79.
(3) Lippert (traduzione Henusse), Coeurs Inquiets, pp. 74-75.
(4) La direction d’après les écrits et les exemples du Vén. P. Libermann, 2ª ed., pp. 10-22. Nei
suoi Ecrits spirituels, pp. 360-361, parla più a lungo della importanza relativa del direttore e
dell’obbligo, che questi ha, di non volersi sostituire allo Spirito Santo:
«La direzione esteriore deve fare due cose: mirare a favorire la tendenza della grazia
santificante per farla dominare nell’anima, seguire passo a passo la direzione interiore dello
Spirito Santo, che solo può guidare verso questa tendenza della grazia santificante,
aumentarne ed estenderne il potere nell’anima. Il direttore spirituale deve in ogni circostanza
favorire la condotta di questo Spirito Divino e la dilatazione della grazia santificante. Egli non
può far nulla per l’aumento della grazia santificante, né per far seguire alle anime la guida
dello Spirito Santo. Tutta la sua funzione consiste nel guidarle e nel dirigerlo; tocca all’anima
essere fedele alla voce di Colui, che la chiama nel suo interno, del quale essa conosce
perfettamente la voce per mezzo della guida, che gliela fa distinguere.
«Ne deriva che la funzione del direttore, per quanto importante e necessaria, non è tuttavia
molto considerevole. Egli non ha forza, se non in quanto piace a Dio d’ispirarla nell’intimo
delle anime e non può dirigere verso Lui se non nella misura, che lo Spirito Santo dirige
internamente. È un’eco, ecco tutto; ma una eco della voce dello Spirito Santo che parla
nell’intimo dell’anima. È un’eco; dunque poca cosa, e la sua parola non è parola viva, né
vivificante in se stessa. È un’eco dello Spirito Santo; dunque trasmette la parola interiore dello
Spirito Divino, che è la vita e vivifica. Stando così le cose, quale follia non è quella di alcune
anime dirette di attaccarsi al loro direttore spirituale e di considerarlo come qualche cosa di
grande, perchè lo Spirito Santo si fa sentire al loro udito interiore per mezzo della sua eco!
Tuttavia, quantunque il direttore sia nulla, è molto importante per un’anima lo sceglierne uno
buono, che sia una vera eco della voce dello Spirito Santo».
(5) Vie, scritta da Dom Thibaut, pp. 263-264.
(6) Cfr. Abbé Arnauld D’Agnel e Dr. D’Espiney, Direction de conscience, Psychothérapie
des troubles nerveux, 5ª ed., Téqui, 1927, P. 41.
(7) Pag 6. Il Tourville dice ancora a pag. 317: «Dobbiamo aiutarci da noi stessi servendoci di
tutto ciò che di buono abbiamo raccolto lungo la via e, non credere che la nostra anima sia
legata ad un’altra in modo da non potere o dovere riposare se non su quella influenza esterna.
Dio vuole insegnarci a tenerci ritti senza essere obbligati ad appoggiarci troppo sui suoi stessi
strumenti… Dobbiamo giungere a sentire che non vi è che una cosa duratura e stabile, cioè
Dio e l’opera che egli compie nella nostra anima per mezzo del succedersi e del sovrapporsi
di tutto ciò che di buono Egli ci ha procurato nella vita fin dalla nostra infanzia. Egli solo è il
maestro incomparabile, che ci ha ammaestrati per mezzo di una serie di intermediari, che non
son fatti per rimanere e che sono sempre molto incompleti, se li consideriamo ad uno ad uno.
Amate dunque sempre più il vostro maestro unico e diretto, permanente e duraturo, che è il
vostro ammirabile Salvatore!».
(8) È da notare tuttavia che lo Zamet, occorrendo, lottava quanto meglio poteva contro la
passività delle anime. Ecco ciò che ne dice Mons. Cagnac in Les Lettres spirituelles en
France, t. I, p. 226: «Lo Zamet dice sovente: Non fondiamoci soltanto sui consigli del nostro
direttore, agiamo da noi stessi. – Una lettera è un rimedio di pochi istanti. Volgetevi alla vita
di Gesù Cristo; là troverete quello di cui avete bisogno. Avete bisogno di forza, prendetene.
Voi non la troverete che nella grazia e non è il caso di importunare costantemente un
direttore». – «Quando facciamo ciò che dobbiamo, secondo gli obblighi impostici da Dio,
abbiamo fatto tutto». Cfr. anche Lettres spirituelles de Zamet, di L. Prunel, Paris, Picard,
1914, pp. 578, 622, ecc.
(9) Lettre sur la direction.
(10) Delplanque, Fénelon et se ses amis, Lecoffre, pp. 313-314.
(11) L. Navatel, Fénelon et la confrérie secrète du pur amour, Emile-Paul, 1914, PP. 7, S.
(12) R. D. M., 15 luglio 1912, p. 445.
(13) Nouvelles études morales sur les temps présent, Paris, Hachette, pag. 166.
(14) Saint François de Sales, nuova ediz., Plon, 1928.
(15) Facilmente lo dimostra il P. Archambault, Saint François de Sales;
collezione: Moralistes Chrétiens, pp. 285-286.
(16) 11 febbraio 1607, t. XIII, ép. 265.
(17) Oeuvres de S. Chantal, Plon, t. II, p. 201.
(18) S. François de Sales, Vrays entretiens spirituels, Ent. IX, t. VI,
p. 151.
(19) Traité de l’amour de Dieu, l. VIII, cap. III, t. V, p. 66.
(20) Intorno a questo argomento rimandiamo i lettori al t. II del Gouvornement de soi-meme,
del P. Eymieu; al R. P. Raymond, O. P., La guida dei nervosi e degli scrupolosi; al R. P.
Patrik J. Gearon, O. C., Le Anime scrupolose consolate. Le parole seguenti danno la chiave di
volta della questione: «Il direttore degli scrupolosi deve trattarli con dolcezza, non dar loro
alcuna ragione delle decisioni prese: e queste decisioni siano brevi e precise. Fin che lo
scrupoloso è ubbidiente, il direttore si dimostri affabile; una volta presa una decisione, non la
ritratti; insegni allo scrupoloso a disprezzare i suoi scrupoli e questi verrà tosto guarito o
almeno tranquillizzato» (Meschler, Il libro degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Lojola: I.
Testo e commento, Berruti, L. I. C. E., Torino.
(21) Méditations sur l’Evangile, giorno 56°.
(22) Arnaud d’Agnel, Saint Vincent de Paul directeur de conscience, Téqui 1925; spec. il cap.
I, e il III, pp. 57-58.
(23) Mons. Gay, Lettres, I, p. 267.
(24) Lettres de Direction, pubblicate da Mons. Baudrillart, Poussielgue, p. 52. Altrove
completa il suo pensiero: «La direzione non è un oracolo reso dall’alto di un treppiede; ma
una collaborazione nella quale l’uno mostra ciò che è in se stesso e l’altro lo aiuta a
riconoscersi e a guidarsi» (p. 102).
(25) Lettres spirituelles de l’abbé H. Chaumont, 2° vol, Paris, Mersch, 1900, t. I, p. 426.
(26) Ibid., t. II, p. 2.
(27) Progressi dell’anima nella vita spirituale, cap. XVIII (Marietti, Torino).
(28) Lettres de Direction, Lethielleux, 1920, p. 24. – Si troverà un esempio di direzione
ferma, ma soave, del Canonico Beaudenom in Une âme de lumière et d’énergie, Marie-Louise
Bader, di S. Giuseppe di Bourg, Beauchesne, 1930, pp. 29-32.
(29) Vie, scritta dall’Abate Chambon, p. 535. Il cap. XXXVI tratta del P. Chevrier, quale
direttore di anime.
(30) Dom Columba Marmion, vita scritta da Dom Thibaut, pp. 264-266; tutto il cap. XI. «Il
direttore spirituale» è molto istruttivo. – Ancora un testo di Mons. Isoard: Le sacerdoce,
Palmé, 1878, t. I, conf. 2ª, p. 429: «Se la direzione, cioè l’abitudine di chiedere i consigli di un
sacerdote, ha come effetto di dispensarvi dal riflettere e di togliervi la responsabilità dei vostri
atti, allora è una pratica pericolosa. Noi non abbiamo il diritto di abdicare al governo della
nostra vita, di spogliarci della responsabilità delle nostre decisioni. Possiamo domandare al
direttore: «Dove conducono queste diverse strade, che si aprono dinanzi a me? Quali ostacoli
incontrerà lungo la via? Quali precauzioni devo prendere prima d’incamminarmi?» Possiamo
fare queste domande, tener conto delle risposte e conservare ciò non ostante tutta la nostra
libertà; orbene è per noi dovere di coscienza procedere in questo modo nelle circostanze
principali della nostra vita».
(31) Vie de l’Abbé Aubry, scritta da suo fratello, p. 206; cfr. p. 211 (Desclée).
(32) L. De Grandmaison, Conférences spirituelles à l’Association S. F. Xavier. Cfr. Ecrits
Spirituels, t. I, Beauchesne, pp. 56-57.
(33) Progressi dell’anima nella vita spirituale (Marietti, Torino).
(34) Instruction en forme de retraite, cap. IV: Des illusions.
(35) Vie de Dom Marmion, scritta da Dom Thibaut, p. 265.
(36) Coeurs inquiets, trad. Henusse, pp. 123-124.
(37) Denzinger-Bannwart, Ench., n., I, 279, I, 286.
(38) Cfr. per esmpio il Maignen, Le P. Hecker est-il un saint? Reboux, 1898.
(39) Le P. Hecker, del P. Elliot, p. 298, Lecoffre, 1897.
(40) Id., Ibid.
(41) Etudes, 20 settembre 1897, pp. 807-812.
(42) Intorno a tutta questa questione, cfr. l’articolo Américanisme dei P. Valensin
nel Dictionnaire Apologétique de la Foi Catholique; e Lecanuet, La Vie de l’Eglise sous Léon
XIII, cap. XII; specialmente pp. 570-573.

testo tratto da: Rodolfo Plus S.J., La direzione spirituale. Natura – necessità – metodo,
Torino: Marietti, 1944/2, pp. 44-71.

Capitolo IV.
Qualità necessarie al Direttore

La direzione non è profittevole se non adempie a determinate condizioni richieste sia da parte
dei direttore, che da parte della persona diretta.
Vediamo prima di tutto le qualità richieste nel direttore; al qual proposito s’impone subito
un’osservazione, e cioè che è perfettamente comprensibile come alcuni possano eccellere
nella direzione di una categoria di persone, cd altri nella direzione di una categoria diversa,
Gli uni riesciranno meglio coi giovani, gli altri con le anime consacrate a Dio…
«I direttori» – scrive il Faber – «partecipano a doni differenti secondo le circostanze. Gli uni
ricevono le grazie necessarie per dirigere i principianti, altri son chiamati a dirigere persone
già più avanzate, altri ancora quelle perfette. Alcuni sanno perfettamente dirigere i neo-
convertiti; altri sono dotati di attitudini particolari per guidare le persone che appartengono
per educazione alle classi elevate della società e commettono invece grossolani errori, se
prendono a dirigere i poveri. Gli uni eccellono nel decidere delle vocazioni, mentre altri sotto
questo rispetto sbagliano. Ve ne sono, che possiedono una delle grazie più belle, quella, di far
vivere di vita interiore un povero operaio, di spiritualizzare la povertà e la sofferenza. Questi
hanno l’esperienza degli scrupoli; quelli l’esperienza delle prove intime. Gli uni, nonostante le
più sante intenzioni e la scienza più pura, sembrano inevitabilmente destinati a gettare i loro
penitenti nelle chimere dell’illusione, rendendoli sentimentali e facendoli uscire dal campo
della realtà; altri all’opposto, hanno il dono di infrangere le attrattive, che allettano le persone
sviate dalla loro immaginazione, d’iniziarle alla vita spirituale e, di rimetterle nel medesimo
tempo in possesso del loro buon senso» (1).

Siccome non entra nel nostro disegno, come già abbiamo osservato, di esaminare le qualità
richieste per la direzione di questa o quella categoria, ci limiteremo ad indicare qui
semplicemente le attitudini che esige la direzione in generale.
Il Catechismo Romano mette in rilievo queste tre doti: la santità della vita, la competenza
dottrinale, la sicurezza nel giudicare (2). S. Teresa richiede circospezione, intelligenza,
esperienza; se vi è da sceglier tra perspicacia e santità di vita dobbiamo; scegliere la
perspicacia (3). Del medesimo parere è San Giovanni della Croce (4). S. Francesco di Sales
propende per la carità, la scienza e la prudenza (5); lo Scaramelli per la scienza, la pratica
della virtù, e l’esperienza (6); il P. Pinamonti dice molto bene:
«Un direttore nelle vie della salvezza dev’essere un santo, un uomo che abbia scienza, un gran
buon senso ed esperienza» (7).
«È opportuno» – dichiara il P. Godínez – «che il direttore spirituale abbia raggiunta la
maturità de li anni; o abbia almeno la perfetta maturità del giudizio e dell’intelligenza; che
possegga uno spirito penetrante, un carattere nobile, calmo, affettuoso; che sia dolce e
paziente, piuttosto che vivace ed ardito; semplice nelle relazioni; di squisita educazione, ma
senza affettazione; ricco di risorse per poter venire in aiuto delle anime desolate; e che abbia il
dono di conquistare i cuori. Quanto alle qualità acquisite, dovrà essere un buon teologo, un
uomo di dottrina e di lunga esperienza, perché di qui deriva la sapienza celestiale che deve
guidarlo. Sotto l’aspetto soprannaturale troviamo frequentemente nel direttore compito una
gran santità e famigliarità con Dio, una disposizione eminente per l’orazione; egli ha imparato
dalla propria e dall’altrui esperienza quanto la vita spirituale ha di elevato e di più delicato; ha
gustata tutta l’amarezza della desolazione, tutte le dolcezze della contemplazione e sa con
quale delicatezza esse entrano nell’anima e se ne allontanano… La sua parola ha una virtù
penetrante che consola gli afflitti; ridà la gioia ai tristi; rianima gli scoraggiati, dà slancio ai
ferventi. Il ricordo di lui é salutare ai discepoli; anzi viene loro in aiuto in modo da rianimare
sensibilmente il loro coraggio e la loro confidenza. Quantunque internamente favorito di doni
celesti e molto fervente, ha tuttavia un esterno semplice, comune e soave. Non tratta da
padrone, ma da dispensatore della grazia, che gli è affidata; è come le cause universali, che si
adattano e si proporzionano alle cause secondarie, alle quali prestano il loro concorso… Si fa
piccolo coi bimbi; ai discepoli di mediocri virtù non propone i punti culminanti della
perfezione per timore di nuocere; guida ciascuno nella sua via, secondo il dono, che ha
ricevuto» (8).
Insistiamo, ora, su alcune qualità in particolare: il soprannaturale, il senso di adattamento,
l’esperienza dellevie del Signore.
***

L’Olier diceva: – «Se siamo convinti che Gesù Cristo èil direttore universale della Chiesa e
che noi non ne siamo che gli strumenti… come possiamo pretendere di dare altra cosa, da
quella che riceviamo da questa sorgente divina? » (9).
Questo è come segnare il posto, che dovrà occupare l’orazione nella vita di un direttore, il
quale voglia dare veramente Dio alle anime. E chi non ricorda l’urgente raccomandazione di
S. Paolo di non rassomigliare ad un pezzo di bronzo che risuona o a un cembalo volgare; o
anche il consiglio prezioso, dato da S. Bernardo al suo vecchio monaco, diventato Papa
Eugenio IV: – «Attingete, prima di versare»?
«Quest’arte della direzione» – spiega il Berulle «è una scienza non di studio (esclusivamente),
ma d’orazione: non di speculazione, ma d’amore e d’amore per Gesù Cristo, che si è dato,
abbandonato, dimenticato, estenuato per la salute delle anime… questa scienza è figlia
dell’orazione» (10). – Adoperando questo metodo, quanto frutto ricaverebbero le anime!
«Non parlerete mai di Dio ad un uomo senza sentirvene prima come imbalsamati, senza che
vi sentiate avvolti in un alito divino, che proviene dall’unzione dello spirito di Gesù, di cui il
vostro cuore è pieno e di cui portate da per tutto l’odore e il profumo; presso a poco come si
sente l’alito profumato di una persona, che vi parla tenendo in bocca anice moscato. Vi sono
altri che dicono pure le medesime cose, ma che non commuovono più di una lamina sonora; e
sono le persone che hanno il cuore di ghiaccio e un’intelligenza fredda, che trattano le cose
spirituali seguendo una speculazione arida, che si limitano a parole belle e scelte, che lasciano
però nello spirito una concezione di spiritualità vana e superba» (11).

