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aggiornamenti

sociali
scoprire legami in un
mondo che cambia

08-09 2022
Italia al voto: Arturo Sosa SJ:
quale futuro vogliamo? ritornare all'essenziale
aggiornamenti sociali
anno 73 • numero 08-09 • agosto-settembre 2022

435-439 editoriale / Giuseppe Riggio SJ


Votare: un verbo da coniugare al futuro
440-444 editoriale / Paolo Foglizzo
Per la vita una sentenza non basta

445-454 dialoghi / Arturo Sosa SJ – Giuseppe Riggio SJ


«La nostra sfida è lasciarci guidare». Per una Chiesa in ascolto
della realtà e della Parola
a cura di Aggiornamenti Sociali
455-464 fede&giustizia / Giacomo Costa SJ
Alle radici spirituali dell’impegno sociale.
L’eredità di Carlo Maria Martini
465-472 unione europea / Floriana Cerniglia
Investimenti pubblici: un volano di crescita.
Le novità del Programma NGEU
473-479 focus ucraina / Andrea Pintus
Distanti, ma non da soli. L’accoglienza fuori e dentro
la scuola italiana dei minori ucraini
480-483 infografica / Mauro Bossi SJ
Cambiamenti climatici nelle città italiane
484-490 laudato si’ / Celia E. Deane-Drummond
La conversione ecologica come vocazione
491-495 punti di vista / Matthieu Brun
La sovranità alimentare, un modello alternativo per l’agricoltura

496-504 letture&visioni
#mediterraneo: M. Mercuri – P. Quercia, Naufragio Mediterraneo /
C. Spottorno – G. Abril, La crepa / G. Ungherese, Non tutto il mare è perduto
N. Piro, Maledetti pacifisti
Segnalazioni: Io, Felicia / Chiesa, dove sei? / Intelligenza artificiale

in collaborazione con
editoriale

Votare: un verbo
da coniugare al futuro

Giuseppe Riggio SJ
Direttore di Aggiornamenti Sociali
<direttore@aggiornamentisociali.it>, @giuriggio

astensionismo elettorale ● democrazia ● elezioni politiche ● inclusione ● partecipazione


politica ● partiti politici ● politica italiana ● responsabilità ● società civile

T
ra le poche certezze della politica italiana vi era una regola di
buon senso non scritta, legata al calendario dei lavori parlamen-
tari: «Non si vota in autunno» per salvaguardare i tempi necessa-
ri per la discussione e l’approvazione della legge di bilancio. Ma anche que-
sta sorta di tabù politico – insieme a quello di dedicare il mese di agosto al
riposo e alle feste di partito e non a un’incandescente campagna elettorale
– è stato travolto dal modo in cui si è aperta e svolta la crisi politica che ha
segnato la fine del Governo Draghi. Così, per la prima volta nella storia
repubblicana, ci recheremo alle urne per eleggere il nuovo Parlamento
il 25 settembre, esprimendo attraverso il voto la nostra indicazione
su quale progetto politico riteniamo più adatto per il nostro Paese e a
quale classe dirigente ne affidiamo la guida per i prossimi cinque anni.
Si tratta di una scelta importante e non facile da compiere, per questo può
essere di aiuto richiamare alla memoria gli eventi dell’ultimo periodo, non
tanto per farne una puntuale ricostruzione quanto per cogliere alcune que-
stioni di fondo presenti nella nostra politica che finiscono con rallentare il
nostro Paese. Allo stesso tempo, è essenziale allargare lo sguardo oltre alla
contingenza presente, mettendoci in ascolto di ciò che riteniamo essenziale
per il futuro.

Una legislatura accidentata


Nell’arco di pochi giorni, nel caldo eccezionale del mese di luglio, si
è dissolta la maggioranza di “unità nazionale” che sosteneva l’Esecutivo
guidato da Mario Draghi dal febbraio 2021, nato a seguito di un’altra
indecifrabile crisi della nostra politica e chiamato a realizzare due compiti
fondamentali, entrambi legati alla pandemia da COVID-19: la gestione
della campagna nazionale di vaccinazione e l’adozione del Piano nazionale

Aggiornamenti Sociali agosto-settembre 2022 (435-439) • 435


di ripresa e resilienza (PNRR) per ricevere i fondi europei destinati alla
ripresa delle economie prostrate dalla pandemia. Sul piano politico si è
trattato dell’epilogo, per molti versi surreale, di una legislatura decisamente
accidentata fin dai suoi primi passi.
Nel corso di questi anni abbiamo assistito all’alternarsi di tre compagini
governative tra loro molto diverse per visione politica e stile di azione (dal
Governo Conte 1, composto dal M5S e dalla Lega e nato dopo lunghe
settimane di incerte trattative, al Conte 2 sostenuto dalla cosiddetta mag-
gioranza giallorossa, fino all’Esecutivo guidato da Draghi), alla nascita di
nuovi partiti frutto delle scissioni avvenute in seno a quelli più grandi, ai
numerosi passaggi da un gruppo parlamentare a un altro (circa 340 nel
corso dei quattro anni di legislatura). Sono varie le ragioni alla base di
questi eventi, alcune legate a itinerari personali dei politici coinvolti, tut-
tavia c’è una spiegazione più di fondo: la composizione del Parlamento
consegnataci dalle urne nel 2018 è lo specchio di un Paese frammen-
tato e distante dalla vita politica, come testimoniavano l’emergere di tre
poli politici di maggior peso, pur se di grandezza diversa (il centrodestra,
il Movimento 5 Stelle e il centrosinistra), e l’elevato astensionismo (27%).
A fronte di una situazione politica e sociale così segnata dal pluralismo
di posizioni e di visioni, in cui non era possibile per nessuna forza politi-
ca da sola o nelle coalizioni tradizionali esprimere una maggioranza per
governare il Paese, l’unica strada possibile da percorrere era quella della
ricerca di un accordo tra partiti che si erano anche duramente combattuti
negli anni precedenti.

Il miraggio del dialogo


Purtroppo la rilettura della parabola politica di questi ultimi anni, senza
entrare nei singoli episodi per i limiti di spazio a disposizione, mostra che
spesso le spinte autoreferenziali dei partiti hanno finito con esaurire
velocemente la tenuta degli accordi di governo man mano siglati. Han-
no prevalso le dinamiche interne nei partiti, le sfide per conservare o affer-

Aggiornamenti Sociali e le elezioni politiche 2022

Nel momento in cui questo fascicolo di nell’area politica del centrosinistra), di


agosto-settembre va in tipografia, non conseguenza non hanno stilato nean-
sono ancora note tante informazioni che le liste elettorali, che permettono di
importanti per formarsi una propria conoscere i nomi dei candidati nei vari
opinione a proposito del voto. In parti- collegi. Tuttavia, come Aggiornamenti
colare, i partiti non hanno ancora defi- Sociali, seguiremo questi temi e la cam-
nito i programmi elettorali e non hanno pagna elettorale attraverso i contributi
sciolto i dubbi sulle possibili alleanze che pubblicheremo sul nostro sito e i
(una questione rilevante soprattutto canali social.

436 • Giuseppe Riggio SJ


editoriale

mare la propria leadership da parte di alcuni politici, il condizionamento


dettato dall’andamento dei sondaggi sulle decisioni da prendere, la preoccu-
pazione di portare avanti le battaglie di bandiera anche a scapito di progetti
più ampi. Due esempi mostrano con chiarezza la fatica del nostro mondo
politico a saper dialogare tanto al suo interno quanto con la società civile.
Da un lato, possiamo ricordare il susseguirsi di eventi che hanno por-
tato alla rielezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica,
nonostante avesse manifestato in modo chiaro la sua indisponibilità per
un secondo mandato. La sua conferma al Quirinale è stata salutata dalla
stragrande maggioranza dei cittadini e dei commentatori come un fatto
positivo, una garanzia per l’intero Paese, e gli eventi recenti non fanno
altro che confermare questa valutazione. Tuttavia, resta il dato che la sua
rielezione non è stata il frutto di una scelta politica ben precisa, ma l’esito
di una impasse scaturita dall’incapacità dei partiti di confrontarsi per cer-
care una soluzione condivisa, avendo come riferimento ultimo proprio il
bene del Paese più che i calcoli politici di parte.
Dall’altro, proprio in occasione della crisi del Governo Draghi, abbia-
mo assistito a un’ampia mobilitazione della società civile a sostegno del
proseguimento del suo mandato. Sono stati numerosi gli appelli, promos-
si da semplici cittadini o da rappresentanti delle istituzioni, tra cui oltre
duemila sindaci di varia appartenenza politica, da diverse organizzazioni
di categoria, dal mondo della scuola e dell’università, dal Terzo settore,
dall’associazionismo e dalle realtà ecclesiali. Alla base dei vari interventi
vi era la preoccupazione concreta che la conclusione dell’esperienza del
Governo Draghi potesse avere conseguenze nefaste per il Paese in una si-
tuazione nazionale e internazionale critica, a causa del conflitto in Ucraina
e delle sue ripercussioni sul piano economico, sociale e politico. L’invito
rivolto alle forze politiche era di essere responsabili, di farsi carico
delle fasce più deboli della popolazione, quelle più colpite ad esempio
dal rincaro delle bollette e dall’aumento dell’inflazione, che sarebbero state
più protette dal prosieguo dell’azione del Governo in carica che da una sua
anticipata interruzione.
Ma così non è stato: gli appelli rivolti da più parti non hanno tro-
vato ascolto e ora siamo chiamati a votare.

Pensando all’appuntamento del voto


Giungiamo così a una campagna elettorale che sarà inedita per il pe-
riodo dell’anno in cui si tiene, a cui i partiti giungono in buona parte in
affanno, dovendo preparare i programmi, decidere le alleanze o definirne
in modo più chiaro gli accordi, scegliere i propri candidati all’elezione di
un Parlamento ridotto nel numero dei membri da 945 a 600, dopo l’appro-
vazione della riforma costituzionale del 2020.

Votare: un verbo da coniugare al futuro • 437


Fin dalle prime battute è apparso in modo chiaro che sarà una campa-
gna altamente polarizzata, giocata su slogan (in alcuni casi anche vecchi e
riciclati) e contrapposizioni schematiche, rissosa su alcuni grandi temi, che
ritorneranno nelle proposte dei vari partiti, anche se con un ordine diverso
di priorità e differenti soluzioni proposte: l’economia, il lavoro, la riforma
fiscale, la sicurezza, il capitolo della giustizia, la politica estera (soprattutto
le relazioni del nostro Paese con l’Unione Europea, le posizioni sulla guerra
in Ucraina e, in particolare, i rapporti di alcuni partiti con la Russia), la
crescita di diseguaglianze e povertà, le questioni legate all’ambiente, a cui
siamo tutti (finalmente) più sensibili dopo il caldo eccezionale dell’estate e
le tragedie in montagna per lo scioglimento dei ghiacciai.
Facile prevedere che a pagare il prezzo più alto di questa affannata cam-
pagna elettorale saranno proprio la qualità del dibattito politico e la possibi-
lità di affrontare le questioni emerse negli ultimi anni a seguito dello shock
pandemico e della guerra in Ucraina. Per questo è importante fare atten-
zione al linguaggio che viene usato o al ricorso in modo strumentale ai
simboli religiosi. Si tratta in entrambi i casi di una cartina di tornasole
di una certa visione della società e dei rapporti al suo interno: se le pa-
role e le immagini utilizzate si basano sull’esclusione e sulla negazione di va-
lori e diritti di parti della società, allora viene compromesso quell’impegno
evocato in una dichiarazione dal card. Matteo Zuppi, presidente della Con-
ferenza episcopale italiana, all’indomani della convocazione delle elezioni,
per «ritrovare quello che unisce, per rafforzare il senso di una comunità di
destino e la passione per rendere il nostro Paese e il mondo migliori».
A fronte di questo quadro e in vista del voto che dobbiamo esprimere,
come cittadini ed elettori non fermiamoci a considerare in modo isolato
le singole misure che vengono man mano presentate da parte dei leader
politici, più o meno riuscite dal punto di vista comunicativo e spesso pen-
sate per fare breccia nel mare di proposte, a volte prescindendo persino dalla
loro effettiva sostenibilità nel tempo o dalla loro reale efficacia. Le questioni
che abbiamo di fronte, anche nella loro novità, sono tra loro strettamente
interconnesse, presentano una grande complessità e non possono essere af-
frontate in modo serio senza avere una visione di insieme, senza che vi sia
un confronto approfondito con la realtà del Paese, con le sue potenzialità
e vulnerabilità. L’adozione di questo approccio si traduce, ad esempio, nel
conoscere e valorizzare la vitalità di tanti territori, anche periferici, e settori
economici; nel riconoscere la drammaticità dei livelli di diseguaglianza e
povertà che si sono raggiunti e agire per dare una risposta; nel prendere atto
che il volto del nostro Paese è ben più multietnico di quanto viene solita-
mente detto, e questa è un’opportunità enorme se si smette di considerarlo
un problema; nel riconoscere lo spreco di creatività e risorse che si consuma
quando giovani e donne non trovano sufficiente spazio nel mondo del la-
voro e nella società perché mancano politiche adeguate. Soprattutto questo

438 • Giuseppe Riggio SJ


editoriale

approccio permette di vedere queste questioni come singole facce di un


unico poliedro, che vanno considerate e pensate insieme.
Forse il recupero di questo senso della misura e della responsabilità
potrà fare breccia su quei cittadini, stanchi o disillusi anche a causa
delle recenti vicende, che si sono allontanati dalle questioni politiche,
e che sembra abbiano già deciso di astenersi alle prossime elezioni, come
testimonia l’hashtag #iononvoto lanciato su Twitter subito dopo le dimis-
sioni di Draghi: sono un pezzo della nostra società che resta silenzioso nei
canali istituzionali, ma non per questo non hanno idee e opinioni, bisogni
che vanno tenuti in conto ed energie preziose da mettere a disposizione.

Capaci di guardare più lontano


Ma osiamo ancora di più. Chiediamo ai politici non solo di dirci come
intendono gestire il presente, ma come immaginano il futuro. Chiedia-
mo quale sogno hanno per il nostro Paese, così come è inteso da papa
Francesco nei suoi documenti, ad esempio nell’enciclica Fratelli tutti, cioè
come una visione capace di indicare una direzione di marcia e di motivare
per realizzare un cambiamento profondo. Si tratta di cercare, al di là del
contingente e delle urgenze, un orizzonte sensato e stimolante, che aiuti a
costruire in una prospettiva di lungo termine.
Ma non fermiamoci solo a interrogare e valutare il comportamento
della nostra classe dirigente, lamentandoci per ciò che non funziona. In
vista del voto – e spingendo lo sguardo anche oltre – rivolgiamo a noi
stessi questa domanda: quale sogno ho per l’Italia? Facciamolo anche
a livello di istituzioni e di società civile, quelle stesse realtà che hanno
levato la loro voce nella crisi del Governo Draghi non per difendere una
posizione politica, ma per la preoccupazione nei confronti dei concittadini
e del Paese. Questa esperienza di convergenza sulla base di una preoccu-
pazione condivisa potrebbe tradursi nel primo passo per la nascita di un
soggetto politico (non un partito), capace di esercitare una effettiva forza
negoziale con le forze politiche. Mettiamoci in gioco davvero, in prima
persona, senza delegare passivamente ad altri il nostro futuro.
Questi anni duri che abbiamo vissuto per via delle varie crisi che si sono
succedute a livello sanitario, economico, sociale, ci hanno mostrato quan-
to forte e sano è il tessuto civile del nostro Paese, quante risorse esistono,
quanto beneficio traiamo tutti da un servizio generoso che passa spesso
inosservato e che fa leva sulla capacità di collaborare e di cui ciascuno può
essere protagonista. Spingendo lo sguardo oltre l’immediato appuntamen-
to elettorale, ci accorgeremo che abbiamo un bagaglio di competenze ed
esperienze che può contagiare e rinnovare quanto di stantio ancora c’è
nella nostra società e nella politica, che da improvvisato teatrino merita di
tornare a essere la bussola del Paese.

© FCSF - Aggiornamenti Sociali • 439


editoriale

Per la vita una sentenza


non basta

Paolo Foglizzo
Redazione di Aggiornamenti Sociali
<foglizzo.p@aggiornamentisociali.it>

aborto ● bioetica ● diritto alla vita ● diritto dell’individuo ● disuguaglianza sociale ●


libertà ● Stati Uniti

H
a suscitato scalpore a livello globale la decisone con cui il 24
giugno scorso la Corte suprema degli Stati Uniti è interve-
nuta in materia di aborto, pronunciandosi sul caso Dobbs
v. Jackson Women’s Health Organization (in breve: Sentenza Dobbs) e
rovesciando la altrettanto storica sentenza del 1973 sul caso noto come
Roe v. Wade, che aveva portato per via giurisprudenziale al riconosci-
mento del diritto all’aborto negli Stati Uniti. Immediatamente la deci-
sione è stata bollata da alcuni come oscurantista e lesiva della libertà delle
donne, mentre da altri è stata salutata come una sentenza a favore della
vita. Questa rappresentazione rischia di risultare riduttiva, perché sembra
riposare sull’esistenza di una opposizione e di una mutua esclusione tra
valori tra i quali non dovrebbe sussistere un conflitto, ma si dovrebbe
fare ogni sforzo per costruire un’alleanza.
Lo stupore generato dalla Sentenza Dobbs, che è stata oggetto di
commento non solo da parte di cittadini e organizzazioni statunitensi,
ma di personalità di ogni genere e nazionalità, tra cui Capi di Stato e
rappresentanti di organizzazioni internazionali, deriva dal fatto che la le-
galizzazione dell’aborto è normalmente considerata come irreversibile.
La Sentenza Dobbs mostra che non è così e ripropone un problema che
era considerato chiuso. Simbolicamente dunque è una sentenza a favore
della vita. Valutare se, quanto e a che condizioni potrà esserlo anche in
pratica richiede considerazioni più approfondite.
Questo vale a maggior ragione quando la domanda si pone in contesti
sociali, culturali e giuridici diversi da quello statunitense. Certamente
interpella anche il nostro Paese, ma affrontare la questione della sua rile-
vanza in prospettiva italiana richiede prima di esaminarla con attenzione
nel suo contesto di origine, soprattutto allo scopo di evitare cortocircuiti
ideologici.

440 Aggiornamenti Sociali agosto-settembre 2022 (440-444)


editoriale

1. Il contesto giuridico e l’impatto della sentenza


A differenza di quanto accaduto in Italia e in generale nei Paesi europei,
negli Stati Uniti la legalizzazione dell’aborto non è avvenuta attraverso l’ap-
provazione di una legge, almeno non in tutti gli Stati, ma a seguito della
già citata Sentenza Roe.

a) L’aborto è un diritto?
Il XIV Emendamento della Costituzione statunitense tutela la privacy
personale (personal privacy) dei cittadini, intesa come diritto a gestire la pro-
pria esistenza liberamente senza ingerenze dello Stato. Nel 1973, con la Sen-
tenza Roe, la Corte suprema opera una interpretazione del XIV Emen-
damento affermando che implicitamente esso tutela anche il diritto
delle donne ad abortire. Da allora questa interpretazione ha fatto scorrere
fiumi di inchiostro da parte dei giuristi d’oltreoceano, ma in tutte le suc-
cessive sentenze in materia di aborto la Corte suprema lo aveva riaffermato.
In quanto sancito dalla Costituzione federale, questo diritto prevale sulla
legislazione dei singoli Stati, a cui viene inibita la possibilità di legiferare in
materia di aborto in maniera più restrittiva di quanto previsto dalla Sen-
tenza Roe, che, come nota Massimo Faggioli, era «una delle più liberali e
libertarie» del mondo (Faggioli M., «Stati Uniti - Aborto: davvero pro life?
L’abrogazione di Roe v. Wade da parte della Corte suprema», in Il Regno, 14
[2022] 411-415). Nel momento in cui nel 1973 aveva riconosciuto l’aborto
come diritto, la Corte suprema aveva provveduto anche a indicare le coordi-
nate del suo esercizio: nessuna restrizione nel primo trimestre di gravidanza
e fino alla possibilità del feto di sopravvivere al di fuori del grembo materno
(fetal viability), possibili limitazioni ai fini di tutelare la salute della donna
nel secondo trimestre, possibile divieto nel terzo trimestre a condizione di
prevedere eccezioni a tutela della vita e della salute della donna.
Con una mossa inusitata in un sistema legale in cui i precedenti giudi-
ziari hanno un valore particolarmente stringente, la Sentenza Dobbs rove-
scia la Roe, affermando che quella interpretazione del XIV Emendamento
è scorretta. In altre parole, la Sentenza Dobbs afferma che l’aborto
non è un diritto sancito dalla Costituzione federale degli Stati Uniti,
per cui cadono i vincoli all’autonomia legislativa degli Stati fede-
rati su questa materia. Materialmente la Corte non introduce alcuna
restrizione, e quindi non ha alcun impatto diretto sul numero di aborti,
ma consente ai singoli Stati di farlo. Vari di essi avevano già approvato
leggi molto restrittive, fino al divieto di aborto, considerandolo un reato;
queste erano per così dire sospese in vigenza della Sentenza Roe, ma ora
possono “risvegliarsi”. Altri Stati si apprestano a legiferare nella medesima
direzione. Si tratta per lo più di Stati del Sud e del Midwest, saldamente
controllati dal Partito repubblicano. Altri Stati, di orientamento liberal, in

Per la vita una sentenza non basta • 441


reazione alla Sentenza, stanno pensando di introdurre l’aborto come di-
ritto nelle loro Costituzioni.

b) L’impatto della sentenza sul numero di aborti

Attraverso la mediazione delle legislazioni dei singoli Stati, possiamo


affermare che quasi sicuramente la Sentenza Dobbs produrrà una ridu-
zione del numero degli aborti legali negli Stati Uniti, ma non necessa-
riamente del numero degli aborti tout court. Non è difficile immaginare
che cosa accadrà: le donne più ricche, o con una copertura sanitaria più
generosa, semplicemente compiranno un viaggio dagli Stati che proibiscono
l’aborto a quelli che lo consentono, mentre le donne più povere ricorreranno
a forme di aborto clandestino, per lo più attraverso farmaci abortivi acqui-
stati su Internet, ma senza poter contare su alcun supporto medico. Peraltro
il 7 luglio il presidente Biden ha firmato un ordine esecutivo che punta a
garantire in tutto il Paese la libertà di viaggiare per praticare l’aborto dove è
consentito e l’accesso ai farmaci abortivi approvati a livello federale.
Ridurre effettivamente il numero di aborti richiede più di un divieto:
è necessario interrogarsi sulle ragioni che spingono le donne ad abortire e
quindi sulle leve che potrebbero far loro cambiare idea. Come nota Andrea
Tornielli nel commento alla Sentenza Dobbs pubblicato il 25 giugno 2022
sui media vaticani, Osservatore Romano compreso, negli Stati Uniti circa il
75% delle donne che abortiscono vive in situazione di povertà o con uno
stipendio basso, mentre solo il 16% delle lavoratrici del settore privato ha
diritto a un congedo di maternità di durata superiore a 10 giorni dopo il
parto. Una riforma del diritto del lavoro, prospettive di un salario dignitoso,
così come la disponibilità di servizi alla maternità e di assistenza sanitaria
durante la gravidanza – ricordiamo che negli Stati Uniti la tutela della salute
non è un diritto sancito dalla Costituzione – potrebbero ragionevolmente
essere argomenti più convincenti per queste donne di quanto non lo sarà la
criminalizzazione dell’aborto. Queste riforme non sono di competenza della
Corte suprema, ma la disponibilità a prendere provvedimenti in questi cam-
pi costituisce un buon test dell’effettivo orientamento a favore della vita di
quegli Stati che stanno introducendo legislazioni molto restrittive sull’aborto.

