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aggiornamenti

sociali
scoprire legami in un
mondo che cambia

02 2022
Eutanasia, suicidio assistito La posta in gioco
e fine vita: un dibattito aperto della vicenda Djokovic
aggiornamenti sociali
anno 73 • numero 2 • febbraio 2022

75-79 editoriale / Giuseppe Riggio SJ


L’affaire Djokovic, una partita che ci riguarda
80-95 dialoghi / Giuseppe Riggio SJ – Andrea Serra (a cura di)
sdf Abitare il mondo attraverso i libri: giovani lettori, futuri cittadini
Nicoletta Gramantieri Prevedere è il contrario di vedere / Tuttestorie
Editoria e letteratura non sono sinonimi / Sonia Basilico Allargare
gli “steccati” della cultura
96-104 bioetica / Massimo Reichlin – Alberto Giannini – Mario Picozzi
Riprende il dibattito sul fine vita. Suicidio assistito ed eutanasia
all’ordine del giorno
105-112 mondo lavoro / Patrizio Tirelli
Salario minimo: ragioni dell’economia
e dignità dei lavoratori
113-117 infografica / Mauro Bossi SJ
La minoranza uigura in Cina
118-125 internazionali / Gillian Donoghue
Accendere luci nell’oscurità. L’impegno del movimento Magis
per i giovani del Myanmar
126-132 punti di vista / Ettore Rossi
Misurarsi con la politica. Un cattolico racconta la sua esperienza

133-144 letture&visioni
#istituzioni: T. Greco, La legge della fiducia / R. Esposito, Istituzione
/ Ariaferma, regia di L. Di Costanzo
È stata la mano di Dio, regia di P. Sorrentino / C. Bellavite Pellegrini,
Tra cielo e terra / G. De Vecchi – A. Mattioli, Comandamenti per la
libertà / A. Franzoso, Ero un bullo

in collaborazione con
editoriale

L’affaire Djokovic,
una partita che ci riguarda
Giuseppe Riggio SJ
Direttore di Aggiornamenti Sociali
<direttore@aggiornamentisociali.it>, @giuriggio

australia ● bene comune ● comunicazione ● conflitto sociale ● covid-19 ● cultura


politica ● migranti ● politiche migratorie ● responsabilità ● social media ● sport

Q uando una vicenda sportiva, soprattutto se coinvolge un atleta di


fama mondiale, travalica i confini dei media specializzati e dei
confronti appassionati fra i tifosi, allora abbiamo a che fare con
una storia emblematica, nella quale si ritrovano alcune delle dinamiche in
atto nella nostra società. Questo è accaduto di recente con gli eventi che
hanno visto il tennista serbo Novak Djokovic, numero uno della classifica
mondiale e uno dei più forti giocatori di sempre, impegnato in una lunga
“partita”, durata quasi due settimane, che non è stata giocata in un campo
da tennis, ma nelle aule dei tribunali e nelle piazze, reali e mediatiche.
I protagonisti della storia sono facilmente identificabili. Da un lato,
uno degli atleti più famosi e ricchi al mondo, noto per la sua attenzione nei
confronti dei colleghi e il generoso impegno in attività filantropiche, che
si rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione contro la COVID-19. Dall’altro,
il Governo federale australiano, che ha adottato misure molto rigide per
contenere la pandemia, tra cui la necessità della vaccinazione per l’ingresso
nel Paese, costretto a gestire l’escalation dei contagi a causa della variante
Omicron in un clima preelettorale, dato che a maggio si voterà per elegge-
re il Parlamento. L’annullamento del visto per partecipare agli Australian
Open, inizialmente concesso a Djokovic grazie a un’esenzione medica per
aver contratto la COVID-19, e la conseguente espulsione dal Paese, decisi
dal Governo e confermati dalle più alte istanze della magistratura austra-
liana, sono l’esito finale di una storia rocambolesca, degna di un film, in
cui non sono mancati colpi di scena e polemiche, proteste vibranti e silenzi
imbarazzati.
Questa vicenda, come ogni buona storia, non ruota solo intorno a un
punto, nel concreto la questione dei vaccini, ma accende i riflettori su
tensioni e contraddizioni sempre più profonde nella nostra società.

Aggiornamenti Sociali febbraio 2022 (75-79) • 75


Vivere dentro il Truman show
Il 4 gennaio Djokovic pubblica sui suoi canali social una foto in cui
annuncia la partenza per Melbourne, fino a quel momento ancora in dub-
bio, grazie a un’esenzione medica, senza aggiungere ulteriori informazioni.
Immediatamente si scatena una ridda di polemiche e ipotesi sulle moti-
vazioni che gli avrebbero permesso di partecipare senza essere vaccinato a
un torneo per cui era richiesto l’obbligo vaccinale. Quel post ha rappre-
sentato il primo atto di una lunga narrazione mediatica, culminata con la
trasmissione in streaming dell’udienza della Corte federale australiana del
14 gennaio sul ricorso presentato dal tennista serbo contro la decisione del
Ministro dello Sport di revocargli il visto, commentata in presa diretta da
giornalisti e persone comuni sui social.
Tra l’inizio e l’epilogo di questa storia, ogni azione e dichiarazione di
Djokovic e delle altre persone coinvolte è stata minuziosamente ricer-
cata, vivisezionata, valutata e commentata. La Rete, che tutto ricorda,
ha permesso di scoprire incongruenze nelle dichiarazioni rese dal tennista,
obbligandolo a imbarazzanti – e giuridicamente rilevanti – ammissioni di
colpa, sempre tramite un post sui social, sul fatto di aver incontrato un
giornalista de L’Équipe per un’intervista pur sapendo di essere positivo alla
COVID-19 o di aver dichiarato il falso a proposito dei suoi spostamenti
prima del viaggio verso l’Australia.
Un personaggio pubblico a livello mondiale come Djokovic è abituato a
vivere costantemente sotto i riflettori, consapevole che le sue azioni o paro-
le, dentro e fuori i campi da gioco, sono filmate e registrate, possono essere
sempre recuperate e riproposte, e persino manipolate, se estrapolate dal loro
contesto originario. Il campione serbo, al pari di altre figure pubbliche, è
continuamente “esposto”: la notorietà ottenuta con i successi sportivi,
che è tra l’altro all’origine dei cospicui contratti con i vari sponsor, si tra-
duce in una richiesta di informazione continua e trasparenza totale
da parte dell’opinione pubblica. Pur avendo margini per decidere che
cosa comunicare di sé, in che modo e in che tempi farlo, Djokovic non può
comunque controllare tutto. È sufficiente che venga postata la foto scattata
da un tifoso sui social o quella di un paparazzo sui siti dedicati alla vita
delle celebrità, per rivelare un’informazione, ad esempio sul modo in cui si
allena, che non desiderava far conoscere per ragioni del tutto legittime. Ma
questa continua esposizione fa parte del gioco che lo rende un personaggio
famoso, a cui tanti guardano con ammirazione e che le aziende cercano
come testimonial.
Il fatto di vivere, più o meno consapevolmente, in questa sorta di Tru-
man show è uno degli aspetti di maggiore novità dell’avvento di Internet.
La possibilità di avere accesso e diffondere informazioni di vario
tipo è un traguardo importante; permette di smascherare brogli e

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editoriale

denunciare ingiustizie, ma si presta anche a violazioni e abusi di va-


rio tipo, dal rispetto della privacy a forme di bullismo digitale. Questo
vale per i personaggi famosi, che a differenza del protagonista del film di
Peter Weir sanno di essere al centro dell’attenzione generale, ma riguarda
anche le persone comuni. E queste ultime non sono sempre preparate per
farvi fronte.

Gli ostaggi di una guerra taciuta


A beneficiare in modo inatteso e per breve tempo del clamore suscitato
dalla vicenda di Djokovic è stato uno sparuto gruppo di uomini, comparse
casuali in una storia più grande di loro. Dopo il primo annullamento del
suo visto d’ingresso e in attesa della pronuncia del giudice sul suo ricorso,
Djokovic è stato infatti portato al Park Hotel nel centro di Melbourne,
dove le autorità australiane sono solite sistemare in via temporanea quanti
hanno cercato di raggiungere irregolarmente via mare il Paese e che, per
problemi di salute, non possono stare nei contestati centri di detenzione
predisposti dal Governo australiano in remote isole del Pacifico, alcune
fuori dai confini nazionali.
L’attenzione mediatica sul campione sportivo ha permesso di far
conoscere le storie dei suoi compagni di detenzione, alcuni dei quali
si trovano da anni in una sorta di limbo giuridico, rinchiusi nei centri
attendendo di avere un pronunciamento sulla loro richiesta di ingresso nel
Paese. È il caso, ad esempio, di Medhi Ali, un richiedente asilo iraniano
appartenente alla minoranza araba ahwazi, che è di fatto cresciuto in un
centro di detenzione nell’isola di Nauru, visto che è arrivato in Australia
quando aveva 15 anni e ora ne ha 24. A livello mondiale si è così preso
coscienza di qualcosa di ben noto tra quanti si occupano di tutela dei di-
ritti umani: l’estrema durezza delle politiche dell’Australia, molto criticate
perché finiscono con il vanificare il diritto di essere riconosciuti come ri-
fugiati (cfr l’articolo che avevamo pubblicato nell’ottobre 2014: Kevin T.,
«Australia: pugno di ferro contro gli sbarchi»).
La permanenza di Djokovic al Park Hotel di Melbourne è durata solo
qualche giorno. La sua vicenda si è conclusa con la decisione di un giu-
dice, che – indipendentemente dalla sua correttezza o meno nella forma
e nel merito – gli ha permesso di ritornare in libertà e riprendere la sua
vita. Non è così per i suoi compagni di detenzione, che sono ancora lì
e su cui l’oblio ben presto tornerà a calare, ostaggi di un sistema pen-
sato per scoraggiare i flussi migratori e “proteggere” lo stile di vita
degli australiani a costo di calpestare le vite e i diritti riconosciuti
internazionalmente dei richiedenti asilo. Le loro esistenze sono così
come congelate, divenendo un deterrente perché altri non si mettano in
viaggio.

L’affaire Djokovic, una partita che ci riguarda • 77


La fatica necessaria di stare dentro il conflitto
La rapida soluzione del caso Djokovic ci conduce a un altro aspetto
centrale dell’intera vicenda: la sua rilevanza politica.
La decisione del Governo federale di espellere il campione serbo non è
stata dettata da ragioni amministrative, dato che Djokovic aveva ricevuto il
visto grazie a un’esenzione medica riconosciuta dallo Stato di Victoria (che,
però, è guidato da una maggioranza diversa da quella a livello federale)
e dagli organizzatori degli Australian Open. Non si è basata neanche su
quanto emerso nel corso della procedura a proposito delle dichiarazioni fal-
se rilasciate dal tennista, ma è stata motivata da ragioni di «salute e ordine
pubblico». Dietro questa formula generica si celano timori squisitamente
politici: il fatto che la presenza di Djokovic potesse alimentare le posizioni
no-vax nel Paese; il possibile impatto negativo sui consensi dell’attuale
maggioranza nella prossima tornata elettorale, visto che nei sondaggi d’opi-
nione le percentuali di australiani favorevoli all’espulsione del serbo erano
altissime. Sempre politico è il rilievo che la vicenda ha assunto in Serbia,
dove non solo la famiglia Djokovic, che è giunta a paragonare quanto acca-
duto a Novak alla crocifissione di Gesù, ma anche le più alte autorità dello
Stato balcanico si sono espresse in più occasioni per difendere il loro eroe
nazionale e denunciare l’ingiusto trattamento subito. Il campione incarna
alla perfezione e alimenta l’orgoglio di un intero Paese, che si percepisce
come umiliato e misconosciuto e trova nelle sue vittorie quel riscatto e
riconoscimento che in altri contesti ritiene che gli siano negati.
I riflessi politici della vicenda Djokovic nei due Paesi coinvolti, pur
nelle loro peculiarità, sollevano una domanda fondamentale: in che modo
i sistemi democratici sono in grado di restare dentro le dinamiche
inevitabilmente conflittuali del vivere insieme? Quali vie esistono sen-
za ricorrere ai vicoli ciechi rappresentati dalle scelte di bandire a priori le
posizioni divergenti (Australia docet) o di rifugiarsi in un autoassolutorio
vittimismo (l’esempio serbo)? In entrambi i casi ci troviamo di fronte a
sconfitte sonore, che precludono in radice qualsiasi possibilità di incontro
e confronto. Certo, si evita anche lo scontro, ma ricorrendo a una modalità
che di fatto finisce per separare e isolare, alimentando le chiusure identi-
tarie e le paure verso l’altro. Tutto questo ha un costo che può sembrare
abbordabile nel breve periodo, ma che è insostenibile se riusciamo ad alzare
lo sguardo e proiettarlo verso l’avvenire.
Soprattutto viene dimenticato o negato un presupposto fondamentale:
la dimensione del conflitto ci rivela che esiste comunque un legame,
che siamo sulla stessa barca, per riprendere l’immagine di papa Fran-
cesco usata per sottolineare la solidarietà e la cura reciproca richieste nel
tempo della pandemia. Nel conflitto viviamo un legame complesso e diffi-
cile, alle volte doloroso, in cui siamo portatori di visioni e interessi diversi,

78 • Giuseppe Riggio SJ
editoriale

come nel caso dell’attuale dibattito no-vax o di altre questioni che sono
profondamente divisive. Ma questo legame c’è e se non si prende atto della
sua inevitabile esistenza, anche quando vorremmo cancellarlo, non si può
andare avanti.

Una vicenda paradigmatica


Quanto accaduto a Novak Djokovic in Australia non è stato solo un
episodio buio nella sua carriera di tennista. L’intera vicenda ha un rilievo
più ampio di quello della traiettoria umana di un campione sportivo, per-
ché getta un fascio di luce su processi importanti e contraddittori, in cui
siamo tutti immersi.
Il coinvolgimento di una figura pubblica come Djokovic ci ha fat-
to percepire ancor di più la pervasività del mondo dei media e dei
social, che utilizziamo, alimentiamo, pensiamo di padroneggiare e che
alle volte subiamo, divenendone un ingranaggio. Ha mostrato l’ipocri-
sia nell’affermare l’importanza che le regole siano rispettate, come
ha fatto il Premier australiano a proposito dell’espulsione di Djokovic
dal Paese, mentre i diritti riconosciuti internazionalmente dei richiedenti
asilo, anch’essi bloccati al Park Hotel, sono calpestati da politiche migra-
torie inumane. Ha dimostrato, in modo impietoso, che quando in uno
scontro ci si arrocca sulle proprie posizioni senza cercare in dialogo
una soluzione condivisa, tutte le parti coinvolte (dal campione di tennis
alle autorità australiane) escono sconfitte.
In modo più profondo, i tre ambiti che abbiamo esplorato rilanciano la
forte difficoltà che abbiamo oggi nel tenere insieme la tutela dei diritti
individuali e la salvaguardia del bene di tutti: è questo un cantiere
imprescindibile per l’avvenire. Lo stato di emergenza imposto dalla pan-
demia non fa altro che mettere tutto ciò ancor più in risalto, non solo acce-
lerando processi già in atto, ma manifestando le diseguaglianze esistenti e
la loro insostenibilità: è il caso, ad esempio, della denuncia sulle condizioni
di vita degli “ospiti” del Park Hotel di Melbourne, che ha avuto ampia eco
con l’arrivo di Djokovic, ma che vale anche per tutte le altre persone che vi
erano da prima e che sono rimaste ancora là.
Ripartendo dall’esperienza della pandemia, allora, si può riconoscere
che è poco feconda la via dell’affermazione dei propri diritti, come indivi-
dui o come comunità nazionale, nell’indifferenza rispetto la sorte altrui o
a scapito degli altri. Neanche l’adempimento degli eventuali doveri è suffi-
ciente, se non si accompagna con un’altra dimensione che va oltre la sfera
di quanto deve essere fatto: il sentirsi responsabile dell’altro, consapevole
che non vi è un vero bene per me che non lo includa in qualche misura,
che non ne tenga conto. Questo è il campo più importante dove essere un
numero uno.

© FCSF - Aggiornamenti Sociali • 79


dialoghi

Abitare il mondo
attraverso i libri: giovani
lettori, futuri cittadini

a cura di Giuseppe Riggio SJ e Andrea Serra


Direttore di Aggiornamenti Sociali
<direttore@aggiornamentisociali.it>, @giuriggio
CVX-Redazione di Aggiornamenti Sociali, maestro in ospedale,
Ospedale pediatrico microcitemico “Antonio Cao” di Cagliari
<andreaserra@tiscali.it>

arte ● cultura ● editoria ● educazione ● giovani ● infanzia ● industria libraria ●


linguaggio ● prima infanzia ● scuola ● social media

Prevedere è il contrario di vedere


Nicoletta Gramantieri
Responsabile Biblioteca Salaborsa Ragazzi di Bologna
<nicoletta.gramantieri@gmail.com>

Editoria e letteratura non sono sinonimi


Tuttestorie
Libreria, Festival e Cooperativa Tuttestorie
<https://tuttestorie.it>

Allargare gli “steccati” della cultura


Sonia Basilico
Lettrice per bambini e formatrice
<paginettasonia@gmail.com>

«L
eggere fa bene!» è una di quelle affermazioni che non ri-
chiedono di essere argomentate tanto appaiono evidenti. In
effetti, la lettura fa bene a ogni età, a partire dai primi anni
della vita: i libri realizzati per i più giovani svolgono un ruolo prezioso
nella loro crescita, accompagnandoli nel viaggio che porta alla scoperta
di se stessi, delle relazioni con gli altri, del mondo che li circonda. Cer-
tamente non ci sono solo i libri a svolgere un ruolo importante in questo
percorso verso l’età adulta, ma non è un azzardo sostenere che la scelta

80 • Aggiornamenti Sociali febbraio 2022 (80-95)


dialoghi

di un libro da comprare per un giovane lettore rappresenta un inve-


stimento importante per il futuro, il suo senz’altro, ma anche quello
dell’intera società.
Proprio la consapevolezza di questa rilevanza, che potremmo qualificare
anche come civile, ci ha spinto a interrogarci sulla letteratura per l’infanzia
e l’adolescenza, per metterne a fuoco l’apporto originale e insostituibile e
testarne lo stato di salute, coinvolgendo alcuni professionisti che conoscono
molto bene il mondo dei giovani lettori e dei loro libri, perché lavorano
in una biblioteca o in una libreria specializzata, oppure perché raccontare
storie è il loro mestiere.
Le loro riflessioni convergono su un punto essenziale: fin da piccoli
abbiamo bisogno di storie per rappresentarci il mondo, per liberare
la nostra capacità di sognare, per far fronte alle tante paure. Tutto
questo si realizza appieno quando – come sosteneva Italo Calvino – si
apre un libro per «andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora
nessuno sa cosa sarà». Tuttavia, questo importante aspetto non si ritrova
sempre nell’odierna produzione editoriale: talvolta il libro è concepito
come uno strumento per veicolare un messaggio predeterminato ai
più giovani da parte degli adulti. In questi casi, più che aprire alla
rielaborazione personale, il libro si appiattisce sullo svolgimento di una
funzione didattica, in cui ciò che conta è offrire soluzioni semplici e pre-
confezionate ai problemi che ogni bambino o adolescente affronta nella
sua crescita.
Questo tipo di proposte editoriali risponde alle richieste, più o meno
consapevoli, degli adulti, siano essi i genitori o altre figure educative, di
trovare nei libri degli alleati per “controllare” la crescita dei più giovani
o per “delegare” il confronto su argomenti importanti, che si fa fatica ad
affrontare in prima persona nel dialogo con loro. La scelta del mondo
dell’editoria di accontentare questo genere di domanda si comprende da
un punto di vista economico, visto che i libri per i più giovani sono tra i
più venduti nel nostro Paese, ma solleva importanti interrogativi sul mo-
do in cui viene concepito il rapporto fra le generazioni. Quanto siamo
consapevoli che i bambini e i ragazzi sono persone e in quanto tali
sono chiamati a compiere un percorso di scoperta e formazione, che
non consiste nel ricevere passivamente l’imprinting trasmesso dalle
figure adulte di riferimento? I più giovani hanno bisogno degli adulti
per vivere questo processo di crescita, ma tra guidare e accompagnare vi è
una notevole differenza.
Ciò che resta centrale è la possibilità di raccontare storie, anche attra-
verso linguaggi nuovi e sperimentali come segnalato nei vari contributi,
per conoscere se stessi e il mondo in tutte le sue sfumature, nella consape-
volezza che «Oltre le storie ci siamo noi», come ha scritto un bimbo di otto
anni a conclusione di un laboratorio di lettura.

Abitare il mondo attraverso i libri: giovani lettori, futuri cittadini • 81


Prevedere è il contrario di vedere
Nicoletta Gramantieri
Responsabile Biblioteca Salaborsa Ragazzi di Bologna

M ichèle Petit è un’antropologa francese che indaga, operando sul


campo, i meccanismi sociali che sottostanno alla trasmissione cul-
turale. Nel suo libro Lire le monde (Belin Éditeur, Parigi 2014) racconta
di come ognuno di noi venga alla luce in un mondo disordinato, a cui le
filastrocche, le ninnenanne, le storie e i racconti iniziano a dare un ordine,
rendendolo abitabile. «Gli umani» – scrive – «hanno bisogno di bellezza,
di senso, di pensiero, di appartenenza. Hanno bisogno di rappresentazio-
ni simboliche per uscire dal caos» (p. 33). Attraverso le narrazioni gli
adulti presentano il mondo ai piccoli e le storie – insieme al gioco e alla
capacità, propria dei bambini, di creare il mondo nominandolo – fonda-
no in ognuno di noi quello spazio, che è allo stesso tempo privato e
pubblico, in cui è possibile godere degli oggetti estetici, utilizzarli per
comprendere il mondo e se stessi, sviluppando possibilità di pensiero
e di creatività.
Gli studi di Petit ci mostrano come le storie siano, accanto ad altri,
uno straordinario strumento di conoscenza del mondo e di indagine; lo
ricorda anche lo scrittore e critico letterario Walter Siti quando afferma
che «Il maggiore obiettivo della letteratura non è la testimonianza, ma
l’avventura conoscitiva» (Contro l’ impegno, Rizzoli, Milano 2021). Gli
uomini, da sempre, hanno bisogno di storie per rappresentarsi il mon-
do, per radicarsi nel passato, per proiettarsi nel futuro, per interrogarsi
attorno ai grandi temi che ineriscono l’essere umani: il vivere, il morire,
gli affetti, il potere, i cambiamenti, l’identità, l’appartenenza. Le storie,
la letteratura, rendono possibile questa indagine e la rendono, allo stesso
tempo, infinita perché la parola letteraria è per sua natura evocativa,
ambigua, polisemica, lascia spazio ai pensieri individuali e ai bisogni
conoscitivi di ognuno.

L’infanzia, solo un’età di transito?