Nulla stimola maggiormente la santificazione di un sacerdote che l’obbligo, conferitogli dal


suo ministero, del contatto con le anime. A meno che non sia un po’ commediante o un po’
cinico, egli non potrà non sentire il bisogno di offrire chicchi ripieni. Dinanzi a un penitente,
che deve allontanare dal peccato o dal mediocre, e meglio ancora, dinanzi a un’anima che sale
in virtù o frequenta le vette, il direttore non si sentirà forse portato a riflettere sulla sua
mediocrità personale, sui suoi rifiuti agli inviti divini, alle esigenze della grazia nella sua
anima? – «Medico, guarisci te stesso; guida delle vette, non abbandonarti nella salita; vi sono
delle anime legate alla tua cordata; non rifiutarti di scalare per primo le cime!». – La parola di
Ozanam è di un’opportunità imperitura: – « I cattolici così così, non mancano intorno a noi;
bisognerebbe farne dei santi. E come riuscirvi, senza esserlo prima noi stessi?» – Il direttore
deve camminare per il primo nella via, per la quale desidera trascinare le anime. – « Il suo
dovere non è di mandarci in Paradiso ma di condurvici egli stesso» (12).
D’altra Parte se nel direttore il soprannaturale non esiste e in modo intenso, possono
sopravvenire gravi pericoli. Si può infatti estendere al ministero della direzione quello che
Sant’Alfonso de’ Liguori dice della confessione:
«Il sacerdote deve poter toccare le ulcere senza contaminarsi; con le donne e con le fanciulle
trattare di cose delicate, senza che ne risenta alcun danno» (13)
«Fate attenzione» – avvisa l’Olier – «a non guardare nella persona che dovete dirigere altri
che Dio. Quando la si considera in se stessa, invece di considerare in lei nostro Signore, la si
serve spesso per inclinazione, e ci si lascia facilmente prendere da un attaccamento, che, non
essendo fondato in Dio, ma nella simpatia e nelle disposizioni naturali, espone l’anima a gravi
tentazioni ed a perdersi nel più santo dei ministeri. Di qui provengono gli attaccamenti
naturali dei confessori e dei direttori per coloro che dirigono… le visite inutili, i discorsi
superflui, che non solo causano una perdita di tempo irreparabile, ma impediscono la
benedizione di Dio sui nostri lavori» (14)
Ritorneremo su questo pericolo in un altro capitolo, dove indicheremo anche le norme di
prudenza che occorre seguire nel caso particolare della direzione delle donne.

Se il direttore saprà essere profondamente soprannaturale, non avrà a male se qualche


penitente lo lascerà; e non brigherà affatto per attirare al suo confessionale i penitenti di un
altro sacerdote; ma seguirà i consigli dati dai santi: «Guardatevi bene» – dice Sant’Alfonso
de’ Liguori – «d’impedire alle persone pie, specialmente alle donne, di rivolgersi ad un altro
confessore; e quando vedete che lo fanno, dimostratevene contenti. Anzi, obbligatele ad
andare qualche volta da altri. Facci una sola eccezione in favore delle anime molto
scrupolose, per le quali l’indirizzarle ad un altro confessore, che non conosce il loro stato di
coscienza, potrebbe sollevare grandi inquietudini. Non manifestate mai ad alcuna persona il
desiderio di dirigerla. Non parlate mai male degli altri confessori; scusate prudentemente gli
errori nei quali siano caduti. Non vi occupate di coloro che vogliono abbandonare il loro
confessore senza motivo plausibile, nisi adsit urgens causa: questa è la dottrina di S. Filippo
Neri, di S. Carlo Borromeo, di San Francesco di Sales; infatti,di là nascono le dissipazioni
dello spirito, le divisioni e a volte gli scandali» (15).

Ugualmente esplicito è S. Giovanni della Croce:


«Perché vi mettete in mente che quest’anima non ha bisogno di un’altra mano che la
vostra?… È strano, che invece di adattarvi ai bisogni delle anime, le mettiate in soggezione, in
modo che non possano mai togliersi dall’oppressione. Non potete soffrire che esse vi
abbandonino, né che chiedano consigli ad altri confessori, né che parlino con essi su materie
necessarie, che da essi imparino ciò che voi pure potreste loro insegnare, specialmente quando
sono ispirate di aprir loro il proprio interno. E non è la gelosia, l’orgoglio, la presunzione di
voi stessi, che vi spingono a questi eccessi, più che non lo zelo per la gloria di Dio e il bene
delle anime?» (16).

Se il penitente di un altro sacerdote si rivolge per caso a un direttore di passaggio,


quest’ultimo deve procedere con riserbo, e salvaguardare con infinita prudenza, discrezione e
carità, la situazione del direttore ordinario. Così agiscono i direttori veramente soprannaturali.
Troveremo particolari interessanti di questa discrezione in Doni Marmion (17), per esempio, o
anche nel P. Ginhac:
«Una persona, che aveva seguito gli esercizi dettati al Carmelo, prega il P. Ginhac di darle
qualche consiglio. Egli risponde: – “Il vostro confessore è naturalmente la guida
provvidenziale, che deve guidarvi a camminare nel cammino della perfezione. Tuttavia, se vi
pare che qualche mio consiglio spirituale, datovi di tempo in tempo, possa veramente
giovarvi, mi presterò volentieri con la grazia di nostro Signore; purché il Vostro confessore
ordinario non trovi a ridire” – il confessore era un giovane religioso formato dal P. Ginhac»
(18).

***
Dopo la santità della vita, la qualità più utile per un direttore è il senso di adattamento, l’arte
cioè di dare una direzione appropriata e progressiva.

Il P. Charmot e l’abate de Tourville non si sbagliano, quando esigono nella guida spirituale
l’attitudine a dare una direzione, che sappia adattarsi a ciascuna persona e a ciascun caso
determinato.
«Tutta l’arte della direzione» – osserva il primo – «consiste nel sapersi adattare abilmente ai
casi particolari. Ne segue che in un buon Padre Spirituale il primo dono è quello di eccellere
nella diagnosi» (19).
Già l’autore de La Piété confiante non aveva tralasciato di notare:
«I confessori, che fanno il maggior bene, sono coloro che non sono sistematici e che tendono
con tutte le loro facoltà a dirigere, ad aiutare, ad assecondare ogni anima secondo la sua
natura. Gli è che a Dio non piace creare due anime perfettamente identiche» (20).

Appunto a questa meravigliosa diversità delle anime accennava, il R. P. Poullier


nella Settimana degli esercizi, tenuta a Versailles nel 1929, in una conferenza particolarmente
profonda intorno al discernimento degli spiriti. Dopo aver definito che cosa sia il direttore, e
cioè:

1° – Colui che aiuta l’anima a riconoscersi e a giudicarsi: dunque a distinguere ciò che
proviene da essa, da ciò che le proviene da agenti esteriori, ai quali è sottoposta;
2° – Colui che guida nel cammino verso Dio, attuato specialmente nelle aspirazioni della
preghiera e per mezzo di esse;
3° – Colui che presiede alle opzioni così frequenti in tutta la vita spirituale; opzioni più gravi,
che influiscono sullo stato di vita da abbracciare; opzioni meno gravi, ma tuttavia ancor gravi,
che riguardano decisioni, dalle quali dipendono grandi interessi spirituali;

il conferenziere soggiunge:

«Non solo di ogni santo, ma di ogni uomo bisogna dire: non est inventus similis illi» (21).

Non vi sono due anime identiche; ecco perchè non si potrà mai troppo raccomandare che «in
materia di direzione spirituale la sola legge veramente assoluta è che non vi sia legge
assoluta» (22). – «Dio forma i cuori ad uno ad uno. Nella stessa maniera concepisco la
formazione delle anime: ad una ad una, singillatim» – pensa il P. Foch (23).
Vi sono senza dubbio principi generali dì ascesi, di mistica, di psicologia, di discernimento
degli spiriti; ma la grande arte consiste non nel conoscerli astrattamente, bensì nell’applicarli
alla pratica. – «Non vi sono malattie; ci sono soltanto ammalati»; in senso analogo si può dire:
«Non vi è direzione: vi sono anime dirette». Ogni caso è un caso speciale e bisogna lasciare
ad ognuna la propria tonalità, la propria sfumatura, evitando di farle cambiar natura.
« Nessun’anima rassomiglia all’altra. Che magnifico spettacolo ci offrirà in cielo la diversità
nell’unità!… i tratti comuni a tutti e i tratti che rappresentano nostro Signore in ciascuno,
come in nessun altro. Vedere questo in Dio, assecondare la grazia per sviluppare questa idea:
ecco la direzione spirituale. Proviamo prima quale sia l’impulso; se poi ad esso si aggiunge la
virtù pratica, non c’è da temere illusioni. Seguite la grazia; Dio è là e se saremo fedeli
compirà la sua opera» (24).
L’editore delle lettere spirituali di Sant’Anselmo nota la cura speciale che aveva questo
maestro nel tener conto degli atti di virtù particolari a ciascuno dei suoi corrispondenti:
«Egli parla ad ogni anima il linguaggio, che essa è capace di comprendere; la prende
delicatamente nel momento giusto, in cui è maneggiabile. In questa maniera, non sdegnando
nessuna via di avvicinarla, raggiunge quest’anima e la penetra per farle capire la volontà
divina, su di lei in particolare, e, dopo averla conquistata, per renderla docile alla grazia e allo
Spirito Santo – e sovente le vittorie della sua dolcezza sono quelle di un amore divino molto
esigente» – (25). San Giovanni della Croce raccomanda caldamente questo adattamento
intelligente alle esigenze particolari dello Spirito Santo su ogni anima:
«I maestri della vita spirituale considerano lo Spirito Santo come la prima guida di queste
persone (dirette); e perciò ricordano che nell’opera loro non sono essi i principali agenti, ma
soltanto gli strumenti; che il loro dovere è di governare le anime secondo le regole della fede e
delle leggi divine, e seguendo lo spirito, dal quale ciascuna di esse è animata. Ecco il motivo
per cui il loro studio deve consistere non nel ridurre un’anima al loro metodo particolare, al
loro gusto, alle loro disposizioni interiori; ma nel badare alla via, per la quale, Dio indirizza
quell’anima. Se questa via non la conoscono, devono lasciar fare all’anima quanto Dio le
ispira, senza spingerla nell’inquietudine e nell’agitazione. Devono accontentarsi della
condotta di Dio su di essa… darle libertà di seguire le sue tendenze, per timore di disturbare
lo spirito che l’anima» (26).

Il P. de Condren aveva un grande rispetto per particolari di Dio su di ogni anima (27); e cosi
pure l’Olier, suo discepolo.
«Le vie di Dio sulle anime sono differenti; ma ciascuna non può perfezionarsi, se non
seguendo quella, per la quale Dio vuole che cammini. Perciò i direttori devono applicarsi in
modo particolare a discernerle, per non condurre mai le anime, se non per la via loro propria;
perchè tutte le altre vie, per quanto sante appaiano, non possono essere se non sentieri di
deviazione per le persone che non vi sono chiamate».

E siccome gli si rimproverava di non tenere una condotta uniforme nel guidare una persona,
l’Olier risponde (28):

«Non vi meravigliate dei diversi sentimenti che v’ispiro. Dio esercitò tanto me quanto voi. Lo
vedo cambiare ogni momento nella vostra anima. E io non devo fare altrimenti; devo studiare
tutto ciò che Egli fa e sentirlo parlare sia nell’interno che nell’esterno.
Vivo alla dipendenza dei suoi ordini in tutti i momenti della mia vita. Fino alla morte non mi,
stancherò d’aspettare le manifestazioni dei suoi disegni. Nulla mi farà precipitare o
indietreggiare».