2. Strumentalizzare la vita non è un modo di tutelarla


Nella ricostruzione del contesto non si può trascurare il fatto che negli
Stati Uniti la posizione rispetto all’aborto – pro life o pro choice (a favore
della vita o a favore della libertà di scelta) – costituisce un potente marca-
tore del posizionamento ideologico delle persone, con una valenza anche
identitaria. Occupa un posto analogo a quello che da noi riveste la polarità
destra-sinistra, o la posizione in materia di accoglienza agli immigrati. Nella

442 • Paolo Foglizzo


editoriale

geografia politica del Paese, pro life è spesso sinonimo di un orientamento


conservatore, tanto che i gruppi pro life presentano contiguità se non addi-
rittura sovrapposizioni con i sostenitori della pena di morte o della libertà di
possedere armi e portarle con sé. I rischi di ambiguità sono evidenti, e ancora
di più quelli di una strumentalizzazione di una questione tanto delicata come
strumento di aggregazione del consenso politico ed elettorale, ovviamente in
entrambi i sensi. La polemica spinge a rendere le due posizioni sempre più
intransigenti, favorendo la polarizzazione, per cui il confine tra pro life e pro
choice tende a coincidere con quello tra partiti politici, eliminando le possi-
bilità di un dialogo di cui ci sarebbe invece estremo bisogno.
A distanza di pochi giorni dalla Sentenza Dobbs, la Corte suprema è in-
tervenuta per eliminare le restrizioni introdotte dallo Stato di New York alla
possibilità dei cittadini di girare armati (il 23 giugno) e per ridurre i poteri
dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente nella fissazione dei limiti alle
emissioni di gas climalteranti delle centrali elettriche (in particolare le più
dannose, quelle alimentate a carbone), ritenendola materia di competenza del
Congresso (il 30 giugno). Da un punto di vista tecnico potrebbe trattarsi di
decisioni corrette rispetto all’assetto normativo statunitense, ma da un lato
stupisce che le decisioni siano state prese con l’identica maggioranza di sei
giudici “conservatori” contro tre “progressisti”, dall’altro esse segnalano che
la Corte non pare muoversi in base a una agenda autenticamente pro life, ma
piuttosto in vista della promozione di un modello di società (oltre che di un
paradigma di interpretazione della Costituzione), al cui interno si inscrive
anche la tutela della vita nascente. Del resto l’opposizione e la resistenza alla
Sentenza Dobbs sono state scelte come vessillo del Partito democratico e
dell’Amministrazione Biden in vista delle prossime elezioni di mid-term. In
entrambi i casi c’è da chiedersi se per convinzione o in modo strumentale.
La tutela della vita non può essere strumentalizzata, né parcelliz-
zata o settorializzata, ma richiede di essere portata avanti a 360 gradi,
senza utilizzare pesi e misure diversi, né pregiudizi ideologici. I moniti
dell’enciclica Laudato si’ contro l’incoerenza di chi si impegna contro la
tratta degli animali, ma è indifferente alla tutela degli embrioni, vale anche
al contrario: la preoccupazione per la vita nascente non può andare di pari
passo con la noncuranza verso le altre forme di minaccia alla vita umana e
alle generazioni future.

3. In prospettiva italiana
Il contesto italiano si presenta come profondamente diverso da quello
statunitense. In un certo senso, la questione dell’aborto risulta meno ide-
ologizzata: sono altri i terreni di scontro, come mostrano le barricate sullo
ius scholae. Ma soprattutto in Italia l’aborto è stato depenalizzato con la
Legge 22 maggio 1978, n. 194, Norme per la tutela sociale della maternità e

Per la vita una sentenza non basta • 443


sull’ interruzione volontaria della gravidanza, la quale, nel momento in cui
consente l’aborto a determinate condizioni, non lo riconosce per questo co-
me un diritto. Anche in conseguenza della Sentenza Dobbs, si sono levate
voci a chiedere una modifica della norma proprio per sancire che l’aborto
è un diritto, cosa che risulterebbe estremamente problematica.
Nonostante la distanza tra il nostro ordinamento e quello degli Stati Uni-
ti, la Sentenza Dobbs ci interpella comunque, anche se non dal punto di
vista strettamente giuridico o costituzionale. Come ha notato mons. Paglia,
presidente della Pontificia Accademia della Vita, essa rappresenta un forte
invito a riflettere su qualcosa che non deve smettere di essere una spina nel
fianco delle nostre società. Sarebbe una sconfitta se dessimo l’aborto per
scontato e smettessimo di provare inquietudine perché ci sono ogni anno
decine di migliaia di donne che decidono di interrompere la gravidanza (per
limitarci ai dati del nostro Paese), a prescindere dal fatto che lo facciano
legalmente o illegalmente. L’aborto deve continuare a interrogare la nostra
coscienza: non solo e non tanto quella individuale, ma quella della società nel
suo complesso. Se è vero che la decisione di abortire è della singola donna,
come abbiamo visto le ragioni che spingono a compiere questa scelta deriva-
no troppo spesso da contraddizioni e squilibri sociali e culturali (tra cui una
certa latitanza maschile nell’assunzione delle responsabilità genitoriali): a non
essere accogliente verso la vita è dunque la società nel suo insieme.
Anzi, in questo periodo corriamo il rischio che la questione dell’abor-
to sparisca dai radar della coscienza collettiva, sospinta verso una sorta
di privatizzazione vuoi dall’aborto farmacologico, che si pratica in casa,
vuoi dall’insistenza a considerarlo alla stregua di un diritto individuale.
Come scrive la Pontificia Accademia per la Vita nel comunicato stampa a
commento della Sentenza Dobbs, «La tutela e la difesa della vita umana
non è un tema che possa restare confinato nell’ambito dell’esercizio
dei diritti individuali, ma è piuttosto una questione di ampia rilevanza
sociale. […] è importante riaprire un dibattito non ideologico sul posto
che la tutela della vita ha in una società civile per chiederci quale tipo di
convivenza e di società vogliamo costruire».
La L. n. 194/1978 è ben consapevole che l’aborto è un fatto sociale:
basta leggere quelle parti, ampiamente disattese, in cui tratteggia le mo-
dalità in cui la società può offrire un’adeguata tutela alla vita nascente e
alla maternità, assicurando quei sostegni (economici, sociali, sanitari, ecc.)
di cui le donne hanno bisogno per poter considerare un’opzione diver-
sa dall’interruzione della gravidanza. Così, prima di pensare di mettere
mano a una sua riforma, magari a partire da tensioni ideologiche di
importazione, sarebbe bene dare piena attuazione a tutte le sue parti.
È questione urgente da oltre 40 anni, e ogni anno sono decine di migliaia
le donne e i nascituri che attendono di avere un’alternativa. Non sarà mai
abbastanza presto per dargliela.

444 • © FCSF - Aggiornamenti Sociali


dialoghi

«La nostra sfida è lasciarci


guidare»
Per una Chiesa in ascolto della realtà e della Parola

a cura di Aggiornamenti Sociali


<rivista@aggiornamentisociali.it>, @aggsoc

america latina ● chiesa ● democrazia ● educazione ● gesuiti ● giovani ● papa francesco


● rapporto chiesa-società ● riconciliazione ● sinodalità ● spiritualità ● stili di vita

Arturo Sosa SJ
Padre Generale della Compagnia di Gesù

Giuseppe Riggio SJ
Direttore di Aggiornamenti Sociali
<direttore@aggiornamentisociali.it>, @giuriggio

A
lla guida della Compagnia di Gesù dal 2016, per il suo incarico p.
Arturo Sosa segue con attenzione i profondi cambiamenti che si
stanno verificando nel mondo sul piano sociale, politico, culturale
ed ecclesiale, cercando di leggerli e interpretarli a partire dal suo bagaglio
umano e spirituale di gesuita, dalla sua formazione di politologo, dalla sua
provenienza latinoamericana. Si tratta di un esercizio complesso e fonda-
mentale, visto che fenomeni in atto da tempo, come l’affermarsi della cul-
tura individualista, ed eventi più recenti, come la pandemia o la guerra in
corso in Ucraina, interpellano inevitabilmente sia i gesuiti e i collaboratori
nella missione della Compagnia di Gesù, sia coloro che svolgono servizi o
ricoprono incarichi nella società o nella Chiesa. Con grande disponibilità
p. Sosa ha accettato di avere uno scambio con la nostra Rivista proprio su
questi temi, condividendo riflessioni e visioni, attese e valutazioni su quan-
to stiamo vivendo. Nelle sue risposte sono numerosi gli spunti stimolanti
per una ripresa critica di una serie di temi con cui si confronta di continuo
chi è impegnato a livello sociale ed ecclesiale. Allo stesso modo, non man-
cano indicazioni utili per una verifica costruttiva delle motivazioni e dello
stile con cui si vive il proprio impegno personale o nelle diverse aggrega-
zioni sociali. Soprattutto, le sue parole sono di grande aiuto per rimettere

Aggiornamenti Sociali agosto-settembre 2022 (445-454) • 445


a fuoco quali sono le dimensioni fondamentali da custodire e rafforzare,
quelle che costituiscono la base di qualsiasi attività di ricerca e azione so-
ciale svolta come servizio per il bene di tutti. P. Sosa non propone “ricette”
facili, procedure da seguire per risolvere problemi o rispondere a dubbi,
ma invita a rinsaldare e rinnovare il radicamento spirituale del proprio
impegno e a curare la profondità della propria formazione. Lì troviamo
un saldo riferimento per non rimanere smarriti, alle volte impauriti, di
fronte alla complessità di questo tempo, alla rapidità e all’imprevedibilità
dei cambiamenti che viviamo.

Riggio: Innanzi tutto, a nome della Redazione, la ringrazio per aver ac-
cettato di avere questo momento di scambio su alcuni temi che ci stanno
particolarmente a cuore e legati alla nostra missione, ma prima di entrare
nel vivo vorrei farle una domanda che si riferisce al suo ruolo di Superiore

P. Arturo Sosa SJ

Nato nel 1948 a ne con la Colombia, e per un progetto


Caracas in Vene- interprovinciale in collaborazione con
zuela, frequenta Fe y Alegría, il Jesuit Refugee Service e
il collegio Sant’I- altre organizzazioni pastorali (parroc-
gnazio dove chie, comunità ecclesiali, ecc.) e civili.
scopre la bellezza Del suo percorso nella Compagnia di
di dedicarsi agli Gesù ricordiamo che nel 1975 incontra a
altri. Entrato in Roma, alla Congregazione generale (CG)
Compagnia il 14 32ª, il p. generale Arrupe e ne rimane
settembre 1966, affascinato. Partecipa alla successiva CG
studia Teologia a soli 34 anni, alla CG 34ª conosce il p.
a Roma, sperimentando la dimensio- generale Nicolás e con la CG 35ª viene
ne internazionale della Compagnia, coinvolto nel governo centrale come
e Scienze politiche alla Universidad Consigliere non residente del Generale.
Central del Venezuela. Conclusa la for- P. Sosa impara da questa esperienza
mazione, diviene direttore della Revista l’importanza di tenere viva la connessio-
Sic del Centro Gumilla, insegna sia alla ne con la Compagnia universale anche
Universidad Central de Venezuela sia nel governo ordinario e non solo nella
alla Universidad Católica Andrés Bello a fase della congregazione. Nel 2014 p.
Caracas e si dedica alle diverse attività Nicolás gli chiede di occuparsi, come
dei movimenti sociali dell’epoca. Nel suo delegato, delle case internazionali
1996, nominato superiore dei gesuiti a Roma. Alla CG 36ª il 14 ottobre viene
del Venezuela, partecipa alla nascita eletto nuovo Superiore generale della
della Conferenza dei Provinciali dell’A- Compagnia di Gesù. Profondità spiri-
merica Latina (CPAL) e assiste allo svi- tuale, discernimento in comune, analisi
luppo dell’Associazione delle Università socio-politica, collaborazione, intercultu-
(AUSJAL). Dal 2004 al 2014 lavora alla ralità e profondità culturale sono i temi
Università Católica del Táchira, al confi- che gli stanno a cuore.

446 • Arturo Sosa SJ – Giuseppe Riggio SJ


dialoghi

generale dei gesuiti. Da quando è stato eletto, nel 2016, ha avuto modo di
conoscere in modo approfondito e visitare diverse comunità e opere della
Compagnia di Gesù in tutto il mondo: ci può raccontare un motivo di
consolazione e una preoccupazione pensando a quanto viene fatto?
Sosa: La gioia più grande per me è constatare l’enorme generosità che trovo
nei compagni nella missione. Non mi riferisco solo ai gesuiti, ma anche alle
donne e agli uomini che lavorano o collaborano con la Compagnia di Gesù
in tantissimi posti, nelle circostanze più diverse. C’è una generosità per-
sonale veramente impressionante unita a una grande creatività: l’espe-
rienza ci mostra che dappertutto si lavora molto, si realizzano iniziative
di vario tipo, fatte bene e con pochissime risorse. Lo abbiano sperimentato
anche durante la pandemia, quando sono stati inventati tantissimi modi di
proporre gli esercizi spirituali, che sono centrali nell’esperienza ignaziana.
È una grandissima gioia essere insieme a così tante persone che portano
avanti quotidianamente la missione in questo modo.
Il motivo di preoccupazione, o meglio il punto a cui fare attenzione, è
invece quello di mantenere e approfondire il radicamento in Cristo. Nella
Compagnia di Gesù c’è sempre stata e ci sarà sempre la tensione tra lo
scivolare verso l’attivismo, l’efficienza, il conseguimento di obiettivi misu-
rabili, e l’essere testimoni con la propria vita di un’esperienza del Signore.
Il collegamento tra vita e missione è essenziale: se non c’è una vita
radicata in Cristo, allora non vale nemmeno la pena di impegnarsi
nella missione. Se manca un’esperienza personale e permanente di cre-
scita nell’incontro con il Signore, non vi è libertà. Mi riferisco alla libertà
interiore, che permette di prendere delle decisioni nell’ascolto dello Spirito.
Negli Esercizi spirituali, Ignazio di Loyola si riferisce a questo atteggia-
mento interiore usando la parola “indifferenza”, per esprimere la libertà da
possibili condizionamenti esterni o interni, così come un sano distacco dai
propri progetti e convinzioni. Questa libertà è possibile solo se il centro
della propria vita è veramente Cristo. Per questo dobbiamo interrogarci
su come possiamo mantenere questo radicamento: come organizziamo le
nostre agende perché non venga messo in secondo piano? Quale stile di
vita ci è di aiuto? A quali mezzi possiamo ricorrere?
Riggio: Un’occasione preziosa per rafforzare il radicamento in Cristo in
vista della missione è stato l’anno ignaziano, celebrato dal 20 maggio 2021
al 31 luglio 2022, per ricordare il ferimento di Ignazio di Loyola durante
l’assedio di Pamplona. Questo evento cambiò la vita del fondatore della
Compagnia e segnò l’avvio del suo cammino di conversione. È possibile
trarre un primo bilancio di questo anniversario? È stata un’esperienza di
conversione per i gesuiti e per quanti collaborano con la Compagnia?
Sosa: Non abbiamo promosso l’anno ignaziano per fare pubblicità alla
Compagnia, alle sue opere o a Ignazio di Loyola, ma per «Vedere tutte le
«La nostra sfida è lasciarci guidare» • 447
cose nuove in Cristo», come sottolinea la frase ispiratrice che è stata scelta.
L’intento era di rinfrescare il nostro sguardo, per rinnovare il nostro
incontro con il Signore, per viverlo con intensità, così come ha fatto
più volte nel corso della sua vita Ignazio e dopo di lui tanti compagni.
Questo invito è stato preso sul serio. Si è davvero fatta l’esperienza della
spiritualità ignaziana come una via per incontrare personalmente il Signo-
re. I modi per vivere l’anno ignaziano sono stati molto diversi a seconda dei
contesti; anche in questo caso, con poche risorse e tanta creatività, si sono
creati spazi e iniziative in scuole, parrocchie, centri di ricerca sociale, ecc.
Ritengo che l’anno ignaziano, ufficialmente conclusosi da poco, non
sia in realtà finito e continuerà ad alimentare e rafforzare un processo
iniziato nel 2016, quando la Congregazione generale 36ª si è soffermata
sulla nostra missione di riconciliazione e giustizia, e continuato nel 2019
con l’adozione delle preferenze apostoliche universali, che orientano gli
apostolati della Compagnia di Gesù per i prossimi anni. Si tratta di semi
che sono stati posti nel terreno e che stanno crescendo, divenendo piante,
ma questo processo richiede cura e attenzione, affinché la terra offra il
nutrimento necessario, le radici si rinforzino, gli insetti o gli eventi na-

Le preferenze apostoliche universali 2019-2029

Sono il frutto di quasi Non si tratta di obiettivi


due anni di discernimento da raggiungere, ma di
a cui hanno preso parte i gesuiti Indicare il quattro ambiti vitali per
cammino
e quanti collaborano verso Dio
il mondo d’oggi, che
nella missione della Compagnia. mediante offrono un punto
gli Esercizi di riferimento per la
Camminare insieme Spirituali
ai poveri, agli esclusi del e il discerni-
missione di tutta
mondo, a quanti sono feriti mento la Compagnia di Gesù
nella loro dignità, in una
missione di riconciliazio- fino al 2029.
ne e di giustizia
Prendersi cura
Il modo in cui sono della casa comune,
state formulate le ACcom-
collaborando, con pro-
fondità evangelica, nella
quattro preferenze, pagnare protezione e nel rinnovamen-
i giovani
confermate anche to della creazione di Dio
in cammino
da papa Francesco, nella creazione Stimolano la nostra fantasia e
ne evidenzia il di un futuro di accendono i nostri desideri.
speranza
carattere di orizzonte. Vogliamo cambiare le cose,
facendo la differenza con il
Vangelo.

448 • Arturo Sosa SJ – Giuseppe Riggio SJ


dialoghi

turali non le danneggino prima che portino frutto. I passi compiuti in


questi anni devono continuare e l’anno ignaziano può ancora aiutarci
nel rafforzare il legame con l’ispirazione del Fondatore. Come corpo
apostolico della Compagnia possiamo crescere moltissimo, approfittando
dell’orizzonte rappresentato dalle preferenze apostoliche, per focalizzare
ancor di più la nostra missione al servizio delle persone.
Riggio: Quanto detto a proposito delle preferenze apostoliche universali
interpella direttamente anche Aggiornamenti Sociali, da tempo impegnata
nel discernimento dei segni dei tempi, per usare una formula del Concilio
Vaticano II, e nella formazione e accompagnamento di quanti si spendono
con generosità nel servizio a livello politico, sociale, culturale ed ecclesiale.
Nel contesto di oggi, in cui siamo confrontati con cambiamenti rapidi,
difficili da riconoscere e interpretare per la loro complessità e novità, come
possiamo svolgere la missione che ci è affidata perché possa rispondere alle
domande attuali in modo creativo e pertinente? In quale modo possiamo
dare un apporto che sia coerente con la nostra ispirazione ignaziana, che
rende originale e sensato quello che facciamo?
Sosa: I grossi problemi della società attuale hanno a che vedere con la
questione politica, con il venir meno di un impegno duraturo delle perso-
ne per il bene comune, a favore dell’umanità e del pianeta, qualcosa che
vada al di là del mio oggi, della mia famiglia, della mia città. È vero che
assistiamo a trasformazioni repentine in tanti ambiti, ma a mio parere
il cambiamento più rapido che sta verificandosi riguarda la perdita di
consapevolezza della cittadinanza, che finisce con il rafforzare i poteri
personalistici e arbitrari.
Questo è un punto fondamentale per una realtà come Aggiornamenti
Sociali: insieme all’esperienza di incontro con il Signore, che è la radice di
tutto quello che noi facciamo, è necessario avere profondità intellettuale,
consapevoli che raggiungerla rapidamente è solo un’illusione. Si tratta, in
qualche modo, di resistere alla tentazione del consumo immediato di let-
ture, idee, soluzioni, ecc. che si usano e subito si scartano. Il pensiero va
“pensato”: occorre tempo perché maturi, bisogna dialogare e confrontarsi,
capire altre esperienze, lasciarsi criticare e avere un pensiero critico, che è
spesso assente, anche riguardo noi stessi.
Inoltre, Aggiornamenti Sociali, come gli altri centri simili dei ge-
suiti presenti in tanti Paesi, deve mantenere ferma l’ispirazione di
coniugare la ricerca e l’azione sociale. Penso che tenere insieme queste
due istanze sia quello che la Compagnia può offrire sia alla Chiesa sia
alla società nella quale viviamo. Questo è il contributo più importante:
la profondità che tiene insieme diverse dimensioni, a partire da quella
spirituale, per noi fondamentale, e poi quella intellettuale, quella del
confronto e dell’azione sociale, per aiutare la gente a ragionare, trasfor-

«La nostra sfida è lasciarci guidare» • 449


mando il modo di pensare e vedere le cose perché si traducano in impe-
gno politico.
Riggio: Il tema della perdita del senso della cittadinanza è molto spesso
segnalato dalle realtà dei corpi intermedi che incontriamo: ci parlano di
una partecipazione sempre più ridotta e intermittente, di una disponibi-
lità a impegnarsi molto limitata. Questa constatazione non vale solo per
l’ambito sociopolitico, ma è presente anche a livello ecclesiale. Di fronte a
questa situazione c’è il rischio concreto di scivolare nella tristezza e di cer-
care rifugio e sicurezza in un passato “glorioso”. Quali strumenti abbiamo
a disposizione per evitare questa trappola che ci imprigiona nel passato e
che può essere mortifera soprattutto per i più giovani?
Sosa: Ho vissuto la maggior parte della mia vita in America latina, in
Venezuela, e da quando sono in Europa mi colpisce una visione un
po’ nostalgica del passato, come se il passato fosse stato molto buono
e glorioso, sia per la Chiesa sia per la società. Ma questa lettura non
corrisponde per nulla alla storia dell’Europa, che ha visto per secoli, e
ancora oggi, i suoi popoli combattere tutti contro tutti. Nel XVIII secolo,
nella società cristiana, ci sono state numerose e sanguinose guerre, mentre
venivano fondate colonie in tutte le parti del mondo: come possiamo dire
che andava meglio? Non è vero che la Chiesa era meglio 50 anni fa, al-
trimenti a che cosa è servito il Vaticano II? Perché è stata fatta una tale
riforma della Chiesa, se quello che c’era andava bene? Per questo, penso
che Aggiornamenti Sociali e altre realtà della Compagnia debbano avere un
pensiero critico sulla propria storia, che rappresenta un punto di partenza
necessario. Questo pensiero va strutturato, passa per il confronto, perché la
gente non vuole ascoltarlo, e ci si rifugia nella lamentela, accusando i gio-
vani di oggi di non voler capire. Non è vero che i giovani non capiscono.
Se parliamo un altro linguaggio, forse ci capiscono.
Un altro punto da tenere presente è che non dobbiamo ragionare in
base al numero di like o di follower. Le proposte della Compagnia, così
come la proposta cristiana in generale, sono per minoranze. Gli esercizi
spirituali non sono pensati per essere vissuti da una massa. Non dobbia-
mo angosciarci per i numeri, ma per la qualità di quanto facciamo e
dell’accompagnamento che offriamo. Non c’è altro modo di andare
avanti se non con un accompagnamento personale: questa è una delle
tradizioni più belle della Compagnia, sin dalle sue origini. Nella lunghissi-
ma formazione dei gesuiti questo è il punto chiave, essere sempre in proces-
si accompagnati. Dobbiamo continuare a proporre questa esperienza, con
la pazienza di coltivare tempi che non sono i nostri, che non dipendono da
noi. Dobbiamo lasciarci guidare.
A Roma a gennaio, con un gruppo di giovani gesuiti, ci si è chiesti
più volte perché la Compagnia non abbia una road map per mettere in

450 • Arturo Sosa SJ – Giuseppe Riggio SJ


dialoghi

pratica le preferenze apostoliche. Non c’è perché non vogliamo averla.


