Parlando della rabbia nei più piccoli occorre partire da un principio: si tratta di un’emozione che non va soffocata, piuttosto compresa e gestita; perché si tratta di una reazione spesso utile, senza la quale i bambini potrebbero trovarsi in situazioni di pericolo; oppure perché potrebbero smettere di manifestarla all’esterno e volgerla verso sé stessi. Le cause della rabbia nel bambino sono molte, a cominciare dalla percezione di una minaccia alla propria integrità. Il mancato soddisfacimento di un bisogno, la paura d’essere abbandonato, la fame, il dolore, sono poi altre situazioni in grado di accendere la rabbia, soprattutto nei più piccoli.
«Adesso sono più tranquilli, dopo che il pediatra ha spiegato
che gli esami sono tutti a posto, compreso l’elettroencefalogramma; per il medico non c’era nemmeno bisogno di farlo, di attaccare il piccolo a tutti quei cavi, perché la diagnosi era semplice; li ha chiamati spasmi affettivi, e ha detto che sono un fatto che colpisce almeno il cinque per cento dei bambini, soprattutto tra i sei mesi e i tre anni e mezzo. Adesso sono più tranquilli, ma quella notte non avevano chiuso occhio. Era tutto il giorno che Andrea faceva i capricci, e non c’era modo di distrarlo. La mamma le aveva provate tutte, tirando fuori dai cassetti i giocattoli preferiti, raccontandogli le storie che lo facevano ridere; ma Andrea voleva solo stare in braccio, e quando era arrivato il papà non lo aveva nemmeno guardato. Nel seggiolone per la pappa, era riuscito in un attimo a rovesciare piatto e bicchiere, e allora la mamma aveva perso la pazienza. Lo aveva sgridato, alzando la voce, con un tono secco e arrabbiato. Andrea si era bloccato, poi aveva cominciato a piangere, di un pianto stizzito e incontenibile. Poi aveva smesso di respirare ed era diventato tutto blu, prima di perdere conoscenza. Non era durato che pochi secondi, ma a mamma e papà era sembrata un’eternità, e quando si era ripreso, Andrea sembrava frastornato, come se non ricordasse nulla. Si era addormentato poco dopo, e il medico del 118, chiamato d’urgenza, lo aveva visitato senza svegliarlo, consigliando i genitori di portarlo dal pediatra il giorno successivo. Spasmi affettivi, eventi all’apparenza drammatici ma senza conseguenze. Sempre che il piccolo non intuisca il panico dei genitori, innescando la crisi ogni volta si sente frustrato o arrabbiato; nel qual caso adotterà lo spasmo come una specie di arma di ricatto, e crescendo si troverà incapace di affrontare ostacoli e delusioni». Crescendo, il bambino può manifestare scoppi di collera per la vergogna o l’umiliazione di un insuccesso: gli basta non essere capace di afferrare un oggetto, o la consapevolezza di aver deluso le attese degli altri, una competenza acquisita intorno ai tre anni. Ad esempio, se gli viene consegnato un gioco di incastri, e non riesce a finirlo nel tempo impiegato da un coetaneo, un bimbo può provare vergogna, ma presto mutarla in rabbia, verso gli oggetti, gli altri bambini, la maestra d’asilo che glielo ha proposto. Intorno ai cinque anni, con la comprensione dei concetti di bene e male, di corretto e sbagliato, un piccolo che si senta offeso oppure ostacolato nei propri obiettivi, impara a reagire con una delle frasi più utilizzate nell’infanzia, quel “Non è giusto” che spesso si trasforma in un vero “tormentone”.
Tra le tante ipotesi psicologiche utili a comprendere da dove
arrivi la rabbia e l’aggressività di un bambino, una delle più interessanti è contenuta nella teoria dell’attaccamento. Elaborata dallo psicologo inglese John Bowlby, la teoria illustra come un soggetto affaticato, solo, malato o impaurito, cerchi la vicinanza di chi è in grado di fornirgli conforto e sia capace di affrontare il mondo in maniera adeguata. Si tratta di un comportamento evidente soprattutto nei bambini, ma che può essere osservato durante tutta la vita, in special modo nei momenti di crisi ed emergenza. Per Bowlby, l’attaccamento è parte integrante della natura umana, e la sua funzione biologica è quella della protezione. Nel bambino, il comportamento di attaccamento è stato particolarmente studiato attraverso un esperimento chiamato “strange situation”, la situazione dell’estraneo: un piccolo, affiancato da una figura di attaccamento come la madre o il padre, è accompagnato in una stanza dove c’è una persona pronta ad accogliere tutti; di lì a poco, il genitore esce dal locale, e si osservano le reazioni del bambino alla separazione. Trascorsi pochi minuti, il genitore rientra nella stanza, e anche questa volta si registrano le reazioni del bambino. Il comportamento adottato al momento della separazione e della riunione è la manifestazione del suo schema di attaccamento e dei corrispondenti modelli operativi interni.