Quando si parla di letteratura per ragazzi, però, il discorso si complica
perché tende a intrecciarsi con il mondo della pedagogia, dell’educazione,
anche della didattica, e con una visione deterministica dell’infanzia intesa
non come condizione esistenziale, ma come età di transito, come campo
preparatorio alla vita adulta. Gli adulti, siano essi genitori, insegnanti o
educatori, sembrano spesso prescindere dal valore formativo intrinseco
della letteratura nel suo complesso, ricercando in ogni singolo testo
una valenza pedagogica. La letteratura ha senz’altro una valenza forma-

82 • Nicoletta Gramantieri
dialoghi

tiva se ci si può nuotare dentro, muovendosi fra generi, stili, poetiche, in


una varietà e in un’abbondanza che non possono che arricchire lo sguardo
e il sentire di ogni persona.
La letteratura è finzione, è artificio, forma artistica. Sono proprio que-
ste caratteristiche che creano fra chi legge e il testo uno spazio che può
riempirsi di pensiero originale. Le storie e la letteratura sono altro da noi
e radicano le loro potenzialità
in questa alterità, perché, come
Nicoletta Gramantieri, biblio-
ci ricorda Petit in un altro in- tecaria, è responsabile della
teressante scritto, criticando la Biblioteca Salaborsa Ragazzi
tendenza alla mimesi che mol- di Bologna. È referente per il
ta letteratura sembra oggigior- Progetto “Nati per Leggere”,
no ricercare, non è detto che componente della Commissio-
un lettore prediliga storie ne Biblioteche Ragazzi dell’AIB e del direttivo
troppo vicine alla sua condi- di IBBY Italia. Tiene corsi di formazione per
zione quotidiana. Anzi, una insegnanti e bibliotecari su temi relativi alla
vicinanza troppo forte rischia lettura, alla promozione della biblioteca e alla
di causare paralisi. Sembra letteratura per bambini e ragazzi; collabora con
le riviste Hamelin e LiBer.
invece esserci maggiore pos-
sibilità di indagare la propria
esperienza leggendo storie che
narrano di esperienze completamente diverse da quelle che si vivono ogni
giorno: «Proprio laddove presuppone un viaggio nel tempo e nello spazio,
laddove produce una metafora (la quale come è ormai assodato, crea del
movimento in colui che la percepisce), laddove genera un’appropriazione,
un libro “attiva” davvero il lettore, che può rimanere sconvolto e, tra le
righe, ritrovare la creatività, lasciarsi andare alla fantasticheria, pensare»
(Elogio della lettura, Ponte alle Grazie, Firenze 2010).
È questo un modo di considerare la letteratura come una opportunità di
conoscenza e indagine che convive con le altre – siano esse artistiche, scien-
tifiche, filosofiche, affettive, di informazione – lungo tutta la vita di ogni
individuo, ma che sembra non confarsi a un’idea diffusa di infanzia, basata
su una serie di apprendimenti successivi e continui in grado di condurre
efficacemente e in linea diretta all’adultità. Questa tendenza è sottolineata
da Giorgia Grilli, studiosa di letteratura per l’infanzia, in apertura del suo
saggio Di cosa parlano i libri per bambini (Donzelli, Firenze 2021), che evi-
denzia l’esistenza di pregiudizi radicati attorno ai libri per bambini: si deve
trattare di testi semplici, di storie che contengano un messaggio, una lezione.

Le attese degli adulti


Da bibliotecaria posso confermare questo atteggiamento. Gli adulti si
aspettano che attraverso le storie i bambini apprendano direttamente

Prevedere è il contrario di vedere • 83


a diventare buoni cittadini, a essere empatici, a valorizzare le diversità,
a fare amicizia, a esprimere i propri sentimenti e riconoscere le proprie
emozioni. Un tale approccio limita le potenzialità della letteratura poiché
dietro a tali richieste sembra esserci un desiderio di controllo, una spinta a
incanalare pensieri e proiezioni. È una tendenza che si può notare già nelle
proposte editoriali per piccolissimi, in cui abbondano libri, piccole storie,
albi illustrati che hanno la chiara intenzione di dare indicazioni su come
affrontare i compiti di sviluppo: lasciare il pannolino, il ciuccio, sedare i
sentimenti contrastanti che la nascita di un fratello può provocare, amma-
estrare la rabbia. Si tratta perlopiù di testi didascalici che indicano in mo-
do univoco una via presupposta come “giusta”, senza lasciare al lettore lo
spazio immaginativo, individuale, metaforico per sviluppare un pensiero.
La fortuna dell’editoria per bambini e ragazzi sembra fondarsi in gran
parte su questo cortocircuito. Gli adulti chiedono “libri per”, e le case
editrici li producono. Per rendersene conto è sufficiente visitare una libre-
ria non specializzata, dove si incontra, come scrive ancora Grilli, «Un’offer-
ta che trasversalmente passa dai titoli per bambini piccolissimi (dove “esse-
re bravi” può significare accogliere di buon grado l’arrivo di un fratellino,
imparare l’uso del vasino, condividere con gioia i propri giocattoli, non ave-
re illogiche paure…) ai libri per bambini più grandi (dove entrano in scena
temi sociali come l’accettazione del diverso, le differenze di genere, il ri-
spetto delle regole, il valore dell’amicizia) ai romanzi per adolescenti (a cui
sembra si debba forzatamente parlare di razzismo, immigrazione, bullismo,
droga, identità di genere e altri temi “caldi” dell’attualità e della cronaca).
Mentre sul fronte del divertimento e dell’evasione – l’altra faccia della pro-
posta editoriale – le scelte possibili sono molteplici, e vanno dall’allegra
sconfitta di mostri che si rivelano goffi e innocui a pretesti narrativi che
permettono di parlare di caccole, cacca, mutande e altre delizie agli adulti
poco gradite, all’apologia delle schiappe, oppure all’iperproduzione di titoli
riferibili a precisi generi letterari – il fantasy, le detective stories, le distopie,
le storie d’amore adolescenziali – capaci di infinita mediocrità, ripetizione,
riproposizione di formule trite» (p. 3).

Apprendere a valutare e scegliere i libri per l’infanzia


Parte del nostro lavoro di bibliotecari sta proprio nel muoversi all’in-
terno di questa considerevole produzione editoriale leggendo e valutando,
scegliendo che cosa mettere sugli scaffali e approntando progetti e percorsi
che permettano di condividere con gli adulti che leggono insieme ai pic-
coli, o che ai piccoli propongono libri e letture, la capacità di valutare e
scegliere. Questa valutazione non necessita di strumenti raffinati una volta
che si siano accantonate le pretese pedagogiche immediate e l’aspettativa
di un effetto tempestivo, perché è propria dell’umano e del suo bisogno di

84 • Nicoletta Gramantieri
dialoghi

storie la disponibilità a lasciarsi avvincere da trame costruite per lasciare


spazio di collaborazione al lettore, da una lingua evocativa, chiara e com-
plessa, dai temi universali che da sempre interrogano gli esseri umani. È
sempre un piacere leggere ad alta voce a grandi e piccoli la storia di Max in
Nel paese dei mostri selvaggi (Adelphi, Milano 2018), che si veste da lupo,
lascia la sua camera e si trova nel paese dei mostri selvaggi. È un piacere
vedere come nel rapporto fra il testo essenziale, esatto, e le magistrali illu-
strazioni di Sendak, chi ascolta e guarda trovi lo spazio per essere coinvolto
nella storia, per farla risuonare in sé. Si tratta di una sorta di incanto che si
ripete sempre quando ci si avvicina alla letteratura senza altri fini che non
siano il piacere di godere di una narrazione. E lo stesso avviene quando
si propongono romanzi di autori e narratori capaci: quando Marie Aude
Murail ci porta nei suoi universi quotidiani e con uno stile leggero racconta
gli inciampi della vita, i cambiamenti, i dolori, o quando David Almond
tira il filo sottile delle sue storie fra casi reali ed elementi fantastici, facendo
ricorso a figure ben radicate nell’immaginario di ognuno, a miti, angeli,
cunicoli terrosi che portano nel profondo.
Gli scaffali delle biblioteche sono zeppi di storie bellissime che pos-
sono diventare per ognuno sentieri di esplorazione di sé e del mondo.
È sufficiente lasciarsi andare alla bellezza e abbandonare l’ossessione
dell’utilità immediata, dei fini informativi: per altro l’editoria per ragaz-
zi è ricca di testi di divulgazione interessanti che sondano ogni campo della
conoscenza, dalle scienze alla storia, dal sociale all’arte, dalla geografia allo
sport. Si può allora smettere di chiedere alla letteratura di farsi informazio-
ne o strumento pedagogico.

La meraviglia come dono delle storie


C’è un piccolissimo saggio che la nota ambientalista Rachel Carson
scrisse negli anni ’50, in cui racconta le esplorazioni compiute nella natura
insieme al nipote di tre anni. «Se avessi un qualche influsso sulla fata buo-
na che veglia sul battesimo di tutti i piccoli, chiederei che il suo dono per
ogni bimbo del mondo fosse un senso di meraviglia così indistruttibile da
durare tutta la vita, come antidoto infallibile contro la noia e il disincanto
degli anni futuri, la sterile preoccupazione per cose che sono artificiali,
l’alienazione delle sorgenti della nostra forza. Se vogliamo che un bambino
mantenga vivo questo innato senso di meraviglia – senza aspettarci un do-
no dalle fate – sarà necessaria la compagnia di almeno un adulto che possa
condividerlo e riscoprire insieme a lui la gioia, l’eccitazione e il mistero del
mondo in cui viviamo» (Brevi lezioni di meraviglia. Elogio della natura per
genitori e figli, Aboca, Sansepolcro 2020, p. 17).
Avventurarsi nelle storie è forse la stessa cosa: occorre inoltrarsi senza
aspettative, lasciarsi andare alla meraviglia, sapere guardare e ascoltare. «In

Prevedere è il contrario di vedere • 85


età adulta lo stupore viene estirpato come se fosse una pianta infestante.
Le previsioni del tempo fugano il rischio di compiere una passeggiata in
montagna sotto un temporale. Le recensioni risparmiano la fatica di capire
da soli se un film ci piacerà. La sorpresa che vorremmo fare a un amico
chiamandolo al telefono si infrange sul display del suo apparecchio. Pre-
vedere è il contrario di vedere» (Tappari M., Infanzia di un fotografo,
Topipittori, Milano 2021).
La letteratura ospita storie che prendono una forma specifica fatta
di lingua, parole, sintassi, strutture narrative, forme retoriche, imma-
gini. È la forma che suscita meraviglia, che apre percorsi conoscitivi
diversi da qualsiasi altra indagine. Molti sono i media che propongono
storie: il cinema, i videogiochi, le narrazioni giornalistiche, i social media,
financo le pubblicità. Il mondo ci circonda di storie di cui godere e in cui
stare; le storie possono prendere forme diverse, ogni mezzo presuppone
stili, tecniche, poetiche diverse e di ognuno possiamo godere in modo
diverso, ogni mezzo propone prodotti estetici ben costruiti accanto a pro-
duzioni di bassa qualità, banali e stereotipate.
Importante è allora proporre ai ragazzi, ai bambini molta varietà,
molte possibilità di accesso. È sempre un piacere vedere come la lettura
ad alta voce di una storia accenda l’attenzione e gli sguardi di coloro che
si presuppongono dediti solo agli stimoli del digitale, come succeda che
chi ascolta dica «dai, leggine ancora». È che bisogna stare lì con loro,
scegliere e proporre, provare piacere nel farlo. Nelle diete dei consumi
culturali è bene aggiungere, non sottrarre. È bene non fissarsi degli scopi
nel proporre la letteratura a bambini e ragazzi, il nostro compito è forse
solo creare, per tutti, le possibilità di accesso.

Editoria e letteratura
non sono sinonimi
Tuttestorie
Libreria, Festival e Cooperativa Tuttestorie

È una strana creatura la letteratura per l’infanzia: imposta dagli adul-


ti ai suoi destinatari, rinchiusi da un fossato che delimita l’area di
ricerca delle proprie letture. A livello editoriale, vi sono caratteristiche che
definiscono quali siano i libri per ragazzi e quali quelli per adulti, ma è im-
portante sottolineare come editoria e letteratura per l’infanzia non sem-
pre coincidono e come spesso gli adulti impongano canoni che fanno
prevalere l’intento pedagogico sui reali bisogni e desideri delle bambine
e bambini, uscendo così dal territorio della letteratura per l’infanzia.

86 • Tuttestorie
dialoghi

Potremmo dire che, rispetto a


quella per adulti, la letteratura per
l’infanzia è più curiosa e attiva. For-
se perché essendo indirizzata ai pic-
coli può permettersi maggiori liber-
tà. Incontriamo così una letteratura
indomita nel raccontare storie per il
gusto di raccontarle. Storie in cui ci
si sporca, dense di domande che si
possono solo sussurrare se ci sono i La Cooperativa e libreria per ragazzi Tutte-
grandi vicini. O addirittura ricche storie nasce a Cagliari nel 2000. Promuove,
di argomenti vietati che si devono dentro e fuori la libreria, iniziative culturali
affrontare protetti dalla casa sull’al- legate al libro e alla lettura: laboratori nelle
bero. Come sottolinea Giorgia Grilli scuole e nelle biblioteche, mostre di illustra-
nel recente saggio Di cosa parlano i zione, mostre del libro, corsi di formazione
libri per bambini (Donzelli, Roma e aggiornamento, incontri con autori e illu-
stratori, bibliografie a tema.
2021), la letteratura di cui ci stiamo
Nel 2003 la Cooperativa vince il “Premio An-
occupando «è quella che viene con-
dersen. Il Mondo dell’Infanzia” come “Prota-
cepita non con l’intenzione di inse- gonisti della Promozione della Lettura. Cate-
gnare qualcosa ai bambini, a partire goria Librerie” e il Premio Città di Cagliari.
da ciò che come adulti già sappia- Dal 2006 organizza il Festival Internazio-
mo, ma come tentativo di compren- nale Tuttestorie di Letteratura per Ragazzi,
dere – creativamente – ciò che al- presieduto da David Grossman, con il quale
trimenti, nel quotidiano ci sfugge: vince nel 2010 il Premio Città del Libro. Il Fe-
la complessità dell’infanzia, il suo stival è stato inserito tra le 18 (su 1.200) più
misconosciuto mondo interiore. È importanti manifestazioni letterarie e fiere
quella che si interroga ostinatamen- del libro dal I Rapporto sulla promozione del-
te su cosa “essere bambini” possa la lettura in Italia (2013).
voler dire. Un interrogativo su cui
forse l’arte, con i suoi modi indiret-
ti, può gettare qualche luce».

Che cosa propone l’editoria?


In questi ultimi anni, è cresciuta moltissimo a livello editoriale l’atten-
zione verso i più piccoli, in particolare la fascia d’età che va da zero a sei
anni, grazie al progetto “Nati per leggere”, che ormai coinvolge un gran-
dissimo numero di biblioteche e di pediatri e che ha portato fra genitori
la consapevolezza di quanto sia fondamentale l’ascolto delle storie nello
sviluppo cognitivo ed emozionale del bambino.
Sulla scia di questo progetto l’editoria si è mossa con esiti altalenanti.
Da una parte alcune case editrici pubblicano albi di qualità, mostrando
cura e competenza nella scelta degli autori e degli illustratori, spesso facen-

Editoria e letteratura non sono sinonimi • 87


do riscoprire libri di altissimo livello, irragionevolmente messi fuori catalo-
go da altri editori. Si è avuta anche una produzione editoriale curiosa,
capace di esplorare le possibili forme di relazione tra lettrice/lettore
e libro nella sua totalità di contenuto e oggetto. Basti pensare ai libri
gioco, tattili, sonori, che si leggono con differenti sensi e direzioni, costruiti
con i materiali più disparati, in un lungo percorso che va da Bruno Munari
e Iela Mari per raggiungere Katsumi Komagata. Dall’altra si è diffusa la
richiesta di libri-ricetta: storie sul vasino per imparare a non fare più la
cacca nel pannolino, sul ciuccio per imparare a farne a meno, sull’arrivo
del fratellino o della sorellina per imparare ad accettarli, per staccarsi dal
seno materno. Per non parlare di storie per gestire la rabbia e tutte le altre
emozioni. Un’infinità di libri, spesso sciatti, banali e predigeriti, che cer-
cano di raggiungere un fine senza averne i mezzi.
Un altro fenomeno interessante di questi ultimi tempi riguarda i
graphic novel, genere ormai largamente accreditato nell’ambito letterario
e sempre più apprezzato da bambini e ragazzi, pur con qualche resistenza
da parte degli insegnanti. Sul fronte degli adolescenti finalmente si sta
attenuando la lunghissima scia iniziata a seguito del successo di Harry
Potter che, senza nulla togliere ai libri di J.K. Rowling, ha per lungo tempo
schiacciato la produzione quasi unicamente sul genere fantasy, propinando-
ci una serie di prevedibili cloni del maghetto. E questo è il punto: perché,
quando un libro ha successo, ostinarsi a seguire lo stesso filone in un
inevitabile appiattimento? È un errore che viene purtroppo ripetuto con-
tinuamente dall’editoria contemporanea italiana, che di recente, a partire
da Storie della buona notte per bambine ribelli, ha invaso gli scaffali con una
serie infinita di biografie di donne coraggiose e personaggi eroici da far
venire la nausea. Una rincorsa verso i temi sociali che rischia di far perdere
di vista la differenza fra attualità e letteratura.
Fortunatamente nel vasto mare dell’editoria continuano a nascere anche
i bei romanzi, quelli che ti avvolgono e che vorresti non finissero mai. Vi
sono piccoli editori che difendono la narrativa di qualità, attingendo spesso
alla migliore produzione dell’Europa settentrionale. In questo panorama,
continua a esserci un vuoto, di cui spesso noi libraie ci siamo lamentate
con gli editori: la narrativa per bambini di 7-8-9 anni è povera a livello
quantitativo e qualitativo, come se questi lettori non meritassero di
uscire dal recinto della serialità alla Geronimo Stilton. E allora ben ven-
gano le eccezioni come quelle della collana I Miniborei di Iperborea: storie
sincere, ironiche e intelligenti, che ci raccontano bambini veri.

Le “zie” dei giovani lettori


Nel 1985 veniva pubblicato in Italia il libro Al mondo ci sono più zie che
lettori di Peter Bichsel. Un titolo programmatico che metteva in evidenza

88 • Tuttestorie
dialoghi

che sono gli adulti a scegliere i libri per chi adulto ancora non è. E
questo a distanza di quasi quarant’anni non è ancora cambiato, o almeno
non abbastanza. Seguendo l’autore svizzero potremmo dire, con una forte
semplificazione, che abbiamo quattro categorie di zie e zii rispetto ai libri.
Quella che chiede il libro che insegna a vivere con morale esplicita. Quella
delle storie sottovuoto, libri per non pensare, che devono essere epurati da
ogni possibile emozione troppo forte. Amore? No. Paura? Neppure. Morte?
Non esiste. E così via verso un discreto appiattimento. Non mancano le
zie/zii che immaginano nipoti superdotati, che sono sempre “avanti”, con
il risultato di bambini di un anno a cui vorrebbero propinare addirittura
libri sul bullismo. Infine, e per fortuna, ci sono le zie e gli zii che scelgono
con sguardo attento all’infanzia creando spazi di relazione, curiosità e ac-
compagnamento.
Al di là dell’evidente e artificiosa estremizzazione, è importante dire
che è possibile creare alleanze estremamente fertili se a monte c’è
una condivisione sul senso della lettura e sul presupposto che bam-
bine e bambini sono soggetti pensanti e competenti. Ma alleanze per
fare che cosa? Non per portare avanti degli intenti educativi espliciti, che
rischiano di privare la storia della sua intenzionalità narrativa: il piacere
del raccontare. Per dirla con Gianni Rodari, non sappiamo con certezza
quali connessioni si creeranno nello spazio fertilissimo che vive tra gli
occhi di chi legge e il libro. Certo, chi da anni si occupa di promozione
della lettura ha affinato le sue competenze per capire quando l’incontro
fra libri e lettori bambini può avere maggiori margini di successo, ma
a volte si prendono affascinanti cantonate, che permettono di trovare
nuovi sguardi e strade in noi che costruiamo legami tra persone e sto-
rie. Questo può avvenire soprattutto nel caso dei libri illustrati, il cui
linguaggio predominante offre chiavi di accesso e fruibilità più ampie e
trasversali della parola scritta. Due importanti frammenti autobiografici
sono esemplificativi. Bianca Pitzorno, che ha raccontato come da piccola
trascorresse il tempo a immaginare storie sulle illustrazioni dell’atlante
di anatomia del padre; o ancora Italo Calvino, che racconta di aver go-
duto profondamente dei fumetti del Corriere dei Piccoli per poi rimanere
deluso da quelle stesse storie: le narrazioni che lui aveva tessuto su quelle
illustrazioni erano a parer suo ben più interessanti.
I libri sono una palestra per sperimentare forme di pensiero dif-
ferenti. Un ambiente protetto in cui immaginare, appunto, che cosa
avrei fatto io in quella determinata situazione o al posto di quel
personaggio. Si crea una relazione e un contrasto tra storia narrativa
e storia personale, direbbe Jerome Bruner, ossia tra la storia del libro e
quella mia, unica e singolare. Nei libri non ci si fa troppo del male, ma
portati dal gusto del racconto si possono costruire degli schemi narrati-
vi da utilizzare nel presente per immaginarci altro da quello che siamo

Editoria e letteratura non sono sinonimi • 89


oggi, per rileggere il passato o proiettarci nel futuro quando capiterà
una situazione, a volte simbolicamente a volte realmente, simile a quella
sperimentata nei libri. Non ci si sentirà totalmente impreparati perché
ci saranno immaginari, bussole e schemi precedentemente vissuti nelle
storie. Dentro questa cornice possiamo costruire un’alleanza con altre
zie che la pensano come noi. E così costruire una rete che cerca, studia,
protegge e fa giungere sotto banco, a volte letteralmente, libri coraggiosi
a bambini e ragazzi.

Gli spazi digitali: nuove occasioni


Il dibattito intorno al digitale è naturalmente sempre più vivo, viste
anche le scelte della scuola degli ultimi dieci anni circa. Per affrontare il
tema è di aiuto fare un passo indietro. Più di sessant’anni fa, gli antropo-
logi Gregory Bateson e Margaret Mead mettevano in evidenza che siamo
creature relazionali e che nella relazione apprendiamo. Rispetto ad altri
esseri viventi, siamo lenti nel raggiungere l’autonomia e non diventiamo
mai realmente indipendenti; siamo sempre in relazione, caratteristica che
ci contraddistingue. Come organizziamo la relazione e il mondo che ci
circonda? Lo psicologo Jerome Bruner, ma non solo lui, sostiene che de-
codifichiamo ciò che ci circonda come se fosse una storia. E come una
storia ci immaginiamo al presente, passato e futuro. Possiamo così dire
che le storie, e in questo anche i libri, sono il materiale attraverso cui
diamo senso al mondo e costruiamo le nostre relazioni. Forse è anche
per queste motivazioni che non ci è mai capitato, in più di vent’anni di
frequentazione diretta di bambini e adolescenti, di incontrarne che fossero
realmente allergici alla lettura. Presunti tali sì. Soprattutto perché così era-
no stati definiti dai grandi. Reali invece proprio no. Perché le storie sono il
nostro cibo prediletto e i libri, una volta scoperti quelli giusti, ossia quelli
che veramente ci interessano, non si perdono più.
Il digitale non è una categoria a sé, ma una risorsa che deve essere
inquadrata dentro una cornice di narrazioni e relazioni. Non vive da
sola, per quanto spesso sia proposta come risolutiva e autonoma. L’efficacia
del digitale o dei libri dipende sempre dalla cornice relazionale con cui
sono proposti. Se offriamo una qualità della relazione profonda e curiosa
attraverso i libri allora avremo lettori e lettrici. Altrimenti no. Non in-
tendiamo demonizzare il digitale, ma riportare all’importante ruolo che
come adulti, nel senso di responsabili dei meno adulti, possiamo avere nel
proporre forme di relazioni appaganti attraverso la cultura, si tratti di arti,
libri, giochi, musica. Soprattutto sul piano della condivisione, il digita-
le ha dato luogo a esperimenti interessanti, come la scrittura collettiva
tra coetanei o la possibilità di leggere nel loro divenire libri di importanti
autrici e autori su piattaforme online come Wattpad. Oppure forme di con-

90 • Tuttestorie
dialoghi

fronto sulla Rete tra coetanei, attraverso siti e social. O ancora la possibilità
di incontrare su piattaforma, per una presentazione di un libro o un corso,
i propri lontanissimi autrici e autori preferiti.
In sintesi, non possiamo dare la colpa al digitale quando abbiamo
la percezione che i libri non interessino. Anche perché i dati dicono
il contrario. Dobbiamo chiederci a quale bisogno relazionale rispon-
dono le varie forme del digitale per capire come possa farvi fronte la
letteratura. I dati sulla povertà educativa in Italia mettono in evidenza
come spesso i più giovani non conoscano né abbiano accesso a esperienze
culturali. Ecco perché anche i libri spesso non vengono cercati né vissuti.
E questo vale anche per i loro adulti di riferimento che, come membri della
comunità educante, sono sempre più da considerare parte integrante nel
lavoro di promozione della lettura.