Se noi predisponiamo una road map, vuol dire che vogliamo pren-
dere il controllo della situazione, che conosciamo già il cammino che
vogliamo fare. Quando facciamo così ci stiamo ingannando: la nostra
sfida è lasciarci guidare, altrimenti perché facciamo discernimento? Se
conosciamo la mappa, a che cosa serve il discernimento? Abbiamo bisogno
di una macchina appropriata al terreno, abbiamo bisogno di calcolare i
tempi, ma dobbiamo capire che questo non significa avere il controllo della
situazione. Anzi, dobbiamo rinunciare ad averlo e dobbiamo imparare a
essere guidati. Per un gesuita che ha investito 25 anni e 4 dottorati nella
sua formazione non è certo facile, ma quella è la sua vocazione. Noi non
ci prepariamo intellettualmente e umanamente per avere il controllo, ma
per il contrario, per lasciarci guidare meglio e fare bene quello su cui siamo
guidati. Certo occorre uno sforzo grandissimo per discernere, a livello per-
sonale e in comune, ma è uno sforzo inevitabile proprio perché il controllo
non è nelle nostre mani.
Riggio: L’invito a lasciarci guidare si traduce come primo passo nel met-
tersi in ascolto dello Spirito, un momento centrale nel cammino sinoda-
le che la Chiesa sta vivendo. Dal suo punto di osservazione come valuta
questo processo che papa Francesco ha indicato e sostenuto con forza? In
particolare, quale contributo può venire dalla spiritualità ignaziana, perché
l’approccio sinodale divenga un’esperienza viva nelle varie Chiese?
Sosa: Per rispondere parto da un dato biografico: ho scoperto la mia voca-
zione alla vita cristiana e alla Compagnia di Gesù quando facevo le scuole
medie, proprio negli anni del Concilio Vaticano II. Io sono nato lì, nella
Chiesa che ha voluto guardarsi allo specchio come popolo di Dio. In questi
decenni, il cammino del Concilio è stato accompagnato da tensioni, ma il
popolo di Dio ha offerto testimonianze bellissime. Penso a tanti esempi,
soprattutto in America latina, che conosco meglio, ma anche in Africa.
Nel 1997-1998 ho visitato l’Angola meridionale, che era in guerra da anni
e dove da tempo non c’erano più sacerdoti, gli ultimi erano stati alcuni
benedettini cacciati via già 10-12 anni prima dell’arrivo del Jesuit Refugee
Service. Lì esisteva una Chiesa, una comunità cristiana senza alcun prete.
I catechisti erano gli animatori della comunità e mi ha colpito moltissimo
che c’era una persona che chiamavano il “catechista generale” ed era inca-
ricata di animare, scegliere e formare gli altri catechisti. Ma nessuno era
prete. Quando sono arrivati tre gesuiti e una comunità di suore c’è stata
una grande felicità. I gesuiti non facevano altro che celebrare l’eucaristia di
comunità in comunità, e la gioia che si respirava in quelle celebrazioni era
favolosa. L’eucaristia durava alcune ore, poi si cucinava e si mangiava insie-
me, pur nell’estrema povertà. Per me il fatto che si parli di nuovo di una
Chiesa popolo è un grande sollievo, una boccata di aria fresca. Ritengo

«La nostra sfida è lasciarci guidare» • 451


che questa realtà aiuti i membri del clero, compresi noi gesuiti, a capi-
re che cos’è il ministero, che cosa significa essere ministro, cioè qualcuno
che si mette al servizio di qualcun altro. Capovolge il modo di fare le cose.
La spiritualità ignaziana è molto vicina a questo sentire: Ignazio non ha
avuto bisogno di essere prete per sperimentare gli esercizi. Lo è diventato
dopo e lo ha fatto per poter servire le anime, come lui diceva, ma l’espe-
rienza degli esercizi, dell’incontro con il Signore, l’ha vissuta come essere
umano e chiunque può viverla. Gli esercizi sono un tesoro a disposizione
della Chiesa, uno strumento molto potente per poter aiutare questo proces-
so di consapevolezza del popolo di Dio, riunito nel nome del Signore, che
è la sua guida, il suo Spirito, ed è proprio quello che può salvare la Chiesa.
La Chiesa collabora nella missione del Signore.
Riggio: Il riconoscimento di quanto sia importante la collaborazione è
ormai acquisito, almeno sul piano teorico, ma poi bisogna fare i conti con
le difficoltà che sorgono quando ci si confronta concretamente su singoli
temi, partendo da una pluralità di punti di vista e di proposte. In questi ca-
si, è possibile che sorgano situazioni conflittuali, che non sempre vengono
affrontate. Alle volte per evitare il conflitto, si resta in superficie oppure si
collabora solo con quanti la pensano come noi…
Sosa: Evitare il conflitto è un modo di chiudere il Vangelo. Il Signore
lo dice sempre: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi»
(Giovanni 15,20). Il Vangelo non nasconde il conflitto o la persecuzio-
ne, non nasconde la croce, quella è la salvezza che ci ha aperto Gesù.
Come ci dice l’inno dei Filippesi (2,5-11), Gesù si è spogliato, si è svuo-
tato per essere uno di noi. Nella sua vita ha provocato gioia e conflitti, è
morto in croce deludendo alcuni dei suoi discepoli, perché sembrava un
fallimento… È lo scandalo della croce. Per questo è impossibile pensare a
una Chiesa pacifica, illudendosi che sia al riparo da tensioni o conflitti. Ad
esempio, anche ricorrere al discernimento significa confrontarsi con il con-
flitto: non è un metodo per prendere decisioni, ma per seguire lo Spirito
buono e respingere quello cattivo, prendendo atto del conflitto tra bene e
male che c’è nella storia e di fronte al quale dobbiamo prendere posizione.
Riggio: Quanto può essere di aiuto il metodo della conversazione spiritua-
le, che è stato ampiamente sperimentato nel cammino sinodale, per saper
stare dentro i conflitti e poterli così risolvere e trasformare in un passaggio
verso qualcosa di nuovo, come indicato nell’Evangelii gaudium?
Sosa: La conversazione spirituale può offrire un valido aiuto, perché se-
condo me insegna almeno tre cose importanti. La prima è ascoltare, che
non è facile. Non siamo abituati a farlo, ma la conversazione spirituale
è impossibile senza un esercizio generoso di ascolto. La seconda è che
aiuta a parlare dal cuore: quando si parla a partire dall’esperienza dello

452 • Arturo Sosa SJ – Giuseppe Riggio SJ


dialoghi

Spirito, allora si condivide qualcosa di significativo. Non è facile trasfor-


mare in parole quello che si è sentito nel cuore, in questo viene in aiuto la
spiritualità ignaziana, che è molto attenta all’affettività, al sentire il Signore
e con il Signore. Infine, la conversazione spirituale favorisce il cambiare
posizione e idea, che è frutto della libertà acquisita nell’esperienza spiri-
tuale e dell’ascolto, perché ascoltando gli altri, le loro storie, ascoltiamo lo
Spirito. Cambiare posizione non è facile ma è molto importante, ed è il
fondamento della politica. Se la politica è un modo di prendere decisioni
cercando di far diventare realtà il bene comune, senza ricorrere a imposi-
zioni di forza, allora occorre negoziare. Quando si fa un negoziato, nessuno
dei partecipanti, che siano singoli o un gruppo, giunge alla sua conclusione
senza essere stato cambiato da quanto vissuto. La conversazione spirituale
per questo è una scuola.
Riggio: Quanto ha appena detto a proposito del conflitto e della politica
fa pensare inevitabilmente alla guerra in Ucraina, vissuta da molti europei
come un evento drammatico e traumatico. Pur sapendo che ci sono molti
conflitti nel mondo, come europei pensavamo che non fosse possibile che
accadesse di nuovo nel nostro continente. In questa situazione, in cui i mo-
tivi di preoccupazione sono così numerosi, come possiamo portare avanti il
compito del servizio della giustizia e la ricerca di motivi di speranza?
Sosa: Mi collego con la riflessione fatta prima sul pensiero critico. Perché
è stata una sorpresa la guerra in Ucraina per gli europei? I segni erano
già tutti presenti. Da quanto tempo voi di Aggiornamenti Sociali avete
iniziato a percepire i segni di indebolimento della democrazia, del raffor-
zamento delle personalità forti? Non sono eventi che si producono da un
giorno all’altro, lo sapevamo. Per questo lo sforzo di pensare criticamen-
te mi sembra molto importante. Il Vangelo è questo, non è un racconto
felice, ma presenta una realtà complessa e il modo in cui è vissuta da Gesù,
i discepoli e gli altri. L’esperienza delle comunità cristiane in diverse parti
del mondo che prima richiamavo è stata nutrita dalla scoperta e dalla lettu-
ra della Parola di Dio, che introduce a questo sguardo critico. È quanto ha
fatto il card. Martini in tutti i suoi anni di pastore della diocesi di Milano
attraverso la lettura della Scrittura con il popolo. In questo modo, si diven-
ta capaci di avere uno sguardo critico sulla realtà e ciò, paradossalmente,
produce gioia, la gioia di prendersi addosso la croce.
Riggio: È quanto sta facendo papa Francesco in questo momento a propo-
sito del conflitto in Ucraina, cercando di pensare criticamente e di resistere
alle semplificazioni e alle contrapposizioni dure.
Sosa: Certamente, ma il Papa con le sue scelte sta indicandoci anche qual-
cos’altro. Da un lato, nel governo della Chiesa ha saputo mantenere una
pluralità interna tra i suoi stretti collaboratori, e sa capire la complessità.

«La nostra sfida è lasciarci guidare» • 453


Dall’altro, uno dei punti chiave dell’insegnamento di Francesco riguarda
proprio l’attenzione ai processi, che hanno ritmi diversi, non uguali per
tutti. In una realtà complessa come la Chiesa sono in atto tanti processi
contemporaneamente, che non hanno un’unica velocità e un’unica dire-
zione. Mi sembra che il pontificato di Francesco abbia aperto moltissime
finestre in questo senso.
Riggio: Pensando alla realtà della Chiesa in Europa, questa dinamica dei
processi, che papa Francesco coniuga con l’affermazione che non viviamo
più in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento di epoca, che cosa
significa e a che cosa ci chiama?
Sosa: Dobbiamo lasciarci guidare dallo Spirito, è questa la grande sfida,
e per questo occorre essere radicati in un’esperienza spirituale. Quando si
parla della Chiesa europea, si pensa sempre al processo di secolarizza-
zione dell’Europa e al suo affermarsi. Secondo me questa è una realtà
che dobbiamo capire meglio chiedendoci quali opportunità ci apre il
mondo secolare. Alle volte non le cogliamo perché siamo bloccati da un
pregiudizio negativo. Il mondo secolare ha probabilmente dei vantaggi che
non sono presenti nel mondo sacralizzato in cui in molti posti abbiamo
vissuto. Comprendere quali opportunità si aprono in questo contesto è
uno dei temi di confronto e di ricerca tra noi, questo richiede di viverci
dentro. Mi sembra interessante a questo proposito il modo in cui abbiamo
formulato la terza preferenza apostolica: l’ascolto dei giovani non va ridotto
a una questione anagrafica, ma va inteso nel senso dell’ascolto della novità
rappresentata dai giovani. Bisogna comunque partire dall’ascolto per po-
ter poi dire qualcosa, per poter accompagnare processi. Adesso abbiamo
la grande sfida di ascoltare questo cambiamento d’epoca, che è legato al
mondo secolare.

454 • © FCSF - Aggiornamenti Sociali


fede & giustizia

Alle radici spirituali


dell’impegno sociale
L’eredità di Carlo Maria Martini

Giacomo Costa SJ
Presidente della Fondazione Culturale San Fedele e vicepresidente della Fondazione
Carlo Maria Martini, <costa.g@aggiornamentisociali.it>, @giacocosta

bibbia ● carità ● chiesa cattolica ● chiesa italiana ● martini carlo maria ● impegno
sociale ● promozione della giustizia ● rapporto chiesa-società ● sinodo ● spiritualità
ignaziana

Il 31 agosto 2022 cade il decimo anniversario della morte di Carlo Maria


Martini, che dieci anni prima aveva terminato il suo servizio come arcive-
scovo di Milano, lasciando un segno profondo nell’arcidiocesi ambrosiana,
in tutta la Chiesa e non solo. Anche rilette ora, le sue parole continuano a
interpellarci. Qual è la radice di questa vitalità? Quale eredità può donare
al nostro tempo? Ce lo chiediamo in particolare nella prospettiva dell’eser-
cizio della carità all’interno della società, come servizio agli ultimi e come
promozione di una maggiore giustizia.

A
decenni di distanza da quando furono pronunciate, le parole del
card. Martini continuano a essere pubblicate e a suscitare l’inte-
resse di vecchi e nuovi lettori. Interpellano anche il nostro tempo,
o meglio ci prospettano delle piste per interpretarlo. La radice di questa
fecondità non risiede in una perenne attualità del loro contenuto: sono ben
radicate nel contesto in cui sono state concepite, di cui abbiamo bisogno di
tempo per ricostruire le coordinate, che si tratti del mondo ancora diviso
in blocchi contrapposti o nelle prime fasi della globalizzazione, dell’Italia
della Prima Repubblica o degli anni del terrorismo, di una società assai
meno diversificata e multiculturale della nostra, o di un contesto ecclesiale
segnato dalle tensioni del postconcilio, come quelle emerse in maniera pla-
stica durante il Convegno ecclesiale nazionale di Loreto del 1985.
Via via che trascorre il tempo, ci rendiamo sempre più conto che a esse-
re generative non sono le affermazioni di Martini sui temi affrontati,
ma il suo approccio ai problemi, il metodo con cui li avvicina, li affron-

Aggiornamenti Sociali agosto-settembre 2022 (455-464) • 455


ta e cerca possibili soluzioni. A tratteggiare gli elementi fondamentali di
questo metodo sono dedicate le pagine che seguono. Lo faremo con una
particolare attenzione alla prospettiva propria di Aggiornamenti Sociali, al-
la ricerca di quanto Martini ha ancora oggi da dire a chi intende portare
avanti un impegno sociale in una prospettiva di fede, ovvero provare a
“farsi prossimo”, per utilizzare l’espressione che il Cardinale stesso rese
famosa per contraddistinguere un preciso stile nel modo di svolgere il ser-
vizio della carità, a partire dalla parabola evangelica del Buon samaritano 1.

1. Il radicamento negli Esercizi spirituali ignaziani


L’approccio di Martini si alimenta di una pluralità di fonti ed è il
frutto di molti incontri. Leggendo con cura le sue parole, è possibile trovar-
ne traccia. Costantemente attinge ai propri studi di biblista, e soprattutto
alla competenza dell’esegeta, che sa avvicinarsi con rispetto al testo e met-
tersi in ascolto silenzioso 2, investendo il tempo necessario per compren-
derne il significato inteso da chi lo ha composto. Con lo stesso profondo
rispetto, peraltro, Martini si metteva in ascolto di tutte le persone che
incontrava. Di tanto in tanto il Cardinale attinge anche alla memoria dei
suoi studi o interessi giovanili, in campo letterario e cinematografico, ad
esempio, ma in nessun ambito diverso dall’esegesi può vantare una effet-
tiva competenza. Questo vale anche per quanto riguarda l’approccio alle
questioni sociali e politiche, o ai temi bioetici, per i quali si è certamente
avvalso del contributo degli esperti che ha incontrato e con cui si è
confrontato, già quando era a Roma e ancora di più una volta diventato
arcivescovo di Milano.
Tra le fonti a cui Martini attinge, una si staglia per importanza:
la spiritualità ignaziana e in particolare l’itinerario degli Esercizi spi-
rituali. Incontrata nell’adolescenza, praticata in prima persona lungo tutta
la vita e offerta in innumerevoli corsi proposti ai pubblici più vari, questa
lo plasma nell’intimo, fino a diventare la struttura portante del suo
approccio alla realtà, compresa la Scrittura.
Gli Esercizi spirituali ignaziani sono animati da una intenzionalità
profonda: favorire l’incontro personale con il Signore morto e risorto,
coinvolgendo la persona nella sua interezza, e in particolare la dimensione
dell’affettività. Puntano a far sperimentare alla persona l’amore di Dio,
suscitando la disponibilità ad affidarvisi e il desiderio di contraccambiare,
che alimenta la decisione di compiere scelte concrete che indirizzano la
1 Le riflessioni qui presentate riprendono e sviluppano alcuni spunti contenuti in Co-

sta G., «Introduzione» al VI volume dell’Opera omnia del Cardinale, pubblicata a cura della
Fondazione Carlo Maria Martini: Martini C.M., Farsi prossimo, a cura di Paolo Foglizzo, con
prefazione di Luis Antonio Tagle, Bompiani, Milano 2021.
2 Per una presentazione sintetica del lavoro esegetico di Martini, cfr Crimella M., «Co-

municare il Vangelo: il respiro di Carlo Maria Martini», in Aggiornamenti Sociali, 8-9 (2014)
542-553.

456 • Giacomo Costa SJ


fede & giustizia

propria vita. Come spiega lo stesso Martini, il cammino degli Esercizi


spirituali «mette il fedele a contatto non con se stesso, con il suo mondo
interiore, con le sue fantasie e le sue angosce, quasi si trattasse di una psi-
coanalisi, ma con l’evento della morte e risurrezione di Gesù, intese come
ambito, esempio, motivo e forza per le difficili scelte pratiche della vita» 3.
Gli Esercizi spirituali non sono un corso di formazione che offre sin-
tesi dottrinali, precetti morali o soluzioni preconfezionate. Sono piuttosto
un dispositivo che espone la persona al contatto diretto con la Pa-
rola di Dio e la invita a far emergere le risonanze profonde che essa
suscita. Più che offrire risposte, dispongono la persona a farsi delle doman-
de – quanti interrogativi punteggiano
i testi di Martini! – e a mettersi in «[Il cammino degli Esercizi
movimento, alla ricerca di una via, spirituali] mette il fedele a
la propria, per costruire una risposta, contatto non con se stesso, con il
nel più profondo rispetto del percor- suo mondo interiore, con le sue
so che lo Spirito suggerisce agli altri. fantasie e le sue angosce, quasi
Una fiducia di base sorregge l’intero si trattasse di una psicoanalisi,
itinerario: in qualche modo siamo ma con l’evento della morte e
tutti “mistici”, capaci, in quanto cre- risurrezione di Gesù, intese come
ati da Dio e diventati suoi figli e fi- ambito, esempio, motivo e forza
glie nel Battesimo, di ascoltare la sua per le difficili scelte pratiche della
voce, ciascuno con la propria unicità vita».
e originalità. Martini C.M., «La figura spirituale di
Oltre alla sua naturale riservatez- sant’Ignazio», 11
za, è questa la ragione per cui Marti-
ni è così schivo nel fare riferimenti diretti alla spiritualità che lo sostiene.
Mai cede alla tentazione del “marketing ignaziano”, e come vescovo di Mi-
lano non prova a “ignazianizzare” la diocesi, ma offre la propria prospettiva
come risorsa a servizio di una esperienza ecclesiale più ampia, che non può
non essere abitata da una pluralità di tradizioni, di cammini e di linguaggi.
Altrimenti non sarebbe un autentico servizio alla Chiesa, Popolo di Dio
chiamato ad articolare le differenze che costitutivamente lo attraversano.
O, come diremmo con il lessico dei nostri giorni, da sempre chiamato a
“camminare insieme”.
Chi ha familiarità con la spiritualità ignaziana non fatica però a rico-
noscere quanto essa, pur rimanendo sottotraccia, rappresenti una costante,
una vera e propria struttura portante di quanto Martini propone. Un esem-
pio ci aiuta a comprenderlo. La celebre lettera pastorale Farsi prossimo 4,
pubblicata il 10 febbraio 1985, è sostanzialmente una meditazione sulla
3 Martini C.M., «La figura spirituale di sant’Ignazio», in La rivista del clero italiano, 1 (1992)
11.
4 Martini C.M., «Farsi prossimo. La carità oggi, nella nostra società e nella Chiesa», in Id.,

Farsi prossimo, 5-76.

Alle radici spirituali dell’impegno sociale • 457


parabola del Buon samaritano, il cui cuore è identificato dal Cardinale con
l’espressione «ne ebbe compassione» (Luca 10,33), che nell’originale greco
è una sola parola. Così commenta: «Ciò che mi voglio chiedere è che cosa
è scattato in lui, che meccanismo si è messo in moto nel suo animo, quale
concreto cammino egli ha percorso per farsi prossimo di quel disgraziato,
soccorrerlo, prevederne i bisogni futuri» (ivi, 15). Martini non offre qui
uno spunto da esegeta in senso stretto, ma condivide il suo modo di pre-
gare su quel testo secondo il metodo della contemplazione ignaziana,
che spinge a entrare nella scena che si sta contemplando, a immedesimarsi
con i personaggi fino a sentire i movimenti del loro cuore. Del tutto coe-
rente con l’intenzione pratica degli Esercizi spirituali, che punta alla deci-
sione, al passaggio all’azione, è anche il passo immediatamente successivo:
«E mi voglio chiedere conseguentemente che cosa debba scattare in me, in
ogni mio fratello e sorella, in ogni comunità cristiana, quali forze vadano
risvegliate, quali responsabilità vadano assunte, quali itinerari vadano per-
corsi, perché noi possiamo ripetere il gesto del buon samaritano qui e ora,
nel mondo d’oggi, in questa società milanese di cui facciamo parte» (ivi).

2. Il “metodo Martini”
Martini è universalmente associato a iniziative come la Scuola della
Parola 5 e identificato come colui che ha saputo riproporre alla Chiesa del
nostro tempo la tradizione della lectio divina di origine monastica, che
peraltro è anche una delle fonti a cui attinge Ignazio di Loyola nell’elabo-
razione del metodo degli Esercizi spirituali. Come spiega egli stesso nella
seconda lettera pastorale alla diocesi milanese, la lectio «consiste nella
lettura di una pagina biblica tesa a far sì che essa diventi preghiera
e trasformi la vita» 6. Questo può avvenire procedendo in due direzioni:
partendo dal testo biblico per arrivare al cuore della persona e quindi alla
sua vita, così come partendo «dai fatti della vita per comprenderne il signi-
ficato e il messaggio alla luce della parola di Dio» (ivi).
Questa articolazione di Parola e vita è uno snodo cruciale del modo di
procedere di Martini, in cui è particolarmente vivo l’influsso degli Esercizi
spirituali ignaziani e di cui il commento alla parabola del Buon samaritano
sopra citato costituisce una chiara esemplificazione. Per spiegare questo
metodo egli ricorre a una immagine: impastare la Parola con la vita 7.