Gli schemi di attaccamento che si possono osservare nella
strange situation sono quattro: il tipo A, detto evitante, comprende bambini che mostrano indifferenza sia al momento della separazione che della riunione; i piccoli del tipo B, o sicuro, protestano al momento della separazione ma si calmano al ritorno di mamma o papà; il tipo C, o resistente, vede bambini che protestano vivacemente durante la separazione e che non si calmano alla riunione; nell’ultimo tipo, il D, o disorganizzato, i bambini mostrano comportamenti disordinati; ad esempio, al momento di ritrovare il genitore, possono corrergli incontro, ma con il volto girato dalla parte opposta.
Insieme ai quattro schemi di attaccamento del bambino,
sono poi stati studiati i corrispondenti atteggiamenti e i comportamenti di madre e padre: il genitore del bambino evitante in genere svaluta, respinge o ignora le richieste di cura e attenzione da parte del bambino, che si sente incapace di suscitare risposte affettive, con un’immagine di sé poco valida. Il genitore del bambino sicuro riconosce adeguato e normale il bisogno di attenzione e di cura da parte del bambino; lo stile di risposta dei genitori dei bambini sicuri e chiamato libero. Il genitore del bambino resistente (tipo C), mostra un atteggiamento invischiato e problematizzato, incapace di risolvere i conflitti emozionali relativi alle esperienze di attaccamento. In questo caso, nella memoria del bambino, ci sono episodi dove la figura di attaccamento ha risposto positivamente alle richieste di vicinanza, protezione e cura, e altri dove la risposta è stata assente o svalutante; ma quel che è grave, è che non c’è alcuna regola che permetta di capire il passaggio da un atteggiamento ad un altro. Il genitore del bambino con attaccamento disorganizzato è, invece, un genitore turbato dal riemergere di ricordi penosi, di traumi e lutti, che si manifestano con atteggiamenti di dolore, di paura e di collera mentre risponde alle esigenze di attaccamento del suo piccolo.
Ma qual è l’importanza degli schemi di attaccamento e dei
modelli operativi interni nell’origine della rabbia e dell’aggressività? Inutile dire che un modello operativo interno fondato su un attaccamento sicuro, permette di poter contare su conforto e aiuto in caso di difficoltà. Durante le prime competizioni con i coetanei, è inevitabile che il bambino sperimenti l’umiliazione di una sconfitta. Se il piccolo sa di poter far conto su un sostegno e un appoggio, l'esperienza è tollerabile e lo prepara ad affrontare con serenità le nuove sfide. Diversamente, se lo schema di attaccamento è insicuro, se le figure di attaccamento sono emozionalmente fredde e distanti, spaventate o spaventanti, non c’è aspettativa di sostegno e soccorso; l'esperienza traumatica è perciò difficile da superare, e nell'affrontare le successive competizioni, il bambino mostrerà un’eccessiva timidezza, comportamenti di evitamento, oppure una elevata quota di rabbia e aggressività.
Affrontate le situazioni che scatenano la collera, e le ipotesi
psicologiche che cercano di spiegare da dove nasca, per un genitore è fondamentale sapere come poter aiutare il proprio bimbo a gestire la rabbia. Innanzitutto, bisogna garantirgli la sicurezza, la sua come eventualmente quella di altri piccoli coinvolti nella crisi. Purtroppo non è raro che un bimbo si lasci andare a una crisi di rabbia in situazioni pubbliche, magari nel bel mezzo di una coda al supermercato. Prenderlo in braccio può iniziare a tranquillizzarlo, ma appena si raggiunge un posto sicuro, permettiamogli di recuperare da solo la calma. Anche l’abitacolo dell’auto va bene, purché ci si limiti a pronunciare poche parole, quel che basta a far intendere che non succederà nulla fino a quando non smetterà di gridare e fare i capricci. Inutile cercare di parlare con un bimbo in crisi, per scoprire insieme da dove arrivi la sua collera. Questo è un passaggio fondamentale ma successivo, una volta recuperata la serenità; e a questo punto bisogna sempre ricordarsi di riconoscere la legittimità dei sentimenti di rabbia. Il bambino deve poter contare su un adulto che comprende le cause delle sue emozioni, anche se non accetta i modi con cui le ha manifestate.
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