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CAP. II: SIMBOLO E SIMBOLISMO NELLA SCRITTURA

soltanto per ragioni di tipo interpretativo quanto soprattutto per


un’esigenza di natura storica e compositiva. Prendere in conto il
simbolo nel contesto di un percorso esegetico non appare meno
importante che una considerazione dei generi letterari o del con-
testo socio-culturale dei racconti, elementi questi che hanno
ormai pieno diritto di cittadinanza negli studi biblici.

3.1 Alcuni criteri per individuare i simboli nel testo

Una volta definite le principali caratteristiche e modalità del


simbolismo biblico, si pone il problema di riconoscerne la pre-
senza all’interno del testo scritturistico. Sebbene una chiara evi-
denza sia impossibile ad aversi nel regime simbolico, alcuni
principi e indizi possono guidare l’individuazione degli elementi
simbolici, sottraendo tale impresa alla pura arbitrarietà.Tre criteri
appaiono particolarmente utili.
a) Un primo, cui si è già accennato, prende in considerazione
il fatto che la presenza di un simbolo biblico sia riconoscibile a
livello verbale79. Questo principio, che può definirsi di plausibilità
testuale o “interna”, fa riferimento al fatto che il valore simbolico
di un dato motivo appare normalmente da indizi presenti nel
testo che lo contiene. In quanto parte di un processo di comu-
nicazione, il simbolismo biblico non rappresenta un cripto-lin-
guaggio, ma è almeno parzialmente distinguibile dal lettore
attraverso i mezzi che gli sono messi a disposizione. Quest’aspetto,
oltre ad assicurare una fondamentale sensatezza all’analisi simbo-
lica biblica, assegna al momento propriamente esegetico uno spa-
zio rilevante al suo interno. La presenza di un simbolo biblico
non può che manifestarsi attraverso il testo ed è attraverso uno
studio attento di questo che deve essere colta.
Gli indizi testuali che guidano alla sua individuazione sono
per lo più i fenomeni di cui si è già parlato: una certa ambiguità

79
«Biblical symbols, like literary symbols altogether, do not occur in a vacuum;
they are always found in the context of some kind of verbalization». PERRIN, Lan-
guage of the Kingdom, 2-3.

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espressiva, il raggruppamento di più simboli attorno a uno mag-


giore o il convergere intorno a esso di altre figure del “doppio senso”
come il paradosso o la metafora. Quest’ultima, in particolare, fun-
ziona spesso da sbocco espressivo per la tensione semantica sottesa
al simbolo, tanto da poterla considerare come la sua «superficie lin-
guistica»80. Sebbene non tutti i casi di “ambiguità” o di linguaggio
paradossale indichino la presenza di un elemento simbolico81, la loro
concentrazione costituisce spesso un segnale proprio della presenza
di un livello simbolico82. Un esempio di tale fenomeno è rintrac-
ciabile nell’utilizzazione del termine fw/j (“luce”) all’interno del
quarto vangelo83. Giovanni gli attribuisce fin dall’inizio una chiara
connotazione cristologica (1,4: to. fw/j tw/n avnqrw,pwn), disponendo
attorno a esso un articolato réseau di espressioni metaforiche, im-
magini e simboli complementari (“tenebre”, “figli”, “brillare”, “il-
luminare”, “vedere”, “rivelare”, “camminare”). L’insieme di queste
figure conforma il termine “luce” come simbolo centrale, che de-
finisce allo stesso tempo l’incarnazione del Verbo eterno (1,1: o`
lo,goj / 1,4.5.7.8.9), l’identità e la missione di Gesù di Nazareth
(8,12: VEgw, eivmi to. fw/j tou/ ko,smou / cf 9,5; 12,46) e il compito a
cui è chiamato chi crede in lui (12,36: pisteu,ete eivj to. fw/j( i[na
ui`oi. fwto.j ge,nhsqe)84. L’utilizzo di un solo poliedrico simbolo crea
legami semantici tra questi diversi significati, favorendo delle con-
nessioni teologiche ed etiche rilevanti, e costituendo allo stesso
tempo un indizio specifico della sua natura simbolica.