5 A riguardo si rinvia al volume IV dell’Opera omnia: Martini C.M., La Scuola della Parola,

a cura di Giampiero Forcesi e Maurizio Teani, con prefazione di Gianfranco Ravasi e introdu-
zione di Franco Agnesi, Milano, Bompiani 2018.
6 Martini C.M., In principio la Parola. Lettera al clero e ai fedeli sul tema “La parola di Dio

nella liturgia e nella vita”, per l’anno pastorale 1981-1982, Centro ambrosiano, Milano 1981, 56.
7 Martini C.M., «Lasciarsi intridere dalla parola di Dio», 11 gennaio 1999, in Id., Farsi pros-

simo, 678. Martini commenta qui un passo della Lettre n. 34 di Madeleine Delbrêl (tr. it. in
Delbrêl M., Che gioia credere, Gribaudi, Torino 1970), che dice: «Gli avvenimenti non possono
essere per noi segno della volontà di Dio altrimenti che mettendoli in collegamento con la

458 • Giacomo Costa SJ


fede & giustizia

In vista di questo obiettivo, Martini, oltre a proporre la sua versio-


ne della lectio divina come strumento per comprendere il significato della
Parola di Dio per la nostra vita, elabora anche un metodo, finora meno
noto, che consente di interpreta- «Se colleghiamo gli avvenimenti
re gli avvenimenti come segni dei con la Parola di Dio, o se
tempi, alla luce della Parola, in modo “mettiamo in essi” la Parola,
da riconoscere quali passi ci spinge a
questa Parola può rivelarci
compiere la voce dello Spirito che in
la volontà di Dio. Non per
essi risuona. È il metodo che lui stes-
so seguiva per impostare innumere-
qualche divinazione o apertura
voli incontri con interlocutori assai a caso della Scrittura – come
diversi, dai giovani di una parrocchia alcuni fanno –, ma mettendoci
a un gruppo di politici: traspare dai in preghiera profonda e
suoi testi ed è per noi fonte di ispi- confrontando incessantemente
razione. Sviluppando una intuizione l’agire di Dio e le sue costanti
del card. Ravasi 8, possiamo notare nella Bibbia con ciò che emerge
come questo metodo rappresenti una dall’evento che ci interpella. È
applicazione della lectio biblica alle fondamentale questo lavoro di
vicende della storia, in cui lo Spirito impastare insieme accadimenti e
è misteriosamente presente. In questo Parola».
modo integra in una chiave squisita- Martini C.M., Lasciarsi intridere dalla
mente spirituale quella che a partire Parola di Dio, 11 gennaio 1999
dal pontificato di Giovanni XXIII è
diventata la metodologia alla base dell’elaborazione della dottrina sociale
della Chiesa, nota come “vedere-giudicare-agire”.

a) Ascolto
Il primo passo, di cui Martini è indubbiamente un esperto, è l’ascolto
della realtà, nel rispetto di tutte le sue sfaccettature, accettando anche
il disagio di sostare negli interrogativi senza ricorrere sbrigativamente a
risposte preconfezionate. L’ascolto della realtà permette di raccogliere dati
e informazioni, ma la sua valenza va al di là di questo aspetto funzio-
nale. L’ascolto è innanzi tutto espressione di un atteggiamento di fondo
nei confronti del mondo. Tre aggettivi ci aiutano a metterne a fuoco le
caratteristiche.
Quello che Martini pratica e propone è anzitutto un ascolto contem-
plativo. Occorre comprendere bene il senso che il Cardinale dà a questo
termine, che scelse come perno della prima lettera pastorale rivolta alla
diocesi di Milano, intitolata La dimensione contemplativa della vita 9. La

parola di Dio, che mettendola in essi. Essa rivela allora la volontà di Dio che deve essere fatta
nella pasta stessa di tali avvenimenti».
8 Cfr Ravasi G., «Prefazione» a Martini C.M., La Scuola della Parola, XIX.
9 Martini C.M., La dimensione contemplativa della vita, Centro Ambrosiano, Milano 1980.

Alle radici spirituali dell’impegno sociale • 459


contemplazione non va qui intesa come pratica spirituale cristiana, ma in
un senso più profondo, di radicale apertura nei confronti della realtà e di
disponibilità a lasciarsi toccare nel proprio intimo, prestando attenzione
alle risonanze interiori che essa suscita. È dunque un ascolto che richiede
di accettare una passività originaria e al tempo stesso di mettere in gioco
tutta la propria affettività, una componente molto forte della personalità
di Martini, pur celata da una apparente ieraticità.
Inteso in questo senso, un ascolto contemplativo non può che essere
empatico, cioè sgombro di pregiudizi e teso a cogliere e poi restituire agli
interlocutori quanto possa stimolare ulteriori passi, non a porre ostacoli al
prosieguo del cammino. Per questo si tratta anche di un ascolto capace
di discernimento, cioè in grado di selezionare ciò che merita di essere
approfondito perché potenzialmente costruttivo.

b) Approfondimento
Dopo l’ascolto viene infatti un passo di approfondimento, che punta a
rintracciare le risorse personali e comunitarie su cui si può contare per
andare incontro alle esigenze della realtà. In un corso di esercizi spiri-
tuali a sacerdoti e operatori pastorali tenuto a Galloro nel maggio 2007, or-

Farsi Prossimo

Carlo Maria Martini


Farsi prossimo

A cura di Paolo Foglizzo


Prefazione di Luis Antonio Tagle
Introduzione di Giacomo Costa

Bompiani, Milano 2021, € 25,00


(€ 20,00 per gli abbonati ad Aggiornamenti Sociali
tramite il sito della rivista)

Si articola in due tomi, il primo tema della carità e della prossimità, che
disponibile in formato cartaceo ed ha rappresentato uno degli assi portanti
elettronico, il secondo scaricabile da dell’episcopato martiniano.
Internet, il sesto volume dell’Opera I testi sono disposti organicamente in tre
omnia del gesuita arcivescovo di Milano, blocchi tematici, o parti. La Prima, “Farsi
promossa dalla Fondazione Carlo Maria prossimo”: un discernimento ecclesiale per
Martini. Sotto il titolo Farsi prossimo, la carità, è dedicata l’articolato processo
raccoglie gli interventi e i documenti sul ecclesiale che condusse alla celebrazione

460 • Giacomo Costa SJ


fede & giustizia

mai da arcivescovo emerito, Martini sottolinea l’importanza di partire non


da lacune e mancanze, ma dalle occasioni in cui si sperimenta un’auten-
tica gioia del Vangelo, e descrive questa fase con l’immagine della ricerca
dell’acqua: in mezzo ai problemi, che sono sempre tanti, dov’è l’acqua che
ci può dare vita? Quali sassi bisogna spostare perché possa scorrere meglio?
Tre requisiti di questa fase di approfondimento o ricerca ci aiutano a
tracciarne il profilo. Richiede innanzi tutto competenze per scavare a
fondo nella realtà, mettendo in luce aspetti che a prima vista non bal-
zano all’occhio. In una realtà sempre più complessa occorre una pluralità
di approcci e di prospettive, per cui è praticamente impossibile affrontare
questa fase da soli: per questo Martini aveva una rete di esperti con cui
si confrontava sulle diverse problematiche, a servizio del suo ministero.
Inoltre, per essere efficace, questa fase deve essere ispirata a una profon-
da libertà interiore rispetto a pregiudizi, posizioni ideologiche e interessi
precostituiti, che anzi deve contribuire a portare alla luce. Per questo è
fondamentale il confronto con la Parola di Dio, così come con la dottrina
sociale della Chiesa, ma anche con le diverse scienze sociali e umane, cia-
scuna delle quali contribuisce a illuminare la realtà. La Cattedra dei non
credenti, iniziativa di dialogo con il mondo della cultura inventata da Mar-

del convegno di Assago (1986), anch’esso «E l’amore del Padre, che mette nei
intitolato “Farsi prossimo”, e segue poi nostri cuori lo Spirito Santo, ci muove,
il dipanarsi dell’attuazione pratica delle malgrado tutto, a chiederci sempre: che
sue conclusioni. La Seconda parte, La cosa potrei fare per amare di più, per
pratica della prossimità, accompagna perdonare di più, per capire di più, per
Martini nella sua riflessione sulla accogliere di più?».
prossimità praticata, anche nel suo Dalla lettura continuata di questi testi
impegno personale diretto, proponendo emergono le posizioni del Cardinale sulle
ad esempio le parole pronunciate in situazioni del suo tempo e in rapporto
occasione delle regolari visite alle carceri ai dibattiti allora in corso, e intuizioni
milanesi; ma non mancano quelle ancora in grado di ispirarci; soprattutto
dedicate ad altre forme di sofferenza via via traspare che alla base c’è un
ed emarginazione e all’impegno sociale metodo, che rende Martini capace
e politico per realizzare una società più di andare in modo originale al cuore
giusta. La Terza parte, Radici e orizzonti di problemi su cui la sua formazione
della prossimità, documenta il lavoro di di esegeta non gli forniva alcuna
scavo fondativo e di ritorno riflessivo competenza specifica. È questo metodo,
sui temi della prossimità in cui Martini che applica all’approfondimento delle
si è costantemente impegnato, a partire dinamiche sociali l’approccio della lectio
da alcuni esempi di lectio divina sui divina, facendone occasione di preghiera
temi della carità, per chiudersi con una che trasforma la vita, l’eredità martiniana
riflessione sulla giustizia, anche divina, più preziosa che il volume consente di
che ci rilancia una domanda perenne: cogliere.

Alle radici spirituali dell’impegno sociale • 461


tini 10, resta come testimonianza della fecondità di questo atteggiamento
di libertà interiore. Infine, la fase dell’approfondimento richiede di essere
animata dalla carità, come disponibilità a mettere in gioco il cuore ancor
prima della testa e delle mani, inteso nel senso biblico di centro unificatore
della volontà, del desiderio e della capacità progettuale, non come slancio
emotivo: come esempio possiamo guardare al cuore del Buon samaritano,
i cui movimenti Martini indaga nel brano sopra citato. Questo cuore è il
motore della ricerca e dell’approfondimento.

c) Azione
Costruito sul paradigma del discernimento spirituale ignaziano, questo
metodo non può che puntare al passaggio all’azione, senza il quale reste-
rebbe bloccato in una sorta di astrazione fine a se stessa. Il suo obiettivo,
per dirlo con il lessico di papa Francesco, non è occupare spazi, ma avviare
processi, senza predeterminare il punto di arrivo. Martini lo ha ben pre-
sente, ad esempio quando spiega che la carità, intesa come sintesi della vita
cristiana in risposta all’amore di Dio, «non è un atteggiamento univoco,
[…] ma un interiore senso dell’orientamento, che permette di prendere, di
volta in volta, la direzione giusta» 11.
L’azione non è solo un gesto più o meno occasionale, ma un atto
in cui la persona accetta di mettersi in gioco esercitando la propria
responsabilità. Chi passa all’azione non rimane spettatore della storia, ma
decide di tuffarvisi dentro e di lasciarsi mettere in mezzo, come impariamo
dalla profonda riflessione martiniana sul significato dell’intercessione, ela-
borata negli ultimi mesi di servizio episcopale con riferimento all’inasprirsi
del conflitto arabo-israeliano nel 2002: «Certo, noi vorremmo che finisse
il conflitto, che non ci fosse. Dovremmo però anche avere il coraggio di
buttarcisi dentro come intercessori, passando in mezzo e pregando per gli
uni e per gli altri, sull’esempio di Gesù, pregando per i carnefici e per le
vittime» 12.

3. Un metodo per “camminare insieme”


Il “metodo Martini” che abbiamo qui delineato ha un corollario che lo
rende di estrema attualità. Anche se si fonda su una serie di atteggiamenti
di fondo della persona, non può essere praticato in modo autentico a livel-
lo individuale, perché richiede di incrociare una pluralità di sguardi e di
punti di vista: per usare espressioni a cui papa Francesco ci sta abituando,
10 A riguardo, cfr il volume I dell’Opera omnia: Martini C.M., Le cattedre dei non credenti,

a cura di Virginio Pontiggia, con prefazione di papa Francesco e introduzione di Guido For-
migoni, Bompiani, Milano 2015.
11 Martini C.M., «Il volontariato nella pastorale organica della Chiesa locale», 15 settem-

bre 1981, in Id., Farsi prossimo, 101-102.


12 Martini C.M., «Lasciarci guidare dallo spirito e dal realismo delle situazioni», 20 aprile

2002, in Id., Farsi prossimo, 886.

462 • Giacomo Costa SJ


fede & giustizia

lo Spirito che parla nella storia si rivolge a un “noi”, a un “popolo”.


Martini concepisce il proprio ministero episcopale come servizio di
animazione di quel popolo, in modo che possa prendere coscienza di sé
e scegliere in che direzione muoversi. Per rendersene conto, basta pensare
al processo che condusse alla celebrazione del Convegno “Farsi prossimo”,
punto di arrivo di un percorso che mobilitò l’intera diocesi di Milano
attraverso lo svolgimento di 930 assemblee parrocchiali e inviti alla par-
tecipazione rivolti anche a persone esterne ai circuiti ecclesiali. Coinvolse
così ben più degli oltre duemila delegati che si recarono ad Assago, sede
del convegno, dando vita a un evento corale che anticipa l’attenzione che
oggi dedichiamo alla sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa
e alla costruzione di esperienze ecclesiali autenticamente sinodali. Anzi, ri-
percorrere i passi attraverso cui fu costruito il percorso del Convegno “Farsi
prossimo” sarebbe di grande ispirazione per mettere a fuoco metodologie
per strutturare cammini sinodali, compresa la fase dell’attuazione. L’im-
pegno di Martini non termina infatti con la chiusura del Convegno, ma
prosegue lungo gli anni del suo ministero episcopale, attraverso lo sforzo
di accompagnare le scelte che ad Assago furono prese 13: la formazione dei
cristiani a una presenza e a un servizio informato e competente, la centra-
lità dell’impegno politico e l’istituzione delle relative scuole di formazione,
l’istituzione del diaconato permanente.
Incontriamo così un’ultima sfaccettatura di quello che abbiamo chia-
mato il “metodo Martini”: per praticarlo non bisogna mettersi in catte-
dra, ma farsi compagni di strada, offrendo strumenti per avanzare insie-
me nella direzione che la carità suggerisce. Capiamo allora che il termine
“metodo” rischia di risultare riduttivo, se lo si intende come una tecnica o
una procedura. Il riferimento alla carità, infatti, rimanda a un mistero ben
più profondo di qualunque dispositivo organizzativo: la carità resta «sem-
pre un po’ al di là di ciò che possiamo capirne, perché, come scrive (solo
una volta) san Giovanni: Dio è carità» 14. Per questo essa «chiama diretta-
mente in causa la persona» 15, la sua dedizione, il suo spirito di gratuità e la
sua disponibilità al perdono, che «costituiscono l’indispensabile contesto
in cui maturano le scelte operative e la organizzazione dei servizi» (ivi).
Inoltre, la carità sempre si orienta alla valorizzazione e alla promozione
della dignità della persona.
Proprio perché interpella l’interiorità di ciascuno, il richiamo della
carità, cioè la spinta a farsi prossimo che muove il Buon samaritano,
non è questione puramente confessionale: non a caso la parabola sceglie

13 Il già citato Farsi prossimo documenta con puntualità questo sforzo di accompagna-

mento.
14 Martini C.M., «I sentieri della carità», 7 settembre 1985, in Id., Farsi prossimo, 1074.
15 Martini C.M., «Il volontariato nella pastorale organica della Chiesa locale», in Id., Farsi

prossimo, 102.

Alle radici spirituali dell’impegno sociale • 463


di proporci come esempio la figura di una persona che dal punto di vista
religioso è un eretico, se non un infedele. Per questo, ampliando l’orizzonte
del “camminare insieme” al di là del perimetro ecclesiale, l’impegno per
il servizio agli ultimi e la promozione della giustizia può rappresentare un
terreno di incontro e di dialogo che va oltre le appartenenze: se la religio-
ne rischia di dividere, tutti siamo ugualmente messi in discussione dalla
dignità ferita. È questa la radice che unisce l’impegno per “farsi prossimo”
alle molte altre direttrici lungo cui Martini orientò la propria azione, e
che qui non abbiamo potuto prendere in esame: dal dialogo ecumenico
e interreligioso, a quello con il mondo dei non credenti, dall’attenzione al
mondo dei giovani alla promozione della pace.

4. Cercare e trovare Dio in tutte le cose


Quello che qui abbiamo chiamato “metodo Martini” è in primo luogo
il modo che il Cardinale, come persona e come credente, a prescindere dai
tanti ruoli ricoperti, trovò per realizzare la massima che meglio di tutte
compendia la spiritualità ignaziana, a cui è ispirata tutta la sua vita: “cer-
care e trovare Dio in tutte le cose”. Per questo è in grado di interpellarci
ancora così profondamente.
Il mondo è cambiato innegabilmente rispetto agli anni di Martini e i
suoi testi non parlano in modo diretto dei nostri problemi: dalla pandemia
al cambiamento climatico alle tensioni geopolitiche di un mondo multi-
polare. Ma la sua forza ispirativa viene paradossalmente dalla sua de-
bolezza: non era esperto in niente, se non nella Parola! Proprio questa
debolezza gli consentiva di mettersi in una posizione esistenziale di apertu-
ra e di ascolto, per cogliere la voce dello Spirito e non per promuovere una
qualche teoria o ideologia. È questa anche la sua eredità più autentica, che
oggi offre a noi, invitandoci a provare a fare lo stesso.

464 • © FCSF - Aggiornamenti Sociali


unione europea

Investimenti pubblici:
un volano di crescita
Le novità del Programma NGEU

Floriana Cerniglia
Docente di Economia politica, Università Cattolica di Milano
<floriana.cerniglia@unicatt.it>, @florianacernig1

covid-19 ● crescita economica ● crisi economica ● investimento pubblico ● mercato ●


politica economica ● politica fiscale ● politica monetaria ● spesa pubblica ● unione
europea

Negli anni più recenti la politica economica riserva una crescente atten-
zione agli investimenti pubblici come strumento di sostegno della crescita e
di contrasto delle crisi. Ne è segno il varo da parte dell’Unione Europea del
più ambizioso piano di spesa pubblica europea mai lanciato, il Programma
NextGenerationEU. Su quali premesse teoriche si basa questo nuovo orien-
tamento politico? Come dobbiamo aggiornare la definizione di investimento
nel quadro delle nostre economie sempre più articolate e complesse? Quali
condizioni possono aumentare l’efficacia degli investimenti pubblici e quali
rischi dobbiamo monitorare nella gestione dei fondi europei?

D
ue crisi epocali hanno investito l’economia mondiale in poco più
di dieci anni: quella finanziaria globale del 2007-2009 e quella
del 2019-2020 innescata dalla pandemia, a cui si è saldata quella
provocata dall’incremento dei prezzi delle materie prime e dalla guerra in
Ucraina tra 2021 e 2022. La reazione europea alla crisi del 2007-2008
era consistita in un inasprimento delle regole fiscali, ricette di auste-
rità e tagli alla spesa pubblica, mentre alla crisi della COVID-19 l’UE
risponde con un massiccio programma di investimenti pubblici finan-
ziati con debito europeo. Il Programma Next Generation EU (NGEU) da
750 miliardi e, in particolare, al suo interno, il Dispositivo per la ripresa
e la resilienza (RRF, dall’inglese Recovery and Resilience Facility da 672
miliardi) è il più grande piano di indebitamento mai lanciato nella storia
dell’UE (cfr Ambrosanio e Balduzzi 2021 e Mosconi 2021). Entro il 2026
queste risorse devono finanziare programmi di investimento e riforme per
affrontare le principali sfide per l’economia e per i cittadini dell’UE nel

Aggiornamenti Sociali agosto-settembre 2022 (465-472) • 465


prossimo decennio: transizione ecologica, digitalizzazione, coesione sociale
e territoriale.

Un nuovo paradigma di politica economica


La differente risposta alle due crisi, separate da un decennio, è la spia
di come nel frattempo sia intervenuto un cambio di paradigma rispetto
alla politica di bilancio degli Stati e, più in generale, all’intervento pubbli-
co nell’economia, come appare chiaramente assumendo una prospettiva
storica.
La politica economica del dopoguerra si basava su un massiccio uso
della spesa pubblica, per consumi come per investimenti, e su un crescen-
te ruolo dello Stato in economia, anche come imprenditore. Questo mo-
dello è alla base dell’elevata crescita sperimentata dai Paesi industrializzati,
che in Italia conosciamo come boom economico. L’efficacia di questo ap-
proccio svanisce a seguito della crisi scatenata dall’aumento del prezzo
degli idrocarburi nel 1973 e i Paesi europei si trovano a dover far fronte
a una economia stagnante, nonostante gli stimoli fiscali adottati, e a una
crescente inflazione.
In seguito a questa crisi emerge un diverso paradigma, noto come
New Consensus (Nuovo Consenso), fondato sulla fiducia nella capacità del
mercato di reagire da solo alle crisi ritrovando un equilibrio, che simboli-
camente si afferma con l’ascesa al potere di Margaret Thatcher nel Regno
Unito (1979) e di Ronald Reagan negli Stati Uniti (1980). Secondo questo
approccio, la politica economica deve seguire regole chiare e preve-
dibili in modo da non interferire con il corretto funzionamento dei
mercati, di cui si postula l’efficienza: la politica fiscale ha una funzione
secondaria nella gestione del ciclo economico, mentre si accorda maggiore
importanza alla politica monetaria. Non è difficile riconoscere come il
Patto di stabilità e crescita, che vincola i Paesi europei all’obiettivo del
pareggio di bilancio nel lungo periodo, si fondi su questa impostazione, do-
minante quando fu adottato (1997). La crisi finanziaria globale del 2008
ne ha mostrato la fallacia per la stabilità macroeconomica: i mercati, sem-
pre meno regolamentati, hanno generato bolle speculative, disuguaglianza
eccessiva, indebitamento e squilibri di bilancia dei pagamenti e si sono
rivelati incapaci di stabilizzare l’economia. Anche la politica monetaria si è
rivelata impotente nel rilanciare la crescita.
Si è aperta dunque la ricerca di un quadro di riferimento per ispirare
nuove politiche economiche (Saraceno 2018 e 2020): i Governi hanno
riscoperto la politica di bilancio e dato il via a massicci piani di spesa
pubblica. Prendono così l’avvio anche un processo di revisione della teoria
macroeconomica dominante e un dibattito sulla dimensione dei molti-
plicatori fiscali, cioè della misura dell’impatto della spesa pubblica per
investimenti sulla crescita, che la ricerca degli ultimi decenni conduce a

466 • Floriana Cerniglia


unione europea

ritenere assai più elevati di quanto si credesse in precedenza, in particolare


in periodi di crisi. Si tratta di una letteratura ormai cospicua e consolidata,
di cui non è qui possibile dare conto puntualmente.
Questo significa che la politica di bilancio ha un effetto significativo sul
PIL, sia nel sostenere la crescita con manovre espansive, sia nel contribuire
ad affossarla con interventi restrittivi o di consolidamento di bilancio. Per
questo, dopo decenni ritorna in scena da protagonista. Allo Stato spetta
di nuovo il compito di affrontare le crisi con la politica macroeconomica,
progettando i cambiamenti di medio e lungo periodo attraverso strategie
e missioni da realizzare non solo con riforme, ma con spesa corrente e so-
prattutto con investimenti pubblici.

