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SER CIAPPELLETTO

(Decameron, I, 1)
Protagonista della novella di apertura della raccolta è ser Cepparello da Prato, un notaio che vive
in Francia (dove è chiamato "Ciappelletto" perché piccolo di statura) ed è dedito a una vita
criminosa, definito dall'autore "il piggiore uomo forse che mai nascesse": dovendosi recare in
Borgogna a riscuotere dei crediti, si ammala e architetta un elaborato inganno per ottenere in
punto di morte l'assoluzione da un frate confessore, morendo quasi in odore di santità e venendo
poi venerato dagli abitanti del luogo. Il messaggio del racconto non è tanto la beffa sacrilega,
quanto il fatto che Boccaccio intende polemizzare con la Chiesa che alimenta il culto di falsi santi
per trarne vantaggio economico, mentre Dio guarda alla purezza del cuore dei fedeli anche
quando lo pregano in nome di un lestofante come Ciappelletto (che, tra l'altro, potrebbe essersi
pentito e salvato davvero).
 La novella narrata da Panfilo propone come vicenda "proemiale" una storia che riguarda
Dio e la devozione religiosa, in modo conforme alla tradizione letteraria; tuttavia, l'esempio
non è devoto ma riguarda la beffa sacrilega di un lestofante matricolato (ser Cepparello da
Prato, figura storica rielaborata dall'autore) che inganna un santo frate e ottiene
l'assoluzione per i suoi peccati, venendo addirittura venerato come santo dagli abitanti del
luogo che non conoscono la sua vita. Boccaccio polemizza con la Chiesa che è fin troppo
sollecita ad alimentare il culto di falsi santi per trarne un ritorno economico, sotto forma di
offerte ed elemosine, inoltre mette in cattiva luce l'ingenuità del confessore che si lascia
ingannare dal protagonista mentre dovrebbe avere la capacità di leggere nel suo cuore,
aspetto quest'ultimo (la dabbenaggine dei religiosi) che ritorna in altre novelle. Il testo si
collega anche al tema della beffa e dell'arte della parola, in quanto il discorso di
Cepparello/Ciappelletto al frate è un piccolo capolavoro di retorica, costruito al fine di
procacciarsi l'assoluzione che servirà non tanto a lui quanto ai due fratelli usurai che lo
ospitano.
 Ciappelletto è presentato con una certa simpatia dall'autore, nonostante la malvagità della
sua vita scellerata, e fin dall'inizio è precisato che la novella tratta del "giudicio... degli
uomini", ovvero si limita a narrare quanto avviene sulla Terra non escludendo che il
protagonista possa essersi pentito e aver ottenuto la salvezza, cosa che solo Dio può sapere
leggendo nel suo cuore. Nessuna polemica è quindi rivolta contro l'ingenuità popolare che
adora falsi santi per rivolgere le sue preghiere a Dio, viene anzi detto che Egli può
accoglierle guardando alla purezza del cuore dei fedeli e non alla vita peccaminosa degli
intermediari, i "mezzani". Il culto dei falsi santi era molto diffuso nel Medioevo e così pure
il commercio delle reliquie (false o meno) da cui la Chiesa traeva vantaggio, cosa di cui si ha
un accenno in questa novella col descrivere i fedeli che stracciano le vesti dal cadavere di
Ciappelletto.
 Il discorso con cui Ciappelletto inganna il frate è una beffa sacrilega, ma è anche l'esibizione
di un attore consumato che ricorre a tutte le sue arti pur di raggiungere il suo scopo,
incluso il pianto finale con cui finge di non voler rivelare il suo terribile peccato (che
ovviamente è veniale come tutti gli altri che ha confessato, esagerando in modo incredibile
il suo pentimento). È interessante il fatto che il frate, chiedendo a Ciappelletto se abbia
compiuto questo o quel peccato, segua lo schema morale dell'Inferno dantesco e parli
quindi di lussuria, gola, avarizia, ira, violenza e frode, tutte colpe che sappiamo essere state
compiute abbondantemente dal protagonista; inoltre, quando questi dichiara di non aver
mai avuto rapporti carnali con donne, dice in fondo il vero perché l'autore lo ha presentato
come dedito alla sodomia (altro peccato capitale secondo la teologia medievale).