S. Francesco di Sales è del medesimo parere. Dirà, per esempio, alla presidentessa Brulard:
«Non desiderate di non essere ciò che siete, ma desiderate di essere bene ciò che siete» (29), e
si potrebbero citare altri testi uguali. L’autore della vita di Dom Marmion fa notare (30)
l’insistenza con cui S. Benedetto richiede che gli abati – e questo vale per tutti i direttori –
trattino i loro inferiori con tatto, non esigendo da tutti la stessa fedeltà nei particolari,
proporzionando gli avvertimenti alla loro capacità; e Dom Thibaut dimostra che l’abate di
Maredsous manifestò sempre una perfetta comprensione delle anime e dei loro bisogni
particolari. Nel libro Cristo, vita dell’anima, Dom Marmion scrive:
«La santità non è uno stampo unico, in cui debbano scomparire le qualità naturali, che
rappresentano la personalità propria di ciascuno, Per non rappresentare poi che un tipo
uniforme. No; Dio, nel crearci, dotò ciascuno di noi di talenti e di privilegi; ogni anima ha una
sua bellezza naturale particolare – l’una brilla per profonda intelligenza, l’altra si distingue
per fermezza di volontà – una terza attira per l’estensione della sua carità. La grazia rispetterà
questa bellezza, come rispetta la natura che ne è il sostrato; essa aggiungerà soltanto allo
splendore nativo una luce divina che la eleva e la trasfigura. Nella sua opera santificante, Dio
rispetta la sua opera di creazione, perchè questa diversità è voluta da Lui – ogni anima
riproducendo uno dei pensieri divini ha il suo posto particolare nel cuore di Dio»
Nelle sue lettere, poi mette in pratica quanto insegna:
«Come non vi sono due volti identici, così non vi sono due anime totalmente simili e ciascuna
deve trattare col Padre celeste secondo il suo carattere e le attrattive dello Spirito Santo…».

E ancora:
«Dio distribuisce i suoi doni soprannaturali seguendo i disegni della sua sapienza. A ciascuno
di noi la grazia, è concessa secondo la misura del dono di Cristo. Nel gregge di Gesù ogni
pecorella porta il suo nome di grazia, conosciuto dal pastore, come il creatore conosce la
moltitudine delle stelle e le chiama, tutte per nome, avendo ciascuna la sua forma e la sua
perfezione» (31).

Una persona, che fu per un certo spazio di tempo diretta dà Mons. d’Hulst, ha ricordato come
l’eminente rettore dell’Istituto Cattolico intendeva la condotta spirituale dei suoi penitenti:
«Medico rinomato di anime, non aveva bisogno di molto tempo per analizzarle. Una volta
conosciutala malattia, trovava subito il rimedio e il modo speciale con cui lo doveva
applicare. Ciascuno di noi era trattato secondo la sua natura; con gli uni entrava nei piccoli
particolari della vita morale; con altri diceva lo stretto necessario e si accontentava di consigli
generali. Con chi, a cagione del suo carattere debole, subiva ogni sorta di influenze, si
mostrava autoritario, quasi esigente; in un altro invece sviluppava l’iniziativa morale,
lasciandolo camminare a modo suo, sorvegliandolo senza farsene accorgere, pronto però a
non lasciarlo smarrire. Preferiva questa seconda maniera, quando la prima non si mostrava
indispensabile. Così l’anima si schiudeva liberamente seguendo la sua natura; le idee e i
sentimenti diventavano personali e vicino a lui prendevano l’abitudine di cercare da soli la
strada vera e buona» (32).

Non sarà certo un provetto direttore, chi non saprà meritarsi un simile elogio.

***

Che la direzione sia appropriata è già molto; bisogna però aggiungere ancora: direzione
progressiva. Senza dubbio, il direttore, mandatario di Dio, deve sapere che bisogna esigere
molto: in generale, nella questione della loro santificazione, le anime mirano molto più in
basso di quello che Dio non si aspetti da loro: e su questo l’abate Huvelin osserva bene:
«Con molto anime bisogna prendere l’iniziativa della direzione; per sostenerle si deve essere
esigenti» (33)
«Quando alla natura umana si presenta qualche cosa di molto alto, d’inaccessibile, essa si
sente spinta a conquistarla per mezzo di un non so che di divino, che Dio mette in lei e le fa
dire: – “Non potrei tendere più in basso, ma potrò tendere più in alto… – È vero; non potrei il
meno, ma potrò il più» (34).

Domandare molto non vuol però dire domandare troppo; e il poco può sembrare eccessivo ad
un’anima non sufficientemente preparata. Il procedimento di una sapiente e forte direzione
consiste nel prendere l’anima nel grado in cui si trova, e innalzarla a poco a poco sopra se
stessa, tenendo conto delle sue possibili resistenze e della sua capacità di fedeltà, fino al
perfetto compimento delle vedute di Dio su di lei.
Si eviterà particolarmente sia di trascurare la base, e sia di precipitare le tappe. Alcuni
direttori novizi dimenticano che se «il valore non aspetta il numero degli anni» e che se una
Rosalia Verchères, novizia di S. Margherita Maria, può fare il voto del più perfetto a
ventiquattro anni – in generale si deve aspettare che le anime abbiano fatto le prove necessarie
prima di approvare impegni e offerte, che hanno un bel suono all’orecchio, ma sorpassano le
forze reali. Non impunemente, salvo casi particolari, si credono troppo presto stabilizzate
nella virtù le anime principianti o si credono chiamate ad entrare nella «dispensa del re»
persone non allenate affatto alla vittoria di sé. «Pazienza e grande spazio di tempo…».
Seguire lo Spirito Santo e certo il mezzo migliore; ma precederlo è imprudenza e temerità!

In alcune pagine molto fini il P. Charmot fa osservare (35) che, esistevano, pei direttori, se
non proprio due metodi, almeno due tendenze; l’una più volitiva, l’altra più soprannaturale; la
prima, quasi dimenticando che vi era uno Spirito Santo, apprezzava solo gli sforzi dell’anima
diretta; la seconda, quasi dimenticando che lo sforzo è necessario, non richiedeva dall’anima
se non il libero sfogo della sua potenza di amar Dio; la prima arrischiava, in caso di
esagerazione, di formare un ascetismo minuzioso; la seconda, in caso di esagerazione,
rischiava di non sfuggire completamente ad un certo quietismo pratico, la cui conseguenza
meno pericolosa sarebbe un’infecondità soprannaturale quasi certa.

La verità esige: 1) che non sì opponga un metodo all’altro; 2) che si incominci dal principio.
1) Non si opponga un metodo all’altro, ma si compiano l’uno con l’altro. Dobbiamo prendere
nel suo insieme la formula di condotta spirituale, che Sant’Ignazio di Loyola dà nei suoi
Esercizi: – «Fare tutto come se il successo dipendesse unicamente da noi; sapere però che il
successo dipende solo da Dio». – Se non dev’esserci pelagianismo pratico, neppure
dev’esserci quietismo. Invitare l’anima ad esercitarsi, a fortificare la volontà, ad usare i
procedimenti correnti, almeno là dove senza procedimenti non si arriva a nulla; non mettere
però un autore umano al posto del Vangelo, né un qualsiasi trattato sulla educazione della
volontà al posto del trattato della grazia e di Dio elevante allo stato soprannaturale. Non dare
importanza alla tecnica per se stessa; e dove è, o è diventata inutile, non volerla conservare ad
ogni costo (p. es. presso alcune anime chiamate all’orazione di unione). Sfruttare il moralismo
in ciò che ha di fecondo; sapere che al di sopra delle risorse del volere umano, per quanto
sviluppato, vi è ancor posto, e posto obbligato, per la sottile e grandiosa azione Divina.
2) Oltre al non opporre metodo a metodo, bisogna impiegare quello che nel caso particolare
conviene maggiormente secondo l’ordine delle cose, cioè secondo la gerarchia della loro
efficacia nella pratica. Non a caso gli antichi maestri spirituali hanno adottato la classica
divisione: via purgativa, via illuminativa; via unitiva. È naturale che la distinzione sia più
chiara nei libri che non nella realtà vissuta; che non la si debba prendere con rigore
matematico; perchè qualcuno può passare dallo stadio di principiante all’orazione infusa
senza gran periodo di transizione per la via illuminativa; un peccatore può avere grazie
mistiche, un’anima di sublime orazione può lasciarsi riconquistare dal peccato. Rimane però
sempre che la divisione dei tre stadi è opportuna e che, salvo precise indicazioni e determinati
casi, non vi è interesse, anzi vi è rischio di danno maggiore a non tenerne conto nella
direzione delle anime. L’esempio delle trasformazioni subite da anime elevate nella
spiritualità per il fatto di non aver incontrato, nel momento opportuno, il direttore capace di
comprenderle e di aiutarle a salire, non deve far dimenticare il danno considerevole arrecato
ad altre anime da direttori che le hanno orientate troppo presto verso una spiritualità
evidentemente più facile, più dilettevole; ma prematura.

***

Santità di vita e competenza psicologica sono già di per sé due qualità molto preziose, ma a
compiere le attitudini di un perfetto direttore ne occorre una terza: l’esperienza delle vie del
Signore. Sant’Ignazio di Loyola, che aveva prima vissuto ciò che più tardi avrebbe dovuto
insegnare, confessava al P. Laynez che una sola ora di preghiera a Manresa gli aveva
insegnato più cose celesti, che non le lezioni di tutti i dottori (36).

Alla sorella di Mons. Segur, Mons. Gay esprime il rimpianto che fra i preti non vi siano
sempre direttori sufficientemente competenti, specialmente quando si tratta di guidare per vie
riservate:
«Quante anime, anche in religione, sono in questa via mistica e tuttavia non vi progrediscono
perchè non la conoscono, e talora – anzi troppo sovente – perchè manca loro una guida
sperimentata. Pregate nostro Signore di spargere sui preti e sui direttori di anime l’effusione
abbondante di quella sapienza che è Egli stesso.
«La vita mistica è scarsa fra i sacerdoti. Non si sa, perchè non si vive, e allora che cosa si deve
insegnare?» (37).

Non pretendiamo certo dire che ogni direttore, per ben condurre chi a lui si rivolge, debba
avere percorso personalmente tutte le tappe della via ascetica e mistica: se fosse cosi, il
numero dei direttori sarebbe esiguo. Diciamo tuttavia che il direttore deve avere una
conoscenza pratica sufficiente delle vie divine, e che quello che non sa per esperienza diretta,
deve conoscerlo per mezzo dei libri che ne trattano e per mezzo delle vite dei Santi.
Per guidare alcune anime, chiamate a stati speciali, col massimo, profitto spirituale è
utilissimo che il direttore sia stato personalmente introdotto da Dio in questo stato, come
attesta l’evidenza, e come attestano del resto molti autori di grido, quali Riccardo di San
Vittore, S. Teresa d’Avila e S. Giovanni della Croce (38).
«Possiamo» – dice il primo – «apprendere il discernimento leggendo, ascoltando e riflettendo:
però non saremo mai così istruiti come dall’esperienza» (39).

S. Giovanni della Croce insiste sovente:


«Quantunque la dottrina sia un fondamento necessario per sostenere la direzione delle anime,
tuttavia se il direttore non ha l’uso pratico di queste cose, non saprà mai dirigere l’anima, sulla
quale Dio versa le sue grazie straordinarie, anzi le sarà di danno. Coloro infatti che non
conoscono per propria esperienza le vie spirituali, allontanano le anime, che dirigono, dalle
delicate unzioni per mezzo delle quali lo Spirito Santo le dispone all’unione divina, in quanto
che le obbligano a seguire i metodi comuni, che hanno imparato nei libri spirituali, non atti a
formare se non coloro che sono ancora novizi nelle vie interiori. Tanto che, limitandosi la loro
scienza ai soli principianti, non vogliono permettere ai loro discepoli di elevarsi al di là dei
loro principi, dei loro ragionamenti e dell’opera dell’immaginazione e dello spirito
nell’orazione mentale, nonostante Dio li chiami ad una contemplazione più eminente» (40)

Nell’epoca di S. Giovanni della Croce e di S. Teresa pare che lo scoglio fosse più grave, che
non ai nostri giorni, in cui la tecnica spirituale è molto più conosciuta (41). La citazione che
riferiamo diventa perciò più preziosa. Ricordiamo un direttore rinomato, molto scettico
riguardo alle grazie mistiche, il quale si vantava come di una superiorità, di non avere mai
incontrato, durante la sua lunga vita di confessore, un’anima chiamata alla contemplazione
infusa. Appunto per questi, direttori un po’ troppo diffidenti San Giovanni della Croce scrisse
le seguenti parole:
«I padri spirituali, che non sono ancora usciti dai limiti dell’orazione comune e che non
capiscono i segreti di questa contemplazione tranquilla, si persuadono che le anime, che ne
sono favorite, perdono il tempo, perché, secondo l’espressione di S. Paolo, l’uomo carnale,
che non si è ancora messo al di sopra delle operazioni della parte sensitiva, non comprende le
cose che vengono dallo spirito di Dio. Essi disturbano la pace che Dio dà all’anima nella
contemplazione; costringono quest’anima a ragionare e a fare degli atti, quantunque essa non
senta se non resistenza, tedio, aridità, distrazioni, non avendo che il desiderio di rimanere
nella sua pace e nella sua unione con Dio… La forzano a concepire sentimenti soavi e
ferventi, mentre dovrebbero invece dissuaderla. E poiché essa non può più far questo, essendo
passato il tempo, le procurano nuovi dispiaceri; perchè le dimostrano che ha presa la via della
perdizione, la gettano nell’aridità, la privano delle unzioni preziose dello Spirito Santo. Di
modo che la loro ignoranza, pregiudizievole all’anima e ingiuriosa a Dio, perchè osano
mettere la mano nella sua opera, che guastano per la loro incapacità, benché sia costato molto
a Lui il condurla a tantaperfezione» (42).
Dal canto suo S. Teresa osserva:
«Alcuni teologi (e non sarebbe poi loro la colpa?) non sono condotti da Dio nelle vie
dell’orazione; essi non ne hanno il minimo principio; e tuttavia pretendono condurre ogni cosa
con tante ragioni e con tanta conformità alla misura della loro intelligenza, che si direbbe che
con la loro scienza debbano capire tutte le grandezze di Dio! Ah! se imparassero un po’
dell’umiltà della Vergine Santa!» (43).

***

Prima di chiudere questo capitolo non dimentichiamo un’osservazione importante. Se non


possiamo augurarci che ogni direttore possieda tutte le qualità che abbiamo enumerate e tutte
in misura superiore alla mediocre, è tuttavia fuor di dubbio, che alcune di queste qualità – e di
queste qualità riunite – sono strettamente indispensabili. In altre parole un direttore non può
far a menò di essere un uomo di Dio, di conoscere la dottrina, di possedere un solido buon
senso.
Se esiste la santità e manca il sapere, i consigli impartiti saranno sprovvisti di fondamento
solido; farà difetto una certa perspicacia, perché generosità non è sinonimo di perspicacia, e si
può avere un cuore molto ardente, ma uno spirito assai povero; un’anima portata alla rinuncia
e una conoscenza molto ridotta dei principi necessari per guidare gli altri. In un articolo molto
giudizioso della Vie Spirituelle (sett. 1924) il Lavaud, esigendo per il direttore spirituale
un’alta competenza dottrinale, potè dire:
«La verità è che, come la fede è il frutto della predicazione veramente apostolica e una delle
grandi ragioni dell’indebolimento della fede deriva dalla debolezza di alcuni operai apostolici,
cosi la fioritura spirituale, il progresso e le ascensioni dei fedeli nella santità dipendono per
buona parte dai direttori. Se le anime, che raggiungono le vette più alte sono cosi rare e quelle
che falliscono sono cosi numerose, una delle ragioni principali si è che esse non hanno trovata
la loro guida. Vi sarebbero molte più anime ferventi e sante, se vi fossero più teologi. La
nostra responsabilità e terribile».

