Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
CHI ERA
Le fonti arrivate fino a noi, tutte scritte molto tempo dopo la sua morte, affermano
che Spartaco veniva dalla Tracia, una regione dell’Europa orientale che faceva
parte formalmente del regno di Macedonia. Dal 146 a.C. questa era diventata una
provincia romana, a cui la Tracia venne annessa nel 129. Si trattava di un
territorio difficile, dove i romani erano costantemente costretti ad intervenire per
soffocare le ribellioni delle molte popolazioni locali. Sembra che Spartaco sia nato
da un'umile famiglia di pastori della tribù dei Maedi.
Inizialmente fece il pastore come il padre, ma in seguito, ridotto in miseria oppure
in cerca di fortuna, si arruolò nell'esercito romano, con cui combatté in
Macedonia col grado di milite ausiliario.
Dopo poco però, la dura disciplina cui era obbligato e forse la discriminazione in
quanto milite straniero lo spinsero verso la diserzione, reato punibile presso i
Romani con la morte.
Divenne così un bandito, fino a quando non fu catturato dai legionari e fatto
schiavo.
A questo punto, fu comprato da Lentulo Batiato, un piccolo imprenditore avente
una scuola per gladiatori a Capua. Secondo le fonti, sembrerebbe che Spartaco
sia stato acquistato insieme a sua moglie, una donna della Tracia, definita da
Plutarco come una sacerdotessa di Dioniso ed una profetessa.
Si pensa che Spartaco fosse un mirmillone, ossia uno dei gladiatori più robusti
che, durante gli scontri, era equipaggiato in modo pesante.
Nel 73 a.C., esasperato dalle inumane condizioni che Lentulo riservava a lui ed
agli altri gladiatori, Spartaco ed i suoi compagni pianificarono una fuga di più di
70 gladiatori: dalle cucine si procurarono coltelli e mannaie, grazie a cui riescono
a fuggire combattendo, per poi appropriarsi di un carro di armi ed armature
destinate all’arena.
Sembra che i ribelli avessero poi eletto i loro capi spontaneamente e tra questi vi
erano: Spartaco, Enomao e Crisso.
A questo punto i ribelli cominciarono a vivere di brigantaggio unendosi ad altri
schiavi, che lavorano sulle pendici del Vesuvio. All’inizio Roma non prese troppo
sul serio la rivolta poiché impegnata nel fronteggiare un’altra rivolta in Spagna e
la terza guerra con Mitridate.
Per cercare però di ostacolare l’avanzata della rivolta, l’impero pose il comando di
una milizia al pretore Gaio Claudio Glabro. Quest’ultimo decise di attuare un
assedio, bloccando le vie principali verso il Vesuvio in modo da non far arrivare
rifornimenti ai ribelli. Fu proprio in quest’occasione che Spartaco manifestò la
propria capacità tattica, insegnò infatti agli schiavi ribelli come costruire corde,
utilizzando i materiali a loro disposizione come vigne selvatiche, e a scendere
dalle pendici della montagna con esse. Dopo ciò, gli schiavi accerchiarono
l’accampamento romano, sconfiggendolo e appropriandosi del loro
equipaggiamento.
I DUE CONSOLI
Nella primavera del 72 a.C., i ribelli, divenuti più di 40 000, abbandonarono il
proprio accampamento e si divisero in due gruppi: uno si fermò nell’attuale
Puglia, nei pressi del Gargano, sotto il comando di Crisso, il secondo, guidato da
Spartaco, avanzò verso nord.
A Roma il Senato iniziò a preoccuparsi della ribellione solo nel 72 a.C., quando
furono incaricati i due consoli Lucio Gellio Publicola e Gneo Cornelio Lentulo
Clodiano di fronteggiare l’avanzata degli schiavi.
I romani capirono di dover far leva sulla divisione dell’armata di Spartaco,
cercando di sconfiggere separatamente i due gruppi.
TRADIMENTO DI MESSINA
Dopo la vittoria, l’obiettivo degli schiavi era quello di uscire dall’Italia passando
dalle Alpi ma poi per ragioni sconosciute, Spartaco, forse sotto richiesta dei suoi
uomini, decise di fare marcia indietro.
Nel frattempo, a Roma, Marco Licinio Crasso, un ricco uomo in cerca di consensi,
si offrì di fermare Spartaco, ottenendo così il comando di otto legioni. Dopo un
primo tentativo fallito, Crasso riuscì a spingere gli schiavi ribelli fino a Reggio,
davanti allo Stretto di Messina. Da qui Spartaco sperava di poter raggiungere la
Sicilia, per tentare di innescare una nuova rivolta di schiavi e ottenere nuovi
seguaci. Per oltrepassare lo stretto con tutte le sue truppe, Spartaco aveva però
bisogno di imbarcazioni e di marinai esperti.
A questo proposito, gli schiavi ribelli si rivolsero ad un gruppo di pirati della
Cilicia (così li definisce Plutarco), aventi imbarcazioni veloci e dotati di un’ottima
conoscenza di quelle acque. Dopo essere stati pagati ed aver preso accordi con gli
schiavi ribelli, i pirati si allontanarono dalla costa con le imbarcazioni, tradendo
Spartaco. A questo punto, il capo decise di provare ad attraversare lo stretto di
Messina su imbarcazioni di fortuna, ma naufragò miseramente in Calabria.
LO SCONTRO FINALE
Nella primavera del 71 a.C., Lucullo era ormai sbarcato a Brindisi e Spartaco,
quasi circondato, decise di attaccare Crasso frontalmente.
Lo scontro finale avvenne nell’aprile del 71 nei pressi delle sorgenti del Silaro.
La cavalleria di Spartaco puntò sugli arcieri di Crasso, ma venne ostacolata da un
efficace sistema di trincee. Quanto a Spartaco, alla guida della fanteria, cercò lo
scontro diretto nella speranza di uccidere Crasso, ma fu invece circondato, e poi
ucciso, dando il colpo di grazia all’esercito ribelle.
Sembra che il corpo di Spartaco non sia mai stato identificato, ma la memoria di
quest’uomo che tentò di sfidare la storia, ribellandosi alla schiavitù, rimane viva
ancora oggi.