ANDREUCCIO DA PERUGIA
(Decameron, II, 5)
Protagonista di questa novella narrata da Fiammetta è Andreuccio, un giovane mercante perugino
capitato a Napoli per una compravendita di cavalli che si fa truffare da un'astuta prostituta
siciliana che si finge sua sorella e lo deruba di tutto il suo denaro. Dopo una serie inverosimile di
peripezie e disavventure in cui rischia seriamente la vita, il giovane viene assistito dalla fortuna e
riesce non solo a salvarsi, ma addirittura a entrare in possesso di un prezioso anello che gli
consente di recuperare i soldi perduti.
 La novella fa parte della seconda Giornata del Decameron, che narra vicende i cui
protagonisti si salvano da situazioni difficili oppure ottengono un guadagno insperato
grazie all'aiuto della fortuna: è appunto il caso di Andreuccio, il quale nell'arco di una sola
nottata perde tutto il suo denaro e rischia più volte di morire, per poi entrare in possesso di
un prezioso anello con cui torna a casa più ricco di prima (la fortuna è vista da Boccaccio
come qualcosa di capriccioso e fortuito, non più espressione della volontà divina come in
Dante e nelle opere del Duecento). Il testo è anche in parte una celebrazione della figura
del mercante e si può accostare a quella di Landolfo Rufolo che la precede, con la
differenza che in quella il protagonista recuperava le perdite nell'arco di anni e dopo
essersi dedicato alla pirateria.
 Andreuccio è presentato come un giovane inesperto e ingenuo, che non ha mai viaggiato in
precedenza e cade nella trappola tesagli dalla prostituta Fiordaliso, che si spaccia per una
sua sorella illegittima: nel corso delle sue peripezie il giovane rischia per tre volte
seriamente la pelle (quando cade nella latrina, quando è calato nel pozzo e infine quando
resta chiuso nel sepolcro dell'arcivescovo) e in ognuna di queste disavventure assistiamo a
una sua "discesa" seguita poi da una "risalita", l'ultima volta addirittura da una tomba. Nel
corso della vicenda il giovane mercante matura e impara dai propri errori, per cui ad es. ha
l'accortezza di tenere per sé il prezioso anello dell'arcivescovo sospettando della lealtà dei
suoi complici (che infatti lo chiuderanno nell'arca), quindi alla fine esce migliorato dalla sua
esperienza e il racconto è in un certo senso un "percorso di formazione", non a caso avente
per protagonista un uomo d'affari che deve appunto usare l'astuzia per fronteggiare i
pericoli del mondo.
 La protagonista femminile della novella è la prostituta siciliana Fiordaliso, donna bellissima
e intrigante che rientra nella tipologia della seduttrice che usa il suo fascino ma anche la
sua intelligenza per imbrogliare il prossimo, attraverso l'arte sottile della parola (Boccaccio
sottolinea come il suo discorso ad Andreuccio sia ben congegnato e pronunciato senza che
"in niuno atto moriva la parola tra’ denti ne balbettava la lingua", quindi risultando
convincente). Il personaggio ricorda quello di Jancofiore nella novella di Salabaetto (VIII,
10), anche lei prostituta palermitana che truffa un ingenuo mercante fiorentino per poi
essere beffata a sua volta con un elaborato inganno.
