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Esercitazione.

Si mettano a confronto la novella di Andreuccio da Perugia e novella di Chichibìo e


la gru fornite nelle slides precedenti: alla luce di quanto studiato, lo studente faccia il punto sulla
lingua di Boccaccio.
Nel Decameron il linguaggio e le forme narrative aderiscono di volta in volta al contenuto, cioè variano a
seconda del tema trattato (tragico, comico, realistico), delle caratteristiche dei personaggi, degli ambienti e
delle situazioni. Proprio attraverso la varietà di registri e di intonazioni, Boccaccio raggiunge quell’eleganza
formale, fatta di armonia e di misura, che è stata lo scopo di tutta la sua ricerca stilistica e dell’attività di
prosatore. Il linguaggio, in particolare, rispecchia non solo l’argomento, ma anche la condizione sociale e la
provenienza geografica dei protagonisti, perciò comprende parole dialettali provenienti dalle varie regioni
d’Italia o derivate dal latino, dal greco, dal francese, dal provenzale, quando le storie sono ambientate in
quei luoghi; altri termini sono propri dell’attività mercantile, dell’agricoltura, del diritto, della Chiesa;
ricorrono infine, in gran numero, le battute, i motti, i doppi sensi, presi dalla lingua popolare parlata o creati
dallo stesso Boccaccio.

Quella di Andreuccio da Perugia è la quinta novella della seconda giornata del Decameron, dove i dieci
giovani della "allegra brigata" hanno stabilito di raccontare le avventure a lieto fine (qui la narratrice
è Fiammetta); protagonista è un giovane mercante che giunge dalla sua città natale - Perugia appunto -
a Napoli, portando con sé cinquecento fiorini per acquistare cavalli. L’esperienza di una notte turbolenta lo
farà maturare e gli insegnerà come stare al mondo.

Andreuccio, che non si è mai allontanato da Perugia, è un “cozzone” (cioè, un mercante) di cavalli assai
giovane ed ingenuo, che, giunto a Napoli per concludere qualche buon affare, fa sfoggio della sua ricchezza
sulla piazza del Mercato:

[...] la seguente mattina fu in sul Mercato, e molti ne vide e assai ne gli piacquero e di più e più mercato
tenne, né di niuno potendosi accordare, per mostrare che per comperare fosse 1, sì come rozzo e poco cauto
più volte in presenza di chi andava e di chi veniva trasse fuori questa sua borsa de' fiorini che aveva.

Andreuccio viene così notato da una prostituta siciliana ("una giovane ciciliana bellissima, ma disposta per
piccol pregio a compiacere a qualunque uomo", spiega Boccaccio), che cerca di derubarlo: dopo aver visto il
giovane salutare con trasporto un'anziana donna, anch'essa siciliana, chiede a quest'ultima notizie sul
giovane, per poi fingersi sua sorella, figlia di un’amante conosciuta dal padre durante un viaggio nell'isola 2.
Il ragazzo viene invitato dalla donna nella sua casa, nella contrada Malpertugio, un quartiere malfamato di
Napoli. Il giovane è commosso dalla rivelazione della donna ("questa favola, così ordinatamente, così
compostamente detta da costei"), al punto da fermarsi a cena e poi, su insistenza della presunta sorella, a
dormire lì. Spogliatosi dei suoi vestiti e della bisaccia con i denari così ambiti, Andreuccio si reca
nella latrina (il "chiassetto"), dove c'è un'asse schiodata che funge all'uso. Il protagonista vi scivola dentro,
senza tuttavia subire danni fisici dalla caduta nella fogna; mentre la donna s'impossessa dei denari, il
giovane inizia così a gridare e a richiamare l’attenzione del quartiere. Interviene il ruffiano della prostituta,
che invita il ragazzo ad andarsene per evitare problemi più gravi. Direttosi verso il proprio albergo,
Andreuccio incontra poi due ladri, che lo scovano nonostante egli si sia rifugiato in un casolare: i due gli
spiegano che è stato fortunato ad essere caduto fuori dalla casa della prostituta, perché se fosse rimasto là
sarebbe stato senza dubbio ucciso.