Allargare gli “steccati” della cultura


Sonia Basilico
Lettrice per bambini e formatrice

S uccede fin dalla notte dei tempi, qualcuno dice «C’era una volta»
e… boom, l’attenzione è catturata. Dalla narrazione orale ai lin-
guaggi scritti, disegnati e visivi, l’uomo ha sempre avuto bisogno di storie.
La lettura in tenera età è un’occasione per arricchire l’esistenza del
lettore del futuro, allargarne gli orizzonti rispetto alla quotidianità
e al linguaggio familiare; è un momento di condivisione nella prima
infanzia e poi di immersione in una storia che non è la propria o quella di
chi ci circonda: non uno specchio che riflette la nostra immagine, ma una
finestra aperta verso il mondo, verso altre parti di noi. Leggere dà serenità
e prospettiva, consentendoci di mettere a fuoco ciò che da una distanza
troppo ravvicinata ci sfuggirebbe.

Osservare il mondo attraverso l’arte


Il libro per l’infanzia è un prodotto artistico. L’arte, praticata o con-
templata, è stata per l’uomo il primo passo per soffermarsi a osservare,
leggendo il mondo per quello che realmente è. Aristotele diceva che «La
finalità dell’arte è dare corpo all’essenza segreta delle cose, non di copiarne
l’aspetto». La sospensione dell’incredulità, prerogativa delle migliori storie,
consente un contatto con il fantastico e l’ancestrale, così che i bambini
possano esplorare nuovi immaginari e confrontarsi con i dubbi e le paure,
accompagnati dalla finzione artistica e dalla lettura condivisa.

Allargare gli “steccati” della cultura • 91


Inoltre le storie di finzione
Sonia Basilico, appassionata ampliano la nostra immaginazio-
di letteratura per ragazzi, ne morale, come scriveva Carlo
si occupa di formazione Ginzburg: «Possiamo ritrovarci
per adulti in materia di: nei panni di un assassino, di un
orientamento bibliografico;
analisi dei linguaggi, delle
burattino, di un insetto, dimen-
illustrazioni e dei generi letterari persioni lontanissime da noi, però
l’infanzia e l’adolescenza; educazione all’arte, questi scritti ci permettono di
alla poesia e ai linguaggi visuali per bambini e entrare in un mondo che non è
ragazzi; percorsi bibliografici sulla formazione il nostro e questo ci nutre pro-
dell’immaginario maschile e femminile; fondamente». (Il mestiere di stori-
introduzione nella scuola delle applicazioni per co, intervista di Marco Marino a
tablet collegate ai libri per l’infanzia. Opera in
C.G.) Leggendo è possibile fare
collaborazione con scuole ed enti pubblici e
esperienze protette del futuro
privati, biblioteche, librerie, associazioni, festival
e convegni. attraverso una vera e propria
educazione sentimentale, arri-
vando preparati ad avere opi-
nioni proprie, smascherando le ipocrisie e ponendoci in modo critico
ed esigente rispetto alle semplificazioni.
Frequentare fin dall’infanzia la letteratura è poi un’occasione per tro-
vare nelle storie e negli altri lettori qualcuno che ci riconosce, con cui
condividere passioni anche al di fuori della scuola e della famiglia, scoprire
le librerie e poi le biblioteche con i loro libri che appartengono alla comu-
nità. Una grande opportunità sia per un’identità in costruzione sia per un
individuo sociale, a qualunque età.

Il fermento dell’editoria per l’infanzia


Gli ultimi dati statistici prodotti dall’Associazione italiana editori par-
lano di un buon risultato della letteratura per bambini e ragazzi e di una
crescita esponenziale del fumetto e del manga, segmenti di mercato che
trainano tutto il settore del libro. I giovani lettori non mancano, gli
adulti appassionati di albi illustrati sono una nutrita schiera, nascono
blog, gruppi di lettura, biblioteche di classe e scolastiche, premi letterari,
mostre di illustrazione, fiere, festival: un gran fermento.
Segnali incoraggianti arrivano anche dal lato istituzionale: dopo il
progetto nazionale “Nati per leggere” che ha avvicinato bambini e famiglie
alle biblioteche e al libro illustrato partendo dai pediatri, negli ultimi due
anni il Governo ha stanziato fondi per rinnovare il catalogo bibliote-
cario, coinvolgendo nel progetto le librerie indipendenti.
L’editoria è un’impresa culturale e commerciale, individua un pubblico
ricettivo e produce in questa direzione: nuovi editori e collane nascono
di continuo. Oggi l’offerta è vastissima, sono cresciute la cura edito-

92 • Sonia Basilico
dialoghi

riale, la ricerca nel campo dell’illustrazione, le possibilità per autori


e traduttori. Non sempre, però, produrre tanto e così in fretta genera
un prodotto ben pensato che sappia corrispondere al proprio lettore.
Fra gli albi illustrati scarseggiano avventura e fantasia, prevalgono i temi
e i problemi quotidiani, storie infantili, messaggi edificanti, oppure, in
nome della “bellezza”, troviamo prodotti sofisticati più adatti a un adulto
collezionista. Nel campo del fumetto si punta troppo sulle riduzioni di
romanzi e biografie e si esplorano poco le potenzialità del linguaggio. Fra i
romanzi mancano storie che turbano, che appassionano, che infiammano,
quelle che corrono rischi anche lessicali e sul piano della complessità. Pochi
margini per l’interpretazione, e troppa cupezza: non è obbligatorio che un
adolescente abbia la mamma morta, il migliore amico malato, che viva
nel dubbio se fare o meno coming out. Sono pregevoli i libri che entrano
nell’adolescenza con una certa leggerezza.
L’obiettivo prevalente è soddisfare le aspettative degli adulti offren-
do loro prodotti di cui già riconoscono il valore, per andare incontro alle
necessità immaginate e alle mancanze supposte di un lettore che proprio
non vogliamo credere meritevole di fiducia, mentre servirebbe un maggior
investimento nella formazione delle figure educative.

Dalla famiglia alla scuola: il ruolo degli adulti


Un ottimo prodotto editoriale di per sé non garantisce un’esperienza
significativa. Nella prima infanzia è determinante l’azione e il pensiero
dell’adulto facilitatore: quale libro sceglie, perché lo fa, e soprattutto quan-
do e come decide di porgerlo ai bambini. Un libro può anche essere un’ar-
ma contundente se utilizzato per risolvere un problema dell’adulto rispetto
alla crescita del bambino. Con le migliori intenzioni possiamo ferire se
sbagliamo tempistica e contesto, se ci trasformiamo in imbonitori travestiti
da raccontastorie, se la nostra priorità nella scelta del libro è il messaggio
che questo veicola e non l’esperienza artistica che offre.
Occorre anche tener conto dell’evoluzione dell’età dei ragazzi. Spesso
la disaffezione verso i libri è dovuta a una proposta sbagliata, troppo in-
fantile, realistica, condizionante o poco coinvolgente: troppi classici, pochi
contemporanei, troppi albi illustrati protratti nel tempo, pochi linguaggi
visuali. Il valore educativo della promozione della lettura, superata la
prima fase di condivisione familiare, deve partire dalla scuola dove
può nascere una comunità interessata a condividere opinioni intorno
alla lettura. È necessario attivare un ascolto costruito con cura e proget-
tualità, un’azione personalizzata e progressiva che deve prevedere delicatez-
za e anche lo sforzo di ricerca dei linguaggi dell’oggi. Un insegnante che si
prefigge come obiettivo il contagio della lettura non può non conoscere il
vissuto degli studenti, i desideri, gli hobby e gli interessi di ciascuno.

Allargare gli “steccati” della cultura • 93


Possiamo assegnare letture obbligatorie, creare consuetudine attraverso
i minuti di lettura autonoma in classe, ma poi? E perché farlo? Con qua-
le paternalismo possiamo pretendere che si continui a leggere oltre l’età
dell’obbligo, se le esperienze di lettura proposte passano dall’abitudine for-
zata? La scuola dovrebbe offrire un tempo condiviso in cui l’insegnante dà
voce al libro con una lettura lenta, esplorativa, che va a caccia di indizi, che
si concede riletture e pause per accogliere domande e osservazioni. Non
sarà nel messaggio trasmesso il valore educativo, non nella ripetizione di
un’abitudine, ma nella costruzione di un’esperienza comune, di un patri-
monio condiviso di saperi, perché dentro la memoria del gruppo staranno
quelle storie, quel linguaggio che si è scelto, in cui tutti si riconosceranno.
Il mondo adulto ha una morbosa ossessione per il contenuto delle
narrazioni, un modo di intendere il libro per l’infanzia limitato alla
funzione strumentale. Serve scardinare lo strapotere della trama: non è
solo nella bella storia il suo valore, anzi, lo è in minima parte. La lettura
ha un compito formativo che non passa attraverso la quantità di cose im-
parate leggendo, ma sul dato estetico del libro e sul piacere che provoca
l’esperienza.

Le nuove forme della narrazione


Il mondo è cambiato in termini economici, sociali e di fruizione cultu-
rale. La quantità di dati, di informazioni a cui abbiamo accesso a qualun-
que età grazie a Internet è superiore alla nostra capacità di elaborazione.
La velocità e la facilità con la quale possiamo trovare risposte alle nostre
domande è molto elevata. Dove si colloca in questo scenario la letteratura?
Lo scrittore Aidan Chambers ci offre una risposta: «L’esperienza lettera-
ria nutre l’immaginazione, quella fondamentale facoltà che ci consente di
gestire e controllare l’incredibile quantità di informazioni da cui siamo
quotidianamente sommersi, e organizzarla in modelli di significato» (Sia-
mo quello che leggiamo, Equilibri 2011, p. 73). Poter contare su modelli di
significato organizzati è quantomai importante, soprattutto per un’identità
in via di formazione.
La comunicazione oggi avviene prevalentemente nel campo visivo.
Pubblicità, canali informativi, rapporti con le istituzioni e con la scuola,
posta elettronica, messaggistica, ci parlano attraverso strumenti visuali
molto più che in passato, eppure a scuola le storie vengono veicolate
quasi esclusivamente attraverso la narrativa, fatta eccezione per qualche
episodico passaggio cinematografico. Benché siano storie anche quelle rac-
contate attraverso i fumetti, il cinema, le serie TV, i videogiochi, ciascuna
con differenti linguaggi narrativi, solo la narrativa ha ottenuto il pieno
riconoscimento del valore culturale presso il pubblico adulto. Riconoscere
valore a una pluralità di linguaggi significa intercettare le abilità di lettura,

94 • Sonia Basilico
dialoghi

anche quelle non ancora nate, permettendo a ciascuno di scandagliare il


proprio immaginario alla ricerca di storie da condividere, ovunque esse
risiedano. Sarà nel confronto che si apriranno strade per la letteratura.
Le giovani generazioni si orientano spesso verso linguaggi meno noti agli
adulti e perciò ancora poco censurati, narrazioni che chiamano in causa il
lettore, lasciano margini interpretativi, allenano le abilità logiche, svilup-
pano community di confronto online. Nella convinzione adulta fumetti,
manga, videogiochi e serie TV sono spesso identificati come sottopro-
dotti culturali utili eventualmente ad intercettare un lettore pigro,
invece si tratta di settori che riconoscono autorevolezza al pensiero del
lettore. In controtendenza si segnalano due eventi importanti accaduti nel
2021: il Ministero dei Beni culturali ha riconosciuto un valore culturale al
videogioco e la Galleria degli Uffizi di Firenze ha accolto fra le collezioni
gli autoritratti dei fumettisti contemporanei, riconoscendo alla nona arte lo
status di arte maggiore. Grandi opportunità che contribuiscono alla legitti-
mazione culturale di un’ampia gamma di linguaggi al di là della narrativa.
Ogni adolescente è alla ricerca del modo di descrivere il proprio cam-
biamento. Deve trovare parole e simboli per segnalare la sua nuova identi-
tà; abbigliamento, musica, tatuaggi sono attestati di una trasformazione, e
le storie possono accompagnare la ricerca. Non a caso si chiamano “storie”
anche le autorappresentazioni postate sui social, ma la versione brillante di
noi crea solo l’illusione di un’intimità con le persone a cui ci rivogliamo.
Anche la letteratura può offrire un’immagine enfatizzata del suo protago-
nista, ma il suo compito è quello di svelare la finzione: questa è una storia,
un gioco, una bugia.
Spesso la letteratura scava nel torbido, racconta una realtà indicibile nel
mondo patinato, dà spazio a pensieri deplorevoli, in uno spazio protetto
che ci concede di credere quello che altrove è inaccettabile e impossibi-
le. La lettura richiede una mente aperta e accogliente, possibilista e
non giudicante. Mentre la società, la scuola, la realtà e anche i social
chiedono costantemente conto di noi stessi, io leggo per esplorare il
mondo spostando dal centro la mia individualità che lì non ha alcun
peso. Non devo prendere posizione a favore o contro per affermare me
stessa, sono solo una spettatrice attenta che può, leggendo, mettere a fuoco
il mondo e gli altri da un punto di vista esterno, e quindi più lucido.

© FCSF - Aggiornamenti Sociali • 95


bioetica

Riprende il dibattito
sul fine vita
Suicidio assistito ed eutanasia all’ordine del giorno

Massimo Reichlin
Docente di Filosofia morale, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano
<reichlin.massimo@hsr.it>

Alberto Giannini
Direttore dell’Unità operativa di Anestesia e rianimazione pediatrica, Ospedale dei
Bambini, Spedali Civili, Brescia
<alberto.giannini@asst-spedalicivili.it>

Mario Picozzi
Docente di Medicina legale, Università degli studi dell’Insubria, Varese
<mario.picozzi@uninsubria.it>

accanimento terapeutico ● bioetica ● diritti del malato ● etica medica ●


eutanasia ● legislazione sanitaria ● malato terminale ● medicina ●
obiezione di coscienza ● referendum ● salute ● suicidio

Il giudizio della Corte costituzionale sull’ammissibilità del referendum


sull’omicidio del consenziente, quindi sull’eutanasia, e la ripresa della di-
scussione parlamentare sul suicidio assistito rimettono le questioni del fine
vita al centro dell’agenda politica e del dibattito pubblico. Non è azzardato
prevedere un confronto estremamente acceso e polarizzato, con il conse-
guente rischio di confusione dell’opinione pubblica. Qual è il profilo delle
proposte sul tappeto? Come valutarle da un punto di vista etico, ma all’interno
del contesto politico, sociale e culturale in cui ci troviamo? In che direzione
orientare l’impegno per il bene concretamente possibile?

L
e questioni bioetiche e giuridiche connesse alla fine della vita umana
stanno agitando nuovamente il nostro Paese. Nel mese di febbraio
la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità
del referendum abrogativo di parte dell’art. 579 c.p. sull’omicidio del
consenziente, che, in caso di vittoria, introdurrebbe l’eutanasia nel nostro
ordinamento. A sostegno della proposta referendaria nel 2021 sono state
raccolte, per la prima volta in parte anche online, le firme di oltre 1,2 mi-
lioni di cittadini.

96 • Aggiornamenti Sociali febbraio 2022 (96-104)


bioetica

Sempre nel mese di febbraio è prevista alla Camera la ripresa del


dibattito sulla proposta di legge Disposizioni in materia di morte vo-
lontaria medicalmente assistita, giunta in aula il 13 dicembre 2021 dopo
essere stata approvata dalle Commissioni Giustizia e Affari sociali 1. Essa
intende dare attuazione all’auspicio formulato dalla Corte costituzionale
nella Sentenza n. 242/2019: nel dichiarare parzialmente illegittimo l’art.
580 c.p. sull’istigazione o aiuto al suicidio, la Corte aveva chiesto con
forza un intervento legislativo sulla materia, sulla base dei principi da essa
enunciati.
Per seguire questa complessa discussione politica e legislativa e farsi
un’idea non superficiale in merito, è necessario identificare le diverse que-
stioni implicate e avere chiare alcune distinzioni. La prima, per certi versi
preliminare, riguarda la Legge 22 dicembre 2017, n. 219, Norme in materia
di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento 2, spesso evo-
cata nel dibattito, ma non sempre a proposito. È vero che la Corte costi-
tuzionale fa riferimento agli artt. 1-2 di quella legge, ma solo allo scopo di
delimitare, per analogia e in mancanza di altro riferimento normativo più
specifico, l’ambito operativo della Sentenza n. 242/2019 e le procedure per
darvi attuazione. Tuttavia, l’intento della L. n. 219/2017 non era modi-
ficare le norme penali su eutanasia e suicidio assistito, ma contrastare
l’accanimento terapeutico, disciplinando le modalità con cui è possibile
rifiutare o sospendere trattamenti sanitari, anche di sostegno delle funzioni
vitali, inclusi quelli minimi come la nutrizione e l’idratazione artificiali,
quando risultino sproporzionati, non avendo possibilità di ottenere altro
risultato che il prolungamento di condizioni penose per il paziente e per i
suoi familiari. Inoltre la legge introduce la facoltà, per i maggiorenni capaci
di intendere e di volere, di esprimere in un documento, detto “disposizioni
anticipate di trattamento” (DAT), le proprie volontà informate sui tratta-
menti sanitari che ciascuno intende o non intende ricevere e di nominare
un fiduciario, in vista di un momento futuro in cui non dovesse essere in
grado di esprimere autonomamente la propria volontà.

La sentenza della Corte costituzionale


Con la Sentenza n. 242/2019 la Corte costituzionale chiude l’esame
dell’eccezione di incostituzionalità sollevata dalla Corte d’Assise di Milano
nei confronti dell’art. 580 c.p., a seguito dell’autodenuncia presentata da
1 Il testo in discussione risulta dall’accorpamento di varie proposte (C. 2-1418-1586-1655-

1875-1888-2982-3101-A), operato dalle Commissioni, ed è disponibile sul sito della Camera al


link <http://documenti.camera.it/leg18/pdl/pdf/leg.18.pdl.camera.2_A.18PDL0167820.pdf>.
2 Per una dettagliata presentazione critica della L. n. 219/2017, rinviamo a Casalone C.,

«Abitare responsabilmente il tempo delle DAT», in Aggiornamenti Sociali, 2 (2018) 112-123, e


più in generale ai materiali disponibili all’interno del dossier DAT sul sito della Rivista, <www.
aggiornamentisociali.it/dossier/dat>. Per ulteriori commenti, cfr il «Forum» dedicato alla leg-
ge in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, 1 (2018) 11-209.

Riprende il dibattito sul fine vita • 97


Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, per aver accom-
pagnato in Svizzera Fabiano Antoniani (noto come Dj Fabo) per ricorrere
al suicidio medicalmente assistito, consentito dalla legislazione elvetica.
A ottobre 2018 la Corte aveva rinviato la trattazione del caso, emettendo
un’Ordinanza, la n. 207/2018, con cui sollecitava un intervento legislativo
in materia; trascorso un anno senza aver sortito alcun effetto, ha quindi
pronunciato la propria sentenza.
Se i giudici milanesi sostenevano l’incostituzionalità dell’art. 580 c.p.
in quanto retaggio di una concezione organicista che subordina i diritti
individuali al bene della collettività, la Corte invita invece a rileggerlo alla
luce del principio personalistico, enunciato dall’art. 2 Cost., e dell’invio-
labilità della libertà personale, affermata nell’art. 13 Cost. In quest’ottica,
il divieto di essere aiutati a morire è inteso a proteggere le persone più
deboli e vulnerabili da scelte irreparabili, in particolare, dalla conferma
e dall’accelerazione che potrebbero derivare alla loro ideazione suicidaria

I contributi apparsi su Aggiornamenti Sociali in materia di fine vita

Gruppo di studio sulla bioetica, «Le SARNePI – Gruppo di studio per


Disposizioni anticipate di trattamento la bioetica, «Scelte di fine vita in
(DAT): una proposta», 8-9 (2020) 561- rianimazione pediatrica», 6 (2009)
567. 453-463.
«Dichiarazione congiunta delle AMCI Milano, «Sull’alimentazione e
religioni monoteiste abramitiche sulle idratazione artificiali», 6 (2009) 450-
problematiche del fine vita», 12 (2019) 452.
848-853. Sorge B., «Fine vita: la riflessione etica
Costa G., «Fine vita: un contributo per continua», 1 (2009) 5-10.
una legge condivisa», 11 (2019) 709- Gruppo di studio sulla bioetica, «Il
716. caso Welby: una rilettura a più voci», 5
Gruppo di studio sulla bioetica, (2007) 346-357.
«Dilemmi etici e progressi tecnologici Casalone C., «Decisioni di fine vita. Sul
in medicina», 11 (2018) 746-759. contributo del card. Martini», 3 (2007)
Casalone C., «Abitare 222-226.
responsabilmente il tempo delle DAT», Martini C.M., «Io, Welby e la morte», 3
2 (2018) 112-123. (2007) 227-229.
Gruppo di studio sulla bioetica, Casalone C., «Come decidere sulla
«Custodire le relazioni: la posta in fine della vita? Considerazioni etiche
gioco delle DAT», 8-9 (2017) 585-587. sul “testamento biologico”», 12 (2006)
Turoldo F., «Responsabili della 811-822.
fragilità. La tutela umana nella ricerca Casalone C., «La richiesta di morte
scientifica», 2 (2012) 126-135. tra cultura e medicina. Per un
Gruppo di studio sulla bioetica, discernimento etico», 11 (2002) 731-742.
«Quando la capacità di decidere viene Casalone C., «La medicina di fronte alla
meno. Questioni etiche di fronte morte. Tra eutanasia e accanimento
all’Alzheimer», 9-10 (2009) 571-586. terapeutico», 7-8 (2002) 547-558.