Dovendo scegliere fra scienza e santità, sappiamo che S. Teresa preferiva la scienza:
«Il nostro direttore sia istruito e pio; se non possiamo trovare riunite le due qualità, è meglio
prendere la scienza senza la devozione, che non l’opposto ».

Le quali parole provocano nel P. Faber questa riflessione:


«Di tutte le sagge parole della santa – che sono innumerevoli – altre non ne conosco che
meglio di queste riflettano il suo carattere» (44).

Di un altro ordine, che non la santità e la competenza dottrinale, ma ancor più necessaria sotto
pena di conseguenze pericolose, è la qualità del buon senso:
«La virtù, unita a un profondo sapere, non basterebbe per evitare molti scogli che s’incontrano
nella direzione, se una sana e retta ragione non guida l’una e l’altro. Perché si tratta di
discernere bene ciò che conviene alla situazione presente di ogni anima in particolare, ciò che
conviene alle diverse età, ai temperamenti e alle condizioni differenti. E questo buon senso
ogni uomo se lo attribuisce; ma tuttavia è rarissimo, e distingue, in qualche modo, il perfetto
direttore» (45).

Chi non ha buon senso, non deve ingerirsi nella direzione delle anime; sappiamo purtroppo
quello che avviene ad un cieco guidato da un altro cieco. Sfortunatamente colui che manca di
buon senso, non dubita affatto di esserne privo. Orbene, alcune persone possono essere molto
sante, anche molto istruite, ma ben poco equilibrate. Come insegnare agli altri ad adottare
solamente soluzioni sagge, se noi stessi manchiamo di saggezza? Al buon senso è necessario
si aggiunga il senso psicologico, l’attitudine cioè a scoprire in modo preciso nella persona
diretta le risorse dell’anima, la mentalità, le qualità dominanti, le lacune del carattere, e
l’attitudine di misurare e pesare secondo le circostanze la direzione che si deve dare:
possiamo possedere un bellissimo corredo libresco, e poi in presenza di un’anima rimanere
perplessi.
«Fra coloro che sono destinati alla direzione» – nota il Pinamonti – «le persone esperte dei
casi di coscienza s’immaginano facilmente che per questa sola ragione posseggono di già tutto
quanto è necessario per una missione così santa, cosi estesa e cosi delicata… La, scienza dei
casi è assolutamente necessaria; però si può essere un buon teologo, e un cattivo direttore,
quantunque sia vero che non si può essere un buon direttore, senza essere un buon teologo»
(46).

NOTE

(1) Faber, Progressi dell’anima nella vita spirituale (Maríetti, Torino).


(2) Cuivis maximo studio curandum est, ut eum sibi sacerdotem deligat, quem vitae integritas,
doctrina, prudensque iudicium commendat.
(3) Autobiografia, cap. XIII; Cammino della perfezione, c. V.
(4) Maximes et avis spirituels, n. 195.
(5) Introduzione alla vita devota, parte I, cap. IV (Trad. P. D. Marranci, Marietti, Torino,
1944).
(6) Direttorio Ascetico, n. 107, e seg.
(7) Le Directeur dans la voie du salut sur les principes de Saint Charles Borromée, 6ª ediz.,
1749, prefazione.
(8) Pratica de la Theologia mistica por el R. P. Michel Godinez, (1591-1644) commentata dal
R. P. E. de la Riguera; Praxis Theologiae Mysticae.
(9) L’esprit d’un directeur des âmes selon M. Olier, Poussielgue, 1859, pp. 24-25.
(10) Mémorial pour la direction des superieurs.
(11) P. Guilloré, Maximes Spirituelles, 1. I, m. VIII, § I.
(12) Daret de la Villeneuve, De la conduite des âmes, ou l’on traite de l’autorité et des
devoirs des directeurs; de la soumission et de l’obéissance qui leur est due, Paris, J. De Nully,
1695. – Il protestante F. G. Foerster, insiste da parte sua su quest’obbligo: « Riconoscere la
direzione invisibile di Dio nella propria vita è il colmo dell’ubbidienza; e per poter dirigere
sicuramente gli altri in questo mondo visibile, ci si deve sottomettere costantemente a questa
direzione invisibile, capirne le istruzioni, gli avvertimenti segreti, e mantenere la coscienza
docile alla sua voce» (F-G. Foerster, Cristo e la vita umana).
(13) Debet enim tot peccatorum ulcera tractare, quin se deturpet; cum mulieribus et
adolescentibusbus saepe versari, earum confessiones de iis rebus de quibus magnopere
erubes***** excipiendo, quin sibi aliquid damni evenisse sentiat (S. Alfonso de’
Liguori, Praxis Confess., Introd.).,
(14) L’esprit d’un dírecteur des ámes, Massime del Signor Olier, raccolte da de
Bretonvilliers, rivedute dal Tronson, Poussielgue, 1859.
(15) S. Alfonso de’ Liguori, citato dal Gaume: Manuel des confesseurs, 1851, p. 249.
(16) La vive flamme d’amour, 3° verso del 3° canto. – Più oltre completa la sua idea: «I
direttori devono approvare che le anime a loro affidate vadano a consultarsi con altri; devono
riceverle cordialmente allorché ritornano, anzi devono consigliar loro di prendere altri padri
spirituali, quando non approfittano più sotto la loro direzione».
(17) Vie, scritta da Dom Thibaut, p. 262.
(18) Lettres de Direction du P. Ginhac, raccolte dal p. Calvet, t. I, Introd. p. XI.
(19) Charmot, L’âme de l’éducation; la direction spirituelle, Spes, p. 117.
(20) Pag. 111.
(21) Les grandes directives de la retraite fermée, Spes, 1930, p. 203.
(22) Bremond, Hist. litt., t. IX, p. 368.
(23) Le Père Foch, del P. De Sinety, Apostolat de la Prière, Toulouse, p. 145.
(24) Vie du P. Renault, scritta dal P. Guidée, p. 14.
(25) Paris, 1925, coll. «Pax», introd. p. XXXIX.
(26) La vive flamme d’amour, 3° verso del 3° canto.
(27) Cfr. Bremond, tomo VII, L’école française, pp. 406-411.
(28) Loc. cit., p. 32.
(29) Ed. d’Annecy, t. XIII, 291.
(30) Cf. il capitolo: La charité dans la vérité.
(31) Vie, scritta da Dom Thibaut, p. 287. – Cfr. nella vita di quel gran direttore che fu il P.
Ginhac S. J. il delicato rispetto che aveva per i religiosi, posti sotto la sua direzione. (Vie,
scritta dal P. Calvet, 6ª ed., 1929, cap. XIII, p. 335).
(32) L. Thieblin, Mons. D’Hulst intime, in Recueil de souvenire, p. 116, citato da Cagnac: Les
lettres spirituelles en France, t. II, pp. 366-7.
(33) Quelques directeurs d’âmes au XVII siècle, Gabalda, 1911, p. 194.
(34) Ibid., p. 201.
(33) L’áme de l’éducation, la direction spirituelle, Spes, parte II, cap. II, pp. 133-162.
(36) D. Bartoli, Vita di S. Ignazio, cap. IV.
(37) Correspondance, Serie 2ª, pp. 376-377.
(38) Chemin de la Perfection, cap. V.
(39) Lib. I, De praep. ad contempl., cap. LXVII.
(40) La vive flamme d’amour, verso 3° del 30 canto. – Altrove dice ancora: «Benchè la
condizione fondamentale sia di avere la scienza della direzione, tuttavia un direttore senza
esperienza non potrà condurre l’anima per la via cui Dio la chiama» (Massime e avvisi
spirituali, n. 196).
(41) Non sarebbe opportuno dire che si soffre ora per l’eccesso opposto, cioè per la troppa
facilità nel credere che qualunque persona si a ammessa agli stati superiori di orazione?
(42) La vive flamme d’amour, 3° verso del 3° canto.
(43) Citato, in Rod. Hornaert, Sainte Thérèse écrivain, Desclée, Bruges, pag. 228.
(44) Progressi dell’anima nella vita spirituale (Marietti, Torino).
(45) Pinamonti S. I., Le Directeur dans la voie du salut sur les principes de Saint Charles
Borromée, 6ª ediz., 1749, prefazione.
(46) Loc. cit.

testo tratto da: Rodolfo Plus S.J., La direzione spirituale. Natura – necessità – metodo,
Torino: Marietti, 1944/2, pp. 72-100.

***

CAPITOLO V.
Relazioni fra la persona diretta e il Direttore.

Vogliamo trattare in questo capitolo i tre punti seguenti:


– la scelta di un direttore;
– le qualità richieste nella persona diretta per approfittare della direzione;
– la questione del cambiamento del direttore.

I. La scelta del Direttore.

Nella scelta di un direttore ci ispireremo a una triplice regola: libertà, umiltà e discernimento.
Abbiamo già detto come sia conveniente lasciare che ciascuno si scelga il direttore che
preferisce. Nel mondo la cosa è facile; ma nei collegi i superiori devono star attenti a lasciar ai
ragazzi, senza pregiudizio della missione del cappellano, la possibilità di rivolgersi a chi
vogliono; nei conventi la consegna è la stessa, e se vi è clausura, i superiori avranno
l’attenzione di far venire di frequente confessori straordinari. Tale è lo spirito del diritto
canonico; assicurare cioè, il più che sia possibile, la sana indipendenza delle anime.
Se la persona diretta deve essere libera, è sommamente importante che nella sua scelta faccia
prova di discrezione e di umiltà.
Sarebbe opportuno, per esempio, credersi anime tanto elette da volere per direttore soltanto
qualcuno abituato agli alti voli? Alcuni testi, mal capiti, porterebbero ad essere troppo
esigenti; i testi, per esempio, di S. Giovanni della Croce o di S. Teresa: – «Durante venti anni
mi fu impossibile, nonostante tante ricerche, trovare un confessore che mi capisse»[1] – o
quelli di S. Giovanni d’Avila e di S. Francesco di Sales: – « Sceglietelo fra mille… e io vi
dico: fra dieci mila»[2], – Se abbiamo buona volontà, se siamo pronti ad una abnegazione
completa, Dio saprà ben condurci molto in alto, anche con un mediocre portavoce dei suoi
ordini. Alla base di certe vite spirituali troviamo invece un orgoglio larvato, che paralizza
tutto. Ci si crede personaggi importanti e ci occorre perciò un direttore scelto. Pensiero,
questo, contro cui punta i suoi strali il La Bruyère: – «Sapete che cosa sia una persona diretta?
È forse colei che ama e che serve Dio più perfettamente, che si dedica al prossimo, che
adempie meglio i doveri del suo stato, che è più umile e più amabile? Eh no! Non sempre! Ma
è una persona, che ha un direttore».
Notiamo poi che se anche il direttore fosse l’uomo più santo e il più capace che possiamo
immaginare, e appena avrebbe ancor sempre qualche lacuna; perché appena avrà donato i suoi
tesori, sarà più o meno esaurito.
Sulla terra non dobbiamo aspettarci che il relativo.
Non avere mire troppo elevate, non vuol però dire rivolgersi ad un sacerdote qualsiasi; perciò
ad una scelta seria del direttore deve presiedere un saggio discernimento. A questo riguardo
possiamo procedere in tre modi:
«Prendere il primo che capita, con la scusa che, essendo prete, dev’essere buono e capace;
preferirne uno, ma per impressione; preferirlo per ragione… La prima massima ci espone ad
essere mal serviti. La seconda può essere buona, a condizione che l’impulso interno venga da
Dio…; per riconoscerne quindi la provenienza dobbiamo “discuterlo”, il che equivale a fare
una scelta per ragione»[3].

Come può un’anima riconoscere il direttore che le conviene? Troviamo la risposta a questa
domanda nel Padre De Smet, autore del libro Notre vie surnaturelle[4]:
«Si riconosce il direttore, che ci conviene, da un sentimento interno di rispetto e d’affezione
soprannaturale, che si prova per lui; sentimento provocato dalla stima, dallo spirito di fede, di
pietà, di purezza, di bontà e di prudenza constatato in lui e che lo fanno riguardare come il
degno rappresentante di Dio», e ancora: – «da un’impressione di luce, di forza, di pace, che le
sue parole procurano e per le quali si è attirati potentemente verso Dio».

II. – Qualità della persona diretta.

Una volta scelto il direttore, quali saranno le qualità necessarie al penitente perchè i consigli
rechino il loro profitto ?
Dopo aver notato che i buoni direttori sono rari, il P. Grou osserva che sono rare anche le
persone suscettibili d’approfittare della direzione[5]. Le qualità, più particolarmente richieste
per il penitente, possiamo ridurle alle seguenti: semplicità, sobrietà, obbedienza.
Che cosa intendiamo per se semplicità?
Ecco: non immaginarsi che colui, al quale ci rivolgiamo, sia un «veggente» dotato di una
divinazione soprannaturale. Potrebbe qualche volta essere così, come nel caso di S. Giovanni
Battista Vianney; ma è cosa eccezionale. Ordinariamente, perchè il direttore sappia, lo si deve
illuminare, gli si deve esporre con grande rettitudine ciò che ha bisogno di sapere, le
mancanze e le loro radici, le tentazioni, le lotte, gli sforzi, le attrattive per il bene, gli atti di
virtù. Poco importa il modo con cui verremo giudicati; vogliamo sì, o no, ch’egli ci aiuti?
Tutto il problema sta qui.
In secondo luogo: sobrietà. Dire tutto ciò che è utile non significa obbligatoriamente dire
tutto. Alcuni, sotto il pretesto di illuminare il direttore, lo soffocano di cose inutili. Si deve
manifestare unicamente ciò che si riferisce alle cose dell’anima e anche questo senza scendere
a minuzie:
«Non si può avere gran che da dire intorno all’argomento della vita spirituale, perchè non si
possono constatare che progressi assai lenti. La conversazione fra una quercia e un boscaiolo
sarebbe assai breve, se fossero obbligati a non trattare altro soggetto che la crescita, lo
sviluppo, la nebbia, gli uccelli, le api, l’edera; perchè la quercia non cresce di un pollice al
mese, ne nel tronco, ne nei rami, e non ci si può aspettare certo di vederne da un giorno
all’altro la scorza ben levigata, verniciata, e incrostata d’oro. Così è pure dell’anima; le
rivoluzioni non si fanno in un giorno; l’oggi è simile a ieri; il domani sarà simile all’oggi. Che
si potrà aver da dire dunque? Tutto quel chiacchierìo ci condurrà, dopo ogni conversazione, a
slanciarci in nuove direzioni. È un incominciare devozioni, che poi si lasceranno presto, come
fa un bimbo viziato coi suoi balocchi; è un ammucchiare pratiche su pratiche senza
approfittare di nessuna; un servirsi di alcuni rimedi e poi applicarne altri, avanti che i primi
abbiano prodotto il loro effetto; insomma è un tentare Iddio»[6].

