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La comunicabilità della musica d’oggi


Convegno - dibattito, domenica 18 maggio 1997, ore 10
Accademia musicale Pescarese

Strutture della comunicazione sonora. Messaggio, informazione e sequenza probabilistica.


Silvio Feliciani

Una decina d’anni fa, a Messina, quand’ero Direttore nel Conservatorio di quella città, organizzai una serie di
Incontri degli studenti con alcuni compositori affermati, tra i quali ricordo v’era anche l’amico Marco di Bari.
I compositori illustravano il proprio catalogo, proponevano l’ascolto dei loro componimenti, e si prestavano ad
esaudire i quesiti degli studenti. Quesiti che spaziavano tra i temi più diversificati: dai temi di carattere poetico a quelli
ispirati da pura curiosità.
Dunque già allora (ma altri si erano posti il problema anche da molti anni prima) , l’obiettivo sostanziale di
quegli Incontri tentava di rispondere all’esigenza di ripristinare un rapporto di comunicazione tra coloro che scrivono la
musica e tra quelli che la ascoltano, che ne fruiscono. Partendo dalla comunicazione verbale.
In quegli Incontri ogni Compositore, dopo una mia breve introduzione, era tenuto a presentarsi da se, ed era
tenuto a spiegare al pubblico chi fosse, e perchè lo fosse.
Ancora oggi mi trovo a riflettere sovente su una circostanza che mi colpì profondamente.
Era la volta di Fabio Vacchi. Autore certamente conosciuto dai più, in questa sala. Musicista preparato e Uomo
dal temperamento sostanzialmente timido e poco incline alle evoluzioni verbali. Fisiologicamente portato a ridurre
all’essenziale l’uso della parola nel descrivere i concetti emotivi, e tutti i loro corollari. Per questa sua natura, che Egli
ben conosce, ricordo che era tesissimo, prima dell’Incontro. Mi chiese più volte, in disparte, in che termini Egli potesse
coerentemente presentarsi da solo agli studenti. Era perplesso sulle possibili connotazioni con le quali descrivere il suo
lavoro in rapporto alla realtà sociale, culturale e musicale che vivevano quegli studenti. Non seppi aiutarlo. Quella che
mi rappresentava era una questione sua, e doveva risolverla da se.
Si presentò con pochissime parole, come gli era proprio, che coniugano appieno l’utopia, il conflitto e la difficile
realtà del tema che oggi dibattiamo. Egli disse semplicemente: mi chiamo Fabio Vacchi e faccio il compositore...
vivente.
La brevissima pausa frapposta da Fabio prima del participio presente (vivente) fece comprendere a tutti, in un
solo istante, che fare il compositore vivente era una cosa molto diversa dall’essere un compositore non più di questa
terra. Un compositore e basta. E la differenza non risiede nel puro dato anagrafico, sarebbe ilare ma troppo semplice e
scontato. Il compositore e basta, quello che non vive più, soffre ovviamente altri problemi, eccetto uno. La coflittuale e
continua ricerca d’una coerenza tra i parametri di comunicazione musicale che ha utilizzato ed il tempo in cui è vissuto.
Ultimata la propria esistenza in vita pare che per il compositore l’obbligo di questa coerenza non esista più.
Nemmeno come risposta ad una analisi postuma. Se la sua musica comunica , sia pure in rapporto a tempi diversi da
quelli nei quali egli è vissuto, tempoi antecedenti o successivi, essa è comunque musica di valore. Musica che funziona.
Tutto ciò non vale per il compositore che invece vive.
Quella brevissima pausa espressa da Fabio prima di vivente fece comprendere ad ognuno che quell’Incontro
doveva andare ben oltre il puro fascino di un contatto tra chi ha scritto una musica e chi ne fruisce. In quel contatto
verbale gli studenti compresero d’avere l’opportunità di affrontare un tema di estremo interesse, del tutto diverso da
quelli che avrebbero preferito se, per assurdo, essi avessero avuto l’opportunità di incontrare un Autore che non fosse
stato più in vita.
In questo si concentra la questione della comunicazione o della comunicabilità del messaggio intellettuale.