98 • Massimo Reichlin – Alberto Giannini – Mario Picozzi


bioetica

dalla disponibilità di altre persone a collaborare alla sua realizzazione. I


diritti umani, di cui si tratta nell’art. 2 Cost. – continua la Corte – non
comprendono il diritto di morire e il diritto alla vita impone allo Stato il
dovere di tutelare ciascun individuo, in particolar modo quelli più fragili
e vulnerabili.
Secondo la Corte, tutto ciò non toglie che in casi specifici si possa de-
rogare a questa norma generale. In particolare, la Corte ritiene che non
sia punibile chi aiuta un altro a porre termine alla sua vita qualora
ricorrano quattro condizioni precise: a) la presenza di una malattia ir-
reversibile; b) che sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili;
c) la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale; d) il permanere della
capacità di prendere decisioni libere e consapevoli. Secondo l’argomenta-
zione dell’Ordinanza n. 207/2018, in presenza di queste condizioni l’aiuto
che un medico fornisce a un paziente per porre termine alla propria vita
si può configurare come «l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del
proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale
in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare in base all’art. 32,
secondo comma, Cost.».
A questa conclusione si potrebbe obiettare che la L. n. 219/2017 consen-
te, ai pazienti che si trovano in condizioni simili, di lasciarsi morire attra-
verso la sospensione di tutti i trattamenti e la contemporanea attivazione
di una sedazione palliativa profonda, ossia di una somministrazione di
farmaci che privi il paziente della coscienza così da alleviare sintomi gravi
non altrimenti trattabili, in attesa della morte. La Corte ha considerato
questa obiezione, ma l’ha respinta, osservando che tale opzione può com-
portare un processo di morte più lento, che potrebbe non corrispondere
alla concezione della dignità del morire propria del soggetto e risultare più
doloroso per le persone che gli sono vicine, come, in effetti, era stato soste-
nuto da Fabiano Antoniani. Né si può far leva, in questo caso, sull’esigenza
di proteggere le persone più fragili e vulnerabili: se si ritiene il soggetto
in grado di prendere la decisione di sospendere trattamenti di sostegno
vitale, non v’è ragione per non rispettare anche la sua competenza nel ri-
chiedere l’aiuto al suicidio. La Corte, perciò, ha concluso che l’art. 580 c.p.
dev’essere modificato, perché, nella sua versione attuale, «limita la libertà
di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie», garantita dagli
artt. 2, 13 e 32 Cost.
Con questa sentenza la Corte costituzionale ha introdotto una novità
nelle norme penali sul fine vita: pur lasciando intatto il divieto dell’eu-
tanasia, come atto compiuto dal medico per porre fine alla vita del
paziente, ha mitigato il divieto di assistenza al suicidio, come atto
compiuto dal paziente per uccidersi, grazie all’aiuto prestatogli dal
medico, di cui non può fare a meno per raggiungere il proprio scopo. Nei
due anni successivi alla sentenza non si sono avute notizie di altri casi, fino

Riprende il dibattito sul fine vita • 99


alla fine di novembre 2021, quando, a seguito di una controversia prolun-
gata con l’Azienda sanitaria unica regionale delle Marche, un paziente di
43 anni di Ancona, fittiziamente denominato Mario, tetraplegico da 11
anni, ha ottenuto il parere favorevole dal Comitato etico per procedere al
suicidio assistito. Infatti, anche prima del pur auspicato intervento del legi-
slatore, la sentenza già stabilisce in maniera non modificabile che il divieto
incondizionato di aiuto al suicidio è incostituzionale e che, ove ricorrano le
quattro condizioni menzionate, aiutare il paziente a uccidersi non è reato.
La Corte aveva anche stabilito che dovesse essere il «comitato etico com-
petente», quale organismo indipendente, a verificare la sussistenza delle
condizioni; per questo è stato interpellato il Comitato etico dell’azienda
regionale, che ha dato parere favorevole ma ha espresso dubbi sulle moda-
lità e sulla dose del farmaco suggerito per realizzare la procedura; spetterà
al tribunale stabilire chi sia competente a decidere.

La proposta di legge sul suicidio assistito


Ponendosi sulla scia della sentenza della Corte costituzionale, di cui
riprende precise espressioni, la proposta di legge (PdL) all’esame della
Camera intende disciplinare «la facoltà della persona affetta da una pa-
tologia irreversibile e con prognosi infausta o da una condizione clinica
irreversibile di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volonta-
riamente e autonomamente alla propria vita» (art. 1). In più punti insiste
sul carattere volontario, dignitoso e consapevole di tale decisione: la
persona che chiede di morire dev’essere maggiorenne, in grado di pren-
dere decisioni libere, adeguatamente informata; inoltre deve essere affetta
da una patologia irreversibile e con prognosi infausta, oppure portatrice
di una condizione clinica irreversibile, che cagionino sofferenze fisiche e
psicologiche che la persona stessa trova assolutamente intollerabili, e di-
pendere da trattamenti sanitari di sostegno vitale. A quelli previsti dalla
Sentenza n. 242/2019, si aggiunge il requisito che la persona «sia stata
previamente coinvolta in un percorso di cure palliative al fine di allevia-
re il suo stato di sofferenza e le abbia esplicitamente rifiutate» (art. 3).
La richiesta di morire dev’essere attuale, il che esclude che possa esse-
re formulata attraverso le DAT, e redatta per iscritto con requisiti di
forma assai stringenti (atto pubblico o scrittura privata autenticata, cioè
con l’intervento del notaio o altro pubblico ufficiale), mentre può essere
revocata in ogni momento e con ogni mezzo che consenta di render chia-
ra la volontà del paziente, senza requisiti di forma.
Quanto alle modalità dell’intervento, si prevede che il medico rediga
un rapporto dettagliato sulle condizioni del paziente e lo trasmetta al
Comitato di valutazione clinica presso le Aziende sanitarie territoriali. Si
tratta di un organismo di nuova costituzione, che ogni Regione dovrà atti-
vare entro 180 giorni dall’approvazione della legge; l’art. 7 ne disciplina la

100 • Massimo Reichlin – Alberto Giannini – Mario Picozzi


bioetica

composizione, richiedendo che siano autonomi e indipendenti e dotati di


molteplici competenze, tra cui quelle in medicina palliativa e negli aspetti
psicologici, giuridici, sociali e bioetici delle questioni di fine vita. Detto
Comitato deve esprimere un parere entro 30 giorni e inviarlo al paziente
e al medico; se è favorevole, il medico lo invia alla direzione sanitaria di
riferimento. Il decesso deve avvenire presso il domicilio del paziente
o una struttura ospedaliera. Il medico può anche non trasmettere la
richiesta al Comitato, se ritiene che non sussistano le condizioni necessa-
rie; in questo caso, deve darne motivazione e il paziente può appellarsi al
giudice territorialmente competente.
L’art. 6 prevede che il personale sanitario possa sollevare obiezione
di coscienza; medici e infermieri non sono perciò obbligati a partecipare
alle attività dirette al suicidio, anche se non sono esentati dall’assistenza
antecedente l’intervento. Agli enti ospedalieri pubblici spetta comunque
l’obbligo di assicurare che le procedure possano realizzarsi. Un’ultima im-
portante previsione riguarda l’esclusione retroattiva di punibilità per chiun-
que abbia agevolato la morte volontaria di persone che si trovavano nelle
condizioni previste dalla nuova normativa.

L’ipotesi di un referendum sull’eutanasia


Mentre procedeva l’iter parlamentare della PdL sul suicidio assistito,
l’Associazione Luca Coscioni, con altre organizzazioni, ha condotto una
raccolta di firme per un referendum parzialmente abrogativo dell’art.
579 c.p. Lo scopo è andare al di là della parziale depenalizzazione
del suicidio assistito sancita dalla Corte costituzionale, legalizzando
l’eutanasia, ossia l’azione del medico direttamente intesa a causare la
morte del paziente dietro sua richiesta. Come è noto, il referendum può
abrogare norme esistenti, ma non modificarle o introdurne di nuove. In
questo caso, il quesito chiede di eliminare alcune parti dell’articolo in
questione, che qui appaiono barrate: «Chiunque cagiona la morte di un
uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici
anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61. Si appli-
cano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: contro
una persona minore degli anni diciotto; contro una persona inferma di
mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra
infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; contro una
persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, mi-
naccia o suggestione, ovvero carpito con inganno». Quindi, se non ri-
corre nessuna delle tre condizioni indicate, il consenso dell’interessato è
sufficiente a escludere la punibilità.
Come per ogni consultazione referendaria, la Corte costituzionale è
chiamata, entro il mese di febbraio, a pronunciarsi sull’ammissibilità del
quesito. Oltre al fatto di vertere su materie che la Costituzione esplicitamen-

Riprende il dibattito sul fine vita • 101


te esclude, un referendum può essere ritenuto inammissibile nel caso in
cui l’eventuale abrogazione proposta produca una normativa lacunosa
o incoerente. In questo caso, la lacuna potrebbe riguardare la mancata
previsione di condizioni per l’accettabilità dell’intervento eutanasico o di
requisiti di forma per la manifestazione del consenso, con conseguenti pos-
sibili abusi, mentre potrebbe essere valutata come incoerente la netta diffe-
renza tra l’art. 580 c.p. come modificato dalla Sentenza n. 242/2019 e l’art.
579 c.p. come modificato dal referendum. Spetta alla Consulta stabilire la
sussistenza o meno di tali difetti.

Contribuire responsabilmente al dibattito


L’agenda politico-istituzionale di febbraio, con il giudizio di ammissi-
bilità del referendum e la prevedibile ripresa dell’esame parlamentare della
PdL, rimetterà le questioni di fine vita al centro della scena pubblica del
nostro Paese. Se andrà come nei casi precedenti, è lecito attendersi un di-
battito urlato, tra posizioni fortemente polarizzate, senza grande riguardo
per la delicatezza della posta in gioco e la chiarezza dell’argomentazione,
con conseguente confusione e sconcerto dell’opinione pubblica.
Per non smarrirsi, è innanzi tutto indispensabile evitare di fare di
ogni erba un fascio: suicidio assistito ed eutanasia, i due punti attual-
mente all’ordine del giorno, non sono la stessa cosa, pur presentando ele-
menti di contiguità. Altra questione ancora sono il rifiuto dell’accanimen-
to terapeutico e più in generale la tutela della libertà di decidere a quali
trattamenti sanitari sottoporsi (fatti salvi quelli obbligatori per legge), che
sono oggetto della L. n. 219/2017. Pertanto su ciascuno di questi punti è
possibile esprimere valutazioni differenziate.
In secondo luogo, occorre tenere presente che il dibattito si colloca a
cavallo del delicatissimo crinale che unisce riflessione etica ed elabo-
razione normativa. Prendere posizione richiede quindi di esaminare non
solo il merito della questione, ma anche il contesto politico, sociale e cul-
turale al cui interno ci si muove. Da un punto di vista strettamente etico,
su suicidio assistito ed eutanasia non ci sarebbe tutto sommato molto di
nuovo da dire. Una riflessione fondata in una prospettiva personalista non
fatica a evidenziare limiti e persino cortocircuiti di proposte imperniate su
una assolutizzazione dell’autonomia individuale, che sradicano la libertà
dal tessuto di relazioni da cui sgorga e trae alimento, trasformandola in
arbitrio che rischia di ritorcersi contro se stessa. Sono queste le ragioni per
cui il Magistero della Chiesa continua a ribadire l’illiceità di eutanasia
volontaria e suicidio assistito in prospettiva cristiana 3. Del resto, l’ascolto
3 Ci limitiamo a segnalare le prese di posizione più recenti: Congregazione per la dottri-

na della fede, Lettera Samaritanus bonus sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali
della vita, 22 settembre 2020; Ufficio nazionale per la pastorale della salute della CEI, Alla
sera della vita. Riflessioni sulla fase terminale della vita terrena, Romani, Savona 2020.

102 • Massimo Reichlin – Alberto Giannini – Mario Picozzi


bioetica

attento della richiesta di darsi o ricevere la morte permette con frequenza


di riconoscerla come spia della paura dell’abbandono e quindi come una
radicale domanda di cura, a cui è sempre possibile rispondere, anche quan-
do è esclusa la prospettiva della guarigione.
Questa consapevolezza etica è chiamata a calarsi entro un contesto spe-
cifico, segnato dalla Sentenza n. 242/2019. Quest’ultima è passibile di cri-
tica nella misura in cui sembra tracciare un’analogia tra la sospensione della
ventilazione artificiale, che rappresenta senza dubbio una scelta relativa alle
terapie, e l’autosomministrazione di
un’iniezione letale grazie all’aiuto «In seno alle società democratiche,
di un medico, che difficilmente argomenti delicati come questi
può considerarsi una opzione tera- vanno affrontati con pacatezza:
peutica 4. In questo modo estende il in modo serio e riflessivo, e ben
principio di autodeterminazione del disposti a trovare soluzioni – anche
paziente, che la L. n. 219/2017 ga- normative – il più possibile condivise.
rantisce in riferimento ai trattamen- Da una parte, infatti, occorre tenere
ti sanitari, fino a comprendere un conto della diversità delle visioni
diritto di scegliere la morte, sia pure del mondo, delle convinzioni etiche
limitatamente ad alcune condizioni e delle appartenenze religiose,
particolari; in sostanza, conferisce in un clima di reciproco ascolto e
problematicamente al suicidio as- accoglienza. D’altra parte, lo Stato
sistito la dignità di trattamento al-
non può rinunciare a tutelare tutti
ternativo. Inoltre, la sentenza non
i soggetti coinvolti, difendendo la
riconosce la sostanziale differenza
fondamentale uguaglianza per cui
tra consentire che la morte avven-
ga (sospensione dei trattamenti di ciascuno è riconosciuto dal diritto
sostegno vitale) e causare la mor- come essere umano che vive insieme
te (aiuto al suicidio e omicidio del agli altri in società».
consenziente). Papa Francesco, Messaggio ai partecipanti
Tuttavia la sentenza è un fatto, al Meeting regionale europeo della World
Medical Association sulle questioni del “fine
così come l’appello, che essa stes- vita”, 16 novembre 2017
sa formula, a un intervento legi-
slativo sulla materia sulla base dei principi che la informano. Disat-
tenderlo significherebbe mettere ulteriormente a repentaglio la credibilità
delle istituzioni. La PdL in discussione alla Camera si muove all’interno
del perimetro tracciato dalla sentenza, aggiungendo alcuni elementi sicu-
ramente rilevanti, riguardo alla puntuale definizione dei criteri clinici per
poter richiedere l’aiuto al suicidio, al ruolo e al funzionamento dei Comita-
ti di valutazione clinica incaricati di vagliare le richieste. Significativi sono
anche il riconoscimento del valore dell’obiezione di coscienza e l’opzione di

4 Cfr Reichlin M., «L’ordinanza della Corte Costituzionale sul caso Cappato: osservazioni

critiche», in notizie di Politeia, 133 (2019) 99-104.

Riprende il dibattito sul fine vita • 103


collocare il suicidio assistito nell’ambito pubblico, attraverso il coinvolgi-
mento del Servizio sanitario nazionale e i requisiti di forma della richiesta,
evitando derive di privatizzazione presenti in altri ordinamenti, che trasfor-
mano la morte volontaria in un’opportunità di profitto. L’impostazione
della PdL offre sufficienti garanzie per evitare abusi o degenerazioni
e per questo, all’interno del contesto culturale pluralistico in cui ci
collochiamo, può rappresentare un punto di mediazione accettabile 5,
nella logica delle “leggi imperfette” 6.
In particolare, la sua approvazione può ragionevolmente rappresentare
un argine ad alternative più ampie e pericolose, tra cui va senza dubbio
annoverata la liberalizzazione dell’eutanasia che scaturirebbe dall’eventuale
referendum sull’articolo 579 c.p., se ritenuto ammissibile e poi approvato
dagli elettori. I meccanismi di funzionamento dell’istituto referendario
ci restituirebbero una normativa in materia di omicidio del consenziente
(eutanasia inclusa) dalle maglie estremamente larghe, peraltro in aperto
contrasto con gli stringenti requisiti che la Sentenza n. 242/2019 e la PdL,
che su di essa si basa, pongono per l’accesso al suicidio assistito. A diffe-
renza degli altri ordinamenti in cui l’eutanasia è legale, non vi sarebbero
condizioni per avanzare la richiesta di morire, quali una patologia termi-
nale, sofferenze intollerabili, assenza di opzioni terapeutiche, ecc. Anche
l’assenza di requisiti di forma per la manifestazione del consenso potrebbe
prestare il fianco ad abusi. Certo, un successivo intervento legislativo po-
trebbe risolvere queste criticità, ma la sua urgenza non costituirebbe una
garanzia di rapida attuazione, e in ogni caso non potrebbe rimediare ad
abusi intervenuti nel frattempo.
Una partecipazione responsabile al dibattito e all’elaborazione normativa
richiede di operare innanzi tutto per scongiurare gli scenari più gravi, an-
che attraverso l’approvazione di leggi non pienamente soddisfacenti, anzi
contribuendo al loro miglioramento nel prosieguo dell’iter parlamentare.

5 In questo senso cfr Casalone C., «La discussione parlamentare sul “suicidio assistito”»,

in La Civiltà Cattolica, n. 4118 (15 gennaio – 5 febbraio 2022) 154-156.


6 A riguardo, cfr Eusebi L. (a cura di), Il problema delle leggi imperfette. Etica della parteci-

pazione all’attività legislativa in democrazia, Morcelliana, Brescia 2017.

104 • © FCSF - Aggiornamenti Sociali


mondo lavoro

Salario minimo:
ragioni dell’economia
e dignità dei lavoratori

Patrizio Tirelli
Docente di Economia, Università di Pavia
<patrizio.tirelli@unipv.it>

contrattazione sindacale ● disoccupazione ● lavoro ● lotta alla povertà ● mercato del


lavoro ● occupazione ● politica sociale ● povertà ● sindacato ● unione europea

Stiamo attraversando una stagione di rinnovato interesse per il salario


minimo: sul tema è in avanzata fase di elaborazione una direttiva UE, che
una volta approvata interesserà anche il nostro Paese, mentre gli studi in
materia sono tra le ragioni dell’assegnazione del Nobel per l’economia
2021 all’economista canadese David E. Card. Le prime esperienze risalgono
però alla fine del XIX secolo e la letteratura economica a riguardo è ormai
abbondante. Che cosa emerge dalle ricerche sul salario minimo? Si tratta
di uno strumento in grado di tutelare efficacemente i lavoratori più poveri?
Quali sono gli scenari su cui si ragiona in vista dell’introduzione di questo
istituto anche nel nostro Paese?

P
er l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL, o ILO secondo
l’acronimo inglese), il salario minimo può essere definito come la re-
tribuzione più bassa che un datore di lavoro è tenuto a corrispondere
a un lavoratore a fronte della sua prestazione e che non può essere ridotta
da accordi individuali o dalla contrattazione collettiva (ILO 2021).
I primi casi di istituzione del salario minimo risalgono alla fine del XIX
secolo in Australia e Nuova Zelanda. Un interessante studio (Lake 2014)
li interpreta come tentativi di evitare che per i lavoratori meno qualificati
il “libero” mercato del lavoro determinasse esiti salariali comparabili, se
non inferiori, al tenore di vita precedente all’abolizione della schiavitù. A
livello internazionale, i provvedimenti di introduzione di un salario mini-
mo legale hanno conosciuto crescente diffusione sino agli anni ’80 del XX
secolo; successivamente, a partire dalla fine degli anni ’90, si è assistito
a una ripresa dei provvedimenti di istituzione e tutela legale dei salari
minimi, a causa del drastico incremento delle diseguaglianze sociali e

Aggiornamenti Sociali febbraio 2022 (105-112) • 105


dell’aggravarsi del fenomeno dei lavoratori poveri (working poor), cioè
coloro che, pur avendo un’occupazione, si trovano a rischio di povertà e di
esclusione sociale a causa del livello troppo basso della loro retribuzione,
della insufficiente crescita o progressiva erosione del potere d’acquisto dei
loro salari e della loro precarietà lavorativa.
A oggi, il 92% dei Paesi membri dell’Organizzazione internazionale del
lavoro ha adottato forme di salario minimo (Matsaganis 2020). Per quanto
riguarda l’Unione Europea (UE), sono solo sei i Paesi la cui legislazione
non prevede un salario minimo legale universale: Austria, Cipro, Dani-
marca, Finlandia, Svezia e Italia (Lecerf 2020). Nel 2020, in attuazione del
Pilastro europeo dei diritti sociali, la Commissione europea ha organizzato
una consultazione delle parti sociali, cui ha fatto seguito l’elaborazione
di una proposta di direttiva vol-
«I lavoratori hanno diritto a una ta ad assicurare che tutti i Paesi
retribuzione equa che offra un tenore membri adottino un salario mi-
di vita dignitoso. Sono garantite nimo nazionale, istituito secon-
retribuzioni minime adeguate, che do criteri comuni (Commissione
soddisfino i bisogni del lavoratore europea 2020; per un’analisi, cfr
e della sua famiglia in funzione Lucifora 2020b). La proposta è
delle condizioni economiche e attualmente all’esame di Parla-
sociali nazionali, salvaguardando mento europeo e Consiglio, a cui
nel contempo l’accesso al lavoro e spetta l’approvazione.
gli incentivi alla ricerca di lavoro.
La povertà lavorativa va prevenuta. 1. Il dibattito economico
Le retribuzioni sono fissate in sul salario minimo
maniera trasparente e prevedibile, Tradizionalmente, la posizio-
conformemente alle prassi nazionali e ne prevalente tra gli economisti
nel rispetto dell’autonomia delle parti è di scetticismo nei confronti di
sociali». misure che interferiscono con la
Pilastro europeo dei diritti sociali – formazione dei prezzi a seguito
Principio 6 della contrattazione tra le par-
ti in mercati concorrenziali. In
questo contesto, l’opposizione all’adozione di un salario minimo legale si
fonda sull’analisi delle ipotetiche conseguenze avverse: esattamente come
l’aumento del prezzo di un bene ne riduce la domanda, anche l’incremento
dei salari di alcune categorie di lavoratori, disposto dalla legge, si tradur-
rebbe in una riduzione della domanda e quindi della loro occupabilità. In
sintesi, l’intervento legislativo porterebbe a effetti redistributivi a favore
di un gruppo di effettivi beneficiari, cioè dei lavoratori che mantengono
il posto e vedono aumentare il salario, e a sfavore di quanti perderebbe-
ro l’impiego o farebbero più fatica a trovarne uno in conseguenza dell’a-
dozione del salario minimo. Effettivamente, in un mercato del lavoro
perfettamente concorrenziale, dove lavoratori e imprese non hanno

106 • Patrizio Tirelli


mondo lavoro

potere di mercato, si dimostra che qualunque intervento legislativo ha


in complesso effetti avversi sul benessere collettivo.

a) I risultati di alcune ricerche empiriche


Il tenore del dibattito è drasticamente mutato in seguito a uno studio di
Card e Krueger (1994), che hanno analizzato le conseguenze occupazionali
di un incremento del salario minimo garantito ai dipendenti dei fast food
del New Jersey, in confronto con quanto accaduto contemporaneamente a
quelli della Pennsylvania, non interessati dall’aumento del salario minimo,
senza rilevare un andamento più sfavorevole nel primo. Da allora si sono
moltiplicati studi volti a identificare il segno e l’intensità della variazione
della domanda di lavoro in seguito a un incremento del salario minimo.
Dube, Lester e Reich (2010) applicano la metodologia di Card e Krueger a
un numero assai ampio di distretti degli Stati Uniti considerando un arco
temporale di ben 16 anni, così da tener conto degli aggiustamenti di lungo
periodo. Il loro studio documenta forti effetti sul reddito dei beneficiari
del salario minimo e nessun impatto sull’occupazione. Un recente, fon-
damentale lavoro (Cengiz et al. 2019) mostra che l’introduzione del salario
minimo è associata a una sostanziale stabilità dell’occupazione complessiva,
a prescindere da quanto accade nei settori direttamente interessati dalla
misura. Derenoncourt e Montialoux (2021) documentano come negli Sta-
ti Uniti il Fair Labor Standards Act del 1966 abbia drasticamente ridotto
i differenziali salariali tra lavoratori bianchi e neri, senza effetti avversi
sull’occupazione di questi ultimi. D’altra parte, come segnalato in una
recentissima rassegna (Neumark e Shirley 2021), diversi studi statunitensi
segnalano una risposta negativa dell’occupazione a incrementi del salario
minimo, pur molto modesta (Wolfson e Belman 2019).