Ecco una regola d’oro: chiedere pochi consigli, ma seguire più intensamente quelli ricevuti.
I domestici della baronessa di Chantal, dopo, che essa ebbe seguìto per qualche tempo i
consigli di S. Francesco di Sales, osservavano: – «Il primo direttore non la faceva pregare che
tre volte, eppure ne eravamo tutti annoiati; Monsignor di Ginevra la fa pregare a tutte le ore
del giorno, e questo non incomoda nessuno». – Gli è che la Santa Chantal non si accontentava
di avere un eccellente direttore, ma gli ubbidiva puntualmente. A che scopo fare sempre la
medesima domanda per ottenere regolarmente la stessa risposta e non cambiare un «iota»
nella vita che si conduce? – «I penitenti che parlano di più, sono i meno ubbidienti»[7]. –
Coloro invece che cercano un vero profitto, si sforzano di sostituire alla manìa delle
confidenze l’abitudine della preghiera, a tutti i consigli domandati ad un uomo il contatto
sempre più prolungato con Dio; sarà appunto il raccoglimento sull’inginocchiatoio il mezzo,
che ci permetterà di distinguere ciò che val la pena di dire in confessione e ciò che merita di
essere dimenticato. E ne verrà un gran vantaggio per l’anima diretta e un gran vantaggio per il
direttore, il cui tempo sarà, così, meglio risparmiato.
«Se si sapesse che cosa sia il tempo per un sacerdote, incaricato di pregare per se stesso e per
tutta la Chiesa, di meditare profondamente la legge di Dio e di lavorare per ricondurre tanti
peccatori, si avrebbe timore di profanare un tempo così prezioso per impiegarlo in discorsi
inutili. Se si cercassero solo consigli evangelici, poco tempo sarebbe necessario per la
direzione. Parlare poco e fare molto, ecco la parte delle anime rette»[8].

Dell’abate Huvelin, che fu lo strumento di Dio per la conversione del Foucauld, del Caro, del
Littrè, uno dei suoi antichi compagni nelle scuole normali, Enrico Joly, scrisse questo
splendido elogio:
«La sua direzione non era di quelle che, si dilettano dei particolari, e che a volte prolungano le
agitazioni per averne ascoltato troppo compiacentemente le lunghe confidenze. Non si doveva
ne ripetergli, ne fargli ripetere due volte la medesima cosa»[9]. – Se il dovere del penitente è
di essere sobrio, il direttore ha per parte sua quello di prestarsi, in vista di un bene reale
dell’anima, anche a lunghe confidenze e di saper perdere, per così dire, il suo tempo.
Un’infermiera diceva di un medico dell’ospedale: – «Anche sovraccarico di lavoro, se
qualcheduno ha bisogno della sua opera e gli dice: “Dottore, ho qualche cosa da dirle”, subito
si siede per far vedere che ha tutta l’intenzione di ascoltarlo». – Lo psichiatra Dubois, di
Berna[10], raccomanda ai suoi colleghi che vogliono guarire gli astenici:
«Prima di tutto non si deve aver fretta; ad ogni modo non mostrarla mai; il medico che entra
come un fulmine, che guarda l’orologio, e parla di tutte le sue preoccupazioni, non è fatto per
praticare la psicoterapia. L’ammalato deve avere l’impressione di essere la sola
preoccupazione del medico»[11].

Oltre che di semplicità e di brevità, la persona diretta dovrà dar prova di ubbidienza; e più
questa ubbidienza sarà soprannaturale e confidente, senza però tramutarsi in passività, e più
sarà buona. A proposito dell’ubbidienza soprannaturale S. Francesco di Sales parla così: «Il
direttore deve essere sempre un angelo per voi; voglio dire, una volta trovato, non
consideratelo come un semplice uomo, non confidatevi a lui ed al suo sapere umano, ma a
Dio che vi parlerà per mezzo di lui, mettendogli in bocca e nel cuore ciò che è richiesto alla
vostra felicità; di modo che dovete ascoltarlo come un angelo sceso dal cielo per
condurvici»… « Abbiate in lui un’estrema confidenza unita a un santo rispetto, in modo che il
rispetto non diminuisca la confidenza e che la confidenza non diminuisca il rispetto».

Ma, si, dirà, il direttore può sbagliare! Questa non è una ragione per dispensarci dall’averne
uno e dall’avere confidenza in lui. L’agire a proprio talento espone ad altri ben più gravi
pericoli: e poi il direttore ha la grazia di stato e colui che agisce per obbedienza non si perde.
Si può sbagliare comandando e consigliando, non mai ubbidendo; d’altra parte ubbidienza
non significa qui asservimento; occorre intenderlo bene.
«Guardatevi bene» – scrive il P. Lippert – «dall’aspettarvi troppo dal confessore e dal
considerarlo come il motore della vostra vita interiore, mentre non può e non deve essere se
non la guida dei movimenti della vostra anima. Se egli tentasse di sostituirsi a voi, di
diventare l’animatore dei vostri pensieri e dei vostri movimenti, sarebbe per voi inutile non
solo, ma anche malsano e insopportabile. Alcune donne possono sognare tale schiavitù
interiore; ma se trovano un uomo così mal preparato da prestarsi a questa parte di burattinaio,
saranno ben presto ridicole marionette. Si credono guidate e sono invece portate»[12].
E, riprendendo un paragone conosciuto, l’autore continua:
«Il vero confessore fa sentire cosi poco la sua azione sulla vostra anima, che somiglia al
vostro stesso angelo custode, testimonio discreto, che assiste alla vostra vita, rispettando la
vostra libera spontaneità, e intervenendo raramente, in modo decisivo, nei momenti difficili
della prova».

Il fatto di avere un direttore non ci obbliga a non fase alcun passo senza il suo consenso. S.
Francesco di Sales dice a Santa Chantal, dopo aver lodata la venerazione che aveva per la sua
guida spirituale: – «Questo rispetto religioso non deve impedire né soffocare la santa libertà,
che lo spirito di Dio dà a coloro che Egli possiede»[13].
Quello che l’anima deve domandare dalla direzione è di imparare l’assoluta obbedienza a Dio.
Perchè ci abbandoniamo alla guida di un uomo, se non perchè egli ci insegni ad abbandonarci
completamente alla condotta di Dio? La citazione seguente del P. Lippert contiene una
lezione salutare e molto filosofica:
«Quando avrete trovato un direttore, per buono che egli sia, resterete deluso. Al primo
momento ne rimarrete incantato: la confidenza vi penetrerà col suo dolce calore;
un’impressione di sicurezza succederà ai vostri dubbi pusillanimi e vi darete all’inviato di Dio
con un gesto di gioia. Ma appunto perchè è l’inviato di Dio, tutta la sua azione tenderà ad
allontanarvi da sè per avvicinarvi a Dio; a farvi capire che Dio dev’essere il solo oggetto delle
vostre ricerche: e la cosa migliore che farà questo Raffaele terrestre sarà di abbandonarvi, per
lasciarvi solo con Dio.
«L’ultima tappa della salita aerea, che conduce a Dio, si chiama solitudine. L’uomo deve
finalmente tentare la sorte, e puntare da solo, gettando tutto fuori bordo, verso lo zenit.
Nessun estraneo può supplire questo sforzo ultimo ed essenzialmente personale.
«Conviene dunque prepararvi a questa specie d’inganno o piuttosto di ripararvi, non sperando
troppo nel soccorso, che Dio vi manda in quell’uomo. Egli sarà con voi solo il tempo
necessario per insegnarvi a fare senza di lui e senza qualsiasi altro, che non sia Dio. Oggi
dite: Hominem non habeo. Se Dio vi manda un uomo, sarà per guarirvi da questa inquietudine
interiore e cambiare sulle vostre labbra il grido verso l’uomo nel grido verso Dio»[14].

III. – Il cambiamento del Direttore.

Può avvenire che si debba cambiare di direttore? Se sì, a qual principio attenersi?
Generalmente conviene tenere il medesimo direttore fino a che ci fa del bene; non lo sì deve
cambiare per motivi futili o per paura delle sue giuste esigenze.
«Perché avete lasciato la direzione di Mons. Falcoia, così santo e così illuminato?» –
domanda Sant’Alfonso de’ Liguori ad una persona; e soggiunge: – «L’avete lasciato perchè
non potevate sopportare che vi umiliasse!»[15].
L’attaccamento allo stesso direttore non deve tuttavia trasformarsi in asservimento. Il Faber
ha ragione di scrivere:
«Per me (ed espongo la mia opinione con grande diffidenza) credo che non solo non sia da
desiderare di attaccarsi al direttore con una specie di fanatismo, ma credo che, quando non ci
sentiamo più liberi e a nostro agio con lui, egli perda la grazia che aveva per guidarci, e
questo senza che vi sia mancanza né da parte sua né da parte nostra. La direzione spirituale
dev’essere libera come l’aria e fresca come il sole di levante. Né le tentazioni, né gli scrupoli,
né la mortificazione, né l’obbedienza dovrebbero avere il potere di imporre il minimo
elemento dì costrizione. Dal momento, in cui nelle nostre comunicazioni col direttore
s’insinua il disagio, dobbiamo rinunciarvi e subirne le conseguenze. Perché il solo, unico,
invariabile fine della direzione spirituale, in ogni momento della vita interiore e mistica, è la
libertà di spirito. La dottrina opposta non è saggia, ma appartiene alla superstizione della
direzione»[16]. – Sant’Alfonso de’ Liguori invoca l’autorità di S. Francesco di Sales per
insegnare la stessa dottrina: – «Senza gravi ragioni non si deve cambiare confessore, ma non
si deve neppure essere invariabili, quando sopraggiungono ragioni legittime per
cambiare»[17].

In tre casi può essere utile il cambiare: se la prima scelta fu errata; se da una parte o dall’altra
vi sono attrattive troppo umane, e a maggior ragione, se vi è pericolo grave per il direttore o
per il penitente o per entrambi; o semplicemente se la guida spirituale non è più un soccorso
per l’anima. Infatti:
«È raro trovare un direttore che convenga ugualmente a tutti, o che convenga ad una sola
persona durante tutto il corso della sua vita. È questo un punto da non perdere di vista, e
diventa capitale, quando si tratta di scegliere o di cambiare direttore»[18].

Il P. Libermann va ancora più oltre e scrive ad un giovane:


«Sono sicuro che tutte le lamentele che avete contro il buon N. N. non sono fondate; ma
questo non serve. Per cambiare direttore non si tratta di sapere se le pene, che si offrono al
vostro spirito, sono vere o false, basta che vi facciano male»[19].
Anche senza richiamare casi come questo, non si deve tuttavia dimenticare che dopo un certo
tempo un direttore ha esaurite quasi tutte le sue possibilità e il penitente può guadagnare nel
cercare altrove un nuovo pascolo:
«Vi accorgerete subito» – scrive il P. Ginhac ad una suora – «se vi sono di danno o se non vi
servo. In questo caso non esitate a cambiar direzione e dirigervi ad altri. Per far questo non
prendete precauzioni o abbiate riguardi per me: sarò sempre contento, benedirò Dio della sua
bontà per voi e vi resterò sempre devoto»[20].
È certo che S. Teresa trasse gran vantaggio dall’avere avuto successivamente una direzione
francescana, gesuitica, domenicana[21]. Santa Chantal, pur richiedendo sempre i consigli di
S. Francesco di Sales ad Annecy, trovò profitto, dal 1606 al 1610, nel praticare la dottrina di
S. Teresa, presso la priora del Carmelo di Digione[22].
Cambiar direttore non vuol dire svolazzare a destra e a sinistra e consultarne quattro o cinque
nel medesimo tempo. Il Fénelon biasima apertamente questo metodo non retto.
«Cambiar direttore è come farsi padroni della direzione, mentre la si dovrebbe seguire con
sottomissione. Una direzione così variata non è più direzione; ma indocilità che cerca sempre
di lusingare se stessa. Quando si hanno tanti consigli, dovendo scegliere fra i molti ricevuti,
necessariamente non si segue che il proprio»[23].
Che in un caso particolare si possa desiderare di sentir l’opinione di un direttore straordinario,
il quale confermi la soluzione del direttore ordinario, non è cosa condannabile, può essere
anzi profittevole. Sant’Alfonso de’ Liguori si appoggia sull’autorità di S. Teresa per affermare
che in alcuni casi di dubbio il penitente può rivolgersi con utilità al consiglio di un altro
maestro[24]. È questione di tatto e di misura. Non si tratta, ben inteso, della mania
impertinente di elemosinare a diverse porte soluzioni opposte con lo scopo e col pensiero
recondito di mettere in contraddizione i due consiglieri; ma supponiamo una ricerca leale e
retta.
Ci sarebbe stretto dovere di cambiar direzione, se questa, invece di condurre a Dio, fosse
occasione di peccato.
Come deve comportarsi il penitente se perde il suo direttore, o perchè questi e trasferito
altrove o perché ha mutato ufficio o per qualunque altro motivo provvidenziale?
Prima di tutto deve rimanere in pace e affidarsi a Dio; non credere di aver perduto tutto;
comprendere che le creature per quanto ricche sono sempre deficienti; che lo scopo della
direzione è d’imparare a farne senza; e che se Dio ci priva di un direttore è segno evidente che
questo mezzo di santificazione non ci era più necessario.
Il P. Doncoeur[25] Ci propone un bell’esempio di rinuncia nella persona del P. Alessio
Hanrion, il quale, dopo aver goduto per un anno della direzione del P. Foch, che egli chiamerà
più tardi praesentissimae et salutaris memoriae, viene chiamato in altro clima a lui più
favorevole:
«Egli comincia a provare» – dice il suo storiografo – «che Dio, se prima dà il soccorso della
compassione e della luce di un uomo, non intende che ci si attacchi a questo strumento delle
sue opere; Egli solo è il vero artefice, com’è il solo Bene, il solo Amico»[26].