I due delinquenti raccontano poi al giovane che hanno intenzione di derubare il cadavere dell’arcivescovo
Filippo Minutolo, gran dignitario del Regno napoletano, che, morto da poco, è stato seppellito con
ornamenti e oggetti preziosi nel duomo partenopeo. Andreuccio (nuovamente ingannato da chi è più
esperto di lui della vita ma soprattutto desideroso di recuperare la fortuna perduta) decide di partecipare al
furto. I due ladri, però, obbligano il giovane a lavarsi, data la puzza che emana. Viene calato così in un pozzo
vicino alla chiesa, ma viene subito abbandonato dai due, a causa dell’arrivo di alcune guardie di giustiza.
Queste, assetate, tirano su la corda a cui era appeso il giovane e alla sua vista, colti dal terrore, fuggono.
Andreuccio incontra nuovamente i ladri, cui racconta il proprio rocambolesco "salvataggio" e con cui attua
finalmente il furto. Scoperchiata la tomba in marmo dell’arcivescovo i due criminali obbligano il ragazzo a
introdursi nel sepolcro e a consegnare loro gli oggetti preziosi. Andreuccio, capendo che i ladri vogliono
nuovamente abbandonarlo, una volta ottenute tutte le reliquie, tiene per sé un anello. I due chiudono poi
nella tomba il giovane, che sviene per il terrore della morte e il puzzo del cadavere. Mentre Andreuccio si
tormenta sul proprio destino sciagurato, sopraggiungono altri due ladri che aprono l'arca. Un prete prova a
calarsi all'interno, ma Andreuccio, cogliendo l'occasione favorevole, gli afferra la gamba, terrorizzando lui e i
due malfattori, che fuggono immediatamente. Finalmente libero, il protagonista esce dalla cripta e torna a
Perugia, con l’anello dell’arcivescovo.

Boccaccio sceglie di rappresentare la variopinta realtà cittadina di Napoli con estremo realismo tant’è che le
precise indicazioni topografiche fornite consentono al lettore di riconoscere uno spazio geografico reale. A
questo effetto concorrono anche le scelte linguistiche, che, come accade spesso nel Decameron, si adattano
alla materia e al contesto, spaziando tra vari registri (plurilinguismo): se, ad esempio, nel discorso di
Fiordaliso lo stile risulta piuttosto alto (si veda il lungo periodo ricco di subordinate) e il lessico ricercato,
dato che la prostituta finge di essere una nobildonna, nelle scene che si svolgono nei bassifondi compaiono
numerosi termini del gergo popolaresco ed espressioni colloquiali (“gran bacalare” per “persona
autorevole” ; “scarabone” per “magnaccia”) e la sintassi, soprattutto nei dialoghi, si modella sul parlato (“O
non mi conosci tu?”; oppure la ripetizione del pronome: “Io non so a che io mi tegno che io non vegno là
giù”) per cui il linguaggio utilizzato non è semplice, reso ancor più complicato dalla prolessi e in parte alla
costruzione della frase sbilanciata, con la principale in ultima posizione

Per quanto riguarda Chichibio e la Gru, è precisamente la quarta della VI giornata

Il cuoco Chichibio si lascia convincere dalla ragazza di cui è innamorato, Brunetta, a donarle la coscia di una
gru che sta cucinando, catturata dal suo padrone il padrone il giorno precedente. Quando questo si accorge
del maltolto, Chichibio cerca di dimostrargli che le gru hanno una gamba sola e viene invitato il giorno
successivo a una battuta di caccia per essere smentito. Il padrone e Chichibio scorgono delle gru
addormentate su una zampa, ma il signore le sveglia così che volino e mostrino anche l’altra mettendo in
ridicolo Chichibio. Colto sul fatto, il cuoco riesce con una battuta a far ridere il signore, ottenendo il suo
perdono.

Volendoci soffermare sul personaggio di Chichibio, quest’ultimo viene introdotto da Boccaccio come buon
cuoco di Currado Gianfigliazzi. A causa della sua provenienza veneziana viene definito come nuovo bergolo.
La parola bergolo definisce il carattere dell'eroe. Secondo il Chiurlo il significato corretto di “bergolo” è
quello originale dei commentatori antichi del Decameron di “uomo instabile, leggiero, vulubile”. Anche
Branca definisce “bergolo” come "vano, leggerone, chiacchierone, fatuo". Quindi nuovo bergolo descrive
Chichibio come "uomo bizzaramente leggero, sventato o movimentato". Un errore d'interpretazione dei
commentatori moderni ha portato alla falsa caratterizzazione di Chichibio come 'scemo e sciocco'.

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