80
RICŒUR, “Parole et symbole”, 161. A tale correlazione non è stata posta finora
sufficiente attenzione in ambito biblico.
81
Sembra troppo spinta in tal senso la lettura di MATEOS - CAMACHO, Evangelio,
figuras y símbolos, soprattutto in 189-204.
82
Vari studi recenti hanno rivalutato la funzione semantica delle “ambiguità” del
testo biblico: «Ambiguity should not be treated as a defect; nor is a religion or a
theory of meaning that countenances it defective. Rather, ambiguity is an inescapa-
ble characteristic of the human creation of meaning, and any attempt to define it out
of the pursuit of meaning is only evasion». AARON, Biblical Ambiguities, 199. Cf FIRTH,
“Ambiguity”, 151-186. Secondo P. Beauchamp, questa dimensione del testo, defi-
nita “excès du récit”, non soltanto è voluta ma si può addirittura affermare che «est
sa seule raison d’être». BEAUCHAMP, L’un et l’autre Testament, II, 276-281.
83
Gv 1,4.5.7.8(2x).9; 3,19(2x).20(2x).21; 5,35; 8,12(2x); 9,5; 11,9.10; 12,35(2x).36(3x).46.
84
GOURGUES, En Esprit et en vérité, 60-61.

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Tale fenomeno è rintracciabile anche al di fuori del quarto


vangelo. Nel brano marciano di 2,15-22, sebbene il senso pre-
ciso dei singoli enunciati resti oggetto di dibattito85, il procedi-
mento di attrazione tra il simbolo e la metafora appare in modo
abbastanza chiaro. Intorno a quattro simboli principali, quello del
“medico” (2,17: ivatro,j), dello “sposo” (2,19: numfi,oj), del “tes-
suto” (2,21: r`a,koj) e del “vino” (2,22: oi=noj) si articolano una
serie di espressioni metaforiche inerenti lo stato di salute, le nozze,
l’attività del sarto e quella del viticoltore86. La qualità metaforica
di tali dichiarazioni è rafforzata nel quadro del racconto, alla luce
dei personaggi a cui i detti sono rivolti (2,16: Gesù, gli scribi dei
farisei, i peccatori e i pubblicani) e dei due principi esposti da
Gesù stesso in 2,17 («non sono venuto a chiamare i giusti, ma i
peccatori») e 2,22 («vino nuovo in otri nuovi») che svelano la
vera portata delle affermazioni. Questo passaggio, che rappresenta
un breve riassunto di tutto il secondo vangelo87, conferma come
tra le figure del doppio senso, e in particolare il simbolo e la me-
tafora, sussista spesso una complicità e reciproca attrazione che ne
aiuta l’identificazione e la successiva interpretazione.
b) Oltre a questi indizi interni al testo, anche un principio
“esterno” guida l’individuazione e un primo discernimento degli
elementi simbolici. Tenendo conto del fatto che i simboli hanno
una certa convenzionalità nelle culture in cui appaiono, un ulte-
riore criterio, che potrebbe definirsi di plausibilità convenzionale88,
fa supporre come simbolico un dato motivo utilizzato in tal senso
anche in altri contesti della stessa “tradizione simbolica”. Alcune
immagini come la vite, il pastore, il pane, utilizzate con valenza

85
FOCANT, Marc, 121-122.
86
2,17: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma gli ammalati»; 2,19-
20: «Possono forse gli invitati a nozze digiunare mentre lo sposo è ancora con loro?
[...].Verrà il tempo, tuttavia, in cui lo sposo sarà loro tolto via, e allora, in quel giorno,
digiuneranno»; 2,21: «Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio;
altrimenti il panno nuovo, che è stato aggiunto, rompe quello vecchio e lo strappo
diventa peggiore»; 2,22: «Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi [...] altrimenti il
vino fa scoppiare gli otri e così si perdono e vino e otri».
87
STANDAERT, Marc (2010), I, 219.
88
Cf FREY, Imagery in the Gospel of John, 21-22.