NOTE

[1] Autobiografia, cap. IV.


[2] Introd., I, 4.
[3] Ribet, Ascétique Chrétienne, cap. XXXV, p. 365.
[4] Dewit, Bruxelles, 1920, t. II, pp. 17-18.
[5] Manuel des âmes intérieures, p. 110. – Utili indicazioni nel t. III della preziosa raccolta
del P. Roupain: Sur les pas de Jésus, Desclée, p. 761 e segg.: L‘ange de la route.
[6] Faber, Progressi dell’anima nella vita spirituale (Marietti, Torino).
[7] Ibid., p. 351.
[8] Fénelon, Lettres sur la direction.
[9] H. Joly, Ozanam et ses continuateurs, Gabalda, p. 173.
[10] Les psychonévroses, p. 283.
[11] «A volte è necessario lasciar passare un fiume di parole prima di giungere alla questione
vitale. Il miglior direttore sarà colui che avrà risolto questo difficile problema: lasciar dire
tutto ciò che è necessario per aprire il cuore francamente e chiaramente e tagliare quanto è
inutile e fa perdere un tempo prezioso». Ant. Boisel: Retraites fermées, théorie et pratique, p.
364 (Beauchesne).
[12] Lippert, Coeurs inquiets, p. 50.
[13] Lettera del 14 giugno 1604.
[14] Coeurs inquiets, pp. 4-5.
[15] Oeuvres, XI, c. I.
[16] Progressi…
[17] Gaume, loc. cit.
[18] Faber, Progressi… (Marietti, Torino).
[19] La dir. spir. d’après les écrits et les exemples du Vén. Libermann, 2ª ediz, p. 131.
[20] Lettres de Direction du P. Ginhac, con documenti raccolti dal P. Calvet, t. I, p. 11.
[21] Ottime pagine in Rod. Hornaert, Sainte Thérèse écrivain, ediz. ridotta, 1925, Desclée, pp.
146-151.
[22] Bremond, t. II, L‘invasion mystique, pp. 557-562.
[23] Lettera alla signora de Maintenon, citata in A. D’Agnel et d’Espiney, Psychotérapie des
troubles nerveux, Tequi, 1927, p. 453
[24] Ottime indicazioni in Saint-Jure, Connaissance et amour de N. S. J. C., l. III, cap. VIII, 9.
[25] Une âme du bon plaisir divin, le P. Alexis Hanrion S. J., scritta dal P. Doncoeur, A. de la
P., Toulouse.
[26] Id., p. 30.

testo tratto da: Rodolfo Plus S.J., La direzione spirituale. Natura – necessità – metodo,
Torino: Marietti, 1944/2, pp. 101-116.

CAPITOLO VI.

La direzione delle donne.

Dopo aver ricordata l’opportunità e la delicatezza di questo ministero, vorremmo dare un


cenno di quello che esso richiede in pratica.
È un fatto che la donna ha bisogno di appoggio; d’altra parte, creatura d’intuizione, com’ella
è, e di sentimento più che non di fredda ragione, si trova esposta, forse più dell’uomo, ad
errori, ad esagerazioni, a mancanza di ponderazione, e questo, sopratutto in materia spirituale,
porta con se delle conseguenze gravi. La donna, inoltre, suole meno ricorrere ai libri,
specialmente ai manuali tecnici, che non alla viva voce di un padre spirituale [1].
S. Francesco di Sales scriveva alla signora de Beauvillers, badessa di Montmartre: – «Vi dirò,
con la libertà di spirito che devo usare, che il vostro sesso vuol essere guidato e riesce bene
nelle sue imprese soltanto con la sottomissione; non che esso non abbia altrettanta intelligenza
dell’altro; ma perchè Dio ha stabilito così [2].
A queste parole pensava certamente l’abate Marmion, quando scriveva ad una carmelitana le
linee seguenti:
«Per quanto una donna sia intelligente ed illuminata, Dio nella sua ordinaria Provvidenza
vuole ch’ella sia diretta da un uomo, che sia suo ministro» [3].
Una volta riconosciuta l’opportunità relativa, della direzione delle donne, non vi è bisogno
d’insistere, sulla delicatezza di questo ministero. Alla donna piace parlare, donde per il
direttore il pericolo di perdere notevolmente il tempo. Il La Bruyère non ha mancato di
additare lo scoglio:
«Se una donna potesse dire al suo confessore con le altre debolezze, anche quelle che ha per il
suo direttore e il tempo che perde nei trattenimenti con lui, forse le sarebbe possibile
rinunciarvi» [4].
Le donne non solo parlano volentieri, ma amano anche esercitare il loro impero. Se molte fra
di esse si mostrano, purtroppo, passive e non reagiscono personalmente [5], altre, sotto
l’apparenza di essere dirette, dirigono invece il direttore, non Sempre scientemente, ma
effettivamente e sono capacissime dì farsi proibire o di farsi permettere ciò che vogliono. La
Bruyère dice con ragione:
«Vi sono molti direttori di coscienza, ma poche persone che si lasciano dirigere. Non che tutte
o quasi tutte le anime non vogliano un direttore; ma vogliono un direttore a modo loro e che le
conduca secondo i loro gusti, un direttore, cioè, di cui esse stesse sieno come le direttrici,
suggerendo il modo con cui egli deve dirigerle».
«Si disse che le prime carmelitane (di Francia), più che non essere dirette, dirigevano i loro
direttori» [6] e se questo è falso per il Berulle, non è inesatto per parecchi altri. Della stessa
fondatrice, Teresa d’Avila, mentre venne detto da molti che aveva un bisogno innato di
direzione, si disse da altri, per esempio dal Montinorand, questo giudizio:
«Ella si credette sempre diretta, e si diede in ogni occasione l’illusione di ubbidire. Ma in
realtà quella donna volitiva non ascoltava che se stessa» [7]

Inatti S. Teresa, come tutte le donne, ma ad un grado superiore, sentiva un vero bisogno di
ubbidire e nello stesso tempo una tendenza non meno vera dì giungere al suo scopo, il quale
in particolare era ordinato alla gloria di Dio. Se il giudizio, dato dal Montmorand, manca di
sfumatura, questo, dato dal P. Rapin su Angelica Arnauld a proposito del suo direttore
Antonio Singlin, è conforme a verità:
«Era uno di quei direttori compiacenti e pieghevoli, il cui talento principale era di lasciarsi
dirigere dalle persone da lui dirette, perchè dipendeva talmente dalla Madre Angelica, che egli
dirigeva la casa meno con i propri lumi e con il proprio spirito, che non con i lumi e lo spirito
di questa superiora» [8].

Il pericolo, per un direttore, di essere, guidato, invece di essere guida, si presenterà


specialmente quando si tratta di vie eccezionali; Perchè siccome la penitente espone i suoi
lumi, come se venissero da Dio, il direttore non si crederà cosi facilmente autorizzato a
respingerli o a biasimarli.
Evidentemente la prima cosa, che si deve fare in questi casi, è di esaminare, se le
comunicazioni vengono da Dio, se ne provengono totalmente o solo in parte, se appaiono cioè
accresciute da un certo contributo apportato dalla stessa penitente; e, posto che questo
contributo vi sia, in quale misura è involontario o più o meno cosciente e voluto. Vi possono
esser casi, nei quali Dio voglia effettivamente servirsi della penitente per dare qualche
consiglio al direttore; Così, per esempio, S. Caterina da Siena insisterà per invitare il suo
confessore, maestro Arnaldo, ad una maggiore santità. Per quanto rari questi casi, non
dobbiamo escluderli assolutamente, almeno quando vi è nella penitente la garanzia di una
santità senza contestazioni. Per principio, tuttavia, il sacerdote dovrà mostrarsi molto
riserbato, non nell’approfittare del buon consiglio che gli potrebbe venir dato; ma nel
manifestare che egli agisce dipendentemente da questo consiglio.
Del resto la penitente non procede d’ordinario dando positivamente, o, per dir cosi,
ufficialmente, i suoi consigli, sopratutto se ella vede che il direttore non è sollecito nel
raccogliere come parola di Vangelo quanto gli trasmette. Sarebbe una stonatura troppo
grande, in cui naturalmente la donna non incorrerà; e se le capita di dare una lezione, sarà
senza parere. Enrico Bremond analizza molto finemente queste situazioni, descrivendo ciò
che egli crede essere la curva assai comune delle relazioni di una donna con il suo o i suoi
direttori, quando essa si sente chiamata alle grazie mistiche: «Non dite alla penitente che è
essa ormai a dirigere l’altro… lo dirige raccontando le cose sue…» [9].
Per invitare il direttore a una grande discrezione aggiungiamo ancora: alla donna piace essere
oggetto di attenzione; sentirsi lusingata, sopratutto se può supporre che, posta la sua
situazione, le qualità della sua anima e i favori che essa riceve, il direttore l’apprezzi, e la
consideri.
La donna poi si attacca facilmente; ama di amare; ama che le si dica o che le si dimostri di
amarla; anche quando non vi si unisce nessun sentimento perverso la situazione fra diretta e
direttore può diventare arrischiata, specialmente per il fatto, che in questa situazione, ogni
pericolo eventuale di esagerazione sembra ad ambedue impossibile.

***

Poste tutte queste ragioni, ecco le regole pratiche, alle quali sarà bene si attenga il direttore
delle anime femminili.
Eviterà anzitutto di specializzarsi fuor di misura e quasi esclusivamente in quest’unica
clientela. Con molta saggezza il P. Foch dava a se stesso questo consiglio:
«Grande prudenza con le donne; per la maggior parte, anche le migliori, sono accaparratrici,
esigenti e facilmente gelose; senza riguardo per le occupazioni serie e più importanti che non
la loro direzione; giudicano per impressione, e su una parola mal interpretata fondano un
cumulo di angustie, che richiedono, poi, per essere dissipate, lunghe conversazioni e forse
anche lunghe corrispondenze… Trattandosi di persone in clausura, tutto questo s’aumenta in
virtù della stessa clausura. Insomma, si tratta sempre, più o meno della medesima storia di
Sant’Ignazio e delle sue vedove» [10].
Il fondatore della Compagnia di Gesù aveva accettato, dopo molte insistenze, di far da
direttore a qualche signora; ma rimpianse sempre quel gesto accondiscendente; e volle per i
suoi figli una gran sobrietà in questo genere di ministero; che non si deve intraprendere, ne
continuare, se non vi è un reale vantaggio per le anime con cui si tratta e per la gloria di Dio.
Il P. Foch, da buon discepolo di Sant’Ignazio, seppe conciliare perfettamente le due consegne
del Fondatore.
Come Sant’Ignazio pensa presso a poco il saggio autore spagnolo, Lopez Ezquerra:
«Vi sono direttori, i quali non si occupano se non di donne e di religiose; come se gli uomini
non avessero un’anima o fossero assolutamente stranieri ad ogni direzione spirituale, e questo
nonostante che il loro spirito abbia più vigore che non quello delle donne e che non vi sia
nessun pericolo nel guidarli e nel governarli» [11].

D’altra parte si deve evitare la disistima o un timore eccessivo per il ministero femminile. Il
Bourdoise instauratore dei seminari in Francia, che per le sue uscite amene fu soprannominato
il «burbero benefico», si dava un po’ le arie di misogino; trovava le donne troppo invadenti e
le paragonava ai tartufi bianchi, che quando son seminati in un punto, crescon da per tutto; e
si dimostrava severo contro S. Francesco di Sales. Ora movendo, un giorno rimprovero al
santo di occuparsi esageratamente delle donne, questi argutamente gli rispose, che gli pareva
di non esser riuscito troppo male in questo ministero, mentre egli Bourdoise, in diciassette
anni di lavoro non aveva formato che un sacerdote e mezzo.
Si è preteso che il Lacordaire e Lamennais avessero bandito la direzione femminile; si giunse
persino a dire che il Lamennais ne sentiva come una specie di ripulsione; ma il termine è
esagerato [12]. La realtà, invece, è questa: occupati ambedue e intensamente in opere
grandiose, preferivano, e non senza ragione, dedicare il meglio della loro attività ad un lavoro
più maschio.

Ecco un’altra regola molto saggia: il sacerdote, che ha assunto la direzione delle donne, non
può che guadagnare nell’avere la massima sobrietà, sia nella frequenza, sia nella durata delle
conversazioni. Sermo brevis (et rigidus) cum mulieribus est habendus; dice Sant’Agostino, a
cui faranno eco tutti i moralisti illuminati.
Quando la signora de Maintenon si rivolse nel 1688 al P. Bourdaloue, questi le rispose, che
non l’avrebbe potuta vedere, che una volta ogni sei mesi [13]. Il Guillorè è molto severo
contro gli abusi che esistevano al suo tempo (e che esistono ancora):
«Il tempo di queste visite» – scrive a Teonea – «dev’essere brevissimo… le cose necessarie
non richiedono ore ed ore, come succede spesso» [14].
Al VII Congresso nazionale dell’Associazione del Matrimonio cristiano, una madre di
famiglia accennava all’inconveniente particolare che rappresentavano, per le giovinette, le
lunghe conversazioni col direttore:
«Vi è una cosa, che contribuisce a sviluppare la sentimentalità femminile (ritorneremo su
questo punto) ed è la frequenza o la lunghezza delle conversazioni di direzione o della
confessione. Queste diventano chiacchiere, in cui l’attitudine essenziale dell’anima, che è la
contrizione amorevole dinanzi a Dio, passa in seconda linea, affogata, come resta, in un
mucchio di inezie. E ne deriva la conseguenza che il sacramento della penitenza diventa
insipido» [15].