b) Dalla ricerca empirica alla riflessione teorica


Numerosi sono i tentativi di comprendere come mai l’adozione di un
salario minimo legale non riduca l’occupazione o lo faccia in modo estre-
mamente ridotto, in apparente contraddizione con quanto ci si aspettereb-
be secondo la teoria economica tradizionale (Schmitt 2013).
Un primo filone di letteratura segnala che le imprese possono com-
pensare l’aumento del costo del lavoro prodotto dall’introduzione del
salario minimo, mitigandone o annullandone l’effetto di riduzione
dell’occupazione. Una possibilità è aumentare i prezzi, trasferendo sui
consumatori l’aumento dei costi, oppure ridurre altre voci di costo, quali i
contributi previdenziali e assicurativi (nei Paesi dove questo è in parte pos-
sibile, come gli Stati Uniti), o le spese per la sicurezza e la qualità dell’am-
biente lavorativo (Clemens 2021).
Un secondo approccio (Manning 2003, 2021) evidenzia l’importanza
degli attriti (o frizioni) che contraddistinguono il mercato del lavoro: sia

Salario minimo: ragioni dell’economia e dignità dei lavoratori • 107


la selezione di un lavoratore, sia la ricerca di un impiego sono attività co-
stose in termini di tempo e denaro. Di conseguenza le imprese valutano
il costo di un lavoratore tenendo conto non solo del suo salario e della
sua produttività, ma anche del risparmio rispetto alla ricerca di sostituti.
Analogamente, nel valutare il proprio posto di lavoro, i lavoratori conside-
rano sia la retribuzione, sia il costo della ricerca di eventuali alternative. In
questo contesto, il nesso tra produttività del lavoro e salario diventa più
tenue rispetto a quanto prevede l’analisi convenzionale del mercato
del lavoro, mentre entrano in gioco altre considerazioni. In particolare,
per quanto riguarda i lavori meno qualificati, è plausibile che, in assenza
di tutele sindacali, le imprese riescano a comprimere i salari più facilmente
di quanto accada con altri gruppi di lavoratori, poiché dispongono di un
maggiore potere di mercato. In questo contesto, la fissazione di un salario
minimo più favorevole ai lavoratori non implica necessariamente una ridu-
zione dell’occupazione e un aumento dei licenziamenti, salvo il caso in cui
l’incremento salariale eroda completamente i margini di profitto generati
dall’attività del lavoratore occupato. Più che l’esistenza di un salario mini-
mo, diventa cruciale la sua misura.
Un terzo filone, più ambizioso, evidenzia come l’offerta di lavoro rispon-
da a un aumento del salario, cioè del suo prezzo, in modo più complesso
rispetto alle merci. In particolare, salari più alti incentivano un aumento
della produttività, che compensa l’aumento dei costi per le imprese. Al-
cune analisi empiriche (Coviello, Desserranno e Persico 2018) mostrano che
il salario minimo produce un incremento del valore dell’impiego e induce il
lavoratore a un maggiore impegno per limitare il rischio di licenziamento.
Questo approccio ha implicazioni potenzialmente molto promettenti in ter-
mini di benessere sociale, perché prevede effetti positivi dell’adozione di un
salario minimo in termini di produttività individuale e collettiva.

c) La determinazione del salario minimo


Una ulteriore questione rilevante concerne le modalità di determina-
zione dell’importo del salario minimo, che variano da Paese a Paese (ILO
2021). In proposito Dickens (2015) segnala la crescente rilevanza del
metodo basato sulla consultazione vincolante di comitati di esperti
e/o rappresentanti delle parti sociali. In proposito va segnalato che le
organizzazioni sindacali di diversi Paesi, tra cui l’Italia, hanno manifestato
scetticismo, se non aperta contrarietà all’adozione di un salario minimo.
Furåker (2020) documenta la preferenza dei sindacati per la contrattazione
centralizzata, cioè a livello sovra-aziendale, con validità degli accordi erga
omnes. Se da una parte interventi legislativi possono indebolire la capaci-
tà negoziale dei sindacati, dall’altra la contrattazione tra le parti sociali è
influenzata soprattutto dai lavoratori nelle fasce centrali di reddito e dalle
imprese relativamente grandi. Quanto più questo accade, tanto maggiore

108 • Patrizio Tirelli


mondo lavoro

sarà la tendenza di imprese e lavoratori che operano in quella parte del


sistema economico, contraddistinta da livelli di produttività relativamente
modesti, a eludere i vincoli contrattuali negoziati a livello centrale. A que-
sto si aggiunge una tendenza pluridecennale dell’evoluzione tecnologica
che genera una polarizzazione del mercato del lavoro, con una crescita della
componente di impieghi marginali, discontinui e difficilmente rappresen-
tabili dalle organizzazioni sindacali. In questo contesto, le organizzazioni
sindacali di numerosi Paesi europei hanno finito per accettare il sa-
lario minimo quale “male minore”, cercando di influenzarne il livello
(Arnholtz, Meardi e Oldervoll 2018).

2. Il salario minimo in Italia: quali scenari?


Tra i Paesi europei l’Italia è contraddistinta da percentuali relativamen-
te elevate di persone a rischio di povertà e di lavoratori poveri. È quin-
di comprensibile che si sia finalmente aperta una discussione in merito
all’adozione di un salario minimo legale anche nel nostro Paese: nella
legislatura attualmente in corso sono numerose le proposte di legge in ma-
teria avanzate da esponenti di diverse formazioni politiche, anche nelle
ultime settimane; le cinque presentate al Senato sono attualmente all’esame
della Commissione “Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale”. Rispet-
to ai tratti salienti (Lucifora 2020a), alcune proposte fanno riferimento alla
rappresentanza delle parti sociali e si preoccupano di estendere l’efficacia
della contrattazione collettiva, mentre una prescinde dal coinvolgimento
di imprese e sindacati. Per quanto riguarda l’ammontare del salario mini-
mo, in alcuni casi è definito a 9 euro l’ora, ma con differenti riferimenti a
importi lordi o netti, mentre in un altro caso la questione è delegata a una
commissione composta da rappresentanti delle parti sociali ed esperti, in
linea con una pratica sempre più diffusa in Europa.
A fronte di queste proposte sono stati avviati alcuni primi tenta-
tivi di determinazione del loro impatto. Una recente indagine (Casel-
li, Mondolo e Schiavo 2021) suggerisce l’adozione di un salario minimo
compreso tra 8,25 e 9,65 euro orari, al netto dei contributi previdenziali
(prezzi 2018). Il XIX Rapporto annuale dell’INPS (INPS 2020) dedica al
tema un’articolata sezione, in cui si evidenzia «una importante separazione
fra Paesi che registrano valori del salario minimo prossimi o superiori ai
10 € (come Francia, Paesi Bassi, Irlanda, Belgio, Germania e Regno Unito,
e Lussemburgo, unico a superare i 12 €) e Paesi con importi decisamente
contenuti, prossimi o inferiori a 5 €, come la Spagna, la Grecia, e i Paesi
dell’Est europeo» (ivi, 227). Pertanto la definizione del salario minimo at-
torno a 9 euro collocherebbe l’Italia nella fascia dei Paesi a maggior tutela,
mentre le misure di retribuzione media e mediana del nostro Paese sono
certamente più prossime a quelle dei Paesi con salari minimi relativamente
modesti; in particolare, l’importo di 9 euro corrisponderebbe a quasi il

Salario minimo: ragioni dell’economia e dignità dei lavoratori • 109


75% del salario mediano (pari a 12,1 euro), un valore assai elevato rispetto
a quanto accade a livello internazionale, dove si colloca mediamente sotto
al 60%. Secondo l’ISTAT un salario minimo pari a 9 euro lordi inte-
resserebbe circa un quinto dei
lavoratori dipendenti. La mi-
Il salario mediano sura avrebbe quindi un rilevante
Il salario mediano rappresenta l’importo
impatto, non solo per le dimen-
che spacca a metà la distribuzione dei sioni della platea dei beneficiari
lavoratori in base al salario, per cui diretti, ma anche per i prevedibili
la metà dei lavoratori percepisce una effetti per i lavoratori che perce-
retribuzione inferiore e l’altra metà una piscono salari non troppo supe-
retribuzione superiore. Il suo valore riori al minimo. Il già citato rap-
tende a essere inferiore a quello del
salario medio (che si ottiene dividendo
porto INPS sottolinea una certa
l’ammontare complessivo dei salari per indeterminatezza delle proposte
il numero dei lavoratori), su cui pesano di legge, in quanto le specifi-
le retribuzioni assai elevate percepite che modalità di definizione (se
da un numero assai ridotto di lavoratori includere o meno tredicesima/
(ad esempio star dello sport e dello
spettacolo, manager di altissimo livello,
quattordicesima mensilità, TFR
ecc.). Il salario mediano risulta perciò più e contributi sociali) comportano
significativo come indicatore del livello sostanziali differenze in termini
salariale di un ipotetico lavoratore tipo. di impatto sul costo del lavoro.
In sintesi, sebbene esista una
consolidata evidenza empirica
a favore dell’adozione di un salario minimo in Italia, al momento
permangono numerose incertezze sulla possibilità che questo accada
in tempi ragionevoli. Questo dipende sia da una evidente difficoltà del
nostro sistema politico ad adottare provvedimenti che richiedono un’a-
nalisi competente delle potenziali conseguenze, sia – e forse soprattutto
– dalla ritrosia delle parti sociali (sindacati e imprese). Gettando il classico
sasso nello stagno, già nel 2005 l’economista Tito Boeri aveva proposto di
introdurre un salario minimo riformando contestualmente il sistema di
contrattazione (Boeri 2005), purtroppo con scarsi risultati. L’espressione
“foresta pietrificata” era utilizzata un tempo per descrivere il sistema ban-
cario italiano, ma forse oggi si attaglia a quello delle relazioni industriali
del nostro Paese, che pure sta attraversando cambiamenti epocali e in cui
le condizioni dei lavoratori più poveri stanno peggiorando drasticamente.

3. Oltre la prospettiva economica


In conclusione, vale la pena ricordare che a spingere per l’introduzione
di una misura come il salario minimo, e quindi un incremento del reddito
dei lavoratori meno pagati, non ci sono solo motivazioni strettamente eco-
nomiche, ma anche precise ragioni etiche (Prasch e Sheth 1999).

110 • Patrizio Tirelli


mondo lavoro

Per brevità, in questa sede sembra opportuno limitarci a sottolineare


un aspetto di cui, almeno in Italia, non si parla molto: le implicazioni del
reddito minimo per la salute dei potenziali beneficiari. Gli specialisti
di economia sanitaria hanno fornito un contributo importante per identifi-
care le conseguenze della misura sul benessere individuale, documentando
come la percezione di un salario minimo riduca gli stati di ansia e il tabagi-
smo, e sia associato a un miglioramento generale delle condizioni di salute
(Leigh 2021). Lo stesso effetto può essere rilevato a livello familiare: la
percezione del salario minimo da parte delle madri è associata a un miglio-
ramento delle condizioni dei neonati al momento della nascita (Komro et
al. 2016; Wehby, Dave e Kaestner 2020). Nei Paesi OCSE un incremento
del salario minimo è associato a riduzioni significative dei tassi di mortalità
dovuti a cause prevalenti tra persone che percepiscono redditi modesti,
quali diabete, malattie cardiocircolatorie, danni cerebrali (Lenhart 2017).
Queste considerazioni mettono ancora più in evidenza come il salario
minimo debba essere ritenuto in primo luogo una misura di civiltà.

Risorse

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Salario minimo: ragioni dell’economia e dignità dei lavoratori • 111


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112 • © FCSF - Aggiornamenti Sociali


La minoranza uigura in Cina
Infografica di Mauro Bossi SJ

Negli ultimi 30 anni, la Cina ha affrontato le rivendicazioni autonomiste


degli uiguri, storicamente maggioritari nella regione dello Xinjiang, nel
nordovest del Paese. A partire dal 2017, fonti locali hanno accusato Pe-
chino di attuare delle politiche repressive ai danni degli uiguri, mediante
il controllo delle nascite e la reclusione in campi di “rieducazione”. Nel
frattempo, la regione ha acquistato una grande rilevanza strategica per
l’economia cinese. Le reazioni internazionali alla “questione uigura” sono
condizionate dalle importanti relazioni economiche con la Repubblica po-
polare cinese.

XINJIANG Mongolia interna


Lo Xinjiang è la più grande del-
le cinque Regioni autonome delle
Ningxia
Repubblica popolare cinese. Rappre-
senta un sesto del territorio cinese.

25,852 mln
Popolazione dello Xinjiang (2020)

Guangxi
Tibet

Gli uiguri sono una delle 57 mino-


ranze etniche riconosciute dalla Re-
pubblica popolare cinese. Derivano
dalla commistione tra gli antichi abi-
tanti indoeuropei della regione e le po-
polazioni turche qui immigrate nel me-
dioevo. Parlano una lingua di ceppo
turco e professano la religione islamica.

Composizione etnica dello Xinjiang (2020)

44,9% 42,2% 12,9%


uiguri cinesi han altre etnie

incidenza degli uiguri


0,79% sul totale della popolazione
della Repubblica popolare cinese

© FCSF Aggiornamenti Sociali - febbraio 2022


Uno snodo commerciale di primaria importanza
Il territorio dello Xinjiang è attraversato da tre dei cinque corridoi econo-
mici della Belt and Road Initiative (BRI; nota anche come Nuova via della
seta): sono imponenti infrastrutture stradali e ferroviarie che collegano l’ap-
parato manifatturiero cinese con altri mercati, in particolare quelli europei.
Un container trasportato via mare impiega quasi due mesi per raggiungere
l’Europa, ma solo due settimane con il trasporto ferroviario. A Korgas, al
confine kazaco, Pechino ha costruito un imponente porto di terra. Non solo:
tramite il corridoio Cina-Pakistan le merci cinesi raggiungono il porto di
Gwadar, dove partono per l’Africa.
Polo logistico
di Korgas
Zone a maggioranza uigura
Ferrovia Kazakistan - Cina

Belt and Road Initiative

Gasdotto Asia centrale - Cina


Ferrovia

Gasdotto KAZAKISTAN

KIRGHIZISTAN
Verso
l’Europa meridionale

China - West Asia - Central


Kashgar Asia Economic Corridor
(CCWAEC)

TAGIKISTAN

China - Pakistan
Economic Corridor (CPEC)

Verso il porto
di Gwadar (Pakistan)

PAKISTAN
Le cinque “Nuove vie della seta”

RUSSIA • New Eurasian Land Bridge


Economic Corridor (NELBEC)
• China – West Asia – Central Asia
Economic Corridor (CCAWEC)
• China – Indochina Peninsula
Verso l’Europa Economic Corridor (CICPEC)
settentrionale
• Trans-Himalayan Multi-Dimensio-
nal Connectivity Network (THMCN)
• China – Pakistan Economic Corri-
dor (CPEC)

New Eurasian Land Bridge


Economic Corridor
Ürümqui (NELBEC)

Dalle regioni
costiere

XINJIANG
Da Shangai

Da Guangzhou

Fonti: Australian Strategic Policy Institute, <www.aspi.org.au>; Istituto per gli Studi di
Politica Internazionale, <www.ispionline.it>; per i dati demografici: Ministero degli affari
Esteri della Repubblica Popolare Cinese, <www.mfa.gov.cn/mfa_eng/>.
Trent’anni di conflitti

Mao Zedong istituisce il Nascita di gruppi separatisti, come il Parti-


Corpo di produzione e co- to islamico del Turkestan e l’Organizzazio-
struzione dello Xinjiang, ne per la Liberazione del Turkestan orienta-
organizzazione paramili- le. Il primo si ispira al jihadismo salafita, ha
tare formata da ex com- rapporti con al-Qaida e i talebani ed è stato
battenti comunisti, incari- riconosciuto come gruppo terroristico dal
cati di colonizzare le zone Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
meno abitate dello Xinjiang. Primi scontri con le forze di sicurezza cinesi.

1954 Fine anni ‘80 -


inizio anni ‘90

Marzo-aprile: funzionari del Mi- 29 marzo. Il Governo regionale dello


nistero della giustizia del Go- Xinjiang promulga la normativa anti
verno regionale annunciano a radicalizzazione. Colpisce i com-
più riprese che migliaia di ui- portamenti e le espressioni di pen-
guri, kazaki e membri di altre siero definite «anormali» e contrarie
minoranze musulmane si trova- «alla pace e alla stabilità sociale». Il
no in detenzione extragiudi- decreto autorizza l’avvio di program-
ziale in “campi di rieducazione”. mi di “trasformazione educativa”.

2017

13 agosto. Di fronte al Comi-


tato delle Nazioni Unite per 1-2 marzo. L’Organizzazione per
l’eliminazione delle discrimina- la cooperazione islamica pubbli-
zioni razziali, i rappresentanti ca un documento che «elogia gli
cinesi ammettono l’esisten- sforzi della Repubblica popo-
za di campi di internamento lare cinese nel fornire assisten-
in Xinjiang, descrivendoli come za ai suoi cittadini musulmani e
“centri di formazione professio- auspica un’ulteriore cooperazio-
nale” per soggetti radicalizzati. ne» con il Governo di Pechino.

2018 2019
Lancio della Great We- Nel mese di luglio, hanno luogo violenti
stern Development Stra- scontri tra uiguri e cinesi han. Fonti cinesi
tegy, piano di investi- riferiscono di 197 vittime. Il Governo cinese
menti statali nelle regioni accusa il Congresso mondiale degli uiguri,
occidentali. Il Governo in- con sede in Germania, di fomentare le vio-
coraggia l’immigrazione lenze. Human Rights Watch ha documenta-
nelle zone meno popola- to 73 casi di uiguri arrestati dalla polizia
te, compreso lo Xinjiang. e scomparsi nei giorni seguenti alla rivolta.

2000 2009

1° gennaio. Viene approvata


la legge antiterrorismo. Il
Relatore speciale delle Nazio- 1° marzo, attacco alla sta-
ni Unite avverte che la vaga zione ferroviaria di Kun-
definizione di “terrorismo” ed ming. Terroristi uiguri
“estremismo” nel testo lascia uccidono 31 persone e
spazio alla criminalizzazione ne feriscono centinaia. L’e-
delle espressioni religiose pisodio è stato più volte
e alla profilazione delle mi- presentato dai media come
noranze etniche e religiose. “l’11 settembre della Cina”.

2016 2014
8 luglio. Gli ambasciatori di 22 Paesi, tra i qua-
li Australia, Canada, Francia, Germania, Giap-
pone e Regno Unito (l’Italia no) inviano una
lettera al Consiglio per i diritti umani del- 17 giugno. Il Con-
le Nazioni Unite, condannando il trattamento gresso degli Sta-
delle minoranze etniche nello Xinjiang e chie- ti Uniti approva lo
dendo la chiusura dei campi di internamento. Uyghur Human Ri-
Pochi giorni dopo, 37 Paesi, tra cui Arabia Sau- ghts Policy Act, che
dita, Corea del Nord, Egitto, Filippine, Iran, chiede al Governo
Nigeria, Pakistan, Russia e Siria, tutti lega- di imporre sanzio-
ti alla Cina da forti relazioni economiche, ri- ni alla Cina per le
spondono con una lettera a sostegno delle violazioni dei diritti
politiche governative cinesi nello Xinjiang. umani nello Xinjiang.

2019 2020
internazionali

Accendere luci nell’oscurità


L’impegno del movimento Magis per i giovani
del Myanmar

Gillian Donoghue
Development Officer – Missione Gesuita del Myanmar
<mynsjdo@gmail.com>

asia ● diritti umani ● gesuiti ● giovani ● movimento giovanile ● myanmar ● politica


internazionale ● societa civile ● solidarietà ● spiritualita ignaziana

I timidi passi del cammino di democratizzazione del Myanmar sono


stati bruscamente interrotti il 1° febbraio del 2021 da un brutale colpo di
Stato militare. I giovani, che costituiscono la maggioranza della popo-
lazione del Paese, pagano il prezzo più alto per la repressione militare
e per la crisi economica e sociale innescata dalla pandemia. Il Magis, un
movimento giovanile di ispirazione ignaziana, rappresenta per loro una
luce nell’oscurità dei tempi difficili che il Myanmar sta attraversando.
Quali sono le maggiori sfide che i giovani birmani stanno incontrando?
Come la proposta del Magis può aiutarli a farvi fronte e a guardare al
futuro con speranza?

L
a Repubblica dell’Unione del Myanmar è tornata alla ribalta delle
cronache mondiali il 10 gennaio 2022 con la notizia della condanna
di Aung San Suu Kyi, ex “consigliere di Stato”, a quattro anni di re-
clusione, con l’accusa di importazione e possesso illegale di walkie-talkie e
violazione delle disposizioni per contenere i contagi da coronavirus. Premio
Nobel per la pace nel 1991 e leader della National League for Democracy
(NLD, Lega nazionale per la democrazia), Aung San Suu Kyi, per la sua
opposizione al regime, era stata agli arresti domiciliari più volte tra il 1989
e il 2010, per un totale di 15 anni di detenzione, e vi era tornata dopo il
1º febbraio del 2021, quando il potente esercito birmano, il Tatmadaw,
rovesciando il Governo con un colpo di Stato, ha di fatto reinstaurato nel

Questo articolo rientra nella collaborazione esistente tra la Rivista e la Fondazione MAGIS.
Adattamento e traduzione dall’originale inglese a cura di Cesare Sposetti SJ.

118 • Aggiornamenti Sociali febbraio 2022 (118-125)


internazionali

Paese la dittatura militare, sbarrando di colpo la strada a un, pur precario,


cammino di democratizzazione.
In un clima di repressione sempre più violenta, aggravato da una
crisi economica ormai inarrestabile e dalla pandemia da COVID-19 fuo-
ri controllo, sono i giovani, che
rappresentano anche demogra- Il Magis
ficamente la maggioranza della
Il termine magis (in latino “di più”,
popolazione birmana, a pagare il espressione ricorrente nel libretto degli
prezzo più alto. Non sono messe a Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola)
rischio solo la loro vita e incolumità, dà il nome a diversi movimenti giovanili
ma anche le loro speranze e la capa- promossi dalla Compagnia di Gesù in
cità di dare un senso al loro futu- tutto il mondo, volti ad accompagnare
i giovani in un cammino di crescita
ro. È in questo non facile contesto
personale e nella loro relazione con Dio,
che il movimento Magis e i gesuiti attraverso pellegrinaggi, ritiri, esperienze
in Myanmar si stanno mettendo di condivisione, di servizio, di inserimento
in gioco per aiutare i giovani, pro- in contesti di povertà, ecc.
venienti dal variegato mosaico di
gruppi etnici ed appartenenze religiose che compongono il Paese, a vivere
questo tempo di crisi e ad aprire loro nuove prospettive di impegno e di
vita.