 La novella è ambientata a Napoli, la città dove Boccaccio aveva vissuto negli anni giovanili,
che però qui è presentata come una "metropoli" dai vicoli sordidi e malfamati (il quartiere
dove vive Fiordaliso si chiama "Malpertugio" ed è abitato da ladri e ruffiani come il
Buttafuoco citato che sfrutta la donna) e molto diversa dalla sede della corte angioina
frequentata dallo scrittore, che forse conosceva il lato"oscuro" del luogo e potrebbe aver
inserito dati autobiografici nel racconto; esso oltretutto è narrato da Fiammetta, il cui
nome ricorda quello della donna amata dall'autore proprio a Napoli. La città è descritta
come uno spazio ricco di insidie in cui Andreuccio rischia di perdersi, secondo uno schema
che in seguito sarà spesso sfruttato dalla narrativa "di formazione" e tornerà anche
nei Promessi sposi di A. Manzoni, in cui Renzo a Milano si farà beffare in modo altrettanto
ingenuo e rischierà la vita.

GUIDO CAVALCANTI
(Decameron, VI, 9)
In questa breve novella narrata da Elissa, la regina della sesta giornata, il protagonista è il poeta
fiorentino Guido Cavalcanti, noto per le sue idee epicuree che, infastidito da alcuni nobili suoi
concittadini, se la cava con una sagace battuta di spirito che è talmente sottile da richiedere una
chiosa da parte di Betto Brunelleschi, il capo della brigata. Il racconto vuol essere un omaggio
postumo al grande poeta stilnovista e contiene forse un riferimento all'episodio dell’Inferno"
dantesco che vedeva come protagonista il padre di Guido, Cavalcante.
 Guido Cavalcanti (1259-1300) fu il grande poeta amico di Dante ed esponente assieme a lui
del Dolce Stil Novo a Firenze: aveva fama, come del resto il padre Cavalcante, di essere
seguace dell'epicureismo e di avere una visione materialista dell'esistenza, che negava
l'immortalità dell'anima e l'esistenza di Dio. Non a caso, forse, la novella si svolge tra le
tombe di un cimitero, anche perché nel canto X dell'Inferno Dante descrive la pena degli
epicurei (tra cui lo stesso padre di Guido) che consiste nel giacere in tombe infuocate,
simboleggiando la mortalità dell'anima da loro teorizzata in vita. Guido si cava d'impaccio
dicendo a Betto e ai suoi compari che sono a casa propria, quindi che sono
intellettualmente morti.
 Betto Brunelleschi fu un guelfo nero, di famiglia agiata, ucciso da un Donati nel 1311 e capo
di una di quelle brigate di giovani che caratterizzavano la vita aristocratica della Firenze del
XIII-XIV sec.: il rifiuto da parte di Guido di farne parte è da lui interpretato nella novella
come un atto di scortesia, per cui decide con gli amici di "dargli briga" e di irriderlo in
quanto impegnato nelle sue meditazioni filosofiche sulla non esistenza di Dio. La battuta di
Guido è la più sottile tra quelle di questa giornata ed è propria di un raffinato intellettuale
un po' sdegnoso degli altri uomini, molto lontano quindi dalla sagacia popolare di altri
personaggi quali, ad es., il cuoco Chichibìo.
 Le tombe di marmo dove si svolge il racconto un tempo erano intorno al battistero di S.
Giovanni e furono poi poste nella cattedrale di S.ta Reparata (oggi al suo posto sorge S.
Maria del Fiore). Si riteneva che fossero le sepolture degli antichi abitanti della città.

FRATE CIPOLLA
(Decameron, VI, 10)
Protagonista di questa novella narrata da Dioneo a conclusione della sesta giornata è un frate
antoniano, detto Cipolla per via dei capelli rossi, che gira di paese in paese a mostrare agli
sprovveduti contadini delle improbabili reliquie sacre, tra cui una piuma di pappagallo che egli
spaccia nientemeno che per la penna dell'arcangelo Gabriele caduta in occasione
dell'Annunciazione alla Vergine. Giunto a Certaldo, subisce lo scherzo di due paesani suoi amici
(Giovanni e Biagio) che sostituiscono la penna con dei carboni arsi, senza tuttavia creare gran
danno al frate che saprà cavarsi d'impiccio di fronte al suo uditorio con un bizzarro discorso pieno
di intelligenti trovate. La novella è interessante sia per la celebrazione dell'arte della parola e della
dialettica, sia per la polemica contro il commercio delle reliquie che approfitta della devozione e
della credulità popolare.