Buon consiglio sarà anche quello di evitar con cura di dimostrare una stima speciale per le
persone che si dirigono e le virtù che ci confidano. Nulla vi dev’essere di artificioso; ma una
semplicità distaccata. Il Tanquerey, citando il Desurmont, dice [16]:
«Pur dimostrando tutto l’interesse per la loro anima, si deve nascondere quello che si ha per la
loro persona. Il loro morale è fatto in tal modo, che se possono sentire o pensare che vi è stima
o affezione particolare, quasi irresistibilmente si abbandonano alla natura, sia per vanità, sia
per attaccamento». – E aggiunge: «Generalmente è bene che esse ignorino che vengono
dirette. La donna ha il difetto della sua qualità: e istintivamente pia; ma istintivamente fiera
della sua pietà. La toletta dell’anima impressiona tanto, quanto quella del corpo. Il sapere che
si vuole adornarla di virtù è quasi sempre per lei un pericolo». – La si deve dunque dirigere
senza dirglielo, e dando consigli di perfezione, lo si deve fare come se si trattasse di una cosa
comune a molte anime».
Se la penitente è favorita da Dio dì grazie più o meno eccezionali d’orazione, la prudenza del
direttore deve aumentare. Si eviterà con molta cura di stornare l’anima dalla sua via, ma con
ugual cura si eviterà di far cosa che possa inorgoglirla per i favori che ha ricevuto. Non
occorre infliggere umiliazioni fittizie, che presto svaniscono, ma piuttosto mostrar l’aria di chi
trova naturale questo stato, e non vi attribuisce personalmente alcuna importanza speciale.
Con piena ragione il Guilloré stigniatizza l’ingenuità o la mancanza di tatto di alcuni direttori,
i quali lasciano capire troppo a un anima, che ricevendo grazie scelte, è un’anima scelta; e da
questo provengono tentazioni di vanità molto sottili e molto facili.
«Com’è debole l’uomo! Come sono limitate le sue vedute! E quali attrattive particolari e
pericolose non hanno i grandi doni di Dio, specialmente quando si trovano nelle donne, per
sorprendere i direttori, che così perdono quelle anime! Tali sono coloro, i quali ascoltano con
avidità il racconto, che esse fanno, delle meraviglie che passano nelle loro anime, che
vogliono averne dei lunghi resoconti, che poi fanno vedere a tutti i grandi cultori della
spiritualità, come se fossero atti di governo» [17].

Un po’ più oltre si augura che le penitenti siano lasciate:


«nella santa ignoranza di se stesse, e che siano cieche per rispetto alla sublimità dei loro
favori… Che gran bene non è mai per un’anima il non capire di essere grande e favorita di
doni divini! La grazia di questa santa cecità non è meno considerevole di quella dei favori che
essa riceve, perchè che giova a un’anima l’essere colmata dei più grandi doni di Dio, se,
rendendosene conto, si sente meno umile e si mette nell’occasione di idolatrare se stessa?».

Il Guilloré accenna di passaggio a questa domanda: «Si deve incoraggiare questa o


quell’anima – che si crede più eccezionalmente favorita – a descrivere in particolare le grazie
che riceve? Molti condannano senz’altro la pratica (che chiamano una manìa) dei Diari
spirituali. Altri son troppo larghi e appena un’anima esce dal comune, almeno secondo il loro
giudizio, si augurano o permettono o comandano relazioni, che mancano di sobrietà, o di
opportunità, delle quali l’inconveniente minore è di essere pienamente inutili.
In realtà tutto si risolve, nei casi particolari, in una questione di misura e di avvertenza. Se
Angela di Foligno non avesse scritto il suo libro delle visioni e delle, rivelazioni, Margherita
Maria il racconto dei privilegi di amore del Sacro Cuore, o Teresa del Bambino Gesù la
«Storia di un’anima»; se, per esempio, Lucia Cristina, o Elisabetta Leseur, o «Consummata»
non avessero lasciato il loro Diario spirituale – chi potrebbe negare che non ne avremmo un
danno non solo per la storia teorica -della spiritualità, ma ancora per il bene d’innumerevoli
cristiani ? – Nulla, pertanto, ci vuole di piccino o di limitato; ma una prudente e intelligente
saggezza.

Si eviterà, infine, formalmente nella direzione spirituale delle donne, di dare o di accettare
troppa affezione nei rapporti di direzione. Non freddezza o timore sistematico; ma neppure
presunzione avventurosa. Trascuriamo il Michelet [18] e le gravi insinuazioni da lui lanciate,
non solo sul conto del sacerdote in generale e della sua pretesa immoralità, quasi importata a
forza dal fatto del confessionale; ma anche sul conto di persone come il Bossuet (suor
Cornuau), il Fénelon (la signora Guyon), S. Francesco di Sales (Santa Chantal). Gran numero
di libellisti ricorrono a questa fonte per descrivere con un ipocrita pudore «le lunghe
chiacchierate al confessionale, gl’interminabili abboccamenti nella tepida e inebriante
penombra, dove i fiati si confondono col mormorare delle parole, dove le confidenze
scambiate risvegliano naturalmente i cattivi istinti addormentati nel fondo di ogni carne
umana», e per affermare che «vi è quasi bisogno di un miracolo continuo perché l’anima del
confessore e l’anima della penitente non ricevano impressioni funeste».

Non vogliamo neanche menzionare gli scherzi troppo facili del Boileau:
«Nessuno è così ben curato come il direttore delle donne».

E ci pare troppo severo il giudizio della stessa signora de Maintenon:


«Ho vissuto troppo per ignorare l’abuso della direzione. Ve ne sono pochissime di pure e di
rette » [19].

Certo, per chi non è profondamente soprannaturale, vi sono nella direzione femminile pericoli
anche gravi; il che dà motivo agli avvertimenti della Chiesa, dei moralisti e dei santi. Il
Tanquerey [20], approvando il P. Desurmont, che a sua volta riassume ciò che dice la
generalità degli autori e ciò che esige evidentemente il senso elementare, osserva:
«Nessuna parola affettuosa, nessun termine tenero, nessun abboccamento non indispensabile,
nulla di espansivo, nello sguardo o nei gesti, e nemmeno l’ombra della familiarità. In fatto di
conversazione solo il necessario; in fatto di altre relazioni solo quelle di pura coscienza o che
hanno una seria utilità; per quanto é possibile, nessuna direzione fuori del confessionale e
nessuna relazione epistolare».

Coloro che consigliano o permettono le conversazioni fuori del Santo tribunale, nota il Ribet
[21], aggiungono molte raccomandazioni, che ne dimostrano il pericolo, e cita, fra gli altri,
l’autorità del Guilloré:
«Fate di tempo in tempo le vostre visite al vostro direttore, Teonea; cento ragioni vi ci
obbligano fuori di confessione. Il tempo di questo sacramento non permette lunghi discorsi
per ricevere tutti gli avvisi necessari alla nostra perfezione… Ma voi mi chiedete il modo di
fare queste visite. Rispondo che bisogna portarvi uno spirito semplice e candido nella
comunicazione del proprio cuore; che non si deve mai parlare di argomenti, che hanno
bisogno unicamente del segreto della confessione. Ah! quanto è pericoloso questo veleno, e
queste confidenze quante anime non hanno fatto perire! Non dovete mai essere senza
testimonio con un direttore. Ahimè! Questa solitudine di quanti naufragi non fu occasione!
Non dovete mai trattare se non degli affari, della vostra anima, e dovete essere voi stessa a
congedarvi, perchè le piccole notizie e le affezioni naturali s’infiltrano facilmente, se non si
veglia con cura, e dopo qualche parola su Dio, si scende a cento inezie che sono la materia di
questi abboccamenti. Nei quali poi s’impara a familiarizzare lo spirito, i volti e la voce, da cui
nascono talvolta come da una sorgente fatale strani disordini. E finalmente una persona deve
parlare con il suo direttore, per quanto gran santo possa essere, con un pudore onesto, che le
copra sempre la fronte; non deve familiarizzare mai con lui; ma tenere sempre un contegno
così composto, che ne conosca appena i tratti del viso» [22].

Per ascoltare le donne v’è nei conventi l’obbligo dei parlatori a vetrate, mentre nelle case
parrocchiali questa precauzione non c’è; motivo di più, perchè il sacerdote sia circospetto.
Anche quando vengon prese tutte le precauzioni esteriori, rimane sempre assolutamente
necessario conservare e costringere a conservare le debite distanze; come pure bandire un
vocabolario troppo affettivo. Ecco un giudizio assennato dato da una madre di famiglia
previdente [23]:
Il metodo di direzione, in cui predomini l’affettività, può aver gravi inconvenienti per le
donne. San Francesco di Sales, che lo usò con successo, non è un maestro facilmente imitabile
da tutti. Egli possedeva le qualità che esigeva in un perfetto direttore: “Egli sia santo, pieno di
carità, di scienza e di prudenza”. Se manca una di queste qualità vi è pericolo». – E Santa
Giovanna Francesca di Chantal, parlando del vescovo di Ginevra, diceva: Il mondo non è
capace di avere l’incomparabile purezza della direzione di questo santo, la cui affezione era
più bianca della neve, e più pura del sole».
«Se i S. Francesco di Sales sono rari, rare pure sono le S. Giovanna di Chantal. Questa aveva
il doloroso vantaggio di essere vedova, d’aver conosciuto e vissuto un grande amore; era
madre, anche, e aveva l’esperienza dei sentimenti diversi, appassionati insieme e ordinati, che
possono commuovere e riempire il cuore di una donna e che le permettevano di discernere e
di allontanare dall’affezione soprannaturale così forte, che aveva per il suo incomparabile
direttore, ogni sentimentalità troppo umana ».

Con ragione questa stessa mamma previdente nota l’inconveniente, per le giovanette
sopratutto, sotto il rispetto dell’esagerato sviluppo dell’emotività, di un linguaggio
esageratamente affettuoso da parte del confessore o direttore specialmente se l’età non
giustifica certe espressioni troppo… paterne.
Anche se le penitenti sono molto sante e ben lontane da ogni sospetto, ciò non toglie che sia
necessario un riserbo assoluto [24].

NOTE

[1] Sulle risorse e lacune del temperamento femminile, troviamo utili osservazioni nel primo
capitolo di G. Lombroso: L’âme de la femme, Payot.
[2] Ed. Annecy, t. XII, p. 173.
[3] Vie, scritta da Dom Thibaut, p. 261.
[4] La Bruyère, Caractères, cap. delle donne.
[5] G. Dufour in Marielle jeune fille (Plon, p. 18), fa allusione a queste deviazioni. Dopo una
crisi di scrupoli, che le rende penosa la confessione, Mariella «la considera come un asilo,
dove può attingere forza e coraggio»; prende gusto a queste conversazioni, ma si abitua alla
passività. «E da quel tempo Mariella conservò quella indecisione inquieta e soave delle
creature, che si sanno deboli e che si rifugiano all’ombra della perpetua obbedienza».
[6] Cagnac, Lettres spirituelles, t. I, p. 65.
[7] Psych. des Mystiques, Alcan, 1920, p. 19.
[8] Mém. du P. Rapin, I, p. 105, Aubineau, 1865.
[9] L’invasion mystique, t. II, p. 38 e segg.; cfr. p. 40.
[10] Le Père Foch, vita scritta dal P. de Sinety, Toulose, pp, 126-136; p. 45.
[11] «Sunt nonnulli ita directioni feminarum vel monialium dediti, quasi viri spiritum non
haberent, vel a spirituali directioni prorsus alieni, quando quidem eorum spiritus capaciores
sunt spiritibus mulierum et possunt absque periculo dirigi et gubernari» (J. Lopez
Ezquerra, Lucerna Mystica, t. 1, cap. V, n. 42-43, Venetiis, 1722).
[12] Cfr. la corrispondenza di Lamennais con la Baronessa Cottu, pubblicata dal conte
d’Haussonville, 279 lettere; – Cagnac, Lettres spirituelles, II, p. 80.
[13] Cagnac, Lett. Spirit., I, 176.
[14] Max. spir., m. I, 1. 1.
[15] Camus, Le Prétre et la Famille, maggio-giugno, 1929, p. 75.
[16] Précis de Théologie ascétique et mystique, p. 353.
[17] Maxímes Spirituelles pour la conduise des âmes, Parigi 1858, p. 590.
[18] Le prêtre, la femme et la famille.
[19] Madame De Maintenon, scritta dalla Signora Saint-René Tallandier, Hachette, p. 222.
Intorno alla Maintenon e ai suoi direttori si trovano osservazioni esatte in
Bremond, Divertissements devant l’arche, Grasset.
[20] Précis de Théologie ascétique et mystique, p. 353.
[21] Ribet, Ascétique Chrétienne, p. 372.
[22] Guilloré, Max. Spir., m. I, 1. 1.
[23] J. Camus, Bulletin de l’A. M. C.: Le prétre et la famille, maggio-giugno, 1929, pp. 75-76.
[24] L’autore del trattato De modo confitendi, attribuito falsamente a San Tommaso
d’Aquino, cita il passo seguente di S. Agostino: «Nec tamen quia sanctiores fuerint, ideo
minus cavendae. Quo enim sanctiores fuerint, eo magis alliciunt, et sub praetextu blandi
sermonis immiscet se viscus impiissimae libidinis». Il medesimo autore scrive ancora: «Licet
carnalis affectio sit omnibus periculosa et damnosa, eis tamen perniciosa est magis, maxime
quando conversantur cum persona quae spiritualis videtur: nam quamvis eorum principium
videatur esse purum, frequens tamen familiaritas domesticum est periculum, delectabile
detrimentum, et malum occultum bono colore depictum: quae quidem familiaritas quanto plus
crescit, tanto plus infirmatur principale motivum, et utriusque puritas maculatur» (S.
Thomae, Opera, Parisìis, Vivès 1875, XXVII, pp. 439, 437).

VII nedostaje

CAPITOLO VIII
Il voto d’ubbidienza al Direttore.

Il caso può venire posto per due categorie di persone: gli scrupolosi e i ferventi.

***

È opportuno permettere agli scrupolosi che desiderano togliersi dal loro stato, il voto di
ubbidienza al direttore?
In certi casi – che noi crediamo rari – forse, sì; soprattutto quando non si tratta di scrupolo
congenito, che cioè proviene da un errore incorreggibile dello spirito, ma di scrupolo
temporaneo, conseguenza di prove spirituali o di qualsiasi altro motivo.
Se si tratta di uno scrupolo inguaribile, mancante per natura d’equilibrio, l’impegnarlo in un
voto o lasciare che vi s’impegni, non servirà che a rendere più complesso lo stato della sua
coscienza. Vede già dei peccati, dove non ce ne sono; ora il suo voto corre rischio di causargli
un tormento perpetuo supplementare. Bisogna invitarlo ad una obbedienza passiva, ma non
permettergli di farne il voto.
Se si tratta di un scrupoloso d’occasione, che ha abitualmente il buon senso e da cui si può
sperare un pronto ritorno alla saggezza, può darsi che la maniera forte – cioè l’impegno con
un voto – sia per lui un mezzo di guarigione. Però è necessaria la più grande discrezione; ed è
assolutamente più prudente vedere se si può ottenere altrettanta sottomissione, senza usare il
voto.