Una musica scritta un secolo fa sembra comunicare, solo per questa anzianità, di più di una musica scritta oggi.
Magari può piacere o non piacere. Può essere bella o brutta. Ma comunque, per il solo fatto che esplicita connotati,
anche se brutti, essa comunica. Trasmette un messaggio provvisto di significati semantici brutti, Ma comunque
trasmette un messaggio. Comunica.
Eppure non v’è dubbio sul fatto che essa, per il solo fatto d’essere stata scritta un secolo fa, non può contenere le
stesse affinità semantiche, poetiche e strutturali col nostro tempo, con l’anno 2000, che sono presenti nella musica
scritta negli stessi anni 2000.
Voglio dire, in sostanza, che la quantità di coerenza tra i parametri di comunicazione dì una musica ed il tempo
in cui essa nasce, è indubbiamente maggiore nel caso di contemporaneità di questo evento, che non nel caso in cui tra i
due termini del paragone intercorra un secolo o anche più di differenza.
Eppure alla gran parte della gente di oggi, dalla musica d’oggi non arrivano messaggi provvisti di significato
semantico. Arrivano, al contrario, più facilmente i messaggi di musiche composte 150 anni fa. Qualcuno si ostina
ancora a negare questa evidenza, mentendo finanche a se stesso, e risolvendo la questione con l’utilizzo di un
linguaggio musicale di 150 anni fa. Ma debbo ritenere che qui, oggi, siamo tutti d’accordo che non possa essere questa
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la soluzione. E se non fosse drammatica la realtà con la quale il compositore vivente si trova a dibattersi, non sarebbe
nemmeno necessario dare vita a convegni come questo, ed a tante altre iniziative affini. Sono sempre meno coloro che
possono vivere facendo esclusivamente i compositori...viventi. E’ una mestiere che sta via via perdendo le connotazioni
proprie della specie. Per assumerne altre, diverse, che con il mestiere proprio del comporre hanno poco a che vedere. Il
compositore, per vivere facendo il compositore, è costretto a fare tante altre cose, troppe, che alla fine gli impediscono
di fare il compositore. A quanti studiano per diventare compositori si presenta un futuro davvero tra i più imprevedibili.
E la maggior parte dei giovani ormai studia la composizione non già perchè pensa di vivere facendo il compositore, ma
perchè considera questo studio utilissimo, efficace ma solo complementare ad una solida formazione professionale
diversa : di strumentista, o di direttore d’orchestra o anche di organizzatore musicale o musicologo.
Da queste riflessioni mi sono convinto che la vexata-questio non risiede nella coerenza dei parametri di
comunicazione o di comunicabilità della musica, in rapporto ai parametri semantici del tempo in cui essa nasce.
Mi sono convinto della necessità di ripassare al microscopio tutti i meccanismi che soggiacciono al delicato
processo della comunicazione musicale, e della necessità di rileggere in chiave funzionale gli studi del Meyer e del
Moles su questo argomento. Alla luce dei dati che emergeranno sarà più semplice, a mio avviso, mettere a fuoco le
ragioni per cui in un identico processo osmotico del messaggio si verificano risposte diverse, tra le musiche di diversa
epoca, rispetto a quella d’oggi, e tra le diverse tipologie musicali d’oggi.
In premessa è necessario stabilire come si attua concretamente il processo della comunicazione. Ed analizzare
nel dettaglio, quindi, la struttura della comunicazione musicale.
Si tratta di un processo che comprende, sostanzialmente, quattro elementi: una fonte che generi il messaggio
(può essere uno strumentista che esegue una musica, ma può trattarsi anche di una fonte diversa), il messaggio, cioè
quanto viene trasmesso (nel nostro caso il componimento musicale), un canale di trasmissione, cioè il messo fisico
lungo il quale viaggiano le unità di cui si compone il messaggio (che nel nostro caso sono le onde acustiche), ed infine il
destinatario, al quale il messaggio perviene (cioè l’ascoltatore). Naturalmente il processo si complica se intervengono
condizionamenti su queste quattro componenti essenziali. E possono essere tanti, dalla qualità della fonte (un esecutore
più o meno bravo, o un timbro più o meno interessante), alla incisività del canale (musica eseguita dal vivo oppure radio
o teletrasmessa), dalla tipologia del messaggio (musiche solistiche o da camera, sinfonica o lirica) alla tipologia del
destinatario (il livello culturale, la disponibilità e l’umore). Le numerose combinazioni di questi condizionamenti
possono modificare considerevolmente lo standard del processo, ma comunque ai nostri fini è sufficiente aver delineato
gli elementi fondamentali che vi concorrono.