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costantemente figurativa già nella tradizione biblica anteriore e in


quella giudaica, hanno un’alta probabilità “convenzionale” di ri-
vestire tale valore anche all’interno del Nuovo Testamento. La let-
tura di alcuni passaggi subirebbe d’altronde un depauperamento
sensibile se non si tenesse conto della dimensione intertestuale del
simbolismo biblico89. La considerazione della tradizione anteriore
aiuta anche a vedere come le immagini siano riutilizzate con una
certa originalità dagli autori neotestamentari. Le dimensioni di
continuità e novità che caratterizzano i simboli biblici rendono
appropriato un loro studio storico e diacronico, che consideri la
loro comprensione nell’hic et nunc di un dato periodo, ma anche
un’analisi sincronica che rintracci i significati costanti e le dimen-
sioni semantiche invariabili nel tempo. Un approccio multidi-
mensionale sembra per questo il più adeguato per sondare i tratti
specifici del simbolismo biblico.
c) Ai due criteri sopra elencati (che abbiamo definito di plau-
sibilità “testuale” e “convenzionale”) se ne può aggiungere un terzo,
di plausibilità contestuale, che fa riferimento al genere specifico degli
scritti biblici, dove i segmenti testuali e le immagini presenti sono
collocati in unità narrative più ampie da cui non possono esser di-
sgiunti. Il contesto o la sezione in cui il simbolo è inserito aiuta il
suo riconoscimento e la sua intelligenza in vari modi: ripropo-
nendolo più volte, ripresentandone alcuni tratti specifici, associan-
dolo ad altri motivi figurativi o illuminandone il senso attraverso
altri passaggi correlati. L’esempio già citato del termine fw/j all’in-
terno del quarto vangelo è eloquente anche in questo caso90. La
qualità simbolica di un elemento è generalmente percepibile sia
dal quadro narrativo più ampio (nella presenza di altre forme figu-
rative) che dalle caratteristiche proprie dell’insieme del libro91. L’au-

89
I passaggi neotestamentari che presentano le immagini della vigna o del vino
risulterebbero decisamente impoveriti se non si considerasse il background veterote-
stamentario (Mt 21,33-46; Mc 12,1-12; Lc 20,9-19; Gv 15,1-17).
90
Non è tanto la singola occorrenza del termine quanto la sua riproposizione in vari
punti del quarto vangelo a illuminare la portata simbolica più ampia dell’elemento.
91
«Of fundamental importance is the analysis of the images and symbols within the
work to which they belong. One might say that this is the most important point of all».

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tore biblico si serve talvolta di alcuni simboli per sintetizzare o cri-


stallizzare in un’unica immagine idee e concezioni che ha espresso
altrove in modo più esteso o attraverso intere sezioni narrative.
Questo legame dei simboli col contesto a cui appartengono rive-
ste dunque un’importanza decisiva per la loro decifrazione.
I principi esposti illustrano come l’individuazione degli ele-
menti simbolici nel testo biblico non possa esser frutto di un’ipo-
tesi vagamente definita, ma debba collocarsi in una metodologia
propria che accorda al testo un peso decisivo. In questo quadro,
il residuo d’incertezza che permane nell’analisi dei simboli non
ne costituisce un puro limite, ma produce al contrario un effetto
salutare su tutto il processo interpretativo. L’esitazione che atta-
naglia l’interprete sull’effettiva natura figurativa dell’immagine o
del segmento che ha davanti, oltre a frenare la tentazione di un
dogmatismo espositivo, lascia un margine d’incompiutezza che
stimola un ritorno interpretativo sul testo. Consegnandogli una
lettura che non ha il sigillo della definitività, il simbolo trattiene a
sé il lettore in un processo esegetico mai definitivamente chiuso,
con delle conseguenze che superano l’ambito strettamente inter-
pretativo. Se è vero che il simbolo – secondo la nota definizione
di Ricœur – “dà a pensare”, quello biblico “dà a interpretare”
coinvolgendo il testo e il lettore in un confronto agonico le cui
conseguenze esistenziali sono inevitabili.

3.2 La classificazione dei simboli biblici

La varietà di dimensioni e manifestazioni che caratterizza i


simboli biblici pone il problema di una loro classificazione. Le
caratteristiche proprie e i diversi livelli che essi intersecano ren-
dono tuttavia tale impresa tutt’altro che agevole92. Il simbolo
biblico, come tutti gli altri, si serve di un codice espressivo ana-

ALONSO SCHÖKEL, A Manual of Hebrew Poetics, 140-141. L’attenzione a quest’aspetto


è anche ciò che impedisce alla lettura simbolica di degenerare nell’allegorizzazione.
92
«Toute classification systématique des symboles s’avère donc insuffisante, jusqu’à
ce jour, sauf pour les buts pratiques d’un exposé». CHEVALIER - GHEERBRANT, Dic-
tionnaire des symboles, xxviii. Cf GIRARD, Les symboles dans la Bible, 16.

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