Il Myanmar, tra democrazia e repressione


Il Myanmar ha una storia travagliata. Dal 1962, quando ottenne l’in-
dipendenza dall’Impero britannico, fino al 2011 ha sofferto decenni di
oscurità e isolamento, conosciuti come la “via birmana al socialismo”,
un’ideologia imposta da una brutale dittatura militare. Tale regime ha
trasformato uno dei Paesi più prosperi dell’Asia in uno dei più poveri del
mondo, lasciando una pesante eredità di povertà diffusa, di violazione dei
diritti fondamentali, di discriminazione delle popolazioni indigene e di
grave carenza di infrastrutture sanitarie ed educative.
Nel 1962, tra le altre misure prese, il regime militare nazionalizzò le
scuole e le cliniche della Chiesa cattolica ed espulse preti e religiosi, insieme
agli altri stranieri. Per i successivi sei decenni, il Myanmar fu isolato dal
resto del mondo e la povertà e i conflitti aumentarono. Le etnie non bir-
mane, che comprendono circa il 30% della popolazione, hanno sop-
portato maggiormente il peso della dittatura. Nelle zone in cui vivono i
gruppi etnici minoritari, gruppi armati locali e l’esercito del Myanmar sono
da allora coinvolti nella più lunga guerra civile tuttora in corso al mondo.
Nel 2011 è iniziato un lento processo di riforma, quando il regime
militare è stato sostituito da un Governo civile guidato da Aung San
Suu Kyi. Questo ha rappresentato il primo passo di un fragile cammino
verso la democrazia, salutato con generale entusiasmo dalla popolazione.

Accendere luci nell’oscurità • 119


Il cambiamento, di cui sono stati
Il Myanmar, Stato multietnico
protagonisti soprattutto i giovani,
La Costituzione del Myanmar riconosce è arrivato rapidamente. Fino alla
135 diversi gruppi che fanno capo a 8 metà degli anni 2000, l’accesso a
grandi ceppi etnici, anche se le etnie sono Internet o ai telefoni cellulari era
più numerose. I bamar, circa un terzo della
riservato ai più ricchi. Nel 2008,
popolazione, sono il gruppo maggioritario,
che controlla l’esercito e il Governo. Le altre una scheda SIM poteva ancora
sette etnie sono i chin, i kachin, i karenni, costare diverse centinaia di dolla-
i karen, i mon, i rakhine e gli shan. Il Paese ri. Nel 2014 però le compagnie di
è suddiviso in sette Stati, ciascuno con telecomunicazione internazionali
il nome dell’etnia che lo abita, e in sette sono entrate nel Paese e i prezzi
Regioni, per lo più abitate dai bamar. Per
un approfondimento sulla storia recente
sono crollati: dopo 60 anni di
del Myanmar, cfr i due articoli di Boario censura e di limitati contatti con
M. – Gaspari M. – Sartorelli L., «La svolta il mondo esterno, la popolazione
democratica nel Myanmar di Aung San Suu birmana poteva improvvisamen-
Kyi», in Aggiornamenti sociali, 5 (2016) 400- te accedere alla Rete mondiale.
410 e «L’identità negata dei rohingya», in
Con l’apertura dell’economia, le
Aggiornamenti sociali, 4 (2018) 289-298.
restrizioni alle importazioni furo-
no allentate, con una conseguente
diffusione dei beni di consumo mai sperimentata in precedenza. Le infra-
strutture pubbliche di base migliorarono, gli investimenti stranieri aumen-
tarono, furono creati più posti di lavoro e i turisti stranieri cominciarono
ad affluire per scoprire la misteriosa “Terra dorata”. In tutto il Paese si
diffuse la speranza reale che decenni di oscurità avrebbero lasciato il
posto alla promessa di una nuova luce.
Ma la pandemia globale prima e l’improvviso colpo di Stato militare poi
hanno interrotto il lungo cammino del Myanmar verso la democrazia.
Nel 2020, quando la COVID-19 è arrivata nel Paese, il cui sistema sanitario
pubblico è tra i più poveri al mondo, il Governo di Aung San Suu Kyi ha
agito rapidamente. Scuole e università sono state chiuse e gli studenti sono
stati mandati a casa, ma il lockdown ha avuto effetti devastanti. Quando
l’impatto economico della pandemia ha cominciato a farsi sentire, gli stu-
denti hanno visto svanire le loro speranze di ricevere una buona istruzione
e di un futuro impiego. La povertà di ampi strati della popolazione si è ag-
gravata, migliaia di persone sono rimaste confinate in baraccopoli affollate,
incapaci di lavorare e di sfamare le loro famiglie. Con le frontiere chiuse,
l’economia è crollata, le provviste si sono prosciugate, le fabbriche hanno
chiuso e oltre il 70% della forza lavoro è rimasta disoccupata.
Eppure i cittadini hanno mostrato una grande resistenza nell’affron-
tare la pandemia e il suo impatto. In molti hanno condiviso cibo e me-
dicine e si sono presi cura degli anziani e dei più vulnerabili. Le rapide
azioni del Governo hanno impedito un’impennata dei casi di COVID-19
e appena possibile si è dato inizio alla campagna vaccinale. Le elezioni

120 • Gillian Donoghue


internazionali

dell’8 novembre 2020 sono state vissute da molti con grande speran-
za. Milioni di giovani hanno potuto votare per la prima volta e hanno
dichiarato in modo schiacciante il loro sostegno al Governo di Aung San
Suu Kyi, garantendo al suo partito, la NLD, 258 dei 315 seggi elettivi della
Camera dei Rappresentanti e 138 dei 161 seggi elettivi della Camera delle
Nazionalità.
Il 1° febbraio 2021, proprio mentre si progettava di riaprire le scuole e
le imprese e di ricostruire l’economia, il colpo di Stato militare ha fatto
precipitare il Myanmar ancora una volta nell’oscurità. Nessuno era
riuscito a prevedere questo evento, che ha colto alla sprovvista il Paese e il
mondo intero, che nei mesi successivi ha assistito a imponenti manifesta-
zioni di protesta contro il golpe. La risposta dei militari è stata brutale. Più
di 1.300 persone, per lo più giovani, sono state uccise dall’inizio del
colpo di Stato, e migliaia sono state arrestate, prelevate dalle loro case in
raid notturni. Segni di torture e violenze efferate sono stati riscontrati su
molti dei corpi ritrovati sepolti in fosse comuni improvvisate. Sono stati
uccisi adolescenti disarmati, colpiti da cecchini dell’esercito. I soldati han-
no preso il controllo delle strade, distruggendo, saccheggiando e brucian-
do. Nel tentativo di isolare nuovamente il Paese dal mondo e di tagliare il
flusso di informazioni da e verso l’esterno, il regime ha bloccato l’accesso
a Internet, rendendo sempre più difficile documentare le atrocità. Decine
di giornalisti sono stati arrestati e diversi media indipendenti sono stati
chiusi. Con il colpo di Stato, anche gli sforzi per proteggere la popolazione
dalla COVID-19 sono stati vanificati, poiché molti medici si sono uniti al
movimento di protesta e i militari hanno chiuso molti ospedali. I contagi
sono aumentati e molte migliaia di persone sono morte. Anche la campa-
gna vaccinale è al momento in stallo. Il collasso economico e i raccolti persi
hanno ridotto la popolazione alla fame. Il Myanmar è sull’orlo di una
tragedia umanitaria: l’ONU prevede che quasi la metà dei 54 milioni di
abitanti del Myanmar potrebbe cadere in povertà estrema. Il conflitto ar-
mato inoltre si sta intensificando per tutto il Paese e dopo il colpo di Stato
si registrano oltre 200mila sfollati.

I giovani del Myanmar: un’emergenza nell’emergenza


Subito dopo il golpe, sono stati soprattutto i giovani a riversare sui
social media la loro rabbia e frustrazione. In seguito, milioni di persone di
tutte le etnie, religioni, culture ed età sono scese in strada per protestare
pacificamente in centinaia di villaggi e città in tutto il Paese.
Metà della popolazione del Myanmar ha meno di 30 anni ed è con-
vinta di essere stata derubata del proprio futuro dal colpo di Stato.
I giovani birmani, in particolare la cosiddetta “Generazione Z”, sono in
prima linea nelle proteste, usando i social media e i telefoni cellulari per

Accendere luci nell’oscurità • 121


documentare le violenze, per coordinarsi e sfuggire alla repressione. Ricor-
dano di essere cresciuti durante la dittatura militare, hanno sperimentato
la sofferenza dei loro genitori e si oppongono al ritorno di quei giorni bui.
Dopo dieci anni di un cammino di democratizzazione pieno di speranza,
pur con tutti i suoi limiti, hanno intravisto un futuro migliore, e non sono
disposti a tornare indietro. Hanno un forte desiderio di democrazia, e recla-
mano ciò che ritengono sia loro di diritto. È divenuto celebre uno dei loro
slogan contro i militari: «Vi siete messi contro la generazione sbagliata».
Quando l’anno scorso la pandemia ha costretto milioni di studenti a
rientrare nei villaggi d’origine, lontano da insegnanti e amici, per studiare e
incontrarsi virtualmente con i compagni di classe potevano usare solo i loro
cellulari. Ora, con il blocco del traffico dei dati, è stata negata loro anche
questa possibilità. Separati dalle loro reti di supporto e privi di altri canali
di socializzazione, molti giovani rischiano di essere risucchiati dal fioren-
te mercato della droga, gestito dalla criminalità organizzata. L’eroina e le
anfetamine sono disponibili ovunque, ed è facile cedere alla tentazione di
diventare consumatori o spacciatori. Ma se la speranza diminuisce e i rischi
aumentano, diventano sempre più numerosi quanti si sentono spinti a unirsi
alla resistenza armata vivendo in clandestinità, dichiarando apertamente di
essere pronti a morire piuttosto che sottomettersi di nuovo alla dittatura.

Il movimento Magis in Myanmar


In questo difficile contesto, i gesuiti in Myanmar si sono impegnati
per alleviare le sofferenze dei più poveri grazie all’aiuto di molti giovani,
che si sono offerti volontari per distribuire cibo e presidi sanitari, hanno
gestito un centro medico, si sono presi cura dei malati di COVID, hanno
visitato le baraccopoli della città e offerto aiuto ai più disperati. I gesuiti in
Myanmar vedono i giovani come un forte segno di speranza nell’attuale

I progetti della Fondazione MAGIS

La Fondazione MAGIS possono acquisire maggiori competenze


sostiene le attività per una leadership etica basata su
educative della valori di giustizia, comunità, missione
Missione dei Gesuiti e spiritualità. Inoltre, la Fondazione
in Myanmar (Myanmar Jesuit Mission) MAGIS, grazie anche al supporto della
attraverso il programma Magis Youth per Provincia Euro-Mediterranea, ha istituito
accompagnare i giovani più vulnerabili un fondo emergenza a sostegno delle tre
in un percorso solidale e condiviso di scuole dei gesuiti a Yangon e Taunggyi,
consapevolezza delle sfide sociali e attualmente in difficoltà a causa
ambientali, aiutandoli a comprendere il dell’emergenza COVID-19, ma anche per
senso del servizio per gli altri e l’adozione l’estrema insicurezza e instabilità politica
di buone pratiche ecologiche. Attraverso che sta vivendo il Paese e che mette a
lo scambio e il confronto, i giovani rischio il futuro dei giovani del Myanmar.

122 • Gillian Donoghue


internazionali

catastrofe del Paese e i gruppi e le attività del Magis sono diventati lo


strumento concreto per accompagnarli in questa fase delicata.
Sin dal loro ritorno in Myanmar nel 1997, dopo l’espulsione dei mis-
sionari del 1962, i gesuiti hanno fatto dei giovani una priorità, fondando
scuole e istituti di formazione. Tre anni fa, un piccolo gruppo di gesuiti
in formazione si è recato in Cambogia per un incontro del Magis. Ispirati
dall’esperienza, sono tornati in Myanmar determinati a condividerla con
altri giovani e hanno formato i primi gruppi Magis, che hanno cominciato
a incontrarsi regolarmente nelle città di Yangon e Taunggyi. L’introduzione
del programma in Myanmar ha fornito un modo nuovo ed entusiasmante
per coinvolgere i giovani in un cammino spirituale e di giustizia sociale, al
di fuori degli ambienti educativi più formali, indipendentemente dall’etnia
e persino dall’appartenenza religiosa.
Attraverso il programma, i giovani concretizzano le preferenze apo-
stoliche universali (PAU) della Compagnia di Gesù: cercare insieme Dio
attraverso gli esercizi spirituali, camminare con gli emarginati, costruire
un futuro pieno di speranza per i giovani e proteggere il creato. Prima
della pandemia, nelle città di Taunggyi e Yangon i leader del Magis, sia
gesuiti sia laici, organizzavano attività per adolescenti e bambini due volte
a settimana. Durante le vacanze scolastiche, i giovani del Magis viaggia-
vano in diverse diocesi del Myanmar, spesso in aree remote e difficili da
raggiungere, per animare campi estivi e presentare la spiritualità ignaziana
ai loro coetanei. Negli ultimi anni i gruppi Magis hanno aiutato i giovani
a vivere le PAU in Myanmar in modo semplice e pratico: piantando alberi,
promuovendo attività di pulizia dell’ambiente nelle loro comunità locali,
visitando i malati e gli anziani, donando il sangue nelle cliniche locali,
prendendosi cura dei bambini disabili e servendo nelle mense per i poveri.
I giovani del Magis apprendono così un modello di leadership im-
prontata al servizio, ricevendo la formazione necessaria per diventare
agenti di cambiamento nelle loro comunità. Camminano per diventare
«uomini e donne per gli altri», per usare un’espressione cara a Pedro Ar-
rupe, superiore generale dei gesuiti dal 1965 al 1983.
Nel gennaio 2021, poco prima del colpo di Stato, oltre 40 giovani hanno
partecipato a un incontro online sull’ecologia, nel quale alcuni esperti han-
no dato il loro contributo sui temi della Laudato si’ e sulla crisi ecologica in
Myanmar e ogni partecipante si è impegnato a crescere nella consapevolezza
ecologica e nella cura della casa comune. Finché la connessione Internet lo ha
permesso, gli incontri Magis online hanno continuato a tenere i giovani in
contatto. Attraverso le chat, hanno potuto sostenersi e incoraggiarsi a vicenda
e rafforzare il senso di comunità. Questi incontri sono stati un’occasione pre-
ziosa per condividere le loro condizioni, i sentimenti, le sfide e il modo in cui
ciascuno stava affrontando l’isolamento dovuto alla pandemia, le difficoltà
economiche e quelle dovute al contesto politico.

Accendere luci nell’oscurità • 123


Mantenere viva la speranza
Anche se il Myanmar scivola sempre di più verso una condizione di ca-
os sociale, economico e politico e il regime militare getta un’ombra pesante
sul Paese, i giovani non sono stati messi a tacere. Le restrizioni imposte
a Internet non hanno impedito loro di connettersi e comunicare. La morte
di centinaia di loro coetanei non li ha spinti a nascondersi. L’arresto e la
tortura di migliaia di manifestanti non li hanno fatti arretrare. Sanno che
un Myanmar libero e più giusto è possibile, e hanno dimostrato coraggio
e determinazione nel resistere al colpo di Stato. Hanno messo da parte le
differenze etniche, culturali e religiose e si sono uniti per proteggere i loro
sogni per un futuro diverso, trovando modi creativi per protestare pacifi-
camente. Prima della chiusura di Internet, i giovani del Magis e i gesuiti
in formazione hanno tenuto un dialogo online con il gesuita statunitense
James Martin, discutendo su come trovare conforto e chiarezza spirituale
in mezzo alle continue violenze in Myanmar e più di 300 persone dentro
e fuori il Paese si sono riunite online per manifestare la propria vicinanza
e solidarietà al popolo birmano.

Un’esperienza Magis (aprile 2019)

Sorge il sole sulle montagne boscose stanotte. Per i successivi tre giorni
dello Stato Shan, in Myanmar, dovranno dipendere l’uno dall’altro
asciugando la rugiada delle foreste. e dalla generosità delle persone che
Un gruppo di amici si sveglia all’alba e incontreranno sul loro cammino. Sotto il
si alza dalle stuoie di bambù stese sul sole cocente di mezzogiorno, il gruppo
duro pavimento di cemento. Piegano in arriva a destinazione in un luogo che
silenzio le loro coperte prese in prestito la maggior parte della gente del posto
e stirano i loro arti ancora rattrappiti evita accuratamente: un gruppo di
dal sonno. Una tazza di tè li riscalda baracche costruite accanto a una vasta
e dà loro la forza per incamminarsi discarica comune. Solo i più poveri tra
silenziosamente nella mattinata i poveri vivono qui. Sono i “raccoglitori
nebbiosa. I nove giovani provengono di rifiuti”, uomini, donne e bambini che
da diverse parti del Paese e si sono sopravvivono raccogliendo dalla discarica
incontrati solo pochi giorni prima. Da plastica, metalli, cartone e altri materiali
quando sono arrivati alla Faber House, riciclabili da vendere. Trascorrono le loro
la casa dei gesuiti nella città di Taunggyi, giornate rovistando tra la spazzatura,
hanno vissuto con un centinaio di altri lavorando in condizioni spaventose nella
coetanei condividendo cibo, preghiere, speranza di guadagnare un paio di dollari
speranze, paure e sogni. per procurarsi il cibo per la giornata. I
Stamattina partono per iniziare un bambini scavano scalzi, tra cani randagi,
pellegrinaggio molto particolare. Portano ratti e scarafaggi. Alcuni si coprono naso
con sé solo lo stretto necessario, e si e bocca con uno straccio per tentare di
lasciano alle spalle telefoni cellulari difendersi dall’odore nauseabondo.
e denaro. Non sanno se potranno I visitatori sono rari in questa parte del
mangiare oggi, né dove dormiranno Myanmar e gli abitanti del villaggio sono

124 • Gillian Donoghue


internazionali

La crisi è tuttora in corso ed è difficile prevederne l’esito, ma certamente


quando la violenza militare si placherà, i giovani del Myanmar avran-
no bisogno di rielaborare gli eventi che hanno vissuto e ricostruire i
loro sogni infranti. In molti stanno lottando per affrontare il trauma degli
ultimi mesi, sono in condizioni di vulnerabilità e preoccupati per il futuro.
Il Magis Myanmar si sta adoperando per tenere i giovani birmani in
contatto tra loro, continua le sue attività formative e soprattutto prepara
la strada per il momento in cui si dovrà pensare insieme alla ricostruzione.
Alcuni di loro avranno bisogno di uno spazio per riflettere e ripensare le
loro vite, altri di conforto e cure e tutti sentiranno la necessità di ritrovare
la propria comunità e un buon supporto spirituale. Questi giovani hanno
imparato che possono superare le paure e lavorare per il cambiamento.
Ispirati dalla spiritualità ignaziana, vogliono “fare di più”, impegnarsi per
un magis nel loro impegno per la società. Forti delle esperienze vissute e del
supporto di una comunità con cui hanno imparato a camminare, condivi-
dono valori fondamentali, sanno riconoscere una buona leadership, e sono
pronti a donare e a donarsi con generosità e speranza, pur nell’incertezza
che ancora avvolge il loro futuro.

curiosi di sapere perché dei giovani Molti sono stati toccati dall’ospitalità
sono venuti fin lì. Loro spiegano di voler che è stata loro offerta. Una delle
passare del tempo con i raccoglitori partecipanti racconta: «Abbiamo dovuto
di rifiuti e di volerli aiutare, in cambio mendicare e raccogliere rifiuti per tre
di una ciotola di riso e di un riparo per giorni. Solo facendo questa esperienza
una notte o due. Vogliono parlare con ho capito l’importanza del cibo. Mi
loro, condividere un po’ della loro vita, sono pentita delle volte in cui l’ho
almeno per qualche giorno. Anche se sprecato. Ora capisco cosa vuol dire
un po’ stupiti, gli abitanti del villaggio avere fame». Molti di loro hanno anche
accolgono il gruppo e, con la tipica potuto avvertire chiara la presenza di
generosità birmana, condividono quel Dio con loro, nelle varie espressioni
poco che hanno. Lo stesso giorno, delle loro fedi. Un giovane buddista che
partono dalla Faber House altri gruppi ha preso parte all’esperienza racconta:
per i loro pellegrinaggi, per condividere «La spiritualità ignaziana è veramente
la vita delle persone che vivono ai ricca e profonda. Va oltre il credo
margini della società; alcuni si dirigono religioso e le differenze culturali. Penso
verso cliniche per malati di lebbra, altri che tutti possano praticarla, trovare
verso case per bambini disabili. un senso per la propria vita e imparare
I pellegrini tornano alla base 72 ore ad essere agenti di cambiamento».
dopo, esausti, contenti di poter fare la Un’altra partecipante esprime infine la
doccia e mangiare un pasto caldo. Tutti sua gratitudine per l’esperienza vissuta:
hanno storie incredibili da raccontare «Attraverso il Magis abbiamo preso
e nelle ore successive la casa si riempie contatto con aspetti molto duri della
di resoconti vibranti ed entusiasti delle realtà. Grazie per la fiducia dimostrataci
esperienze e delle persone incontrate. nell’inviarci dai più poveri tra i poveri».

© FCSF - Aggiornamenti Sociali • 125


punti di vista

Misurarsi con la politica


Un cattolico racconta la sua esperienza

Ettore Rossi
Coordinatore del Laboratorio per la felicità pubblica di Benevento
<ettor.rossi@gmail.com>, @ettore_rossi_

cattolicesimo politico ● democrazia ● elezioni locali ● formazione socio-politica ●


impegno politico ● partecipazione politica ● rapporto chiesa-società

Il passaggio dalle scuole di formazione sociopolitica diocesane all’a-


gone elettorale è tutt’altro che scontato. Chi lo vive in prima persona
sperimenta non solo le difficoltà del calare l’ideale in una realtà poli-
tica complessa, ma anche, spesso, la mancanza di accompagnamen-
to da parte delle comunità cristiane che hanno favorito il nascere di
una vocazione. Quali sono le competenze da acquisire per fare politica
concretamente? Quanto preparano all’impegno sul campo le scuole
di formazione sociopolitica? Come le comunità cristiane possono ac-
compagnare i loro membri impegnati in politica?

P
er chi proviene dall’impegno in ambito ecclesiale e dall’aver preso par-
te a processi educativi e formativi relativi all’ambito sociopolitico, nel
ruolo sia di promotore sia di fruitore, il misurarsi in prima persona
con la dimensione della politica attiva, a partire dalla partecipazione alle
elezioni, mette a dura prova conoscenze, competenze e atteggiamenti acqui-
siti. È quanto ho sperimentato personalmente, quando ho presentato la mia
candidatura alle elezioni amministrative di Benevento nell’ambito di una lista
civica, creata con amici legati da un comune impegno ecclesiale e associativo,
e ho deciso di passare dall’ambito dell’impegno ecclesiale a quello politico.
Fino a quel momento, oltre alla mia attività professionale, sono stato per
diversi anni direttore diocesano dell’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro,
incarico da cui mi sono dimesso quando ho deciso di candidarmi, e sono
stato per tredici anni coordinatore di CIVES – Laboratorio di formazione
al bene comune, un’esperienza di educazione alla cittadinanza attiva molto
apprezzata nel territorio.