Affinchè il processo si realizzi è necessario inoltre che qualunque sia il messaggio, sia esso verbale, o musicale o
anche pittorico, si utilizzino codici di lettura comuni tra la fonte ed il destinatario. Codici che il destinatario già conosca.
E’ questa una condizione essenziale affinchè il messaggio possa essere compreso. La fonte deve attingere ad un codice
(che i linguisti preferiscono definire sistema) condiviso da colui al quale si rivolge. La maggior parte di noi non
capirebbe una comunicazione nella lingua dei boscimani semplicemente perchè non conosce il codice di quella lingua,
non ne conosce le regole grammaticali e sintattiche. E risulterebbe impossibile decodificare il messaggio, interpretarlo. I
suoni della lingua dei boscimani sarebbero per noi suoni privi di senso.
E’ questo ciò che avviene con la musica di molti popoli extra-europei : essa a molti di noi risulta estranea,
monotona, illogica. Proprio perchè non ne possediamo il codice. Ed è questo ciò che avviene in molti di noi anche
rispetto ad alcune categorie della stessa musica europea, alla disco-music per esempio, o alla musica rock, ed in alcuni
di noi anche rispetto alla pur diffusa musica jazz. In questi casi la comunicazione tra fonte e destinatario non si
costituisce.
E questa è la patologia che affligge anche la musica contemporanea che ci riguarda.
Dunque ogni messaggio deve essere costruito, prima d’essere trasmesso, in base ad un codice condiviso dalla
fonte e dal destinatario. Ma qual’è questo codice, nel caso che riguarda la musica ?
E’ chiaro che esso deve essere individuato nelle categorie generali del linguaggio musicale : il sistema dei suoni,
il sistema di concatenazioni armoniche, i modelli della struttura ritmica. Questi i fondamentali, ma va ne sono molti altri
che afferiscono il timbro, lo stile e la poetica.
Tutto ciò, se si vuole che la comunicazione musicale funzioni, deve essere noto anche a chi riceve il messaggio.
Il messaggio.
Ecco, vediamo allora di chiarire più da vicino questo elemento del processo.
Il messaggio deve possedere due presupposti fondamentali che ne giustificano la trasmissione : un significato ed
un potenziale informativo.
Il significato è praticamente la somma delle esperienze che il messaggio esprime. Nel caso della musica è
l’insieme degli elementi cui ho accennato prima : l’insieme delle strutture sonore, armoniche, ritmiche e degli elementi
connotativi.
L’informazione, invece, è quanto di nuovo ci viene detto rispetto a ciò che già conoscevamo. Nel caso della
musica tutto ciò potrà consistere in sviluppi inusuali, oppure in successioni armoniche inedite, in ritmi particolari,
oppure in orchestrazioni inusuali, in sistemi di organizzazione dei suoni diversi da quelli tonali, ecc.
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Dunque, a prima vista, il significato assume un aspetto qualitativo del messaggio, l’informazione (che comunque
è destinata a modificare la qualità, in un momento successivo) inizialmente assume invece un aspetto quantitativo.
Facciamo un esempio, per meglio chiarire questa importante differenza tra il messaggio e l’informazione.
Se io dico : “a Pescara in estate fa caldo”, il significato è quello che può essere più o meno così descritto: a
Pescara, città capoluogo di provincia in Abruzzo, sulla costa Adriatica della penisola italiana, durante quel periodo
dell’anno che va dal mese di giugno a quello di settembre, in conseguenza della rotazione della terra intorno al proprio
asse, e della maggiore vicinanza che assume l’area del bacino mediterraneo rispetto al sole, stella più vicina del sistema
solare, durante il giorno la temperatura aumenta e si stabilizza in una media di valori compresa tra i 30 ed i 35 gradi.