 La novella rivolge una critica allo sfruttamento delle false reliquie da parte degli
ecclesiastici che sfruttano la credulità popolare, pratica assai diffusa nel Due-Trecento: il
protagonista è un membro dell'Ordine di sant'Antonio Abate, i cui frati erano noti per
svolgere questo tipo di attività (ne parla in termini negativi anche Dante, Par., XXIX, 124-
126). Frate Cipolla è presentato come un guitto di professione, che gira di paese in paese
mostrando false reliquie come la piuma dell'arcangelo Gabriele che altro non è che una
piuma di pappagallo, approfittando dell'ingenuità e dell'ignoranza dei fedeli e raccogliendo
così generose offerte da parte loro. La polemica contro lo sfruttamento del culto dei santi è
presente anche nella novella di Ciappelletto che apre il libro e ad essere messa sotto
accusa non è solo la "stolta moltitudine", ma soprattutto l'avidità dei religiosi che sfruttano
il popolo per arricchirsi.
 Il racconto di frate Cipolla ai fedeli è un vero capolavoro di retorica, poiché il religioso
confonde l'uditorio coi nomi di luoghi reali o immaginari dal suono esotico, mentre si tratta
perlopiù di strade di Firenze (Vinegia, Borgo de' Greci, Garbo, Baldacca...). Il Porcellana è
l'ospedale di S. Filippo (un Guccio Porcellana, custode dell'ospedale, abitava realmente nel
quartiere di Boccaccio), mentre l'Abruzzo era popolarmente indicato come una terra
lontana; i "pennati" che il frate afferma di aver visto volare possono essere dei coltelli, ma
anche dei semplici volatili, mentre è ovvio che le acque del paese dei Baschi corrono "alla
'ngiù". Il nome del presunto patriarca di Gerusalemme ricorda i nomi parlanti delle opere
didattiche in lingua francese e vuol dire «Non mi biasimate per favore», mentre le reliquie
elencate sono tutti oggetti materiali riferiti a esseri spirituali, dunque di per sé assurdi.
 Questa novella, pur narrata da Dioneo, si attiene al tema della Giornata ampliandolo: è il
racconto di uno scherzo tentato da Biagio e Giovanni ai danni di frate Cipolla che riesce
grazie al suo ingegno a farlo tornare a suo vantaggio; quindi, il racconto anticipa in parte il
tema della settima Giornata (le beffe delle donne ai mariti) e dell'ottava (le beffe di
qualunque tipo). Il personaggio di Maso del Saggio, citato dal frate nel suo discorso, ritorna
nella novella di Calandrino e l'elitropia (VIII, 3), dove beffa l'ingenuo protagonista con un
gioco di parole simile a quello usato qui dal predicatore relativamente ai carboni: Maso
diceva che chi aveva indosso l'elitropia non poteva essere visto dove non si trovava,
facendo credere che rendesse invisibili, mentre qui il frate dice che chi è segnato dai
carboni per un anno non potrà essere bruciato dal fuoco senza evitare di sentirlo, che
sembra alludere al potere di rendere immuni da esso. 
 Guccio Imbratta, il servo di frate Cipolla, rappresenta una specie di «doppio» del religioso
in tono minore: anch'egli è un furfante e un ciarlatano, ma si limita a usare la sua
parlantina per sedurre delle sudicie cameriere in una cucina maleodorante; ha la barba
nera mentre il frate ha i capelli rossi e, a differenza del suo padrone, non riesce quasi mai a
ottenere quello che vuole (è una sorta di parodia involgarita del frate e ha la funzione di
mettere in risalto per contrasto l'indubbia abilità del predicatore).