Le potenzialità degli investimenti pubblici


A partire dal contributo pioneristico di David Aschauer (1989), gli
investimenti pubblici sono considerati uno strumento di sostegno alla
domanda aggregata (cioè di stimolo dell’attività economica) nel breve
periodo e un fattore essenziale per migliorare le condizioni in cui opera-
no le imprese private, migliorando così la produttività a lungo termine e
la crescita potenziale.
Per questo, nel quadro del nuovo paradigma che si sta imponendo, si
registra una rinnovata attenzione per gli investimenti pubblici che, in
quasi tutti i Paesi, erano in calo fin dagli anni ’80. Questa tendenza si
era ulteriormente accelerata in seguito alla crisi finanziaria del 2008: alla
ricerca di modi per ridurre il disavanzo e il debito pubblico, molti Governi
scelsero di tagliare in modo più severo proprio gli investimenti pubblici,
visto che la compressione di altre voci di spesa (sanità, previdenza, sussidi
a famiglie e imprese) si rivela molto più costosa in termini di consenso po-
litico. Tuttavia, il calo degli investimenti pubblici ha finito per deteriorare
lo stock di capitale pubblico. Nella situazione attuale, con l’economia mon-
diale che (ri)sperimenta una crisi e con tassi di interesse ancora bassi, pur in
tendenziale aumento, i vantaggi potenziali di una politica di investimenti
pubblici risultano ancora più marcati.
Studi recenti (ad esempio Izquierdo et al. 2019) dimostrano che il mol-
tiplicatore dell’investimento pubblico è maggiore quando il reddito pro
capite è basso. Nel contesto europeo ciò implica che gli investimenti sa-
rebbero particolarmente produttivi nei Paesi relativamente più poveri. Nel
caso italiano, questo dovrebbe anche spingere a privilegiare gli investimenti
pubblici nel Mezzogiorno. Altri studi (ad esempio Batini et al. 2021) evi-
denziano un moltiplicatore più elevato per gli investimenti nelle energie
rinnovabili. Ci sono dunque molte ragioni per attendersi un impatto
molto elevato in termini crescita economica dal Programma NGEU
e dal nostro PNRR, vista la composizione settoriale e territoriale degli
investimenti previsti. In particolare il PNRR vincola al Mezzogiorno il

Investimenti pubblici: un volano di crescita • 467


40% degli investimenti, mentre la spesa prevista per la transizione verde e
la sostenibilità supera i 70 miliardi.
Infine, appare necessario adeguare la definizione di investimento pub-
blico: il tradizionale approccio “contabile”, che si focalizza principal-
mente sul capitale fisico, appare inadeguato a rappresentare quanto
sappiamo oggi essere necessario a sostenere la crescita di un sistema
economico. Rimanervi legati rischia di introdurre gravi distorsioni, ad
esempio in materia di valutazione di sostenibilità del debito pubblico, che
è intimamente legata alle prospettive di crescita e alle politiche che la pro-
muovono. Occorre un approccio che potremmo definire “funzionale”: è
investimento tutto ciò che aumenta lo stock di capitale (fisico, umano e
sociale) che fa parte delle fondamenta delle nostre complesse società. Del
resto, chi oggi potrebbe negare che essere preparati alla gestione di una
pandemia sia un investimento a tutela non solo delle nostre vite, ma anche
dell’economia? Per questo, i rapporti sul cui contenuto si basano le rifles-
sioni qui proposte (cfr Cerniglia e Saraceno 2020; Cerniglia, Saraceno e
Watt 2021; Cerniglia e Saraceno 2022) utilizzano una definizione “ampia”
di investimento pubblico come strumento da utilizzare per raggiungere
diversi obiettivi: innovazione, maggiore istruzione, coesione sociale nelle
regioni e nei Paesi europei, lotta al cambiamento climatico, crescita e oc-
cupazione di alta qualità.

Gli investimenti pubblici nella UE


Come già si diceva, il calo degli investimenti pubblici in Europa comin-
cia dagli anni ’80 e accelera ulteriormente con la crisi finanziaria: nell’UE,
fra il 2008 e il 2016 diminuiscono dal 3,4% al 2,7% del PIL (cfr Bub-
bico, Bruthscher e Revoltella 2020). In Italia, tra il 2009 e il 2018, gli
investimenti pubblici sono passati dal 3,7% al 2,1% del PIL, con una
riduzione di circa 200 miliardi rispetto al volume che si sarebbe registra-
to mantenendo il trend di crescita del decennio precedente: una somma
vicina all’ammontare dell’intero PNRR (circa 221 miliardi di euro), che
in qualche modo non fa altro che compensare la precedente contrazione.
Il calo degli investimenti pubblici in quasi tutti i Paesi europei ha avuto
un effetto negativo sulla crescita economica europea e sul suo potenzia-
le. L’impatto più forte ha riguardato i bilanci degli enti territoriali, che
in media coprono almeno il 50% della spesa pubblica in conto capitale
della pubblica amministrazione, sia nei Paesi a ordinamento federale, sia
in quelli unitari. Bubbico, Bruthscher e Revoltella (2020) mostrano che il
calo è stato anche più marcato negli Stati dove gli enti territoriali godono
di minore autonomia fiscale e dove si registrava già una più modesta dota-
zione di infrastrutture.
A livello UE, il gap di investimento infrastrutturale, cioè la stima di
quanto gli investimenti siano inferiori all’importo necessario per raggiun-

468 • Floriana Cerniglia


unione europea

gere una dotazione ottimale di infrastrutture, è valutato intorno ai 155


miliardi di euro annui (cfr Global Economics e Global Infrastrucute Hub
2017). Per quanto riguarda le infrastrutture sociali (quelle che rispondono
ai bisogni di istruzione e formazione, sanità, assistenza sociale, edilizia
popolare, ecc.), una Task Force europea presieduta da Romano Prodi ha
stimato un gap di investimenti tra 100 e 150 miliardi di euro all’anno
(cfr Fransen, del Bufalo e Reviglio 2018). Conseguentemente, già prima
della pandemia, la Commissione europea aveva più volte sottolineato
la necessità di (ri)orientare la spesa pubblica verso gli investimenti e
soprattutto verso categorie di spesa capaci di favorire la crescita: ricerca e
sviluppo, trasporti, infrastrutture sociali e decarbonizzazione del settore
energetico.
Colmare questi gap infrastrutturali non è semplice, ma è essenziale ai
fini di una crescita inclusiva nella UE, capace di creare convergenza tra
aree più ricche e meno ricche. Oltre al tema del finanziamento degli in-
vestimenti, occorrerebbe riflettere sulla capacità delle amministrazioni di
gestire i progetti con efficienza, sulla scelta del livello di governo compe-
tente, sui criteri e le procedure di selezione dei progetti e sul monitoraggio
della loro attuazione (cfr Mizell e Allain-Dupré 2013).

L’Europa tra revisione delle regole e piani di rilancio


Il Programma NGEU, nato come risposta a una emergenza esogena e
del tutto imprevedibile come la pandemia da COVID-19, si rivela in realtà
un tentativo di integrare le esigenze di rilancio dell’economia europea con
l’analisi dei gap infrastrutturali del continente e la nuova visione degli
investimenti pubblici e del ruolo dello Stato in ambito economico. Ag-
giunge un ulteriore elemento fortemente innovativo: i fondi sono reperiti
attraverso l’emissione di titoli europei, che saranno rimborsati dagli Stati
membri, ma auspicabilmente anche attraverso imposte europee. Siamo di
fronte a un deciso passo avanti in termini di integrazione: l’allocazione
dei fondi dipende dall’impatto della pandemia, che non è stato uguale tra
i diversi Paesi membri, e per la prima volta l’investimento per la crescita
a medio termine viene finanziato da debito comune. Il meccanismo del
Programma NGEU, per quanto temporaneo e di dimensioni limitate,
comprende forme di condivisione e solidarietà.
Ha però un limite rilevante: la spesa e le relative decisioni allocative
rimangono di competenza dei singoli Stati, mentre manca una dimen-
sione squisitamente europea, che sarebbe quella appropriata per gli
investimenti in beni pubblici come la sanità, i trasporti o la transi-
zione ecologica. Non è infatti pensabile poter gestire a livello nazionale
progetti di investimento della scala adeguata alle sfide future, come ad
esempio quella ambientale, in particolare per quei Paesi, come il nostro,
le cui finanze pubbliche sono costantemente sotto pressione. Invece, uno

Investimenti pubblici: un volano di crescita • 469


dei prezzi pagati per superare l’opposizione al Programma NGEU da parte
dei “Paesi frugali” è stata la riduzione dei finanziamenti per beni pubbli-
ci autenticamente europei come l’istruzione e la sanità pubblica. Proprio
quando la crisi della Covid-19 ha mostrato l’importanza di un’azione
comune nella lotta alle pandemie, il Consiglio ha fatto cadere la proposta
della Commissione per un embrione di gestione comune della sanità (il
programma EU4Health).
Così, in modo forse un po’ paradossale, nel momento in cui l’UE mette
a disposizione un ammontare di risorse senza precedenti, sono gli investi-
menti genuinamente europei a rischiare di rimanere “a secco”. Molte
proposte interessanti sono state avanzate negli ultimi due anni, in diversi
settori. Per esempio, Creel et al. (2020) propongono una rete ferroviaria
europea ad alta velocità con quattro tracciati che ridurrebbero i tempi di
viaggio all’interno dell’UE, a cui si potrebbe aggiungere una “Via della se-
ta” europea, che combini diverse modalità di trasporto sul modello cinese.
Un altro progetto genuinamente europeo a sostegno del Green Deal che
rientra nei piani della Commissione europea in carica potrebbe essere la
realizzazione di una rete elettrica intelligente e integrata (e-highway)
per la trasmissione di energia rinnovabile al 100%. Quadrio Curzio e Sa-
raceno (2020) propongono la creazione di una agenzia permanente della
UE in ambito sanitario (European public-health facility), che consenti-
rebbe di rimettere al centro dell’attenzione la sanità come bene pubbli-
co europeo e globale. L’emergenza COVID-19 ne ha drammaticamente
evidenziato la mancanza: se fosse esistita un’agenzia europea per la sanità
pubblica, la gestione della pandemia e il suo bilancio in termini di vite
umane sarebbero stati molto diversi. Infatti sarebbe stato più semplice ne-
goziare con le aziende farmaceutiche per la fornitura di farmaci e vaccini,
allocare risorse (attrezzature come respiratori e unità di terapia intensiva,
ma anche personale medico) tra i Paesi a seconda delle esigenze, gestire
scorte di medicinali e attrezzature (ad esempio le mascherine) e finanziare
grandi infrastrutture di ricerca biomedica come gli Stati Uniti hanno fatto
negli scorsi decenni (cfr Florio 2021). Questi sono solo alcuni esempi di
possibili progetti di investimenti pubblici europei che non solo stimolereb-
bero la crescita, ma migliorerebbero la coesione dell’UE, che rappresenta
un obiettivo non meno importante.
Tuttavia l’UE non è una federazione, per cui è plausibile che nei pros-
simi anni la responsabilità delle politiche di bilancio, e quindi degli inve-
stimenti, sarà ancora nelle mani dei Paesi membri. Di conseguenza, nei
prossimi mesi si porrà con forza la questione della revisione delle re-
gole europee, in particolare del Patto di stabilità e crescita, per rendere
stabile e sostenibile il flusso degli investimenti pubblici anche dopo la fine
del Programma NGEU nel 2026. Per raggiungere questo obiettivo, oc-
correrebbe riprendere la vecchia regola d’oro delle finanze pubbliche: gli

470 • Floriana Cerniglia


unione europea

Stati potrebbero finanziare la spesa per investimenti attraverso l’emissione


di debito, mentre la spesa corrente dovrebbe essere coperta dalle entrate
fiscali. In questa linea, è auspicabile che nei prossimi mesi la Commissione
si muova verso una proposta di riforma che escluda dal calcolo del deficit
le spese di investimento, intese in un senso ampio, che includa ad esempio
anche quelle relative alla transizione ecologica (cfr Darvas e Wolff 2021) e
al potenziamento del capitale umano e sociale.

Passare all’azione
La crisi causata dalla COVID-19 rende urgente un cambio di paradig-
ma nel modello di sviluppo economico. Viviamo un tempo nuovo che
richiede la messa a punto di strategie di rilancio economico e sociale
diverse rispetto al passato e che non dovrebbero esaurirsi con il Program-
ma NGEU. Le recenti crisi – quella finanziaria del 2008-2009, quella pan-
demica e quella attualmente in corso –, si innestano in un quadro geopo-
litico mondiale profondamente mutato rispetto alla fine del secolo scorso.
Sempre più stringenti diventano il problema delle fonti energetiche, la sfida
della sostenibilità ambientale e della transizione ecologica e la necessità di
maggiori investimenti nelle infrastrutture sociali e sanitarie.
In questo contesto, emergono con chiarezza alcuni passaggi ineludibili:
in primo luogo, un rilancio massiccio degli investimenti pubblici; poi, una
revisione del concetto di investimento, in modo che includa spese abitual-
mente contabilizzate come correnti, ma la cui importanza per sostenere la
crescita è ormai ovvia; infine, ma non da ultimo, la necessità di ragionare
a livello europeo e non nazionale e su un’ottica di medio-lungo periodo.
Pensando alle politiche seguite negli ultimi decenni, si tratta in molti casi
di una vera e propria inversione a U: a livello europeo e nazionale, servono
quindi politici e funzionari pubblici in grado di compierla, anche sapendo
resistere alla tentazione di cercare vantaggi di breve periodo a fini elettorali
e alle pressioni per una gestione più clientelare e meno rigorosa della spesa.
Toccherà soprattutto alla società civile e ai cittadini vigilare, a partire dalle
scelte che compiremo nella imminente tornata elettorale: la gestione dei
fondi del PNRR sarà uno dei capitoli più importanti della prossima legisla-
tura e a riguardo dobbiamo pretendere dai programmi elettorali chiarezza
e impegni verificabili.

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Investimenti pubblici: un volano di crescita • 471


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472 • © FCSF - Aggiornamenti Sociali


focus ucraina

Distanti, ma non da soli


L’accoglienza fuori e dentro la scuola italiana
dei minori ucraini

Andrea Pintus
Ricercatore in Pedagogia sperimentale, Università di Parma
<andrea.pintus@unipr.it>

accoglienza ● educazione ● guerra ● inclusione ● minori ● rifugiati ● scuola ● ucraina

Sono numerose le questioni legate all’accoglienza dei profughi cau-


sato dal conflitto in Ucraina. Anche il mondo della scuola ne è toccato per
l’inserimento degli studenti nelle classi dei nostri istituti. Come la scuola
italiana sta rispondendo a questa situazione di emergenza? Quali risorse
ha a sua disposizione? In che modo possiamo guardare oltre la gestione
della prima accoglienza, per sostenere il progetto di una scuola aperta alle
diversità culturali?

I
l 24 febbraio 2020 era un lunedì e quel giorno iniziava una prima fase
di chiusura delle scuole nelle Regioni italiane dove si registravano i
primi segni della pandemia. Quest’anno, sempre il 24 febbraio, il pre-
sidente russo, Vladimir Putin, ha dato inizio alla cosiddetta “operazione
speciale” nella regione del Donbass, che nei fatti si è tradotta nell’aggres-
sione militare dell’Ucraina. Inizialmente, la maggior parte degli osserva-
tori internazionali riteneva che si sarebbe trattato di una guerra lampo,
mentre oggi sappiamo che le cose non sono andate esattamente secondo le
previsioni: il conflitto si sta cronicizzando e una soluzione sembra essere
lontana.
La guerra, come la pandemia, ha coinvolto numerosi aspetti della
nostra vita con conseguenze di particolare rilievo anche nell’ambito della
scuola. Se due anni fa, in molti casi, si è dovuto fare i conti con l’impre-
parazione iniziale rispetto a una repentina transizione verso il digitale, in
un contesto caratterizzato da grandi squilibri nella dotazione di risorse
materiali e culturali (cfr Felini e D’Abbicco 2020; Lucisano 2020), nel
caso dell’inserimento dei minori ucraini il nostro Paese ha potuto con-

Aggiornamenti Sociali agosto-settembre 2022 (473-479) • 473


tare su maggiore prontezza istituzionale, attingendo anche alla consoli-
data esperienza nel campo dell’inclusione di alunni portatori di bisogni
educativi speciali.

La prima accoglienza scolastica dei minori ucraini


È sempre difficile fotografare un fenomeno mentre sta succedendo. No-
nostante questo, per avere un’idea anche solo approssimativa dell’impatto
della crisi ucraina sulla scuola italiana, è utile partire da alcuni dati: al 12
maggio erano 113.239 i citta-
Alunni con bisogni educativi speciali (BES) dini ucraini arrivati in Italia,
Sono gli studenti che nel corso del loro
di cui 38.748 minori 1; di
percorso scolastico hanno necessità di questi, secondo i dati forniti
attenzione speciale per motivi diversi, a dal ministero dell’Istruzione
volte certificati da una diagnosi ufficiale il 9 maggio scorso, fino a quel
di tipo medico. Si tratta di bisogni per- momento erano stati accolti
manenti o superabili grazie a interventi
nelle scuole statali e paritarie
mirati e specifici. I BES nascono formal-
mente con la direttiva ministeriale Stru- italiane 22.788 alunni, di cui
menti di intervento per alunni con Bisogni 5.060 in quella dell’infanzia
Educativi Speciali e organizzazione ter- (22%), 10.399 nella primaria
ritoriale per l’inclusione scolastica del 27 (46%), 5.226 nella secondaria
dicembre 2012 (cfr <www.miur.gov.it>). di I grado (23%) e 2.103 nella
secondaria di II grado (9%).
A livello di distribuzione terri-
toriale, quasi la metà dei minori è accolta in tre Regioni: il 21% in Lom-
bardia, il 12% in Emilia-Romagna e l’11% in Campania (cfr Ministero
dell’Istruzione 2022).
Per agevolare l’accoglienza dei giovani ucraini nelle scuole italia-
ne, da subito il ministero dell’Istruzione (MI), in collaborazione con i
singoli Uffici scolastici regionali (USR), ha raccolto e reso disponibile
per gli insegnanti una serie di risorse elaborate dalla scuola stessa e
dall’università 2. Si tratta di contributi in buona parte legati all’accoglien-
za degli studenti stranieri in generale o maturati in particolari contesti di
crisi in Italia e in parte sviluppati a livello europeo proprio in risposta alla
situazione attuale 3. Queste risorse, come auspicato dal MI e dagli USR,
sono strumenti e suggerimenti offerti alle scuole a partire dai quali costru-
ire percorsi didattici adeguati. Una sorta di cassetta degli attrezzi per ri-
1 Dati del ministero dell’Interno, <www.interno.gov.it/it/notizie/profughi-dallucraina-

113239-quelli-giunti-finora-italia>.
2 Cfr la sezione dedicata del ministero dell’Istruzione, <www.istruzione.it/emergenza-

educativa-ucraina> e, tra le altre, quella dell’USR dell’Emilia-Romagna, <www.istruzioneer.


gov.it/category/ucraina>.
3 Cfr School Education Gateway, la piattaforma online europea per l’istruzione scolastica,

<www.schooleducationgateway.eu/it/pub/resources/publications/practical-manual-on-
refugees.htm> e Commissione europea 2022.

474 • Andrea Pintus


focus ucraina

cercare soluzioni che tengano in conto le specificità del contesto locale e le


situazioni concrete presenti nei diversi contesti dell’accoglienza dei minori,
considerando anche che l’inserimento dei nuovi studenti è generalmente
avvenuto nella seconda metà dell’anno scolastico e spesso quasi a ridosso
della chiusura estiva.
Inoltre, l’anno scolastico si è concluso per molti studenti e studen-
tesse ucraini attraverso la didattica a distanza (DAD sincrona e asin-
crona) approntata dal Governo del loro Paese, che fin dall’inizio del
conflitto ha messo in campo un grande sforzo per garantire la continuità
scolastica ai propri alunni. Questo è un aspetto su cui soffermarsi e su
cui riflettere, che lega insieme il nostro recente passato, il presente e il
possibile futuro: la scuola, come comunità educante, anche di fronte
alla separazione forzata, non si è fermata, ma ha continuato a esistere,
pur attraverso modalità che insegnanti ed educatori possono anche non
amare, ma che si sono rivelate una preziosa risorsa per dare continuità alla
relazione con i loro studenti sparpagliati sul territorio europeo. Distanti,
ma non da soli.

Le risorse a disposizione
La molteplicità di situazioni in cui si è articolata questa prima acco-
glienza non consente ancora di presentare una sintesi delle soluzioni intra-
prese dalle singole istituzioni; tuttavia, si sono diffuse già buone pratiche
sulla base delle quali è possibile formulare alcune considerazioni di carat-
tere generale.
In linea di massima, accanto al bisogno immediato di approntare
percorsi per l’apprendimento o il supporto alla comprensione della
lingua italiana 4, da subito si è posta l’esigenza di coltivare la «pedago-
gia del ritorno» (Colaps 2022), come è definita da Raffaele Iosa, esperto
del mondo scolastico italiano, cioè il mantenimento di un legame vivo
con la lingua e la cultura di origine, ad esempio attraverso un proficuo
contatto con la comunità e la scolarità ucraine, anche attraverso il digitale
e a distanza. In tal senso, oltre alle risorse presenti nella piattaforma euro-
pea School Education Gateway (<www.schooleducationgateway.eu>), può
essere utile la consultazione del sito dell’Associazione italiana di insegnanti
di Storia “Clio 92” (<www.clio92.org>) o della guida all’accesso ai pro-

4 Nel merito, oltre al supporto di mediatori linguistici ucraini laddove presenti, si è fatto

ampio utilizzo di strumenti propri della Comunicazione aumentativa alternativa (CAA), un


approccio dai vari volti, ma dallo scopo univoco di offrire alle persone con bisogni comunica-
tivi complessi la possibilità di comunicare tramite canali che si affiancano a quello orale. Tra
questi citiamo ad esempio le carte visive, uno strumento particolarmente adatto per persone
che trovano ospitalità in Paesi di cui non conoscono la lingua.

Distanti, ma non da soli • 475


grammi scolastici nel ministero dell’Istruzione ucraino e ai testi scolastici
ucraini 5.
Il modello di accoglienza degli alunni stranieri a cui siamo abituati si
fonda sull’idea che loro intenzione sia di restare in Italia, forse per sempre.
Nel caso dei bambini e ragazzi ucraini, invece, almeno in questa prima
fase, la speranza di molti è di poter fare ritorno al proprio Paese in tempi
brevi. Peraltro, come abbiamo detto in precedenza, una parte significativa
dei minori ucraini in Italia ha continuato a seguire le lezioni dei propri in-
segnanti attraverso il supporto delle piattaforme digitali approntate dal loro
ministero dell’Istruzione. Questo rappresenta un caso insolito di doppia
scolarizzazione, che fa emergere nuove domande: come integrare il
doppio percorso, nel caso di studenti che seguano sia le lezioni italia-
ne, sia la DAD ucraina? Nel caso che seguano solo la DAD ucraina,
questo è sufficiente per assolvere l’obbligo scolastico in Italia? E con
quali procedure di verifica? D’altra parte, la situazione inedita può sol-
lecitare la ricerca di soluzioni didattiche innovative, attingendo anche al
bagaglio di esperienza più che decennale della pedagogia e della didattica
interculturale.