Questa è una descrizione del significato in termini scientifici, ma se ne possono dare altre di tipo intuitivo, se avessimo
il tempo di occuparci anche di ciò che Ch. S. Peirce chiama i termini interpretanti. Ma torniamo al mio messaggio
riguardante la città di Pescara. “a Pescara in estate da caldo”. Qual’è allora l’informazione del mio enunciato ? Che
cosa, cioè, io ho inteso comunicare, di nuovo, di imprevisto, al destinatario del mio messaggio ? Assolutamente nulla, in
quanto tutti sanno benissimo che a Pescara l’estate fa caldo. E’ normale che a Pescara durante l’estate faccia caldo.
L’informazione è chiaramente assente dal mio messaggio. Se io invece avessi affermato: “da quest’anno, in estate, a
Pescara non farà più caldo” avrei fornito una notevole informazione, in quanto viene proposto qualcosa che non rientra
negli schemi d’attesa dell’ascoltatore, del destinatario del mio messaggio. La sua esperienza si arricchisce di un dato
nuovo: non è più scontato che a Pescara l’estate faccia caldo. E quindi non sono più scontate molte altre cose: che la
Terra ruoti intorno al proprio asse sempre nello stesso modo, oppure che il Sole produca sempre la stessa temperatura,
oppure ancora che le caratteristiche delle stagioni conservino la stessa sequenza. La ricerca delle ragioni per cui a
Pescara, in estate, non farà più caldo appartiene ad una indagine successiva del destinatario. Ma sarà stata proprio la
nuova informazione a stimolare questa indagine. Dalla singola informazione l’esperienza del destinatario del messaggio
cresce in una misura di gran lunga maggiore rispetto alla valenza della singola informazione ricevuta. L’informazione
innesca un processo di notevole lievitazione dell’esperienza. Questa si amplifica ed arricchisce i contenuti del codice
del destinatario. Per fornire una nuova informazione a quel destinatario non sarà più sufficiente comunicargli che in un
altro qualunque posto del mondo, a Tonga oppure anche in Sud Africa, non farà più caldo. Egli non acquisisce nulla di
nuovo poichè ora sa che questo può accadere ed avrà nel frattempo già acquisito gli elementi che spiegano il fenomeno.
Ho accennato agli schemi d’attesa del destinatario del messaggio. E vorrei dimostrare la portata della loro
valenza nel processo della comunicazione musicale. Introduco così l’argomento della sequenza probabilistica che
costituisce la parte conclusiva della mia comunicazione.
Prendiamo in considerazione i seguenti versi di una lirica:
E’ immenso il mio amore
oh, come batte il ....(puntini di sospensione)
Al posto di quei puntini, chiunque metterebbe la parola cuore. E’ talmente scontata, prevista, che potrebbe anche
essere soppressa dal testo senza lasciare il minimo dubbio che l’intenzione dell’Autore della lirica era quello di scrivere
la parola cuore. Ma anche in questo caso l’informazione è assente.
Sarebbe più informativa, invece, una soluzione come la seguente:
E’ immenso il mio amore
ho, come batte il grido, il grido del mio cuore.
Noi avremmo atteso, alla fine del secondo verso, la parola cuore, e invece questa viene posticipata mentre ci
giunge, inatteso, il termine grido.
Trasliamo questa dinamica su un esempio musicale. Consideriamo una sequenza melodica di 5 suoni che partono
dal do e seguono con re-mi-fa-si. Quindi do-re-mi-fa-si.