GUALTIERI E GRISELDA
(Decameron, X, 10)
Protagonista dell'ultima novella del "Decameron" narrata da Dioneo è Griselda, una giovane
contadina che viene scelta dal marchese di Saluzzo come sua sposa e sottoposta dal marito a una
serie di crudeltà immotivate, incluso farle credere di aver ucciso i loro due figli che in realtà
vengono fatti allevare segretamente in un'altra città. Griselda conserva intatto il proprio amore per
il marito, il quale, dopo lunghi anni di sevizie, alla fine le svela di averla voluta mettere alla prova e
di amarla, ottenendo il perdono incondizionato della propria sposa. Dioneo afferma di voler
narrare non già un gesto di cortesia secondo il tema della giornata, bensì una "matta bestialità", e
l'interpretazione della novella è assai problematica dato che non è chiaro quale messaggio voglia
trasmettere l'autore attraverso di essa.
 La novella di chiusura del libro è anche la più indecifrabile, poiché non è chiaro quale
messaggio intenda affidare ad essa l'autore: la vicenda è paradossale e basata
sull'incomprensibile crudeltà di Gualtieri verso la propria moglie, la quale sopporta in modo
altrettanto incomprensibile tutte le "prove" e conserva intatto il suo amore e la sua
devozione per lui, fino ad essere riammessa a palazzo come sua sposa e riconciliandosi col
marito. Le interpretazioni critiche sono state assai varie, poiché ad alcuni è parso che la
novella presenti un esempio di santità e bontà (Griselda) contrapposto a quello di vizio e
malignità con cui il libro si apriva (Ciappelletto), quasi a chiudere idealmente un ciclo,
mentre altri vi hanno visto una critica dell'autore ai privilegi e alla prepotenza feudale
rappresentata qui da Gualtieri, che esercita nei confronti della moglie un sopruso sessuale
che non era raro tra i membri della nobiltà terriera. Altrettanto ambiguo il valore della
protagonista femminile della novella, poiché Griselda può essere esaltata come esempio di
pazienza e sopportazione (è stata persino paragonata a Giobbe, personaggio biblico
sottoposto da Dio a prove incredibili) oppure vista come donna sottomessa in tutto
all'uomo, mentre non è chiaro se Boccaccio faccia proprio il punto di vista espresso da
Dioneo alla fine della narrazione.
 Il tono e lo stile della narrazione ricordano molto quello delle fiabe e dei racconti popolari
(che l'autore può aver tratto dai fabliaux francesi), poiché al centro vi è il matrimonio tra
un nobile e una povera contadina, che ritiene tale onore quasi insperato e si rivolge sempre
al marito chiamandolo "signor mio"; tre sono le prove cui Gualtieri sottopone Griselda (la
sottrazione della prima figlia, poi del secondo, infine il falso annullamento delle nozze),
mentre la conclusione avviene grazie a un riconoscimento (l'agnitio tipica dei romanzi
tardo-antichi) attuato dallo stesso Gualtieri, che svela alla moglie che i figli sono ancora vivi
e che il loro matrimonio non è stato annullato, ammettendo che tutto è stato fatto per
mettere alla prova la ragazza. La vicenda si svolge nell'arco di circa tredici anni e il "lieto
fine" ricorda quello di altre novelle del Decameron, benché qui esso appaia paradossale per
la crudeltà di Gualtieri e l'atteggiamento passivo e rassegnato di Griselda.
 Quale che sia il messaggio contenuto nella novella, è chiaro che Boccaccio vuole affermare
che non sempre nobiltà di sangue e di cuore coincidono, descrivendo appunto Gualtieri
come uomo crudele e "bestiale" e Griselda come fanciulla signorile a dispetto delle sue
umili origini (Dioneo dichiara che "anche nelle povere case piovono dal cielo de’ divini
spiriti, come nelle reali di quegli che sarien più degni di guardar porci che d’avere sopra
uomini signoria"), tuttavia è evidente che il mondo dei nobili è irrimediabilmente separato
da quello dei contadini e che questi sopportano passivamente tutte le angherie dei loro
signori, senza osare ribellarsi. Ciò esprime la visione sociale di Boccaccio che al massimo
poteva auspicare l'integrazione tra ceto signorile e alta borghesia cittadina, aspetto che
emerge soprattutto nella novella di Federigo degli Alberighi, V, 9.

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