L’apporto dell’interculturalità
Sul tema dell’interculturalità sono numerose le indicazioni predisposte
dal MI (cfr il riquadro qui sotto). In questi documenti, così come nel no-
stro discorso, il termine “intercultura” rimanda alla didattica come scam-
bio reale fra le culture, in cui, in prospettiva pedagogica, è enfatizzato
l’elemento di reciprocità (Pinto Minerva 2002; Portera 2022). Tuttavia,
nella scuola italiana l’intercultura rappresenta ancora oggi un percorso in
divenire, che impone a educatori e insegnanti di interrogarsi, in primo luo-
go, sulla propria identità culturale e professionale e, secondariamente, sulle
categorie che vengono utilizzate a scuola e nei contesti educativi per leggere
una realtà sempre più complessa ed eterogenea (Pintus 2016). Scegliere
l’ottica interculturale significa non limitarsi a mere strategie compen-
satorie di carattere speciale. Si tratta, piuttosto, di assumere la pluralità
come paradigma dell’identità stessa della scuola e come occasione per
aprire l’intero sistema a tutte le differenze: socio-economiche, storico-
culturali, linguistiche, di provenienza, di genere, ecc.
Nel contesto educativo italiano, “integrazione” viene spesso utilizzato
come sinonimo di “inclusione” o i due termini, come avviene in alcuni
documenti di indirizzo (cfr ad esempio Ministero dell’Istruzione 2012),
vengono affiancati senza specificarne i significati. In ambito internazionale
i due termini hanno un significato più specifico. La parola inclusione si è
via via affermata per indicare, in generale, il processo che mira ad accom-
5 Per i programmi scolastici cfr <https://bit.ly/3RKikfK>; per i testi di studio invece cfr

<https://bit.ly/3vkaoID>.

476 • Andrea Pintus


focus ucraina

pagnare un alunno con bisogni particolari nel percorso della scuola, insie-
me ai propri compagni, valorizzandone le potenzialità, facendolo sentire
membro attivo della comunità scolastica, ovvero garantendogli piena par-
tecipazione alla vita della scuola. Se da un lato il paradigma a cui fa impli-
citamente riferimento l’idea di integrazione è quello “assimilazionista”, per
cui l’integrazione diviene un processo basato principalmente su strategie
finalizzate a “normalizzare” l’alunno portatore di una qualche diversità,
ovvero a essere quanto più possibile simile agli altri, dall’altro, ciò che il
concetto di “inclusione” presuppone è il valore del riconoscimento
della rilevanza della piena partecipazione alla vita scolastica da parte
di tutti gli alunni (Dovigo 2008; Zappaterra 2022).
È in tale prospettiva, ed assumendo conseguentemente una didat-
tica più attiva e laboratoriale, in cui tutti gli alunni, compresi quelli
ucraini, possano sperimentare for­me di apprendimento collaborativo, ov-
vero collocabili in una rete di re­lazioni tra pari, che si possono inserire
le scelte da intraprendere a livello scolastico nel medio e lungo perio-
do dell’accoglienza. Un’accoglienza, che, come detto, in questa specifica
circostanza deve fare i conti con persone che stanno vivendo un trauma
che richiede anche un ascolto competente, attento a promuovere un pen-
siero autonomo sul senso di ciò che è successo e sul proprio futuro.
Ciò che caratterizza i profughi ucraini, al pari di altri rifugiati, è
infatti l’essersi trovati improvvisamente “spaesati”, cioè letteralmente al-
trove rispetto al proprio immaginario, alle proprie abitudini, ai propri
cari rimasti in patria perché coinvolti direttamente nel conflitto, in at-
tesa di un ritorno, che a oggi non è dato prevedere quando e come potrà
realizzarsi.

L’interculturalità nella scuola italiana

Tra i documenti di maggiore rilievo za e l’integrazione degli alunni


nel nostro sistema scolastico sul tema stranieri (<www.miur.gov.it/docu-
dell’interculturalità vanno ricordati: ments/20182/2223566/linee_gui-
- 2006, Linee guida per l’accoglienza da_integrazione_alunni_stranieri.
e l’integrazione degli alunni stranieri pdf/5e41fc48-3c68-2a17-ae75-1b5da6
(<https://archivio.pubblica.istruzione. a55667?t=1564667201890>).
it/normativa/2006/cm24_06.shtml>). - 2022, Orientamenti intercultu-
- 2007, La via italiana per la scuola in- rali - Idee e proposte per l’integra-
terculturale e l’integrazione degli alunni zione degli alunni provenienti da
stranieri (<https://archivio.pubblica. contesti migratori del 2022 (<www.
istruzione.it/news/2007/allegati/pub- miur.gov.it/documents/20182/0/
blicazione_intercultura.pdf>). Orientamenti+Interculturali.pdf/
be99b531-74d3-8035-21af-39aaf1c28
- 2014, Linee guida per l’accoglien-
5f5?version=1.0&t=1647608565245>).

Distanti, ma non da soli • 477


Per un rientro in classe inclusivo
Con la ripresa delle lezioni per il nuovo anno scolastico entriamo in
una seconda fase dell’accoglienza, che può fare perno sulle relazioni
tra la scuola, i servizi educativi e le diverse realtà, istituzionali e non,
presenti nei territori. Oltre il perimetro delle singole realtà accoglienti, in-
fatti, attraverso le molteplici iniziative sociali, sportive e ricreative che enti,
istituzioni, associazioni e cooperative realizzano sul territorio, è possibile
costruire una trama di possibilità educative che si sostengano a vicenda,
delineando percorsi che non siano soltanto riparatori ed emergenziali, ma
autenticamente inclusivi.
Di fronte ai bisogni educativi speciali posti da questa situazione, gli
educatori e gli insegnanti italiani sanno che, al netto di elementi che attra-
versano i vissuti di tutti gli studenti ucraini (il trauma dello sradicamen-
to, la ridotta padronanza linguistica nell’italiano e l’incertezza sul proprio
futuro, rispetto ai quali sono stati predisposti i dovuti sostegni psicologici
e linguistici), ciascuno di loro è, in ogni caso, sempre portatore di una pro-
pria specificità (in termini di biografia personale, di esperienze formative,
risorse culturali, ecc.). Come più di quarant’anni di integrazione scolastica
ci hanno insegnato, da un punto di vista didattico, si pone, quindi, la
necessità di partire da una piena e profonda conoscenza del singolo
attraverso l’ascolto, l’osservazione, rifuggendo da semplici riduzioni catego-
riali (i profughi ucraini, gli alunni immigrati, i portatori di diritti speciali).
Non si tratta di inventare nulla di nuovo ma, come si è soliti fare nei con-
testi educativi e di istruzione, di muovere dalla conoscenza approfondita
di ogni singolarità per promuovere quella differenziazione delle strategie
didattiche che è il cuore del nostro sistema di inclusione. Progettare, quin-
di, l’insegnamento, partendo dalle esigenze individuali degli alunni che di
volta in volta si avranno di fronte e che occorre conoscere a fondo (Anto-
nietti 2020, 68). Una prospettiva, questa, che considera sempre l’ambiente,
e non la persona, come portatore di ostacoli o di facilitazioni per l’appren-
dimento e lo sviluppo.
In continuità con queste riflessioni, la sfida che abbiamo di fronte è,
quindi, da un lato, quella di lavorare per il cambiamento del setting educa-
tivo in modo che sia autenticamente accogliente per tutti e per ciascuno;
dall’altro, di consolidare la cultura e la pratica della collegialità e dell’in-
terdisciplinarietà, senza le quali tale cambiamento è davvero difficile, se
non impossibile.

478 • Andrea Pintus


focus ucraina

Risorse

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nella scuola dell’infanzia. Metodi e un confronto sulle modalità di
prospettive, Carocci, Roma. didattica a distanza adottate nel-
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torno: l’intervista a Raffaele Iosa», emergenza COVID-19”», in Lifelong
in Articolo 33, 29 aprile, <www.ar- Lifewide Learning, 17 (36) 3-25
ticolotrentatre.it/articoli/politiche- Ministero dell’Istruzione (2022),
educative/dibattito-pedagogico/ Rilevazione accoglienza scolastica
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ced-children-Ukraine-in-educa- 48fb-95e9-c15d49f18831?version=
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© FCSF - Aggiornamenti Sociali • 479


Cambiamenti climatici
nelle città italiane
Infografica di Mauro Bossi SJ
Fa più caldo e piove di meno. Il rapporto dell’ISTAT «I cambiamenti clima-
tici: misure statistiche anno 2020» pubblicato a marzo fotografa gli effetti
dei cambiamenti climatici nelle principali città italiane, confrontando i dati
relativi al 2020 con quelli del trentennio che va dal 1971 alla fine del secolo
scoso. Dal raffronto, emerge che nei capoluoghi di Regione la temperatura
media annua è aumentata di 1,2°C. Aumentano anche gli estremi di caldo
diurni e notturni. Questi dati, coerenti con le rilevazioni sull’andamento del
clima a livello globale, rappresentano il termine di confronto oggettivo per
progettare città più sostenibili e resilienti, che possano adattarsi al clima
del prossimo futuro.
Anomalie medie nei capoluoghi di Regione,
nell’anno 2020, rispetto ai valori medi del
periodo 1971-2000

Milano
+1,9°C
-196 mm
+1,2°C

-91 mm
Roma
+2°C
-190 mm
Napoli
+1,3°C
-440 mm

+15 giorni estivi

+18 notti tropicali

© FCSF Aggiornamenti Sociali - agosto-settembre 2022


Massime e minime in aumento
I centri urbani di medie e grandi di- centrazione di infrastrutture, attività
mensioni sono degli hot spot climati- economiche e patrimonio culturale.
ci, cioè luoghi nei quali i cambimenti Nei capoluoghi di Regione, dei quali
climatici manifestano gli effetti più presentiamo qui sotto una selezione
avversi. Infatti, le città sono “isole di rappresentativa di tutto il territo-
calore”, a causa della cementificazio- rio nazionale, la temperatura media
ne. Sono aree socialmente sensibili, nel 2020 mostra un aumento pari a
essendo caratterizzate da maggiore +1,2°C rispetto ai valori medi del pe-
densità demografica e dalla con- riodo 1971-2000.

Anno 2020: anomalie di temperatura media annua (C°) rispetto ai valori


del periodo 1971-2000.

Temperatura minima

Palermo Temperatura massima

Bari

Genova

Firenze

Napoli

Trento

Potenza

Cagliari

Torino

Milano

Bologna

Roma

+0 +0,5 +1 +1,5 +2 +2,5 +3 +3,5


Precipitazioni in calo
Parallelamente all’aumento delle un fenomeno generale, che colpisce
temperature medie, nella maggio- diffusamente il territorio.
ranza delle principali città italiane si Le conseguenze della siccità ricado-
registra un calo delle precipitazioni. no sulle coltivazioni e sulla disponi-
Il 2020 è stato l’anno meno piovoso bilità di acqua per uso domestico,
rispetto alla media del decennio pre- nonché sulla salute degli ecosistemi;
cedente e del periodo 1971-2000. aumenta inoltre il rischio di incendi
Le anomalie negative di precipita- boschivi. La scarsità di piogge inci-
zione sono state registrate in 22 cit- de anche sulla temperatura dell’a-
tà, particolarmente a Napoli (-423,5 ria: poiché una parte dell’energia
mm), Genova (-276,9 mm), Firenze che proviene dalla radiazione sola-
(-221,6 mm), Bologna (-211,9 mm) e re è consumata dall’evaporazione
Milano (-196 mm). dell’acqua, un terreno arido si scalda
Sebbene i dati qui presentati riguar- maggiormente e accresce la tempe-
dino i centri urbani, sono indicativi di ratura dell’aria circostante.

Anno 2020: precipitazione totale annua (mm) rispetto ai valori del periodo 1971-
2000

250

150

50

-50

-150

-250

-350

-450
i

va

no

ri
a

za

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nz

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To

Tr
t
Ge
N

Ca

l
Fi

Po
Bo

Pa
Giorni estivi e notti tropicali
Tra gli indicatori climatici, viene com- al di sotto dei 20°C. La media è cal-
putato anche il numero di “giorni colata sommando il numero di giorni
estivi”, cioè con temperatura massima estivi e notti tropicali registrati in ogni
superiore a 25°C, e di “notti tropicali”, capoluogo di Regione e dividendolo
nelle quali la temperatura non scende per il numero dei capoluoghi.

Anomalie medie annuali 2006-2020 di giorni estivi e notti tropicali nei capoluoghi
di Regione italiani, rispetto ai valori del periodo 1971-2000

Giorni estivi Notti tropicali


35

25

15

0
07

11
06

08

09

10

12

13

14

15

16

17

18

19

20
20
20

20

20

20

20

20

20

20

20

20

20

20

20

20
Anno 2020: anomalie di giorni estivi e notti tropicali, per le principali città, rispetto
ai valori del periodio 1971-2000

55

45

35

25

15

0
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laudato si’

La conversione ecologica
come vocazione

Celia E. Deane-Drummond
Direttrice del Laudato si’ Research Institute, Senior Research Fellow in Teologia,
Campion Hall, University of Oxford, <lsri.director@campion.ox.ac.uk>

ambiente ● dottrina sociale della chiesa ● ecologia ● ecologia integrale ● laudato si’ ●
papa francesco ● rapporto scienza-etica ● spiritualità

A fronte del peggioramento della crisi climatica globale e dei ri-


tardi dei Governi e delle istituzioni che dovrebbero prendere le misure
necessarie per farvi fronte, diventa sempre più evidente che solo un
autentico atteggiamento di conversione a livello interiore, oltre che
comunitario e istituzionale, può favorire quel cambiamento di sguardo
e di prospettiva necessario per invertire la tendenza in atto. L’annuale
celebrazione ecumenica del Tempo del creato (quest’anno dal 1º settem-
bre al 4 ottobre) si muove in questa direzione, invitando tutti i cristiani
a pregare e a prendersi cura della casa comune, a vivere una profonda
“conversione ecologica”. Ma in che modo va compresa? Come mettersi
in ascolto della nostra comune vocazione alla cura del creato? Quali
sono i passi necessari per muoversi in questa direzione?

C
ome ormai è comunemente riconosciuto, viviamo in un tempo se-
gnato da una profonda crisi ecologica che pare evolversi in una
dinamica di costante peggioramento. Sempre più diffusa è la con-
sapevolezza che solo cambiamenti drastici e radicali potranno aiutare, se
non a invertirne, per lo meno a mitigarne gli effetti. Questioni ambientali
come l’inquinamento e la crescente scarsità di acqua, ad esempio, non sono
Traduzione e adattamento dall’originale inglese a cura di Cesare Sposetti SJ della relazione
tenuta dall’A. al Justice and Ecology Congress dell’apostolato sociale della Compagnia di
Gesù in Europa, svoltosi a Loyola, in Spagna, dal 28 marzo al 1º aprile 2022. L’A. ha trattato
più diffusamente il tema nel suo intervento Ecological Conversion as Vocation: An Exploration
of Its Personal, Communal and Global Dimensions, nell’ambito della conferenza “The Art of
Change: Ignatius and Conversion”, tenutasi dal 17 al 20 marzo 2022 presso il St. Beuno’s
Jesuit Spirituality Centre nel Regno Unito.

484 • Aggiornamenti Sociali agosto-settembre 2022 (484-490)


laudato si’

solo urgenze legate alla devastazione ecologica, ma rappresentano anche


problematiche di giustizia sociale, che esercitano un notevole impatto sulla
vita di milioni di persone in tutto il mondo.
Siamo anche testimoni del dramma delle migrazioni indotte dal clima,
a causa di fattori quali la distruzione della fertilità del suolo, la siccità,
l’innalzamento del livello del mare e i conseguenti conflitti scatenati dalla
scarsità delle risorse. La cura della nostra casa comune rappresenta dun-
que una sfida globale decisiva che, se non debitamente affrontata, fini-
rà per rendere impossibile la vita sulla Terra così come la conosciamo.
Ad esempio, molte specie di mammiferi, uccelli, rettili e insetti stanno
scomparendo velocemente, al punto che gli scienziati definiscono questo
fenomeno come “il sesto grande evento di estinzione di massa”, causato da
una sola specie del pianeta: la nostra. In un simile contesto diventa sempre
più necessario e urgente parlare di una autentica e integrale conversione
ecologica, non solo per i cristiani, ma anche al di là di ogni appartenenza
religiosa.

Che cos’è la conversione ecologica?


L’espressione “conversione ecologica” è divenuta più comune a seguito
della pubblicazione nel 2015 dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco.
A ben vedere, tuttavia, era presente nella trama della dottrina sociale del-
la Chiesa fin dall’inizio di questo secolo. Già Giovanni Paolo II era più
che mai consapevole della necessità di collegare i bisogni dell’umanità con
quelli del pianeta. Nella dichiarazione congiunta sull’ambiente da lui stilata
insieme al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I nel 2002,
si fa riferimento a un profondo cambiamento del cuore: «Occorre un atto
di pentimento da parte nostra, e il rinnovato tentativo di considerare noi
stessi, di considerarci l’un l’altro, e di considerare il mondo che ci circon-
da, nella prospettiva del disegno divino sulla creazione. Il problema non è
meramente economico e tecnologico; esso è di ordine morale e spirituale.
Si può trovare una soluzione, al livello economico e tecnologico, soltanto se
nell’intimo del nostro cuore si verificherà un cambiamento quanto più pos-
sibile radicale, che potrà indurci a cambiare il nostro stile di vita, e i nostri
insostenibili modelli di consumo e produzione. Una genuina conversione
in Cristo ci permetterà di cambiare i nostri modi di pensare e di agire» 1.
La radicalità della conversione ecologica consiste nel tornare alle
fonti profonde della nostra spiritualità e della nostra fede, per aiutarci
a ripensare il nostro posto nel mondo. È radicale in quanto non può
limitarsi a un cambiamento superficiale, ma richiede una conversione vera
e propria del modo di pensare. Un primo passo è rappresentato sicura-

1 Dichiarazione congiunta del Santo Padre Giovanni Paolo II e del Patriarca Ecumenico Sua

Santità Bartolomeo I, 10 giugno 2002, in <www.vatican.va>.

La conversione ecologica come vocazione • 485


mente dal pentimento, ma anche dal tentativo di comprendere il mondo
nella prospettiva di Dio, e agire di conseguenza. Nel 2001 Giovanni Paolo
II aveva sostenuto che «occorre […] stimolare e sostenere la “conversione
ecologica”, che in questi ultimi decenni ha reso l’umanità più sensibile nei
confronti della catastrofe verso la quale si stava incamminando» 2.
Nella Laudato si’ papa Francesco si occupa di conversione ecologica nella
terza sezione del capitolo finale sull’educazione ecologica e la spiritualità,
riprendendo anche il pensiero dei suoi predecessori. Qui il Papa afferma che
«non si tratta tanto di parlare di idee, quanto soprattutto delle motivazioni
che derivano dalla spiritualità al fine di alimentare una passione per la cura
del mondo» (LS, n. 216). La spinta interiore a compiere i cambiamenti ne-
cessari deve provenire dalla profondità del nostro cammino spirituale con
Dio. Il problema è che siamo diventati aridi dentro, come «deserti inte-
riori» (LS, n. 217). Quindi ciò che manca è «una conversione ecologica,
che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con
Gesù nelle relazioni con il mondo che [ci] circonda. Vivere la vocazione
di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa,
non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario
dell’esperienza cristiana» (ivi). La conversione ecologica scaturisce dalla no-
stra vita in Cristo, da cui deriva la vocazione a essere custodi dell’opera di
Dio. Non si tratta di qualcosa di opzionale, ma è parte integrante di ciò che
significa essere un credente cristiano. È una richiesta radicale per ognuno di
noi. La conversione ecologica comporta alcuni passi fra loro connessi:
–– Riconoscere dove abbiamo sbagliato. Un rapporto sano con la cre-
azione richiede il riconoscimento dei nostri peccati ecologici, dei nostri
errori, delle nostre colpe e dei nostri fallimenti (cfr LS, n. 218). I peccati
ecologici minano le basi della vita in quanto tale. Sono quindi peccati
mortali, non solo veniali 3.
–– Lavorare attivamente a livello comunitario. I singoli e le comunità
devono lavorare insieme per porre rimedio ai complessi problemi ecologici
e sociali che le società si trovano ad affrontare. È importante riconoscere
la necessità di una conversione comunitaria: è ormai chiaro che semplici
azioni individuali non saranno mai sufficienti. Ciò comporta, in prati-
ca, un cambiamento delle stesse prassi comunitarie, in modo che ci sia una
risposta attiva alle esigenze eco-sociali. Non si tratta solo di riciclare carta e
plastica, sebbene ciò abbia sempre una importante valenza reale e simbolica
in un approccio sostenibile. Si tratta piuttosto di esplorare ed esaminare
ogni aspetto della vita comunitaria, osservando in particolare come
vengono utilizzate le risorse e quale priorità è data alla protezione
2 Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 17 gennaio 2001, in <www.vatican.va>.
3 Cfr in proposito Costa G. – Foglizzo P., «Peccato ecologico, un appello alla responsabi-
lità», in Aggiornamenti Sociali, 12 (2019) 797-804 e Czerny R. – Rowlands A., «La cura della
casa comune: una nuova opera di misericordia», in Aggiornamenti Sociali, 2 (2018) 163-167.

486 • Celia E. Deane-Drummond


laudato si’

dell’ambiente naturale e alla preservazione della biodiversità. Il recu-


pero ecologico è possibile quando c’è volontà di cambiare. Il ripristino e la
conversione degli habitat in modo da favorire una maggiore varietà di fau-
na selvatica è un bene sia per il pianeta sia per coloro che vi si impegnano
nell’edificazione della vita comunitaria. Le comunità religiose ne possono
trarre una particolare opportunità di vivere più in armonia con l’ambiente
e di offrire una testimonianza di un modo diverso di essere nel mondo.
–– Sviluppare un atteggiamento di gratuità e gratitudine per alimenta-
re la conversione ecologica, riconoscendo che il mondo è un dono di Dio.
La gratitudine rappresenta un passaggio fondamentale nella spiritualità
ignaziana, specialmente nell’ambito dell’esame di coscienza, che comincia
proprio con il “rendere grazie a Dio per i favori ricevuti”. Coltivando que-
sta gratitudine, Ignazio di Loyola e i suoi primi compagni si sono sentiti
mossi a un servizio più grande, in ascolto della chiamata di Dio. A un
livello più profondo, si potrebbe dire che la principale relazione tra Dio
e il credente è l’amore, e quella tra il credente e Dio è la gratitudine.
Vi è dunque una correlazione diretta tra gratitudine e vita spirituale: l’una
si nutre dell’altra.
–– Riconoscere la profonda interconnessione tra tutte le creature. La
conversione ecologica, come osserva papa Francesco, comporta «l’amorevo-
le consapevolezza di non essere separati dalle altre creature, ma di formare
con gli altri esseri dell’universo una stupenda comunione universale» (LS,
n. 220). Questo senso di interconnessione e di ammissione della nostra
fragilità viene più facilmente riconosciuto da chi vive già “vicino” alla ter-
ra, come le società ancora dedite alla caccia o all’agricoltura. Per queste
comunità indigene si tratta di una consapevolezza innata: la loro relazione

L’esame di coscienza secondo sant’Ignazio di Loyola

Sant’Ignazio di Loyola, nel libretto degli di guardare alla giornata o al tempo


Esercizi spirituali, suggerisce uno sche- trascorso con i suoi occhi; in un secon-
ma di esame di coscienza che differisce do momento si rende grazie per i doni
da come usualmente tale esercizio ricevuti in quel lasso di tempo; dopo
viene inteso. Non si tratta di un sem- si chiede perdono delle mancanze che
plice passare mentalmente in rassegna emergono alla luce dell’amore ricevuto
i peccati commessi, generalmente in e donato; infine, si volge lo sguardo al
vista del sacramento della riconciliazio- futuro per chiedere la grazia di conti-
ne, quanto piuttosto di una preghiera nuare a viverlo con Lui, concludendo
di offerta della giornata o di un altro con un Padre nostro. Nella spiritualità
periodo di tempo. Questa preghiera è ignaziana l’esercizio dell’esame di
scandita da alcuni passaggi, che pos- coscienza è caratterizzato da una mar-
sono essere così riassunti: in un primo cata struttura dialogica e dall’ampio
momento si è invitati a mettersi alla spazio lasciato alla gratitudine e a uno
presenza di Dio, chiedendo la grazia sguardo positivo sul futuro.