126 • Aggiornamenti Sociali febbraio 2022 (126-132)


punti di vista

Riflettendo sulla mia esperienza, ho cercato di ricavare elementi di


rilettura critica dei modelli formativi sperimentati e di formulare alcu-
ni spunti per aiutare chi si cimenta nell’agone politico a “reggere” il ruolo
del candidato o, più ampiamente, di organizzatore di una lista elettorale,
e poi, se eletto, a svolgere al meglio possibile l’incarico politico. Ritengo
infatti che chi ha già fatto un’esperienza politica, vissuta con passione e in
pienezza, sia una fonte imprescindibile a cui attingere per mettere a punto
iniziative più rispondenti alla realtà.
Volendo sintetizzare con un’espressione l’esperienza dell’immersione
nel mare tempestoso di una campagna elettorale, viene spontaneo dire:
«È tutto un altro mondo, un’altra cosa rispetto a quanto prefigurato
nei nostri percorsi formativi». La metafora del nuoto aiuta a comprendere
bene che solo gettandosi in acqua è possibile imparare a non annegare. A
questo proposito è molto efficace una frase di Massimo Gramellini: «Ci
vuole l’azione. Finché continui a rimanere a bordo vasca, a discettare sulla
temperatura dell’acqua, non riuscirai mai a nuotare. Cerca un trampolino,
chiudi gli occhi e tuffati» (Cuori allo specchio, Longanesi, Milano 2012).
Il desiderio di cimentarmi nell’azione politica è stato stimolato da un
interessante e profondo lavoro programmatico sulle problematiche e pro-
spettive della città di Benevento, che ha visto partecipi tanti esponenti di
diversi mondi. Ne è scaturito un manifesto che ha raccolto ampia condivi-
sione da parte di varie realtà della comunità locale.
La prima importante scoperta dopo essere entrato “nella mischia” delle
elezioni è che in poche settimane, come in un corso accelerato, si imparano
e si comprendono aspetti della politica che altrimenti sarebbero stati acquisiti
solo attraverso anni di approfondimenti. Un’affermazione del genere può
sembrare eccessiva, ma dà il senso di come per colmare il divario tra teoria
e pratica bisogna mettere a fuoco questioni ulteriori rispetto a quelle che
si affrontano nei nostri percorsi di formazione. È importante preparare
al meglio le persone che vogliono aprirsi all’impegno politico, per non farle
sentire disarmate nel momento in cui vi fanno ingresso. Il punto non è tanto
quello di “insegnare” la politica, quanto quello di formare politici.

1. Le competenze richieste sul campo


Premessa l’importanza cruciale di una adeguata formazione di base per
chi si impegna in politica, accanto alle competenze richieste per il ruolo
che si vuole rivestire e necessarie per intervenire sulle problematiche del
territorio, esistono alcune dimensioni importanti su cui lavorare.

a) Livello organizzativo
Riavvolgendo il nastro di quanto vissuto nell’affrontare la campagna
elettorale amministrativa, ne ripercorriamo le principali fasi: elaborare un
programma e allestire una lista, promuoverli e poi svolgere la campagna

Misurarsi con la politica • 127


elettorale in senso stretto da parte dei vari candidati. Per fare bene tutto que-
sto occorre un sistema organizzativo che non sia improvvisato, ma che
abbia una genesi remota. Ciò significa coinvolgere persone appartenenti a
vari ambienti della comunità locale a cui spiegare il progetto politico della
propria aggregazione o lista, chiederne il coinvolgimento in forma diretta od
ottenerne il sostegno. Nella concretezza ci si accorge, spesso in ritardo, che se
questi passaggi non vengono curati adeguatamente e nei tempi giusti, viene
compromesso o depotenziato tutto il lavoro programmatico messo in campo.
Sotto questo aspetto sono necessarie competenze organizzative e relazionali
di grande spessore da sviluppare nei momenti formativi.

b) Conoscenza sociologica del contesto di riferimento


Accanto ad approfondite analisi di carattere demografico, economico,
culturale e sociale in senso ampio, occorre avere un quadro dettagliato delle
dinamiche profonde che determinano l’espressione del consenso da parte dei
cittadini. Ciò richiede una segmentazione precisa dei gruppi sociali, anche in
correlazione con i quartieri e le aree in cui vivono. Soprattutto in realtà in cui
persistono grandi difficoltà economiche e scarse prospettive, è fondamentale
capire i meccanismi di dipendenza che nel tempo si sono instaurati tra
le persone e il potere politico o soggetti comunque percepiti come “for-
ti”. Ciò risulta essenziale per instaurare forme di dialogo che tengano conto
delle condizioni e aspirazioni reali di persone e famiglie e per avanzare pro-
poste che dicano qualcosa di veramente significativo per la loro vita.
Altrimenti il rischio è di un “dialogo tra sordi” che non suscita atten-
zione al merito delle proposte. La constatazione è che, se non si realizza
questo tipo di intesa proiettata verso un miglioramento in positivo delle
prospettive personali e comunitarie, le persone optano per l’accettazione
dell’esistente, preferendo la strada della ricerca di soluzioni individuali ai
problemi a quella di un’uscita comune dalle difficoltà.

c) Comunicazione
Connaturata all’attività politica, in tutte le sue fasi, è la comunicazione.
Quando si è dentro la campagna elettorale, ci si rende subito conto che
un candidato e una lista per esistere devono riuscire a essere visibili
e riconoscibili nel sistema locale dei media. Anche rispetto a questa
dimensione bisogna avere competenze, soprattutto per indirizzare l’atten-
zione verso determinati gruppi sociali e questioni specifiche.
Anche nel caso di campagne elettorali locali, con l’aiuto di un giorna-
lista disponibile si può costruire una buona strategia comunicativa senza
spendere troppo, ma che sia espressione del desiderio di rivolgersi agli elet-
tori con cuore e competenza. Nella dinamica di una campagna elettorale
bisogna inoltre imparare a fare squadra, sia nella fase elaborativa e pro-
grammatica sia in quella dell’esposizione pubblica. Intorno alla persona

128 • Ettore Rossi


punti di vista

di riferimento – il capolista o il candidato – è utile avere una pluralità di


voci che, quando necessario, la sottraggano alla polemica spicciola, o la
“proteggano” nelle situazioni di confronto più duro.

d) Progettualità
La sfera politica, che appartiene alla dinamica della solidarietà “di
lungo termine”, richiede che le idee e le proposte vengano tradotte in
misure e progetti anche economicamente sostenibili, con la chiara in-
dividuazione delle risorse, e con strumenti di valutazione dei risultati.
L’esperienza concreta consente anche di capire che l’approccio proget-
tuale deve essere a stretto contatto con la condizione reale delle persone e
della comunità. Questo è un tratto ben presente in chi è attivo nelle realtà
ecclesiali e nell’associazionismo, attento in particolare alla condizione delle
persone più deboli che vivono nel territorio e alla ricerca di risposte dirette
da dare. Il rischio di concentrarsi troppo sull’elaborazione del pensiero
strategico è di sottovalutare l’importanza anche di cose piccole, che però
contano molto nella vita delle persone. Il consenso lo si conquista anche
impegnandosi, come candidato, a creare una fermata in più per il bus o
a farlo arrivare in zone non coperte, a illuminare una zona periferica, a
sistemare tratti di strada malmessi nelle contrade o a dare vita a un centro
giovanile in un quartiere che ne è sprovvisto.
Queste competenze sono certamente da acquisire e sperimentare, in for-
ma laboratoriale, nei percorsi formativi sociopolitici diocesani, per aiutare
i futuri candidati a esprimerle anche nel momento elettorale, dimostrando
una capacità programmatica che a livello locale, molto spesso, manca.

e) Raccolta fondi
La realizzazione di una campagna elettorale, soprattutto in un caso
come il nostro, che ha implicato l’allestimento di una lista civica il cui
simbolo non era conosciuto in precedenza, richiede la disponibilità di fondi
per l’organizzazione di eventi, a cui aggiungere un minimo di risorse per
promuovere la candidatura personale. Pur avendo fatto con convinzione
la scelta di uno stile sobrio (preferendo, per esempio, fare iniziative in bar
e in spazi aperti, piuttosto che in sale convegni costose), l’esperienza fatta
nel corso della campagna elettorale ci ha mostrato quanto sia importante
attrezzarsi in anticipo per acquisire competenze adeguate sotto l’aspetto
della raccolta fondi. In particolare, ci siamo resi conto dell’utilità di chie-
dere poco a un numero possibilmente ampio di sostenitori.

f) Competenze tattiche
Oltre alla visione strategica, occorre anche la capacità tattica. La nostra
cultura ci porta spesso a dare quasi esclusivo valore al piano globale, alla
presentazione del progetto. Meno allo svolgersi quotidiano della campa-

Misurarsi con la politica • 129


gna, alla tattica da portare avanti, e a seguire con “furbizia cristiana” le
mosse dei propri avversari per individuarne gli aspetti di debolezza e
gli inganni, soprattutto di chi detiene il potere. La campagna elettorale
è una battaglia pacifica, ma ci obbliga al sano combattimento, avendo cura
di non tradire i nostri principi.

2. Il mondo cattolico e i credenti che scelgono di fare politica


Per quanti decidono di impegnarsi in politica e candidarsi sulla base
dell’adesione alla dottrina sociale della Chiesa, in molti casi dopo aver
ricoperto ruoli in ambito ecclesiale o associativo, si pone la questione del
rapporto con il cosiddetto mondo cattolico, nella temperie particolare della
campagna elettorale.
L’impegno politico è certamente una scelta personale che non deve
coinvolgere la Chiesa locale di appartenenza. E quando un cattolico in-
traprende questo servizio nella vita pubblica lo fa sulla base della propria
autonomia. Nessun cristiano può pretendere di rappresentare l’autorità
spirituale della Chiesa.
Ma in molti casi si verifica una situazione per certi versi paradossale.
Colui che fa una scelta politica, al di là dei rapporti umani e di amicizia
che naturalmente non si cancellano,
«L’autonomia è la nostra assunzione viene considerato un estraneo,
di responsabilità, è il nostro correre come se la sua scelta non rappre-
da soli il nostro rischio, è il nostro sentasse una forma di servizio alla
modo personale di rendere comunità, la più alta forma di ca-
un servizio e di dare, se è possibile, rità, come amiamo ripetere in tutti
una testimonianza dei valori i nostri incontri. Nella campagna
cristiani nella vita sociale». elettorale chi si candida prova a volte
Aldo Moro, Relazione all’VIII Congresso un sentimento di spaesamento, nel
Nazionale della Democrazia Cristiana, senso letterale del termine: ci si sente
27 gennaio 1962 senza paese, o senza più la propria fa-
miglia, scoprendosi orfani. In questo
momento storico, tale situazione è attribuibile al fatto che la realtà ecclesiale
italiana ancora non ha maturato un rapporto generativo con la politica e con
quanti, al suo interno, decidono di dedicarsi al bene comune.
Risultano allora importanti anche sotto questo aspetto competenze e at-
teggiamenti per gestire le relazioni con la comunità ecclesiale di riferimento,
non per ottenerne il sostegno in termini di voti, quanto per essere accom-
pagnati e incoraggiati in un’esperienza non facile. Il senso di estraneità che
molti provano ricorre in tante esperienze e in molti luoghi. Ecco perché sa-
rebbe utile prestarvi attenzione nei nostri percorsi formativi. Se è assodata da
tempo la questione che non vi è un’unica opzione politica relativamente alla
collocazione dei cattolici nei diversi schieramenti, ciò non dovrebbe valere
per quanto riguarda la vicinanza della comunità a chi si impegna.

130 • Ettore Rossi


punti di vista

La vocazione alla politica attiva, per noi cristiani, non rappresenta una
scelta meramente individuale, ma un impegno a incarnare e rappresen-
tare valori e dimensioni autenticamente comunitari. In tale prospettiva,
la parrocchia, il gruppo o l’associazione sono chiamati a essere re-
sponsabili di questi cristiani impegnati, non isolandoli ma affiancandoli
e sostenendoli, indipendentemente dal votare o meno per loro. Soprattutto
la comunità dovrebbe farsi carico di coltivare una dimensione di spiritua-
lità profonda, a cui possano attingere quanti hanno ruoli politici attivi e
quanti, pur non eletti, continuano la loro presenza nella comunità.
Quando si parla di accompagnamento della comunità cristiana verso
chi s’impegna, si possono immaginare forme di sostegno, momenti con-
divisi sia spirituali sia di orientamento, rispetto agli aspetti più duri dell’e-
sperienza politica, come la valutazione delle conseguenze dell’esercizio del
potere, il vivere situazioni di particolare conflitto o il trovarsi di fronte a
dilemmi etici nelle decisioni da prendere. Contestualmente sarà cruciale
una formazione all’aspetto comunitario in collegamento ideale con i cri-
stiani che scelgono la politica, nonché la preparazione di animatori che sia-
no in grado, nei diversi ambienti, di far crescere un clima di fiducia intorno
a queste persone. Tutto è più comprensibile se pensiamo che chi scende in
campo porta con sé un pezzo della propria comunità di appartenenza.
Più nello specifico, in considerazione del fatto che la dimensione politi-
ca a cui facciamo riferimento è locale, potrebbe essere molto utile che le co-
munità parrocchiali prendessero l’abitudine di invitare a momenti assem-
bleari su temi sociali del proprio territorio cattolici impegnati in politica,
per ascoltare la loro lettura dei problemi e le relative proposte, instaurando
con loro un confronto costante. Si tratta di una modalità che terrebbe
aperto un canale di dialogo e di ascolto con quanti si impegnano politica-
mente, facendoli sentire parte integrante della comunità, stimolando una
condotta coerente rispetto ai principi della dottrina sociale della Chiesa,
e soprattutto dimostrando stima verso di loro, al di là dell’adesione a una
determinata linea politica.

3. Il rapporto con l’esito elettorale


La preparazione a una competizione elettorale e l’esserne protagonisti a
vari livelli richiedono un grande investimento emotivo e di esposizione per-
sonale nella propria comunità, a volte anche rispetto alle relazioni con quanti
hanno fatto scelte di schieramento diverse o sostengono posizioni differenti.
Rispetto a questo, l’esito del voto ha un impatto personale e di significato
diametralmente opposto se si è stati eletti, se la propria coalizione ha vinto, o
se non si è stati eletti e il proprio raggruppamento è stato sconfitto.
Chi si trova a provare l’ebbrezza della vittoria è chiamato a con-
frontarsi con le seduzioni del potere, piccolo o grande che sia, rischiando
di perdere il contatto con la vita e i problemi delle persone che si è chia-

Misurarsi con la politica • 131


mati a rappresentare o ad amministrare. In questo caso si pone il tema
importante del dominio di sé. È molto importante riflettere anche sulla
condizione di chi non ce l’ha fatta. Una prima questione, che investe chi
prova il sapore amaro della sconfitta, è fare i conti con il significato dell’in-
successo, che va molto al di là dell’aver perso in un’accezione sportiva: si
tratta di non essere riusciti a far succedere ciò che ci si era prefissi con le
proprie proposte e il proprio programma, o almeno a porre le premesse
perché accadesse. Al netto della rilettura della campagna elettorale e della
individuazione di errori pratici, l’aspetto più insidioso della sconfitta è
il senso di frustrazione, che può spingere a mollare tutto e a rassegnarsi
a un disimpegno dalla politica.
Senza indulgere a una vocazione allo “sconfittismo”, nelle campagne
elettorali e in politica contano gli stili e i comportamenti corretti. Per noi
cristiani le azioni che compiamo dicono ciò che vogliamo essere e non ciò
che vogliamo avere, a qualunque costo. Ecco, allora, l’importanza di per-
severare nell’impegno. Ciò che gli elettori non hanno compreso del nostro
modo di fare e vivere la politica, se spiegato e testimoniato nel tempo, potrà
essere colto alla prossima occasione. È doveroso, quindi, coltivare la virtù
della perseveranza. Traggo questa convinzione anche dalla mia esperienza
di candidato in una campagna elettorale. Ho incrociato tante persone che
mi hanno augurato un buon risultato elettorale perché, a loro dire: «Abbia-
mo bisogno di persone capaci e perbene come te». Al che mi sono sentito
autorizzato a chiedere che mi votassero, e in molti casi mi sono sentito
rispondere: «Con grande dispiacere non posso farlo, perché un mio paren-
te si è candidato o c’è un amico a cui non posso dire di no». Riflettendo
su questa situazione, acquista allora importanza riuscire a spingere più in
profondità il confronto sugli argomenti decisivi per superare scelte di mera
opportunità. Ecco la necessità di insistere, senza cedere alla tentazione di
abbandonare – la prova dura e vera a cui siamo sottoposti –, perché vi sono
tante persone che potenzialmente sono disponibili ad accogliere proposte
convincenti avanzate da chi può offrire una storia di vita coerente.
Al di là dell’esito della campagna elettorale, è bene non dimenticare infi-
ne che si fa politica anche fuori dal Consiglio comunale. Un osservatorio
permanente che continui a offrire proposte fattibili, valuti l’azione della giun-
ta comunale e della maggioranza è quanto mai utile per testimoniare che il
progetto presentato non è un documento scritto, ma un cantiere aperto che
continuerà sulle piazze della città. Si tratta di una scelta in un certo senso
ancora più importante di quella della partecipazione alle elezioni, perché
testimonia la perseveranza rispetto a un percorso politico e rappresenta l’op-
portunità di impostare in maniera più profonda l’attenzione ai problemi del
territorio e ai rapporti con quanti vi vivono. Potrebbe essere anche l’occasione
per mettere a frutto le riflessioni maturate e qui evidenziate, colmando le
lacune di competenze emerse e dimostrando di sapere imparare dagli errori.

132 • © FCSF - Aggiornamenti Sociali


letture&visioni

#istituzioni
a cura di Mauro Bossi SJ

La legge della fiducia I libri che proponiamo cercano


Tommaso Greco di scavare i significati sociali
Istituzione delle istituzioni, particolarmente
Roberto Esposito la dimensione della fiducia,
senza la quale la vita associata
Ariaferma sarebbe impossibile, e il compito
regia Leonardo Di Costanzo
istituzionale di “istituire” e dare
forma alla vita dei cittadini. Da
ultimo, il film Ariaferma propone
Viviamo in un tempo di crisi delle una storia che, a partire da una
istituzioni, che è soprattutto situazione di crisi istituzionale,
una “crisi di senso”, una fatica mette in gioco la capacità di una
nel dare significato alle forme comunità umana di tenere vivo
del vivere insieme, quali le un tessuto di valori che dà senso
conosciamo oggi. alla convivenza tra diversi.

Tommaso Greco

La legge della fiducia


Alle radici del diritto

Laterza, Bari-Roma 2021


pp. 169, € 14

P erché rispettiamo le nor-


me anti-Covid? Per senso
di responsabilità o per timore di
sanzioni? È più efficace investire
nell’informazione sui rischi del vi-
rus o adottare misure più stringen-
ti per obbligare i cittadini a vacci-
narsi? Queste domande, che tutti
ci siamo posti negli ultimi due an- Punto di partenza è la critica al
ni, presuppongono una riflessione “machiavellismo giuridico”, cioè
sulla natura e sulle funzioni del di- quella concezione, secondo la
ritto, che Tommaso Greco, docente quale l’azione del legislatore par-
di Filosofia del diritto all’Università te dal presupposto che l’essere
di Pisa, svolge in questo libro. umano sia sempre egoisticamente

Aggiornamenti Sociali febbraio 2022 (133-144) • 133


motivato e che, pertanto, la sua ca, senza i quali la vita sociale sa-
condotta possa essere indirizzata rebbe impossibile. Se accettiamo le
solo dalla minaccia della punizio- premesse della “prospettiva sfidu-
ne: questo sarebbe allora lo scopo ciaria”, i legami di fiducia e il senso
delle norme giuridiche. Si tratta di di responsabilità non potranno mai
una cultura giuridica fondata su essere presi in considerazione e
una visione antropologica pessimi- questo, sul piano antropologico,
sta, sostenuta da autori come Ma- non è realistico. Il “machiavelli-
chiavelli, Hobbes e Lutero, e che ha smo”, che ratifica l’ineluttabilità
ispirato gran parte del pen- dei comportamenti egoistici,
siero giuridico moderno è l’errore intellettuale
e contemporaneo. Il all’origine di tanta
cittadino, quindi, incultura civica
obbedirebbe italiana, non-
«Questa fiducia non riusci-
alla legge sol- ché di «quel
remo ad immetterla nel circu-
tanto nella movimento
misura in ito delle relazioni sociali finché pendolare
cui questo non riconosciamo non solo che è tra “rigori-
gli permette necessaria praticamente, ma che smo” e “per-
di evitare è parte integrante dell’esistenza donismo”
una puni- stessa del meccanismo giuridico» che sembra
zione, salvo (La legge della fiducia) una costante
poi aggirare le dell’azione del
norme quando nostro Stato» (p.
le circostanze lo 131).
permettono. Il diritto Riconsiderare il ruo-
per antonomasia, allora, sa- lo della fiducia nel diritto
rebbe quello penale. Ma è davvero significa così riappropriarsi di una
questa la funzione del diritto? Op- concezione più completa dell’es-
pure esso «mette in gioco qualche sere umano e della società, una
altra risorsa, che nella prospettiva concezione che non trascura le di-
sfiduciaria tendiamo sempre a ri- namiche conflittuali ma che rifiuta
muovere?» (p. 31). di farne il paradigma dei rapporti
Secondo l’A., il “machiavellismo umani. Questo ci porta a scoprire
giuridico” trascura alcuni aspetti che la fiducia è già una compo-
fondamentali: in primo luogo, il nente del diritto. Le norme di
fatto che il diritto non si limita ad legge che prescrivono determinati
articolare un controllo dello Stato comportamenti, di fatto ci rinviano
sui singoli, ma fa riferimento a alla relazione con altre persone, in
persone concrete, i cui diritti devo- un quadro di diritti individuali e di
no essere promossi; quando una responsabilità reciproche. Stipu-
persona agisce, lo fa sempre nei lare un contratto, accedere a un
confronti di qualcun altro, non di servizio pubblico, sono esperienze
un apparato statale sovrastante. quotidiane nelle quali ci affidiamo
Di conseguenza, il diritto non può ad altri e nelle quali il diritto, più
non mettere a tema i rapporti di che pesare con la sua minaccia di
fiducia e di responsabilità recipro- sanzioni, si fa garante di un rap-

134 • a cura di Mauro Bossi SJ


letture&visioni

porto tra cittadini. Sottolineare sui fondamenti della possibilità


questi aspetti rappresenta anche di vivere insieme in una società
l’antidoto alle possibili derive di retta dal diritto. Riflessione quanto
un diritto inflessibile e incapace di mai necessaria nel contesto pan-
prendere in conto le situazioni par- demico, nel quale sperimentiamo
ticolari: in una cultura giuridica più la difficoltà di regolamentare i
umana di quella presente, chi ha la comportamenti individuali, ma ci
responsabilità di applicare le nor- rendiamo anche conto che questa
me, dovrebbe sentirsi responsabile crisi non potrà mai essere supe-
di fronte alle persone che ha da- rata, senza un contributo attivo di

#istituzioni
vanti, e non solo all’apparato bu- responsabilità da parte dei citta-
rocratico che rappresenta. Di fatto, dini; ma anche nell’ambito della
gli eccessi burocratici che tutti crisi ambientale, con la necessità
lamentiamo sono la conseguenza di una transizione ecologica che
di una concezione del diritto e dei non potrà essere ordinata dall’alto
rapporti sociali, quella “sfiduciaria” con misure coercitive, pena il suo
e “machiavellica”, che si è diffusa al fallimento: soltanto una comunità
punto da apparire a molti come la umana responsabile verso le fu-
descrizione “naturale” delle relazio- ture generazioni e fiduciosa nelle
ni intraumane. dinamiche di cambiamento potrà
Nelle pagine del libro, l’A. ci attuarla.
conduce attraverso una riflessione Mauro Bossi SJ

#flash
La convocazione La Convocazione documenta un viag-
gio in una giornata particolare di un
regia di gruppo eterogeneo di persone qualun-
Enrico Maisto que che, in un giorno qualsiasi, scelte
dal caso, si ritrovano a confrontarsi con
Start, Rai Cinema, in collaborazione alcuni dei crimini più efferati dei nostri
con Redandblue Context, Italia 2017,
tempi, partecipando ad esempio al
documentario, 57 min.
processo della strage di Brescia.
Il film riesce a raccontare non solo il
Milano, Palazzo di Giustizia. Sessanta percorso che porta alla formazione dei
cittadini, sorteggiati da un sistema giurati, ma anche la metamorfosi di al-
informatico, prendono posto nell’aula cuni cittadini comuni che da personag-
in cui si celebrano i processi della II gi della piccola storia, quella minuscola
sezione della Corte d’Assise d’Appello. fatta di lavoro e famiglia, assumono un
Fortuiti candidati, passeranno un giorno ruolo nella grande Storia, quella ma-
in attesa di sapere se saranno scelti dal iuscola, trovandosi a scrivere – come
Presidente della Corte per un ruolo di nel caso della strage di Brescia – una
cui molti non conoscevano nemmeno delle pagine più importanti del nostro
l’esistenza: il giudice popolare. passato recente.