***

Ben altrimenti pratico e interessante è il caso di anime ferventi, le quali per vivere in un
distacco più completo, sollecitano di obbligarsi con un impegno formale a sottomettere la loro
condotta spirituale alle indicazioni del direttore.
Si dànno, infatti, persone che, o per ragione di salute o per ragione di salute o per ragione di
un’attrattiva soprannaturale più grande e di un apostolato più adatto o per un motivo
provvidenziale e approvato, non possono o non credono opportuno entrare nella vita religiosa.
Molte hanno già fatto il voto di verginità; se potessero legarsi anche con quello di obbedienza,
non avrebbero forse, insieme con una grande consolazione interiore, anche un mezzo
sceltissimo per meglio praticare la perfezione?
Esponiamo prima le ragioni, che militano in favore di una risposta affermativa.
Certo l’attaccamento alla propria volontà costituisce una delle difficoltà più serie della vita
spirituale. Legarsi con voto al direttore per ciò che riguarda le cose dell’anima, non può
quindi che aiutare ad un distacco virile e benedetto da Dio.
Inoltre, la Chiesa non approva forse, nella vita religiosa, l’assoggettamen-to reale e generoso
di tutto l’essere ai superiori, che si sono scelti? Perché non potrebbe uno impegnarsi nello
stesso modo di fronte al proprio confessore o direttore?
Del resto nella storia agiografica incontriamo esempi significativi. Eccone uno
importantissimo. Quando Giovanna di Chantal, ascoltando, nel 1604, il quaresimale di S.
Francesco di Sales a Digione, sentì forte il desiderio di avere per direttore il vescovo di
Ginevra, non si accontentò di porsi sotto la sua guida, ma desiderò legarsi a lui con voto di
ubbidienza: – «Signore, potente ed eterno, io, Giovanna Francesca Frèmyot, faccio voto alla
vostra divina Maestà di perpetua castità ed ubbidienza a Mons. Di Ginevra, sotto l’autorità di
tutti i superiori legittimi»; – e cinque anni più tardi rinnovò il suo impegno con una bella
modificazione nella formula, ma non nella sostanza: «Il giorno della morte del mio Salvatore,
l’anno 1609, rinnovo i miei voti con nuovo e incomparabile affetto, volendo per sempre
morire a me stessa e a tutto per vivere nell’obbedienza alla divina volontà nella persona di
Mons. Di Ginevra». Con tali esempi dinanzi agli occhi, potremmo non approvare chi
decidesse di imitare Santa Chantal?

Esempi e dottrina richiedono però alcune spiegazioni:


La prima è che molte anime, soprattutto femminili, sono portate anche troppo alla passività
nella loro vita spirituale; è così dolce rimettersi ad altri per le decisioni da prendere; così
riposante per la volontà!
In secondo luogo, se non s’ha da fare con anime molto ferme, il voto di obbedienza può essere
occasione di agitazione; può portare con se molteplici interviste col confessore o direttore
sotto il pretesto di togliere i dubbi, che possono sorgere ad ogni momento. Se da ambe le parti
non vi è libertà di cuore, possono formarsi legami naturali, in cui ben presto la sensibilità avrà
la sua parte, e una parte facilmente un po’ grande. E poi, se un giorno sopravviene un
malinteso fra penitente e confessore o direttore? Non ci si troverebbe in impiccio? Oppure, se
per ragioni ovvie o forse urgenti, conviene al direttore separarsi dalla sua diretta o dal suo
diretto, o se la penitente abbandona il direttore, come si farebbe, se esistesse un voto, e un
voto a lunga scadenza, o forse anche permanente?
Perché tutto va bene fino a che la penitente è una Santa Chantal e il direttore è un S.
Francesco di Sales; o, per non rendere la cosa troppo eccezionale, fino a quando la penitente è
savia e il confessore ha buon senso; ma quale risultato non potremmo aspettarci, se le cose
non vanno così, e se, per esempio, il direttore, anche supposto santo, manca di ponderazione?
Lo zelo è più frequente che non l’equilibrio.
Si cita il caso di Santa Chantal; ma non si deve dimenticare che, prima di avere incontrato il
vescovo di Ginevra, ella era sotto la direzione di un Padre spirituale, consigliatole da amiche
desiderose di portare al loro direttore una clientela scelta, e che il poveretto non aveva creduto
oltrepassare i suoi diritti, facendole pronunciare i quattro voti seguenti: primo, di ubbidirgli;
secondo, di non abbandonarlo mai; terzo, di mantenere il segreto assoluto su tutto ciò ch’egli
le direbbe; quarto, di non parlare della sua coscienza che a lui. Ecco ciò che può dirsi
imbavagliare accuratamente una persona. Ci possiamo chiedere, come mai Santa Chantal, che
non mancava allora di esperienza – aveva ventisette anni, era vedova, aveva avuto sei figli, di
cui quattro vivi – abbia potuto acconsentire a lasciarsi irretire in quel modo. La liberazione
non avvenne senza emozione; e se alla fine del quaresimale di Digione andò a trovare, il
mercoledì santo, Francesco di Sales, non lo fece per confessarsi, perché pensava di non
poterlo fare, ma solo per chiedergli consiglio durante l’assenza del suo direttore.
Si confessò al Santo nella settimana di Pasqua, ma non sentiva tuttavia i suoi impegni e si
domandava se faceva male o bene a ricorrere ad altri, all’infuori, all’infuori della sua guida
solita ed obbligatoria. Consultò il P. de Villars, gesuita di Digione, il quale le fece un dovere
di seguire la sua attrattiva interiore e di non temere di confidarsi a Mons. di Ginevra.
Il 24 agosto eccola intrattenersi col Santo, in occasione di un pellegrinaggio a Saint Claude.
Francesco di Sales ascolta, non dà risposta immediata; ma le fissa un appuntamento per il
giorno seguente: – «Ho lavorato tutta la notte per il vostro affareÖ» – le disse. – Ma occorreva
proprio un tempo così lungo?Ö Oh la bella prudenza dei santi! – E aggiunse: «Quei quattro
voti non hanno altro valore che quello di distruggere la pace di una coscienza».
Non è questo il vostro parere?
Si suole opporre: nella vita religiosa non si contraggono impegni molto stretti e il voto di
ubbidienza non è soggetto ad inconvenienti più gravi?
Nella vita religiosa, il soggetto non fa voto al signor N… al R. P. N. N. , ma al superiore e alle
superiore, che saranno per turno sostituiti da altri; il coefficiente personale – diciamo così –
entra molto di meno. Inoltre quando vi fosse abuso di potere da parte di un superiore
determinato, il religioso può ricorrere al superiore maggiore. Il direttore, invece, è l’autorità
unica e il suo potere è in qualche modo discrezionale.
Faremo volentieri nostro l’apprezzamento del R. P. Lemonnyer O. P. Egli ricorda anzitutto un
particolare molto utile: «Presa in se stessa, la direzione spirituale si distingue nettamente da
quel regime speciale d’ubbidienza al confessore o al direttore, ai quali alcuni si obbligano con
promessa formale o anche con voto». Poi aggiunge: «Mentre il ricorso alla direzione
spirituale si raccomanda a tutte le anime che aspirano ad un sicuro governo di se stesse e ad
una profonda vita spirituale, l’assoggettarsi a voti, all’infuori dello stato religioso, ci sembra
esigere ragioni ed attrattive, il cui valore domanda un attento esame».
Noi non sapremmo dir meglio. Il Padre continua: «Non vi è flagello maggiore dello snobismo
spirituale» [1], – Non crediamo – come del resto neppur egli – che il motivo abituale, che
spinge al voto, di cui parliamo, sia lo snobismo; può essere zelo pienamente lodevole; talora
anche, e bisogna tenerne conto, uno sforzo di virtù più generoso che prudente.
Ecco il motivo per cui non formuliamo una regola generale. Ci si trova dinanzi a casi troppo
particolari. Se la grazia di Dio attira veramente a queste forme impegnative; se il penitente o
la penitente non si serviranno dello spirito di sottomissione per apprendere a perdere ogni
senso personale; e se il direttore, ricco di sapienza umana e divina, sa impiegare la sua
autorità soltanto per favorire lo slancio dell’anima e non per imporre le sue vedute[2]; se dalle
due parti il soprannaturale rimane l’unico movente non solo al punto di partenza, ma in ogni
momento del cammino; e se finalmente, salvo eccezione, il voto rimane temporaneo, o,
seguendo ipotesi previste, revocabile, allora potrà essere opportuno.
Posta la difficoltà di trovare riunite tutte le condizioni enumerate, ecco quanto molti
preferiscono consigliare alle persone, le quali desiderano da un lato assoggettare la propria
volontà e dall’altra evitare il rischio di sottomissioni incontrollate a una persona sola: il voto
di ubbidienza allo Spirito Santo, il voto di fedeltà alla grazia.
Non è lo Spirito Santo il gran maestro delle anime, e, in un certo senso, l’unico direttore? La
stessa direzione ha forse altro scopo, che quello di condurre l’anima a non rifiutare
volontariamente nulla a questo maestro interiore? Desiderate sfuggire più che sia possibile ai
capricci, alle suggestioni dell’amor proprio; desiderate di non rifiutare nulla, volontariamente
s’intende, al buon Dio; perché allora non potrete obbligarvi a seguire sempre la sua santa
volontà, almeno ogni volta che questa santa volontà si manifesta chiaramente alla vostra
coscienza e non avete dubbi sul desiderio del Maestro, che vi sollecita?
Questo non vuol dire che l’anima debba stare sempre in ascolto per percepire la minima
traccia del volere di Dio – come il ragno al centro della sua tela per afferrare il più piccolo
soffio o il più piccolo insetto che fa tremare il suo filo. Sarebbe una preoccupazione assillante
e la pace dell’anima è da preferirsi a questa tensione per quanto generosa.
Trattenere in se stessi il desiderio di non rifiutare nulla, in modo da non lasciar passare
occasione alcuna che ci si presenti in piena luce, va bene e questa è la regola pratica per il
voto di cui parliamo. Si tratta di giungere allo stato di fedeltà, piuttosto che compiere tutti
gli atti possibili di fedeltà.
Evidentemente un impegno, come questo, esige uno spirito di completa generosità, una saggia
perspicacia e un fermo buon senso. Più ancora: il voto di fedeltà alla grazia non deve essere
permesso, se non con la chiara specificazione dei casi, in cui serve o non serve [3], Ma questo,
nonostante la sua importanza, è un punto particolare e noi intendiamo restare sui principi
generali.
Che sia cosa da trattare delicatamente e che perciò non si debba permettere se non di certa
scienza, non lo neghiamo. Ma le difficoltà nella pratica di questo voto non sono del medesimo
ordine; e molti, volentieri, le stimano minori di quelle, che vengono sollevate dal voto di
obbedienza al direttore. Ai competenti la decisione.

***

Rimane un’ultima questione; la possibilità cioè e la maggiore o minore opportunità del voto di
obbedienza per le persone che sono impegnate dai vincoli del matrimonio.
Abbiamo un caso storico assi curioso, quello di Elisabetta d’Ungheria, la quale
abbandonandosi, secondo il parere del marito, ad eccessi nel fare l’elemosina, venne posta da
lui, per questa materia, sotto l’autorità del maestro Corrado di Marbourg [4].
Nessuna difficoltà, pertanto, nell’esempio citato, da parte del marito, perché egli stesso favorì
e ordinò il voto. E generalmente non sono questi i punti spinosi del problema.
Che stima bisogna fare dell’ubbidienza, che la sposa deve a colui al quale si è unita? Può essa
contrarre impegni di ubbidienza verso il confessore? E in caso affermativo, può farlo
all’insaputa del marito o deve avvertirlo ed averne il consenso?
È chiaro che il marito conserva sempre la sua autorità – la quale è esclusiva nel dominio che
gli vien conferito dalle sue funzioni – ma l’ubbidienza al direttore non si riferisce affatto alla
materia di questo dominio [5]. Potrà dunque una sposa legarsi con voto di ubbidienza al
direttore, in quello che riguarda la sua pietà personale? Strettamente parlando, sì. È opportuno
che lo faccia? Questa è un’altra questione. Nella maggior parte dei casi sarà preferibile
rispondere negativamente; né altro possiamo fare che appellarci alla saggezza degli
interessati, che sono il direttore e la penitente.
Quando, tutto considerato, potessimo dare una risposta affermativa, sarà opportuno consultare
il coniuge? Sembra che non ce ne sia l’obbligo. E non lo si farà, del resto, se non vi è certezza
di averne una risposta favorevole, che non è così facile; perché il marito se non ha proprio un
profondo senso cristiano ed una grande abnegazione, non acconsentirà volentieri a questo
impegno.
Per parte nostra non crediamo che nello stato di matrimonio sia da consigliare il voto di
obbedienza al direttore, salvo forse in casi molto speciali e che non impegnano l’insieme della
vita.

***

Riassumendo: fatte le dovute riserve per le persone supposte idonee, ci pare che sul voto di
obbedienza al direttore si debba dir questo:
1°) in sé, è cosa buona;
2°) in alcuni casi può venir consigliato o approvato:
3°) viste però le difficoltà reali e spesso delicate che s’incontrano nel suo funzionamento
pratico, dev’essere considerato come di uso riservato, soprattutto se si tratta di persona che
non vive nel celibato.

CONCLUSIONE

«La perspicacia umana è corta, l’anima è un labirinto, e gli spiriti che l’agitano hanno infinite
varietà d’impulsi». – Queste parole del Gerson indicano chiaramente la complessità della
direzione. Noi vorremmo che il presente lavoro aiutasse qualcuno a sviluppare la sua
perspicacia naturale, a meglio riconoscersi nel labirinto della sua anima o delle anime, a
discernere con saggezza sempre più fine e acuta il carattere e l’origine degli spiriti e degli
impulsi, che governano gli umani nella via verso il loro destino divino.

NOTE
[1] La vie Spirituelle, 1° gennaio 1932. – La vie intèrieure dans la vie active, p. 43.
[2] Come avviene talvolta, specialmente nella questione della vocazione, la penitente non
entra in convento, perché il confessore ne ha bisogno per le sue opere! Ricordiamo che la
parte del direttore è di illuminare e non imporre le sue decisioni.
[3] Si potrà consultare sulle garanzie degli impegni di questa specie: Gesù Cristo nei nostri
fratelli, capitolo ultimo. (Ed. Marietti, Torino, 1944).
[4] M. G. Congard, O. P. , Vie Spirituelle, 1° genn. 1932, pp. 60, 62, 70.
[5] Salvo per ciò che riguarda i mezzi di assicurar l’obbedienza coniugale.

testo tratto da: Rodolfo Plus S.J., La direzione spirituale. Natura – necessità – metodo,
Torino: Marietti, 1944/2, pp. 141-153.

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