La conversione ecologica come vocazione • 487


profonda con le creature che le circondano rappresenta una sorta di secon-
da natura. Sebbene sia necessario fare attenzione a non idealizzare troppo
le culture indigene, il mondo occidentale, così preso dai suoi modelli di
industrializzazione, individualismo e consumismo, può imparare molto
da esse. La conversione ecologica consiste nel riconoscere che siamo
humus, polvere della terra. Se fossimo più consapevoli della nostra vul-
nerabilità e vivessimo la nostra vita ogni giorno come se fosse l’ultimo,
non rimanderemmo più a un futuro imprecisato le decisioni più urgenti.
Riconoscere questo genera naturalmente un senso di umiltà: siamo in
definitiva dipendenti dalla terra per la nostra vita e la nostra salute, al
pari di tutte le altre creature del pianeta.
–– Onorare ogni creatura come riflesso dell’amore divino. Una pro-
spettiva di fede cristiana è importante per papa Francesco nella conversione
ecologica, poiché ci permette di vedere la creazione in modo diverso. È un
nuovo modo di sentire che «ogni creatura riflette qualcosa di Dio e ha un
messaggio da trasmetterci» (LS, n. 221). Dato il rapido deteriorarsi della
crisi ecologica, questi messaggi rischiano di ridursi a un silenzio destinato
a crescere ogni volta che si estingue una specie a causa delle attività umane.

Scoprire il significato ecologico della vocazione


Che cosa significa in pratica «vivere la nostra vocazione a essere custodi
dell’opera di Dio»? Si tratta innanzitutto di una chiamata ad amare la terra
e il prossimo. Papa Francesco nella Laudato si’, citando Giovanni Paolo II
e Benedetto XVI, afferma che «l’amore sociale è la chiave di un autentico
sviluppo». «“Per rendere la società più umana, più degna della persona,

Celia E. Deane-Drummond: la mia conversione ecologica

Essendo una biologa di formazione, commerciali, compresa la diffusione di


il tentativo di comprendere gli intri- colture OGM in Paesi dotati di scarsa
cati processi e le funzioni delle piante regolamentazione, ho trovato sempre
ha occupato almeno dieci anni della più difficile proseguire nella ricerca sul-
mia vita. Il mio cammino spirituale la fisiologia vegetale, pur non essendo
comprendeva la ricerca di Dio in tutte direttamente coinvolta dato che non
le cose, la dimensione sacramentale lavoravo nei laboratori della mia Uni-
della natura, senza rendermi conto che versità in cui si svolgeva questo tipo di
questo costituisse un aspetto fonda- attività.
mentale anche della spiritualità igna- La mia vocazione ha iniziato a spostarsi
ziana. Da giovane, sulla base delle mie verso la ricerca dei fondamenti teolo-
convinzioni cristiane, volevo che il mio gici ed etici della cura del pianeta. Non
lavoro fosse per il bene della società in volevo aspettare di essere in pensione
generale e che facesse una differenza per lavorare su questi temi, come altri
positiva nel mondo. Man mano che le scienziati che conoscevo avevo visto
multinazionali investivano sempre di fare e che all’epoca si occupavano di
più nella ricerca sulle piante per motivi tali questioni. La conversione dal lavoro

488 • Celia E. Deane-Drummond


laudato si’

occorre rivalutare l’amore nella vita sociale – a livello politico, economico,


culturale – facendone la norma costante e suprema dell’agire”. In questo
quadro, insieme all’importanza dei piccoli gesti quotidiani, l’amore socia-
le ci spinge a pensare a grandi strategie che arrestino efficacemente il
degrado ambientale e incoraggino una cultura della cura che impregni
tutta la società» (LS, n. 231). E conclude nello stesso paragrafo: «Quando
qualcuno riconosce la vocazione di Dio a intervenire insieme con gli altri
in queste dinamiche sociali, deve ricordare che ciò fa parte della sua spiri-
tualità, che è esercizio della carità, e che in tal modo matura e si santifica».
Siamo invitati a integrare in maniera diversa tutti gli aspetti della nostra
vita, di modo che la conversione ecologica non rimanga solo un tentativo
mal riuscito di cambiare le nostre abitudini, ma rappresenti una vocazione
duratura e per così dire sacra per la nostra vita. Papa Francesco è consa-
pevole che «non tutti sono chiamati a lavorare in maniera diretta nella
politica» (LS, n. 232). Coloro che occupano posizioni di leadership e di
influenza sono in particolare tenuti ad agire in modo ecologicamente re-
sponsabile all’interno delle organizzazioni in cui si trovano. Nondimeno,
tutti noi possiamo fare pressione per ottenere cambiamenti strutturali
a livello politico e comunitario, anche se non siamo leader politici. È
nel contesto delle azioni comunitarie che si sviluppano le relazioni e che
emerge quello che il Papa definisce un «nuovo tessuto sociale». Inoltre,
«queste azioni comunitarie, quando esprimono un amore che si dona, pos-
sono trasformarsi in intense esperienze spirituali» (LS, n. 232).
«Cercare e trovare Dio in tutte le cose» è un’espressione tipica della spi-
ritualità ignaziana, cui il Papa fa spesso riferimento. Dobbiamo riconoscere

scientifico attivo alla teologia è stata biodiversità era seriamente minacciata


tuttavia molto difficile a livello perso- e che le popolazioni più vulnerabili del
nale, poiché ho lasciato una carriera mondo avrebbero sofferto di più. La
accademica affermata e produttiva per sfida, allora come oggi, era come convin-
tornare a essere una studentessa. I miei cere gli altri, su scala collettiva e globale,
colleghi scienziati erano inorriditi e mi a riconoscere il problema e agire diversa-
facevano sentire come se avessi tradito mente. Su questo lavoro di sensibilizza-
una causa per motivi che non riusciva- zione sono impegnata da anni, a partire
no a capire. Le mie ragioni etiche e so- dal mio primo libro pubblicato nel 1996,
prattutto teologiche erano un mistero A Handbook in Theology and Ecology, ba-
per loro. Per deridere le mie intenzioni sato sulla prassi ma anche sul mio lavoro
mi chiamavano CEDD, il nome di un di ricerca accademica, sponsorizzato dal
santo celtico del Northumberland, re- World Wide Fund for Nature e pensato
gione vicina a dove lavoravo, che corri- specificamente per la pastorale delle par-
spondeva alle iniziali del mio nome. rocchie. Un impegno iniziato da tempo e
Già negli anni ‘80 e nei primi anni ‘90 si che continua, perché la sfida di fronte a
sapeva che il pianeta era in crisi, che la noi è troppo rilevante.

La conversione ecologica come vocazione • 489


che facciamo ancora fatica a trovare quello che papa Francesco chiama il si-
gnificato mistico «in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un
povero» (LS, n. 233), ma attraverso lo sguardo dell’amore possiamo riuscire
ad affrontare il dolore nella creazione e nel nostro mondo, anziché evitarlo.

In cammino verso la conversione


Questo intervento è iniziato con una riflessione sulla crisi ambientale,
in particolare sulla condizione disperata dei rifugiati ambientali, che diven-
terà sempre più drammatica negli anni a venire. Le questioni ecologiche
non possono essere separate nettamente in disastri umani e ambientali,
perché viviamo tutti in un sistema integrato di ecologie sovrapposte. Ci
stiamo rendendo conto della gravità di ciò che sta accadendo intorno a noi?
Sentiamo il dolore del mondo e quello di tutte le creature? Se rispondiamo
affermativamente, possiamo dire di aver compiuto il primo passo verso la
conversione ecologica, perché tutti noi, senza dubbio, siamo coinvolti nei
fallimenti delle nostre società moderne. Papa Francesco ci offre molti spun-
ti su come intendere la conversione ecologica come un cammino spirituale.
Non tutti saremo in grado di esprimere questa conversione nello stesso
modo, ma ognuno di noi, in base al proprio posto nel mondo, ha la
capacità di fare qualcosa. Nella Lettera ai Filippesi (2,12) veniamo invitati
a dedicarci alla nostra salvezza «con rispetto e timore». L’enormità del com-
pito, le nostre vulnerabilità e le nostre capacità limitate ci dicono che solo
la grazia di Dio può donare la forza di farvi fronte. Ma, come si dice più
avanti nella stessa lettera, siamo invitati a procedere, dimenticando ciò che
ci sta alle spalle e protesi verso ciò che ci sta di fronte (cfr Filippesi 3,13).
Per noi la chiamata alla conversione ecologica ora rappresenta la salvezza.
Non abbiamo alternative, se vogliamo essere fedeli a Dio, che è l’autore della
vita in tutte le sue forme, e se abbiamo a cuore il futuro della nostra genera-
zione e delle prossime. Siamo chiamati a metterci in cammino verso un
modo radicalmente diverso di essere e di agire. Si tratta di un’inversione
di rotta immediata e allo stesso tempo da mantenere continuamente,
necessaria affinché la conversione ecologica sia reale nelle nostre vite indi-
viduali e nelle nostre comunità. Come afferma papa Francesco nelle ultime
righe della Laudato si’, «Nell’attesa, ci uniamo per farci carico di questa casa
che ci è stata affidata, sapendo che ciò che di buono vi è in essa verrà assunto
nella festa del cielo. Insieme a tutte le creature, camminiamo su questa terra
cercando Dio, perché “se il mondo ha un principio ed è stato creato, cerca
chi lo ha creato, cerca chi gli ha dato inizio, colui che è il suo Creatore”.
Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per
questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza» (LS, n. 244).
A buona ragione possiamo dunque sperare che questo compito non sia
impossibile. Non siamo soli: molti condividono con noi questo cammino
di conversione.

490 • © FCSF - Aggiornamenti Sociali


punti di vista

La sovranità alimentare,
un modello alternativo
per l’agricoltura

Matthieu Brun
Direttore della Fondation pour l’agriculture et la ruralité dans le monde (FARM)

agroindustria ● cibo ● diritto all’alimentazione ● etica ● fame ● politica agricola ●


politica alimentare ● povertà ● risorse alimentari

La sovranità alimentare è definita come il diritto di ogni Paese di ga-


rantire l’accesso al cibo alla propria popolazione. Si tratta di una visione
dell’agricoltura alternativa rispetto l’attuale assetto globale del mercato
alimentare di cui si discute sempre di più a causa dei disequilibri che oggi
esistono. In che cosa consiste esattamente? Quali implicazioni comporta
su un piano politico? Quale statuto giuridico è rivendicato per gli alimenti?

I
l concetto di sovranità alimentare, emerso nei movimenti anti-globa-
lizzazione degli anni ’90 e 2000, sta ora vivendo un revival. Dopo la
pandemia globale di COVID-19 e, oggi, l’invasione dell’Ucraina da
parte della Russia, la nozione viene vista ovunque nel pianeta come un’im-
portante questione politica, geopolitica, giuridica e anche socioeconomica.
In Francia e altrove, imprese e Governi ne approfittano per valutare critica-
mente le loro dipendenze: dal gas o dal grano russo, dal petrolio america-
no, dalla genetica europea, dalle mascherine cinesi, ecc. L’uso del concetto,
a volte troppo estensivo, riflette tuttavia le sovrapposizioni o addirittura il
consenso tra forze politiche opposte.
Queste sovrapposizioni derivano da una marcata opposizione all’ecces-
siva globalizzazione dei sistemi alimentari e dal tentativo di rompere con
politiche agricole e commerciali considerate dannose. L’obiettivo sembra
lo stesso: mettere in discussione, o anche solo frenare, un sistema com-
merciale liberale che si è largamente diffuso a scapito dei più precari, che
non permette agli agricoltori di ottenere un reddito dignitoso e che non
Titolo originale: «Souveraineté alimentaire: le glas de la globalisation?», in Revue Projet, 388
(2022) 29-32. Traduzione di Mauro Bossi SJ. Neretti, note e bibliografia a cura della Redazione.

Aggiornamenti Sociali agosto-settembre 2022 (491-495) • 491


consente più ai cittadini e ai loro rappresentanti eletti di esercitare la pro-
pria sovranità.
Allo stesso tempo, il ricorso a questo concetto serve spesso come base
ideologica per ripiegare sul proprio territorio, sui propri interessi e, in ul-
tima analisi, su stessi. Tuttavia, questa chiusura va a scapito della coope-
razione e della comprensione collettiva delle interdipendenze tra i popoli.
Le sfide della fame, dei cambiamenti climatici e della prosperità sono in
effetti questioni comuni che richiedono risposte concertate e sistemiche su
più scale.
Il concetto di sovranità alimentare è emerso come alternativa ai
modelli di agricoltura e sicurezza alimentare promossi a partire dagli
anni Sessanta del secolo scorso, nella cornice della liberalizzazione del
mercato. Definita nel 1996 come «il diritto di ogni Paese a mantenere e
sviluppare la propria capacità di produrre il proprio cibo, che è un fattore
essenziale di sicurezza alimentare a livello nazionale e comunitario, nel
rispetto della diversità culturale e agricola» (Via Campesina 1996) e pre-
sentata in seno al World Summit on Food Security organizzato dalla FAO
a Roma lo stesso anno (cfr Ody 2022), questa nozione è il frutto di attori
eterogenei, che si sono uniti per dare vita ad azioni collettive transnazio-
nali. Dando maggiore visibilità ai modelli alternativi di globalizzazione, il
concetto è stato successivamente approfondito all’interno di vari movimen-
ti, ma con una visione condivisa, da parte della società civile, del processo
di globalizzazione. Tutti hanno messo in discussione i quadri normativi
che hanno portato alla depoliticizzazione della questione alimentare attra-
verso il ruolo predominante attribuito al mercato.

La dimensione politica
A differenza della sicurezza alimentare, la sovranità alimentare
reintroduce una dimensione politica, ponendo domande chiave che la
prima tace: chi produce e per chi? Secondo quali modelli economici e
di redistribuzione? Da allora, i movimenti sociali hanno integrato diverse
questioni, come l’innovazione tecnologica – compreso il dibattito sugli
OGM –, l’accesso alle sementi o
ai finanziamenti, alle risorse, ecc.
Sicurezza alimentare
Nel complesso, la sovranità
La sicurezza alimentare è stata definita alimentare oggi definisce un in-
dal World Summit on Food Security del
1996 come la situazione in cui «tutti
sieme di raccomandazioni politi-
hanno accesso fisico ed economico ad che riguardanti in primo luogo le
alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti che regole del commercio, che devo-
garantiscano le loro necessità e prefe- no essere subordinate ai principi
renze alimentari, al fine di condurre una dello sviluppo sostenibile. Queste
vita attiva e sana» (Rome Declaration on
ultime implicano politiche che
Food Security, Plan of Action, art. 1).
favoriscono l’agricoltura di sus-

492 • Matthieu Brun


punti di vista

sistenza e familiare e danno priorità alla produzione interna, all’approv-


vigionamento locale e alla ricerca dell’autosufficienza alimentare, senza
penalizzare o peggiorare la sicurezza alimentare in altri luoghi.
In questo senso, la sovranità alimentare non è totale autonomia,
autarchia o autosufficienza. Non esclude il commercio e gli scambi, an-
zi ritiene che possano essere uno strumento per raggiungere la sicurezza
alimentare. Inoltre, per i suoi sostenitori la sovranità alimentare sareb-
be ampiamente compatibile con la globalizzazione, a condizione che
quest’ultima consideri soprattutto il benessere delle persone, produt-
tori e consumatori, e la protezione delle risorse naturali.
Infine, la sovranità alimentare ha due dimensioni essenziali: la necessità
di dare voce ai problemi dei produttori coinvolgendoli nello sviluppo delle
politiche pubbliche e, in secondo luogo, una visione interventista dello Sta-
to. Quest’ultimo può, se necessario, proteggere l’agricoltura e i produttori
nazionali dalle importazioni di prodotti agricoli e alimentari a basso costo
e sovvenzionati.
Circa il coinvolgimento dello Stato, va notato che il concetto di sovra-
nità è legato a quello di diritti umani e, più specificamente, al diritto al
cibo. Nei forum internazionali, le organizzazioni della società civile hanno
promosso un approccio centrato sul diritto. Questo approccio è stato ac-
colto anche nelle legislazioni azionali di alcuni Paesi, ad esempio il Nepal,
il cui testo costituzionale del 2015 all’art. 36 sancisce la dimensione di
giustizia sociale della sicurezza alimentare: «Ogni cittadino ha il diritto
di essere protetto da qualsiasi carenza alimentare che possa minacciare la
sua esistenza. [...] Ogni cittadino ha diritto alla sovranità alimentare come
previsto dalla legge».

I vincoli del mercato


È qui che risiede il problema principale. Secondo i promotori della
sovranità alimentare, il commercio internazionale, gli accordi di libero
scambio e la liberalizzazione dei mercati agricoli hanno funzionato a
discapito dei produttori e della sicurezza alimentare nei Paesi in via
di sviluppo. Questi non hanno investito nella loro agricoltura a causa di
politiche pubbliche inadeguate, della concorrenza tra la loro agricoltura,
spesso trascurata, e quella sovvenzionata di altri Paesi e dell’impossibilità
di proteggere i loro mercati o il loro nascente settore agroalimentare.
Cosa più grave, questi Paesi si sono trovati vincolati da sistemi in cui
i prezzi fissati sui mercati internazionali avevano un impatto diretto sulle
condizioni di accesso al cibo per le loro popolazioni. La crisi alimentare del
2008 ha rivelato con forza la dipendenza dai mercati e la vulnerabilità ai
prezzi e ai rischi climatici di una parte significativa degli abitanti del piane-
ta. Ancora una volta, la guerra in Ucraina sta evidenziando la fragilità dei
sistemi alimentari globalizzati, che generano dipendenza (cfr Marie 2022).

La sovranità alimentare, un modello alternativo per l’agricoltura • 493


Il conflitto aggrava l’aumento dei prezzi, che era evidente ben prima
dell’invasione russa, ed espone i Paesi più dipendenti dai mercati inter-
nazionali a rischi finanziari e a difficoltà di approvvigionamento. In que-
sto contesto, molti sono persino preoccupati per la sovranità alimentare
dell’Unione Europea. La questione non è quindi più riservata ai Paesi tra-
dizionalmente più esposti. I Paesi dell’UE importano poco grano del Mar
Nero per il consumo umano. Tuttavia, acquistano la produzione agricola
ucraina per nutrire il bestiame. In questo contesto, il fatto di invocare la
sovranità alimentare fa riferimento a una perdita di controllo e di capacità
di scelta e di orientamento politico, oltre che a una critica della competi-
zione tra le agricolture mondiali.
Si sta delineando quindi un consenso sull’esigenza di riprendere il
controllo sugli approvvigio-
Accordi commerciali namenti e di ridefinire le po-
- CETA (Comprehensive Economic and litiche agricole, in particolare
Trade Agreement): accordo commerciale con l’obiettivo di denunciare gli
di libero scambio, siglato nel 2017 tra accordi commerciali che sacrifi-
Canada e UE; cherebbero l’agricoltura europea
- TTIP (Transatlantic Trade and In- (Ceta, TTIP, MERCOSUR,
vestment Partnership): accordo commer-
ciale di libero scambio firmato nel 2013
ecc.). Tuttavia, i mezzi per rag-
tra UE e Stati Uniti; giungere questo obiettivo sono
- MERCOSUR (Mercado Común del Sur): diversi. I dibattiti sull’agricoltura
Mercato comune dell’America meridio- e sull’alimentazione che fanno le-
nale, fondato nel 1991. va sull’imperativo della sovranità
portano soprattutto a mettere in
discussione i modelli di transizione ecologica e di neutralità carbonica pro-
mossi dalle istituzioni europee.

Soluzioni divergenti
In effetti, la crisi in Ucraina è considerata da alcuni Governi e orga-
nizzazioni un’emergenza che giustifica un rinnovamento della produzione
(“produrre di più”), o addirittura una messa in discussione della strategia
“Farm to Fork” dell’UE, che minaccerebbe la sovranità alimentare del
continente (cfr Simonato 2020). Altri ritengono, al contrario, che la crisi
ucraina dovrebbe contribuire ad accelerare la transizione dei sistemi agri-
coli europei verso una maggiore sobrietà, soprattutto in termini energetici,
e verso sistemi alimentari meno basati sul consumo di carne.
La liberalizzazione del commercio di beni, portando a una divisio-
ne internazionale del lavoro e a specializzazioni produttive regionali, ha
creato un alto grado di interdipendenza. Tuttavia, in un contesto carat-
terizzato dall’aggressività di alcune potenze come la Russia e da rapporti
di forza esacerbati da crisi climatiche, economiche o sociali, la perdita di
autonomia decisionale sembra un rischio troppo grande per le nazioni.

494 • Matthieu Brun


punti di vista

Emmanuel Macron non ha forse detto nel febbraio 2020 che «delegare
la nostra alimentazione ad altri [è] una follia»? Per estensione, delegare ai
mercati non sarebbe almeno altrettanto rischioso? In ogni caso, il sistema
di globalizzazione non ha risolto il problema della denutrizione e ha anzi
contribuito all’ulteriore distruzione delle risorse naturali. Questo significa
che l’agricoltura e l’alimentazione, come i beni culturali, dovrebbero
essere posti al di fuori delle regole del mercato e ricevere uno status
derogatorio nel commercio internazionale?
Questa idea, considerata rivoluzionaria, potrebbe trovare spazio nel di-
battito attuale. Si tratterebbe di un ritorno alla fase precedente all’Uruguay
Round che, aperto nel 1986 e chiuso nel 1994 con la creazione dell’Organiz-
zazione Mondiale del Commercio, ave-
va integrato per la prima volta i prodotti Disaccoppiamento delle economie
agricoli nei negoziati commerciali del Per disaccoppiamento delle economie si
GATT (General Agreement on Tariffs intende generalmente un modello eco-
and Trade). Il ritorno della sovranità, nomico nel quale la crescita economica,
combinato con il disaccoppiamento misurata con l’aumento del PIL, proceda
delle economie, potrebbe suonare la in parallelo con una riduzione dell’impat-
to ambientale.
campana a morto per la globalizzazione?