I primi quattro suoni procedono per grado congiunto. Ci si aspetterebbe che anche l’ultimo si comportasse allo
stesso modo, ed invece subentra, inatteso, un intervallo di quarta. Questo piccolo messaggio musicale presenta
evidentemente un grado di informazione maggiore rispetto agli schemi di quei destinatari il cui codice si limitava ad
una successione di suoni per grado congiunto. Così, più in generale, un pezzo musicale che utilizza pedissequamente i
moduli ritmici, armonici e compositivi di 150 anni fa, non ci trasmette alcuna informazione, ma conferma quanto già
sapevamo. Un componimento, invece, che suggerisce soluzioni armoniche inedite, o che utilizza in modo inedito la
dialettica dei ritmi, quella dei suoni e delle altezze, oppure dei timbri strumentali, è certamente dotato di una carica
informativa che costringe l’ascoltatore ad un maggiore sforzo, ad un impegno gravoso. Lo mette di fronte a qualcosa
che non aveva previsto, o che aveva ritenuto improbabile. E cosa accade agli schemi del suo codice, in questo caso ?
Il destinatario, una volta verificati gli elementi che rientrano nelle sue previsioni, cerca di recuperare il residuo di
originalità che ad essi si sottrae. Per pervenire a questo obiettivo, per assimilare ed organizzare, in altre parole, le nuove
acquisizioni, le informazioni, deve trovare uno spazio per esse nei suoi schemi mentali. Deve trovare uno spazio nel suo
codice, nella sua cultura, integrando le nuove informazioni con quelle che vi preesistevano. Deve ampliare il proprio
sistema di previsione e dovrà accettare che a battere forte non debba essere necessariamente un cuore, nonostante
l’attrazione della rima. Naturalmente tutto questo si può ottenere solo attraverso un preciso impegno intellettuale. Per
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molti è assai più comodo rifugiarsi nella pappa di tutti i giorni, per dirla con Adorno, allontanando tutto quanto viene a
turbare gli equilibri statici e consolidati.
Quando in un messaggio sono presenti elementi già noti accanto ad una certa dosi di informazioni, ai primi i
teorici hanno attribuito il nome di ridondanza. Ridondanza è tutto ciò che è prevedibile, regolare, in un certo senso
scontato. La frase “a Pescara in estate fa caldo” è del tutto ridondante, così come sono ridondanti le canzoni di San
Remo o disco-music. La ridondanza è l’esatto contrario dell’informazione. Moles definisce ridondante tutto ciò che di
superfluo viene detto nel messaggio.
Ma attenzione, la ridondanza non è inutile. Non potrebbe esistere alcuna informazione senza ridondanza. Una
frase nella lingua dei boscimani ci risulterebbe incomprensibile, e quindi non potrebbe fornirci alcuna informazione,
perchè nessuna delle parole che in essa compaiono ci è già nota. La musica di Strawinsky, rispetto a quella Beethoven,
presenta degli elementi e delle informazioni del tutto nuovi, ma è anche provvista di una preziosa rete di ridondanza che
offre appoggio e riferimento al destinatario : l’uso dei suoni temperati, degli strumenti tradizionali, della consueta
notazione, ecc. sono tutte ridondanze che ci consentono di ricavare l’informazione dal messaggio, sono gli elementi che
ci consentono di separare i dati che ci erano già noti (e che appartenevano anche alla musica di Beethoven) dalle nuove
informazioni contenute nel messaggio di Strawinsky, recuperando queste nuove informazioni quale residuo di
originalità che assimileremo ai connotati specifici dello stile di Strawinsky.
Ridondanza e informazione, dunque, sono due poli che si implicano vicendevolmente. In questo delicato
processo comparativo si insinua la sequenza probabilistica della musica.
La musica si realizza nel tempo. I singoli eventi musicali si materializzano mentre il tempo trascorre. E la musica
si sviluppa in una struttura a più strati (quello melodico, quello armonico, quello ritmico, quello timbrico, quello
dinamico, ecc.) che sviluppano correlazioni contemporaneamente. Questi diversi livelli, nel concreto dispiegarsi della
musica, sono reciprocamente connessi. Per cui le unità effettive della musica non sono i singoli suoni, ma sezioni più
complesse di evento, a più dimensioni. Tuttavia le unità del livello melodico (ovvero i singoli suoni), quelle del livello
armonico e tutte le altre debbono essere utilmente separate per poter distinguere la sequenza probabilistica della musica.