#istituzioni • 135
Roberto Esposito

Istituzione

il Mulino, Bologna 2021


pp. 168, € 12

L a crisi attraversata dalle istitu-


zioni, in particolare quelle sta-
tali, è tutt’altro che recente. Già
all’inizio degli anni ’70, la preoc-
cupata denuncia del loro precario
stato di salute costituiva un leitmo-
tiv ricorrente e largamente condi-
viso. A distanza di decenni, il tema delle istituzioni è «apparso, per
non ha certo perso di importanza: non poco tempo, l’unica risorsa
sono ancora tanti gli interrogativi disponibile» (ivi). Questo positivo
al riguardo e permane l’urgenza di riconoscimento non cancella ovvia-
cercare risposte credibili. mente le fragilità e le contraddizio-
Tra i contributi più recenti dedi- ni rinvenute nelle decisioni prese
cati alla questione vi è il volume dalle nostre istituzioni, ma costitui-
del filosofo Roberto Esposito, che sce un riferimento importante per
da anni porta avanti un prezioso far fronte a quella che a suo giudi-
lavoro di ripensamento dei fon- zio è l’urgenza principale di questo
damenti su cui si basa il nostro tempo: «Se riusciamo a sollevare lo
vivere insieme. La riflessione sulle sguardo dalle ferite profondissime
istituzioni si inserisce nel solco di che la pandemia ha impresso nel
questo percorso di ricerca, ripren- corpo del mondo, il compito che
dendone diversi aspetti e confron- adesso si profila è quello di istituire
tandosi con l’attualità. Il punto di di nuovo la vita o, più ambiziosa-
partenza è, infatti, dato dall’impat- mente, di istituire una vita nuova»
to avuto dallo shock pandemico (p. 13).
sulle nostre società, ma nel corso Per svolgere questo compito, il
del libro l’analisi si amplia e si ap- filosofo napoletano individua un
profondisce, passando dalla recen- doppio presupposto erroneo da
te emergenza a considerazioni di superare: da un lato, l’identificazio-
ordine più generale. ne delle istituzioni con quelle sta-
Una domanda sul ruolo delle tali, che conduce a disconoscere il
istituzioni apre questo percorso: carattere istituzionale di tante altre
«Come avremmo retto all’attacco realtà, pubbliche o private, locali
del virus senza di esse?» (p. 15). o globali (dal sistema dell’infor-
Senza minimizzare i limiti che si mazione alle aggregazioni sociali
sono palesati nel corso di que- di vario tipo, anche fortemente
sti mesi, per Esposito, l’apporto critiche con lo Stato); dall’altro,

136 • a cura di Mauro Bossi SJ


letture&visioni

una comprensione delle istituzioni La prospettiva avanzata da


in modo statico, come realtà che Esposito offre numerosi spunti
resistono a ogni innovazione e per interessanti. In particolare, l’ap-
questo incontrano l’opposizione profondita ricerca, che egli stesso
dei movimenti, che però – osserva definisce genealogica, sul modo di
Esposito – sono «irriducibili all’uni- concepire le istituzioni permette di
tà di un progetto comune» (p. 20). riflettere su alcuni nodi cruciali di
La strada scelta dall’A. per su- oggi giorno. Ne segnaliamo breve-
perare questa duplice impasse mente uno. L’approccio della prassi
prende le mosse dal lemma vitam istituente può aiutare a mettere a
instituere, che lascia trapelare un tema il rapporto con l’irriducibile

#istituzioni
legame profondo tra istituzione dimensione conflittuale del nostro
e vita. Si tratta di un’opzione non vivere insieme, evitando i vicoli
scontata, sconfessata da correnti ciechi dell’irenismo o dell’inelut-
di pensiero importanti degli ultimi tabilità della violenza. Un punto
decenni, con cui Esposito si con- quanto mai centrale se pensiamo
fronta e da cui prende le distanze alle nostre democrazie e alla fatica
in un dialogo serrato, in particolare di stare dentro i conflitti all’interno
con le riflessioni di Heidegger e di un quadro condiviso. Soprattut-
di Foucault, divergenti nei loro iti- to, spaziando nel tempo e tra le
nerari, ma convergenti negli esiti discipline (dal diritto alla filosofia,
finali di una visione svalutata delle dalla sociologia alla biopolitica),
istituzioni. Al centro dell’argomen- Esposito ci rende consapevoli del-
tazione proposta nel libro vi è un la vera posta in gioco quando si
cambio di prospettiva: più che di affronta il tema delle istituzioni: il
istituzioni bisogna parlare di istitu- loro carattere costitutivo del nostro
ire. Quindi non un sostantivo, una vivere insieme e la continua sfida
realtà consolidata, ma un verbo, costituita dall’essere aperti alla no-
un dinamismo costante, una prassi vità della vita.
istituente. Giuseppe Riggio SJ

Ariaferma
regia di
Leonardo Di Costanzo

drammatico
Italia 2021, 117’ min

Una zona remota, che si intuisce


essere nell’entroterra sardo. Una
di quelle aree interne e dimenti-
cate del territorio italiano, dove lo

#istituzioni • 137
Stato appare una realtà lontana. all’abbrutimento del crimine e del
Qui, l’unica istituzione è un carcere rigore penitenziario. Un accento
fatiscente e in procinto di essere propriamente cristiano si fa strada
dismesso. Ma un intoppo burocra- verso la fine, quando, a seguito di
tico blocca nell’edificio, che lette- un black out, tutti i detenuti cena-
ralmente cade a pezzi, una dozzina no, insieme all’ispettore Gargiulo,
di detenuti, insieme a tre ispettori intorno a un unico tavolo al centro
e a un manipolo di agenti. In un del panottico, illuminati da alcune
clima di abbandono, mentre sale la lampade elettriche; è una scena
frustrazione dei carcerati, l’ispetto- eucaristica, un momento di riconci-
re Gaetano Gargiulo (Toni Servillo), liazione e di accettazione reciproca
responsabile della struttura, tenta tra uomini che la vita ha posto su
una mediazione con il più influente fronti opposti; in questa “ultima
dei detenuti, il camorrista Carmine cena”, anche l’ultimo dei reprobi,
Lagioia (Silvio Orlando): deve gua- Arzano, ha la possibilità di trovare
dagnare la fiducia di quest’ultimo, una forma di parziale accettazione
senza perdere quella dei subalterni, da parte degli altri.
piuttosto critici delle attitudini dia- Il congedo di Spadaccini, che
loganti del loro superiore. lascia il carcere per affrontare un
Nel microcosmo della prigione processo dal quale già sa che usci-
si dipanano le storie del suo cam- rà condannato, raduna i detenuti in
pionario umano: il giovanissimo un saluto carico di pietà che uma-
Spadaccini, un ragazzo con un nizza tutti e che fa intuire la possi-
passato di abbandono familiare e bilità di una parola di perdono, che
che ora rischia una pesante con- la giustizia non può ancora pro-
danna; il vecchio Arzano, affetto nunciare. Tutti sono rimasti uomini,
da una grave forma di demenza e perché sono ancora in grado di
rifiutato dai compagni di pena in provare ed esprimere sentimenti di
quanto autore di abusi su minori; solidarietà verso un loro simile che
l’esuberante Cacace; il polemico e va a soffrire, indipendentemente
razzista Bertoni. Scena dopo scena, da ogni giudizio. Alla fine, anche
cresce la consapevolezza di trovarsi i due leader, Gargiulo e Lagioia,
tutti, guardie e ladri, a condividere scopriranno di avere un punto nel
lo stesso destino di isolamento e passato che intreccia le loro vite
di precarietà. Nel vuoto di qualsiasi tanto diverse.
progetto istituzionale, emerge al- Leonardo Di Costanzo, un re-
lora lo spessore morale dei prota- gista con molta esperienza nel
gonisti, la capacità di restare umani documentario, già nel 2021 con
e di compiere gesti di solidarietà e L’intervallo aveva indagato il tema
attenzione reciproca. In una delle della reclusione e quello della “vita
sequenze più intense del film, Spa- sospesa”, motivi che ritornano nel
daccini lava Arzano con gesti deli- suo nuovo lavoro. Con Ariaferma,
cati, accompagnato dall’organo in firma un film essenziale e denso,
colonna sonora: è una scena colma carico di tensione etica e aperto a
di pietas, che celebra una religione più livelli di lettura.
dell’umano in grado di resistere Mauro Bossi SJ

138 • a cura di Mauro Bossi SJ


letture&visioni

È stata la mano di Dio


regia di Paolo Sorrentino

Biografico/drammatico,
Italia 2021, 130 minuti

I luoghi dove nasciamo e crescia-


mo normalmente forgiano la
nostra identità e il nostro rapporto
con la realtà.
Con il suo ultimo film, il più
apertamente autobiografico
della sua produzione, Paolo
Sorrentino torna alle sue ra-
dici, che prendono proprio la
forma del rapporto viscerale
con la sua città natale, Napoli.
Se la Roma del pluripremiato La
grande bellezza (2013) appariva
onirica e forse un po’ stereotipata,
la città partenopea emerge qui in
tutta la sua vitalità e complessità, sierato del suo variopinto universo
nei luoghi, nelle persone, nella familiare (pur già non esente dalle
lingua, nella cultura, e nei simboli. ben celate ombre che fanno parte
Fanno capolino fin dall’inizio San della storia di ogni famiglia: «Non
Gennaro, il Munaciello, e soprattut- si sa mai cosa succede veramente
to Maradona, Mano de Dios, la cui nelle case degli altri», come affer-
entrata messianica, in una vibrante ma la baronessa vicina di casa) la-
Napoli anni ‘80, fa da sfondo e al scia spazio all’improvvisa esigenza
tempo stesso si intreccia con la di diventare grandi, e di (ri)pensare
narrazione autobiografica. al futuro, che per Fabietto prende-
Il protagonista, l’adolescente rà i contorni della sua passione per
Fabietto, alter ego del regista nella il cinema.
finzione come nella realtà, verrà Vari sono dunque i temi che si
davvero “salvato” dalla “Mano di intrecciano: dal tema del lutto e
Dio” (se quella calcistica o quella della perdita a quello del romanzo
in senso proprio, è lasciato all’in- di formazione e della ricerca della
terpretazione dello spettatore). La propria “vocazione”, del proprio
tragedia della morte dei genitori, posto nella vita. In tutto questo,
tratteggiata in tutta la sua “ordina- Napoli è molto più di uno sfondo: è
ria” drammaticità, fa da spartiac- parte della vita e della storia di Fa-
que nella vita del protagonista, e bietto/Paolo. Il film intero, fin dalle
il racconto apparentemente spen- sequenze iniziali, appare come un

140 •
letture&visioni

autentico nostos, un ritorno alla sua Napoli è Napoli, e il film è in-


identità più profonda e vera, da cui dubbiamente legato alle vicende

#film
il protagonista è invitato a “non di- personali del regista. La sua storia
sunirsi”, in un intenso dialogo con il e la sua città tuttavia aprono an-
regista Antonio Capuano. che noi spettatori alla possibilità
I vari frammenti della storia e di volgere uno sguardo rinnovato
dell’anima del regista paiono ri- alle nostre vite, alle persone, ai
trovare nello svolgimento del film luoghi e alle comunità che hanno
una ricomposizione inaspettata e contribuito a formare quello che
inedita. La città ne diviene in un siamo. Rivolgono anche a noi l’in-
certo senso lo specchio, e le sue vito a non rassegnarci all’idea che
varie “anime”, quella borghese e la realtà sia semplicemente “sca-
colta dello stesso Fabietto, quella dente”, deludente, come Fabietto
popolana del contrabbandiere Ar- protesta nel suo dialogo con Ca-
mando, quella ruvida e artistica del puano; l’invito a non disunirci dal-
regista Capuano, si incontrano e si le nostre radici, persino da quelle
scontrano, rappresentando i “mille che affondano nelle esperienze
colori” cantati da Pino Daniele nei più dolorose, perché in esse si
titoli di coda, che stanno natural- svela il senso di un futuro ancora
mente e miracolosamente insieme da costruire.
in un unico quadro. Cesare Sposetti SJ

ECOLOGIA INTEGRALE:
UN PARADIGMA DI GIUSTIZIA,
UN PERCORSO SPIRITUALE,
UNO STILE DI VITA
Che cosa faremo?
Un cammino di riflessione e preghiera nello stile di S. Ignazio di Loyola,
per vivere la conversione ecologica.
Spunti di preghiera sul testo biblico e sull'enciclica Laudato si',
tempo personale di preghiera in un clima di silenzio,
momenti di condivisione in gruppi, colloqui individuali con gli accompagnatori.

BOLOGNA, VILLA SAN GIUSEPPE


DAL 25 (CENA) AL 29 (PRANZO) MAGGIO 2022
iscrizioni: www.villasangiuseppe.org - vsg.bologna@gesuiti.it

• 141
letture&visioni

Carlo Bellavite Pellegrini

Tra cielo e terra


Economia e finanza nella Bibbia

Bocconi Editore, Milano 2021


pp. 185, € 17,50

I l modo proprio della Bibbia di


ragionare di fatti economici e
finanziari interpella Carlo Bellavite
gli incentivi monetari, sono pro-
prio le relazioni sane tra gli agenti
a qualificare la governance delle
sin dalla prima giovinezza e, dopo imprese, specialmente nel Terzo
più di trent’anni, continua a farlo. settore.
La monografia riprende alcuni Ancora nell’ottica di custodire
passaggi biblici in questo senso le relazioni, la Bibbia “anticipa”
significativi. l’importanza dei criteri ESG (Envi-
Secondo le disposizioni del libro ronment, Social, Governance) e del
del Levitico, ad esempio, il prezzo cosiddetto capitale narrativo.
della terra dipende dagli anni che La lettura è probabilmente più
mancano al giubileo. La terra, in- agile per biblisti ed economisti, ma
fatti, è proprietà di Dio, l’uomo ne il lavoro si può apprezzare anche
è solo usufruttuario e deve dispor- come un romanzo di formazione.
ne secondo giustizia, che consiste Sul filo della Bibbia, infatti, l’A. ri-
più nella promozione dei fratelli prende molti passaggi significativi
che nel rispetto di norme. della sua vita: dalla scelta inizial-
Nella stessa prospettiva, il libro mente sofferta della Facoltà di
dell’Esodo vieta di imporre interessi Economia alla cattedra di Finanza
ai poveri. L’A. ritiene probabile che aziendale presso l’Università Catto-
questo equilibrio di “tassi zero” lica; dalla passione per la storia
fosse supportato da un e le lingue antiche ai ri-
sistema analogo a cordi di viaggi, ami-
quello del microcre- cizie, affetti e luoghi
dito, dove ciascuno famigliari.
dei debitori in so- Al di là degli
lido garantisce e spunti esegetici
controlla gli altri. ed economici,
L’A. nota che allora, la mono-
la Bibbia insiste grafia è un invito
molto sulla qualità a considerare la
delle relazioni, la più rilevanza esistenziale
sublime delle quali è e il potenziale gene-
il dono della possi- rativo della Bibbia in
bilità di ricominciare tutte le dimensioni
grazie alla remissione della vita.
dei debiti. E, più che Guido Ruta SJ

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letture&visioni

Gaia De Vecchi – Alberto Mattioli

Comandamenti per la libertà


Il decalogo tra coscienza religiosa e civile

In Dialogo – ITL libri, Milano 2021


pp. 200, € 17

C he cosa sono i Dieci coman-


damenti? Perché quando
pensiamo al Decalogo ci vengono
umana» (p. 9). I comandamenti ci
parlano di relazione, di apertura
agli altri, di libertà che si gioca e si
in mente parole negative come di- realizza soltanto nell’incontro con
niego, coercizione, obblighi a non l’Altro/altro.
compiere determinate azioni? Ha Le riflessioni contenute nel testo

#libri
ancora senso parlarne oggi? Cos’ha ripercorrono una per una le indi-
da dire agli uomini e alle donne del cazioni date a Mosè: nella prima
nostro tempo? parte si affrontano i comandamenti
A queste domande prova a ri- che trattano della relazione intima
spondere questo volume, con l’in- di ciascuno/a con Dio padre. Nella
tento di ribaltare la visione negativa seconda parte, poi, si percorrono
presente nell’opinione pubblica, le relazioni con gli altri e i legami
attualizzando e calando nella realtà sociali che sono alla base della con-
concreta di oggi i precetti conse- vivenza civile e della realizzazione
gnati a Mosè sul monte Sinai. del bene comune. Il «Non avrai altri
Il libro prova a indicare una dei di fronte a me» (Deuteronomio
strada di libertà e di pienezza, un 5,7), ad esempio, mette in evidenza
cammino d’amore per meglio co- le grandi costruzioni ideologiche e
noscere se stessi e gli altri. Come ha totalitarie che hanno caratterizzato
scritto Francesco Occhetta nella il XX secolo e quelle che oggi ca-
prefazione, «la rilettura ratterizzano i nostri tempi
del Decalogo nasce difficili: il liberismo
dal desiderio di un sfrenato e il popu-
confronto, al fine di lismo, entrambi
aiutare a formare, segnati profon-
in una costante damente da una
ricerca, coscienze semplificazione e
mature che hanno da un riduzioni-
come obiettivo smo che annienta-
quello di trovare, no le differenze.
migliorare, cambiare Il comandamento
e rinnovare un insie- «Non ruberai» assu-
me di condizioni che me una dimensione
permettano a ciascu- molto più ampia del
no di perseguire la semplice non sot-
propria realizzazione trarre denaro: rubare

• 143
letture&visioni

oggi significa togliere alle giovani di chi crede sia la coscienza civile
generazioni il futuro, rubare la pos- di tutti gli uomini e tutte le donne
sibilità di uno sviluppo sostenibile di buona volontà, di generazione
distraendo risorse economiche e in generazione. Oggi chiamano
governandole in malo modo, la- in causa la nostra responsabilità
sciando che la criminalità organiz- matura e adulta – professionisti,
zata prosperi, che la corruzione e insegnanti, educatori, formatori,
l’evasione fiscale dilaghino, che l’il- imprenditori, amministratori e
legalità non venga contrastata con politici – per costruire un agire
efficacia e risolutezza. sociale che ci permetta di vivere
I comandamenti sono una pro- “da fratelli e sorelle” nella comu-
vocazione forte a passare dall’io al nità politica. Che implementi, cioè,
noi, per ripensarsi in un impegno sempre di più l’humanum come
comune per costruire un mondo essere profondamente dialogico e
più giusto e fraterno. Il Decalogo relazionale.
interroga sia la coscienza religiosa Alberto Ratti

Andrea Franzoso

Ero un bullo
La vera storia di Daniel Zaccaro

De Agostini, Milano 2022


pp. 250, € 13,90

D aniel Zaccaro è cresciuto tra le


case popolari di Quarto Oggia-
ro, quartiere “difficile” della periferia
milanese. Un’infanzia segnata dalle
violenze domestiche, poi le sospen- consumo. Sul versante opposto,
sioni dalla scuola, gli atti di bulli- dalla storia emergono il potere tra-
smo, fino alle rapine e la reclusione sformante della gratuità, espressa
nel carcere minorile. Qui inizia un dal cappellano del carcere e da una
cammino di recupero che lo porterà volontaria, e il valore dell’istruzione
a riprendere gli studi, a diplomarsi e per ridare alle persone le parole e
a laurearsi. Oggi lavora come edu- gli strumenti per comunicare, capire
catore. Ero un bullo, romanzo scritto e capirsi. Daniel, giudicato a suo
pensando soprattutto ai ragazzi tempo un ragazzo irrecuperabile,
delle scuole medie, affronta temi dimostra che il cambiamento è pos-
di ampia portata: in primo luogo le sibile, anche per i “ragazzi cattivi”,
conseguenze dell’assenza di figure se portiamo l’attenzione alle condi-
genitoriali ed educative credibili, zioni educative della vita dei nostri
insieme alla povertà di modelli giovani.
culturali ossessionati dai beni di Mauro Bossi SJ

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aggiornamenti sociali
anno 73 • numero 2 • febbraio 2022

editoriale / Giuseppe Riggio SJ


L’affaire Djokovic, una partita che ci riguarda
dialoghi / Giuseppe Riggio SJ – Andrea Serra (a cura di)
Abitare il mondo attraverso i libri: giovani lettori, futuri cittadini
Nicoletta Gramantieri Prevedere è il contrario di vedere / Tuttestorie

Poste Italiane SpA - Spedizione in a. p. - DL353/2003 (conv. in L. 27/02/2004, n.46), art.1, c. 1 DCB Milano
Editoria e letteratura non sono sinonimi / Sonia Basilico Allargare
gli “steccati” della cultura
bioetica / Massimo Reichlin – Alberto Giannini – Mario Picozzi
Riprende il dibattito sul fine vita. Suicidio assistito ed eutanasia
all’ordine del giorno
mondo lavoro / Patrizio Tirelli
Salario minimo: ragioni dell’economia
e dignità dei lavoratori
infografica / Mauro Bossi SJ
La minoranza uigura in Cina
internazionali / Gillian Donoghue
Accendere luci nell’oscurità. L’impegno del movimento Magis
per i giovani del Myanmar
punti di vista / Ettore Rossi
Misurarsi con la politica. Un cattolico racconta la sua esperienza

Letture & visioni


#istituzioni: T. Greco, La legge della fiducia / R. Esposito, Istituzione /
Ariaferma, regia di L. Di Costanzo
È stata la mano di Dio, regia di P. Sorrentino / C. Bellavite Pellegrini,
Tra cielo e terra / G. De Vecchi – A. Mattioli, Comandamenti per la libertà /
A. Franzoso, Ero un bullo

«I riflessi politici della vicenda Djokovic sollevano una domanda fondamentale:


in che modo i sistemi democratici sono in grado di restare dentro le dinamiche
inevitabilmente conflittuali del vivere insieme? [...] Tenere insieme la tutela dei diritti
individuali e la salvaguardia del bene di tutti: è questo un cantiere imprescindibile per
l’avvenire».
G. Riggio SJ, L'affaire Djokovic, una partita che ci riguarda, pp. 78-79
€ 7,00

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