Risorse

Marie A. (2022), «Ukraine. Bobe Simonato A. (2020), «Le strategie


alimentaire mondiale», in Revue “dal produttore al consumatore”
Projet, 388, 47-50. e per la biodiversità», in Aggiorna-
Ody M. (2022), «Securité alimentaire. menti Sociali, 10, 694-695.
Histoire d’une impasse», in Revue Via Campesina (1996), Dichiarazione
Projet, 388, 24-27. di Roma del movimento interna-
Repubblica Federale Democratica zionale La Via Campesina, 11-17
del Nepal (2015), The Constitu- novembre, <https://viacampesina.
tion of Nepal, <www.mohp.gov. org/fr/1996-declaration-de-rome-
np/downloads/Constitution%20 de-la-via-campesina-qui-defi-
of%20Nepal%202072_full_english. nit-la-souverainete-alimentaire-
pdf>. pour-la-premiere-fois/>.

© FCSF - Aggiornamenti Sociali • 495


letture&visioni

#mediterraneo
a cura di Mauro Bossi SJ

Naufragio Mediterraneo Vogliamo raccontare questo


Michela Mercuri – Paolo Quercia mare “nostro” attraverso tre
La crepa prospettive tematiche: il mare
Carlos Spottorno – Guillermo Abril come luogo geopolitico, nel
Non tutto il mare contesto critico che ha fatto
è perduto seguito alle “primavere arabe”
Giuseppe Ungherese del 2011; il mare come luogo
di speranza per i migranti
Il Mediterraneo rappresenta che cercano di raggiungere
da sempre l’apertura naturale la “fortezza Europa”; il mare
dell’Italia verso le civiltà del come ecosistema che subisce le
Nord Africa e del Medio Oriente. conseguenze dell’inquinamento.

Michela Mercuri – Paolo Quercia

Naufragio Mediterraneo
Come e perché abbiamo
perso il Mare Nostrum

Paesi Edizioni, Roma 2021


pp. 172, € 16

I l mare Mediterraneo, che da


sempre unisce e divide le civil-
tà dell’Europa, del Medio Oriente e
dell’Africa, da un decennio è il te-
atro di almeno tre naufragi. Il pri-
mo, più evidente perché rilanciato
innumerevoli volte dai nostri media
e al centro del dibattito politico, è uno è quello dei Paesi della sponda
quello delle migliaia di vite inghiot- meridionale, minati dallo sgreto-
tite dalle acque nel tentativo di rag- lamento degli apparati statali, poi
giungere la “fortezza Europa”. Tut- compensato dall’affermarsi di forme
tavia, nell’analisi proposta dagli AA., alternative di potere: le reti etniche
il dramma dei migranti è il sotto- e tribali, le organizzazioni jihadiste
prodotto di due alti naufragi che si e criminali dedite al traffico di es-
sono consumati a livello regionale: seri umani, le influenze straniere;

496 • Aggiornamenti Sociali agosto-settembre 2022 (496-504)


letture&visioni

l’altro, parallelo, è il naufragio della l’agenda africana della Francia, e


politica estera dell’Italia e dell’Euro- sostenuto dagli Stati Uniti fuori
pa, troppo occupate a difendere le dal quadro operativo della NATO,
proprie frontiere per rendersi conto colse l’Italia, primo interlocuto-
dell’entità della partita che si gioca- re europeo della Libia, del tutto
va nel Mediterraneo ed elaborare impreparata: al Governo italiano,
una strategia per svolgere un ruolo sottoposto a pressioni interne e
in questa regione. internazionali, non restò che dare

#mediterraneo
Secondo Michela Mercuri, do- il proprio sostegno all’iniziativa,
cente di Geopolitica del Medio per riportarla in seno all’allean-
Oriente, e Paolo Quercia, docente za atlantica, violando tuttavia il
di Studi strategici, l’Europa e trattato di Bengasi, siglato tra
l’Italia hanno perso la vi- Italia e Libia nel 2008, che
sione del Mediterraneo includeva l’impegno a
come spazio aperto e «Il Mediterraneo non concedere l’uso
via di comunicazio- nel quale siamo dei propri territori
ne con le altre civil- immersi oggi è un per atti ostili nei
tà che si affacciano mare globale, investito confronti della con-
sulle sue sponde, da uno tsunami troparte. Se il rais
perseguendo agen- geopolitico». libico rappresenta-
de nazionali e di bre- (p. 20) va un interlocutore
ve respiro; così, hanno ambiguo, dopo la sua
perso questo mare, che caduta è venuta meno
rappresenta l’apertura “natu- qualsiasi interlocuzione tra
rale” dei Paesi meridionali europei, l’Europa e la Libia, abbandonata
rinunciando al progetto del parte- al proprio destino di conflitti in-
nariato euro-mediterraneo, lancia- terni tra gruppi tribali, terroristici
to nel 1995, che avrebbe dovuto e criminali, mentre la destabilizza-
rappresentare la strategia comune zione rendeva porosi i confini con
europea per la regione mediter- Tunisia ed Egitto, a vantaggio del
ranea. Ciò è avvenuto perché non traffico di esseri umani. Mentre
si è stati in grado di comprendere altre potenze, come la Russia e la
i cambiamenti radicali avvenuti Turchia, hanno consolidato la loro
dopo le primavere arabe del 2011, posizione in Libia, l’Italia e l’Euro-
sia all’interno dei Paesi interessati, pa hanno ancora la possibilità di
sia a livello regionale, dove nuovi rientrare in partita, ma si tratterà di
attori internazionali, soprattutto un impegno non esiguo e di lungo
Russia e Turchia, hanno approfit- periodo.
tato dalla rottura dei precedenti Per farlo, la proposta degli AA.
equilibri per stabilirne di nuovi, a è riprendere un dialogo europeo
proprio vantaggio. sulla politica del Mediterraneo, per
Il caso libico è emblematico del tornare a coordinare le politiche
fallimento di una politica europea estere e di sicurezza nazionali e
per il Mediterraneo. L’intervento ristabilire un dialogo e una coope-
militare contro il regime di Ghed- razione con la sponda meridionale.
dafi, fortemente voluto dal presi- Ma è anche indispensabile che
dente Sarkozy per portare avanti l’Italia riprenda consapevolezza dei

#mediterraneo • 497
propri interessi nell’area del Me- dal modo di affrontare la questio-
diterraneo e sviluppi una visione ne migratoria, inquadrata esclusi-
strategica adeguata. vamente in termini di sicurezza e
Naufragio mediterraneo è un li- che resta tutto sommato ai margini
bro di geopolitica, che è la scienza dell’analisi; si sente, ad esempio,
delle relazioni internazionali sotto la mancanza di una rilettura del-
il profilo dei rapporti di forza; il le missioni militari di soccorso in
principio geopolitico del mare è, mare, condotte dall’Italia e dall’U-
appunto, la proiezione della forza nione Europea.
militare su un’area fluida e non Presa coscienza della prospettiva
sempre ben definita dal diritto in- assunta dagli AA., il valore del libro
ternazionale. In questa prospettiva, è nel tipo di riflessione che può sti-
il testo ricostruisce un quadro co- molare: come cittadini, dobbiamo
erente e ben argomentato. È bene chiedere una vera politica estera,
però anche essere consapevoli dei che vada al di là della mera ge-
limiti metodologici dell’approccio stione delle frontiere che domina
scelto, che emergono soprattutto invece il dibattito politico.
Mauro Bossi SJ

Carlos Spottorno – Guillermo Abril

La crepa

add editore, Torino 2017


pp. 176, € 19,50

«S cegliete tre o quattro desti-


nazioni. Le zone più calde. E
vi piazzate lì, dove ci sono recinzioni
e polizia. Sul confine» (p. 21). Que-
sta è la proposta che il giornalista
Guillermo Abril e il fotografo Carlos
Spottorno, entrambi spagnoli, rice-
vono dalla rivista El País Semanal
nel dicembre 2013, qualche mese vista la loro nazionalità – è stata
dopo il naufragio di un barcone da- Melilla, un’enclave spagnola nel
vanti alle coste di Lampedusa in cui territorio del Marocco, una città
persero la vita 366 persone. Da quel blindata da una triplice recinzio-
momento inizia il loro viaggio: nel ne di filo spinato alta da tre a sei
corso di tre anni si sono recati nelle metri, «considerata la frontiera più
frontiere più difficili e discusse della discriminatoria al mondo» (p. 23).
cosiddetta fortezza Europa. Hanno poi visitato Lampedusa nel
La prima tappa – quasi d’obbligo, marzo 2014 e hanno preso parte a

498 • a cura di Mauro Bossi SJ


letture&visioni

una missione di salvataggio di un decine di articoli pubblicati) costi-


barcone di migranti condotta dalla tuisce l’impressionante documen-
fregata italiana Grecale nel quadro tazione alla base del libro La crepa,
dell’operazione Mare nostrum. con cui gli AA. hanno cercato di rac-
Sono stati in Grecia, nei pressi del contare in modo diverso, originale,
confine turco, quando gli arrivi dei il loro viaggio ai confini europei,

#mediteerraneo
siriani in fuga dalla guerra civile scegliendo un formato che è a metà
nel loro Paese crescevano sempre strada tra un romanzo fotografico
di più. Le tre tappe nelle frontiere e un graphic novel, tra un diario
mediterranee erano quelle previste e un reportage. Nel libro, infatti,
nel progetto originario del loro re- non ci sono vignette, ma gli scatti
portage, che è stato pubblicato con di Spottorno, grazie allo specifico
il titolo Alle porte dell’Europa e ha trattamento cromatico ricevuto,
ricevuto anche il prestigioso premio acquistano una forza particolare:
del World Press Photo per il video non testimoniano solo un evento
realizzato. specifico e contingente, ma diven-
Il viaggio dei due AA. non si è tano una potente rappresentazione
però concluso con il capitolo del dell’intreccio di drammi, speranze
Mediterraneo, è continuato lun- e interrogativi che si vivono nelle
go le frontiere orientali: la rotta frontiere. A sua volta, Abril accom-
balcanica percorsa dai siriani nel pagna il lettore con i suoi brevi
2015, le tensioni ai confini delle commenti, privi di retorica e ricchi
Repubbliche baltiche all’indomani dell’onestà di chi riporta gli eventi
dell’invasione russa della Crimea, così come li ha vissuti, permettendo
l’accoglienza dei rifugiati nei Paesi a chi prende in mano il volume di
scandinavi, fino al viaggio in Russia poter fare un proprio percorso, in-
fatto per cercare risposte ad alcu- terrogandone le pagine e, se vuole,
ne domande nate man mano che cercando al di fuori di esse ulteriori
andavano avanti con il loro repor- pezzi di storie e di spiegazioni.
tage: «Esiste un nesso tra l’esodo Con estremo rispetto per la di-
siriano e l’espansionismo di Putin?
A Mosca conviene che l’Europa sia
unita o frammentata?» (p. 147). «È impressionante
Proprio le pagine dedicate ai Paesi vedere un’Europa, sorta
dell’Europa orientale acquistano un coma reazione alla Seconda
rilievo particolare dopo l’invasione guerra mondiale, ripiegarsi ancora
dell’Ucraina. Leggere le consi- una volta su se stessa, tornare ad
derazioni e i timori di qualche avere paura dell’altro, leggere le
anno fa sugli assetti geopolitici proprie frontiere non tanto attraverso
di quella parte dell’Europa mo- una certa idea di mondo da costruire,
stra in modo chiaro che le radici ma un’idea di mondo da difendere,
del conflitto attuale erano già attraverso visori notturni, schermi
presenti e note, ma questo non a parete e montagne di dati che
trasformano i migranti in ombre
è stato sufficiente per evitare che
distorte, le loro vite in tracciati, i
scoppiasse. bisogni in numeri».
Tutto il materiale raccolto (circa
25mila foto, 15 quaderni di appunti, Fabio Geda

#mediterraneo • 499
gnità delle persone incontrate, La «Percorrendo la frontiera esterna –
crepa dà spazio ai loro volti e alle la grande crepa – abbiamo notato
loro voci, alle loro storie e ai loro moltissime spaccature nel sogno
punti di vista: i migranti e i rifugiati europeo. […] Ci sono crepe più
che cercano di entrare in Europa, i grandi e altre più piccole. E sono
rappresentanti delle forze dell’ordi- tutte collegate» (p. 113). Per questo
ne che presidiano le frontiere, i po- La crepa, pur a diversi anni dalla
litici dei vari Stati, quanti lavorano pubblicazione, continua a essere
nei centri di accoglienza, i semplici una lettura importante per capire la
cittadini di queste terre che sono faglia simbolica e politica costituita
Davanti alle transenne c’è chi grida aiuto, chi alza le mani, chi si sente
divenute luoghi di incontro e di dalle
mancare frontiere in Europa,
l’aria. Qualcuno ha preparato oltre
liste che non serviranno che
a niente.

scontro. E così facendo il libro non per apprezzare un lavoro giornali-


sta solo parlando di migrazioni, ma stico accurato e documentato, ca-
sta offrendo un ritratto dell’Europa, pace di indagare quegli snodi della
delle sue contraddizioni e della sua nostra società più complessi e con-
complessità. Un ritratto delle sue flittuali come poche volte accade.
crepe, come osservano i due AA.: Giuseppe Riggio SJ

Gli agenti aprono l’accesso con il contagocce. Le


famiglie vengono smembrate. I fratelli si dividono.
Gli amici si perdono. I bambini piangono perché
i genitori sono rimasti dall’altra parte. Qualcuno
gira con un megafono cercando di riportare la
calma. «A gruppi di due», gridano gli agenti.

Su un muro lì vicino una Ong ha lasciato un numero


da chiamare per ritrovare chi è scomparso.


105
500 a cura di Mauro Bossi SJ
letture&visioni

Giuseppe Ungherese

Non tutto il mare


è perduto

Casti edizioni, Roma 2022


pp. 119, € 13

#mediterraneo
U n mare di plastica. È que-
sto il ritratto dei mari italiani,
dipinto da Giuseppe Ungherese,
ricercatore e responsabile della
campagna inquinamento di Gre-
enpeace. Il libro è un viaggio nei
luoghi più noti e suggestivi del- 60 tonnellate; la costa di Brindisi,
le nostre coste: l’isola di Capraia, sede di uno dei più importanti po-
dove la concentrazione di micro- li petrolchimici d’Italia, che dagli
plastiche raggiunge uno dei livelli anni ‘60 del secolo scorso riversa
più alti al mondo; la foce del fiume nell’ambiente ingenti quantità di
Sarno, dove la sabbia quasi non è microplastiche.
più visibile perché ricoperta di ri- Per l’A., ognuno di questi scenari
fiuti; le isole Tremiti, dove nel 2018, rappresenta il punto di partenza
con una decisione che fece il giro per risalire a ritroso nella catena
del mondo, il sindaco firmò un’or- delle cause e individuare le molte-
dinanza che vietava l’uso di stovi- plici responsabilità delle imprese,
glie di plastica in tutto l’arcipelago, dei consumatori e delle ammi-
dando inizio a una lunga battaglia nistrazioni. Ma il maggior valore
legale tra l’amministrazione locale del libro risiede nell’ampia pars
e i produttori di plastica; lo stretto construens, dedicata alla ricerca di
di Messina, dove le ricerche sulla soluzioni innovative e sostenibili
conformazione dei fondali han- per l’ambiente e l’economia, delle
no portato alla luce l’esistenza di quali viene fornita un’ampia rasse-
enormi discariche sottomarine; il gna di esperienze: riciclo, adozione
santuario di Pelagos, area protetta di nuove tecniche di pesca e di
tra l’Italia e la Francia e dedicata al- acquacoltura, nuove strategie di
la tutela dei mammiferi marini, do- distribuzione dei prodotti. Il testo
ve gli animali muoiono in seguito mantiene fede al titolo: il mare non
all’ingestione di rifiuti e frammenti è tutto perduto, è ancora possibile
plastici; l’isola di Cerboli, dove nel fare scelte per invertire la rotta e,
2015 una nave in difficoltà scaricò per farlo, è necessaria un’alleanza
in mare decine di “ecoballe” piene tra i cittadini, i mondi produttivi e i
di rifiuti destinati allo smaltimen- settori della ricerca.
to all’estero, per un totale di circa Mauro Bossi SJ

#mediterraneo • 501
letture&visioni

Nico Piro

Maledetti pacifisti
Come difendersi dal marketing
della guerra

People, Busto Arsizio (VA) 2022


pp. 160, € 12

I l titolo è volutamente provoca-


torio, di quelli che non passano

#libri
inosservati sugli scaffali delle li-
brerie e sulle pagine social. Quasi
“esagerato” verrebbe da dire. Ma pensiero ammesso, nel dramma
dopo aver letto il libro, si capisce dell’Ucraina, sia esclusivamente
che quel titolo è esattamente il quello a favore della guerra, quel-
“suo”. Chi è un maledetto? È colui lo che lui definisce “Pensiero unico
del quale, secondo l’etimologia la- bellicista”: «Dal 24 febbraio in poi
tina, si parla male, che viene insul- […] nel nostro Paese viene abo-
tato, ed è esattamente il destino lito il dubbio (sulla guerra come
a cui nel dibattito pubblico sulla strumento di risoluzione delle
guerra in Ucraina vanno incontro controversie) e vengono cancella-
i pacifisti, bollati come collabora- te le voci a favore della pace» (p.
zionisti di Putin, inseriti in elenchi 68). Basta però riflettere su quanto
che assomigliano tanto alle liste di sta accadendo, per capire che in
proscrizione, nemici della patria, questa narrazione qualcosa non
quando osano dire che per risol- va: l’esaltazione della guerra, della
vere un conflitto si può provare a vittoria, abilmente giocata come
parlare di pace, di negoziato, di una strategia di marketing, fo-
accordi, di dialogo… che ricorda- mentata dai talk show e dai social,
no come in ogni guerra alla fine le non fa altro che «evitare un vero
vittime vere, numerose e costanti momento di riflessione nella po-
siano sempre e solo i civili. litica e nell’imprenditoria italiana
Eppure, come scrive l’autore sull’etica delle relazioni interna-
Nico Piro, inviato di guerra per zionali, spostando l’attenzione su
il TG3, uno dei maggiori esperti quei “maledetti pacifisti”» (p. 152).
del conflitto afghano, vincitore Dopo l’11 settembre, vent’anni
di premi giornalistici per il suo di conflitti non sono evidentemen-
lavoro sui teatri bellici mondiali, te bastati a risolvere i problemi
uno che la guerra l’ha vista dav- del mondo, li hanno solo aggra-
vero e non solo dal divano di casa vati (Afghanistan docet), tuttavia
sua, sembra che in Italia l’unico «davanti alla tragedia dell’Ucraina,

• 503
letture&visioni

non abbiamo fatto altro che spo- medicina per risolvere i conflitti,
sare le ragioni di un altro conflitto, non fa altro che uccidere il pazien-
#segnalazioni che a sua volta inizia a cronicizzar- te. Pensiamoci: vogliamo davvero
si, dal quale diventa sempre più che i nostri figli, i figli di tutto il
difficile tirarsi fuori, una barbarie mondo, finiscano schiacciati tra
dalla durata indefinita candidata le due alternative di puntare un
all’oblio mediatico» (p. 156). Non fucile addosso a qualcuno o di
si può parlare di guerra senza esserne minacciati? È esattamente
averla conosciuta davvero per quanto accade in Ucraina. Da que-
quello che è: «merda, sangue, sto tragico dilemma però non si
morte e dolore» (p. 12). Vanno ri- può trovare una via di uscita senza
trovate le ragioni della pace, inte- riuscire a smontare la narrazione
sa come qualcosa che esiste in sé della guerra come male necessario
e che non è solo il prodotto della dall’alto valore morale.
non-guerra. La violenza non è una Francesca Ceccotti

M. Albanese – V. Savoldi – V. Rocca


A. Sicilia
Chiesa, dove sei?
Io, Felicia Una comunità dal volto
sinodale
Conversazioni con
la madre di Peppino Gabrielli, San Pietro
Impastato in Cariano (VR) 2021
pp. 183, € 16
Ed. Navarra, Palermo
2021
pp. 158, € 12 Dopo venti secoli di cristinesimo, «è soltan-
to l’aurora», disse Giovanni XXIII inauguran-
Nei primi anni 2000, i due AA. si do il Concilio Vaticano II. Oggi, l’impegno
trovarono a casa Impastato, a conversare a rinnovare la Chiesa prende la forma del
con la madre di una delle più note vittime cammino sinodale, che segna una tappa
della mafia. Dai suoi ricordi emerge una storica del percorso di trasformazione della
vicenda prima di tutto familiare, poi Chiesa nel nostro tempo. Attraverso una
pubblica, divenendo così paradigmatica teologia narrativa, gli AA. tracciano il sogno
della storia della Sicilia e dell’Italia che si di una Chiesa inclusiva, capace di rinnovarsi
sono scontrate con il fenomeno mafioso. al servizio della società di oggi.

L. Floridi – F. Cabitza Nel contesto della “Martini lecture” tenu-


ta all’Università della Bicocca, il filosofo
Intelligenza Luciano Floridi e l’esperto di Intelligenza
artificiale artificiale Federico Cabitza dialogano sulle
prospettive offerte dalle nuove tecnologie,
L’uso delle nuove
mettendo a fuoco la dialettica tra dipen-
macchine
denza (dalle macchine) e responsabilità
Bompiani, Firenze-Milano 2021 (umana) e i problemi etici che emergono
pp. 183, € 12 dall’impiego delle intelligenze artificiali.

504 •
28 Q 0623001633000015121690
aggiornamenti sociali
anno 73 • numero 08-09 • agosto-settembre 2022

editoriale / Giuseppe Riggio SJ


Votare: un verbo da coniugare al futuro
editoriale / Paolo Foglizzo
Per la vita una sentenza non basta
dialoghi / Arturo Sosa SJ – Giuseppe Riggio SJ
«La nostra sfida è lasciarci guidare». Per una Chiesa in ascolto

Poste Italiane SpA - Spedizione in a. p. - DL353/2003 (conv. in L. 27/02/2004, n.46), art.1, c. 1 DCB Milano
della realtà e della Parola
a cura di Aggiornamenti Sociali
fede&giustizia / Giacomo Costa SJ
Alle radici spirituali dell’impegno sociale.
L’eredità di Carlo Maria Martini
unione europea / Floriana Cerniglia
Investimenti pubblici: un volano di crescita.
Le novità del Programma NGEU
focus ucraina / Andrea Pintus
Distanti, ma non da soli. L’accoglienza fuori e dentro
la scuola italiana dei minori ucraini
infografica / Mauro Bossi SJ
Cambiamenti climatici nelle città italiane
laudato si’ / Celia E. Deane-Drummond
La conversione ecologica come vocazione
punti di vista / Matthieu Brun
La sovranità alimentare, un modello alternativo per l’agricoltura
Letture & visioni
#mediterraneo: M. Mercuri – P. Quercia, Naufragio Mediterraneo /
C. Spottorno – G. Abril, La crepa / G. Ungherese, Non tutto il mare è perduto
N. Piro, Maledetti pacifisti
Segnalazioni: Io, Felicia / Chiesa, dove sei? / Intelligenza artificiale

«I grossi problemi della società attuale hanno a che vedere con la questione politica,
con il venir meno di un impegno duraturo delle persone per il bene comune, a favore
dell’umanità e del pianeta [...]. È vero che assistiamo a trasformazioni repentine
in tanti ambiti, ma a mio parere il cambiamento più rapido che sta verificandosi
riguarda la perdita di consapevolezza della cittadinanza, che finisce con il rafforzare i
poteri personalistici e arbitrari».
A. Sosa SJ – G. Riggio SJ, «La nostra sfida è lasciarci guidare», p. 444 € 7,00

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