Data una determinata unità, un certo suono, l’ascoltatore è naturalmente indotto a prefigurarsi quale potrà essere
l’unità successiva. E si apre così un ambito di probabilità. Probabilità che dipendono dal codice musicale di riferimento,
dallo stile dell’autore e ovviamente dal grado di consapevolezza che di tutto ciò possiede l’ascoltatore.
Prendiamo ad esempio una qualsiasi unità melodica. Un suono qualsiasi. Un fa#, per esempio. Nell’immaginare
un suono successivo formuleremo varie ipotesi. La successione più probabile sarà rappresentata dalla ripetizione dello
stesso suono, o da quelli più vicini. Assai meno probabile sarà una nota lontana. Abbiamo già visto che la probabilità è
inversamente proporzionale all’informazione : più una soluzione è probabile meno è informativa.
E viceversa.
Supponiamo allora di trovarci di fronte ad una brano di musica moderna, nel quale si fa largo uso di
macrointervalli e di dissonanze, e che al fa# segua un mi all’ottava sopra. A questo punto disponiamo di una
informazione che apre un nuovo campo di probabilità riguardo alla conformazione che potrà assumere il successivo
evento sonoro. L’arrivo del mi ci ha insegnato a non attenderci più un intervallo ristretto, per cui il nostro sistema di
attese risulterà modificato : non ci aspetteremo più un passaggio per grado congiunto ma un altro salto. Questa volta è il
macrointervallo ad essere più probabile (e meno informativo), per cui un balzo di settima non susciterà in noi alcuna
sorpresa.
Con questo piccolo esempio desidero dimostrare:
1) che la successione di una unità all’altra avviene secondo un processo probabilistico (che in termini scientifici
si definisce stocastico);
2) che le probabilità che si verifichi una certa soluzione dipendono di volta in volta da ciò che precede.
L’ascoltatore, in base alle sue esperienze precedenti ed alle unità che gli sono già state proposte esprime ogni
volta, più o meno consciamente, una attesa probabilistica.
Tutto ciò rientra nella necessità che egli sente di ricondurre il messaggio ad una struttura riconoscibile, a lui già
nota, rassicurante. L’attesa può essere confermata, ma può andare anche delusa. In questo secondo caso il destinatario
del messaggio ricorre alla ridondanza, ricorre all’aiuto degli elementi a lui già noti per riorganizzare le strutture del
messaggio ed aggiungere i nuovi dati alla sua esperienza ed al suo codice. L’ascoltatore supera così la propria
incertezza e si appresta ad effettuare una nuova ipotesi probabilistica.
Alla luce di tutto ciò che illustrato, proviamo allora ad immaginare quali potrebbero essere le caratteristiche
ideali del messaggio di una musica d’oggi. Proviamo ad immaginare come essa dovrebbe essere strutturata per
pervenire al massimo della comunicabilità.
Perchè l’opera d’arte abbia un senso è necessario che essa risulti informativa, deve aggiungere qualcosa alla
preesistente esperienza. Ma deve allo stesso tempo essere ridondante affinchè la nostra capacità di comprenderla non
resti paralizzata. Ma quanto informativa ? e quanto ridondante ?
Soltanto ciò che è informativo attirerà l’attenzione di chi ascolta. E questa premessa ci porterebbe ad
immaginare che la musica proposta dovrà essere il più informativa possibile.Più è informativa e più interesse suscita.
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Per altri versi chi ascolta deve sentirsi rasserenato e compensato dalle conferme probabilistiche delle sue
previsioni. L’ascoltatore, infatti, si sentirebbe frustrato, ed infine soggiogato dalla disattenzione, laddove la musica non
confermasse mai le sue previsioni. Ciò significa allora il contrario di quanto appena detto. Ovvero che la musica deve
risultare il più ridondante possibile.
Al riguardo Coons sostiene che “il paradosso della creazione artistica non potrebbe porsi in termini più radicali”.
E tanto la vecchia critica prescrittiva, che la più moderna teoria dell’informazione sembrano pervenire alle medesime
conclusioni : la musica dovrà essere costituita da una giusta mistura dell’uno e dell’altro.

Bibliografia

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